LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. => Discussione aperta da: Admin - Luglio 11, 2007, 05:00:06 pm



Titolo: BERSANI -
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2007, 05:00:06 pm
POLITICA

Bersani: "Volevo una scelta plurale, ora non farò il feudatario"

Il ministro: "Credevo nella mia candidatura ma molti nei Ds non avrebbero capito"

"Rinuncio a correre ma serve un partito da combattimento"
di MASSIMO GIANNINI


"ORA - non mi dite che sono uno sconfitto. Cosa fatta capo ha: guardo avanti, io sono così...". Da buon pragmatico della bassa emiliana, Pierluigi Bersani prova a girarla in positivo. Costretto dal peso dell'apparato diessino, neanche fosse l'ombra del "comitato centrale" del vecchio Pci, ha dovuto rinunciare suo malgrado a correre con Veltroni per la leadership del Pd. Avrebbe voluto. Alla fine si è arreso alla logica dell'uomo solo al comando. Per disciplina di partito. Ma adesso, dopo un'ora di conversazione, non lo si può immaginare come il Pangloss di Voltaire, che ce le prende da tutte le parti ma resta convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili. "È stato un errore - confessa a bassa voce il ministro - e io l'avevo detto fin dall'inizio: partito nuovo, proposta nuova, meccanismi nuovi. Per la leadership è meglio una scelta plurale. Non mi hanno ascoltato...".

Non c'è astio. Non c'è polemica, nelle parole di Bersani. Ma la preoccupazione per una falsa partenza del Partito democratico, al di là dei destini personali, quella sì, c'è eccome. "Non è un mistero per nessuno - ragiona adesso nel suo ufficio al ministero di via Veneto - che avrei preferito una partenza plurale, anche dal lato Ds. Una formula aperta, che avrebbe potuto allargare il campo, aggregare maggiori consensi, riscaldare i nostri elettori. Ma strada facendo mi sono reso conto che questa, che a me appariva un'opportunità, stava diventando un problema...". Un problema interno alla Quercia, innanzi tutto. Ma non solo: "Sui grandi giornali ho letto commenti autorevoli secondo cui la discesa in campo di Veltroni lasciava spazio solo a candidature con piattaforme conservatrici, o tutt'al più a isolati gesti d'orgoglio. Nelle mie corde non c'è mai stata né l'una nè l'altra cosa. Così ho cominciato ad avvertire un disagio, che alla fine mi ha convinto a rinunciare".

Rinuncia costosa. Sul piano personale, ma anche sul piano politico. "Sì, lo so che ci sono stati parecchi delusi. Ma la mia non è una ritirata. Ci metto la stessa voglia e lo stesso entusiasmo di prima. Anzi, ce ne metto di più...". Non si fatica a credergli. Anche se qualche strascico, nei Ds, questa vicenda lo lascia. Pierluigi ha pagato il "patto di non belligeranza" segretamente sottoscritto tra lo stesso Veltroni, Fassino e D'Alema. In effetti non si può dire che i vertici del partito abbiano sostenuto la corsa di Bersani. Lui sfugge alla provocazione, ma con qualche sofferenza: "Mettiamola così: diciamo che dal mio partito non ho ricevuto sollecitazioni ad andare avanti. Ma d'altra parte io mi rendo conto che la situazione non era semplice. Tra la nostra gente erano in molti che sostenevano la mia candidatura, ma erano in molti anche quelli che non vedevano particolari ragioni per un antagonismo tra me e Walter. In fondo, tutti e due siamo impegnati allo stesso modo nella partita del cambiamento. E allora, mi dicevano, perché dovete distinguervi?".

Ragionamenti di pancia. Bisogno della base di sentirsi rassicurata, su una scelta finalmente unitaria, almeno sul leader. Il ministro del Nord capisce. E si adegua. Ma da qui a dire che tutto va bene, ce ne corre. Bersani non rinuncia alla battaglia. Cambia solo il terreno di gioco: dagli organigrammi ai programmi. "La leadership è importante, ma non è tutto. A questo punto io riverserò tutto il mio impegno per far vivere nel partito democratico le idee in cui credo. A partire da un punto cruciale: di che partito democratico ha bisogno questo Paese? Guardate, io in questi mesi ho girato l'Italia, e ho arato il Nord in lungo e in largo, altro che viaggio nei distretti. Ho incontrato associazioni territoriali, rappresentanti di oltre 100 categorie produttive. E vi dico questo: c'è una rottura acuta tra la società e la politica. Ma c'è una spaccatura ancora più profonda tra la società e il centrosinistra. La globalizzazione galoppa, il nostro sistema economico soffre l'anchilosi del Paese. A quelli che stanno sul fronte saltano i nervi, quelli che stanno al riparo si rinchiudono sempre di più nelle casematte difensive, nelle caste corporative, nelle reti familistiche, nel capitalismo di relazione. Questa frattura sociale produce reazioni anarcoidi e spinte centrifughe, di cui noi dobbiamo preoccuparci. Le idee unificanti diventano liquide, non fanno più presa. Tra queste io ci metto l'idea di uguaglianza, che invece per il centrosinistra rischi di spegnersi nella pura difesa dei simulacri delle vecchie conquiste".

Questo centrosinistra è miope, nella visione di Bersani: "Non vediamo più il punto fondamentale: nell'Occidente siamo il Paese in cui è più ampia la forbice tra i redditi, e in cui c'è meno mobilità sociale. Questa realtà deve diventare una vergogna, per chi dice di essere di sinistra. E allora, se questo è il problema, noi dobbiamo chiederci: c'è un leader che dice all'Italia "fai quel che vuoi", oppure c'è un leader che richiama gli italiani a una cittadinanza comune, a un civismo rinnovato? Io dico che abbiamo bisogno di un Partito democratico che, per rendere davvero un servizio a questo Paese, non può cadere in logiche verticistiche o parate comunicative, e deve evitare di caratterizzarsi per la sua insostenibile leggerezza. Noi abbiamo bisogno di gente che partecipa, non di gente che applaude...". Il ministro nega che in queste sue parole, vagamente allusive, si debba cogliere un qualche riferimento a una qualche natura "estetica", prima ancora che politica, del "veltronismo". "Sono cose che ho sempre detto e che ho sempre pensato - commenta - e da molto prima che Walter scendesse in campo...".

Ma in questo giudizio, evidentemente, sta comunque un'idea di Partito democratico non del tutto omogenea rispetto a quella vagheggiata dal sindaco di Roma. "Io - spiega Bersani - voglio che il Pd sia il partito delle riforme. Non più un partito riformista: questa formula mi ha stancato, ti puoi definire riformista quando le riforme le hai fatte, non più solo quando prometti di farle. Per questo serve un linguaggio fatto di proposte chiare e concrete, che la gente capisce: non rispondi più ai bisogni radicali del Paese, se vivi di un meccanismo comunicativo in cui usi una stessa parola con cinque significati diversi". L'uomo del Nord non lo dice, ma il riferimento può valere per tutti i nodi che il centrosinistra di oggi non riesce a sciogliere: dalle pensioni al referendum. Non solo. Bersani va oltre:
"Voglio che il Pd sia un partito da combattimento, sui contenuti: io non voglio lasciare incustodita la parola "sinistra", che per me vuol dire battersi per i valori del lavoro, della democrazia, della cittadinanza. Voglio che il Pd sia un partito a vocazione maggioritaria, ma pronta a fare la traversata nel deserto. Un partito popolare, perché deve mobilitare il popolo. Un partito federalista, perché deve avere un fortissimo radicamento territoriale. Deve essere aperto, libero, capace di dire cosa pensa, e deve essere costruito con forme diverse da quelle cui allude questa nostra falsa partenza...". Il messaggio alle nomenklature Ds e Margherita è implicito, ma un attimo dopo viene in chiaro: "Riterrei inammissibile che la scelta del comitato dei 45 sulla selezione dei candidati regionali avvenga in modo diverso da quella del leader nazionale. Noi non possiamo avere un leader del Pd votato direttamente dagli elettori a Roma, e tanti leader scelti da Ds e Margherita sul territorio. Sarebbe la fine".

Ce n'è in abbondanza. Ma per fare che cosa, ora che ha dovuto rinunciare a candidarsi alle primarie d'autunno? Viene il sospetto che lo sbocco sia una bella "corrente" del Pd, come succedeva alla vecchia Dc. "Sì, qualcuno magari ci proverà. Ma io non mi ci metto dentro. Se non ho fatto il candidato, tanto meno farò il feudatario...". Allora, in nome dell'unanimismo sovietico della Quercia, non resta che una bella "lista Bersani per Veltroni". "No - risponde - non credo nelle liste nazionali di appoggio a un solo candidato. Sa cosa sogno? Io per il 14 ottobre sogno un'assemblea dove si presentano 2.500 persone, e ognuna si porta dietro solo ciò che pensa, e non si presenta lì perché appartiene a una cordata. È una costituente, giusto? E allora serve l'ambizione dei costituenti, non la strategia della pattuglia. Almeno, io ci andrò con questo spirito: da uomo libero, come dev'essere il nuovo partito".

