LA-U dell'OLIVO
Novembre 27, 2024, 12:44:30 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 ... 8
  Stampa  
Autore Discussione: BERSANI -  (Letto 67677 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #45 inserito:: Febbraio 14, 2010, 10:33:16 pm »

Il segretario del Pd a Pisa in un convegno dell'associazione Nens

"Primo o poi Tremonti ci dovrà pur spiegare le ragioni di questa anomalia"

Bersani: "Ma perché siamo l'unico Paese Ocse che non ha una tassa sui grandi patrimoni?"


PISA - "Io non chiedo una tassa patrimoniale, non sono d'accordo. Mi aspetto però che  qualcuno mi spieghi perché siamo l'unico Paese dell'Ocse che non ha una tassa sui grandi patrimoni? Tremonti ci spieghi perché". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani nel suo intervento di chiusura al Manifutura Festival organizzato dal Nens, il Centro studi Nuova Economia Nuova Società di Pisa. Parlando più in generale di fisco, Bersani ha aggiunto che "bisogna semplificare il sistema e riordinare anche la discussione in materia". Dal governo, ha proseguito, "arrivano sparate sempre diverse, del tipo 'togliamo l'Irap o tagliamo le aliquote' e poi non succede niente. Bisogna fare un'operazione di semplificazione, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese: l'obiettivo è di mettere un pò di soldi nelle loro tasche".

Le soluzioni, secondo il numero uno del Pd, sono cinque o sei: "O rinviare la manovra sul Tfr, o agendo sugli adempimenti fiscali, oppure lavorando sui pagamenti da parte della pubblica amministrazione, perché le imprese sono in una grave situazione di difficoltà di liquidità".

L'Italia ha una ripresa debole e più lenta degli altri Paesi europei perché - ha proseguito il segretario del Pd - "la crisi si è saldata a problemi strutturali antichi e li ha aggravati. Questo non significa che non possiamo rimontare e accelerare la crescita, ma significa che accelerare e darsi un orizzonte non viene da sé non facendo nulla". Un piano anti-crisi serve a stimolare l'economia, anche perché "si esce dalla crisi quando si torna al punto in cui si era prima, cioè al 2006", in tempi brevi. Per questo "si dovrebbe correre più velocemente". E' necessario "stare attenti al tema economico e sociale: da quando è cominciata la crisi ci sono 6-700mila lavoratori in meno, con un milione di persone che ha usufruito degli ammortizzatori sociali".

Per l'immediato, ha continuato Bersani, "ci sono rischi: siamo in una fase di avvitamento con disoccupazione, stagnazione, crisi della finanza pubblica". Sul lungo periodo invece "il rischio è di un rimpicciolimento della base produttiva del Paese". "L'esito di questa crisi - ha aggiunto il leader democratico - non tutto è nelle nostre mani, ma ciò non ci esenta dal fare qualcosa per dare stimolo alla ripresa e affrontare i problemi strutturali".

Ed è per questo che serve un piano anticrisi nazionale. "Nel 2010 - ha sottolineato il segretario Pd - rispetto allo scorso anno avremmo un 12% in meno di investimenti. Non si può non fare niente, serve un grande piano di piccole opere e un piano di economia verde. Le piccole opere partono in tempi brevi, le grandi vanno bene ma richiedono i loro tempi". Bersani ha inoltre chiesto interventi per le famiglie numerose e un piano Paese di politica industriale".

(14 febbraio 2010)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #46 inserito:: Febbraio 19, 2010, 04:29:38 pm »

BOTTA E RISPOSTA

Bersani: «Io spalai, Bertolaso voli basso»

Replica al sottosegretario: «Con me capita male: io ero angelo del fango a Firenze, non so lui cosa facesse»


MILANO - Non solo il G8 a La Maddalena e gli appalti a L'Aquila. Argomento di polemica tra il numero uno della Protezione Civile e l'opposizione diventa anche l'alluvione che sconvolse Firenze nel 1966. È Pier Luigi Bersani ad evocare il disastro di 44 anni fa. E lo fa per invitare all'umiltà il sottosegretario Guido Bertolaso che, in un'intervista a Panorama, aveva polemizzato con il segretario democratico («se arriva un terremoto chi spala? Bersani?»).

POLEMICA - «A Bertolaso consiglierei un po' più di umiltà - replica il leader del Pd al termine dei lavori d'aula alla Camera - meno arroganza e di volare un po' più basso, perché con me capita male: io a quindici anni spalavo a Firenze, non so lui cosa facesse». Il riferimento è ai tanti giovani volontari, poi ribattezzati "angeli del fango", che giunsero in Toscana per mettere in salvo opere d'arte e libri.

Redazione online
19 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #47 inserito:: Febbraio 22, 2010, 09:28:15 am »

Bersani: «Mi piace la musica, e alla sinistra dico: allarghiamo la testa»

di Roberto Brunelli


Segretario, ha visto le primarie del Dopofestival? Al momento è in testa D’Alema accoppiato al principe…
Ride). «Un principe e un re in testa. Questo dimostra che abbiamo molta gente spiritosa in giro, che c’è del buonumore, nonostante tutto».

Quando si è saputo del suo arrivo a Sanremo, lei ha detto «basta snobismi, è un modo per andare tra la gente»: una nuova strategia del Pd?
«Senza esagerare sì, però il punto di partenza è che a me piace la musica. La domanda, però, non è perché andiamo a Sanremo. È l’opposto: perché non andarci? Forse anche tra di noi ci sono un po’ troppi stereotipi. Al congresso l’ho detto: se vogliamo essere un partito veramente popolare dobbiamo saper parlare anche a chi guarda il tg di Fede. Io ci sono andato. Poi ognuno porta le sue idee, i suoi gusti, le proprie proposte. Non allarghiamo la coperta se non allarghiamo la testa: e se non lo facciamo rimaniamo impigliati in logiche minoritarie».

A lei piacciono Vasco e gli Ac/Dc: che c’azzecca Sanremo?
«Anno 1982, Vasco arriva a Sanremo con Vado al massimo, anno 1983, torna con Vita spericolata».

Sì, ma arrivò ultimo…
«Magari anche questa volta il migliore arriva ultimo. Insomma, qui ci sono passati molti grandi, Tenco, Paoli, Dalla, Zucchero, il
Celentano della via Gluck. E poi diciamocelo: se Vasco fosse rimasto a suonare a Zocca, oggi l’Italia non avrebbe Vasco».

Come sempre, qui ci sono state molte polemiche, a cominciare da quella su Pupo e il principe…
«Sì, ho sentito che li hanno fischiati. Certo che Sanremo ospita anche delle stupidaggini… non male l’idea di digiunare se vincono».

Che mi dice della scelta Clerici?
«Questo festival ha successo anche perché la gente in questo momento ha bisogno di un po’ di rassicurazione. Chi ha scelto Antonella Clerici ha azzeccato il momento: trasmette autenticità, sdrammatizza, rassicura».

Una delle sorprese di Sanremo 2010 è il Dopofestival di Youdem, tutt’altro che «politically correct».
«Neanche un po’ politically correct. È quello che volevamo: uno sguardo critico, scanzonato e libero. Un modo per chiacchierare e riderci su. Mi dicono che <CF161>Novella 2000</CF> ha linkato il sito di Youdem: ebbene, è giusto trovare spazio anche in quei luoghi che sbaglieremmo a ritenere alieni. Ricordiamo tutti con ammirazione quando Togliatti andava all’<CF161>Unità</CF> ad assicurarsi che pubblicassero i numeri del Lotto: era un’attenzione a grandi fatti popolari magari anche opinabili… ma insomma, l’idea di una sinistra che stia dentro i luoghi dove la gente vive, per accompagnare una crescita che si fa insieme alla gente senza mettersi in cattedra, rimane un punto di forza anche se si parla di canzonette».

«Italia senza regole, ai margini della democrazia». Parole sue. Qualcuno potrebbe dire che questo vale anche per Sanremo.
«Lì mi riferivo all’economia, ai diritti dell’informazione, alla democrazia delle regole, alla sovranità del parlamento. Però è vero che
si deve tenere vivo uno spirito critico pure nel mondo dello spettacolo».

Cosa le è piaciuto di più, cosa di meno di questo festival?
«La maglia nera spetta a Filiberto, il numero di Lippi è stato disdicevole. Delle canzoni ne restano tre o quattro di livello. Malika certamente, ma anche Arisa: una canzoncina, certo, ma dal gusto antico. Anche Mengoni è interessante, pure Cristicchi. Poi ho ceduto alla curiosità e ho sentito la cosa di Morgan su YouTube: al netto delle colpe e degli errori, è una bella canzone».

21 febbraio 2010
da unita.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #48 inserito:: Marzo 08, 2010, 08:47:13 am »

07 marzo 2010, 21:54

Bersani stoppa Di Pietro

Regionali     


Per il segretario del Pd, Antonio Di Pietro sbaglia ad attaccare Giorgio Napolitano per la firma sul decreto "salvaliste", la colpa è "tutta del Governo Berlusconi", ma la manifestazione di sabato del centrosinistra non è a rischio. Domani (lunedì), anche e soprattutto alla luce del decreto legge adottato l'altra sera dal governo, il Tar del Lazio dovrà esprimersi sul ricorso del Pdl e sul tavolo troverà anche la delibera della Regione Lazio con il ricorso alla Corte Costituzionale

"Sarebbe sbagliato dare occasione al centrodestra di nascondersi dietro al Quirinale". La frase pronunciata da Pier Luigi Bersani, rientrando a Roma per la riunione del coordinamento del Pd, non solo esprime la posizione del Pd di fronte alle critiche di Antonio Di Pietro al presidente Napolitano, ma sintetizza anche quanto lo stesso Bersani ha detto al leader di Idv al telefono. La manifestazione unitaria di sabato 13 marzo, infatti, dovrà esser capace di parlare all'elettorato del centrosinistra, ma anche a una area più vasta.

Bersani, a fine giornata, è rimasto fedele al proprio impegno di non attaccare mai i propri alleati. E di fronte ad Antonio Di Pietro, che ancora oggi ha criticato il Quirinale, il segretario del Pd gli ha semplicemente voluto ricordare un fondamentale della politica: "La responsabilità totale del decreto è del governo - ha affermato - altrimenti, se non teniamo fermo questo punto, viene meno ogni discorso" in vista della manifestazione del 13 marzo. Anche perché, insiste Bersani, la firma di Napolitano è un atto dovuto: "Sappiamo bene quali sono il mestiere e le prerogative del presidente della Repubblica".

