Renato MANNHEIMER. -
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L'analisi
Vince l’astensione «per scelta»
Il vero crollo è alle Provinciali
Al di là dei risultati, il dato più significativo di queste consultazioni è l’ulteriore incremento delle astensioni
Il 61% di votanti alle comunali. Il 46% (meno della maggioranza assoluta) alle provinciali. Addirittura 23-24% al referendum. Al di là dei risultati in questo o in quel comune o provincia, il dato più significativo di queste consultazioni è stato l’ulteriore incremento delle astensioni. L’imponente diserzione dalle urne può essere definita come il più importante fenomeno politico di massa registrato negli ultimi tempi.
Un elettore si può astenere per una pluralità di motivi. C’è chi, per problemi fisici o perché residente all’estero è in ogni caso impedito a recarsi alle urne. Si tratta del cosiddetto astensionismo «necessario», presente in ogni elezione. Ci sono molteplici stime sulla sua ampiezza, ma la maggior parte degli studiosi concorda su circa il 10% dell’elettorato. C’è poi l’astensionismo «per forza maggiore», legato a impedimenti temporanei: una malattia, un incidente, ecc.: con tutta probabilità esso si aggira al massimo sul 2-3%. Tutte le restanti assenze dalle urne sono classificabili come astensionismo «per scelta». Dipendente cioè da una decisione consapevole dell’elettore.
È ragionevole pensare che l’incidenza delle astensioni «necessarie» o «per forza maggiore» sia grossomodo sempre la stessa nelle diverse consultazioni. Di conseguenza, ciò che spiega il grande incremento dell’astensionismo in questi ultimi anni è la progressiva diffusione delle astensioni «per scelta». Queste ultime sono dovute sia alla costante erosione (o, nelle nuove generazioni, addirittura all’assenza) delle identità e delle appartenenze politiche tradizionali, sia specialmente all’ampliarsi del distacco degli italiani dalla politica. Non è certo un caso se, domandando a un campione rappresentativo degli elettori qual è «la prima cosa che le viene in mente parlando di politica », la risposta prevalente, data da quasi un quarto, sia «disgusto». Con un incremento di questo atteggiamento negli ultimi anni. E la risposta successiva, data da un altro 22% è «rabbia».
In queste consultazioni amministrative c’è, tuttavia, un’ulteriore, rapida e forte accentuazione del fenomeno. Alle provinciali, tra il primo e il secondo turno si sono recati a votare addirittura il 23% di elettori in meno. Alle comunali la differenza è stata del 15%.
Queste ultime hanno visto un’affluenza maggiore, data la più accentuata «vicinanza» del comune alle problematiche quotidiane dell’elettore. Mentre le provinciali hanno registrato l’assenza della maggioranza assoluta dei cittadini e la diserzione, tra il primo e il secondo turno, di quasi un quarto, anche a testimonianza, forse, di una perplessità, peraltro più volte espressa, sul ruolo e l'utilità di questa istituzione.
La rilevante differenza nella partecipazione tra il primo e il secondo turno va naturalmente anche interpretata con la difficoltà per l’elettore italiano di scegliere un candidato che non è «il proprio». Diversi votanti per i partiti esclusi al primo turno non se la sono sentita di scegliere, al secondo, quello che consideravano solo il «meno peggio».
Ma, anche in questo caso, la maggior parte delle astensioni dipende da un ulteriore distacco dalla vita politica avvenuto proprio negli ultimi tempi. Spiegato, per gli elettori del centrodestra, anche dall’appannamento, accentuatosi proprio in queste settimane, della figura del Cavaliere. E per quelli del centrosinistra dal disagio dovuto alla conflittualità crescente tra i partiti e, specialmente, tra i leader di quest’area.
Anche la bassissima affluenza al referendum rientra in questo quadro esplicativo. La presenza di solo meno di un quarto degli aventi diritto non dipende solo dai quesiti «troppo tecnici » (anche se erano davvero difficili da interpretare e le schede, così complesse, accrescevano la confusione) né dal mero effetto dell’invito di astenersi da parte della Lega. Il fatto è che le tematiche proposte e l’intero mondo della politica appaiono ai cittadini italiani sempre più lontani. E sempre più privi di interesse.