Belle parole. Belle immagini. resta il dubbio: perché uno così ha dovuto rinunciare a correre. Viene il sospetto che avrebbe potuto battersi di più, contro la campagna di persuasione dei suoi capi. Viene a molti, ma non a lui: "Sa cosa mi ha fatto più piacere, in tutta questa storia? Che tutti quelli con cui ho parlato, dopo la mia decisione, mi hanno dato atto di una cosa: il mio coraggio. Mi potrete dire che non sono abbastanza ambizioso, ma non che mi manca il coraggio". Anche se lui non è mai stato veltroniano, e forse non è più dalemiano, farà la sua parte: "Molto umilmente, nel mio piccolo mi considero un "bersaniano". E a questo punto vorrei che ciascuno, dentro al nuovo partito, portasse solo un pezzo di sé, non più del partito dal quale proviene. Solo così vinciamo la sfida". È con questo spirito che, alla fine, il "ministro che piaceva al Nord" ha deposto le armi e ha pronunciato il suo "obbedisco". Ora vede il bicchiere mezzo pieno, nella candidatura solitaria di Walter: "Ha ridato fiducia ed entusiasmo, questo non c'è dubbio. E poi, mi ha fatto osservare un amico: con le difficoltà che purtroppo ha il governo, forse una scelta unitaria sulla leadership serve anche a rassicurare i nostri. La città brucia, Annibale è alle porte, e noi che facciamo, ci mettiamo a scegliere il fiorellino? Forse ha ragione lui...".


(11 luglio 2007) 

da repubblica.it


Titolo: Gianfranco Pasquino: Ma Veltroni non è Coppi
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2007, 05:08:41 pm
Ma Veltroni non è Coppi
Gianfranco Pasquino


La partenza non è, purtroppo, stata buona. L’investitura di Walter Veltroni da parte del segretario dei Ds Piero Fassino ha reso praticamente impossibile la comparsa di qualsiasi sfidante. In attesa che Enrico Letta formalizzi la sua candidatura, anche la rinuncia di Pierluigi Bersani, per di più richiestagli da Fassino e accettata affinché i Ds non si dividano, non sembra affatto coerente con l’obiettivo di lungo periodo, ovvero costruire un partito nuovo nel quale molteplici identità si fondano in maniera efficace e propositiva.

È sperabile che Rosi Bindi decida di scendere in campo e non soltanto per rappresentare il punto di vista delle donne che, per quanto importante sarebbe riduttivo di tutto quello che lei stessa ha fatto in politica. Altrimenti, non considerando candidature a vario titolo poco più che folkloristiche, che fra l’altro avrebbero anche il sapore di una semplice presenza personale, l’onere e l’onore di una visione di partito competitiva e dinamica, nonché coerente, spetterebbe all’estroverso Arturo Parisi. Non soltanto Parisi non ha le stesse idee di Veltroni, a cominciare dal referendum elettorale e se ho capito correttamente, dal semipresidenzialismo (contrapposto al «sindaco d’Italia»), ma, comunque, nell’ambito dello stesso partito (Democratico), saranno le persone a contare, le loro biografie politiche, le loro proposte, persino il loro orgoglio e la loro convinzione di sapere interpretare e attuare meglio scelte politiche inevitabilmente simili, ma non eguali.

Poiché mantengo un salutare scetticismo sulla candidatura in ultima istanza di Parisi - al quale mi permetto di suggerire di trovarsi una donna capace come vice, mentre, a mio parere, malauguratamente, il vice di Veltroni, se sarà il margherito Franceschini, confermerà nelle critiche coloro che temono una deplorevole fusione di gruppi dirigenti - intravvedo il grande rischio che fra pochi giorni, se non da subito, Veltroni diventi «un uomo solo al comando», ovvero in fuga. Per rimanere in metafora, il traguardo è lontano e la fuga implicherà un’enorme dispendio di energie sotto il fuoco, non soltanto nelle critiche di parte opposta, ma anche di quelle amiche. Le primarie del 14 ottobre avranno perso del tutto il loro senso profondo di scelta tra candidature differenti, portatrici di progetti e di visioni, costrette a confrontarsi e nel fuoco della competizione a produrre innovazione politica.

Tutta l’attenzione si riverserebbe su Veltroni, sulla sua incompatibilità, formalmente inesistente, con la carica di sindaco di Roma, ma certamente destinata ad obbligarlo ad un super lavoro, sulle sue dichiarazioni, talvolta inevitabilmente confliggenti con quelle dei governanti e dello stesso capo del governo, sulla sua posizione di successore designato a leader dell’Ulivo, dell’Unione, di quello che verrà.

Infatti, mi pare impensabile e persino assurdo che debbono tenersi altre primarie per la scelta del prossimo candidato a Palazzo Chigi a meno che Veltroni commetta qualche errore irreparabile e emergano candidature alternative a rompere un opprimente conformismo. Sarebbe/sarà molto brutto se il dibattito di idee e di soluzioni dovesse fin da subito tacere e se Veltroni venisse lasciato solo, con il suo staff(?), a proporre, suggerire, decidere. Temo che, da un lato, il governo ne uscirebbe inevitabilmente destabilizzato, anche contro la volontà dello stesso segretario del Partito Democratico, dall’altro, che Veltroni sarebbe costretto a operare in più o meno splendido isolamento senza avere potuto affinare il suo pensiero politico in un dibattito nazionale, duro, ma trasparente. Forse, se il regolamento relativo alla presentazione delle liste nei 475 colleghi lo permetterà, qualche confronto e, addirittura, qualche scontro di sostanza e di linea potranno essere recuperati.

Al momento, vedo poco slancio e pochi entusiasmi, se non di facciata. Si doveva fare meglio e di più. Credo che Veltroni debba cominciare proprio da qui, da rilanciare una grande operazione all’insegna del rinnovamento che è, prima che generazionali, di idee, di regole, effettivamente rispettati, di comportamenti e di modi di fare politica.

Confido, ma mi attendo gesti esemplari.

Pubblicato il: 11.07.07
Modificato il: 11.07.07 alle ore 8.01   
© l'Unità.


Titolo: Veltroni ai lettori dell'Unità online: «Grazie dei consigli, battiamoci insieme»
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2007, 10:31:32 pm
Veltroni ai lettori dell'Unità online: «Grazie dei consigli, battiamoci insieme»

Rachele Gonnelli



"Volevo solo ringraziarvi tutti.le vostre parole sono utili per capire lo stato d'animo di una parte importante della cultura dei democratici.Quale che sia il mio ruolo state certi che continuerò a credere nella possibilità di costruire una grande forza democratica e riformista in italia.e a lavorare per questo. grazie ancora walter veltroni ".

È scritto così, senza maiuscole, linguaggio quasi parlato. Un messaggio che appare sullo spazio aperto alle opinioni dei lettori dell'Unità online, intasato da due settimane dai commenti sul discorso di Torino di Walter Veltroni.

Il post del sindaco di Roma, con cui ringrazia tutti per i suggerimenti, il tifo, e anche le critiche, è comparso a mezzanotte e tre minuti, senza preavviso. Viene da un indirizzo privato di posta elettronica, evidentemente da un'utenza domestica. Così, nella notte, il candidato alle primarie del Pd risponde da casa ai lettori.

A migliaia gli hanno mandato i loro pensieri dentro "bottiglie" virtuali targate Unità online, qualcosa come 100 e più pagine web. Un flusso ininterrotto da giorni. E lui, che di Internet è un passionista della prima ora (sotto la sua direzione l'Unità è stato il primo quotidiano ad apparire in Rete) li ha letti. E apprezzati. Così, rispettando il codice non scritto, si inserisce per dirlo come in una specie di chat.

Del resto è un amore corrisposto, quello tra Veltroni e il popolo della Rete. Anche i blog ne discutono. Sono stati aperti siti in streaming per seguire via computer il suo discorso al Lingotto. Un blogger piuttosto noto, SpinDoc, ha realizzato appositamente per lui un tag cloud, cioè una realizzazione grafica in cui le parole chiave del suo discorso di Torino compaiono come una nuvola, uno sciame. Più o meno evidenti a seconda della loro reiterazione. «Democratico» più di «Politica», «Essere» più di «Hanno», e così via. Un altro blogger, Pennarossa, lo ritrae come una Silvana Mangano a mezzagamba nel pantano delle risaie.

I lettori dell'Unità online sono decisamente più seri. Ma non meno appassionati. Oltre 200 hanno accettato di rispondere a otto domande-faq sui temi cardine del suo discorso-manifesto: precarietà, mobilità sociale e Stato sociale, ambiente, formazione, meritocrazia, laicità, quote rosa, nuovi italiani. La maggior parte chiede maggiori opportunità, anche per regolarizzare la propria posizione, ma soprattutto chiede diritti che non siano riservati «solo ai lavoratori più vecchi». Alcuni chiedono la revisione della legge Biagi. Tutti un'attenzione ai redditi più bassi, una abolizione dei privilegi, a cominciare da quelli dei politici e più attenzione alla scuola e alla ricerca. È questo dell'equità sociale, insieme a una nuova dignità e trasparenza della politica, il tema che appassiona di più.

"la politica offensiva,il livore della stampa,lo sport corrotto,la giustizia che non funziona,l'evasione delle tasse,ricerca ai minimi termini,politici inamovibili e corrotti.Walter può essere il punto di svolta" scrive ad esempio Piero Prati.

"Spero che le parole diventeranno fatti. Intanto, Veltroni ha fatto un bel discorso, finalmente si torna a parlare di idee, di progetti, di aspirazioni, di possibilità, di futuro! Finalmente un uomo colto, che conosce e probabilmente ama la storia del suo paese. Speriamo bene, io ci credo, io ci voglio credere", si firma Martina. E Giorgio Pirli, milanese, che ha seguito le conversioni da Pci in Pds e poi ai Ds spiega cosa gli piace di Walter Veltroni, « il suo modo chiaro, semplice, solare, pragmatico e con quella giusta carica di fattore emotivo che ha spezzato il vecchio modo di fare politica parlando direttamente al cuore della gente comune». C'è un generale apprezzamento per il riferimento alla laicità dello Stato, per i Dico. E su questo i lettori online dell'Unità chiedono un impegno più forte contro la xenofobia e l'omofobia «punendo chi si rende responsabile di atteggiamenti discriminatori» come scrive Mariano. E sparsa qua e là nella marea di messaggi spunta anche una tematica poco affrontata nel discorso con cui Veltroni si candida alla segreteria del nuovo partito. È il tema della televisione. Anche senza parlarne Veltroni incarna le speranze di una televisione di qualità, con «meno veline stile Mediaset e più cultura».