Domani ci sarà una riunione organizzativa della manifestazione in cui si comincerà a decidere la piattaforma comune dell'iniziativa che, spiega Bersani, "deve fare sintesi non solo del centrosinistra ma deve andare al di là di questa area". Questo perché nell'opinione pubblica "c'è un turbamento in un'area più vasta del nostro elettorato" come dimostrano i sondaggi pubblicati oggi dai giornali.
Secondo Renato Mannheimer il gradimento del governo ha perso negli ultimi giorni 4 punti, scendendo al 39%, rispetto al 50% dei giorni successivi all'aggressione di Berlusconi a Milano.

Insomma il centrosinistra deve saper "interpretare in modo combattivo e propositivo" questo turbamento. Il momento della verità dovranno essere le elezioni regionali.

Infine Bersani condivide la preoccupazione espressa oggi da Emma Bonino la quale ha detto di temere che il centrodestra possa non convertire in legge il decreto in caso di sconfitta elettorale: "Ogni trucco è pensabile - ha detto Bersani - avendo già visto il trucco più vergognoso. Il punto è come reagire. L'Aventino lascia campo libero agli avversari. La risposta dirimente deve essere il voto".
A fare eco al segretario Enrico Letta secondo il quale un'opposizione divisa "sarebbe un regalo che Berlusconi non merita". Letta ribadisce "mobilitazione massima" e ostruzionismo al decreto in Parlamento.

Potrebbe essere domani il giorno della verità per la lista provinciale del Pdl di Roma. Il giorno in cui, con la possibile consegna della documentazione ai sensi del cosiddetto decreto salva-liste, potrebbe chiudersi il cerchio aperto sabato scorso con la bagarre al Tribunale di Roma culminata con il mancato deposito delle carte all'Ufficio centrale circoscrizionale. O almeno potrebbe chiudersi per il momento, perché in serata la giunta regionale del Lazio ha varato all'unanimità una delibera con cui si invita il presidente della giunta regionale del Lazio Esterino Montino a ricorrere alla Corte costituzionale per conflitto di competenze e in prima istanza per chiedere la sospensione del decreto legge.
La materia elettorale toccata con il dl, questa la tesi, non spetta allo Stato ma alla Regione.

Una mossa che secondo il consigliere Pdl Donato Robilotta è priva di valore giuridico, perché a suo dire la giunta, sciolta da mesi, dovrebbe occuparsi solo di ordinaria amministrazione.

Per la Regione Lazio, invece, sussistono i requisiti di "indifferibilità e di urgenza" che legittima il provvedimento. "Questa delibera non è una scelta politica ma istituzionale che riafferma il principio del rispetto delle prerogative della Regione", replicando anche alle critiche della candidata del centrodestra Renata Polverini secondo la quale si vuole "provare a vincere espellendo una forza politica, la piu' importante della città di Roma".

Domattina, comunque, anche e soprattutto alla luce del decreto legge adottato l'altra sera dal governo, il Tar del Lazio dovrà esprimersi sul ricorso del Pdl e sul tavolo troverà anche la delibera della Regione Lazio con il ricorso alla Corte Costituzionale.

da aprileonline.onfo
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #49 inserito:: Marzo 13, 2010, 11:12:47 am »

Bersani: "Sento aria di riscossa civile"

di Pietro Spataro


La nostra sarà una manifestazione gioiosa, il popolo ci chiede unità…». Oggi il centrosinistra sarà a Piazza del Popolo a Roma e Pierluigi Bersani si mostra tranquillo e determinato. Sente che si stanno aprendo spiragli che possono far girare il vento. «Berlusconi non è onnipotente», dice. Le telefonate del premier al direttore del Tg1 e al presidente dell’Agcom? «Sconcertanti e avvilenti». Come fermare questa destra arrogante e pericolosa? «Dobbiamo essere combattivi, non si può stare in pantofole davanti a chi indossa gli anfibi».

Allora, Bersani partiamo dall’ultimo caso: da alcune intercettazioni pubblicate su «Il fatto» emerge l’asservimento del direttore del Tg1 e del commissario dell’Agcom ai voleri di Berlusconi. Il premier sarebbe indagato. Un altro fatto grave, no?
«Vedremo se ci saranno sviluppi sul piano giudiziario. Sicuramente se le indiscrezioni saranno confermate si tratta di fatti sconcertanti e avvilenti. Ma diciamo la verità, lo si poteva capire anche senza intercettazioni che eravamo in una situazione grave. C’è un problema nei rapporti tra politica e informazione che tocca la dignità professionale e mina una delle libertà fondamentali. O i politici e giornalisti fanno ognuno il loro mestiere o altrimenti non ne usciremo».

C’è chi nel centrosinistra chiede le dimissioni di Minzolini. Lei che ne pensa?
«Davanti a documenti certi il giudizio sul comportamento del direttore del Tg1 spetta alla commissione di vigilanza. Senza dimenticare tuttavia lo spettacolo indecoroso di un presidente del consiglio che con tutti i problemi che ci sono si occupa dei servizi dei tg».

Ormai il clima è infuocato. Berlusconi parla di complotti , Bondi paventa attentati, Cicchitto la accusa di far parte del network dell’odio. Siamo allo scontro di civiltà?
«Siamo al solito schema. Ho parlato di disco rotto, diciamo meglio, un cd rotto così ci capiscono anche i giovani. Berlusconi individua il nemico, che siamo sempre noi della sinistra, e poi chiede un giudizio di dio su se stesso: sì o no. Ecco, per esser chiari: noi combatteremo Berlusconi e questo schema colpo su colpo. La nostra agenda non è Berlusconi-sì Berlusconi no, ma sono i problemi veri del Paese. Smettiamola con il governo del fare che fa solo gli affari propri. Insomma quelle dei complotti e degli attentati sono teorie balorde, scarti di propaganda che lasciamo a lui. Noi invece dobbiamo lavorare sodo perché ci sono spazi per incontrare il disagio dell’elettorato berlusconiano che non vive di propaganda».

Il problema è: come fermare un premier che logora il sistema istituzionale e quello della legalità?
«Si stanno aprendo varchi su cui lavorare. Basti ricordare come si è bloccata la legge sulla Protezione civile Spa o come si stanno inguaiando sulla vicenda delle liste. Non dobbiamo credere che Berlusconi sia onnipotente. Anzi, ormai lui non riesce più a tirare la palla avanti, è solo capace di usare il consenso per aggiustarsi le regole. Per questo bisogna essere combattivi e mostrare il legame stretto tra questione democratica e questione sociale. Guardate che l’aria sta cambiando».

Eppure la destra riesce ancora a ridurre tutto a leggi ad personam o ad listam mentre i problemi dell’Italia restano. Ieri c’è stato lo sciopero della Cgil…
«Sì, c’è un evidente tentativo di ridurre tutto alle questioni personali del premier. Però i temi che stanno a cuore agli italiani sono altri: il lavoro, la sanità, la scuola, i redditi. Assistiamo a una continua compressione che prima o poi arriverà a un punto di rottura che non credo si esprimerà in una rivolta sociale. Ma non pensino che non ci sarà una riscossa civile, un forte movimento di opinione che entrerà anche nel loro elettorato respingendo l’idea di una separazione tra governo e società».

Insomma, anche lei crede che Berlusconi sia al declino e che questi siano colpi di coda?
«Nessuno riesce a dire se il tramonto sarà lungo o breve. Però è evidente che Berlusconi non parla più al futuro del paese. In questo tramonto ci sono elementi di pericolo: non solo delegittimazione delle istituzioni e della politica ma un duro colpo allo spirito civico. E anche il rischio di ipotesi regressive…».

E quali sarebbero?
«Beh, se passiamo dal berlusconismo al leghismo non è che facciamo un passo avanti, si può arrivare a toccare la stessa unità nazionale. Per questo insisto che bisogna lavorare per un’alternativa che abbia un saldo fondamento costituzionale. Faccio appello a tutte le forze di opposizione: contrastiamo con forza questo disegno e cominciamo a costruire un’altra idea dell’Italia».

Che manifestazione sarà quella di Roma oggi a Piazza del Popolo? Solo protesta contro il decreto salva-liste?
«Per la prima volta facciamo un’operazione insieme, la politica e la società civile. Dobbiamo saper trasformare la protesta in proposta, occuparci dei problemi sociali degli italiani. La nostra manifestazione sarà tutto questo. Guardo a Piazza del Popolo con spirito molto positivo. Vedrete che sarà una manifestazione festosa».

Di Pietro sembra aver ammorbidito i toni e non attacca più Napolitano. Lei si sente tranquillo? Non c’è sempre il rischio che si spacchi la piazza?
«Mi sento tranquillo. Ogni forza di opposizione deve capire che questo è il momento di accorciare le distanze con la destra. Chi dovesse venire meno a questo dovere pagherebbe un prezzo enorme, non glielo perdonerebbero. Non possiamo separarci da un popolo democratico che ci chiede unità».

Senta, ma come vi siete incontrati voi, il popolo viola e la società civile? Non c’era qualche diffidenza?
«C’è stata una maturazione reciproca. I movimenti oggi ci chiedono di portarli da qualche parte, di riuscire a superare insieme questa difficile situazione. È un fatto positivo perché è chiaro che noi non faremo mai un riformismo senza popolo. Anzi, dico di più: se perdiamo su questo punto ci teniamo Berlusconi chissà per quanti anni ancora. Invece credo ci siano le condizioni per voltare pagina e tornare a vincere».
Eppure nel Pd qualche mugugno c’è. Gli ex popolari fanno sapere che non saranno alla manifestazione…
«Rispetto tutte le sensibilità. Le nostre scelte non le abbiamo fatte in solitudine ma nella discussione. Credo che quelle preoccupazioni non siano fondate. Le cose cambiano e noi dobbiamo muoverci come fa un partito serio. Non possiamo mica stare in pantofole mentre davanti a noi c’è qualcuno che ha messo su gli anfibi».

Previsioni: come finiranno le elezioni regionali? Qualche ottimista dice che potrebbe anche finire 9 a 4 per il centrosinistra. Lei che ne dice?
«Dico che per noi sarà un successo avere la maggioranza delle Regioni. Dal voto può venire un segnale forte di inversione di tendenza, dobbiamo riuscire a far capire che è ripreso il cammino. Poi però dal giorno dopo bisogna costruire l’alternativa. E dobbiamo lavorarci con serietà perché l’edificio sta bene in piedi con fondamenta solide. Su questo non possiamo scherzare».