Renato Mannheimer
23 giugno 2009
da corriere.it
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L'Osservatorio
Il «sexgate» non toglie voti al centrodestra
Pdl stabile sul 30%. Ma un italiano su due pensa che Berlusconi debba dimettersi
Lo scandalo del «sexgate» che ha coinvolto Silvio Berlusconi occupa da giorni le prime pagine dei giornali. Alla televisione si sono ogni giorno succeduti i talk show sull'argomento. Tutti discutono sull'ondata di accuse infamanti che è stata riversata, a torto o a ragione, contro il presidente del Consiglio. Tanto che in molti ne hanno chiesto le dimissioni o, comunque, l'immediata disponibilità - da lui per altro sin qui rifiutata - a presentarsi davanti ai magistrati. Si tratta di uno degli episodi di più violenta messa in discussione della credibilità del Cavaliere.
Ciononostante, la distribuzione delle intenzioni di voto non ha subito, in questo stesso periodo, alcun mutamento particolarmente significativo. Il Popolo della Libertà rimane stabile attorno al 30 per cento (con una variazione minima, addirittura di lieve crescita, rispetto alla settimana scorsa). Anche la Lega appare assestata tra il 10 e l'11 per cento, analogamente a quanto rilevato negli ultimi mesi.
Ci si può domandare il perché di questa apparentemente incomprensibile stabilità, malgrado la tempesta mediatica in corso. Il fatto è spiegabile da una pluralità di motivazioni, tra le quali due appaiono prevalenti. Per un verso, gli elettori di centrodestra appaiono in larga misura già assuefatti alle notizie sullo stile di vita del premier. Il suo interesse per le giovani donne era già emerso, seppure con minore clamore e in assenza dell'interesse della magistratura, mesi fa, anche allora senza effetti rilevanti sulle intenzioni di voto. D'altro canto, soprattutto, i medesimi elettori - anche quelli potenzialmente più mobili e collocati al centro dello schieramento politico - non vedono alternative praticabili alla loro opzione precedente e finiscono, più o meno volentieri, con il confermare la loro fiducia al Cavaliere o, meglio, al Pdl, guardando magari ad altri leader al suo interno. Senza che l'opposizione o il terzo polo riescano a persuaderli. È questo il motivo per cui anche l'elettorato cattolico - che pure dovrebbe essere più sensibile agli ultimi avvenimenti - non appare avere mutato più di tanto le proprie preferenze.
Insomma, per una serie di motivi (tra i quali la difficoltà a comunicare proposte chiare e persuasive e la scarsa presa mediatica della leadership), l'opposizione - e il Partito democratico in particolare, come ha bene dimostrato Roberto D'Alimonte sul Sole 24 Ore di ieri - non riesce ad accreditarsi come una proposta credibile e attraente. Tanto che malgrado le difficoltà in cui si trova - o si dovrebbe trovare - la maggioranza, il partito di Pier Luigi Bersani, rimane debole e oscilla tra il 24 e il 25 per cento a seconda dei sondaggi.
La fragilità del consenso elettorale del Pd lascia spazio specialmente alla crescita della formazione di Nichi Vendola che supera nettamente il 7 per cento, ma continua ad attrarre solo una porzione minoritaria dell'elettorato di sinistra.
E, come si è detto, anche il terzo polo stenta sin qui a conquistare la fiducia degli indecisi. I quali, però, crescono in numero, superando il 40 per cento. Segno dell'estendersi della perplessità e, in certi casi, del disorientamento, sia pure in assenza di mutamenti significativi nelle intenzioni di voto.
La similitudine del panorama odierno delle opinioni politiche degli italiani rispetto ai mesi passati è confermata anche dalla distribuzione degli orientamenti sull'ipotesi di dimissioni del premier. La quota di quanti auspicano questa scelta si è accresciuta nell'ultimo anno, ma, nella sostanza, si ripropone lo scenario consueto: un Paese spaccato a metà tra chi ritiene che le dimissioni siano indispensabili (49 per cento) e chi, solo un po' meno, (45 per cento) manifesta la posizione opposta. Come è ovvio, i diversi pareri sono motivati soprattutto dalla posizione politica (anche se si registra qualche eccezione: il 13 per cento degli elettori leghisti invita Berlusconi a dimettersi e, sull'altro fronte, il 18 per cento dei votanti per il Pd suggerisce che continui a svolgere le sue funzioni). Il fatto che la maggioranza opti per l'abbandono della carica è determinato dalla posizione prevalentemente antiberlusconiana dell'elettorato di centro e del Futuro e libertà in particolare.
Tutto (quasi) come al solito. L'effetto principale degli avvenimenti di questi giorni è dunque per ora solo questo: un ulteriore distacco dalla politica e un accrescimento dell'indecisione e della tentazione di astenersi.