Ma anche chi lo vede come «il politico ideale» - come Giovanni Amenta - gli consiglia di abbandonare «il buonismo» per calarsi nella realtà «per salvare il centrosinistra». I giovani chiedono un partito nuovo «senza recinti né steccati né interni né esterni», vogliono partecipare anche solo al "battesimo" di questo partito «senza velleità né aspirazioni personali».«Se ricominceranno le guerre di posizione fra i partiti(i segnali ci sono) sarà un'altra occasione perduta», avverte Selma Bellomo. Anche la sua esperienza in Africa gioca come una carta in più. "Com'è lontana l'Africa! Lontana dai tatticismi, egoismi, edonismi cecità e sordità di una certa Italia, anche di sinistra. A me ha fatto ben andare in Africa, a te ancor di più. Lì si capisce veramente cosa è importante e cosa no, come parlare alle persone, dar loro speranza, essere uno di loro, che condivide con loro la vita. Walter, fai che tutto questo avvenga anche qui, anche nel PD. Amahoro...", lo saluta Angelo da Varese. E Maurizio Cerroni si fa portavoce dell'incoraggiamento «di tutta una generazione di uomini e donne , oggi 40enni, che non vedevano l'ora che arrivasse questo giorno». Un entusiasta, conclude: «Non chiedo niente, ho solo un grande voglia di dare una mano».


Pubblicato il: 11.07.07
Modificato il: 11.07.07 alle ore 19.53   
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Titolo: Bersani: no a correnti nel Pd
Inserito da: Admin - Luglio 13, 2007, 11:26:16 pm
Bersani: no a correnti nel Pd
Andrea Carugati


Tre giorni dopo l’annuncio del suo passo indietro nella corsa alla guida del Pd, ieri per Pierluigi Bersani è stato il giorno del bagno di folla tra la sua gente. Che alla festa dell’Unità di Caracalla, a Roma, lo ha accolto con un affetto disarmante. «Sei il mio mito», gli gridava una signora, mentre lui cercava di rispondere alle domande de l’Unità.

Qualche ripensamento, ministro Bersani?

«No, no. Sono già tre giorni che non ci penso più. Cosa fatta capo ha, si guarda avanti».

Che cosa pensa delle regole partorite dal comitato dei 45? È stata blindata la candidatura di Veltroni?

«Mi pare che le regole siano soddisfacenti. È stato trovato un punto di equilibrio, che ha lasciato in alcuni qualche perplessità. Non ne farei un dramma, ma mi concentrerei su due elementi di novità: le donne e un impianto federalista. L’elezione contemporanea del livello regionale allude a un partito molto radicato nei territori. Se parliamo di apertura alla società sono due aspetti che contano».

Anche oggi Prodi è tornato ad auspicare più candidature...

«La mia opinione è nota: credevo alla possibilità di una partenza un po’ diversa, in cui la pluralità dei candidati, anche dentro le stesse famiglie politiche, poteva farci bene. Ora non è affatto da escludere che ce ne sia più di uno. Anzi, non credo proprio che avremo un candidato solo. Comunque, non mi piacerebbe che, sotto l’ombrello dell’unico candidato, si creassero delle correnti preorganizzate».

E lei come si muoverà? Con una sua lista o appoggerà il listone riformista?

«Non credo molto alla logica dei listoni nazionali. Le regole favoriscono il collegamento tra liste a livello regionale, magari con delle affinità a livello nazionale. Conterà soprattutto la scala territoriale».

Il suo ruolo?

«Aiutare, portando in giro delle idee: sono queste che aggregano gli uomini. Comunque faremo le liste, alla fine avremo un’assemblea di uomini liberi. È un’assemblea costituente, non dimentichiamolo: la gente deve giudicare e votare anche sulla base delle idee che dobbiamo proporre. Io cercherò in questi mesi delle occasioni per poter dire con quali convinzioni appoggio la candidatura di Veltroni. Se ci sarà gente che è d’accordo ben venga. Ma nessuna lista Bersani: non farò il feudatario».

Come valuta questo pullulare di manifesti sul Pd? Ce n’è uno dei sindaci del Nord, uno di Rutelli...

«Arricchiscono la discussione e portano qualche elemento di contenuto. L’importante è che nascano sulla base di opzioni che abbiano dentro qualche pensiero, che non siano pure cordate. Io troverò la forma per dire la mia, magari anche a voce, girando un po’».

Ha letto il manifesto di Rutelli? C’è scritto anche che il Pd non dovrà essere prigioniero delle attuali alleanze con al sinistra radicale.

«Non riesco a ragionare in un’ottica così di breve periodo. Stiamo facendo il partito del secolo, dunque le proposte devono essere precise e gli orizzonti più lunghi. Il Pd può anche accettare una traversata del deserto, altro che alleanze. Il problema del distacco tra politica e società è talmente radicale che noi dobbiamo scavare di più. Non mi interessa discutere di cosa accadrà dopodomani, perché non avremmo comunque risolto il problema del rapporto con la società italiana. Ripeto: sono pronto a attraversare il deserto, ma sulla base di programmi che diano la scossa al Paese, che giochino una scommessa».

Forse il tema delle alleanze si fa sentire perché il governo balla in Senato...

«Oggi (ieri, ndr) c’è stato un incidente su un emendamento di nessun rilievo. Al Senato si balla sempre per un voto o due, queste cose possono succedere. Ma queste sono le vicende dell’oggi: dobbiamo gestirle al meglio, rigorosi e nel quadro delle alleanze che abbiamo. Ma non siamo come quel presidente americano che non sapeva masticare la gomma e contemporaneamente salire sulla scaletta dell’aereo. Noi due cose in una volta riusciamo a farle: Seguire la vita del governo ma anche pensare in lungo sulle prospettive di un partito che non deve concentrarsi troppo sulla gestione dell’attualità».

Che prospettive ha il governo?

La situazione è travagliata. Le pensioni sono un passaggio molto delicato. Penso che la strada la troveremo: e se superiamo questa vicenda ci saranno le condizioni per rimettere in sesto il percorso».

Questi primi mesi di gestazione del Pd hanno rafforzato il governo?

«Non abbiamo fatto un partito nuovo per rafforzare il governo. Naturalmente neppure per indebolirlo,.. ma bisogna avere fiducia in quello che mettiamo in moto. Ora ci sono i dolori del parto, ma se a ottobre ci sarà una grande partecipazione, come credo, per il governo sarà tutta salute».

Al voto del 14 ottobre sono ammessi anche i 16enni. Crede che i giovanissimi risponderanno all’appello? O saranno annoiati dal dibattito sulle regole?

«Il nostro dibattito sulle regole credo interessi pochissimo. Ma chiamarli a votare per far nascere un nuovo partito è di per sé un messaggio che ha appeal. Per questo penso che verranno. Tocca a anche a noi avere un linguaggio che esca dalle pastoie burocratiche, che faccia capire il senso dell’operazione. Ma alla fine il messaggio di fondo è che si va a votare per una cosa nuova: e questo arriverà»

Pubblicato il: 13.07.07
Modificato il: 13.07.07 alle ore 7.49   
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Titolo: Inflazione, Bersani: preoccupati, ma Italia più virtuosa dell'Ue
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2007, 06:13:43 pm
Inflazione, Bersani: preoccupati, ma Italia più virtuosa dell'Ue


Inflazione al 2,4 per cento in novembre. Il dato - registrato dall'Istat - è quello più alto dal mese di giugno 2004. Su base mensile, i prezzi sono aumentati dello 0,4 per cento. In ottobre, i prezzi erano cresciuti del 2,1 per cento su base annua e dello 0,3 per cento su base mensile. «L'inflazione di novembre «preoccupa» il governo ma l'Italia si conferma «più virtuosa dei suoi partner europei» e questo grazie alle «liberalizzazioni già attuate che hanno fatto da scudo alle tensioni internazionali sui prezzi delle materie prime (cereali e prodotti petroliferi) dovute anche a comportamenti speculativi», afferma Pier Luigi Bersani, il ministro dello sviluppo economico, commentando l'andamento dei prezzi fotografato dall'Istat.

Bersani mette in evidenza che il dato italiano «è inferiore a quello del 3 per cento registrato a livello europeo». una differenza che, questo mese, «è maggiore rispetto a quella di ottobre, a conferma del fatto che la crescita dell'inflazione italiana è più lenta di quella dei nostri partner».
Sulla base dei dati finora pervenuti all'Istituto, gli aumenti congiunturali dei prezzi più significativi si sono verificati per i capitoli trasporti (+0,8 per cento), abitazione, acqua, elettricità e combustibili, altri beni e servizi (+0,6 per cento per entrambi), prodotti alimentari e bevande analcoliche e mobili, articoli e servizi per la casa (+0,5 per cento). una variazione nulla si è verificata nel capitolo istruzione, mentre si è registrata una variazione congiunturale negativa nel capitolo servizi ricettivi e di ristorazione (-0,6 per cento).

Gli incrementi tendenziali più elevati si sono registrati nei capitoli trasporti (+3,9 per cento), prodotti alimentari e bevande analcoliche (+3,7 per cento e mobili, articoli e servizi per la casa (+3,0 per cento). Una variazione tendenziale negativa si è verificata nel capitolo comunicazioni (-8,1 per cento).