13 marzo 2010
da unita.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #50 inserito:: Aprile 01, 2010, 11:03:12 pm »

Con una lettera al partito, il leader aveva replicato anche alle critiche interne

«Noi disponibili al dialogo, il premier no»

Bersani: «Siamo noi che abbiamo verificato, dopo 50 decreti e 31 fiduce, la sua indisponibilità a discutere»


MILANO - «Non è Berlusconi a dover misurare la nostra disponibilità. Siamo noi che abbiamo verificato, dopo cinquanta decreti e trentuno fiduce, la sua indisponibilità a discutere, perchè per fare le riforme deve funzionare il Parlamento». Così, Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, risponde al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che aveva parlato di una stagione delle riforme. «La nostra agenda - prosegue Bersani - è chiara: occupazione, piccole e medie imprese, redditi bassi. Su questo siamo pronti a discutere. Anzi, sarebbe ora, a partire dalle norme sul lavoro, rinviate alle Camere dal Presidente della Repubblica. Sulle riforme istituzionali il presidente del Consiglio sa benissimo qual è la nostra posizione: superamento del bicameralismo, diminuzione dei parlamentari, nuova legge elettorale, legge sui partiti, rafforzamento reciproco dei poteri di Parlamento e governo. Su tutte queste materie - conclude - la maggioranza non ce la meni con il dialogo o non dialogo.»

RISPOSTA ALLE CRITICHE INTERNE - In precedenza Bersani, con una lettera, aveva dato un'altra risposta, quella ad un'altra lettera, scritta da 49 senatori del suo partito. Nonostante la «delusione» per la perdita del Lazio e del Piemonte «per una manciata di voti», il Pd «è in piedi», e ora deve «accelerare» sulla strada della costruzione dell'alternativa al governo del centrodestra aveva sottolineato Bersani.

LA MISSIVA - «La possibilità di cambiare il corso delle cose - si legge nella sua lettera - è legata alla nostra capacità di offrire un'alternativa positiva e credibile, di dare un'altra possibilità agli italiani. Adesso dobbiamo accelerare. Da qui dobbiamo ripartire mettendoci al lavoro per rafforzare il nostro progetto e per dare radicamento a un Partito democratico concepito come una grande forza popolare, presente con continuità ovunque la gente vive e lavora e capace di offrire proposte che abbiano un contenuto sempre più visibile e coerente. Diversamente, i rischi non solo di disaffezione dell'elettorato ma anche di radicalizzazione e di frammentazione impotente, non potrebbero che diventare più gravi».
«Le recenti elezioni regionali - scrive Bersani - sono state per tutti noi un passaggio importante, che ci mostra tutta la complessità e la profondità dei problemi che abbiamo di fronte. Il Partito democratico è in piedi. Sentiamo forte in queste ore la delusione per avere perso la guida di alcune regioni, e il Lazio e il Piemonte per una manciata di voti. La delusione è solo in parte attenuata dal fatto che abbiamo conquistato comunque la presidenza di sette tra le tredici regioni in palio: un risultato certamente non scontato alla luce dei rapporti di forza che si sono determinati nelle elezioni più recenti, tenendo conto che le elezioni regionali del 2005 si erano svolte dentro un altro universo politico». Prosegue Bersani: «Va rimarcato che per la prima volta dopo molto tempo, nel voto di domenica e lunedì scorsi si è verificato un arretramento consistente dei consensi del Popolo delle libertà, solo in parte compensato dalla crescita della Lega; le distanze tra il campo del centrodestra e il campo del centrosinistra sono oggi sensibilmente inferiori rispetto a un anno fa, e quindi pur dentro a elementi di delusione si apre uno spazio per il nostro impegno e per il nostro lavoro. Tuttavia, dal voto emergono chiaramente alcuni problemi di fondo nel rapporto tra i cittadini italiani e la politica: c'è una disaffezione crescente, che si manifesta come distacco e radicalizzazione, verso una politica che gli elettori percepiscono come lontana dai loro problemi. Una crisi sociale ed economica pesante fa sentire ogni giorno le sue conseguenze sulla vita dei cittadini, senza che dal governo arrivino risposte adeguate alla gravità dei problemi». «Il principale responsabile di questa situazione - continua la lettera di Bersani - è il presidente del consiglio; ma è una situazione che interroga anche noi». «Dobbiamo servire il Paese - sottolinea il leader democratico - raffigurandoci come un partito fondato sul lavoro, il partito della Costituzione, il partito di una nuova unità della nazione. Il Partito democratico è il partito di una nuova centralità e dignità del lavoro dipendente, autonomo, imprenditoriale e della valorizzazione del suo ruolo nella costruzione del futuro del Paese. È il partito che non accetta che il consenso venga prima delle regole e lavora per istituzioni più moderne rifiutando la chiave populista. È il partito che dà una risposta innovativa al tema delle autonomie nel quadro di una rinnovata unità nazionale. Avvieremo insieme un grande piano di lavoro incardinato su questi obiettivi».

Redazione online
01 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #51 inserito:: Aprile 12, 2010, 11:34:55 pm »

12/4/2010 (7:30)  - OPPOSIZIONE

Spunta l'asse Prodi-Chiamparino

La richiesta: azzerare le correnti.

Il segretario Bersani nella tenaglia e la minoranza lo sfida: «Cambia linea»

CARLO BERTINI
ROMA

Senza dubbio è una bella pietra lanciata nello stagno, ma in questa fase nessuno si pone come obiettivo quello di scalzare Bersani». Dopo una giornata passata tra le colline liguri, Sergio Chiamparino fa un sobbalzo quando sente le parole spese da Romano Prodi sul Messaggero, «l’attuale struttura nazionale del Pd non serve più, troppo autoreferenziale. Serve un partito federale».

Un intervento, quello del fondatore dell’Ulivo, mirato a ricostruire la struttura del Pd, con un leader nominato da un esecutivo composto «esclusivamente dai segretari regionali, senza le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio». Insomma un «politburo» di venti pezzi grossi che trovano legittimità dalle primarie. «E un conto sono le primarie con il principio delle scatole cinesi, con candidati decisi in base alla spartizione tra le correnti, altro conto sarebbe il percorso indicato da Prodi», ragiona il sindaco di Torino. Il quale, giusto il 7 aprile scorso, disegnava il modello di «un partito affidato a sindaci e governatori, azzerando caminetti e correnti, con una sua unità nazionale data dall’insieme di partiti radicati sul territorio, capaci di scelte autonome sui programmi e anche sulle alleanze». Naturale dunque chiedergli se questo inedito asse sia frutto di qualche scambio di idee. «No, assolutamente, ma è vero che la filosofia è proprio la stessa».

Insomma, questa «pietra nello stagno» diventa subito un caso, proprio nei giorni in cui tutti si chiedono quale possa essere il «papa straniero» invocato dal direttore di Repubblica per salvare le sorti del centrosinistra, come fece appunto Prodi nel ’96. Un caso che suscita commenti, a volte caustici, nella galassia variegata del Pd. Uno che con Prodi fece il ministro, ma che non è mai stato troppo tenero con lui, per via dei rapporti conflittuali con Rutelli e la Margherita, è Paolo Gentiloni, oggi in prima fila dentro il «correntone» di Veltroni e Franceschini.

«Più che il merito della sua proposta, che può essere ragionevole, è significativo il fatto che si occupi del Pd. In un paese gerontocratico, mentre si parla di elezione diretta del premier, non mi stupirebbe se qualcuno si alzasse per dire che quel “papa straniero” potrebbe essere ancora Romano, che di sicuro pensa di essere una riserva della Repubblica. Certo da quello che scrive non sembra faccia il tifo per Bersani». Gentiloni aggiunge una postilla al vetriolo che mostra come il leader sia ormai stretto tra due fuochi. «D’altronde, anche se chi mette in discussione il segretario in questa fase è un pazzo, è indubbio che la linea su cui ha vinto il congresso, e cioè “allargare le alleanze”, esce da questo voto, se non azzerata, molto ridimensionata e quindi andrà rivista».

Dalle parti di Bersani la musica è un’altra e tocca al numero uno della segreteria diffonderla nell’etere. Se dal Pdl, ma anche dalla nave del Pd, partono siluri del tipo «ora Prodi vuole liquidare Bersani», Migliavacca li respinge sdegnato: «Sciocchezze. Quello di Prodi è un contributo utile a disegnare una strada di riforma in senso federalista dello Stato e a costruire un partito più radicato e capace di valorizzare dal basso le migliori esperienze». In ogni caso «un disegno di lungo termine, ma già da adesso si possono fare passi significativi in questo senso». Quali? «Vedrete», risponde sibillino il braccio destro del leader, forte anche della spiegazione data dall’ex sottosegretario di Prodi, Richi Levi, secondo il quale Bersani era stato avvertito dal Professore che in realtà «gli ha alzato una palla».

E non stupiscono quindi le tiepide reazioni con cui anche gli esponenti della minoranza, di fede «mariniana» o «fassiniana», cioè i «lealisti», hanno accolto la «road map» del Professore. Il cattolico Beppe Fioroni la liquida dicendo che «oggi il Pd non ha bisogno di formule organizzative o di schemi regolamentari». E l’ex Ds Marina Sereni è sulla stessa linea. Una cosa è certa: quando domani Bersani riunirà i segretari regionali, le parole dell’ex premier aleggeranno in sala, e lo stesso avverrà sabato quando la Direzione del Pd dovrà discutere di riforme e del perché il Pd ancora una volta non ha vinto.

da lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #52 inserito:: Aprile 18, 2010, 10:50:33 pm »

Pd, Bersani media tra D'Alema e Franceschini: «Ora un progetto per il Paese»

di Andrea Carugati


Un Bersani con le mani tese verso la minoranza interna guidata da Veltroni e Franceschini, a partire dalla difesa del bipolarismo e dall'ammissione della «delusione» per l'esito del voto, segna la prima direzione Pd del dopo regionali. Una direzione preceduta da un clima piuttosto teso, con l’area democratica a sottolineare la sconfitta alle urne e venerdì il duello D’Alema-Franceschini sul bipolarismo e soprattutto sul rapporto con Gianfranco Fini. Ma alla fine il segretario riesce a trovare le parole giuste per non scontentare nessuno, per tenere abbastanza unito il partito su una linea attendista nei confronti della crisi nel Pdl, («Sono questioni loro», sintetizza Franco Marini), ma pronto a firmare un «patto repubblicano» con le forze disponibili a fermare la «deriva plebiscitaria» di Berlusconi, dunque anche con quella destra «normale» incarnata da Fini.

