UMBERTO ECO.

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Umberto Eco

C'era una volta Churchill


Tra l'inglese che crede Churchill un personaggio immaginario e Bush che va in Iraq convinto di farcela in quindici giorni non c'è una differenza abissale: sono entrambi casi di offuscamento della dimensione storica  Winston Churchill e sua moglie ClementineLeggevo sul numero de 'L'Internazionale' di inizio marzo un trafiletto dove si racconta di un sondaggio fatto in Gran Bretagna, da cui risulterebbe che un quarto degli inglesi pensa che Churchill sia un personaggio di fantasia, e così accade per Gandhi e Dickens. Molti intervistati (ma non si precisa quanti) avrebbero invece messo tra le persone realmente esistite Sherlock Holmes, Robin Hood ed Eleanor Rigby.

Come prima reazione tenderei a non drammatizzare. Mi interesserebbe anzitutto sapere a quale fascia sociale appartiene il quarto di coloro che non hanno idee chiare su Churchill e Dickens. Se avessero intervistato i londinesi dei tempi di Dickens, quelli che si vedono nelle incisioni delle miserie di Londra di Doré o nelle scene di Hogarth, almeno i tre quarti, sporchi, abbrutiti e affamati, non avrebbero saputo chi era Shakespeare. E neppure mi stupisco che si credano realmente esistiti Holmes o Robin Hood, uno perché esiste un'industria holmesiana che a Londra fa visitare addirittura il suo preteso appartamento di Baker Street, e l'altra perché il personaggio che ha ispirato la leggenda di Robin Hood è esistito davvero (l'unica cosa che lo rende irreale è che al tempo dell'economia feudale si rubava ai ricchi per dare ai poveri, mentre dopo l'avvento dell'economia di mercato si ruba ai poveri per dare ai ricchi). D'altra parte io da bambino credevo che Buffalo Bill fosse un personaggio immaginario sino a che mio padre non mi ha rivelato che non solo era esistito, ma che lui stesso l'aveva visto quando era passato col suo circo nella nostra città, finito per campare dal mitico West alla provincia piemontese.

Però è vero, e ce ne accorgiamo quando si rivolgono domande ai nostri giovani (per non dire a quelli, che so, americani), che le idee sul passato anche prossimo sono molto vaghe. Si è letto di test da cui appariva che qualcuno credeva che Moro fosse un brigatista rosso, De Gasperi un capo fascista, Badoglio un partigiano eccetera. Uno dice: è passato tanto tempo, perché dei diciottenni devono sapere chi era al governo cinquant'anni prima che loro nascessero? Beh, sarà che la scuola fascista ce ne faceva una testa così, ma io a dieci anni sapevo che il primo ministro ai tempi della marcia su Roma (vent'anni prima) era Facta, e a diciott'anni sapevo anche chi erano stati Rattazzi o Crispi, ed era roba del secolo prima.

Il fatto è che è cambiato il nostro rapporto col passato, probabilmente anche a scuola. Una volta ci interessavamo molto al passato perché le notizie sul presente non erano molte, se si pensa che un quotidiano raccontava tutto in otto pagine. Con i mezzi di massa si è diffusa un'immensa informazione sul presente, e si pensi che su Internet posso avere notizie su milioni di cose che stanno accadendo in questo momento (anche le più irrilevanti). Il passato di cui i mezzi di massa ci parlano, come per esempio le vicende degli imperatori romani o di Riccardo Cuor di Leone, e persino la prima guerra mondiale, passano (attraverso Hollywood e industrie affini) insieme al flusso di informazioni sul presente, ed è molto difficile che un utente di film colga la differenza temporale tra Spartaco e Riccardo Cuor di Leone. Parimenti si spappola o perde in ogni caso consistenza la differenza tra immaginario e reale: ditemi voi perché un ragazzo che guarda film alla televisione deve ritenere che Spartaco sia esistito e il Vinicio di 'Quo vadis' no, la contessa Castiglione fosse un personaggio storico ed Elisa di Rivombrosa no, che Ivan il Terribile fosse reale e Ming tiranno di Mongo no, visto che si assomigliano moltissimo.

Nella cultura americana questo appiattimento del passato sul presente è vissuto con molta disinvoltura e vi può accadere persino di incontrare un professore di filosofia che vi dice quanto sia irrilevante sapere che cosa Cartesio abbia detto sul nostro modo di pensare, visto che quello che c'interessa è quanto ne stanno scoprendo oggi le scienze cognitive. Si sta dimenticando che se le scienze cognitive sono arrivate dove sono arrivate è anche perché un certo discorso era iniziato coi filosofi del Seicento, ma soprattutto si rinuncia a trarre dall'esperienza del passato una lezione per il presente.