A novembre anche in Euro 13 l'inflazione annuale balza al 3 per cento. Lo rileva l'Eurostat. Il dato di ottobre era 2,6 per cento. L'esperienza mostra che negli ultimi due anni la stima ha anticipato esattamente il tasso di inflazione 17 volte mentre sette volte ha registrato una differenza di 0,1 per cento.

Solo la stabilità dei prezzi può salvaguardare la credibilità della Banca Centrale Europea e creare le precondizioni per nuovi posti di lavoro all'interno di Eurolandia, è il ragionamento del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, per il quale «vanno evitati effetti secondari. Bisogna impedire che gli aumenti dei prezzi di petrolio, energia e prodotti alimentari si propaghino all'intera economia. Useremo i nostri strumenti per questo».

Pubblicato il: 30.11.07
Modificato il: 30.11.07 alle ore 16.05   
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Titolo: BERSANI -
Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2008, 02:00:09 pm
ECONOMIA

Bersani: mai più finanziamenti alle imprese, solo detrazioni

"Non voglio più sentir parlare della legge 488. Basta, la chiudo. E' superata"

"Troppi scandali con i fondi europei meglio restituirli che sprecarli"

di ANTONELLO CAPORALE


I SOLDI fanno bene o fanno male? "I soldi possono far bene, possono far niente e possono far male", dice Pierluigi Bersani. Negli ultimi anni al Sud i soldi (troppi soldi?) hanno creato molti problemi. Più problemi che soluzioni, più emergenze che sviluppo, più delinquenza che legalità. Cinquanta miliardi di fondi straordinari, per metà europei, negli scorsi sei anni sono corsi via come un fiume in piena. Spesi ma già persi. Fuggiti dalle tasche di Bruxelles, bruciati in migliaia di progetti senza capo né coda.

Nei prossimi sei anni la cifra salirà a cento miliardi. Raddoppierà. Come il rischio che ancora una volta si comporrà il treno dei desideri, gettoni d'oro smistati per pacchetti di clientele invece che per bisogni certi da soddisfare. L'uomo che è chiamato - pro tempore - a firmare decreti, assegni, provvidenze è Bersani. Tocca a lui, ministro per lo Sviluppo Economico, rispondere alla moltitudine che avanza pretese. Tocca a lui prendersi il rischio di dire, come però ora dice: "Piuttosto che vederli sperperati li rimando indietro. Meglio non spenderli che impegnarli male".

C'è un guaio in più, paradossale ma attualissimo, e l'opportunità, derivata dalla vergogna della gestione campana dei rifiuti, di stilare un prontuario della buona pratica, pochi punti ma chiari e fermi: "Metto tutto in un fondo. Da lì, solo da lì si prende. Ma per prendere io chiedo una condizione: finanzio il progetto solo se tu mi dimostri che è così indispensabile al punto da realizzarlo con i soldi tuoi, da farti i debiti pur di vederlo attuato". Si riducono le categorie del bisogno: finanziare l'essenziale, il primario. Strade e scuole o asili, acqua e inceneritori. Non la vertigine da lusso che ha accecato tutti.

E poi, secondo punto: "Azzero i finanziamenti all'impresa. Non voglio più sentire parlare di sussidi. Esiste un'equazione indiscutibile: l'imprenditore sta bene se la condizione sociale in cui si sviluppa la sua intrapresa è accettabile, degna. Quindi occhio al "capitale sociale", ai luoghi, alla qualità della vita delle città, ai servizi essenziali e quelli tecnologici, per esempio alla rete di banda larga nei più piccoli centri. L'imprenditore in quanto tale non riceverà più un euro. Capovolgo il meccanismo: tutto quel che investirà per il benessere dell'azienda gli verrà poi detratto dal fisco". Detrazione d'imposta: per avere devi dare.

"Non voglio sentir parlare più della legge 488. Basta, la chiudo. Solo chi merita adesso verrà ricompensato. Ricompensa significa che c'è un prima - l'investimento - e c'è un dopo, appunto la detrazione dall'imposta. Bella e gonfia di soldi, mica spiccioli. Ma successiva al rischio corso, allo sforzo fatto, alla serietà dimostrata".

I soldi, tanti soldi, sono un pericolo: "Generalmente i soldi imbolsiscono, per esperienza dico che rischiano di portare grasso ai muscoli. Con la pancia piena non si corre, si passeggia. I soldi producono spesso un altro guaio: trasformano la politica in pura intermediazione finanziaria, l'impresa in un'assemblea questuante, i cittadini in clientes senza parola. Non è purtroppo dimostrato il contrario invece. Ma i soldi ci sono, sono nel bilancio dello Stato e io intervengo quando tutti i piani sono stati presentati. Sono chiamato a vigilare affinché siano spesi bene. Però, per difendere il meccanismo virtuoso, qualche contromisura in corso d'opera l'ho dovuta prendere. Una parte l'ho accantonata già adesso".

Di tre miliardi di euro si compone il tesoretto di Bersani: "Non è una cifra ridicola, anzi... Sono premi. Premi a chi fa. A chi ha un'idea e la rende sostenibile. Si propone e si assume il rischio. A chi diviene un modello da imitare". Un modello alternativo a quello basato sull'emergenza che ha degradato il criterio di rappresentanza e prodotto la deresponsabilizzazione generale.

"La vicenda dei rifiuti in Campania insegna tutto: il commissario è divenuto lo Stato, l'unica controparte a cui avanzare pretese. Mai dare. E i sindaci, i presidenti di provincia, assessori si sono uniti, si sono messi a guidare le rivolte invece che sentire il bisogno, l'impellenza di offrire soluzioni. Trovandosi senza più funzioni hanno scelto l'irresponsabilità. Non può andare avanti così: devono prendersi il carico delle loro colpe e dei bisogni delle loro comunità. Devono garantire, per esempio, e da subito, la raccolta differenziata e io devo, voglio fare in modo che chi meglio fa abbia molto più di quel che si attende. Lo premio tre volte. Soldi a chi corre e niente a chi passeggia. Vero, la velocità di spesa non significa tutto. Anzi, a volte vuol dire poco. Ma qui sta l'ultimo cono, l'ultimo spicchio della mia fatica".

Governance, in inglese. Come governare il progetto complessivo difendendolo da una moltitudine di soggetti, decine di enti territoriali che siedono al tavolo perché lo vedono bene imbandito. "E' un problema grande, che io non posso risolvere e non c'è tempo per affrontarlo. La classe politica avrà le sue colpe, ma la burocrazia è più decisiva di quanto si creda". Eliminare dal tavolo un bel pacco di consulenti, mandare in pensione coloro che curano gli affari, e che affari!, senza uno straccio di risultato? "Al ministero ho chiamato un quarantenne a dirigere settori di grande rilievo. Togliere il tappo, e poi umilmente mettersi a scoprire quanta gente capace, che noi paghiamo, c'è ed è pronta a darci una mano. Forse siamo fuori tempo massimo per i miracoli, ma per fortuna dobbiamo garantire soltanto qualcosa di buono".

(16 gennaio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Bersani: «Soli al voto con le nostre radici di sinistra»
Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2008, 10:43:18 pm
Bersani: «Soli al voto con le nostre radici di sinistra»

Ninni Andriolo


I sondaggi che premierebbero la Cdl? «C’è qualcosa che non torna». Pierluigi Bersani non crede che gli elettori possano riconoscersi «nella foto sbiadita di gruppo» dei leader Cdl. E il Pd ha le carte in regola per inviare al Paese un messaggio netto.

«L’andar da soli, in realtà, è una derivata della necessità di parlar chiaro al Paese, ma in un quadro di rapporti positivi con tutto il centrosinistra». Secondo il ministro, però, occorre far convivere «continuità e discontinuità». E non servono gli «strappi con il prodismo».

Il Pd? Statuto e Carta dei valori definiscono il profilo di una forza «che riafferma radici popolari, solidali, progressiste e di sinistra». Altro che partito di centro, quindi.

Ministro, da dove riparte una campagna elettorale che, in realtà, non si è mai interrotta?
«La prima buona abitudine di una campagna elettorale è ricordarsi che c’è un avversario...»

Perché, non è chiaro?
«Il nostro avversario è il centrodestra e questo deve essere ancora più chiaro. È la Cdl che deve pagare il prezzo di avere imposto al Paese, per ben due volte, una legge elettorale assurda che consente ai partiti, a prescindere da ogni loro procedura democratica, di nominare senatori e deputati. Una legge che ha dei buchi, come ha sancito la Corte costituzionale. Una legge che provoca instabilità».

La destra vorrebbe riformare quelle norme dopo le elezioni...
«Cosa significa “dopo”? Che prima giochi e poi fai le regole? Ma così imbrogli».

Lei non crede alla legislatura costituente, quindi?
«Siamo sempre stati disponibili a fare le regole del gioco in Parlamento. Sono stati gli altri a tirarsi indietro».

E la grande coalizione? Da destra si sente suonare anche questa musica...».
«Capisco chi ne parla, ma vorrei sapere chi ci crede. Gli stati di necessità possono sempre determinarsi, per carità. Ma solo un sognatore può pensare che Berlusconi possa mettere in conto di vincere per poi governare insieme a qualche altro. Qui si vince o si perde, punto. Dopodiché, per l’amor di Dio, le regole vanno cambiate e vanno cambiate assieme».

E basterà mettere il dito nella piaga del “porcellum” per vincere?
«Voglio ricordare che Berlusconi ha chiuso rapidamente il libro della riorganizzazione del centrodestra. E che per mesi abbiamo assistito a discussioni piuttosto animate che prospettavano novità...

