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Autore Discussione: DRAGHI:  (Letto 30829 volte)
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« inserito:: Luglio 11, 2007, 05:07:25 pm »

Draghi: «Banche troppo care»


«I tassi sui mutui e credito al consumo sopra la media Ue». E questo non va bene. L'indicazione viene dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nel suo intervento all'Assemblea dell'Abi. Che promuove il decreto legge Bersani, con il quale sono stati aboliti i costi di chiusura di conto corrente e introdotta la facoltà di estinguere un mutuo senza penalità. Ma con qualche dubbio: ci sarebbero, infatti, difficoltà sull'abolizione dei costi di chiusura dei conti correnti perché il provvedimento «ha dato adito a difficoltà interpretative - segnala il governatore - e i progressi sono insufficienti: non è assicurata la completa portabilità».

Le indicazioni non si fermano qui. Draghi di che vanno ridotti i tempi per il «pagamento» da parte delle banche di un assegno versato, per il quale si richiedono ancora in media 7 giorni. Serve per questo una modifica legislativa, magari che «facilitasse la trasmissione digitale delle immagini», il che «consentirebbe una significativa riduzione». Secondo Draghi, infatti, «la concorrenza tra banche si fonderà sempre più anche sulla capacità di offrire servizi di pagamento efficienti» e anche «la realizzazione dell'area unica europea dei pagamenti offrirà l'occasione per modernizzare gli strumenti e le infrastrutture».

Pubblicato il: 11.07.07
Modificato il: 11.07.07 alle ore 14.45   
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« Ultima modifica: Gennaio 17, 2009, 03:11:48 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 12, 2007, 12:50:04 pm »

L'Istituto di Francoforte invita gli esecutivi a rispettare gli impegni assunti

Inflazione in rialzo: pesano il prezzo del petrolio e i salari

Conti pubblici, il monito della Bce "I governi non allentino la presa"
 

Il presidente della Bce
Claude Trichet

ROMA - "Le pressioni esercitate in diversi paesi per allentare gli obiettivi di risanamento delle finanze pubbliche stabiliti in precedenza" preoccupano la Bce. Un timore che si aggiunge a quello espresso nei giorni scorsi sia dall'Eurogruppo che dall'Ecofin nei confronti di quei governi, Italia in testa, che molto probabilmente non raggiungeranno l'obiettivo del pareggio entro il 2010. Nel suo bollettino mensile, l'Istituto di Francoforte invita dunque questi governi a rispettare gli impegni assunti e a "rifletterli" nei programmi di bilancio per il 2008: "E' indispensabile che tutti i governi rispettino le disposizioni del Patto di stabilità e che tengano fede agli impegni assunti dalla riunione dell'Eurogruppo dello scorso 20 aprile a Berlino".

Economia in crescita. L'economia nella zona euro continua a crescere a "ritmi sostenuti" e le prospettive di medio periodo restano "favorevoli". Per la Bce "vi sono i presupposti per il perdurare di una crescita robusta" con condizione esterne che "continuano a sostenere le esportazioni nell'area", una domanda interna che "dovrebbe mantenere uno slancio relativamente sostenuto" e con gli investimenti, che "dovrebbero rimanere dinamici". Allo stesso tempo i consumi "sarebbero sostenuti dall'evoluzione del reddito disponibile, allorchè la situazione nel mercato del lavoro seguiterà a migliorare".

Prezzi verso il rialzo. Le prospettive di medio periodo per la stabilità dei prezzi rimangono soggette a rischi al rialzo. La Bce vede rischi legati a fattori interni. In particolare, una dinamica salariale più sostenuta delle attese. "Gli accordi salariali - sottolinea la Bce - dovrebbero essere sufficientemente differenziati per tenere conto delle posizioni in termini di competitività di prezzo, del livello tuttora elevato della disoccupazione in molte economie, nonchè degli andamenti della produttività per settore". Pesa, inoltre, la possibilità di ulteriori rincari del petrolio". delle attese. Per questo la bce annuncia che sarà necessario intervenire "con tempestività e fermezza per assicurare la stabilità dei prezzi a medio termine".

Più concorrenza. La Bce ribadisce il suo invito ad andare avanti con le riforme strutturali e chiede maggiore concorrenza di mercato e minori barriere transfrontaliere, perché "seguire il principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza è fondamentale per promuovere l'espansione economica nel lungo periodo e la creazione di occupazione".

(12 luglio 2007)
 
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 12, 2007, 06:52:07 pm »

12/7/2007
 
Dalla parte della gente
 
FRANCESCO MANACORDA
 
Il popolo dei «quattro soldi» - definizione celebre e infelicissima di Antonio Fazio a proposito delle cifre perse nei crack Parmalat e Cirio - è sempre là. Ma da ieri, anche grazie alle parole pronunciate dal Governatore Mario Draghi davanti al mondo bancario, può sperare in qualcosa di diverso.

Magari che ai suoi «quattro soldi» venga dedicata nelle sedi istituzionali - e quel che più conta nell’agenzia sotto casa della sua banca - qualche attenzione in più.

Evocare più volte «la clientela» - come ha fatto il Governatore nelle sale di Palazzo Altieri - parlare di mutui con tassi «più elevati rispetto a quelli dell’area euro», criticare la commissione di massimo scoperto, rilevare che per portare all’incasso un assegno «si richiedono ancora in media sette giorni», chiedere che si faccia di più per la portabilità dei conti correnti, sono dichiarazioni di per sé neutre. Che inserite però nel panorama dei rapporti - di norma tormentati, talvolta sadomasochistici - tra banche e correntisti comuni assumono oggi un valore quasi rivoluzionario. Nelle stanze chiuse dove si misurano gli equilibri tra il potere bancario - forse oggi il maggiore e il più autoreferenziale tra i poteri del Paese - e l’istituzione che su quelle banche deve vigilare, trovano diritto di cittadinanza i soggetti «minori», finora considerati alla stregua di ectoplasmi.

È una rivoluzione morbida ma decisa, quella di Draghi sui rapporti tra banche e risparmiatori. Una rivoluzione cominciata il 31 ottobre scorso, non a caso alla giornata del risparmio, proseguita con il suo discorso al Forex di Torino in febbraio e culminata ieri in un esame puntiglioso e completo di quel che accade - e non accade - allo sportello dopo che si è conclusa la grande ondata del consolidamento bancario. Nell’anno e mezzo passato dall’insediamento del nuovo Governatore non sono mancati - anche tra i banchieri da lui vigilati - i commenti a mezza bocca di chi vedeva nel banchiere centrale con il curriculum americano e l’esperienza romana, uno stile troppo soft nel dirigere il traffico delle aggregazioni creditizie, diametralmente opposto a quell’impercettibile ma inappellabile alzar di sopracciglia del suo predecessore. La sua linea - Draghi ha tenuto a chiarirlo presto - è stata invece quella di far agire le forze di mercato nel rispetto delle regole. E adesso - proprio sulla base di quella convinzione - il Governatore chiede alle banche che le forze di mercato non agiscano a loro esclusivo vantaggio, ma illuminino con i loro riflessi anche le tasche dei correntisti. «Il maggior numero di operatori di respiro nazionale aumenterà la concorrenza», dice annunciando che «il consolidamento delle banche è solo un punto di partenza». Il resto, semplice come un corso base di economia, viene a seguire: più concorrenza deve significare anche prezzi più bassi.

