SALVINI
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Parlano i militari delle motovedette italiane che hanno riportato in Libia i migranti
Solo un giovane del Mali è riuscito a nascondersi ed è sbarcato a Lampedusa: "Miracolato"
"Ho eseguito gli ordini ma mi vergogno
Quei disperati ci chiedevano aiuto"
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO
LAMPEDUSA - "È l'ordine più infame che abbia mai eseguito. Non ci ho dormito, al solo pensiero di quei disgraziati", dice uno degli esecutori del "respingimento". "Dopo aver capito di essere stati riportati in Libia - aggiunge - ci urlavano: "Fratelli aiutateci". Ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli di accompagnarli in Libia e l'abbiamo fatto. Non racconterò ai miei figli quello che ho fatto, me ne vergogno".
Parlano i militari delle motovedette italiane - quella della Guardia di Finanza, la "Gf 106" e quella della Capitaneria di porto, la "Cpp 282" - appena rientrati dalla missione rimpatrio. Sono stati loro a riportare in Libia oltre 200 extracomunitari, tra i quali 40 donne (3 incinte) e 3 bambini, dopo averli soccorsi mercoledì scorso nel Canale di Sicilia. Un "successo", lo ha definito il ministro Maroni, che finanzieri e marinai delle due motovedette non condividono anche se hanno eseguito quegli ordini. Niente nomi naturalmente, i marinai delle due motovedette rischierebbero quanto meno una punizione se non peggio. Ma molti non nascondono il loro sdegno per quello che hanno vissuto e dovuto fare. "Eravamo impegnati in altre operazioni - dicono fiamme gialle e marinai della capitaneria - poi improvvisamente è arrivato l'ordine di andare a soccorrere quelle tre imbarcazioni, di trasbordarli sulle nostre motovedette e di riportarli in Libia".
Non è stato facile, a bordo di quelle carrette del mare c'erano donne incinte, tre bambini e tutti gli altri che avevano tentato di raggiungere Lampedusa. "Molti stavano male, alcuni avevano delle gravi ustioni, le donne incinte erano quelle che ci preoccupavano di più, ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli e li abbiamo eseguiti. Quando li abbiamo presi a bordo dai tre barconi ci hanno ringraziato per averli salvati. In quel momento, sapendo che dovevamo respingerli, il cuore mi è diventato piccolo piccolo. Non potevo dirgli che li stavamo portando di nuovo nell'inferno dal quale erano scappatati a rischio della vita".
A bordo hanno anche pregato Dio ed Allah che li aveva risparmiati dal deserto, dalle torture e dalla difficile navigazione verso Lampedusa. Ma si sbagliavano, Roma aveva deciso che dovevano essere rispediti in Libia. "Nessuno di loro lo aveva capito, ci chiedevano come mai impiegavamo tanto tempo per arrivare a Lampedusa, rispondevamo dicendo bugie, rassicurandoli".
La bugia non è durata molto, poco prima dell'alba qualcuno ha notato che le luci che vedevano da lontano non erano quelle di Lampedusa ma quelle di Tripoli. Alla fine i marinai italiani sono stati costretti a spiegare: "Non è stato facile dire a tutta quella gente che li avevamo riportati da dove erano partiti. Erano stanchi, avevano navigato con i barconi per cinque giorni, senza cibo e senza acqua. Non hanno avuto la forza di ribellarsi, piangevano, le donne si stringevano i loro figli al petto e dai loro occhi uscivano lacrime di disperazione".
Lo sbarco a Tripoli è avvenuto poco dopo le sette del mattino: "Vederli scendere ci ha ferito tantissimo. Ci gridavano: "Fratelli italiani aiutateci, non ci abbandonate"". Li hanno dovuti abbandonare, invece, li hanno lasciati al porto di Tripoli dove c'erano i militari libici che li aspettavano. Sulla banchina c'erano anche i volontari delle organizzazioni umanitarie del Cir e dell'Onu, ma non hanno potuto far nulla, si sono limitati a contare quei disperati che a fatica, scendevano dalla passerelle delle motovedette per tornare nell'inferno dal quale erano scappati. Le donne sono state separate dagli uomini e portati in "centri d'accoglienza" vicino Tripoli. Non si sa che fine faranno.