Allude al popolo delle libertà?
«Appunto. Quel libro lo hanno chiuso in quarantott’ore, perché tutti hanno pensato solo ad afferrare il malloppo elettorale. Con il risultato che noi dovremmo farci governare da una foto di gruppo, già sbiadita nel 2006, che ci ripropone una compagnia che risale al 1994»

Berlusconi, Fini, Bossi e Casini...
«Ecco, in quella foto è impossibile intravedere un piccolo angolo di futuro per il Paese».

E un Pd ancora in gestazione quale futuro potrà indicare?
«Noi ci mettiamo un po’ di rischio e un po’ di futuro in questa campagna elettorale. Le scelte le abbiamo compiute già quando decidemmo di fare il Partito democratico, riconoscendo che la riforma del sistema doveva partire dal lato della politica. Con uno sforzo di ricomposizione e di semplificazione che rispondesse all’esigenza di parlare un linguaggio più chiaro».

Un’operazione che puntava al Pd timone del centrosinistra, non già al Pd che va da solo...
«Non è che siamo arroganti o abbiamo voglia di solitudine. L’andar da soli, in realtà, è una derivata della necessità di parlar chiaro a un Paese che ha bisogno di essere risollevato. Di nominare riforme che abbiano un nome e un cognome e di spiegare che le tasse devono pagarle tutti se tutti vogliono pagarle meno, e che le professioni vanno riformate, e che in un ciclo dei rifiuti ci devono stare anche i termovalorizzatori. Noi vogliamo aggregare attorno a proposte chiare. Tutto questo, però, lo puoi fare assumendoti un rischio. E nel rischio stesso c’è un messaggio: l’idea di una politica che scommette qualcosa».

Sì, ma un Paese si guida con i numeri e con le alleanze...
«Intanto i numeri si contano alla fine. In ogni caso, la scelta di parlar chiaro al Paese deve avvenire in un quadro di relazioni positive con tutte le forze del centrosinistra, con le quali abbiamo e dovremo avere tantissime convergenze sul piano programmatico. A partire dai luoghi dove già governiamo assieme. E ricordandoci sempre, appunto, che il nostro avversario è il centrodestra».

Il problema del Pd è non dire prima del voto ciò che si potrebbe dire dopo? E con chi farete il governo in caso di vittoria?
«Il meccanismo elettorale è fatto in modo che o sfondi o non sfondi. Dopodiché non è detto che un solo partito debba reggere il governo. Noi, oggi, proponiamo un soggetto, che io credo sia in espansione, e avanziamo nella chiarezza le nostre proposte. Gli eventuali punti di compromesso per un’azione di governo sono sul tavolo del Paese, nella legittimità assoluta. E non nell’implicito o nell’uso stiracchiato di un aggettivo».

E adesso? Perché Pannella e Bonino “no” prima ancora che il Pd metta in campo un programma?
«Si parte sempre dai contenuti per verificare la possibilità di aggregazione, ma stavolta non a prezzo di confusioni o balbettii».

Ministro, il Pd archivia l’Unione e sembra voler creare una cesura anche con Prodi. Letture errate?
«Prodi non si ricandida, questa notizia di per sé segna un ciclo. Quello in cui, con Prodi alla testa della coalizione, abbiamo impedito un ventennio berlusconiano battendo Berlusconi già due volte; abbiamo salvato la finanza pubblica, abbiamo agganciato definitivamente l’Italia all’Europa; abbiamo praticato parole come Euro, lotta all’evasione fiscale, liberalizzazioni, nuova politica estera, nuova legislazione sul lavoro, ecc. Quel ciclo lo abbiamo affrontato con il migliore equilibrio possibile nel campo del centrosinistra. Vorrei ricordare che il bipolarismo si è aperto nel momento in cui - nella nostra metà campo - c’era una grande frammentazione».

C’è chi rimprovera a Prodi di aver scelto l’equilibrismo per galleggiare...
«Un rimprovero che non fa i conti con la realtà. Prodi stesso, in ogni caso, ha visto che quel punto di equilibrio del centrosinistra andava oltrepassato e ha contribuito in modo fondamentale alla nascita del Partito democratico. Da qui devono prendere le mosse i nuovi passi da compiere. Bisogna inserire novità programmatiche, facendo riconoscere però quei grandi nuclei di politiche riformatrici che abbiamo praticato».

Ma Prodi è un impaccio o una risorsa per la campagna elettorale del Pd?
«Prodi è il presidente di questo partito e tocca a lui fare al Paese la narrazione di questi anni. A Veltroni tocca riprendere da lì. Sto parlando di contenuti, del messaggio da dare agli italiani. Attenzione, perché nelle cose nuove che dobbiamo dire, magari ci stanno cose che in nuce sono già state espresse. E quando affermo che non bisogna buttar via la parola sinistra, dico - ad esempio - che l’espressione “tutti devono pagare le tasse per pagarne meno” non possiamo gettarcela alle spalle. Questo vale per le liberalizzazioni, per la Tav, ecc. E ciò non rappresenta uno strappo dal prodismo. Quello che serve, in realtà, è un equilibrio tra continuità e discontinuità da declinare nella chiave dell’innovazione».

Veltroni propone di destinare subito l’extragettito ai lavoratori dipendenti, lei è d’accordo?
«Spesso ci chiedono se ci dispiaccia lasciare l’incarico di governo. Quello che ci amareggia, in realtà, è aver abbandonato a metà un’operazione di straordinaria rilevanza che avevamo concepito tra marzo e giugno. Un forte intervento sulla fiscalità del salario dei lavoratori dipendenti, accompagnato da misure per il rilancio della produttività. Dico, tra parentesi, che tra qualche giorno presenterò il credito d’imposta sulla ricerca e mi aspetto che il sistema industriale italiano faccia un grande sforzo di innovazione utile alla produttività. Al di là di questo, comunque, noi abbiamo raccolto risorse da finalizzare ad un intervento a favore dei salari. E io ritengo che, se ce ne fossero le opportunità, queste decisioni debbano essere prese. Credo necessario mettere in sicurezza decisioni che possono essere successivamente disperse».

Ministro, l’accusa da sinistra è quella di un Pd che si riposiziona al centro. È così?
«Si favoleggia su una sinistra, la “cosa rossa”; su una destra, la Cdl; e su un centro che saremmo noi. Per quel che ci riguarda noi stiamo facendo il partito e il più grande botto d’inizio campagna elettorale sa quale potrebbe essere?».

Quale ministro?
«Che sabato prossimo l’Assemblea costituente approvi statuto, carta dei valori, ecc».

E che partito profilano quei documenti?
«Un partito che è di centrosinistra - o come piace dire a me il partito di una nuova, grande sinistra democratica - e che riafferma radici popolari, solidali, progressiste, di sinistra, chiarendo che valori antichi vanno serviti con politiche nuove. Credo che questo profilo debba essere messo in evidenza. Visto che ci presentiamo con il nostro volto e nel nome della chiarezza, il “chi siamo” è una cosa piuttosto importante».

E i suoi timori sul “partito liquido”?
«Lo Statuto è convincente e il meccanismo che propone risolve il problema. Quando parlai di “partito liquido” partivo dall’Italia. Questo Paese ha bisogno di elementi coesivi, non possiamo continuare a galleggiare sulla frantumazione. Dobbiamo inserire una controtendenza politica, culturale e organizzativa. Lo Statuto consente anche di immaginare una vita dell’organizzazione che selezioni le piattaforme culturali e politiche, cioè i luoghi di discussione delle nuove elaborazioni. Faccio un esempio, sarebbe ben curioso che avessimo fatto il Pd e non riuscissimo a elaborare una nuova dottrina sul tema laici e cattolici. Queste elezioni ci colgono in corso d’opera, ma ci propongono un’opportunità micidiale per presentare un programma per il Paese. Ma anche per delineare un volto, una idealità, una cultura. L’Assemblea costituente del 16 è un appuntamento da non perdere».

Ministro, i sondaggi favoriscono il centrodestra. Lei è fiducioso ugualmente?
«Sì, perché la situazione è in movimento. E in quei sondaggi c’è qualcosa che non torna. Il nostro problema è se riusciamo a smuovere gli umori disillusi di questo Paese, che sono molto ampi. Io un po’ l’orecchio a terra lo tengo, e non mi risulta che l’elettorato del centrodestra sia così convinto e animato dalla foto di gruppo dei suoi leader. La Cdl ha molti problemi. Si vedranno, eccome se si vedranno. Per vincere la sfida, in ogni caso, dobbiamo mostrare una grande solidarietà e una grande convinzione unitaria, così come sta avvenendo in questi giorni. Abbiamo la possibilità di avere una leadership espressiva, dobbiamo organizzare una grande coralità e fare in modo che la narrazione sia univoca. Ricordandoci che andar da soli e avere idee chiare non sono necessariamente sinonimi, bisogna lavorare con coerenza perché ciò avvenga».


Pubblicato il: 08.02.08
Modificato il: 08.02.08 alle ore 8.15   
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Titolo: Bersani «Niente ritorni indietro Rafforziamo il Pd nel Paese»
Inserito da: Admin - Maggio 04, 2008, 11:33:31 am
«Niente ritorni indietro Rafforziamo il Pd nel Paese»

Ninni Andriolo


Ministro Bersani, prima la vittoria di Sarkozy, poi quella di Berlusconi, ora la sconfitta dei laburisti inglesi. Con l’eccezione della Spagna di Zapatero l’Europa va irrimediabilmente a destra?
«Di fronte alle nuove tensioni indotte dalla globalizzazione la destra in Europa fornisce mediamente risposte più confortevoli, anche se poi i risultati non vengono, come dimostra l'esperienza francese. Anche la Gran Bretagna ci dice che la sinistra europea ha di fronte a sé il tema dell'allargamento dei propri orizzonti. Sia dal punto di vista del dialogo con altre posizioni di natura liberale, sia dal punto di vista del bagaglio programmatico».