Note sgradite per i banchieri di Palazzo Altieri che un po’ si sono già mossi in questa direzione e molto - lo sanno, ma l’idea non li esalta - si dovranno ancora muovere. Già ieri alcuni di loro hanno spiegato come le condizioni particolari dell’Italia rendano anche più onerosi alcuni servizi. Vero. Ma vero anche che il peso di quelle caratteristiche nazionali - a giudicare da bilanci che ogni anno segnano nuovi record - pare ricadere quasi integralmente sulla clientela. In autunno, ha concluso ieri il Governatore, ci saranno i risultati dell’indagine sui costi dei conti promossa proprio dalla Banca d’Italia. Sarà un nuovo passo per vedere come vengono trattati in banca gli italiani e i loro «quattro soldi».
 
da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2007, 07:06:13 pm »

Audizione alla Camera del numero uno di via Nazionale

"Aumentare gradualmente l'età in cui si smette di lavorare"

Bankitalia, il monito di Draghi "Ridurre il debito e riformare le pensioni"

Il numero uno di via Nazionale: "Con questo disavanzo parlare di tesoretto è improprio"

"Bisogna far pagare le tasse a tutti, così le aliquote scenderanno"
 

ROMA - "Abbattere il debito, riformare le pensioni per i giovani e usare il tesoretto per ridurre il disavanzo" Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, durante un'audizione alla Camera, invia un preciso messaggio al governo alle prese con la difficile gestione dei conti pubblici e con la riforma pensionistica.

"Il tesoretto non esiste"."Io credo che lo stesso termine sia fuorviante: con un debito e un disavanzo come il nostro non esiste un tesoretto da spendere". Il governatore della Banca d'Italia non ha dubbi sull'utilizzo che il governo avrebbe dovuto fare dell'extragettito. "Queste risorse dovrebbe essere usato a riduzione del disavanzo e del debito perchè altrimenti c'è il rischio di dover fare correzioni con un ciclo economico meno favorevole e comunque si sarebbe potuto ridurre la pressione fiscale anzichè aumentare al spesa".

Pensioni. Draghi punta l'attenzione sulle pensioni e sulla delicata trattativa in atto tra governo e sindacati. Per dare pensioni adeguate a un numero crescente nei prossimi anni, sostiene il Governatore bisogna "aumentare gradualmente l'età media effettiva di pensionamento e sviluppare le forme di previdenza complementare". Draghi, inosmma, invita a rivedere il sistema pensionistico tenendo conto del suo equilibrio finanziario per fare così un buon servizio ai giovani.

"Rinunciatari sui conti". Il numero uno di via Nazionale ha anche criticato il rinvio al 2011 dell'obiettivo di pareggio del bilancio. "La fase congiunturale favorevole", ha detto, "avrebbe consentito di accelerare il riequilibrio dei conti". Il rischio, ha aggiunto, "è di dover correggere in futuro, in condizioni cicliche forse più difficili, le scelte di oggi".

Controllo della spesa. Il controllo della dinamica della
spesa pubblica "è cruciale", spiega Draghi parlando del Dpef. Il documento, osserva, "ribadisce l'importanza del controllo della qualità e della quantità della spesa al fine di conciliare il risanamento dei conti con la riduzione della pressione fiscale, che attualmente si colloca in prossimità dei valori massimi degli ultimi decenni". In particolare, ha rilevato l'inquilino di via Nazionale, "la pressione fiscale è passata dal 40,6 al 42,3%". Per raggiungere l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2011 - ha aggiunto il numero uno d Palazzo Koch - l'incidenza delle spese primarie sul Pil dovrà scendere di tre punti percentuali tra il 2008 e il 2011 con una riduzione media annua delle erogazioni in termini reali pari a circa lo 0,5%, a fronte dell'aumento medio del 2,3% registrato nell'ultimo decennio". Draghi, poi, indica anche il modello da seguire. "Negli ultimi anni altri paesi europei sono riusciti a ridurre i disavanzi di bilancio agendo sul livello e la composizione delle spese", afferma, aggiungendo che "in Germania, ad esempio, l'incidenza della spesa primaria sul prodotto è scesa dal 45,5% nel 2003 al 42,9% nel 2006, valore inferiore a quello dell'Italia".

"Capaci di risanare". "Sul fatto di essere capaci di farlo Io non avrei dubbi". Draghi ostenta ottimismo a chi gli chiede se pensa che l'italia sia in grado di effettuare il risanamento e ridurre la spesa: "Dobbiamo essere incoraggiati dal successo avuto negli anni '93-95, quando la spesa fu ridotta di tre punti, e dal fatto che altri paesi ci sono riusciti.

"Far pagare a tutti le tasse". Pagare tutti le tasse per favorire i contribuenti onesti. Per Draghi "la linea guida deve essere quella di far pagare le tasse a tutti quelli che le devono pagare per diminuire le aliquote di tutti i contribuenti onesti".

(16 luglio 2007)
 
da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 17, 2007, 10:37:41 pm »

Veltroni: «Il numero uno di Bankitalia ha detto cose dure ma coraggiose»

Il monito di Draghi divide la maggioranza «Riforma delle pensioni e meno tasse?

È quello che cerchiamo di fare» dice D'Alema.

Prc: «Dal Governatore posizioni ideologiche» 
 
 
ROMA - Maggioranza divisa sulle parole di Mario Draghi. Il governatore di Bankitalia ha rivolto una dura critica alle ipotesi di riforma delle pensioni allo studio del governo. « Il governatore chiede una riforma delle pensioni ma chiede anche meno tasse? E’ quello che stiamo cercando di fare» dice il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, a margine di un dibattito alla Festa dell’Unità di San Miniato. «C’è un negoziato in corso con i sindacati - ha aggiunto D'Alema - : su questa base si sta cercando una soluzione ragionevole, compatibile con la tenuta finanziaria del sistema».

IL PLAUSO DI VELTRONI - Anche da Veltroni arriva un plauso al numero uno di Bankitalia: «Draghi ha detto cose dure e difficili ma vere e coraggiose. Bisogna guardare all'interesse del paese» ha detto il sindaco di Roma, candidato alla guida del Pd. «Noi - ha affermato Veltroni - dobbiamo avere la forza di guardare all'interesse generale partendo da chi è meno tutelato, cioè i giovani».

«DA DRAGHI POSIZIONI IDEOLOGICHE» - Di parere opposto i senatori del Prc, secondo i quali «la posizione espressa dal governatore della Banca d’Italia ha aspetti fortemente ideologici. Tutte le sue dichiarazioni sulla necessità di alzare l’età pensionabile o in merito all’utilizzo del tesoretto si scontrano con i dati di fatto. Il primo è che l’Inps presenta un consistente saldo attivo». Queste le valutazioni dei senatori Martino Albonetti, della commissione Bilancio, e Salvatore Bonadonna, vicepresidente della commissione Finanze. Per Massimo Donadi, presidente dei deputati di Italia dei Valori «le posizioni del Governatore meritano estrema attenzione e rispetto per la sua assoluta autorevolezza. È per altro da rilevare - avverte però Donadi - che le politiche di governo non possono essere giustificate esclusivamente da valutazioni di carattere contabile».
MARINI - Non fa riferimento direttamente al monito di Draghi ma interviene nel dibattito sulle pensioni anche Franco Marini. Dal «Festival delle intelligenze-genius» di Fregene il presidente del Senato ammette di essere convinto che «da un innalzamento dell’età pensionabile non si sfuggirà».

SCHIFANI: «UN VERO GRIDO D'ALLARME» - L'opposizione intanto invita a soffermarsi sull monito del governatore che riguarda la riforma delle pensioni. «Quello di Draghi - dice il capogruppo di Forza Italia al Senato, Renato Schifani - è un vero e proprio grido d'allarme. Il suo pensiero è chiarissimo e pienamente condivisibile».