Insomma, il dilemma “Fini sì Fini no” sembra sciogliersi alla luce dell’idea, fatta propria anche da Bersani, che i due litiganti del Pdl alla fine troveranno un modo per aggiustarsi tra loro. Sul bipolarismo Bersani è ecumenico: «Noi pensiamo ad una forma di bipolarismo più europeo, più moderno, più in grado di decidere», conclude a metà pomeriggio. «Dobbiamo prendere atto che negli ultimi 15 anni, tranne qualche riforma dei governi di centrosinistra, le riforme non sono state fatte perchè ha prevalso una democrazia plebiscitaria che accumula consenso ma non decide».

Bersani, che lancia l’asseblea nazionale per il 22 maggio (obiettivo: discutere del progetto per l’Italia) concede qualcosa alla minoranza anche sul tema della riforma elettorale: «Le soluzioni per una riforma sono diverse ma vanno tenuti fermi tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile». «L'attuale legge elettorale è una vergogna, è l'architrave del meccanismo plebiscitario e populista di Berlusconi», dice il leader Pd. «Dobbiamo combattere per oltrepassarla. Intorno a questi tre criteri possiamo ragionare insieme e arrivare a proposte più precise ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono, mentre Berlusconi sta qui dal ‘94...».

Messe a posto le questioni che avevano agitato venerdì lo scontro tra D’Alema e Franceschini, Bersani passa all’attacco sul terreno a lui più caro, quello delle proposte per il Paese. «Mettiamoci subito al lavoro sul progetto per l’Italia. Il futuro è una sfida: mettiamoci all’altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un’agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese». Pochi i punti cardine: «Lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione». «Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo trasmettere positività, il partito non può essere il nostro oggetto di discussione col Paese: è lavorando per l’Italia che daremo il profilo al partito, le nostre parole da contrapporre all’ideologia di Berlusconi e della Lega sono uguaglianza, diritti, civismo e merito».

Tra i primi passi concreti della nuova agenda Pd, Bersani annuncia una proposta di legge per mettere fuori i partiti dalla Rai e una nuova norma Antitrust per affrontare (e risolvere) il conflitto d'interessi. E sulla giustizia prende le difese del responsabile del settore Andrea Orlando, criticato nei giorni scossi per aver presentato al Foglio una bozza di riforma: «La giustizia non è un tabù, è un servizio che non funziona, le nostre proposte sono contro le leggi ad persona, m si può essere d’accordo o meno ma non esiste che tra di noi si parli di “intelligenza con il nemico”».

Veltroni sceglie di non intervenire e se na va senza fare commenti, Franceschini nel suo intervento apprezza la «difesa del bipolarismo» da parte del segretario ma ribadisce la sua linea su Fini: «Non bisogna fare a Fini il torto di considerarlo “di qua” e coinvolgerlo in scenari confusi perché lui sta facendo una battaglia per una destra normale ma è un nostro avversario. Dare l’idea che Fini è un nostro interlocutore sarebbe un grande regalo per Berlusconi». E aggiunge: «La missione del Pd è cambiare il paese rimettendo in discussione tutto, non sommando le singole sigle». «Il partito non è solo di chi ha vinto il congresso ma insieme di chi ha vinto e di chi ha perso. Tra il silenzio e la litigiosità c'è la via di mezzo del confronto chiaro, dobbiamo discutere per contribuire a fare le scelte».

L’occasione sarà l’assemblea nazionale convocata per il 22 maggio, e intanto Franceschini risponde anche a quell’ala cattolica, da Fioroni a Castagnetti, che anche oggi ha ribadito il suo disagio in un partito troppo “di sinistra”: «Il Pd ha ancora la colla fresca. E se ci sono dei dirigenti che percepiscono con disagio un pd comepartito di sinistra, questo è un segnale che deve essere ascoltato». Non mancano segnali di apertura a Bersani anche da altri esponenti della minoranza. «La direzione è stata utile ed è stata imboccata la strada di un chiarimento», dice Fioroni. «Abbiamo fatto un primo passo verso il rilancio del progetto originario dopo la «sconfitta elettorale«, dice il braccio destro di Veltroni Walter Verini. «Si è compiuto un passo in avanti sulla direzione di investire sul progetto del Pd, sul suo rapporto con l’Italia, lasciando molto, ma molto, sullo sfondo quelle cose che ci avevano imbrigliato, tipo la politica delle alleanze». mentre Fassino dà atto al segretario di aver presentato «un'analisi del voto più
preoccupata del giudizio iniziale e una griglia per il rilancio».

D’Alema, anche a costo di un certo isolamento, ha ribadito le sue tesi sulla crisi del bipolarismo e sulla necessità di «interloquire» con quella destra incarnata da Fini che può dare a una mano per fermare la «spallata plebiscitaria» di Berlusconi. «Dire che vogliamo fare domani un governo insieme a Fini è una scemenza, a me interessano i contenuti, dalle riforme all’immigrazione, e non per fare manovrette politiche», spiega D’Alema. Che ribadisce il suo sostengo per un sisyema dell’alternanza, che va però ripensato, «perchè la tanto vituperata e consociativa prima repubblica è stata in grado di produrre riforme profondissime, mentre la second, quella delle decisione, appare molto debole». Nessuna marcia indietro, dunque. D’Alema ribadisce la sua ricetta sul bipolarismo in crisi e anche sul dialogo con la nuova forza parlamentare che Fini starebbe per lanciare. «Non vorrei che nel nome del bipolarismo lo rimproverassimo di dare fastidio a Berlusconi, sarebbe un eccesso di zelo», conclude l’ex ministro, prima che Rosy Bindi lo inviti al “time out” per aver sforato i tempi.

E proprio la presidente Bindi è protagonista di uno scontro con Paola Concia, a cui avrebbe tolto il diritto di intervenire. «Dopo la relazione di Bersani ha detto che c’erano 60 interventi, troppi, e che avrebbero dovuto parlare solo le personalità politicamente rilevanti», accusa Concia. «Io e altri siamo stati “tagliati”, evidentemente i temi che rappresento non ionteressano alla Bindi, ma io voglio discutere dentro il mio partito, non sulle pagine dei giornali...». «La prossima volta la facciamo di due giorni così ognuno avrà bei 15 minuti per parlare», replica la Bindi ai colleghi che protestano.

Marta Meo, esponente veneta della mozione Marino, esce nel primo pomeriggio con lo sguardo sconsolato: «Mi pare che questo partito sia in preda all’horror vacui: abbiamo davanti tre anni senza elezioni e senza congressi, sarebbe il momento per parlare di cose concrete, e invece ho l’impressione che non si sappia da dove cominciare. Un’altra conferenza di programma a maggio? Ma non c’erano i forum tematici? Perché non vengono convocati?». Un tema su cui è d’accordo anche Marino, che sprona Bersani a «far funzionare i forum». «Deve fare come un rettore con i dipartimenti, farsi dare dei report su quello che è stato deciso, sull’agenda dei prossimi incontri...».

17 aprile 2010
da unita.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #53 inserito:: Giugno 10, 2010, 05:18:26 pm »

Francesco Scommi ,   09 giugno 2010, 11:50

Bersani: Il segretario del Partito democratico parla a Repubblica tv, progetta di consultare la base per individuare lo sfidante del centrodestra ma chiarisce che "non avremo un uomo solo al comando, un simil - Berlusconi". Offerta alle altre opposizioni: "Uniamoci su 2 - 3 concetti fondamentali". Promette battaglia dura al ddl intercettazioni: "Cosa ci ha trovato Fini di migliorato nel testo?". La manovra economica la ritiene "una batosta ai redditi medio - bassi, al lavoro e agli investimenti"


Dalle intercettazioni alla manovra fino alla proposta di una piattaforma comune delle opposizioni contro le politiche del governo e al futuro del centrosinistra. Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani interviene a "Repubblica tv" sui temi centrali del dibattito politico del momento.

Manovra.
Bersani è netto sulla stangata da 24 e passa miliardi predisposta dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti: "O in Parlamento si modifica la manovra approvata dal consiglio dei ministri o da qui ad un anno siamo da capo dopo, però, aver dato una batosta ai redditi medio - bassi, al lavoro e agli investimenti". Queste le proposte dell'ex ministro dello Sviluppo economico: "Voglio tassare le rendite finanziarie e patrimoniali e voglio fare la lotta all'evasione a fatti e non a chiacchiere". Il ricavato "voglio metterlo a riduzione del carico su lavoro e sulle imprese perché se non cresciamo un po' non aggiusteremo il Paese -ha aggiunto il segretario del Pd- bisogna alleggerire lavoro e imprese e fare investimenti e curarsi degli snodi cruciali come la scuola". A proposito di scuola, Bersani ha ribadito quel "rompicoglioni" alla Gelmini che tante polemiche aveva destato quando venne pronunciato: "Io non ho insultato nessuno ma in modo un po' popolare ho detto una cosa sacrosanta: la smettano di rompere le scatole alla scuola".

Intercettazioni.
Bersani è decisamente insoddisfatto delle ultime modifiche fatte sotto il pungolo dei finiani: "La maggioranza non ha fatto alcun correttivo e bisogna richiamare tutti alla coerenza. Che cosa ci ha trovato Fini di migliorato nel testo?". Il segretario democratico tuttavia ha promesso opposizione al ddl "con tutte le forze" ma nello stesso tempo suggerito di non far prevalere la battaglia in questione su quella sociale: "Vedremo come condurre la battaglia di opposizione, io insisto su un punto: teniamola legata alla grande questione sociale, se andiamo sul fondo dell'opinione pubblica il tema sociale può prevalere sul tema democratico".

Opposizione.
Bersani ha invocato ancora una volta l'unità delle opposizioni: "Attenzione a fare a gara a chi fa più o meglio opposizione a Berlusconi perché questo non porta da nessuna parte. Serve un'unità non al vecchio modo, tutti assieme, ma su 2 - 3 concetti fondamentali dobbiamo attrezzarci perché siamo ad un momento di battaglia delicata". Sembra proprio un richiamo ai "duri e puri" dell'Italia dei Valori e non a caso a stretto giro è arrivata la nota di replica del capogruppo alla Camera dei dipietristi, Massimo Donadi: "'L'Italia dei Valori è pronta da due anni a fare una piattaforma comune sulla manovra così come sugli altri grandi problemi del Paese. Era ora che il Pd battesse un colpo. Noi mettiamo a disposizione la nostra contromanovra che, a differenza di quella del governo, non mette le mani nelle tasche degli italiani".

