SALVINI
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«Dopo le liti sulla giustizia è necessario riallacciare il dialogo sul federalismo»
Bossi: la sinistra mi cerca? Io ci sto
Sulle riforme avanti senza paura
Il leader della Lega: lo scambio tra lodo e blocca-processi c'è stato, la politica è così
DAL NOSTRO INVIATO
GALLIVARE (Svezia) — «Bisogna riallacciare il dialogo sulle riforme per il federalismo. Non è facile, visto il livello a cui sono arrivate le liti sulla giustizia. Ma è necessario. Per quest'obiettivo mi metterò al lavoro già la prossima settimana». Di segnali ne sono arrivati più di uno. Da Massimo D'Alema. Da Walter Veltroni. Messaggio chiave: ritornare al clima di inizio legislatura. Umberto Bossi raccoglie e rilancia. L'apertura arriva da Gallivare, estremo Nord della Svezia. La Padania sta dominando il campionato di calcio per nazioni non riconosciute. Ieri quarta vittoria consecutiva. Oggi la finale. Il ministro per le Riforme alloggia nel castello- resort di Fjallnas. Segue le partite. Per pranzo una spaghettata in campeggio, tra i tifosi arrivati in camper dalla Lombardia. Di politica parla a tarda notte. Qui, vicino al Circolo polare artico, in estate non viene mai buio. Il Senatùr contempla il paesaggio e sorride: «Dal sole delle Alpi al sole di mezzanotte».
D'Alema dice che bisogna recuperare lo spirito «costituente » di inizio legislatura. «Condivido». Sarà possibile?
«La sinistra ha invitato me e Tremonti a uno dei suoi prossimi appuntamenti. È già un fatto positivo».
Da dove si riparte?
«Dopo il voto avevamo costruito buone relazioni. Poi il dibattito si è spostato sulla magistratura ed è saltato tutto ».
Berlusconi sarà disponibile?
«Anche lui era partito col piede giusto, con i processi si sono chiusi tutti i canali. Ma bisogna assolutamente ricominciare a parlarsi».
Quali sono le difficoltà?
«Quando si arriva a un livello di scontro come quello degli ultimi tempi è arduo trovare la chiave per riallacciare il discorso».
È fiducioso?
«Il fatto che ci abbiano invitati è già qualcosa, significa che c'è una qualche volontà di portare acqua allo stesso mulino».
Chi cercherà come interlocutore?
«Non mi tiro indietro di fronte a nessuno. Non ho alcuna paura di chi lavora per il federalismo, da qualunque parte venga».
Su che base dovrebbe riaprirsi il dialogo?
«L'importante è condividere l'obiettivo, poi si va a trattare ».
Lei però dovrà presentare il progetto di legge sul federalismo.
«Si parte dal progetto Lombardia. L'80 per cento dell'Iva e il 15 per cento dell'Irpef devono rimanere alle Regioni».
E i meccanismi di solidarietà? Qualcuno ha già bollato come impraticabile quella strada.
«In base a quelle quote bisogna sviluppare un'analisi economica e prevedere aiuti per le Regioni più deboli. Ma quando la Lombardia parla deve essere ascoltata».
Un passo indietro. Il dialogo si è rotto sulla giustizia, cosa cambia con il lodo Alfano?
«Mi sembra che ora la legge blocca-processi non si voglia più fare. La sinistra dice che è la dimostrazione che serviva solo a Berlusconi. Rispondo che le cause le affronterà comunque, più tardi. Su questo punto il Cavaliere ha ragione. È il principio che conta. Se chi governa viene coinvolto di continuo in polemiche, in parte anche giuste, diventa difficile guidare il Paese ».
Ma allora si dà ragione alla tesi dello «scambio» tra blocca-processi e lodo Alfano?
«In politica qualche scambio c'è per forza, altrimenti siamo alla guerra».
Altro elemento di polemica: le donne e il Cavaliere, dal ministro Carfagna all'annunciatrice Rai Sanjust.