Molti pensano che il vecchio detto per cui la storia è maestra della vita sia una banalità da maestro deamicisiano, ma è certo che se Hitler avesse studiato con attenzione la campagna di Russia di Napoleone non sarebbe caduto nella trappola in cui è caduto, e se Bush avesse studiato bene le guerre degli inglesi in Afghanistan nell'Ottocento (ma che dico, persino l'ultimissima guerra dei sovietici contro i talebani) avrebbe impostato diversamente la sua campagna afgana.

Può sembrare che tra l'imbecille inglese che crede che Churchill fosse un personaggio immaginario e Bush che va in Iraq convinto di farcela in quindici giorni ci sia una differenza abissale, ma non è così. Si tratta dello stesso fenomeno di offuscamento della dimensione storica.

(21 marzo 2008)


da espresso.repubblica.it

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Umberto Eco

La nostra ghigliottina quotidiana


Alcune proposte per i quiz finali della trasmissione di Carlo Conti 'L'eredità' su Rai Uno. Se accolti il gioco potrebbe aumentare ancora la sua già alta popolarità. 

Anche per sfuggire alla campagna elettorale è aumentato il numero delle persone che tra le sette e le otto di sera seguono sul primo canale 'L'eredità', che per chi non lo sapesse è un divertente programma quiz. Molti, anche se si trovano ancora per strada, si affrettano a rientrare entro le otto meno dieci per non perdersi la parte finale, che si chiama 'La ghigliottina'. Ancora per chi non lo sa, al concorrente vengono proposte coppie di parole (e se sceglie quella sbagliata essa cala come una mannaia e dimezza il suo monte premi). Alla fine il concorrente dispone di cinque parole e deve indovinare una sesta parola che in qualche misura sia legata alle cinque proposte, per esempio perché vi appare insieme in una frase fatta.

Per non tirarla in lungo faccio un esempio: sere fa le cinque parole finali erano golfo, archi, prova, San Remo, italiana, e in fondo era facile per una mente sveglia individuare la parola nascosta che era 'orchestra'. Infatti c'è la 'Prova d'orchestra' di Fellini, esistono le orchestre d'archi, ci sono l'orchestra del Festival di San Remo e l'Orchestra Italiana di Arbore. Ma il riferimento più arguto era quello al golfo, perché come è noto nei teatri l'orchestra sta nel cosiddetto golfo mistico.

'La ghigliottina' provoca frenetiche telefonate tra amici, che fanno a gara in tempo reale (come si dice) a chi indovina per primo, e poco manca che gli affezionati vadano in giro con dei nastrini sul petto, come i militari che esibiscono le campagne a cui hanno partecipato.

Salvo che da un po' di tempo il gioco si è fatto sempre più difficile e quando Carlo Conti rivela la parola giusta a tutti cadono le braccia perché appare quasi impossibile che un essere umano (sia pure con una mente educata a cogliere i rapporti tra le cose e le parole) potesse arrivarci. E non si vede perché, non credo per risparmiare quel poco di premio che alla fine (dopo molte ghigliottinature) il concorrente potrebbe aggiudicarsi. Ma, se questo deve essere il gioco, indubbiamente ispirato a profondo sadismo, mi permetto di suggerire alcune versioni capaci di sfidare il più allenato degli adepti.


Propongo per esempio che appaiano in dirittura finale 'fondo, canone, occhi pinti, Gradara, caos'. La soluzione sarebbe 'enfiteusi'. Infatti, potrebbe spiegare Conti, l'enfiteusi è notoriamente il diritto di godimento su un fondo altrui, implica il pagamento di un canone, nel 1561 tal Josepe Ochipinti dal Conte di Modica ebbe concesse in enfiteusi 88 salme di terre a Candicarao, nel diciassettesimo secolo i papi concessero il castello di Gradara in enfiteusi ai signori di Pesaro, e Pirandello è nato nella contrada detta Caos, acquisita dai suoi avi in enfiteusi. Facilissimo.

Altra possibilità: 'Dante, sesquipedale, sontuoso, endecasillabo, convertita'. La soluzione, che quasi viene da sé, sarebbe 'sovramagnificentissimamente'. Infatti questo termine è coniato da Dante nel 'De vulgari eloquentia', è un termine sesquipedale (se questo aggettivo definisce anche - vedi il De Mauro - scritto, discorso eccetera esageratamente lungo e altisonante), significa 'in modo molto sontuoso', è certamente un endecasillabo e con le sue ventisette lettere è più lungo di 'precipitevolissimevolmente', introdotto da Francesco Moneti nel Settecento, nel suo 'La Cortona convertita'.