17 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 17, 2007, 10:49:03 pm »

L'ora delle scelte
Stefano Fassina


L’audizione del Governatore della Banca d’Italia sul Dpef 2008-2011, ieri davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, è certamente un utile contributo a richiamare la politica alle sue responsabilità: la responsabilità delle scelte in nome dell’interesse generale. È un utile contributo perché richiama l’attenzione del Parlamento e, speriamo, dell’opinione pubblica su alcuni punti del Dpef, fondamentali ma rapidamente rimossi dall’agenda politica perché difficili. Il primo punto sottolineato da Draghi riguarda la velocità di avvicinamento al pareggio di bilancio.

Draghi, in linea con le posizioni della Commissione Europea, della Banca Centrale di Francoforte e del Fondo Monetario Internazionale, insiste su un percorso di riduzione del debito più coraggioso rispetto a quello tratteggiato dal Governo. Invece che nel 2011, via Nazionale sottolinea che il pareggio del bilancio pubblico dovrebbe essere un obbiettivo più ravvicinato, nel 2010 o anche prima, approfittando del periodo di “vacche grasse”, ossia della fase in cui l’Italia insieme ad altri Paesi si trova, con una crescita dell’economia superiore alla dinamica potenziale del Pil per il secondo anno consecutivo.

Il rilievo dato da Draghi alla variabile velocità di risanamento non è a nostro avviso giustificato. Anzi, forse, data la facile strumentalizzazione a cui si presta, il richiamo al coraggio, oggi oggetto di sempre più forti desideri centristi, rischia di indebolire altri aspetti della sua analisi decisamente condivisibili. In realtà, la tempistica del pareggio del bilancio non è dettata da nessun manuale di politica economica, non ha natura deterministica. È una variabile essenzialmente politica. Ovviamente, non una variabile indipendente, come certa sinistra riteneva il salario negli anni ‘70. Ma pur sempre una variabile politica, la cui evoluzione dipende dalla combinazione di altre due variabili politiche fondamentali: il livello delle spese e delle entrate. Soprattutto, la tempistica del risanamento dipende dall’andamento dell’economia. Infatti, deficit e debito, come tutte le altre variabili di bilancio, non sono rilevanti per i loro valori assoluti, ma per quanto pesano in rapporto al Pil. Allora, il giudizio sulla velocità di rientro muta radicalmente, a seconda di come si combinano entrate e spese per determinarla e a seconda di cosa si finanzia con le maggiori spese o minori entrate. Certamente, né la Banca d’Italia, né le altre tecnostrutture critiche sarebbero soddisfatte se l’accelerazione avvenisse pigiando il pedale delle tasse. Al contrario, sarebbero accolte positivamente maggiori uscite per finanziarie i costi di transizione connessi ad un piano ambizioso di riforme strutturali.

E qui veniamo all’altro punto fondamentale dell’audizione del Governatore: la composizione della politica di risanamento. Draghi sottolinea la necessità di riqualificare e ridurre la dinamica delle spese pubbliche, di insistere sulla lotta all’evasione e all’elusione fiscale, di puntare con determinazione alla riduzione delle tasse per i contribuenti in regola con gli adempimenti tributari. Su questo punto Draghi ha ragione. La strategia che lui ripercorre è la strategia descritta nel Dpef. Anzi, nel Dpef 2008-2011, tale strategia viene posta in modo molto più stringente rispetto a quanto contenuto nel documento di programmazione dello scorso anno e nei documenti degli anni precedenti. Nel Dpef oggi in discussione, a pagina 34, il Governo chiede al Parlamento di fare un atto che non ha mai fatto in precedenza: votare una risoluzione di approvazione del Dpef nella quale sia scritto non solo l’obiettivo di saldo a cui deve concorrere la Legge Finanziaria per il 2008, ma sia anche fissato esplicitamente il livello massimo della spesa primaria (ossia la spesa totale escludendo quanto dobbiamo spendere per pagare gli interessi sul debito pubblico). Fissando un livello di spesa primaria, la maggioranza si assumerebbe l’onere politico di dire al Governo che nella prossima Legge Finanziaria dovrà ridurre gli stanziamenti per alcuni programmi di spesa già in essere o rinviare impegni di spesa assunti, ma non ancora divenuti legge dello Stato. Oppure, al contrario, dovrebbe dirgli che la priorità sono gli aumenti di spesa e che, quindi, si dovrebbe procedere ad ulteriori aumenti della pressione fiscale, rinviando sine die la ridistribuzione dei risultati della lotta all’evasione. Per rendere ancora più chiara la posta in gioco, il Dpef riporta una tabellina molto semplice nella quale si sommano a) gli impegni di spesa già assunti dal Governo (dall’intesa sul contratto per il pubblico impiego, ai finanziamenti aggiuntivi per la cooperazione allo sviluppo), b) le spese improcrastinabili, anche se non fissate per legge (ad esempio, i finanziamenti per gli investimenti di FS, Anas, Poste, ecc), c) gli interventi attesi (dalla riduzione dell'Ici, alle politiche per la famiglia, l’abolizione o ammorbidimento dello scalone). La somma arriva a circa 20 miliardi di euro per l’anno prossimo e per gli anni successivi.

Di fronte a tali dati di realtà, la maggioranza dovrebbe pronunciarsi, non autorinviarsi a settembre, come un alunno impreparato. Se il Parlamento seguisse le indicazioni scritte dal Governo nel Dpef, ossia se il centrosinistra trovasse la forza e la coesione per fare quanto invocato dal Dpef, saremmo di fronte ad una chiara assunzione di responsabilità e ad un salto di qualità da parte della classe dirigente del centrosinistra.

Ovviamente, per un atto così impegnativo il centrosinistra dovrebbe trovare la forza di programmare scelte difficili. Dovrebbe riconoscere che il livello della pressione fiscale su famiglie ed imprese adempienti ha raggiunto il livello di guardia e che occorre riformare i programmi di spesa. Dovrebbe mettere in cantiere la riduzione e la mobilità degli occupati nelle amministrazioni pubbliche, per accedere alle quali dovrebbe imporre, quale canale esclusivo, il concorso pubblico per titoli ed esami. Dovrebbe dire, che lo scalone per il pensionamento di anzianità rimane, tranne che per i lavoratori usurati. Dovrebbe, inoltre, dire che, con tutta la gradualità necessaria, anche l’età di pensionamento delle donne va innalzata. Dovrebbe dire che i costi della politica vanno ridotti drasticamente, non tanto per l’impatto sulla finanza pubblica, quanto per il rilievo che hanno sulla credibilità e l'autorevolezza della politica. Insomma, il centrosinistra dovrebbe scegliere, dimostrandosi all’altezza delle sfide di fronte al Paese.

Pubblicato il: 17.07.07
Modificato il: 17.07.07 alle ore 8.41   
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 12, 2008, 11:05:39 am »

G7 I Grandi: economie in deterioramento

Agire subito contro la crisi: la «cura Draghi» approvata al G7

Più controlli e trasparenza.

Programma di 70 pagine e oltre 65 indicazioni operative

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


WASHINGTON — Più vigilanza e più trasparenza. Ruota attorno a queste due indicazioni il rapporto presentato ieri ai ministri dell'Economia e delle Finanze dei sette Paesi più industrializzati del mondo dal Financial stability forum, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Si tratta di un 
Il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke con il Governatore della banca d'Italia Mario Draghi a Washington (Reuters)
dossier corposo, circa 70 pagine, che entra nel dettaglio delle cause che hanno messo «sotto stress» il sistema finanziario, a seguito della crisi dei mutui subprime statunitensi. E fornisce oltre 65 suggerimenti operativi di intervento per ridare fiducia al mercato e avviare l'uscita dal tunnel delle turbolenze che stanno compromettendo anche lo sviluppo economico mondiale. Ieri è stata dunque la giornata di Draghi, visto che il rapporto ha pressocché monopolizzato la riunione del G7. Del resto rappresenta il primo atto concreto di iniziativa politica per contrastare una crisi di cui nessuno sa dire quando finirà. L'analisi del Fsf è severa, come rigoroso è il timing dell'attuazione del programma di interventi proposti con l'indicazione di due tappe di verifica, in giugno e settembre. Inoltre il rapporto fa anche una sorta di critica generale denunciando i ritardi con cui le autorità si sono mosse dopo i primi accenni della crisi dei subprime: «Alcune delle debolezze che sono venute alla luce erano note o previste», ma le risposte regolamentari e di supervisione «sono state talvolta eccessivamente lente». Così, non bisogna più perdere tempo e attuare completamente le regole esistenti cominciando da quelle di Basilea 2, di cui si chiede il rafforzamento del «trattamento prudenziale», con aumento dei requisiti patrimoniali, «per gli strumenti di credito strutturato e le attività detenute fuori bilancio». Un aspetto «sorprendente» della turbolenza, nota infatti il documento, «è stata l'ampiezza delle carenze e dei fallimenti nella gestione del rischio presso imprese regolamentate e sofisticate».