Solo uno è riuscito a sfuggire al rimpatrio. Un ventenne del Mali che aveva intuito cosa stava succedendo a bordo e si era nascosto sotto un telone. Ha messo la testa fuori solo quando la motovedetta della Finanza è attraccata a Lampedusa, ha aspettato che a bordo non ci fosse più nessuno e poi è sceso anche lui. È stato rintracciato mentre passeggiava nelle strade dell'isola ed ha subito confessato. Adesso si trova nel centro della base Loran di Lampedusa. Un miracolato.
(9 maggio 2009)
da repubblica.it
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Politica
Lega Nord: il mostro c'è solo se conviene
Ora che il presunto assassino di Yara sarebbe un bergamasco doc, il Carroccio appare silenzioso. Ma all'inizio tuonava quando l'omicida sembrava essere un ragazzo marocchino. Non è la prima volta. Da Novi Ligure in poi, in molti casi i leghisti hanno cavalcato casi di cronaca nera per dare la colpa agli immigrati. Salvo poi tacere quando si è scoperto che gli autori erano italiani
di Paolo Fantauzzi e Francesca Sironi
18 giugno 2014
“Ieri un ‘matto’, che girava nudo per Milano, ha ucciso e ferito senza nessun motivo. Non sarebbe il caso di riaprire delle strutture dove accogliere, curare e controllare i malati di mente?”. Su Facebook il segretario della Lega nord Matteo Salvini mostra comprensione nei confronti di Davide Frigatti, responsabile dell’accoltellamento di tre passanti a Cinisello Balsamo, uno deceduto e due ricoverati in gravi condizioni.
Eppure lo stesso “garantismo” il Carroccio (e Salvini in persona) non sembrano averlo mostrato quando casi di cronaca nera hanno coinvolto cittadini non italiani. Al contrario, ogni delitto compiuto da un extracomunitario (vero o supposto che fosse) è stato quasi sempre il pretesto per campagne politiche sul tema dell’immigrazione. A cominciare dal caso di Adam Kabobo, il ghanese che lo scorso anno uccise tre passanti a picconate a Milano e al quale Salvini augurava di 'marcire in prigione'.
Così il segretario della Lega Nord sulla mancata richiesta dell'ergastolo ai danni Adam Kabobo, il ghanese che l'11 maggio del 2013 uccise a colpi di piccone tre passanti a Milano. Il pm Isidoro Palma ha chiesto una condanna a vent'anni di reclusione.
Discorso simile per il caso di Yara Gambirasio, che nei giorni scorsi ha portato al fermo di Massimo Giuseppe Bossetti. Il 5 dicembre 2010, ad esempio, quando il marocchino Mohammed Fikri fu stato appena fermato quale sospettato dell’omicidio, l’europarlamentare Mario Borghezio apparve sicuro della sua colpevolezza. Tanto da tuonare sulla necessità di «raccogliere le impronte digitali» perché era evidente la «necessità di introdurre un'aggravante per i reati commessi dai clandestini». Una posizione isolata? Non proprio, visto che lo stesso Matteo Salvini si diceva convinto che - a prescindere dalla nazionalità del colpevole - se era vero che «queste cose succedevano anche prima che arrivassero gli immigrati, da quando ci sono così tanti irregolari succedono di più».
Insomma, la colpa era dei danni prodotti dall’“immigrazione incontrollata” e perché «c' è un senso di impunità». E siccome «Brembate è una città tranquilla e ospitale dove episodi del genere non si ricordano negli ultimi anni e se si verificano adesso un motivo ci sarà». Parole cui fa da contraltare il silenzio di questi giorni.
NOVI LIGURE
La fretta di incolpare gli immigrati non è arrivata solo per Yara. Un altro esempio clamoroso di uso strumentale della cronaca risale al febbraio del 2001. Delitto di Novi Ligure. Erika, quella che poi si scoprirà aver ucciso col fidanzatino adolescente madre e fratello, incolpa all'inizio due presunti ladri slavi. Albanesi, probabilmente.
Occasione ghiotta per la Lega Nord, che organizza subito una fiaccolata in nome della sicurezza. In un'interrogazione immediata il parlamentare Mario Borghezio ricorda una donna stuprata pochi giorni prima chiedendo al ministro dell'Interno se non si ritiene «necessaria e urgente un'azione coordinata interforze per individuare e sradicare dalla zona le bande criminali di extracomunitari clandestini che attualmente vi spadroneggiano pressoché indisturbati, con misure efficaci ed effettive di espulsione».
