Renato MANNHEIMER. -
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L'osservatorio
Italiani e fiducia nelle banche
In una settimana giù del 28%
Il governo e altre autorità istituzionali cercano in questi giorni di rassicurare gli italiani sugli effetti della drammatica crisi finanziaria ed economica che sta coinvolgendo gran parte del mondo. Il possibile insorgere di una crisi di fiducia tra i cittadini costituisce in effetti un timore fondato e suffragato dagli esiti degli ultimi sondaggi di opinione. La preoccupazione riscontrabile nel nostro Paese riguardo alla sicurezza dei depositi e alla solidità delle banche si è andata infatti accrescendo enormemente proprio negli ultimi giorni. Un mese fa (il 12 settembre) circa un quarto degli italiani adulti pronosticava un deterioramento dell'economia. Oggi (la rilevazione è stata eseguita il 9 ottobre), sono quasi raddoppiati giungendo al 46%: gli incrementi maggiori nel pessimismo si sono verificati significativamente tra le persone in età lavorativa centrale (35-55enni) e tra i residenti in una delle aree di maggiore vitalità economica, il Nord-Est.
La previsione sulla situazione finanziaria personale peggiora anch'essa considerevolmente: in sette giorni i pessimisti raddoppiano, passando dal 16 al 34%. Nell'insieme, più del 60% degli italiani si pronuncia oggi negativamente per l'economia mondiale e il 40% ha questa stessa sensazione per ciò che concerne la propria famiglia. Sono specialmente le banche a trovarsi nell'occhio del mirino. La fiducia in queste ultime, già tradizionalmente bassa, è calata ulteriormente, raggiungendo il minimo storico. E si fanno sempre più estesi i dubbi sulla loro affidabilità. Ancora la scorsa settimana, la maggioranza (67%) dei cittadini riteneva «molto o abbastanza solida» la banca di cui è cliente: oggi questa quota è drasticamente scesa al 39%: la maggioranza degli italiani comincia dunque a non fidarsi più del proprio istituto di credito. È un orientamento più diffuso tra chi è più lontano dalla politica e segue con maggiore difficoltà le notizie sui quotidiani.
Certo, si tratta di meri atteggiamenti, di stati d'animo non sempre suffragati da dati di fatto. Ma, come ci insegna la stessa crisi che stiamo attraversando, spesso i fenomeni e i comportamenti economici sono dettati più dalla componente emotiva che da quella razionale. Di conseguenza, gli aspetti psicologici sono, specie in questi giorni, estremamente rilevanti. Nel loro insieme, questi dati possono dunque essere interpretati almeno da due diversi punti di vista. Da una parte, emerge come gli italiani mostrino ancora un atteggiamento responsabile: siamo ben lontani da quella che può essere definita una situazione di panico. Dall'altro canto, non si può non rilevare come il clima di opinione e la fiducia del Paese nelle istituzioni finanziarie vadano progressivamente deteriorandosi.
Con conseguenze difficili da prevedere.
Renato Mannheimer
12 ottobre 2008
da corriere.it
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Il sondaggio
Sindacati, i lavoratori li sfiduciano
Per buona parte della popolazione attiva non esprimono gli interessi collettivi
Dopo le ultime vicende è in calo la fiducia nel sindacato e la maggioranza dei cittadini non ritiene che riesca oggi a rappresentare gli interessi della gran parte dei lavoratori. Una sfiducia più accentuata nella popolazione attiva. Il sindacato rappresenta ancora la maggioranza dei lavoratori? Il dubbio è sorto ad alcuni osservatori in relazione a vicende recenti, dal caso Alitalia alla trattativa sulla contrattazione. Nell'insieme, questi episodi hanno contribuito a sviluppare un dibattito sul ruolo e sulla funzione del sindacato, suscitando reazioni e pareri contrastanti e contribuendo a ridelineare la sua immagine tra i cittadini. Da un verso i sindacati – o, di volta in volta, qualcuno tra essi – sono stati accusati di avere assunto spesso una funzione di freno per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
Dall'altro, secondo alcuni, le organizzazioni di rappresentanza non sarebbero in realtà più espressione della maggioranza «vera» dei lavoratori, ma ormai solo di una minoranza. Qual è l'opinione prevalente nel Paese? Si riscontrano atteggiamenti contraddittori: a) la maggioranza della popolazione ritiene che, malgrado tutto, il sindacato continui in generale a svolgere un ruolo essenziale per lo sviluppo. Ma questa opinione, espressa dal 49%, è solo poco più diffusa del parere opposto, secondo cui le scelte di alcuni sindacati finiscono, sempre più spesso, col costituire un ruolo di ostacolo alla crescita. La scelta tra l'una e l'altra opzione è, com'è ovvio, influenzata dall'orientamento politico: poco più del 60% dell'elettorato di Berlusconi sottolinea il ruolo di freno svolto da alcune organizzazioni. Viceversa, una percentuale ancora più elevata del seguito elettorale di Veltroni insiste sugli aspetti positivi dell'azione sindacale. Ma in entrambi gli schieramenti, grossomodo un terzo degli elettori si pone in maniera opposta al parere prevalente, a riprova della complessità del dibattito. b) La maggioranza dei cittadini, però, non ritiene che i sindacati, nel loro insieme, riescano oggi a rappresentare per davvero gli interessi della gran parte dei lavoratori. Anche in questo caso, a questa opinione, dichiarata dal 50% degli intervistati, si contrappone il parere contrario, solo poco meno diffuso (46%). E, anche in questo caso, l'orientamento politico svolge una funzione importante nel portare verso l'una o l'altra posizione. Ma conta – e in modo significativo – il ruolo lavorativo.