Bersani ha insistito sul fatto che "bisogna tenere unita battaglia sociale e battaglia democratica perché Berlusconi ha avviato un meccanismo populista che ha fatto sì che in 15 anni si ha avuta la paralisi delle riforme. Solo restringimenti di spazi ma zero riforme". Poi il segretario del Pd ha spiegato sulla stessa falsariga le ultime uscite di Berlusconi, contro magistrati, giornalisti e Corte costituzionale: "Fa sempre così, quando deve deviare l'attenzione da quello che lo preoccupa di più. Lui adesso sa che questa manovra chiude con il periodo delle favole. Non riesce a dire al paese la parola 'sacrifici' e piuttosto che farlo, la spara grossa". Bersani ha aggiunto: "Non che Berlusconi non sia pericoloso, perché poi fa anche dei fatti. Ma quando il tema sociale non regge, come con la manovra, lui spara sempre di più sul tema democratico. E' il suo meccanismo". La replica di Bersani al premier è dunque su due fronti: "Mentre gli rispondo 'tu hai giurato sulla costituzione e se non ti piace vai a casa' gli ricordo anche che lui sta alzando all'85 per cento la percentuale di invalidità per prendere l'indennità. Se non diciamo questo, l'invalido a casa rischia di non capire". Nello stesso tempo, tuttavia, è perplesso sull'annuncio dello sciopero dei magistrati: "Non è normale che i magistrati scioperino e questo contiene elementi di rischio verso l'opinione pubblica che non capisce. Non è uno sciopero politico e il problema c'è perché è una delle categorie più colpite dalla manovra ma è un'iniziativa opinabile".

Centrosinistra. Bersani si è soffermato anche sul futuro della coalizione di centrosinistra, quella che dovrà candidarsi alla guida del Paese. Chiarito che ritiene improbabile una nuova discesa in campo di Romano Prodi - "secondo me non ci pensa nemmeno" - il leader democratico ha ragionato sulla diversa concezione che ha dell'opposizione e della costruzione di una "squadra" per governare. Non rivuole l'Unione, "perché non funzionava", ma ritiene necessario "ragionare con tutte le forze che oggi sono all'opposizione in parlamento, vedendone tutte le distanze per l'amor di dio". In particolare, Bersani immagina due tipi di 'alleanza', un fronte per il Governo e un altro, più largo, che comprende tutti quelli che condividono una "certa idea della democrazia". Bersani ha detto: "Io voglio fare un primo 'cerchio' per governare, e un secondo 'cerchio' sulla tenuta della democrazia". Nel primo "cerchio" ci possono stare tutti quelli che condividono un programma di governo, mentre nel secondo rientrano anche coloro che semplicemente condividono una concezione delle regole base della vita pubblica". Lasciapassare necessario per entrare nel "primo cerchio" è ritenere "questa legge elettorale una vergogna".

Per individuare il candidato premier del centrosinistra, Bersani ha promesso primarie di coalizione, "cosciente che serve la partecipazione ma anche la determinazione a mettere in campo chi ha più chance". Ha proseguito: "Nello Statuto è scritto che il segretario è il candidato premier e io ho sempre detto che e' possibile ma non lo ordina il dottore. Ora sento che sul punto chi difendeva ad oltranza lo Statuto, lo mette in discussione...". In ogni caso, sostiene il leader Pd, "noi non avremo un uomo solo al comando. Non esiste nel centrosinistra l'idea di trovare un simil - Berlusconi, non ci serve il leaderismo perché il nostro popolo ci chiede un capo ma anche una squadra, certo migliore di quella fatta in passato".

http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=15082
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #54 inserito:: Giugno 13, 2010, 12:10:42 pm »

Care democratiche, cari democratici


pochi giorni fa il Governo ha presentato una manovra economica che non sostiene le famiglie e le imprese, che non contiene misure per i giovani e la crescita e prevede tagli indiscriminati destinati a colpire i servizi per i cittadini, dalla scuola alla sanità ai trasporti.

Saranno soprattutto le persone più deboli a pagare le conseguenze della manovra, che lascia invece al riparo le grandi ricchezze e le rendite e non combatte in modo efficace l’evasione fiscale. Tutto questo è inaccettabile!

Per questo il nostro partito ha deciso di promuovere una manifestazione nazionale per sabato 19 giugno, alle ore 10 al Palalottomatica di Roma, per un’altra politica economica, per la crescita e il lavoro, contro una manovra ingiusta e sbagliata, per dare voce a tutti i protagonisti sociali colpiti dalle scelte del Governo.

Vogliamo offrire al paese un’alternativa ispirata a equità e rigore, all’idea che nessuno sta bene da solo e che una comunità può crescere e progredire solo se è unita e solidale. Potete leggere e scaricare le nostre proposte sul sito del PD.

Ci vediamo sabato 19, sicuro che da voi possa venire il contributo prezioso di chi ogni giorno è a contatto con le persone, con le loro speranze e i loro problemi.

Ieri, il Senato ha approvato il ddl intercettazioni. Con la trentesima fiducia e una legge sbagliata, il governo continua il massacro della libertà. I senatori Pd hanno abbandonato l’Aula per non partecipare a quello che Anna Finocchiaro ha definito "un voto di fiducia che manca di legittimità". Ora tocca alla Camera, dove la nostra opposizione sarà durissima.


Bersani Pier Luigi Bersani
Segretario Nazionale del Partito Democratico

Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #55 inserito:: Agosto 26, 2010, 03:18:35 pm »

La lettera

"Nuovo Ulivo e un'Alleanza democratica per sconfiggere Silvio Berlusconi"

La svolta di Bersani: è ora di suonare le nostre campane.

Occorre l'impegno univoco di tutte le forze progressiste.

Il consenso per il Cavaliere è ancora largo ma il rapporto tra promesse e realtà è sempre più labile

di PIERLUIGI BERSANI


CARO direttore, dopo anni di illusione berlusconiana l'Italia continua a regredire sul piano economico e sociale e si allontana, alla luce di ogni parametro, dai paesi forti dell'Europa. Nello stesso tempo l'impegno a riformare e a rafforzare le istituzioni repubblicane si sta trasformando in una deformazione grave della nostra democrazia. Ci si vuole trascinare ad un sistema dove il consenso viene prima delle regole e cioè delle forme e dei limiti della Costituzione; dove si limita l'indipendenza della Magistratura; dove il Parlamento viene composto da nominati; dove il Governo ha il diritto all'impunità e ad una informazione asservita e favorevole; dove si annebbiano i confini fra interesse pubblico e privato. I segni di tutto questo li abbiamo potuti valutare in questi anni berlusconiani: regressione dello spirito civico e della moralità pubblica, politica ridotta a tifoseria, allargamento del divario tra nord e sud, nessuna buona riforma sui problemi veri dei cittadini. Il populismo infatti è, per definizione, una democrazia che non decide, specializzata com'è nell'usare il governo per fare consenso e non il consenso per fare governo. Il dato di fondo della situazione politica sta qui, mentre la questione sociale e quella del lavoro sono senza risposte e si drammatizzano ogni giorno. Il consenso per Berlusconi è ancora largo, ma il rapporto fra parole e fatti e fra promesse e realtà diventa sempre più labile anche nella percezione dei ceti popolari. Vengono alla luce degenerazioni corruttive che vivono all'ombra di un potere personalizzato. Gli strappi all'assetto costituzionale non sono più sopportati da una parte della destra attratta da ipotesi liberali e conservatrici di stampo europeo.

A questo punto per Berlusconi la scelta è fra ripiegare o alzare la posta. Per l'Italia la scelta non riguarda più solo un governo, ma finalmente una idea di democrazia e di società. La prossima scadenza elettorale, più o meno anticipata che sia, comporterà in ogni caso una scelta di fondo. Rispetto a tutto questo, la proposta alternativa soffre ancora di debolezze che devono essere rapidamente superate. Il venir meno di una promessa populista produce sempre, direttamente o specularmente, fenomeni di distacco dei cittadini dalla politica, una spinta alla radicalizzazione impotente, espressioni vere e proprie di antipolitica che possono insorgere da ogni lato. Il compito dell'alternativa è quello di trasformare grande parte di queste forze disperse in energia positiva, collegandole ad un progetto politico capace di sorreggere non solo una proposta di governo ma una proposta di sistema. Tocca al PD innanzitutto, come maggiore forza dell'opposizione, indicare una strada che colleghi efficacemente l'iniziativa di oggi alla sfida radicale e dirimente di domani.

Rendendoci disponibili oggi ad un governo di transizione non cerchiamo né scorciatoie né ribaltoni. Sfidiamo piuttosto la destra a riconoscere la realtà e ad ammettere l'impossibilità di mandare avanti l'attuale esperienza di governo e ad introdurre correttivi, a cominciare dalla legge elettorale, che consegnino lo scettro ai cittadini, per tornare poi in tempi brevi al voto. Sarebbe questo un tradimento del mandato elettorale? L'elettore in realtà è stato tradito da chi non è più in grado di rappresentare la sua coalizione e mantenere le promesse del suo programma. Sarebbe questo uno strappo costituzionale? Qui siamo all'analfabetismo o alla sfacciata malafede. E' l'esclusione in via di principio di questa ipotesi, il vero strappo costituzionale!