In Italia il Pd è nato dalla necessità di «allargare gli orizzonti», i risultati del 14 aprile però non sono stati all'altezza delle aspettative. Perché?
«C’è l’esigenza di rafforzare urgentemente il nostro progetto, questa è la reazione giusta da far seguire al voto. Attenti, però, non creiamoci falsi bersagli tipo: “c’è qualcuno che vuol tornare indietro”. Noi ci siamo lasciati il passato alle spalle e l'unica discussione possibile è sul come andare avanti. Il nostro problema, oggi, è che votiamo molto e discutiamo poco. Un metodo non più riproponibile».

Quale sarebbe la strada giusta?
«Abbiamo bisogno di una discussione ordinata e formalizzata. Serve una conferenza di taglio politico-organizzativo che coinvolga tutti i livelli del Pd, e metta a fuoco il profilo del partito riformista come grande partito popolare, come partito dei territori, come forza organizzata capace di stare sui problemi e di avere rapporti sociali ravvicinati. È a partire da questo che dobbiamo porci il tema delle alleanze».

Quali alleanze immagina per il Pd?
«In Europa ogni partito a vocazione maggioritaria si pone il problema delle alleanze. Per noi ora si tratta di seguire con grande attenzione la riflessione che dovranno fare tutte le forze che si oppongono, o che si sono opposte, al centrodestra. Per capire a cosa approdano e, se ci fossero le condizioni, per costruire un lavoro comune su nuove basi programmatiche. Che riconoscano la specificità del territorio. Immagino, cioè, una fase in cui ciascuno deve fare i conti con quel che è avvenuto e tiri le somme. Da questo si può capire quali forme di dialogo possibili si possono ricavare. È chiaro che non possiamo tornare ai luoghi di prima...»

Al vecchio centrosinistra, cioè?
«Non è quella la strada. Vocazione maggioritaria, però, non significa vocazione all’autosufficienza».

Può fare un esempio concreto del percorso che lei immagina?
«È evidente che sarà difficile delineare un confronto utile con una posizione ambientalista che non faccia i conti, a sua volta, con un ambientalismo del fare. Un problema che si pone anche per gli ambientalisti, e che dopo la loro riflessione magari si definirà in termini diversi».

Lei esorta a ripartire dal Pd. Ma non sarebbe il congresso la sede più idonea per definire il profilo popolare e riformista che auspica?
«Noi abbiamo abbondato nel votare e siamo stati troppo parchi nel discutere. Questo è il punto. Dopodiché, io ho detto la mia opinione. Ascoltiamo quella di tutti, però, e discutiamo assieme l’esito. Dobbiamo essere consapevoli che in questo momento non possiamo farci distrarre da una discussione larga, di merito, che coinvolga tutti e che abbia innanzitutto un profilo politico e organizzativo».

Che riguardi la struttura del Pd, cioè?
«Per prima cosa dobbiamo costruire gli organismi. Perché c’è bisogno di chiudere i caminetti e di mettere in piedi strutture dirigenti che siano realmente rappresentative. E bisogna eleggerli subito. Dobbiamo utilizzare darci un solido impianto federale e discutere in concreto di cosa significhi quel famoso radicamento di cui tutti parliamo».

Radicamento significa rimettere in piedi le vecchie sezioni?
«Guardare ai territori non significa voltarci indietro. Il problema, qui, è fondamentalmente quello della selezione dei gruppi dirigenti e di chi rappresenta a ogni livello il partito».

E come fare una selezione che dia spazio a una nuova generazione di dirigenti?
«Misurando i rapporti reali con i soggetti sociali e con i cittadini. Le nuove leve e i giovani da far scendere in campo non sono supporter, ma protagonisti reali, che abbiano maturato esperienze e relazioni a partire dai problemi. A questo si aggancia anche la libertà di scegliere i gruppi dirigenti. Visto che ormai siamo un partito, è ora di capire come sviluppare un pluralismo non meccanico ma politico-culturale».

Di gruppi dirigenti, cioè, che non si misurino con il bilancino delle quote da riservare a ex diessini ed ex diellini?
«Appunto. Dicevo, con una battuta, che non bisogna fare Bibì e Bibò, da Brisighella fino a Roma. Sono tra quelli che percepiscono maggiormente l’esigenza di una fusione politico-culturale. Credo, ad esempio, che abbiamo l'assoluta urgenza di valorizzare di più, e più visibilmente, una cultura cattolico-democratica e cattolico-liberale. Ma questo, come per le altre culture, deve avvenire in forme meno meccaniche, proprio per non dare un profilo di giustapposizione, ma di fusione politico-culturale, a un partito che deve avere una propria identità. Non si tratta di dare meno visibilità a questo o a quello, ma di individuare un percorso che lasci margini di libertà più ampi. Chi si riconosce nel Pd deve poter decidere da chi vuole essere guidato e deve poter essere guidato da chi ha i migliori rapporti con la realtà. Questo vuol dire radicamento».

La conseguenza sarebbe la messa in mora dell’equilibrio che guida i rapporti tra i soci fondatori del Pd...
«Radicamento vuol dire flusso dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso. Noi abbiamo assolutamente urgenza di questo. Se il percorso che avviamo poggerà sia sulla gamba del profilo politico, sia su quella dell'insediamento organizzativo e del radicamento, credo che in pochi mesi riusciremo a dare al Pd un linguaggio che accorci le distanze dalla società».

Sta affermando che il Pd pecca per eccesso di verticismo?
«Sottolineai l’esigenza che Statuto e Carta dei valori venissero votati dall’Assemblea costituente prima del voto. Menomale che lo abbiamo fatto, perché il partito adesso lo abbiamo. Per il resto, però, ci siamo trovati con le elezioni da fare, mentre navigavamo tra la fase costituente e quella di insediamento. E, quindi, un po’ per necessità e un po’ per limiti, siamo stati largamente segnati da meccanismi provvisori che, spesso, partivano dal centro verso la periferia. Una situazione che dobbiamo assolutamente correggere».

Lei ha parlato di scelte dall’alto anche a proposito della nomina dei capigruppo alla Camera e al Senato. Si era ipotizzata una sua autocandidatura alla presidenza dei deputati Pd…
«Non c'è stata alcuna questione personale, né di autocandidature. L'idea era di poter discutere e scegliere mettendoci tutti a disposizione. A me sembrava il modo migliore per reagire immediatamente, e nel modo più utile, al risultato elettorale. La decisione è stata diversa: va bene, procediamo così, non c’è problema. Ma adesso dovremo aprire una fase in cui le decisioni avvengono a valle e non a monte di una discussione».

Il Pd del dopo voto viene spesso accostato alla “resa dei conti” o all'«assalto alla leadership di Veltroni». Non è così?
«Assurdità senza fondamento. Il segretario c’è, è stato eletto con le primarie. Quel che non abbiamo ancora è una posizione ragionata e partecipata di cosa deve essere un grande partito riformista. Su questo dobbiamo essere impegnati tutti, raccogliendo per intero le forze di cui disponiamo».

Nel Pd non ci sono linee diverse che si scontrano, quindi?
«La dico così: oggi è difficile anche capire se ci sono linee politiche diverse. Ad esempio, dobbiamo ancora fare un’analisi approfondita, e se possibile condivisa, del voto di aprile. Non è che in questo momento abbiamo idee diverse, abbiamo un approfondimento da fare. A questa esigenza corrisponde la proposta di una conferenza politico-programmatica. Al di là delle forme, però, la priorità è discutere».

E dopo la discussione è possibile che il Pd si organizzi in correnti?
«L’esigenza è di esplorare, non di separare. Se immaginassimo di fare un partito che non può fare la mossa del cavallo, che non può spostare gli orizzonti della discussione, suoneremmo le campane a morto. Dobbiamo spostare in avanti i temi, per vedere, sulla base di questi, se è necessaria una riconsiderazione anche delle posizioni politiche. Discutiamo del profilo di questo partito, a quel punto credo che saremo in grado di uscire dai residui fossili del passato».

E al temine del percorso si possono realizzare piattaforme politico-culturali diverse dentro lo stesso Pd?
«Certamente sì, ma sulla base di una discussione trasparente. Io, ad esempio, penso a un partito che possiamo anche chiamare di centrosinistra, purché questo non nasconda il trattino. Penso a un partito, cioè, che non sia il luogo di mediazione quotidiana tra posizioni più centriste e posizioni più di sinistra. I temi eticamente sensibili, per esempio: ma come li affronti se non con la mossa del cavallo, con idee nuove? Forse limitandoci a mediare tra posizioni che ripropongono la laicità e altre che ripropongono stabilmente l'attenzione al problema religioso? Così negheremmo la vocazione fondativa del Pd».

Come giudica la campagna elettorale del Pd? Soddisfatto di quel trentatré e rotti per cento?
«Non mi aspettavo una distanza di quelle proporzioni dal Pdl, avevo percepito però che c'erano aree della nostra società nelle quali non penetravamo. Dopodiché, abbiamo portato avanti una campagna elettorale fatta bene. Riflettiamo, se mai, sul perché una campagna elettorale che ha mostrato il meglio della nostra capacità comunicativa abbia registrato una tale distanza dalla società. Rimango convinto di ciò che ho sempre detto. Che la modernità sta in una comunicazione che avviene nel concreto del territorio. Inutile dire cosa votano gli operai, bisogna dire quali operai. Quelli di Varese, di Modena o di Battipaglia? Una comunicazione forte avviene, per forza di cose, attraverso meccanismi di insediamento assolutamente indispensabili. Solo a Berlusconi è consentito fare un partito in un supermercato. Noi abbiamo un altro destino».