I CINQUE PUNTI - Da qui i cinque punti principali in cui si articolano le numerose raccomandazioni, partendo dal «rafforzamento della vigilanza prudenziale sul patrimonio, sulla liquidità e sulla gestione del rischio » e proseguendo con il «potenziamento della trasparenza e della valutazione», le «modifiche nel ruolo e nell' utilizzo dei rating», il «rafforzamento della risposta ai rischi da parte delle autorità», i «meccanismi robusti per gestire le tensioni nel sistema ». Il rapporto non affronta il tema dell'intervento pubblico nel salvataggio delle banche in difficoltà e in merito alle regole del mark to market, relative alla valutazione dei titoli sulla base delle indicazioni di mercato, non prevede alcun alleggerimento ma anzi delega le autorità «contabili» (IASB) a «migliorare le linee guida per la valutazione degli strumenti finanziari quando i mercati non sono più attivi ». Tra le raccomandazioni spiccano quelle sulla trasparenza come l'obbligo per collocatori, gestori e agenzie di rating, alle quali si chiede di «migliorare la qualità dei processi», di dare la massima informazione su ciascuno stadio delle cartolarizzazioni e appaiono significative quelle dedicate a contrastare le crisi bancarie. In particolare per i maggiori intermediari finanziari cross border è prevista la costituzione di «un piccolo gruppo» fra le banche centrali e le autorità di vigilanza coinvolte che dovrà riunirsi per la prima volta entro il 2008. Inoltre le autorità dovranno concordare un insieme di principi internazionali a cui dovranno uniformarsi gli schemi nazionali di assicurazione dei depositi. E dovranno anche «condividere le esperienze internazionali e le lezioni relative alla gestione delle crisi». Queste esperienze «dovranno essere usate come base per definire good practices ampiamente rilevanti sul piano internazionale ».



12 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 12, 2008, 11:12:16 am »

12/4/2008
 
Equità e sviluppo a ritmo di Lula
 
FRANCESCO RAMELLA

 
È possibile perseguire contemporaneamente stabilità macroeconomica ed equità sociale? Coniugare rigore finanziario e lotta alle disuguaglianze? Il Brasile, decima economia mondiale, sotto la guida di Luiz Inácio Lula da Silva è riuscito a tenere insieme entrambi gli obiettivi. Dal 2002, da quando per la prima volta nella storia del Paese si è insediato un governo di sinistra, sono state realizzate importanti misure contro la povertà. Il progetto «fame zero» - tre pasti al giorno a tutti i brasiliani - è valso a Lula la «medaglia agricola» della Fao. Vari organismi internazionali, inoltre, hanno riconosciuto la politica della «borsa famiglia» come un intervento di grande impatto.

Un accordo con le famiglie più povere affinché investano sui figli, mandandoli a scuola e sottoponendoli a controlli sanitari regolari, in cambio di un assegno pari a 35 dollari al mese. Il programma ha coinvolto 11 milioni di famiglie, interessando settori della popolazione mai raggiunti dalle politiche sociali. Il progetto di «salute familiare» ha invece fornito sostegno medico ai gruppi sociali più vulnerabili, con difficoltà ad accedere al sistema sanitario. Alcuni studi attribuiscono a questo intervento la riduzione del 13% nel tasso di mortalità infantile verificatasi in Brasile tra il 1999 e il 2004.

In sintesi, il governo Lula ha diminuito il disagio sociale in un Paese storicamente caratterizzato da un’enorme disparità nella distribuzione del reddito. I dati della Banca mondiale mostrano una sensibile contrazione della povertà nel corso degli ultimi anni. Anche le disuguaglianze, seppure in misura limitata, si sono ridotte: dal 2003 al 2005 l’indice di Gini è passato dal valore di 58,5 a quello di 56,6. Il più basso registrato nei trent’anni precedenti. Altrettanto convincenti le realizzazioni sul fronte macroeconomico. Utilizzando un quarto delle sue riserve valutarie il Brasile è riuscito a saldare il debito di 15,5 miliardi di dollari contratto con il Fmi. Con l’esplicito obiettivo di ridurne l’influenza sulle proprie politiche economiche. Ciononostante il governo Lula ha attuato una politica di rigore che ha rassicurato gli investitori e le autorità finanziarie internazionali, mantenendo alti tassi di sconto, riducendo il debito pubblico, controllando l’inflazione, impostando un’ambiziosa politica energetica e realizzando un surplus nella bilancia dei pagamenti.

Tuttavia, i problemi non mancano per un Paese che si colloca solo al 70° posto nella graduatoria Onu dello sviluppo umano. La sfida è quella della crescita economica. Grazie al rigore dimostrato, oggi il Brasile presenta un tasso d’inflazione inferiore a quello degli altri Paesi sudamericani. Ma altrettanto vale per la crescita del Pil (intorno al 3%) che si colloca di ben due punti al di sotto della media delle altre economie con lo stesso livello di sviluppo. È per questo che, ottenuta una tormentata riconferma elettorale (a causa degli scandali per corruzione che avevano interessato il suo governo), nel gennaio 2007 Lula ha lanciato un «programma di accelerazione della crescita». Una sorta di patto nazionale per lo sviluppo.

Obiettivo, un tasso di crescita del Pil del 5% l’anno, mediante un poderoso piano d’investimenti e infrastrutture. Il programma prevede incentivi fiscali per le imprese e ingenti finanziamenti per sanità, trasporti, casa. Con l’ambizione di tenere insieme crescita economica e inclusione sociale. Sondaggi recenti attribuiscono al presidente un consenso tra i più alti mai registrati. Anche i giornali conservatori gli riconoscono il merito di aver mantenuto la fiducia delle classi popolari e conquistato quella della borghesia. Quello brasiliano si configura come un esperimento di grande interesse. Da seguire con attenzione, anche in Italia. Specialmente da parte di chi si propone un programma di riforme sociali e di modernizzazione. Che richiede necessariamente una politica di rilancio dello sviluppo, capace di unire il Paese e conquistare il consenso dei ceti produttivi. In breve, un progetto per l’Italia.
 
da lastampa.it
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 31, 2008, 07:34:01 pm »

Bankitalia: Draghi, meno tasse a famiglie e imprese per crescere.