Criticato da tutti gli esponenti politici dopo il riconoscimento di Erika e Omar come gli autori del massacro, Borghezio non arretrò di un passo: «Citare la criminalità albanese ed extracomunitaria è un riflesso condizionato naturale di fronte al reiterarsi di episodi che hanno creato una grande paura» disse, e ancora: «Queste mie affermazioni sono la conferma che vi è una grande preoccupazione e averle citate non è nient'altro che la riprova, la dimostrazione che queste bande criminali sono troppo libere di agire».
Borghezio non fu solo. Il clima anti-immigrati che si era creato lo ha ricordato in una recente intervista a Il Secolo XIX anche Mario Lovelli (Pd) che nel 2001 era sindaco di Novi: «Per la città furono giorni traumatici, c’è voluto tempo per metabolizzare la tragedia. Ricordo il giorno dopo il delitto, la reazione strumentale della Lega Nord e di Forza Italia, quando non si conosceva ancora la verità. C’era stato un consiglio Comunale infuocato, molti esponenti del centrodestra chiedevano di usare la mano pesante contro gli immigrati clandestini: si pensava che gli assassini fossero extracomunitari»
I ROM DEL FALSO STUPRO
Di tono simile le dichiarazioni lasciate da un esponente leghista dopo la denuncia, da parte di una ragazzina torinese di 16 anni, di uno stupro ad opera di alcuni rom. La violenza si rivelò poi falsa, un'invenzione, ma nel frattempo una spedizione punitiva andò a incendiare le abitazioni del campo nomadi della Continassa, alla periferia di Torino.
In quei giorni Davide Cavallotto dichiarava: «A Torino l'emergenza rom è diventata ormai una piaga sociale. C'è voluto un episodio deprecabile come l'incendio doloso di un campo nomadi per capire che ormai la misura è colma. La politica deve mettere da parte l'ipocrisia e iniziare a fare i conti con l'impossibilità di una convivenza civile fra chi vive nella legalità e paga le tasse e chi rifiuta ogni forma d'integrazione e si macchia di reati restando impunito anche di fronte alla legge».
LA CAMIONETTA ASSALTATA
«Varese, ASSALTO a un furgone della POLIZIA per far scappare un detenuto ALBANESE. Primi effetti bastardi dell'infame legge SVUOTA CARCERI». Così commentava a caldo sempre Matteo Salvini la notizia di un furgoncino della Penitenziaria preso d'assalto a Gallarate, in provincia di Varese. Poi si venne a sapere che il detenuto evaso grazie alla sparatoria era Domenico Cutrì. «Per me poteva essere anche Finlandese», cerca di minimizzare allora Salvini, messo di fronte all'errore: «Cambia poco: lo svuota carceri resta una boiata».
© Riproduzione riservata 18 giugno 2014
Da - http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/06/18/news/lega-nord-il-mostro-c-e-ma-solo-se-fa-comodo-1.169837?ref=HRBZ-1
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Febbre antieuropea l’Ue si può sciogliere ma poi dove andiamo?
Attaccare l’Unione garantisce facili consensi, ma non risolve le difficoltà dei cittadini. Per far crescere economia e lavoro, in un mondo globalizzato, serve un doppio sforzo: negli Stati nazionali e nelle istituzioni comunitarie
Di Enzo Moavero Milanesi
In Europa, sale la temperatura. Sale con riguardo all’economia, perché la situazione generale non evolve come si sperava (perfino la Germania cresce poco), aumentano le asimmetrie fra i Paesi, ci sono nuovi segnali allarmanti (pensiamo alla Grecia). Sale nei rapporti politici, per la contrapposizione che caratterizza le relazioni fra alcuni leader; una contrapposizione che eufemisticamente si potrebbe definire «vivace». Questo è il tipo di contesto più difficile per l’Unione europea, il cui collante base è — da sempre — costituito dalla volontà di cooperare, di convergere: senza la quale, progredire e stare insieme diventa molto complicato. È davvero un peccato che questa situazione si sia accentuata durante i sei mesi della presidenza italiana che sta concludendosi.
All’Unione, nel corso di oltre 60 anni, sono state delegate rilevanti competenze, che prima spettavano ai governi nazionali. Ricordiamoci che gli Stati membri non hanno ceduto sovranità a un’entità estranea, bensì hanno deciso di trasferirla a un’entità comune, della quale condividono la guida. Il suo buon funzionamento dipende dalla capacità di dialogo e dal rispetto delle regole, adottate volontariamente da tutti. Entrambi gli ingredienti sono necessari. Solo il valore delle idee e la capacità di convincere gli altri — con i toni giusti, cercando e trovando un’intesa — consente di innovare le opzioni politiche e di modificare le norme o di applicarle, interpretandole correttamente. Al contrario, le continue tensioni determinano irrigidimenti reciproci, stalli e derive che sarebbe un grave errore sottovalutare.