Propongo anche 'felicita, emetico, farmacista, iperacidità e sotterfugi'. Basta che il concorrente capisca che la prima parola non è felicità bensì il nome della signorina Felicita, e nella poesia che le dedica Gozzano abbandona il negozio di un farmacista uscendo dall'odor d'ipecacuana, l'ipecacuana è un emetico, iperacidità è il sostantivo che nello Zingarelli 2008 segue ipecacuana e infine una storia di ipecacuana appare nell'episodio 'Sotterfugi' della serie del dottor House. Altri termini facili da far indovinare potrebbero essere lucumone, strofanto, zeugma, tyrannosaurus rex, aspidistra, uracile, culleo, monocotiledone, poliorcete.

Ma forse bisogna osare di più. Si potrebbero dare al concorrente da scegliere le coppie tuono-lampo, veglia-sonno, monosillabo-polisillabo, novantanove-cento e allitterazione-onomatopea. La serie finale dovrebbe essere 'tuono, veglia, lungo, novantanove e onomatopea'. Non vedo chi non comprenderebbe subito che si tratta di una onomatopea che definisce il tuono, parola polisillaba di novantanove lettere che appare ne 'La veglia di Finnegans' di Joyce. La soluzione, che mi pare intuitiva, è: 'bababadalgharaghtakamminarronnkonnbronntonnerronntuonnthunntrovarrhounawn-kawntoohoohoor-denenthurnuk'.

Una volta soccorso il concorrente dall'attacco d'asma che conseguirebbe al proferimento del termine risolutivo, e superato l'intasamento delle linee telefoniche dovuto alla soluzione contemporanea di milioni di telespettatori trionfanti, il gioco avrebbe acquistato maggiore popolarità.

(04 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it

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Umberto Eco




Le gazzette hanno perso la funzione che avevano all'inizio degli inizi. Una trasformazione che non è colpa di nessuno, è un fatto come il buco nell'ozono. Ma è un fatto imbarazzante  Una coppia legge un quotidianoChissà quanti lettori si sono domandati perché il sommario de 'L'espresso' appare dopo una trentina o una quarantina di pagine dall'inizio, e questa notizia viene data solo a pagina 13. Ma guardate bene cosa c'è prima della pagina del sommario: oltre a pubblicità e alla vignetta di Altan, ci sono le rubriche fisse, una serie di curiosità che vanno sotto il titolo di 'Riservato' e l'annuncio di libri o dischi in vendita con la rivista. Adesso sollevate tutto il fascicolo che inizia col sommario, come se doveste strapparlo via, e vedete che cosa rimane nelle pagine finali: ancora rubriche di vario genere e posta, per finire con Scalfari o con questa Bustina.

Si tratta insomma di pezzi non legati all'attualità strettissima (e cioè ai fatti del giorno prima) e che possono essere inviati, impaginati e stampati con qualche anticipo, perché 'L'espresso' conta più di 200 pagine e, se lo trovate in edicola di solito alla mattina del venerdì, non si può pensare che sia stato stampato tutto la notte precedente. Invece dal sommario in avanti ci sono gli articoli di più stretta attualità, e nel numero che state leggendo vi saranno (presumo) i commenti sulle elezioni appena avvenute. Tutta roba che spesso viene mandata in macchina all'ultimo minuto, insieme al sommario, che deve tener conto di queste 'ultimissime'.

Ed ecco perché questa Bustina ha l'aria di ignorare che ci siano state le elezioni e come siano andate. Semplicemente sto scrivendo e inviando prima del fatale 13 aprile. Ma ecco un vantaggio di tutte queste costrizioni: il settimanale che state leggendo, anche se non può fingere di ignorare quello che è appena avvenuto, e si è affrettato a uscire in anticipo per parlarvi dei risultati elettorali, non essendo di solito obbligato a dire col fiatone quello che è successo il giorno prima, può dedicarsi a inchieste e ad articoli di riflessione e approfondimento. Una volta si diceva: per la strettissima attualità c'è il quotidiano.

Ma davvero il quotidiano ha ancora questa funzione? Già nel 1962 l'immortale Achille Campanile aveva detto che mentre il telegiornale serale, rispetto al quotidiano del giorno dopo, era come un telegramma che si concludesse con 'segue lettera', il quotidiano del giorno dopo era una lettera che avrebbe dovuto concludersi con 'segue telegramma' (ma in verità dovrebbe dire 'vedi telegramma già inviato').

