7/10/2008
Banchieri, guadagnatevi la fiducia
FRANCO BRUNI
Le Borse di tutto il mondo hanno vissuto ieri una giornata drammatica. Il crollo è stato generale e ha interessato tutti i settori. Sullo sfondo c’è la crisi bancaria.
Ma la prospettiva di un blocco del credito compromette anche le imprese industriali. Il calo delle Borse impoverisce tutti, fa calare la domanda di consumi e investimenti, avvita la congiuntura reale e crea nuove difficoltà per la finanza. Potranno esserci correzioni temporanee, ma un sollecito, radicale miglioramento della situazione è improbabile. Per muoversi verso il superamento della crisi ci sono però alcuni punti di riferimento. Due di essi, l’azione comune europea e l’iniezione di nuovo capitale nelle banche, corrispondono a due notizie positive che, paradossalmente, erano giunte proprio durante il weekend. Sabato, il vertice di Parigi aveva mostrato una nuova determinazione dei leader europei a collaborare su alcuni aspetti delle difficoltà finanziarie. Domenica Unicredit aveva imboccato con coraggio e chiarezza la via della ricapitalizzazione.
La concertazione europea è indispensabile. L’euromercato finanziario è irreversibilmente integrato: deve dotarsi presto di autorità e poteri comunitari e di procedure di gestione delle crisi uniformi, solidali e trasparenti. Quanto alla ricapitalizzazione, è ciò che veramente occorre per superare durevolmente la crisi. L’attenzione si sofferma spesso sui «titoli tossici», schizzati in tutto il mondo a partire dalle follie dei prestiti immobiliari americani. Ma il cuore del problema è l’eccessivo indebitamento del sistema, consentito da anni di politiche monetarie troppo espansive, di vigilanze distratte e di azzardi dei banchieri. I danni dei titoli tossici dipendono soprattutto dai troppi debiti di chi li possiede. La scadenza dei debiti non lascia il tempo necessario a gestire con ordine le attività incagliate. Bisogna smontare questo eccessivo indebitamento senza traumatizzare l’economia reale.
La prima condizione per poterlo fare è che i banchieri meritino la fiducia per attirare nuovo capitale di rischio. Non è facile. Comunicare scelte strategiche di lungo termine, nel disordine attuale, può sembrare velleitario. Inoltre, l’annuncio di una strategia più prudente si associa per forza a promesse di rendimenti più sicuri ma meno brillanti. Ma è inutile tergiversare: se il capitale delle banche non aumenta, in rapporto ai loro debiti, la loro fragilità continuerà a far paura. Anche i piani di salvataggio devono puntare sulla ricapitalizzazione, a costo di immettere temporaneamente capitale pubblico in alcune banche. Quest’ultima eventualità rende ancor più essenziale che, in Europa, si proceda in un quadro comunitario, dove non sia la discrezione del singolo Stato membro a decidere gli interventi, gareggiando con gli altri per proteggere le sue banche.
Nel frattempo occorre far fronte al problema della liquidità. Chi ce l’ha la trattiene, non si fida di prestarla a chi ne ha più bisogno: come se chiunque potesse risultare infetto da quantità mortali di tossine in portafoglio. Il mercato interbancario si congela. La banca centrale può continuare ad aiutare ma, per superare veramente l'illiquidità, occorre un salto di qualità della trasparenza. Dove sono i titoli cattivi? È interesse dei banchieri scambiarsi le informazioni essenziali. È dovere delle autorità pretendere con risolutezza di localizzare le tossine. È indispensabile la collaborazione europea. L’Europa ha scelto la strada dei comitati di vigilanza multinazionali per le singole banche. Ma ci vuole il coraggio di andare oltre: una sorveglianza centralizzata, dotata dei poteri per garantire la messa in comune rigorosa di tutte le informazioni e l’esercizio di una disciplina omogenea e imparziale sulla trasparenza di tutte le istituzioni finanziarie.
Il sistema bancario italiano è fra i meno fragili. È stato gestito con prudenza e meno permissività di altri. Secondo alcuni, la minor spregiudicatezza dei banchieri italiani è una conseguenza, paradossalmente positiva, di una minor capacità di innovazione, di una concorrenza meno accentuata e, persino, di un certo provincialismo. In realtà, da molti anni, al di là di alcuni incidenti di percorso dai quali abbiamo tratto gli insegnamenti necessari, l’evoluzione e la ristrutturazione dell’insieme dell’attività bancaria è stata in Italia brillante: non è l’arretratezza il presidio della solidità complessiva del sistema. Una solidità che risulta da alcuni indicatori ma circa la quale, da osservatori esterni, dobbiamo fidarci delle rassicuranti dichiarazioni dei banchieri e delle autorità. È comunque fuori luogo qualunque timore fra i depositanti al dettaglio, per la sicurezza dei loro conti correnti, più che protetti da solide garanzie esplicite e implicite.
Per le banche italiane è anche importante il comportamento di fronte alla crisi finanziaria dei nostri politici, al governo e all’opposizione. Finora è stato nel complesso corretto e composto. Speriamo rimanga tale. La stabilità finanziaria e la difesa del risparmio sono beni pubblici sacrosanti, difesi dalla Costituzione, con i quali la politica deve mostrare il senso di responsabilità che i cittadini si attendono e meritano. Sarebbe una disgrazia che a questa materia si estendesse la vacua baruffa opportunistica che impedisce al Paese di fare passi avanti con altri problemi dell’economia e della politica. Sarebbe bello, all’opposto, che proprio la difficile congiuntura finanziaria incentivasse le parti politiche a ritrovare unità di intenti e concretezza anche su altri fronti.
franco.bruni@unibocconi.it da lastampa.it