Buona parte della popolazione attiva ritiene che, nel suo insieme, il sindacato non esprima più gli interessi della maggioranza dei lavoratori. In particolare, la pensa così il 54% degli impiegati e il 50% degli altri lavoratori dipendenti. Anche tra gli operai, dunque, la maggioranza relativa "sfiducia" il sindacato. Quest'ultimo trova maggiori consensi tra le categorie non direttamente impegnate nella produzione, quali studenti e casalinghe. Nell'insieme questi dati non possono che suggerire un ripensamento critico sulle funzioni e sul ruolo delle organizzazioni (ancora?) rappresentative dei lavoratori.
Renato Mannheimer
10 novembre 2008
da corriere.it
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Diario sindacale
Sartori, il leghista dell’Inail che apre alla Cgil
a cura di Enrico Marro
Di questi tempi trovare qualcuno nella maggioranza o in ambienti riconducibili ad essa che parli bene dei sindacati, soprattutto se si tratta della Cgil, è un’impresa. Fa eccezione il presidente e commissario straordinario dell’Inail, Marco Fabio Sartori , già deputato della Lega e poi collaboratore di Roberto Maroni quando era ministro del Welfare.
Sartori, nominato il 4 luglio scorso ai vertici dell’istituto nazionale delle assicurazioni sugli infortuni sul lavoro, ha avuto in questi mesi, come dei resto i suoi colleghi commissari dell’Inps e dell’Inpdap Antonio Mastrapasqua e Paolo Crescimbeni , il problema di impostare i rapporti con i sindacati interni, da sempre abituati a comandare e ora messi sotto assedio dal governo. Bene: Sartori ha deciso di rompere il fronte e di tendere la mano al sindacato, compresa la Cgil.
E per farlo ha fatto arrivare loro, attraverso un recente discorso tenuto davanti a tutti i dirigenti, il messaggio che lui è contro i tornelli per la rilevazione delle presenze. «Avete un’idea di quanto costa mettere i tornelli nelle 200 e passa sedi territoriali dell’Inail? E poi, se metto i tornelli, ma i dipendenti stanno chiusi in ufficio a giocare al computer, che cosa ho ottenuto? Un’illusione di efficienza, non l’efficienza vera».
Insomma, per Sartori «la priorità della pubblica amministrazione non sono i tornelli». Lui, a differenza del ministro Renato Brunetta che si è fatto fotografare sorridente davanti alle barriere elettroniche di Palazzo Chigi, di fronte ai tornelli non riesce proprio a entusiasmarsi: «Anche se in qualche caso possono essere necessari, sono il simbolo di un’amministrazione arretrata».
Meglio sarebbe risparmiare i soldi dei tornelli e utilizzarli per premiare i più meritevoli, spiega, così come altre risorse si potrebbero trovare cancellando istituti anacronistici, tipo le 2 ore di permesso al mese di cui ogni dipendente gode per cambiare l’assegno dello stipendio in banca.