Lei è d'accordo con i coordinamenti Pd del Nord e del Sud?
«Primo: a me non convincono le architetture del tipo Nord, Centro e Sud. Io penso che se un partito è dei territori sarà del Nord al Nord, del Centro al Centro e del Sud al Sud. Secondo: bisogna uscire da meccanismi astratti. Non posso dire di conoscere la vicenda romana, ma ragiono su quella bolognese di qualche anno fa. Quando governai l'Emilia Romagna fui sempre in polemica sui temi dei “modelli”. Perché c'è il rischio di una dissonanza e di un distacco tra il proprio vissuto e la prepotenza di un messaggio politico-comunicativo che ti racconta un altro vissuto. Per me partito dei territori vuol dire partito che sta sui problemi e che, dove governa, segnala per primo i problemi anche quando non è in condizione di risolverli».

Il centrodestra ha vinto sia nel Nord che nel Mezzogiorno. Il problema del Pd è il Settentrione, ma anche il Sud. Non crede?
«Certo, c’è il problema del Nord. Ma dobbiamo essere in grado di dire le stesse cose da Milano fino a Palermo, essendo tuttavia un partito insediato sui problemi di Milano e di Palermo. Se non la facciamo noi questa operazione di radicamento nelle diversità, ma anche di unificazione nazionale, non lo fa nessuno. Per il Sud, in particolare, che si rivela forse il problema principale, dobbiamo predisporci a un forte impegno che parta dai diritti di cittadinanza, da un federalismo equo e dal contrasto alla tendenza che si passi dal divario territoriale a un separatismo strisciante che vedo già in corso».


Pubblicato il: 03.05.08
Modificato il: 03.05.08 alle ore 16.20   
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Titolo: Bersani: «Costruiamo il partito fuori dal Palazzo, tra la gente»
Inserito da: Admin - Giugno 23, 2008, 12:08:15 am
Bersani: «Costruiamo il partito fuori dal Palazzo, tra la gente»

Ninni Andriolo


Onorevole Bersani, come giudica l’Assemblea costituente di venerdì?
«Come è andata l’altro ieri lo si vedrà dalle prossime settimane, perché è chiaro che quando si prende una botta non si sta bene subito. Sicuramente l’Assemblea rifletteva un disagio. Penso, però, che il punto sia quello di uscire dalla depressione e di rimboccarsi le maniche tutti assieme. La Costituente ha dato primi segnali in questa direzione».

Una tregua nel gruppo dirigente, si è scritto. Basterà a rimotivare il popolo delle primarie?
«Tutti gli interventi, e non solo quelli del gruppo dirigente, hanno mantenuto un equilibrio tra la sofferenza per la botta elettorale e la spinta unitaria a rimettersi in movimento. Non c’è dubbio che un tratto unitario, che non credo tattico, sia venuto fuori. Lo ritengo utile sia per la costruzione del partito che per la battaglia d’opposizione di cui il Paese ha bisogno».

Maggiore unità nel Pd perché torna in campo il Berlusconi di sempre?
«Anche su questo ci siamo messi tutti a pari. Chi riteneva che quello di Berlusconi non fosse solo un atteggiamento tattico, e chi pensava che la destra avrebbe ricominciato a fare il mestiere di sempre, non solo dal punto di vista degli strappi alle regole della democrazia, inevitabili nel berlusconismo che, non dimentichiamolo, ha sempre dato lo scettro al consenso e mai alle regole. Ma, soprattutto, nell’impostazione della politica economica. Se vogliamo che gli italiani si indignino per gli strappi alle regole, bisogna che mostriamo loro anche quanto siano fallimentari le ricette economiche e sociali di questo governo».

Lei le ha definite vecchie, inutili per la crescita…
«Se qualcuno pensasse una cosa diversa, avverto che il centrodestra non farà quello che non siamo riusciti a fare noi, perché non ne siamo stati capaci. Loro, in realtà, metteranno in pratica la loro ricetta. Con qualche accorgimento in più, con qualche pensata nuova. Ma la sostanza sarà: abbassare l’asticella per chi già ce la fa, lanciare messaggi demagogici e compassionevoli per chi è in difficoltà, difendere paratie corporative o di altro genere».

In campagna elettorale avevano promesso ben altro…
«Le loro manovre non le pagheranno mai davvero le rendite e gli evasori fiscali. Ma i consumi popolari e i servizi, come si vedrà nelle prossime settimane. Poi, naturalmente, attorno a questa ricetta ci potrà stare questa o quella misura condivisibile, la furbizia di un messaggio demagogico, cose sulle quali ci potrà stare, per così dire, un’opposizione più duttile. Ma il segno complessivo è disvelato già da alcune misure…»

Quali?
«Davvero si pensa che i petrolieri non recupereranno i soldi che dovranno pagare allo Stato? È un gioco da ragazzi scaricare l’incremento fiscale sui consumatori. Ed è di un’evidenza solare che le banche hanno avuto in cambio il blocco della Class action e l’accordo sui mutui…»

C’è la cosiddetta carta dei poveri, però…
«Che la dice lunga su come loro leggono il disagio sociale. Noi una misura di questo genere non ce la saremmo nemmeno sognata. Con quei soldi, aggiungendone altri, avremmo fatto l’aumento delle pensioni piu’ basse, come l’anno scorso. Per noi un povero è una persona con una dignità. Credo, comunque, che non dobbiamo lasciarci impressionare dai fuochi d’artificio».

L’assenza di molti delegati dall’Assemblea di venerdì riflette la delusione della gente del Pd. Non crede?
«Abbiamo il compito di passare dalla fase costituente a quella di costruzione del partito e dobbiamo farlo nel vivo di una battaglia d’opposizione. Se protratta troppo a lungo, la fase costituente non regge. Dobbiamo lavorare immediatamente per la costruzione ideologica, politica e organizzativa del partito. La battaglia d’opposizione dovrà essere la fucina in cui forgeremo il Pd. Le cose si vedono meglio girando per strada, che non dal Palazzo. E io credo che questa sarà l’occasione per riprendere i contatti con i soggetti sociali che ci interessano».

Veltroni propone una manifestazione nazionale contro la politica del governo. Perché in autunno e non subito?
«Non perché non manchino argomenti per far scendere già adesso la gente in piazza. Ricordo le misure economiche, gli attacchi di Berlusconi ai giudici, le sue iniziative per salvarsi dai processi. O la provocazione spropositata sul Comune di Roma con l’obiettivo di delegittimare Veltroni, un tentativo di fronte al quale tutti dobbiamo reagire. Nel Paese, però, deve maturare la consapevolezza dei danni che produce questo governo. La costruzione e il radicamento del partito devono servire anche a questo. Dobbiamo avviare il tesseramento in tempi rapidissimi. Contemporaneamente, cogliendo l’occasione delle feste, dobbiamo sviluppare una campagna sui temi economici e sociali. E predisporre le tracce della discussione politica che avremo, senza conta, nella Conferenza autunnale che coinvolgerà tutto il partito. Questo lavoro di opposizione e di composizione avrà poi un’espressione di massa. Le grandi manifestazioni rappresentano anche l’esito di un lavoro che mette in movimento energie e costruisce rapporti».

In questi mesi più che a costruire il Pd si è pensato a edificare le sue correnti, è d’accordo?
«Tutte queste espressioni sono convintissimo che rappresentino una ricchezza. Ha ragione anche Veltroni, però, quando afferma che le fondazioni, gli istituti, le associazioni devono esprimere qualcosa di vero in termini di radicamento e di posizione culturali. Servono affluenti veri, che portino acqua. Dopodiché noi non possiamo osservare il fenomeno senza essere sicuri che ci sia il fiume. Senza organizzare, cioè, il partito, come palestra politica di tutti. A questo dovrà servire la Conferenza d’autunno. È lì, nel fiume del partito, che bisognerà dipanare, per esempio, la matassa del rapporto tra politica e valori, o quella delle riforme istituzionali che vogliamo. Il luogo della sintesi, quindi, deve essere il partito. Se manca questo, la gente andrà a discutere da altre parti. Noi, tra l’altro, non abbiamo avuto un dibattito di massa sull’esito del voto…»

Anche nella Costituente si è registrato un deficit di analisi sulle elezioni…
«È mancata una discussione di massa sul voto. Questa avrebbe aiutato a ritrovarsi, a reagire prima, a elaborare il lutto, a sentirsi comunità. Tutto questo dobbiamo recuperarlo. L’Assemblea costituente ha rappresentato il primo segno di questo recupero».

Ma nel Pd non si pone l’esigenza di rinnovare i gruppi dirigenti e di passare il testimone a generazioni più fresche?
«Se invece di spendersi in improbabili paragoni con il Midas i giornali si fossero occupati di andare a spulciare la composizione della nuova direzione, avrebbero visto che in atto c’è già la promozione - certo ancora insufficiente - di nuove personalità, di nuovi gruppi dirigenti e di nuove generazioni. Il processo di rinnovamento è in corso, lo vedo in giro per l’Italia. Al centro, certo, bisogna essere più permeabili a valorizzare quelle esperienze. Ma non basta essere giovani. Servono giovani di lungo corso, che abbiano già maturato esperienza, che godano di credibilità esterna. Ne abbiamo tantissimi nel nostro partito».