«Se sei simpatico alle donne prendi più voti. La Lega riceve consensi grazie al rapporto con la sua gente. Berlusconi invece lavora di più sull'immagine, viene dalla televisione e fatalmente fa gioco su quegli ambienti e su quelle qualità».
Cosa pensa degli insulti al ministro Carfagna?
«Con lei condivido alcuni uffici del mio ministero, lo faccio volentieri. Soprattutto perché il Paese è in un momento di estremo pericolo per i conti e per l'economia. Bisogna risparmiare». In che ambiti?
«Oggi tutti, legittimamente, hanno qualcosa da chiedere al governo. Ma non possiamo permetterci di sbracare con la spesa. Per governare in questa fase serve il pugno di ferro, e Tremonti ce l'ha».
Gianni Santucci
13 luglio 2008
da corriere.it
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Già in passato il Senatùr aveva fatto ricorso alla metafora delle doppiette
«Federalismo o diamo olio ai fucili»
Nuova provocazione di Umberto Bossi: «Questa volta la riforma la portiamo a casa, altrimenti...»
MILANO - Per il federalismo è la volta buona. Ne è convinto il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, che intervenendo all'inaugurazione di una nuova sede del proprio partito a Laveno Mombello (Varese) è tornato a richiamare l'immagine del fucile che già in passato gli aveva procurato parecchie critiche.
«MOMENTO STORICO» - «E’ un momento storico - ha detto in particolare il segretario del Carroccio -, quello per il federalismo è un cammino difficile ma questa volta riusciremo a portarlo a casa sennò ognuno cominci ad oliare il fucile a casa. Ne abbiamo piene le scatole di lavorare e pagare, ma chi la dura la vince».
I PRECEDENTI - In passato Bossi aveva parlato di 300 mila uomini armati pronti a seguirlo per marciare su Roma e anche di proiettili che valgono 300 lire, in riferimento ad alcune inchieste che la magistratura stava conducendo sul movimento. Non solo: in un'altra occasione, ai tempi del secondo governo Berlusconi, aveva anche detto di voler sentire il rombo del cannone, quello delle navi militari chiamate a presidiare le coste contro i continui sbarchi di immigrati. Nell'agosto del 2007, invece, era all'opposizione e parlando della politica fiscale del governo Prodi aveva detto: «Finora gli è andata bene. Noi padani pagavamo e non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c'è sempre una prima volta». Poi, in occasione delle ultime elezioni politiche Bossi aveva fatto ricorso alla metafora della doppietta: «Guardate che queste elezioni potrebbero finire con la necessità di imbracciare il fucile e di andare a prendere queste carogne» aveva detto a pochi giorni dal voto, polemizzando sulla scheda elettorale a suo dire fatta apposta per indurre alla confusione. E anche dopo la vittoria elettorale del Pdl il Senatùr non aveva resistito alla tentazione di ricorrere all'immagine delle canne lunghe: «Questa è l' ultima occasione: o si fanno le riforme o scoppia un casino. Se la sinistra vuole scendere in piazza abbiamo trecentomila uomini, trecentomila martiri pronti a battersi. E non scherziamo... mica siam quattro gatti. Verrebbero giù anche dalle montagne. E verrebbero con i fucili, che son sempre caldi».
22 novembre 2008(ultima modifica: 23 novembre 2008)
da corriere.it
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Lista immigrati candida egiziano a sindaco di Padova
PADOVA (23 novembre) - Ha 52 anni, vive in Italia da 40, è egiziano ed è stato candidato per la carica di sindaco di Padova dalla Lista autonoma immigrati per le libertà, appoggiata dal centrodestra. Mohamed Ahmed, ristoratore, conduttore televisivo, ha ispirato tra l'altro la prima ronda multietnica italiana.