La crisi economica globale ha messo a repentaglio il sistema dell’euro. La bancarotta di alcuni Stati, per il dissesto dei loro conti pubblici, si è rivelata un evento possibile. Il disagio sociale e la povertà sono drammaticamente aumentati. L’interdipendenza fra le economie dei vari Paesi ha contagiato e depresso anche quelli meno dissestati. Le aspettative dei cittadini nei rispettivi governi e nelle istituzioni dell’Unione sono rimaste deluse. Tuttavia, in un mondo dove i protagonisti sono diventati i modelli statali di notevoli dimensioni economiche, territoriali e demografiche (come Usa, Cina, Russia, India, Brasile), è arduo credere che gli europei possano trovare valide soluzioni rinchiudendosi nel rispettivo angusto ambito nazionale. Al di là di un dubbio impatto immediato, quale sarebbe la prospettiva futura? Criticare l’Unione è facile: è molto complessa e appare lontana, condizionata sempre da «altri». Certamente va migliorata: ma demolire è, spesso, più facile che costruire.
Pur essendo fondata su trattati dalla durata indeterminata, l’Unione europea non è affatto indissolubile. Si può sciogliere, e uno Stato può liberamente uscirne. È bene esserne consci, quale che sia il proprio pensiero al riguardo. Indulgere in polemiche, sebbene sembri spesso popolare, non aiuta a risolvere le reali difficoltà. Del pari, non giovano i dibattiti astratti; anche dare la precedenza a una revisione degli assetti costituzionali dell’Unione è un obiettivo fuorviante, considerata la grande diversità fra le attuali visioni e sensibilità. La vera urgenza, vicina alle preoccupazioni di noi tutti, riguarda l’economia e l’occupazione, perché dobbiamo ritrovare la fiducia nel nostro futuro. Non basta la sola azione della Banca centrale europea, comunque limitata alla politica monetaria e — per giunta — sottoposta a un giudizio di legittimità davanti alla Corte di giustizia Ue.
Possiamo pretendere dai governi degli Stati e dalle istituzioni comuni di concretizzare, con seri vincoli di risultato, quell’agenda europea i cui due cardini sono noti da tempo. Da un lato, investimenti pubblici, soprattutto europei, che mobilitino anche quelli privati, perseguendo uno sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale). E dall’altro, incisive riforme strutturali in tutti i Paesi, per modernizzarli, salvaguardare i capisaldi del modello sociale europeo, riacquistare competitività, semplificare la vita dei cittadini e delle imprese.
L’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione hanno la possibilità di risorgere se si muovono insieme, con atti immediati e concreti, iniziative efficaci e ove utile, proposte innovative realizzabili. Non è quello che fecero all’indomani del disastro delle due guerre mondiali, innescando un lungo periodo di crescita e diffusione del benessere collettivo?
16 dicembre 2014 | 09:49
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/14_dicembre_16/febbre-antieuropea-l-ue-si-puo-sciogliere-ma-poi-dove-andiamo-9a6414b8-84fb-11e4-bef0-810da32228c1.shtml
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Lega, Salvini e le frasi choc: “Va dove lo porta il sondaggio”.
I segreti dell’unico partito che vince: tv, facebook e salamella
Il Carroccio è l'unica forza politica che incrementa il proprio bacino elettorale. Qual è la ricetta? Temi urlati e scorretti, la continua distinzione tra amici e nemici, il mix tra messaggi semplici sui social network e parole d'ordine nelle feste di paese.
L'analisi della comunicazione del leader nell'ebook "#ilMilitante"
di F. Q. | 6 giugno 2015
È Salvini il degno erede di Berlusconi? A giudicare dall’avanzata della Lega Nord nel centro Italia verrebbe da dire di sì. Le Regionali del 31 maggio hanno consegnato al Paese una geografia politica profondamente mutata, con un Carroccio che ha letteralmente cannibalizzato i voti di Forza Italia, riducendo al lumicino quella che un tempo era una spietata macchina da consensi. Non solo il partito guidato da Matteo Salvini è riuscito ad imporsi come prima forza del centrodestra in territori che non erano mai stati generosi con il simbolo dello spadone, ma è anche l’unico che, dati alla mano, sia uscito rafforzato dalla tornata elettorale. La Lega, grazie soprattutto all’avanzata nelle regioni rosse, si è messa in tasca un robusto saldo positivo (+402mila voti rispetto alle politiche del 2013, +256mila rispetto alle europee dello scorso anno). Un dato che assume ancora più corpo se si pensa al contesto di generale disaffezione al voto in cui è maturato. Così la Lega incassa e gli altri lasciano sul terreno tonnellate di consensi.
Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione
Ma dove nasce questo risultato? Il merito è ascrivibile in larga misura al frontman, Matteo Salvini, alla sua comunicazione diretta e senza mezzi toni. Un successo che arriva dalle felpe. Dalle parole scandite nelle piazze. Dagli scontri accesi con gli oppositori. Dai temi stessi scelti come terreno di battaglia con gli avversari. Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione e chiede soluzioni a portata di mano. Così contro i campi Rom si evocano le ruspe, contro i clandestini l’affondamento delle navi e via di questo passo. Un messaggio radicalizzato e spinto al limite che interpreta lo spirito del momento. La ricetta è semplice e replicabile: il leader si infila nella polemica giusta al momento giusto, la cavalca e riesce a trarne il massimo vantaggio. “A Salvini piace insomma trasformarsi ed esibire i muscoli - si legge nell’ebook Matteo Salvini #ilMilitante scritto dal giornalista del ilfattoquotidiano.it Alessandro Madron insieme a Alessandro Franzi (Ansa) – Da comunista ad amico dell’estrema destra. Da indipendentista a nazionalista. E come ogni leader ha bisogno di un palcoscenico”. Secondo i due “esperti di Carroccio” “c’è chi dice, parafrasando il celebre titolo di un libro di Susanna Tamaro, che lui va non dove lo porta il cuore ma il sondaggio del momento. O, da un altro punto di vista, lui va dove lo porta il suo fiuto politico che ricorda molto quello di Bossi. Chiunque osservi le sue acrobazie all’insegna del politicamente scorretto gli dà atto di saper fare bene una cosa soprattutto: vendere se stesso e la sua merce politica dove occorre, quando conviene e nella quantità che chiede il suo pubblico. Tutte le idee collezionate in oltre vent’anni di attività politica si traducono in un uso massiccio di parole d’ordine schierate con nettezza. Che mobilitano e danno scandalo allo stesso tempo. O di qua o di là, appunto. Non si potrebbe dunque spiegare l’ascesa politica del giovane leader della Lega se non si mette la sua storia di militante sul palcoscenico – reale e virtuale – che calca quotidianamente davanti agli occhi degli italiani”.
Nel libro Madron e Franzi, oltre alla ricostruzione biografica del leader che ha resuscitato la Lega, cerca di analizzare in maniera critica, concreta e compiuta – e liberandosi dal pregiudizio – i modi e i contenuti della comunicazione salviniana, vera chiave di lettura del suo successo elettorale. Un leader apparentemente senza qualità, senza esperienza e senza meriti particolari, che è riuscito a resuscitare la Lega, partito dato per morto dai più, che oggi, dopo aver cambiato pelle, incarna le ambizioni della destra italiana meglio di qualunque altra forza politica. Le parole d’ordine del Salvini-pensiero girano tutte intorno alla “distinzione tra amici e nemici. Nessuna via di mezzo”. Insomma, con lui o contro di lui. Parole che “non si comprenderebbero abbastanza senza i toni scelti per propagandarle”. È infatti “con frasi dure, sconvenienti e scioccanti che il leader della Lega rende visibile questa netta divisione fra amici e nemici. L’Unione Europea? È ‘il quarto Reich, i nuovi nazisti’. O è anche, in altre occasioni, ‘l’Unione sovietica europea’, la dittatura tecnocratica”.