Sto sfogliando un quotidiano che reca in ultima pagina le notizie 'in due minuti'. Davvero si potrebbe evitare di leggere il resto del giornale, perché in quella colonnina si dice tutto quello che occorre sapere. Purtroppo però questo tutto io lo sapevo già perché mi era stato detto la sera prima dal telegiornale. Se la situazione è questa, di che cosa parla allora un grande quotidiano, che conta circa 80 pagine, se non di più, e non può averne di meno per poter ospitare abbastanza pubblicità?

Da un lato deve ripetere ampliandole le notizie date dal telegiornale, tenendo conto che tanti lettori non avranno visto la televisione la sera prima. Ma anche così se la caverebbe in quattro o cinque pagine. Per il resto potrebbe dedicarsi all'approfondimento, alla riflessione sui fatti, alle inchieste, e lo fa (tra l'altro rubando il mestiere ai settimanali). E infine abbonda in pettegolezzo.

Si badi che il pettegolezzo non riguarda solo gli amorazzi di una fotomodella o i tic di un politico rimbambito. Si può fare del pettegolezzo sul dibattito elettorale, sul più atroce dei delitti, si può spettegolare enfatizzando una mezza battuta detta per caso da un ministro, o chiedendosi perché il comune di Roma non chiede scusa alla Chiesa per i cristiani divorati dai leoni al Colosseo. E soprattutto si è portati a far diventare pettegolezzo anche la notizia vera e propria, quando a un fatto rilevante (terremoto, incidente mortale sul lavoro, crisi di compagnia aerea) si dedicano non uno ma almeno quattro articoli, in cui fior di inviati sono obbligati a raccontare e a commentare l'evento da quattro punti di vista diversi - ma essendo fatalmente condotti a ripetere in quattro modi diversi la stessa cosa. E noi leggiamo, spesso soddisfatti di ascoltare queste quattro voci, ma di fatto perdendo tempo per apprendere quattro volte quello che (oltretutto) sapevamo già. Così il giornale diventa come una serata in famiglia, dove il nonno ripete per la milionesima volta la storia di quando aveva subito i bombardamenti, il babbo snocciola i suoi luoghi comuni sulla situazione economica, poi si parla un po' male del vicino notoriamente cornuto, o si commenta la trasmissione televisiva appena vista. Niente di male, anzi bellissima situazione di socializzazione, ma non era questa, all'inizio degli inizi, la funzione delle gazzette, finestre che di colpo e inopinatamente si spalancavano ogni mattina sull'imprevisto.

Su questa trasformazione del giornalismo non si tratta di moraleggiare: non ne ha colpa nessuno perché è un fatto, come il buco dell'ozono, dovuto allo sviluppo tecnologico. Ma è un fatto imbarazzante.

(17 aprile 2008)

da espresso.repubblica.it

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Umberto Eco.

Un non-compagno che sbaglia


Da una premessa tutto sommato accettabile, sullo Stato imperialistico delle multinazionali, le Brigate Rosse traevano tre conclusioni sbagliate e deliranti  In un sito Internet che si intitola 'La storia nascosta' si virgoletta una mia presunta dichiarazione a 'El Pais' e mi si fa dire:"Le Brigate rosse avevano un'idea giusta di combattere le multinazionali, ma hanno sbagliato nel credere nel terrorismo". Se ne deduce pertanto che io condividerei la formula 'compagni che sbagliano', e che sosterrei che "le idee erano condivisibili, erano i metodi che non andavano". E conclude: "Se è questo il contributo di riflessione della cultura italiana, a trent'anni dall'assassinio di Aldo Moro, è un film già visto. Purtroppo".

Il sito raccoglie tuttavia anche i commenti dei visitatori e trovo sensato l'intervento di un anonimo che scrive "ho qualche dubbio che il Prof. Eco abbia pronunciato parole così banali. Nel 'Pendolo di Foucault' c'è (tra mille altre cose) una sua personale valutazione degli anni di piombo, che di certo non esalta il mondo del terrorismo. Sarei curioso di sentire le sue parole esatte, e non la versione che ci arriva dai giornali". Invece il tenutario del sito non solo non ha letto né il mio 'Pendolo di Foucault' né gli articoli che scrivevo su 'Repubblica' ai tempi dell'affare Moro e che ho poi ripubblicato nel mio libro 'Sette anni di desiderio' (ed è suo diritto, che difenderò sino alla morte), ma ho il sospetto che non abbia letto neppure la mia intervista al 'Pais' e si sia basato su alcuni trafiletti italiani che ne riassumevano alcune battute. Dedurre da premesse incomplete e fallaci è errore di logica, e non può essere riconosciuto come diritto.