Agire sulla competitività


di Nicoletta Cottone
 

La stabilità della politica, la forza delle istituzioni sono le fondamenta dell'intervento risanatore in Italia: il premio è la ripresa duratura del Paese. Il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, nelle sue considerazioni finali all'assemblea ordinaria dei partecipanti, ha fatto il punto sullo stato di salute dell'economia italiana, ha parlato dello tsunami innescato dai mutui subprime, della situazione del sistema bancario. I protagonisti della ripresa, sottolinea Draghi, devono essere i giovani, finora mortificati da un'istruzione indaguata, da un mercato del lavoro che li discrimina in favore dei più anziani, da un'organizzazione produttiva che molto spesso non premia il merito e non valorizza le capacità. Sul fronte internazionale ha sottolineato che «i maggiori rischi per l'economia mondiale vengono oggi dall'accumularsi di tensioni inflazionistiche e dal possibile rallentamento americano», e il principale elemento di preoccupazione resta il continuo aumento dei prezzi dell'energia e di altre materie prime. «Questi rincari se da un lato riflettono in parte le prospettive ancora robuste di crescita delle economie emergenti, dall'altro - spiega il numero uno di Palazzo Koch - imprimono ulteriori impulsi recessivi alle economie avanzate e alimentano l'inflazione, condizionando le politiche monetarie».

Le tasse penalizzano il sistema Paese. In Italia, ha sottolineato Dragni, ci sono troppe tasse che gravano su imprese e lavoratori, penalizzando fortemente il sistema Paese. I margini per ridurre la pressione fiscale ci sono: occorre, pertanto, definire «un percorso pluriennale di riduzione di alcune importanti aliquote d'imposta» che dia «maggiore sostegno alla crescita» e migliori «le aspettative di famiglie e imprese». Per Draghi gli sgravi fiscali vanno concentrati dove possono dare maggiore sostegno alla crescita, riducendo le distorsioni dell'attività economica. «L'effetto sull'economia sarà più grande se se semplificheranno gli adempimenti per i contribuenti e si assicurerà una maggiore stabilità normativa». Il Governatore ha quantificato che il dovere fiscale nel Belpaese è più pesante rispetto al resto d'Europa. Per ogni 100 euro di costo del lavoro per l'impresa, il prelievo fiscale e contributivo per un lavoratore tipo senza carichi di famiglia è pari a 46 euro. Negli altri Paesi Ue è in media pari al 43% del costo del lavoro, nel Regno Unito del 34%, negli Stati Uniti del 30 per cento. L'Irap, poi, ha sottolineato Draghi, accresce ancor di più il divario fra l'Italia e gli altri Paesi dell'euro. Sul fronte dei conti pubblici la situazione è migliorata nell'ultimo biennio, ma «i risultati per l'anno in corso si prospettano meno favorevoli». Anche in un contesto congiunturale difficile, però, il rapporto fra debito e prodotto deve restare su un sentiero di flessione.

La produttività è motore della competitività. «La competitività, la capacità di crescita del paese dipendono dalla produttività: è su questo fronte che occorre concentrare intelligenza e azione». Il nodo della produttività, spiega il Governatore nella relazione, non si scioglie da più di dieci anni: anche negli ultimi due anni si conferma un divario nella dinamica della produttività rispetto ai nostri principali concorrenti. Le imprese esposte alla concorrenza internazionale, sottolinea il Governatore, «non sono rimaste inerti. Come segnalammo in questa sede lo scorso anno, parti del sistema produttivo hanno iniziati a ristrutturarsi». Ed è essenziale che le imprese «proseguano nel rinnovamento strutturale. Non è difendendo monopoli o protezioni che, alla lunga, si genera ricchezza: ma investendo, innovando, rischiando».

Il federalismo fiscale premi l'efficienza. «Il federalismo fiscale avrà tanto più generale consenso nel Paese quanto più accrescerà l'efficacia dell'azione pubblica». Regioni ed enti locali hanno particolari responsabilità nelle scelte politiche. «È importante che il sistema dell'imposizione e della spesa a livello decentrato sia tale da premiare l'efficienza e indirizzare le risorse verso gli usi più produttivi e le priorità più urgenti». Il sistema dei trasferimenti agli enti decentrati, ha detto Draghi, deve abbandonare il criterio della spesa storica, che premia l'inefficienza. Cardine di una sana autonomia fiscale è la stretta corrispondenza tra esborsi e tassazione: ogni onere aggiuntivo dovrebbe idealmente trovare finanziamento a carico dei cittadini cui l'amministrazione risponde. Ne sono condizioni la disponibilità di basi imponibili ampie e stabili, vincoli severi all'assunzione di debito, regole predefinite per i trasferimenti dal centro».

Piani di espansione, una priorità per le banche. La turbolenza dei mercati finanziari internazionali, ha sottolineato il numero uno di via Nazionale, ha toccato le banche italiane meno di quelle di altri Paesi. Molti problemi sono stati evitati grazie alla moderata esposizione agli strumenti finanziari collegati con i mutui subprime americani. Il Governatore ha invitato, comunque, le banche a rafforzare il patrimonio prima di progettare piani di espansione. Una priorità per il sistema bancario, che ha «retto bene» all'urto della crisi dei mercati. «La Banca d'Italia chiederà alle banche di rafforzare il patrimonio» per renderlo adeguato di fronte a tutti i rischi». Progetti di espansione e politiche sugli utili devono essere coerenti con il rafforzamento patrimoniale. Correttezza e trasparenza, poi, sui derivati: nel proporre contratti di finanza derivata le banche devono garantire ai clienti «correttezza e trasparenza» e la vigilanza di Bankitalia è intervenuta per far cessare «comportamenti irregolari» su queste offerte, adottando in alcuni casi «provvedimenti particolarmente rigorosi».

Allarme Mezzogiorno: troppo forte la differenza con il Nord. Il Governatore rinnova l'allarme Mezzogiorno: ha un ritmo di crescita e un livello di produttività insufficiente, dice nelle condiderazioni finali, con una spesa pubblica «tendenzialmente proporzionale alla popolazione» ed «entrate che riflettono redditi e bassi imponibili pro capite» molto inferiori. Nonostante l'impegno finanziario pubblico resta forte la differenza tra Mezzogiorno e Centro Nord nella qualità dei servizi pubblici prestati, con divari in tutti i settori, «dalla sanità all'istruzione, dall'amministrazione alla giustizia a quella del territorio, dalla tutela della sicurezza personale alle politche sociali, alla stessa realizzazione delle infrastrutture».

Mutui: ritardi sulla portabilità Sì del Governatore all'accordo fra banche e Tesoro per la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile, varato dal decreto fiscale approvato nel consiglio dei ministri di Napoli. «La ristrutturazione del debito può arrecare sollievo alle famiglie - ha detto il Governatore - giovare in prospettiva alle stesse banche, riducendo i casi di insolvenza». Occorrerà «verificare con attenzione gli eventuali effetti di questa misura sul mercato delle cartolarizzazioni esistenti. Deve in ogni caso essere lasciato il massimo spazio all'operare della concorrenza nell'offerta delle migliori condizioni ai clienti». In ritardo le banche italiane nell'applicare le nuove norme su portabilità gratuita ed estinzione anticipata dei mutui. «Le norme sull'estinzione anticipata e sulla portabilità dei mutui – ha detto Draghi – hanno tardato a tradursi in pratica, anche per difficoltà applicative». La Vigilanza, sottolinea il Governatore, «ha sollecitato le banche ad adeguarvisi in pieno, riducendo tempi e adempimenti necessari, e ha prescritto specifici obblighi di informazione al cliente sull'esercizio dei propri diritti; l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato indagini per verificare l'esistenza di pratiche commerciali scorrette».

da ilsole24ore.com
 
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« Risposta #9 inserito:: Giugno 01, 2008, 05:06:44 pm »

1/6/2008
 
Un'agenda bipartisan
 
MARIO DEAGLIO
 

L’attenzione dei mezzi d’informazione di fronte alle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia si concentra inevitabilmente sulla forte denuncia del livello troppo elevato di tassazione. In realtà le parole del governatore sono assai più impegnative di un semplicistico e populista invito alla riduzione delle aliquote: viene prospettato un difficile sincronismo in cui le imposte si possono abbassare solo parallelamente a un recupero di produttività. La riduzione delle imposte deve cominciare dalle «parti della retribuzione più connesse con la produttività».