La nuova lista che lo sostiene ha una componente maggioritaria italoromena. «I romeni che hanno diritto al voto - afferma il medico romeno Dimitru Ilinca - sono circa 7mila, attualmente solo un centinaio di loro è iscritto alle liste elettorali del Comune, ma nei prossimi mesi partirà una grande campagna informativa». Complessivamente, riferiscono le testate locali, gli stranieri a Padova sono in tutto circa 9mila. «Vogliamo - ha detto da parte sua l'avv.Matteo Cavatton per Alleanza Nazionale - che l'integrazione parta da una rappresentanza istituzionale».
da ilmessaggero.it
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Il capo leghista: «Condivido assolutamente l'appello di Napolitano: lui è saggio»
«Silvio? Saltati i nervi. Noi trattiamo»
Bossi sulla giustizia: non si può cambiare una cosa così con una sola parte politica
CESANO MADERNO (Milano) — «Non puoi cambiare una cosa come la giustizia con una sola parte politica». Umberto Bossi il mediatore, Umberto Bossi il pontiere, lo dichiara senza esitazioni: basta scontri, le riforme non possono che essere condivise. Persino quella sulla Giustizia, che nel Pdl di osservanza azzurra è il più delicato dei temi. Il capo del Carroccio è ormai entrato completamente nei panni di uomo del dialogo che ha cominciato a indossare sul finire dell'estate. Sa bene che il federalismo fiscale potrebbe subire ritardi serissimi con un'opposizione messa di traverso. E sa che, peggio ancora, sull'altrettanto importante federalismo istituzionale— che dovrebbe incominciare il suo iter dopo le feste — il Partito democratico potrebbe addirittura trascinare il Paese a un referendum che non soltanto suscita nel Carroccio gli amarissimi fantasmi del 2006. Ma potrebbe, in caso di nuova bocciatura, archiviare per sempre il sogno del Senato delle Regioni e degli altri temi di riforma costituzionale cari ai padani. E così, Umberto Bossi risponde senza esitazioni alla domanda sull'appello del presidente della Repubblica a rispettare la Costituzione: «Lo condivido assolutamente». E aggiunge: «Giorgio Napolitano è saggio». In un umidissimo pomeriggio invernale, il gran capo leghista sceglie l'incontro con il presidente del Gran Consiglio del Canton Ticino, Norman Gobbi, per avvisare i naviganti. Del resto, Bossi è convinto che Berlusconi il suo no al dialogo con l'opposizione lo abbia «detto così... senza crederci veramente». Il fatto è, spiega il leader padano, che «a volte saltano i nervi. Quando tutti i giorni ti sparano addosso, a te e magari anche alla tua famiglia, può succedere. Ma non credo che Berlusconi pensi davvero quel che ha detto». L'afflato dialogante di Umberto bossi ha comunque una ragione pragmatica assai: «Sapete? Il federalismo è fermo. Si è bloccato la settimana scorsa nella commissione del Senato ». E se l'iter si è interrotto, aggiunge Bossi, è «perché Berlusconi ha sparato sull'opposizione ». Bossi lo ammette apertamente, come prima non aveva mai fatto: «Diciamo la verità: noi in questo periodo abbiamo sempre cucito con la sinistra, non abbiamo mai smesso di discutere e di tenere aperto il canale».
Senonché, allarga le braccia «Berlusconi l'altro giorno ha detto "mai con questa opposizione". Era meglio stare un po' più cauti ». Perché «loro hanno preso la palla al balzo: se Berlusconi dice questo, allora chiudiamo anche noi». Nel senso, spiega Bossi, che «al Senato le opposizioni hanno un potere enorme. Ciascun emendamento può essere discusso per non so quanto tempo». Il risultato, per la Lega, sarebbe tragico: «Rischiamo di fermare tutto per dei mesi». Su un tema che già richiederà parecchi anni prima di andare a regime. E dunque, non c'è un'altra strada: «La Lega — annuncia il senatùr — continuerà a cucire, ricucire e cucire ancora». Ma in questi giorni un altro tema disturba il capo leghista: la campagna per l'abolizione delle Province. Sull'argomento, Bossi torna tranciante: «Chi non vuole le Province mira alla cementificazione. Vuole soltanto avere le mani libere sui piani regolatori. Ma la Lega è una forza di territorio e difenderà il territorio». Ma è l'unico spunto polemico: anche il segretario leghista nasce incendiario e poi diventa pompiere? «Quando sono entrato per la prima volta in Senato — ride lui — me lo avevano pronosticato».