Tuttavia rispondo per rispetto di quel prudente anonimo che invece usa leggere, e per altri che dalla visita a questo sito malizioso potrebbero essere condotti (in buona fede) sul sentiero dell'errore.

Le cose che avevo detto nel corso di quell'intervista spagnola erano le stesse che avevo scritto trent'anni fa. Dicevo che i giornali definivano 'deliranti' i comunicati delle Brigate rosse quando sostenevano che esisteva il cosiddetto Sim, ovvero lo Stato imperialistico delle multinazionali, mentre questa (anche se espressa con una formula un poco folkloristica) era l'unica idea non delirante di tutta la faccenda, salvo che non era la loro, ma l'avevano presa a prestito da molte pubblicazioni europee ed americane, in particolare dalla 'Monthly Review'. Parlare allora di Stato delle multinazionali voleva dire ritenere che gran parte della politica del globo non era più determinata dai singoli governi, bensì da una rete di poteri economici transnazionali che poteva decidere persino delle guerre e delle paci. A quei tempi l'esempio principe era quello delle Sette Sorelle petrolifere, ma oggigiorno anche i ragazzini parlano di globalizzazione e globalizzazione vuole appunto dire che noi mangiamo insalata coltivata nel Burkina Fasu, lavata e impacchettata a Hong Kong, e spedita in Romania per essere distribuita poi in Italia o in Francia. Questo è il governo delle multinazionali, e se l'esempio vi pare banale, pensate come grandi compagnie aeree transnazionali possano determinare le decisioni del nostro governo circa il destino dell'Alitalia.


Quelle che erano veramente deliranti nel pensiero delle Brigate rosse e dei gruppi terroristici affini erano le conclusioni che ne traevano: primo, che per battere le multinazionali si dovesse fare una rivoluzione in Italia, secondo che per metterle in crisi si dovessero ammazzare Moro e tante altre brave persone, terzo che le loro imprese avrebbero spinto le masse proletarie a fare la rivoluzione.

Queste idee erano deliranti anzitutto perché la rivoluzione in un solo paese alle multinazionali non avrebbe fatto né caldo né freddo, e in ogni caso la pressione internazionale avrebbe rapidamente ristabilito l'ordine; secondo perché il peso di un politico italiano, in questo gioco di interessi, era del tutto irrilevante; e terzo perché si doveva sapere che, per quanta gente i terroristi avessero ammazzato, la classe operaia non avrebbe fatto la rivoluzione. E per sapere questo non era necessario prevedere lo svolgimento degli eventi, ma bastava vedere quello che era successo nell'America Latina coi Tupamaros uruguayani e movimenti analoghi (che al massimo avevano convinto i colonnelli argentini a fare non la rivoluzione ma il colpo di Stato), mentre le masse proletarie non muovevano un dito.

Ora chi trae tre conclusioni sbagliate da una premessa tutto sommato accettabile non è un compagno che sbaglia. Se un mio compagno di scuola avesse affermato che il sole gira intorno alla terra o che due più due fa cinque non lo avrei definito un compagno che sbagliava bensì un coglione. Il fatto che oggi ritroviamo persino un terrorista rosso occupato a fare attentati alle moschee nel nome della Lega, mostra appunto che non erano molto assennati.

Pertanto l'unico compagno (ma di chi?) che sbaglia è il signore che gestisce quel sito.

(02 maggio 2008)

da espresso.repubblica.it

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VERSO L'EXPO 2015


«Il grattacielo storto? Prenderà il viagra»

Lo scrittore Umberto Eco ha risposto così a chi gli chiedeva un parere sul progetto di Libeskind

MILANO - «Milano è piena di gente che ha il membro storto: ce ne sarà uno in più e prenderà il viagra».

Si è affidato a espressioni di questo tipo lo scrittore Umberto Eco per rispondere a chi gli chiedeva un parere sul grattacielo storto di Daniel Libeskind, che vedrà la luce nel nuovo quartiere di Citylife, a poche centinaia di metri dal giardino intitolato alla memoria dell'editore Valentino Bompiani.

Proprio domenica si è appreso che è allo studio un leggero raddrizzamento della sagoma della torre; ma all'esplicita domanda sul reale gradimento del progetto di Libeskind, sul quale sono piovute le critiche di numerose personalità politiche, tra cui quelle del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, Eco ha risposto: «Non mi occupo di membri».


12 maggio 2008(ultima modifica: 13 maggio 2008)

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