Come gli straordinari che consentono un maggior utilizzo degli impianti nel settore privato, e l’aumento delle retribuzioni va conseguito mediante il libero gioco della «contrattazione salariale» tra i lavoratori e imprese che possono concedere aumenti proprio perché la produttività sta aumentando. Per quanto riguarda il settore pubblico, non basta più una politica economica basata sulla riduzione del debito per evitare d’incorrere nelle sanzioni europee, occorre calarsi nella realtà microeconomica e far funzionare meglio i servizi sul territorio - sono frequenti i richiami alla bassa qualità dell’istruzione, divenuta un vero e proprio disastro italiano - e al tempo stesso spendere meno. La minore spesa deve interessare anche il comparto pensionistico con incremento dell’età di pensionamento, dal momento che ora quasi un terzo delle pensioni viene pagato a pensionati giovani, ossia con età inferiore ai sessantacinque anni.

Il governatore è sembrato delineare le strutture portanti di una politica bipartisan per il rilancio dell’economia attorno al quale potrebbe coagularsi un consenso generalizzato della maggioranza e dell’opposizione (non a caso ha indicato la «stabilità della politica» come una delle condizioni necessarie del successo): un quadro pluriennale di riduzioni programmate delle aliquote fiscali, cui farebbero da contrappunto un aumento programmato della produttività dell’amministrazione pubblica e un insieme di riforme, là dove necessarie, che consentano un aumento della produttività delle imprese private. In un simile contesto, i soli obiettivi quantitativi non sono sufficienti, non basta - o non serve - semplicemente tagliare: è contemporaneamente necessario semplificare e rendere trasparente, assicurare la stabilità delle norme, far la guerra a «prassi consolidate e interessi specifici» nel nome di un interesse generale, il che significa chiudere, spostare, ristrutturare scale gerarchiche. Nell’invocare un simile programma, il governatore sa bene di che cosa parla: la Banca d’Italia, infatti, è uno dei pochissimi enti pubblici che da anni riesce a ridurre il personale (in un decennio da novemila a 7500 dipendenti), adeguando le sue prestazioni al rapidissimo mutare delle esigenze delle nuove realtà finanziarie. L’efficacia della sua azione si deduce anche dal fatto che nella grande tempesta finanziaria in corso le banche italiane sono state raggiunte soltanto da pochi schizzi grazie a un monitoraggio severo che è stato di recente accentuato. All’inizio del 2008 ha chiuso un ente un tempo importante, e ora divenuto inutile, come l’Ufficio italiano dei cambi.

Quest’insieme di riforme, necessario per tutto il Paese, diventa vitale per il rilancio per il Mezzogiorno. Le Considerazioni finali hanno fortemente sottolineato una realtà scomodissima, di fronte alla quale tutti i recenti programmi di governo hanno preferito scivolare anziché approfondire, ossia che il prodotto per abitante delle regioni meridionali è pari a poco più della metà di quello del Centro-Nord, il peggior risultato da trent’anni a questa parte. Nel Sud (con la notevole eccezione di Abruzzo, Molise e Sardegna) sono relativamente pochi quelli che lavorano e relativamente molti quelli che lavorano irregolarmente; in media tutti lavorano in maniera nettamente meno produttiva del resto del Paese. Queste voragini non si curano soltanto con ricette economiche, in quanto a tutto ciò «contribuiscono l’insufficiente abitudine alla cooperazione e alla fiducia, un costume diffuso di noncuranza delle norme»; non si rilancia il Mezzogiorno senza l’«irrobustimento del capitale sociale», un’osservazione che proietta il discorso del governatore ben al di là dei tecnicismi e del campo meramente economico, sul piano della moralità politica. Mario Draghi parla con un’autorevolezza che è ben maggiore a quella di un normale governatore. Come presidente del Financial Stability Forum, è il perno del tentativo di riforma di un ordine monetario internazionale sconvolto, per il quale «è presto per dire se è terminata» la crisi; nel guardingo linguaggio dei banchieri centrali, si tratta di parole pesanti come macigni, rivolte a un Paese. In questo quadro turbolento, l’Italia appare particolarmente debole, con una crescita della produttività nettamente inferiore a quella degli altri Paesi avanzati, e in assoluto una delle più basse del mondo. Il «premio» di questa cura, conclude il governatore, «è la ripresa duratura della crescita»; si potrebbe aggiungere, senza alcuna drammatizzazione, che il «castigo» per non applicarla è la scomparsa dell’Italia dal novero dei Paesi avanzati.

mario.deaglio@unito.it

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« Risposta #10 inserito:: Giugno 01, 2008, 05:07:38 pm »

1/6/2008
 
La stabilità possibile
 

FRANCO BRUNI

 
La crescita della produttività e lo sviluppo economico sono «condizioni essenziali della stabilità finanziaria». Mi pare questa la convinzione su cui si basa la struttura delle Considerazioni finali di quest’anno. La stabilità finanziaria è messa alla prova dalla crisi internazionale. Ma il problema dell’Italia è soprattutto nella «condizione essenziale», nel nodo della produttività, nella difficoltà di superarlo per via «dell’urto con gli interessi costituiti che negli ultimi anni hanno scritto il nostro impoverimento». Le turbolenze innescate dal mercato immobiliare americano erano prevedibili.

La stessa Banca d’Italia aveva fatto presente la fragilità dell’espansione internazionale del credito, alimentata dall’innovazione finanziaria, che approfittava pericolosamente della troppa liquidità e dei bassi tassi di interesse. Servono ora risposte adeguate delle autorità e dei mercati, con un coordinamento internazionale che è essenziale ed è in corso, presieduto da Draghi.

L’incidenza della crisi sull’economia reale è ancora da valutare e si mescola al problema dell’inflazione che accelera. Dopo il sostegno transitorio delle banche centrali, occorrono nuovi capitali disposti a investirsi nell’attività bancaria e banche disposte a cercarli in modo convincente, a darsi un governo societario e un sistema di controlli che ispirino nuova fiducia e, a volte, ad accettare nuovi padroni. Le banche italiane sono meno coinvolte di altre nella crisi. In parte per merito della maggior prudenza con cui hanno cavalcato l’innovazione. Il governatore riconosce questo merito. A noi può restare il dubbio che un poco di quella prudenza sia l’inerzia del comparto più arretrato, protetto e provinciale del sistema finanziario del Paese. L’altra parte del merito è della nostra regolamentazione prudenziale che è stata più attenta, ad esempio, nel trattamento delle cartolarizzazioni. Il governatore rivendica giustamente questo merito delle nostre autorità. A noi, ma forse anche a lui, può restare il dubbio che si potesse fare di più, meglio, prima e, soprattutto, che senza un vero, efficiente coordinamento internazionale della vigilanza, non c’è Paese che da solo possa ripararsi dal disordine finanziario.

La fragilità specifica dell’economia italiana non ha comunque sede nel suo sistema finanziario. È inceppata la crescita reale. Per questo potremmo anche soffrir di più le scosse finanziarie. Sul tema della crescita Draghi offre, come è solito, spunti incisivi. «Gran parte del nostro sistema produttivo è al riparo dalla concorrenza internazionale»: lo sappiamo, ma fa impressione sentirlo. Non è stimolato a progredire, a irrobustirsi, a innovare. Si pensi a una gran quota della produzione dei servizi e, in particolare, dei servizi pubblici: servono subito riorganizzazioni radicali e liberalizzazioni. Le caratteristiche del nostro mercato del lavoro e del sistema pensionistico «tengono lontana dal lavoro una quota troppo ampia della popolazione». I dati del Mezzogiorno, sulla produttività, sull’occupazione, sul lavoro irregolare, sono drammatici ma ci dicono che proprio lo sviluppo del Sud è la nostra grande opportunità. Non è questione di aiuti finanziari, Draghi lo dice chiaramente: va irrobustita la convivenza civile, il «capitale sociale» della correttezza amministrativa, del prevalere delle regole sull’arbitrio.