Renato Mannheimer
23 gennaio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/11_gennaio_23/sexy-gate-voti-cemtrodestra-mannheimer_ed72c028-26c7-11e0-bedd-00144f02aabc.shtml
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L'Osservatorio
Deluso dal governo un elettore leghista su due
Il taglio delle tasse priorità bipartisan
Il giudizio Solo il 22% dei cittadini approva l'operato dell'esecutivo: per la metà andrà avanti non più di un anno
Gli esiti delle amministrative e del referendum sono stati efficacemente definiti come veri e propri «schiaffi» contro l'esecutivo. In realtà, il comportamento elettorale dei cittadini appare il proseguimento di un clima di opinione sfavorevole al governo che era già stato segnalato da diversi sondaggi condotti nei mesi scorsi. Ma i dati delle rilevazioni effettuate dopo il voto evidenziano una situazione ancora più problematica. Ad esempio, dichiara oggi di approvare l'operato recente del governo solo poco più di un quinto (22%) dei cittadini. Si tratta del livello più basso registrato da diversi mesi a questa parte. Naturalmente, all'interno dell'elettorato di centrodestra, il giudizio è più favorevole, tanto che il 60% esprime una valutazione positiva. Ma è significativo notare che, anche nel sottoinsieme dei votanti per i partiti di governo, ben il 40% esprima un atteggiamento critico verso quest'ultimo.
Se, anziché riferirsi all'ultimo periodo, si domanda un giudizio sull'azione complessiva del governo dalla sua costituzione ad oggi, il risultato è ancora più critico: complessivamente, tre italiani su quattro reputano «deludente» o «pessimo» l'operato dell'esecutivo in questi tre anni, con un significativo incremento rispetto all'analoga risposta data in occasione dei medesimi sondaggi effettuati gli anni scorsi. È di parere negativo sul governo il 23% degli stessi elettori del Pdl (e ben il 55% dei votanti per la Lega).
Alla luce di questi dati, non sorprende che anche l'opinione sulla persona del presidente del Consiglio sia, in questo momento, piuttosto negativa. Le valutazioni favorevoli al Cavaliere si aggirano oggi attorno al 30% (anche in questo caso, uno dei livelli più bassi degli ultimi mesi) e persino all'interno degli elettori del centrodestra, i giudizi sfavorevoli raggiungono la stessa percentuale di insoddisfatti vista in precedenza: quasi un quarto (23%).
Il governo è consapevole di questo stato di cose e, come si sa, ha deciso di reagire per tentare di riconquistare la fiducia degli elettori, varando quel pacchetto di riforme per tanto tempo promesse, ma mai attuate, che erano state alla base del consenso che elesse la maggioranza alle ultime elezioni politiche. Al riguardo, le priorità espresse dai cittadini sono unanimi, sia tra gli elettori di centrodestra, sia tra quelli di centrosinistra: è la riforma fiscale - che per molti significa semplicemente la riduzione delle tasse - ad essere in assoluto la più gettonata, tanto che è indicata da più del 40%. Si sa che i provvedimenti in materia di imposte sono in questo momento i più difficili, data la situazione di bilancio e la conseguente impossibilità di incrementare ulteriormente il deficit pubblico, ma resta il fatto che essi sono i più richiesti dalla popolazione. Segue la riforma della giustizia, mentre appare assai meno suggerito (e forse non compreso) qualsiasi tipo di intervento istituzionale.
Ma sarà davvero in grado il governo di fare queste riforme nei prossimi due anni? Nessuno lo sa, ma la maggioranza degli italiani appare scettica: il 54% ritiene che, tutto sommato, l'esecutivo non otterrà quanto promesso. C'è da dire, però, che anche questo dato medio nasconde una fortissima disparità di opinioni tra gli elettori dei due poli. Infatti, mentre la perplessità è condivisa dall'80% di chi si colloca nel centrosinistra (e dal 70% di chi si considera di centro tout court), la maggioranza (65%) dei votanti per il centrodestra è convinta che l'esecutivo riuscirà nei suoi intenti. Anche se, ancora una volta, c'è una parte consistente (sempre circa un quarto) dell'elettorato dei partiti di governo che appare poco propensa a credere nella capacità di quest'ultimo di reagire efficacemente a questo momento di crisi.
Uno dei motivi che sottostanno alla poca fiducia nella capacità di realizzazione da parte del governo delle riforme promesse sta nell'idea, assai diffusa, che esso non possa restare in carica ancora per molto tempo. Non a caso, la maggioranza relativa (45%) degli italiani ritiene che l'esecutivo non riesca a durare più di un anno (anche se una minoranza consistente, il 41%, continua a pensare - o ad auspicare - che esso giunga al termine naturale della legislatura).