Marco Cremonesi
14 dicembre 2008
da corriere.it
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L'INTERVISTA
E Bossi: Tonino? Penso alla sua sofferenza
Il capo leghista: «Di Pietro si muove bene. Certe volte esagera ma è preparato e conosce la magistratura»
PONTE DI LEGNO (Brescia) — «La prima cosa che mi è venuta in mente è la grande sofferenza che deve aver provato quell’uomo lì». Umberto Bossi contempla le fiamme del gran camino che riscalda la sala dell’Aquila a Castelpoggio, il castello di Bruno Caparini immerso nella neve dell’alta Val Camonica. Di sottofondo, si sente lo scrosciare dell’Oglio appena nato. «Quell’uomo lì» è Antonio Di Pietro, il leader dell’Italia dei valori, il cui figlio Cristiano è coinvolto nell’inchiesta napoletana su Alfredo Romeo.
Ha davvero pensato al dolore di Di Pietro?
«Ma sì. Uno passa la vita a costruirsi una faccia. E poi... mai, io credo, si sarebbe aspettato che il casino gli sarebbe scoppiato in casa, per un figlio ».
Cristiano Di Pietro ha dato le dimissioni dal partito paterno.
«Beh, erano quasi inevitabili... ».
Qualcuno a volte la paragona a Di Pietro. Linguaggio diretto, distanza dalla «casta», il rivolgersi agli elettori senza troppi giri di parole...
«Io ho un altro progetto».
Delle volte, sembra comunque che lei abbia una certa stima per il leader Idv.
«Di Pietro si muove bene, un piccolo partito solo facendosi vedere cresce in forza e in voti. Certo, dato che è costretto ad attaccare sempre, delle volte Di Pietro esagera. Però, è anche preparato: conosce la magistratura, sa quel che è necessario dire e sa quali tasti toccare per farsi capire».
Fin troppo, secondo qualcuno. C’è chi immagina sia il regista della raffica di inchieste che stanno tormentando il Pd.
«Io non credo. Se lei mi chiede come mai venga fuori tutto questo adesso, non so rispondere. Certo, la sinistra prima poteva fare tutto, ora sembra che le vada tutto storto».
Altri sostengono che le inchieste siano un altolà al Pd contro possibili accordi con la maggioranza sulla Giustizia.
«Ma che mi vuol far dire?».
Berlusconi ha detto di averla convinta sulla necessità di vietare le intercettazioni anche per i reati contro la pubblica amministrazione.
«Convinto... non so. Però Berlusconi non ha tutti i torti, dice cose che fanno riflettere. Non possiamo più avere magistrati che, attraverso le intercettazioni, buttano la rete per procacciarsi il processo. Devono prima ricevere la segnalazione di un reato dalla polizia giudiziaria. Altrimenti, anche fatti che non hanno nulla di penale, vengono utilizzati a fini politici ».
In che senso?
«Prenda le amanti, i comportamenti privati. Vengon fuori, ed è fango su una persona. Questo è un obiettivo politico, non un’altra cosa. E poi, la gente non vuole le intercettazioni, pensa che quel che deve pagare in termini di privacy sia troppo rispetto all’obiettivo».
Negli ultimi mesi, si è avuta la sensazione che ci fosse qualche incomprensione tra lei e Tremonti.
«Giulio Tremonti è un amico. Certo, forse è più facile essergli amico quando non è ministro. Ma è una persona di una saggezza straordinaria. E vede molto più lontano di tutti gli altri. È una fortuna che lui abbia tenuto ben chiusi i cordoni della borsa, altrimenti oggi non avremmo potuto pagare le casse integrazioni e i provvedimenti straordinari per l’economia».
E Mariastella Gelmini? Lei era stato abbastanza secco nei suoi confronti.
«Sì, ma devo dire che si è molto raddrizzata. È stata brava, ha fatto cose importanti: soprattutto ha fatto capire che si può cambiare anche quel che sembrava intoccabile. Dare questa sensazione, è un segno politico fondamentale».
Marco Cremonesi
30 dicembre 2008
da corriere.it
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