Non è questione di politiche speciali per il Sud: vanno fatte politiche nazionali, nella scuola, nella sanità, nella giustizia, attente a misurare i propri risultati. A tale misura devono connettersi incentivi che spingano inesorabilmente al miglioramento le regioni e le amministrazioni meno efficienti. Il federalismo fiscale può essere uno strumento prezioso, purché la competizione e l’autonomia degli enti locali avvengano rispettando la corrispondenza fra quanto spendono e quanto tassano. Per far questo, osserva il governatore, ci vogliono «basi imponibili locali ampie e stabili». Che sia una discreta, sommessa manifestazione di perplessità nei confronti dell’abolizione dell’Ici?

Ma nelle Considerazioni, ancor più brevi e snelle dell’anno scorso, non risuona il compiacimento di chi giudica i governi, passati e presenti. Risalta di più, per esempio, l’attenzione per i giovani, che possono essere protagonisti della ripresa. Lo saranno, se sapremo concentrare più risorse sulla preparazione scolastica. Se nella riforma del mercato del lavoro, alla precarietà del primo impiego subentrerà presto l’investimento duraturo nella formazione professionale e il premio all’esperienza di successo. Se saranno a disposizione dei giovani le opportunità di una società aperta, dove conta più il merito della posizione corporativa. Perché un banchiere centrale si sofferma su queste cose? Perché, in un sistema che perde le opportunità per crescere, la stabilità finanziaria è un po’ inutile e un po’ impossibile.

franco.bruni@unibocconi.it

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« Risposta #11 inserito:: Giugno 02, 2008, 11:50:02 am »

Le novità del governatore

Federalismo e consenso


di Dario Di Vico


Stiamo mortificando i nostri giovani. Mai forse nelle Considerazioni finali di un Governatore la denuncia era stata tanto perentoria. Ma ieri Mario Draghi nella consueta cornice dell'assemblea della Banca d'Italia ha voluto dedicare ben due passaggi della sua relazione ad analizzare prima e a stigmatizzare poi la condizione di esclusione — quella che Pietro Ichino chiama, con un termine agghiacciante, «apartheid» — a cui sono condannati i giovani di uno dei grandi Paesi del G8. Una società che sa proporre ai suoi figli solo incertezze di reddito e di prospettiva è assai difficile che possa ritrovare il cammino della crescita duratura. Manca, a giudizio di Draghi, un ridisegno organico e rigoroso delle tutele sindacali, una moderna legislazione del welfare che sappia coniugare — come hanno fatto gli altri — flessibilità ed equità. Il risultato è che i ragazzi sono mortificati da una scuola inadeguata, da un mercato del lavoro che li discrimina a favore dei loro padri, da un'organizzazione produttiva che non premia il merito e non si occupa di valorizzare i talenti. Resteranno perenni outsider. Il tema dei giovani è per il Governatore una metafora. Il Paese conosce dopo anni di travaglio il vantaggio della stabilità politica, le istituzioni paiono aver recuperato la loro forza e dall'osservatorio di palazzo Koch Draghi sottolinea il valore di queste novità. E aggiunge: il consenso che sta dietro la maggioranza uscita vincitrice dalle urne è vasto ma va speso per aggredire i problemi. Guai a sottovalutare quegli interessi costituiti e diffusi che hanno determinato la nostra retrocessione, che hanno fatto dell'Italia il malato d'Europa. Così, parlando dei giovani, il Governatore ripropone il suo alfabeto neo liberale non sconfessato dai fatti e, come aveva esordito dieci giorni fa la neo presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, invita il governo a investire l'ampia forza di cui gode per allargare la cultura del mercato e aprire la società, non per gestire l'esistente. La seconda novità della relazione di Draghi, ancor più sorprendente della prima, è stata l'apertura di credito al federalismo fiscale, cavallo di battaglia delle constituency nordiste del Popolo della Libertà. Un viatico che arrivando da un'istituzione di solida tradizione centralista come la Banca d'Italia ha valore almeno doppio. Il Governatore è partito da una fotografia impietosa degli imponenti flussi di spesa pubblica improduttiva che affluiscono a Sud: il 13% del Pil del Mezzogiorno e il 3% di quello nazionale. Ma nonostante piovano soldi pubblici il divario è più ampio di quanto fosse 30 anni fa. Da qui la richiesta di Draghi che la quantità delle risorse sia legata alla qualità dei risultati. «Il federalismo fiscale avrà tanto più consenso quanto più accrescerà l'efficacia dell'azione pubblica ». Tocca certamente alla politica decidere la misura della redistribuzione regionale di reddito ma tutto deve avvenire nella piena trasparenza e chi riceve i fondi deve essere obbligato a dar ampiamente conto del loro uso. Un giudizio, quello del Governatore, inatteso ma destinato a pesare in una fase in cui il dialogo tra gli schieramenti politici sul federalismo possibile sta muovendo appena i primi passi.

01 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #12 inserito:: Luglio 18, 2008, 05:43:05 pm »

2008-07-18 15:48

DRAGHI: EFFETTI CHOC PETROLIO MENO FORTI CHE 30 ANNI FA


 DUBLINO - L'aumento dell'inflazione è "temporaneo, ma appare più persistente di quanto ci aspettavamo alcuni mesi fa. Vi sono segni di accelerazione dei costi interni di produzione". Lo ha sottolineato il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, intervento, a Dublino, alla Whitaker Lecture, e in riferimento all'azione della Bce ha aggiunto che "vi è qualche indicazione che nei giorni successivi al rialzo dei tassi, le misure delle aspettative di inflazione derivate dai mercati finanziari hanno smesso di crescere".

 "Vi è ampia evidenza a livello internazionale che gli effetti negativi degli choc petroliferi sull'economia sono oggi molto meno severi che 30 anni fa", ha sottolineato il governatore spiegando che le conseguenze sono meno gravi grazie alle modifiche strutturali dell'economia, "quali la maggiore efficienza energetica della produzione e del consumo e mercati del lavoro più flessibili". "L'evidenza empirica indica anche, tuttavia - ha aggiunto - che la maggiore credibilità e la migliorata trasparenza della politica monetaria sono state fondamentali nel ridurre l'impatto degli choc petroliferi sull'inflazione". 

"La nostra ricerca - ha proseguito il governatore, presidente del Financial Stability Forum - mostra che anche in passato tale impatto era minore nei Paesi in cui la banca centrale aveva adottato un impegno chiaro per la stabilità dei prezzi e godeva di elevata credibilità. Ad esempio, le stime indicano che negli anni Settanta e Ottanta esso era circa sei volte minore in Germania che in Italia. E in Italia la trasmissione all'inflazione degli choc del prezzo del petrolio è ulteriormente diminuita a partire dal 1999, grazie alla credibilità della strategia monetaria dell'Eurosistema". Risultati recenti, inoltre, "confermano che il diminuito impatto degli choc del prezzo del petrolio sull'inflazione e sulla produzione è dovuto in parte all'accresciuta consapevolezza degli investitori circa l'orientamento anti-inflazionistico delle autorità monetarie o, in altri termini, alla credibilità delle banche centrali".