Chi ha rispetto della Costituzione della Repubblica e del suo Presidente deve considerare invece tutte le possibilità. Noi lo facciamo. Noi consideriamo la possibilità che il Governo provi a sopravvivere con una specie di respirazione artificiale, rifiutandosi di prendere atto della sua crisi politica. Una soluzione che non porterebbe lontano e alla quale risponderemmo con una opposizione netta. Riteniamo infatti doveroso che la destra in disfacimento certifichi la sua crisi in Parlamento. Consideriamo altresì la possibilità che la situazione precipiti verso un vuoto politico e verso elezioni svolte con questa sciagurata legge elettorale, in una situazione economica, sociale e finanziaria di acutissima criticità. In questo caso la nostra proposta avrebbe la stessa ispirazione che oggi ci fa proporre un governo di transizione; una ispirazione cioè che deriva dall'analisi di fondo cui ho accennato. Noi proporremmo un'alleanza democratica per una legislatura costituente. Un'alleanza capace finalmente di sconfiggere una interpretazione populista e distruttiva del bipolarismo, capace di riaffermare i principi costituzionali, di rafforzare le istituzioni rendendo più efficiente una salda democrazia parlamentare (a cominciare da una nuova legge elettorale) e di promuovere un federalismo concepito per unire e non per dividere. Sto parlando di una alleanza che può assumere, nell'emergenza, la forma di un patto politico ed elettorale vero e proprio, o che invece può assumere forme più articolate di convergenza che garantiscano comunque un impegno comune sugli essenziali fondamenti costituzionali e sulle regole del gioco. Una proposta che potrebbe coinvolgere anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto politico normale (come già avviene in Europa) avrebbero un'altra collocazione; una proposta che dovrebbe rivolgersi ad energie esterne ai partiti interessate ad una svolta democratica, civica e morale. Come si vede, questa idea nasce dalla convinzione che la fuoriuscita dal berlusconismo non sia un processo lineare, cioè legato ad una semplice alternanza di governo in un sistema che funziona. Si dovrà uscire, lo ribadisco, da una fase politica e culturale e non solo da un governo, verso una repubblica in cui alternanza e bipolarismo assumano la forma di una vera fisiologia democratica.

Per dare l'impulso decisivo a questo cruciale passaggio occorre l'impegno univoco, leale, convinto e coeso di tutte le forze progressiste, che sono adesso chiamate a mettersi all'altezza di una responsabilità democratica e nazionale. Come potrebbero queste forze essere credibili se in un simile frangente non dessero per prime una prova di consapevolezza, di unità e di determinazione comune? Ecco allora la proposta di un percorso comune delle forze di centrosinistra interessate ad una piattaforma fatta di lavoro, di civismo, di equità, di innovazione e disponibili ad impegnarsi ad una progressiva semplificazione politica e organizzativa che rafforzi il grande campo del centrosinistra. Un simile percorso dovrebbe lasciarci definitivamente alle spalle l'esperienza dell'Unione e prendere semmai la forma e la coerenza di un nuovo Ulivo. Un nuovo Ulivo in cui i partiti del centro sinistra possano esprimere un progetto univoco di alternativa per l'Italia e per l'Europa e mettersi al servizio di un più vasto movimento di riscossa economica e civile del Paese. Dunque, un nuovo Ulivo ed una Alleanza per la democrazia. Su queste proposte il Pd vuole esprimere la sua funzione nazionale e di governo.

Su queste basi politiche il Partito Democratico organizzerà per l'autunno una grande campagna di mobilitazione sui temi sociali e della democrazia. E' giunto il tempo infatti di suonare le nostre campane.

(26 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/26/news/lettera_bersani-6514997/?ref=HRER1-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #56 inserito:: Dicembre 30, 2010, 09:00:46 pm »

PD

Federalismo, Bersani alla Lega "Si discuta della nostra proposta"

All'apertura del leader democratico replica immediata di Calderoli: "Pronti a discutere anche domani".

Al centro dell'intervista con Sky anche la vicenda Fiat: "Non siamo divisi, abbiamo posizione chiara".

"Udc non entrerà nel governo".

"Col terzo Polo per andare tutti assieme oltre il Cavaliere".

"Al mio partito sei meno in coesione, sette all'iniziativa politica"


ROMA - Alla Lega, che chiede al Pd di fare le riforme assieme dopo aver detto sì al Federalismo, il leader democratico replica secco. Lo fa senza chiudere in modo netto, ma rivendicando l'autonomia della propria forza politica: "Noi riteniamo di essere federalisti, abbiamo una nostra proposta, se ragioniamo sulla nostra bene altrimenti se si tiene la sua, noi non ci stiamo".

Immediata la risposta in termini concilianti del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Ringraziandolo per aver risposto "ad un appello di responsabilità" sul federalismo, l'esponente del Carroccio invita Bersani a rileggere con attenzione la proposta del Pd dal momento che è stata bocciata dall'Anci che l'ha definita come una "tarsona" ovvero come il ritorno di una tassazione sulla prima casa. "Noi - spiega Calderoli - restiamo contrari alla tassazione della prima casa intesa in termini di possesso, noi intendiamo mantenere questa posizione e introdurre anche un vantaggio per gli inquilini che non avendo le risorse per poter comprare la prima casa sono costretti ad affittarsela: se dal Pd viene accettato questo presupposto mirato a garantire che tutti, come proprietari o come affittuari, debbano avere una prima casa con tutti i conseguenti vantaggi fiscali legati alla prima casa, allora sono pronto ad anticipare quel tavolo che abbiamo già convocato con tutte le forze politiche per martedì 11 gennaio e sono pronto a farlo partire già dal primo di gennaio e per i giorni a seguire". "

Lavoriamo nei primi dieci giorni di gennaio - suggerisce ancora Calderoli - per dare finalmente concrete risposte al Paese. E visto che qualcuno parla in questi giorni di catena di montaggio - conclude Calderoli in tono ironico - diamo una dimostrazione concreta che anche la politica è disponibile a lavorare ad una vera catena di montaggio delle riforme ...".
 
L'intervista a Sky di Bersani è stato però a tutto campo, toccando anche gli altri temi dell'attualità politica, a cominciare dall'allargamento della maggioranza, necessario perché non si arrivi ad una crisi formale. Bersani non sembra credere all'ipotesi di una Udc che entri a far parte dell'esecutivo. "Tenderei a escluderlo", perché "verrebbe meno" alla linea fin qui tenuta.

Dal segretario democratico analogo scetticismo sulla possibilità di elezioni. "Sulle elezioni io non ci scommetto. Deve scommetterci Berlusconi. Se ci arriviamo, però, deve essere chiaro che è la proclamazione del suo fallimento totale".

E il Terzo polo? Bersani rinnova l'invito a tutte le forze di opposizione a lavorare insieme per andare non solo contro Berlusconi ma ''oltre Berlusconi''. "Negli ultimi due anni questo polo in costruzione e' venuto via dal centrodestra e si e' creata una formazione politica in nuce, in embrione, che deriva dal rifiuto di una piegatura populista del centrodestra''. Quindi, serve un cammino assieme, "per una fase che faccia una riforma della Repubblica e proponga un grande patto per il lavoro e la crescita, cosi' da uscire da un peridoo ormai decennale. Su questo noi lavoreremo su una nostra piattaforma da mettere a confronto''.
 
Riguardo il fatto che Pd possa privilegiare una alleanza con Casini, si resta sul vago. ''Io - dice Bersani - voglio far uscire con tutte le forze che ho il dibattito dal politicismo. E' ora di parlare di Italia, abbiamo davanti un sacco di problemi''. "Il Pd, 'che e' la più grande forza di opposizione', deve presentare 'una piattaforma di riforme, che riguardano la democrazia e il lavoro'' chiedendo che ''su quelle si apra un confronto con tutte le forze di opposizione".

Articolato anche il discorso sul caso Fiat. Il leader Pd smentisce divisioni e spiega: "Detto che sulla questione produttiva 'i lavoratori si pronunceranno, noi ci auguriamo che l'investimento venga confermato perche' e' molto importante per Torino e l'Italia''. Ma, aggiunge, "nell'accordo della scorsa settimana 'c'e' una cosa che non va e che riguarda la rappresentanza, perché non e' giusto che chi dissente venga tagliato fuori dai diritti sindacali. Chi dissente non puo' impedire'' l'applicazione dell'accordo ma ''non puo' essere tagliato fuori. Su questo bisogna rimontare e il governo dovrebbe favorire i meccanismi di partecipazione''.

Infine, il partito. Al quale Bersani dà i voti. Se meno per coesione interna, sette per l'iniziativa politica, sei meno per il consenso. "Bisogna ricordare che in epoca berlusconiana fare opposizione è il mestiere più difficile in tutto l'occidente. Quindi voto 7 quest'anno e per l'anno prossimo 7 più".

(30 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/30/news/federalismo_bersani_alla_lega_si_discuta_della_nostra_proposta-10710413/?ref=HREC1-2
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #57 inserito:: Febbraio 01, 2011, 12:15:06 pm »

La lettera

Bersani: dal presidente del Consiglio proposta che arriva fuori tempo massimo

La ricetta del leader del Pd. «Il motore della crescita è la riduzione delle disuguaglianze»

 
di  PIERLUIGI BERSANI *


Caro Direttore,
il mio partito sta lavorando ormai da un anno ad un progetto per l'Italia. Alla nostra Assemblea nazionale di venerdì e sabato se ne discuterà la prima sintesi. Benché tanti dei nostri documenti approvati siano pubblici, si è trattato di un'operazione svolta, nostro malgrado, in clandestinità, essendo l'agenda politico-mediatica sempre occupata da ben altri temi e contingenze.

Noi ci siamo fatti un'idea piuttosto precisa della situazione italiana e dei possibili e difficili rimedi. Stiamo ragionando come un partito di governo temporaneamente all'opposizione. Con questa stessa attitudine, considero la proposta che il Presidente Berlusconi mi rivolge dalle pagine del Corriere. Non nascondo la mia prima impressione: se la proposta è un astuto diversivo per parlare d'altro, mostra di essere davvero tempestiva; se è sincera, suona singolarmente estemporanea! D'altra parte negli anni trascorsi abbiamo imparato a nostre spese che Berlusconi ama gettare ponti quando è in difficoltà per abbatterli un minuto dopo. Ma non amo divagare o scherzare quando finalmente si può parlare di Italia. Nemmeno voglio dilungarmi in recriminazioni a proposito della sprezzante indifferenza con cui sono state ignorate dalla maggioranza in questi due anni le proposte pragmatiche dell'opposizione.

Non posso tacere, tuttavia, dell'umorismo un po' macabro di cui Berlusconi fa sfoggio concedendomi «sensibilità» in materia di liberalizzazioni. Se chi ha fatto la liberalizzazione del commercio, dell'elettricità, delle ferrovie e di un certo numero di mestieri e di attività economiche è una persona «sensibile al tema», come definiremmo chi ha testardamente osteggiato tutto questo, chi ha affidato formalmente la riforma delle professioni agli ordini professionali, chi detiene personalmente posizioni dominanti in gangli vitali della vita civile?