In questo solco si innestano anche i toni usati per parlare di altri temi, come l’immigrazione di massa e le politiche d’accoglienza. È qui che “Salvini dà il meglio o il peggio di sé”. Nell’analisi de #ilMilitante si ricorda: “Quando nel canale di Sicilia, il 19 aprile del 2015, un barcone si è rovesciato in mare provocando più di 700 vittime, ha attaccato il governo non appena erano iniziati i soccorsi: ‘Altri morti sulle coscienze dei falsi buonisti, di Renzi e Alfano’, premier e ministro dell’Interno. “Bisogna fare un blocco navale internazionale subito, per bloccare le partenze”. ‘Un raccapricciante cinismo’, l’ha definito il leader di Sel, Nichi Vendola. Il partito del premier Renzi ha dato a Salvini dello ‘sciacallo’”. A lui non sembra importare. Anzi, più lo attaccano, più si rafforza. E allora alla provocazione aggiunge provocazione: Salvini veicola i toni forti in ogni modo e con ogni mezzo. È proverbiale la sua massiccia presenza mediatica, ma non si limita a questo. Ci sono anche i comizi, le feste della Lega, gli appuntamenti tradizionali durante i quali incontra la base e rinverdisce quel rapporto fatto di pane e salamelle. Il quadro però non sarebbe completo senza considerare l’aspetto più caratteristico della sua comunicazione: l’uso compulsivo ma tecnicamente efficace dei social network, Facebook su tutti. “È da li che ha lanciato frasi scandalose come quella di non far attraccare i barconi dei migranti a Lampedusa o quelle contro gli avversari politici da prendere “a calci nel culo”. Dichiarazioni fatte con slang giovanile e l’aria scanzonata da bravo ragazzo che, propagate dal pubblico, diventano scazzottata tra fazioni rivali, fino a raccogliere gli sfoghi più viscerali”.
“Su Facebook un terzo degli italiani si collegano ogni giorno: spesso persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano l’opinione ascoltando messaggi semplici”
E a questo proposito ne #ilMilitante è stato raccolto il punto di vista di Stefano Epifani, docente di social media management all’università La Sapienza di Roma, che spiega che “il nostro è un Paese di periferie e di piccoli comuni. Su Facebook ci sono 20 milioni di persone, un terzo della popolazione italiana che si collega quotidianamente. Spesso si tratta di persone che non sanno di avere Internet ma usano i social network, magari dal telefonino: l’Italia è questa, è quella del 20% di analfabeti funzionali che formano la propria opinione guardando un video e ascoltando messaggi semplici. E queste sono le persone che Salvini intercetta meglio: se il suo target fosse un altro, farebbe discorsi diversi”.
Insomma, Salvini arriva sempre diretto e limpido: “La sua strategia comunicativa trova successo nell’offrire messaggi brevi e comprensibili a tutti. Colpisce dove deve colpire. È quello che gli serve, anche se poi questo genere di messaggi raramente finisce in profondità ma resta sulla superficie dello slogan”. Ed è forse proprio questa superficialità del messaggio la cifra più marcata dell’agire salviniano. Una modalità comunicativa che, in un’epoca di crisi economica e ideologica, riesce a fare breccia nell’immaginario di una platea sempre più vasta. E dopo il voto del 31 maggio la teoria è stata confermata dalla prova delle urne.
di F. Q. | 6 giugno 2015
Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/06/lega-salvini-e-le-frasi-choc-va-dove-lo-porta-il-sondaggio-i-segreti-dellunico-partito-che-vince-tv-facebook-e-salamella/1741047/
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Saronno, la nuova base di Salvini tra “terroni” e migranti: “Ruspa, ruspa, ruspa”
Per comprendere il successo di Matteo Salvini alle elezioni non servono analisti e politologi. Bastano due ore a passeggiare in un mercato di provincia. A Saronno, dove il leader del Carroccio è andato per sostenere il ballottaggio del candidato leghista, si scoprono i volti e gli accenti della sua nuova base. Non ci sono più gli anziani in canottiera che vivevano nel “mito celodurista” di Umberto Bossi. Oggi a chiedergli i selfie e a stringergli la mano sono signore di mezza età, che fanno la fila per dargli un bacio e per tributargli tutti gli onori del caso. Sono ambulanti meridionali che fanno a gara per una foto dietro al banco del pesce per regalargli un’albicocca. Sono immigrati regolari che si scattano una foto da mostrare in famiglia commentando “mia figlia sarà invidiosa, lei ti ama” o, ancora: “Dal vivo è meglio che in tv”. Una base popolare, che se ne infischia del politicamente corretto, che comprende i suoi slogan semplici e li condivide, in un carnevale di battute, sorrisi, strette di mano e incitazioni: “Mi raccomando Mattè, ruspa, ruspa ruspa”
Di Alessandro Madron
3 giugno 2015
Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/06/03/saronno-nuova-base-di-salvini-tra-terroni-e-migranti-ruspa-ruspa-ruspa/379376/
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