Purtroppo, dice Sartori, «oggi il dipendente pubblico si sente criminalizzato. Questo noi lo vediamo nel rapporto quotidiano con i nostri lavoratori. E allora penso che bisogna seguire una strada diversa: coinvolgere i dipendenti, responsabilizzare i dirigenti, dialogare col sindacato». Il commissario si dice «soddisfatto del rapporto con le organizzazioni sindacali dell’Inail: mi sembrano pronte a raccogliere la sfida dell’innovazione». Anche la Cgil di Guglielmo Epifani e di Carlo Podda ? «Assolutamente sì. La Cgil è perfettamente cosciente della necessità di modernizzare».
Nonostante la Finanziaria 2007, varata quindi dal governo Prodi, preveda che tutte le amministrazioni debbano installare i tornelli per la rilevazione dell’orario di ingresso e di uscita dei dipendenti, altrimenti le stesse amministrazioni non possono pagare gli straordinari, la norma è ancora largamente disapplicata.
E lo stesso Sartori riconosce che il fenomeno di chi timbra e poi esce per andare al bar o a fare la spesa «non è affatto marginale». Ma insiste: «Al cittadino non interessa il tornello, ma se l’amministrazione funziona». Per questo, conclude, «bisogna responsabilizzare i dirigenti, prevedendo anche la possibilità di retrocederli a quadri se non raggiungono gli obiettivi. E dobbiamo avere la possibilità di mandare a casa i dipendenti che non servono». Quanti sui 12 mila dipendenti dell’Inail? Sartori non risponde: «Bisogna aprire un confronto con i sindacati anche su questo». Ma a quel punto forse il presidente dell’Inail si troverà davanti a un sindacato molto meno disponibile.
emarro@corriere.it
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Magistratura, fiducia in calo per un italiano su tre
Le recenti inchieste giudiziarie penalizzano i partiti di entrambi gli schieramenti ma anche il credito di pm e giudici
In questi giorni, l’opinione pubblica è sempre più sconcertata dal susseguirsi degli scandali giudiziari. Come si sa, essi hanno portato ad un forte aumento della sfiducia nei confronti del partito di Veltroni. Ma lo sconcerto non ha riguardato solo il Pd, allargandosi invece rapidamente verso l’intero sistema politico— compresi i partiti della maggioranza— e toccando anche la magistratura: ben un italiano su tre afferma di avere diminuito la propria fiducia nei confronti di quest’ultima a seguito degli ultimi avvenimenti. Occorre sottolineare che gran parte della popolazione ha seguito, con maggiore o minore attenzione, le vicende giudiziarie, benché esse siano state talvolta di difficile intelligibilità. Più di tre italiani su quattro dichiarano di averne comunque almeno sentito parlare. E quasi il 25% ritiene che questi episodi riguardino principalmente i politici del Pd. Ma una percentuale più che doppia (53%) è del parere invece che siano coinvolti, più o meno nella stessa misura, esponenti dell’opposizione e del governo, del Pd come del Pdl.
Insomma, la gente tende a inquadrare quanto sta accadendo nella più generale disaffezione verso la politica nel suo complesso. È significativo osservare come questo atteggiamento si rilevi più di frequente tra quanti dichiarano di non aver ben seguito gli avvenimenti più recenti. In altre parole, chi si è documentato più precisamente sulle vicende che hanno coinvolto l’imprenditore Romeo tende a sottolineare maggiormente il coinvolgimento del Pd. Gli altri— la maggioranza—trovano semplicemente una riconferma del più generale distacco verso la politica. Tanto che, misurando le opinioni sugli esponenti dei partiti, si rileva come la più intensa variazione in negativo sia riferita proprio ai «politici in generale». Riguardo le singole forze politiche si nota come, certo, la diminuzione massima di fiducia si manifesti nei confronti del Pd, ma come una quota inferiore (ma significativa) esprima un allontanamento anche nei confronti del Pdl.
Non sorprende dunque che gli effetti elettorali maggiori di questo andamento riguardino entrambi i partiti maggiori. Assai più il Pd, ridottosi oggi al 27,6%, a vantaggio specialmente dell’Idv e dei partiti della sinistra radicale: una minaccia assai seria per Veltroni in vista delle prossime elezioni europee, ove non vi sarà probabilmente soglia di sbarramento (né, quindi, «voto utile») e sarà di conseguenza più facile alle forze minori sottrarre voti al Pd. Ma anche il Pdl subisce nell’ultimo periodo un lievissimo calo, attestandosi al 40,8%. Insomma, si conferma a livello nazionale la tendenza rilevata nelle elezioni in Abruzzo: sia il Pdl sia il Pd perdono voti, quest’ultimo in misura maggiore. Veltroni ha dunque ragione quando teme che, in mancanza di una svolta — e, specialmente, di un rinnovamento di leadership — possa manifestarsi un’implosione del suo partito. I dati suggeriscono, tuttavia, che in realtà la crisi di fiducia non riguarda solo il Pd — che pure ne è toccato in via prioritaria — ma il sistema politico nel suo insieme.