Ma passiamo oltre, e parliamo di cose serie. Negli ultimi dieci anni i nostri problemi antichi si sono drasticamente aggravati. Il Sud si allontana dal Nord, il Nord si allontana dall'Europa. Non c'è indicatore che non lo certifichi. La crisi ha accelerato il divario rispetto ai Paesi con cui siamo stati per molti anni in compagnia. Ci giochiamo il nostro ruolo nella divisione internazionale del lavoro; ci giochiamo la tenuta di un sistema di welfare e, in particolare, le prospettive di occupazione e di reddito della nuova generazione. Il fatto di essere, in Europa, il grande Paese a più bassa crescita e a debito più alto ci espone inevitabilmente a possibili tempeste. La positività e l'ottimismo tanto cari al Presidente del Consiglio possono venire solo dalla verità e dall'avvio di una riscossa e non dalla retorica oppiacea dei cieli azzurri che ha colpevolmente paralizzato le enormi energie potenziali del Paese (nemmeno può servire allestire astutamente bersagli immaginari: nella nostra proposta sul fisco discussa e approvata alla Camera si parla di evasione e di rendite, non di patrimoniali!).

Mi predispongo a proporre, assieme al mio partito, una scossa riformatrice che riguardi assieme democrazia ed economia. Una riforma della Repubblica che investa il funzionamento delle Istituzioni, la legge elettorale, un federalismo credibile, la giustizia e la legalità, la concorrenza e i conflitti di interessi, l'immigrazione, i costi della politica, i diritti, la dignità e il ruolo delle donne. Un nuovo patto per la stabilità, la crescita e l'occupazione, fatto di riforma fiscale, di liberalizzazioni, di norme sul lavoro, di riforma della pubblica amministrazione, di politiche industriali e dell'economia verde, di ricerca e tecnologia. Staremo al concreto e ci rivolgeremo con il nostro progetto alle forze sociali, all'arco ampio dei partiti di opposizione e a chiunque voglia discutere con noi.

Ma eccoci al punto. Quel che serve, in modo ineludibile, è uno sforzo collettivo in cui chi ha di più deve dare di più; in cui la riduzione delle diseguaglianze sia un motore della crescita; in cui tutti accettino di disturbarsi leggendo il futuro con gli occhi della nuova generazione. Uno sforzo paragonabile a quelli più ardui che abbiamo pur superato nella nostra storia repubblicana. Chi chiamerà a questo sforzo? Con quale credibilità? Con quale coerenza, con quale sincerità? Con quale capacità di unire un Paese diviso? Lo si lasci dire a un cosiddetto pragmatico: pensare di fare riforme difficili senza metterci la spinta di quei valori sarebbe come pretendere di tenere in piedi un sacco vuoto.

Per rivolgersi oggi credibilmente all'opposizione bisognerebbe che il Presidente Berlusconi fosse in grado di rivolgersi credibilmente al Paese. Non è così. Il Presidente del Consiglio non è in condizione di aprire una fase nuova: ne è anzi l'impedimento. Nessuna partita si può giocare a tempo scaduto. Ormai il Paese non chiede al Presidente Berlusconi un programma: gli chiede un gesto. Mentre l'Italia perde drammaticamente la sua voce nel mondo ed è paralizzata davanti ai suoi problemi, se ci fosse da parte del Presidente del Consiglio la disponibilità a fare un passo indietro, tutti dovrebbero garantire, e ciascuno nel suo ruolo, senso di responsabilità ed impegno. Se questa non sarà l'intenzione, il nuovo progetto per l'Italia dovrà essere presentato agli elettori. Noi ci accosteremmo a quella scadenza chiedendo a tutte le forze di opposizione di impegnarsi generosamente non «contro» ma «oltre»; in una operazione comune, cioè, di ricostruzione delle regole del gioco e del patto sociale, capace di suscitare, in un Paese sconfortato, un'idea di futuro.

* segretario del Pd

01 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_febbraio_01/bersani
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #58 inserito:: Luglio 20, 2011, 10:16:25 am »

I punti della relazione di Bersani


LA CRISI INTERNAZIONALE
I protagonisti che hanno provocato la crisi finanziaria sono ancora in campo: Non si vede ancora l’alleanza necessaria tra la politica cre riprende il suo ruolo e l’economia reale. E si propone una drammatica contraddizione. Mentre la globalizzazione imporrebbe la ricerca di un governo condiviso a livello mondiale i meccanismi di ricerca del consenso portano invece verso posizioni di chiusura e di divisione. L’esempio lampante è quello della Germania, che con l’euro ha potuto guadagnare posizioni nell’espansione della propria economia, ma che davanti a un problema come quello greco, che rappresenta appena il 3 per cento del pil europeo, sembra interessata più a una punizione della spesa facile che alla salvezza dell’euro e dell’Unione.

L’EUROPA E LA CRISI
Le destre, che hanno guidato fin qui l’Europa, cominciano a perdere consensi. Ma questo non significa che si realizzi un cambiamento con facilità. Siamo vicini a numerose elezioni. Francia, Germania, Polonia, Romania, Croazia. Saranno elezioni che si svolgono in una fase recessiva. Credo dunque che sarebbe bene avere una piattaforma europea dei partiti progressisti per avviare campagne elettorali radicali. Una piattaforma che punti alla crescita economica, senza la quale non si affronta il problema del debito; che chiarisca che lasciare affondare i paesi marginali significa segare i rami su cui tutti gli europei sono seduti; che riconosca che la diversa competitività dei paesi europei è un problema da mettere e affrontare in comune; che metta al centro il tema della domanda aggregata. Il Pd ha già avanzato in particolare il progetto di un’agenzia europea per gestire il debito pubblico che gli stati hanno accumulato per salvare i propri istituti finanziari dalla crisi, la tassazione delle transazioni finanziarie, l’emissione di eurobond per finanziare gli investimenti. Noi italiani possiamo essere protagonisti di questa fase. Sapendo che ciò che è accaduto nelle ultime settimane è solo un’onda del mare della crisi. Gli investitori finanziari sono tornati a battere sul tasto della sfiducia sull’euro e sull’Europa.

L’ITALIA E LA CRISI
E’ chiaro a tutti che con una crescita bassa non si capisce come si potrà ripagare il debito. Per di più, dopo aver visto per tre anni questo governo il mondo ha capito che non siamo credibili. Fino a un mese fa, complice uno straordinario conformismo, si discuteva con i titoli a nove colonne sulla riduzione delle tasse. Ora ci troviamo nella condizione di dover subire manovre pesantissime. La verità è che in questi tre anni non c’è stata una politica economica, né una politica industriale. Ci sono stati filosofemi. Messaggi e suggerimenti con continue oscillazioni, il fai da te, l’individualismo, poi sullo statalismo. Ma niente di risoluto o di sostanziale. E sono stati aboliti di fatto tutti i luoghi e tutte le possibilità di discussione e di confronto. Consigli dei ministri chiusi in cinque minuti. Fiducie a raffica. Non c’è stato un solo luogo dove discutere. Quella del tenere in conti in ordine in questa condizione è stata una leggenda. Abbiamo tagliato la spesa per la scuola e abbiamo speso di più negli sperperi. Altro che riduzione della spesa pubblica. Nessuna vera riforma. Quando sotto i colpi della speculazione siamo arrivati al dunque, abbiamo fatto bene a concedere l’accelerazione dei tempi. Ma qui si ferma la nostra responsabilità per una manovra approvata con la fiducia e che è sbagliata e iniqua. Se tocca a noi garantiamo che i saldi resti invariati, ma che correggeremo il senso della manovra. Anzi noi in base alle proposte che abbiamo già elaborato siamo in grado di dare anche un altro contributo di qualità e di efficienza su quattro punti decisivi:
- 1) Il Risparmio nella Pubblica amministrazione. Nel documento che abbiamo approv ato nella nostra assemblea nazionale ci sono moltissime indicazioni. Dobbiamo andare avanti anche con le nostre proposte istituzionali su province, Comuni, società comunali. Noi abbiamo dimostrato, quando abbiamo governato, di saper intervenire con efficienza. Certo potevamo anche fare di più. Ma non c’è dubbio che abbiamo fatto meglio.

In questo capitolo ci sono i costi della politica. Bisogna tirare una linea e presentare proposte concrete perché effettivamente il problema esiste. Dunque dobbiamo essere fermi nel determinare interventi e iniziative. Poi bisogna tirare la riga e da lì dobbiamo difendere a spada tratta la buona politica dall’antipolitica. Adesso che la destra capisce di perdere questo sta facendo: sta mettendo fango nel ventilatore per mandare tutto allo sfascio. Dunque dobbiamo intervenire effettivamente sulle cose che vanno cambiate. E poi da lì in poi lottare per difendere la buona politica. Dobbiamo fare anche in fretta, perché solo se intervieni sulle tue cose, come per esempio i vitalizi che noi vogliano riportare nell’alveo della previdenza che riguarda tutti gli altri cittadini iscritti all’Inps, sugli stipendi dei parlamentari da riportare nella media europea, sull’incompatibilità tra i diversi incarichi, sulle province, sui comuni, sulle società comunali, solo così puoi parlare e intervenire sui privilegi degli altri. E nella società italiana di situazioni di privilegio ce ne sono moltissime.

- 2) Il Fisco. Noi dobbiamo riequilibrare il carico fiscale. Chi ha di più deve dare di più.

- 3) Le liberalizzazioni.

- 4) La politica industriale.

IL QUADRO POLITICO
Ma si può fare tutto questo con il quadro politico attuale? Può dare questo governo un’idea di stabilità? No. La strada maestra è quella del voto. Sono convinto che se si presentano programmi nuovi a confronto, tutti nella garanzia del rispetto dei saldi, e protagonisti nuovi, mercati e investitori capiranno. Intanto non stiamo con le mani in mano. Con Idv e Sel stiamo discutendo le proposte di programma. Con l’Udc abbiamo concordato in Parlamento gli emendamenti alla manovra. Se poi, dopo le dimissioni del governo, ci fossero le condizioni per la formazione di un governo di breve transizione per fare la riforma della legge elettorale, noi potremmo essere disponibili. Ma questo passaggio presuppone tempi stretti e che non restino al loro posto coloro che ci hanno portato fin qui.