AMPLIARE IL RUOLO DELLE BANCHE CENTRALI - Di fronte alla crisi dei mercati internazionali "occorrerebbe valutare attentamente se gli strumenti attualmente disponibili alle banche centrali per mantenere la stabilità finanziaria sono adeguati e se è possibile superare le resistenze economiche e politiche ad un ampliamento del ruolo delle banche centrali nella difesa della stabilità finanziaria". Lo ha sottolineato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, presidente del Financial Stability Forum intervenendo a Dublino alla Whitaker Lecture organizzata dalla banca centrale irlandese. "Preservare la stabilità finanziaria può avere implicazioni anche per la conduzione della politica monetaria: il legame tra politica monetaria e stabilità finanziaria pone una sfida ai banchieri centrali - ha sottolineato -. Dobbiamo seriamente riconsiderare il punto di vista, piuttosto diffuso fino a tempi recenti, secondo cui la politica monetaria deve svolgere un ruolo passivo di fronte all'accumularsi di squilibri finanziari e intervenire soltanto dopo un crollo, iniettando liquidità per evitare il diffondersi dell'instabilità a livello macroeconomico. Dobbiamo valutare - ha proseguito il governatore di fronte alla platea di ex banchieri centrali e manager bancari riuniti al Dublin Castle - se e fino a che punto i nostri strumenti di politica monetaria possano essere utilizzati per contrastare l'accumularsi di squilibri finanziari ed evitare che si creino incentivi distorti e che gli investitori percepiscano un bias espansivo, asimmetrico, della politica monetaria". 


da ansa.it
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« Risposta #13 inserito:: Ottobre 18, 2008, 11:44:31 am »

Il governatore della Banca d'Italia alla Bocconi

Draghi: «Crisi drammatica. Per fortuna c'è l'euro»

«E' il momento peggiore degli ultimi decenni. Rispetto al '29 ci sono i vantaggi che derivano dalla moneta unica»

 
 
MILANO - Secondo Mario Draghi «stiamo affrontando la più drammatica crisi degli ultimi decenni». Ma, rispetto a quella degli anni '30, ci sono «alcuni vantaggi tangibili» che derivano dalla moneta unica. Il governatore della Banca d'Italia la ha detto nel suo intervento "Financial stability and growth: the role of the euro" alla Bocconi, in occasione del decennale dell'euro. La moneta unica, ha spiegato Draghi, «è stata una essenziale elemento di stabilitá. I vantaggi tuttavia non si limitano al suo ruolo: l'euro è stato anche un catalizzatore di cambiamenti fondamentali e positivi nell'economia reale alcuni dei quali sono giá molto visibili».

I BENEFICI DELLA MONETA UNICA - «Rimane molto da fare -sottolinea Draghi- per cogliere i benefici della moneta unica e dal mio punto di vista ciò che rimane da fare va nella direzione di una maggiore, piuttosto che minore, integrazione delle nostre economie». Vi sono misure che, spiega il governatore, «possono essere prese per raggiungere questo obiettivo in molte aree e, per prima cosa, nel settore della regolamentazione».

RISCHIO DI SPIRALE VIZIOSA - In questo momento il «rischio maggiore» per l'economia globale è rappresentato dalla possibilità che «l'irrigidimento delle condizioni del credito e la fase congiunturale negativa si rafforzino a vicenda in una spirale viziosa». E' l'allarme del Governatore della Banca d'Italia, in occasione del decennale dell'euro. «A questo proposito - aggiunge Draghi - ripristinare il normale funzionamento dei mercati interbancari a livello globale e nell'area dell'euro è la precondizione per assicurare un flusso di credito stabile a famiglie e imprese, minimizzando l'impatto reale della crisi finanziaria».

NON ESCLUSE NUOVE MISURE - Da governi e banche centrali potrebbero arrivare presto nuove misure più decise per contrastare la crisi dei mercati finanziari ha anche aggiunto Draghi. «Non possiamo escludere - ha spiegato - che nel futuro prossimo siano necessari passi ulteriori, e perfino più audaci, per restaurare rapidamente la fiducia, comprese azioni per rafforzare i mercati interbancari».

NUOVE REGOLE - Secondo Draghi «una parte essenziale della cura per uscire dall'emergenza» finanziaria che stiamo attraversando è rappresentata da progressi «decisivi e tangibili» nella «riscrittura delle regole che governano il sistema finanziario globale, in una prospettiva più strutturale e di medio termine». In particolare, secondo il governatore, bisogna «concentrare i nostri sforzi per superare velocemente le differenze attualmente esistenti nelle procedure di vigilanza a livello nazionale, lavorare per un set di regole più armonizzato, fare ulteriori progressi nella cooperazione e nello scambio di informazioni tra le Autorità».


17 ottobre 2008

da corriere.it
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« Risposta #14 inserito:: Ottobre 18, 2008, 11:46:03 am »

A PROPOSITO DI AIUTI DI STATO

Il passo indietro


di Francesco Giavazzi


Il presidente del Consiglio ha detto che il tempo dei divieti europei agli aiuti di Stato è finito: non solo disponibilità a ricapitalizzare le banche con denaro pubblico, ma oggi anche aiuti all'industria automobilistica e domani chissà. Mi pare una scelta suicida. Se in Europa si aprisse la gara a chi aiuta di più le proprie imprese noi potremmo solo perdere: infatti il livello del nostro debito pubblico ci lega le mani e non ci consentirebbe di aiutare le nostre aziende tanto quanto potrebbero fare ad esempio Germania e Spagna.

Non c'entrano le regole di Maastricht: sarebbero i mercati a non consentirci di farlo. Già oggi il differenziale tra il rendimento dei titoli pubblici italiani e tedeschi ha raggiunto 3/4 di uno per cento.
Diversamente da ciò che dice Berlusconi il nostro interesse oggi è chiedere un rafforzamento, non la sospensione (per quanto giustificata dalle circostanze eccezionali della crisi) delle regole europee contro gli aiuti di Stato. Solo così potremo difendere le aziende italiane dalla concorrenza europea in una gara alla quale parteciperemmo con un fortissimo handicap.

Altrettanto miope è la proposta di far qualcosa per limitare gli afflussi di capitale «straniero», se non esplicitamente invitato, verso banche e aziende italiane. Tanto più capitale arriva dall'estero, tanto meno c'è bisogno di capitale pubblico italiano, tanto meno probabile è che ci troviamo con le mani legate nella perversa gara europea a chi aiuta di più le proprie aziende.

A questo proposito è stata particolarmente intempestiva la proposta del presidente della Consob (fatta propria da Berlusconi) di modificare la legge sull'Opa per rendere più difficile scalare le nostre aziende. Oltre agli argomenti illustrati da Sandro Brusco e Fausto Panunzi su lavoce.info,
c'è il fatto che aziende non scalabili diventano scarsamente attraenti e tengono lontani gli investitori esteri (oltre a deprimere ancor più la Borsa).

A chi teme l'acquisto di aziende italiane da parte di stranieri consiglio di studiare la storia del Nuovo Pignone. Quando apparteneva all'Eni era una buona azienda locale; l'acquisizione da parte della General Electric l'ha trasformata in un polo di eccellenza globale e ha aumentato non ridotto le attività dell'azienda in Toscana.

Una delle rare modernizzazioni avvenute in Italia dal dopoguerra ad oggi è aver reso l'economia autonoma dalla politica. Per 40 anni, fino all'inizio degli anni Novanta, tre quarti della grande industria e tutte le maggiori banche erano di proprietà dello Stato o comunque controllate dalla politica. Memorabili le lunghe notti delle nomine pubbliche: più duravano peggiore era la qualità dei capi-azienda nominati. Penso che nessuno le rimpianga.

Oggi abbiamo la fortuna che la ricapitalizzazione delle nostre banche, diversamente da quelle di altri Paesi, non ha bisogno di denaro pubblico.
Non usiamo la scusa della crisi per fare un passo indietro rispetto ad una svolta che abbiamo impiegato 40 anni per realizzare.


18 ottobre 2008

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