Nell'insieme, l'opinione degli italiani riguardo alla situazione politica e alle prospettive future più opportune risulta, come sempre, divisa a metà, in relazione al proprio credo politico. Ma, da qualche tempo in qua, si intravedono ampie crepe di fiducia anche tra quanti hanno dato fino a oggi il loro consenso al governo. Proprio queste ultime rappresentano oggi il vero pericolo per Berlusconi e per la continuità dell'esecutivo.
Renato Mannheimer
19 giugno 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_giugno_19/mannheimer-delusi-elettori-lega_2fdcf924-9a4f-11e0-ab5e-79baf40ebd68.shtml
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L'Osservatorio
La fiducia nell'esecutivo è in diminuzione
Meno consensi ai partiti, indecisi al 47%
L'equità
Per il 78% degli italiani le misure adottate non sono eque
Anche dopo le modifiche apportate alla manovra varata dal governo, la distribuzione delle intenzioni di voto appare sostanzialmente stabile. Il centrosinistra nel suo insieme (ammesso che, dato lo stato attuale dei rapporti tra i partiti, si possa ancora parlare di una coalizione di centrosinistra) continua ad evidenziare un vantaggio di poco meno di 10 punti sul centrodestra (ammesso, anche in questo caso, che l'espressione «centrodestra» conservi politicamente qualche significato) e il Pd supera il Pdl di circa il 3%. Ma l'insieme dei partiti che appoggiano il governo mostra una tendenza all'erosione dei consensi (come ha osservato Roberto Weber) a vantaggio delle forze di opposizione. Si tratta di una tendenza - per ora quantitativamente modesta - che riflette il diffondersi in certi settori di popolazione di un disagio e di una sfiducia.
Il governo, come si sa, ha subito dopo la presentazione della manovra un calo di consensi relativo sia alla persona di Monti (la fiducia si è abbassata di 11 punti in una settimana), sia l'esecutivo nel suo complesso (per il quale il calo è ancora maggiore e raggiunge il 18%). Buona parte di questo andamento dipende dal fatto che alla grande maggioranza degli italiani (78%) la manovra appare non equa, sia pur considerando i tempi stretti in cui la si è dovuta attuare. Ciononostante, il supporto popolare a Monti rimane ancora molto elevato e riguarda ancora la maggioranza assoluta o relativa (53% per la persona del presidente del Consiglio e 46% per il complesso del governo) degli italiani. Si tratta, considerando l'impatto così pesante della manovra economica, di valori eccezionalmente ampi, che mostrano come la gran parte dei cittadini abbia compreso la drammaticità della situazione e la necessità di un intervento veloce ed efficace. È un pò cambiata negli ultimi giorni la geografia politica del supporto al Presidente: sino a una settimana fa, l'appoggio più esteso proveniva infatti dagli elettori del centrosinistra, mentre oggi il supporto maggiore deriva dai votanti per il Terzo Polo. Ma il consenso per Monti rimane ampio tra gli elettori di tutti i partiti: perfino tra i leghisti, si registra più di un terzo (35%) di consensi. Resta però il fatto che la fiducia ha manifestato un calo significativo e, specialmente, che il clima generale mostra l'accrescersi di un diffuso pessimismo. Quest'ultimo non riguarda solo il governo, ma coinvolge l'insieme delle istituzioni del paese, sia politiche, sia economiche e sociali. L'indice complessivo di fiducia per le istituzioni, calcolato settimanalmente da Ispo, dopo essersi accresciuto in occasione della nomina del nuovo governo, tende da allora ad una costante diminuzione giorno dopo giorno.
Il clima di opinione generale è dunque caratterizzato da tratti contraddittori. Da un verso, ci si rende conto della situazione e si tende ancora in buona misura ad appoggiare il governo. Dall'altro, si fa fatica a digerire le misure imposte e, specialmente, si teme che nel futuro il quadro peggiori ancora. Anche in conseguenza di tutto ciò, accanto alla stabilità (relativa e per certi versi apparente) della distribuzione delle intenzioni di voto, si registra - ed è il fenomeno probabilmente più significativo - un sensibile accrescimento di quanti si dichiarano indecisi sul partito da scegliere alle eventuali prossime consultazioni o sono addirittura tentati dall'astensione. Nel loro insieme, costoro sono passati dal 35% registrato ad ottobre, al 47% rilevato oggi. Insomma, di fronte al contesto attuale, quasi metà degli italiani non sa che partito votare o, peggio, li boccia tutti.