LEGGE ELETTORALE
E’ importante che oggi approviamo la nostra proposta, che ha caratteri abbastanza comprensivi sia di questioni di sistema sia di questioni più politiche, uno strumento che non chiude le porte nella discussione con le altre forze politiche, accompagna il bipolarismo , garantisce un buon equilibrio tra maggioritario e proporzionale e che ciascun partito possa presentarsi con il proprio volto. Prevede un collegio nominale a doppio turno e garantisce meccanismi per la parità di genere e che prevede che i gruppi parlamentari corrispondano alle liste presentate alle elezioni. Nel frattempo sono state avviate le procedure per la presentazione di due referendum. Uno, proposto da Passigli, l’altro che punta al ripristino del mattarellum. In entrambi i casi, sia pure per ragioni diverse, gli esiti non sono coerenti con le proposte del Pd. Credo dunque che sia da sostenere la nostra proposta.

19 luglio 2011
da - http://www.unita.it/italia/i-punti-della-relazione-di-bersani-leggi-1.315131
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #59 inserito:: Luglio 20, 2011, 10:17:40 am »

Parla Bersani: «Così ricostruiremo il Paese»

di Simone Collini

«Ricostruiremo noi l’Italia», dice Pier Luigi Bersani il giorno dopo l’approvazione di una manovra «spudoratamente classista e che non porta il Paese fuori dalla tempesta». Per il leader del Pd il dato fondamentale di questo passaggio è che «di fronte a scelte assurde o profondamente negative tutta l’opposizione parlamentare ha concordato sia l’assunzione di responsabilità sui tempi, sia la fortissima critica sui contenuti»: «Per la prima volta dopo tre anni, Pd, Idv e Udc hanno presentato emendamenti comuni. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento difficile come questo dobbiamo lavorare all’unità dell’opposizione e alla definizione di un’alternativa credibile».

Anche perché, dice Bersani ripensando ai colloqui con capi di Stato e di governo incontrati nel viaggio in Medio Oriente da cui è da poco rientrato, «è urgente rilanciare il ruolo dell’Italia nel mondo»: «Il berlusconismo ha portato un grande Paese come il nostro a non discutere neanche di quel che avviene alla porta di casa. È desolante come siamo avvitati su questioni domestiche, spesso di serie C, come questo governo non si renda conto che quanto sta avvenendo al di là del Mediterraneo sia rilevante per il nostro futuro».

Sicuri che il vostro «senso di responsabilità» sia stato compreso dai cittadini, che non veniate giudicati anche voi responsabili di una manovra come questa?
«Un governo in difficoltà, con la sua comunicazione, prova a far condividere delle responsabilità che sono solo sue. Ma la realtà dei fatti è semplice. Da un mese il governo aveva annunciato la fiducia, come aveva già fatto 46 volte. La nostra responsabilità è stata quella di accettare il cambio dei tempi. Lo abbiamo fatto vedendo che l’Italia era aggredita dai mercati internazionali, sapendo che due settimane di confusione in una situazione già drammatica avrebbero potuto portare guai peggiori e sapendo che i costi dei danni provocati si scaricano sempre sui più deboli. Ma la nostra responsabilità si ferma qui, sul baratro di guai peggiori».

Dice invece Berlusconi che ora che è stata approvata la manovra “l’Italia è più forte”.
«Non è così, hanno imbastito una manovra carica di tasse e senza alcuna riforma, che non ci metterà al riparo dai mercati e che ha innescato una bomba a orologeria che scoppierà tra il 2013 e il 2014. Dopo tre anni in cui il governo ha perseguito una politica economica sbagliata, neanche questa volta è stata fornita la risposta all’interrogativo di fondo, e cioè come fa un Paese con un debito così alto a pagare quel che deve crescendo poco o nulla. È vero che c’è un attacco all’Euro, è vero che imperversa la speculazione, ma se siamo tra i paesi più deboli dell’Unione è perché non c’è una minima strategia per la crescita. Senza un pacchetto di riforme da dare in pegno all’Europa per un rientro più sensato, meno pesante, rimaniamo in mezzo alla tempesta».

Voi siete disposti a confrontarvi col governo su queste riforme per la crescita “nel modo più aperto e concludente”, per utilizzare le parole del Capo dello Stato?
«L’appello del Presidente Napolitano, che riconosce che nessuno ha rinunciato alle proprie posizioni, è a presentare un pacchetto di riforme, e noi abbiamo già avanzato delle proposte indicative già nel corso della discussione della manovra. Abbiamo indicato un elenco di liberalizzazioni, di interventi per ridurre i costi dell’amministrazione e quelli della politica, abbiamo anche presentato una proposta di riforma fiscale e una per un diverso sistema degli appalti. Se si tratta di avanzare proposte di riforma, noi sono tre anni che lo facciamo. Se si tratta di ritenere che il quadro politico lo consenta però no, non pensiamo che sia possibile».

Perché per voi Berlusconi non ha la credibilità sufficiente?
«Non è per noi. È agli occhi del mondo che Berlusconi non ha credibilità. Se dopo le amministrative e il referendum è emerso con evidenza che non ha più la fiducia del Paese, ora è evidente che non ce l’hanno neanche i mercati e le cancellerie internazionali».

Ha la fiducia in Parlamento.
«I numeri gli consentono una sopravvivenza estenuata. Parlano della stabilità di questo governo come se fosse la medicina mentre è parte della malattia».

Va bene ma se le dimissioni non arrivano, voi cosa intendete fare?
«Intanto dobbiamo chiarire come la pensiamo noi, e cioè che parte del rimedio è una ripartenza che passi per un confronto elettorale, con nuovi protagonisti, nuove idee, nuovi impegni».

Un governo istituzionale no?
«Siamo anche pronti a discutere la possibilità di una fase di transizione che nei tempi utili consenta una riforma elettorale. Ma a condizione che i vecchi protagonisti si facciano da parte. Se invece chi ci ha portato in questa situazione intende sopravvivere navigando da un incidente all’altro, si tratterà di una responsabilità gravissima che si assume totalmente».

Di nuovo: e voi intanto cosa intendete fare?
«Utilizzeremo tutte le occasioni parlamentari per porre fine a questa situazione e tutte le possibilità che abbiamo nel Paese, comprese le Feste, per far crescere il senso comune della necessità di una ripartenza. Sul piano della politica, lavoriamo per comporre uno schieramento d’opposizione unitario».

Dall’Udc a Sel passando per l’Idv? Non teme che l’alternativa sia poco credibile?
«Guardi che la vera novità politica di questo passaggio non è tanto nei tempi di approvazione della manovra, ma il senso di responsabilità dimostrato dalle forze di opposizione. Per la prima volta in tre anni il Pd, l’Udc e l’Idv hanno proposto correttivi comuni, hanno presentato in Parlamento emendamenti insieme. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento delicato come questo bisogna costruire l’unità dell’opposizione. E lo stiamo facendo concretamente, mantenendo un costante rapporto con l’Udc e lavorando su tavoli tecnici con Idv e Sel. Così stiamo costruendo una credibile alternativa di governo. Sapendo anche che più passano i giorni senza che si verifichi una svolta, più avremo l’esigenza di una ricostruzione. E quindi il prossimo non sarà un passaggio di governo qualsiasi».

Anche perché il grosso della manovra viene scaricato nel biennio 2013-2014, quando a governare saranno altri: nel caso ci foste voi al governo?
«Terremmo invariati i saldi della manovra, ma ne cambieremmo segno e composizione. Alcuni segnali già li abbiamo dati. Due regioni governate da noi, Emilia Romagna e Toscana, non applicheranno l’aumento del ticket sanitario, mentre in Parlamento già abbiamo depositato una proposta di legge che eliminerebbe l’aggravio indicando anche una copertura diversa. Ma è l’intero impianto di questa manovra che va cambiato perché sono state compiute scelte di un micidiale classismo. C’è il taglio lineare della detrazione fiscale, che colpisce famiglie e lavoratori, cioè chi paga le tasse, mentre non c’è un rigo contro l’evasione fiscale e c’è anche un mezzo condono. La tempesta non è passata e noi dovremo compiere un’operazione di ricostruzione in tempi molto difficili».

E con un sentimento di antipolitica che, a giudicare dagli ultimi tempi, è piuttosto in crescita. Dice che l’opposizione e in particolare il Pd, per come si sta muovendo sui costi della politica, ha la credibilità per affrontarlo efficacemente?
«Noi abbiamo avanzato proposte precise e coraggiose sui costi della politica e sul tema degli sprechi e dei privilegi. Come il superamento dei vitalizi per i parlamentari, la riduzione del numero di deputati e senatori, la riduzione delle società pubbliche, l’abolizione delle province al di sotto dei 500 mila abitanti, uscendo in questo caso dalla questione demagogica di cancellarle tout court senza dare conto di cosa fare delle funzioni che svolgono. Non accettiamo che questo tema delicato venga agitato in nome dell’antipolitica, o che venga confuso con il tema istituzionale. Altrimenti con certi toni di questo passo si chiederà di abolire il Parlamento e il Quirinale, perché costano, e di reinserire invece la figura del Podestà, tanto per risparmiare».

Non la preoccupa che senza qualche concessione alla demagogia si rompa quell’alleanza tra voi e società civile che si è vista alle amministrative, al referendum, nelle piazze in primavera?
«La mia preoccupazione principale è tenere un punto fermo, e cioè che senza politica comanda solo il miliardario. La Germania, paese che galoppa di più, non ha il miliardario ma i partiti. Detto questo, ci vuole una politica sobria, ci vuole la buona politica. Che rivendica il suo ruolo ineludibile, indicare dove va il Paese e garantire maggioranze che consentano un governo, ma conosce i suoi limiti. Che sta sotto il palco e arrotola le bandiere in presenza di movimenti che la convincono e che sa quand’è invece il momento di dispiegarle, queste bandiere».

E sulla legge elettorale? Secondo lei come dovrebbe muoversi la politica, e in particolare il Pd, considerando anche che in campo ci sono due referendum diversi per superare il Porcellum?
«Martedì in Direzione propongo un testo di riforma coerente con la logica bipolare, che consente all’elettore attraverso un semplice voto sulla scheda di determinare anche la maggioranza di governo, che prevede il doppio turno e induce alle convergenze, che garantisce il diritto di tribuna, la presenza femminile e il fatto che i gruppi parlamentari possono essere formati soltanto da forze presentate alle elezioni. Io chiedo che il partito sostenga questa proposta e di discuterla con le altre forze politiche. Questo tocca ai partiti. Il resto va lasciato alla società civile».

17 luglio 2011
da - http://www.unita.it/italia/bersani-cosi-ricostruiremo-il-paese-1.314488
Registrato
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 ... 8
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!