Renato Mannheimer
21 dicembre 2008
da corriere.it
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L’Osservatorio
Tonino, voti raddoppiati e punta al 10%
L’ex pm ha conquistato consensi tra chi ha titoli di studio elevati e vive in grandi città
L’Italia dei valori sembra vivere un momento di difficoltà a causa della polemica sorta tra Di Pietro e il presidente della Repubblica. Il disagio è emerso anche all’interno del partito, ma sembra aver toccato sin qui solo marginalmente l’elettorato di riferimento. In realtà quest’ultimo ha dimostrato da sempre una fiducia particolarmente elevata nei confronti di Napolitano: a fronte del 79% degli italiani che esprime stima per il presidente della Repubblica (il livello di fiducia più elevato raggiunto da una istituzione politica nel nostro Paese), tra gli elettori dell’IdV si riscontra addirittura l’85%.
Malgrado questa apparente contraddizione tra le posizioni del leader e il sentiment dei suoi elettori, il partito dell’ex pm continua ad attraversare un periodo di esteso successo a livello di intenzioni di voto. Esse oscillano oggi tra l’8 e il 10%: si tratta di almeno il doppio dei voti ottenuti alle elezioni lo scorso aprile. Gli elettori acquisiti da Di Pietro sono in misura più che proporzionale di età medio-alta, caratterizzati da un elevato titolo di studio (tra i laureati l’Idv raggiunge quasi il 16%), residenti nei grandi comuni. Molti avevano votato per la Sinistra Arcobaleno nelle ultime elezioni. Anche la provenienza dei consensi giunti di recente suggerisce che il motivo del successo di Di Pietro risieda principalmente nell’immagine di «diversità» dalle altre forze politiche e nel carattere di «radicalità » delle sue scelte e dei suoi comportamenti. Attraverso di essi, l’ex pm riesce ad evocare ed attrarre il variegato mondo dei simpatizzanti per l’«antipolitica », presenti in buona misura anche nella sinistra estrema.
È interessante rilevare come, in parte, si tratti di immagini e di tematiche utilizzate in passato anche dai principali «nemici » di Di Pietro. In primo luogo dalla Lega —che le impiega ancora oggi, sebbene in misura inferiore — e dallo stesso Berlusconi che usò nel 1994 proprio l’argomento della «diversità» per conquistare i suoi primi consensi. Può apparire paradossale, ma, in realtà, il Cavaliere e l’ex pm, così ostili tra loro, hanno impiegato temi e argomenti per certi versi assai simili per persuadere il loro pubblico e giungere al successo. Il mercato elettorale attuale di Di Pietro è potenzialmente assai vasto. I valori della «diversità» e della «radicalità» piacciono infatti in misura più o meno intensa, ad una quota consistente di popolazione. Oggi l’ex pm può contare, oltre alle intenzioni di voto già acquisite, su di un mercato potenziale pari ad un altro 19% di italiani. Si tratta di chi dichiara di prendere in considerazione l’opzione per l’Idv, pur rimanendo per ora legato ad altre forze politiche.
Vi si trovano più maschi che femmine, con titolo di studio medio, impiegati, perlopiù elettori del centrosinistra (ancora una volta con una accentuazione nella sinistra radicale), ma anche del centrodestra, specie del Pdl. È ragionevole ritenere che buona parte di costoro, in caso di elezioni, conservi la scelta attuale e non si diriga verso l’Idv: ma il fatto che si confessino comunque attratti da Di Pietro li rende —più o meno facilmente—conquistabili in una campagna elettorale. Specie nel caso delle consultazioni europee ove, com’è noto, l’elettore si considera tradizionalmente più libero nelle sue scelte. Di Pietro continua quindi a rappresentare una sorta di «mina» negli equilibri politici attuali del Paese.
Renato Mannheimer
02 febbraio 2009
da corriere.it
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