Renato Mannheimer
18 dicembre 2011 | 10:19© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_dicembre_18/mannheinmer-osservatorio-fiducia-governo-in-calo_21ed0c5a-2956-11e1-b27e-96a5b74e19a5.shtml
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L'Osservatorio
Giovani e lavoro, il sogno resta il posto fisso
Per averlo l'84% è disposto a guadagnare meno
Oltre il 70% è pronto ad allontanarsi da casa per un impiego sicuro. Ma solo il 56 andrebbe in un altro Paese
Davvero i giovani italiani hanno in mente solo il mito del posto fisso e vedono con sfavore l'idea di mettersi in gioco in termini più imprenditoriali? E davvero tendono a cercare solo posti di lavoro vicini alla famiglia di origine?
I dati di una recente ricerca scientifica, condotta tra i giovani fra i 18 e i 34 anni, ci aiutano a comprendere, al di là delle affermazioni e ipotesi che si sono succedute in questi giorni, come stanno realmente le cose.
La sicurezza e la stabilità del posto costituiscono senza dubbio, ancora oggi, l'elemento più attrattivo in un lavoro per la maggioranza relativa dei giovani italiani. Alla richiesta di scegliere qual è l'aspetto più importante in una occupazione, più di uno su tre cita senza esitazione il «posto fisso» che risulta contare assai più dello stipendio e ancor più dell'interesse del tipo di lavoro. Meno del 4% cita come elemento più importante la possibilità di fare carriera o quella di imparare cose nuove ed esprimere le proprie capacità. La posizione stabile rappresenta dunque per gran parte della popolazione giovanile (ma anche per quella più matura) il connotato più atteso. Il che è per molti versi comprensibile, dato che non tutti debbono possedere necessariamente uno spirito imprenditoriale e che, nella fase economica che stiamo attraversando, conquistare un posto fisso costituisce per molti un grande privilegio (anche se le ricerche condotte in passato mostrano come anche prima della crisi la stabilità dell'impiego abbia sempre rappresentato l'aspetto più ambito in una occupazione). Risulta particolarmente attratto dalla sicurezza del posto di lavoro chi possiede titoli di studio più bassi e, ovviamente, chi in questo momento è alla ricerca di un impiego.
Questi orientamenti sono confermati anche dalle risposte al quesito relativo alla preferenza tra un lavoro «sicuro anche se meno redditizio» e uno «meno sicuro con più prospettive di reddito»: quasi nove giovani su dieci (per l'esattezza l'84%) optano senza esitazione per la prima alternativa. La remunerazione può anche essere esigua, quello che importa è la sicurezza. Di qui una netta (per il 75%, con una diminuzione, comunque, rispetto a due anni fa quando era l'84%) predilezione per un mercato del lavoro «meno flessibile, con meno possibilità di licenziamenti, anche a costo di stipendi più bassi» piuttosto che uno «più flessibile, ma che favorisce stipendi più elevati». Al riguardo si riscontrano significative differenze territoriali, con una forte accentuazione a favore di una minor flessibilità del mercato del lavoro tra i giovani residenti nelle regioni meridionali (beninteso, anche la gran parte degli under 34 che abitano al Nord opta per quest'ultima alternativa).
Per conquistare il posto fisso, la netta maggioranza dei giovani italiani è disposta ad affrontare molti sacrifici, compreso quello di trasferirsi lontano da casa propria. In particolare, oltre il 70% - e ancor più tra i residenti nel meridione e nel Nord-Est - si dichiara pronto ad accettare un lavoro anche lontano dalla propria regione di residenza (ma il 30%, quasi uno su tre, non risulta disposto a una soluzione simile). Invece solo poco più di metà (56%) dei giovani italiani dice sì all'idea di un posto di lavoro, anche se fisso, in un altro Paese europeo: l'apertura appare molto maggiore tra i giovanissimi fino a 24 anni, mentre si attenua, forse a causa di famiglie già formate, tra chi ha tra i 25 e i 34 anni. È curioso notare che la disponibilità a trasferirsi appare relativamente più elevata tra chi possiede un diploma di scuola media superiore. I laureati, invece, forti del loro titolo di studio, appaiono paradossalmente più restii a spostarsi.
Questa è, dunque, la cultura del lavoro prevalente nelle nuove (ma anche nelle vecchie) generazioni del nostro Paese. Se è vero, come molti autorevoli studiosi e osservatori hanno sottolineato in queste settimane, che la prospettiva del posto fisso a vita è ormai sulla via del tramonto, travolta in particolare dai processi di globalizzazione e dalla sfavorevole congiuntura economica, è vero anche che questo mutamento pare accolto con grande sfavore e ostilità dagli italiani (e non solo da questi ultimi).
Renato Mannheimer
12 febbraio 2012 | 9:13© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/cronache/12_febbraio_12/giovani-lavoro-sogno-posto-fisso-mannheimer_b7f0cbb0-5548-11e1-9c86-f77f3fe7445c.shtml
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