Senza il "rimescolo" di cui lei parla anche il rinnovamento verrà stretto dentro il gioco delle componenti…
«Questo famoso rimescolo può avvenire solo sul terreno politico e della cultura politica. Senza discutere del rapporto tra valori e politica o del nostro concetto di mercato o della nostra visione di partito, ad esempio, non si capisce in che direzione possa andare l’intreccio tra posizioni socialiste, liberali, cattolico-democratiche, ecc. Io credo che il rimescolo debba avvenire senza buttar via le parole. Né la parola sinistra, né la parola popolare. Che, però, bisogna far coesistere con nuovi termini. Il punto non è quello di mettere d’accordo me e Fioroni. Ma di consegnare alle nuove leve una cultura politica che non le inscatoli dentro cose che non ci sono più».

Veltroni ricollega il Pd all’Ulivo del ’96, lei mette in evidenza il ruolo di Prodi. Ma è il Professore che prende le distanze dal Partito democratico…
«Nella relazione di venerdì Veltroni ha sistemato le cose nel modo giusto. Sia dal punto di vista delle elezioni, che del profilo della nostra battaglia di opposizione, che del rapporto con l’Ulivo. Io dico sempre che le nostre radici sono lì, nell’Ulivo. E che da lì è iniziata una stagione che possiamo chiamare con il nome di Prodi. Noi dobbiamo riconoscere che, in quella fase di frantumazione, nella quale si affacciava il bipolarismo, quella politica ha rappresentato un punto di raccordo indispensabile. Che ha consentito di evitare un ventennio berlusconiano e di riportare dal cielo alla terra parole d’ordine che ci hanno dato un profilo: sulla politica estera, sulle liberalizzazioni, sull’evasione fiscale, ecc. Dopodiché quella fase conteneva in sé, e Prodi era il primo a esserne consapevole, visto che lanciò l’idea del Partito democratico, tutte le contraddizioni e i limiti che la hanno fatta esaurire. Oggi abbiamo compiuto la scelta di un partito a vocazione maggioritaria, ma non isolato. Capace di trovare un raccordo con le altre forze di opposizione».

È riduttivo ricondurre Parisi al Professore, ma tra i "prodiani" si registra una notevole insoddisfazione…
«Anche io mi sento parte del prodismo. Prodi continua a girare nella nostra aria, nella nostra atmosfera, nel nostro mondo. A prescindere dal fatto che lui sia presidente del Pd, come avrei voluto anche io, o non lo sia. Per me sarebbe stato inelegante procedere venerdì alla nomina di un altro presidente. Dopodiché vedremo assieme, con il contributo di Romano, che sono certo non mancherà, come eventualmente procedere anche ad altre soluzioni. L’applauso che la platea gli ha rivolto è stato un segnale evidente di affetto e di riconoscimento del ruolo esercitato e del lavoro svolto».

Marini ha detto sì al patto federativo Pd-Pse, un segnale importante di "rimescolo", non crede?
«Nelle cose dette da Marini si individua il terreno per una soluzione che riconosca il nostro progetto e la nostra identità. E l’ambizione di portarli in Europa, in collegamento con i luoghi dove si addensa la stragrande maggioranza del centrosinistra europeo».

Pubblicato il: 22.06.08
Modificato il: 22.06.08 alle ore 14.39   
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Titolo: Bersani: «Il governo ci porta nel baratro della crisi sociale»
Inserito da: Admin - Agosto 03, 2008, 07:39:56 pm
Bersani: «Il governo ci porta nel baratro della crisi sociale»

Bianca Di Giovanni


«A ottobre se ne accorgeranno tutti: quando mancheranno servizi sanitari, quelli scolastici, e quelli garantiti dagli enti locali. Per ora si è visto solo qualche frammento, con gli assegni sociali e la questione precari». Pier Luigi Bersani suona l’allarme 24 ore dopo il sì del Senato alla manovra e a poche ore del varo definitivo: la cura Tremonti avrà un costo sociale altissimo. Per il ministro ombra dell’Economia finora l’opinione pubblica è piombata nella totale inconsapevolezza. Poca attenzione? «No, semplicemente potenti armi di distrazione di massa - continua Bersani - Per esempio montando sui giornali il pericolo zingari, e poi tagliando 3 miliardi alla sicurezza. Oppure parlando in pubblico di fannulloni, e poi tagliando le buste paga dei pubblici di 2-300 euro». In una parola: demagogia. Questa è stata l’arma letale del centrodestra esplosa in piena estate con le famiglie distratte da vacanze in tono minore vista la crisi economica.

E l’opposizione? Anche lei distratta?
«L’opposizione si è confrontata con una manovra sul filo delle regole, con procedure accelerate, esami in notturna, valanghe di emendamenti di governo e maggioranza depositati e non esaminati, due voti di fiducia. È chiaro che Tremonti ha approfittato della luna di miele, anzi di melassa, ed ha puntato a tirare dritto, scavalcando anche la sua maggioranza. Ma i nodi verranno presto al pettine. Il 6 ottobre il Pd terrà la sua Conferenza economica, dove si definiranno i punti d’attacco alle proposte del governo. Su questi punti c’è una grande convergenza con l’Idv e l’Udc, oltre che un rapporto continuo con le forze rimaste fuopri dal Parlamento».

Eppure la velocità di Tremonti è stata apprezzata: il Paese chiede decisioni.
«Fare alla svelta va bene: ma bisogna fare bene. Ma quando torneremo in autunno sarà difficile che Tremonti se la cavi con due tabelle. Rischiamo in realtà di discutere per nove mesi, invece che per tre».

Perché non gli basteranno le tabelle?
«Sa, l’esperessione “ tagli ai ministeri” è molto bella, ma nasconde cifre pesantissime per lo stato sociale. Significa 9 miliardi sottratti a scuola, sanità, sicurezza, servizi locali. Tremonti indica la cifra, ma non dice come si arriva ai tagli. Molte misure sono state prese nell’inconsapevolezza anche dei parlamentari di maggioranza. Ma i tagli senza riforme non sono credibili».

Qual è l’effetto dal punto di vista sociale?
«Da questo punto di vista la manovra è assolutamente inefficace. Non coglie il punto del potere d’acquisto. Quindi non risponde al problema sociale, che in questo modo si avvita a quello economico in termini di minori consumi. Per questo credo davvero che la manovra non è finita qui: anche perché ci sono tavoli con le forze sociali che da qualche parte dovranno pur portare».

Si aspetta allora una sessione di bilancio analoga a quelle già viste?
«Certamente l’intenzione di Tremonti è quella di chiudere al più presto. Ma questo è impossibile senza un lavoro compiuto. Scrivere di tagliare 84mila insegnanti senza dire come, dove e in che cosa, significa votarsi al fallimento. Questo vale per tutti i comparti. Certamente c’è bisogno di una riforma vera delle leggi di bilancio, che inserisca più razionalità. Ma procedere nottetempo come si è fatto finora, aggiungendo norme che non funzionano, non serve a nulla. Verrà fuori una miriade di problemi».

Intanto però Tremonti si è assicurato il risanamento.
«Su questo chiedo chiarezza. Gli ultimi dati confermano che il fabbisogno è nettamente sovrastimato. Continuano ad esserci 19 miliardi di differenza tra i dati e l’obiettivo indicato. Dove vanno a finire questi soldi non è dato saperlo. Anche scontando minori entrate per l’allentamento sulla lotta all’evasione, 19 miliardi sembrano davvero troppi».

Il ministro ha replicato sostendendo che i numeri sono certificati da autorità indipendenti e istituti internazionali.

«Ma lui deve spiegare, conti alla mano. È una cosa vergognosa: mi stupisco dei suoi colleghi di governo e della maggioranza. Il ministro deve dire cosa fa di quei soldi. Paga il debito della sanità? Stima una drastica crescita degli interessi sul debito? Noi dobbiamo chiedere e lo facciamo, ma anche la maggioranza e gli altri ministri devono farlo».

Chi colpisce e chi premia la manovra?
«Prima di tutto bisogna dire che la manovra rischia di avvitare la questione sociale con quella economica. Già la crisi tende a impoverire il ceto medio. Così come è impostata la manovra la forbice aumenta, l’inflazione si scarica sui più deboli, e certamente colpendo i consumi non si aiuta la crescita. La dinamica infernale è questa».

Il centrodestra replica però che non si sono chieste più tasse ai cittadini come ha fatto il governo Prodi.
«Veramente prima loro dicevano che le tasse erano troppo alte e che le avrebbero abbassate. Quest’anno le imprese avranno il cuneo fiscale, la nuova Ires e il forfettone per i piccoli, mentre tre milioni di pensionati più poveri ricevono stabilmente la quattordicesima inserita da Prodi. Il governo è caduto mentre si stava aprendo un tavolo per le detrazioni sul lavoro, detrazioni che poi abbiamo riproposto negli emendamenti alla manovra. La destra non può dire ora: non aumento le tasse. Deve dire perché non le abbassa, a cominciare dalle detrazioni, visto che ha urlato tanto prima. Noi abbiamo consegnato un bilancio nei binari».

C’è comunque chi ci guadagna dalla manovra?
«C’è sicuramente uno scambio con il sistema produttivo. Deregolazione al posto della riduzione fiscale. Naturalmente la deregulation è mascherata da semplificazione. Alla ripresa dimostreremo qual è il messaggio fiscale: allentamento vistoso della lotta all’evasione. Questa operazione può essere accattivante per un’impresa, ma abbassare l’asticella non fa mai bene. Per non parlare dell’enorme settore di piccole imprese che lavorano sui consumi interni, come i commercianti. Come la metteranno con i consumi fermi? E come la mettono le piccole imprese con il credito d’imposta per l’occupazione del Mezzogiorno che è stato definanziato per eliminare l’Ici? Basta la deregolazione per sostituire queste misure?»

Tremonti dice però che fa pagare i forti: banche e petrolieri.
«Qui siamo davvero alla beffa. Questa manovra rappresenta il più grande compromesso tra governo e settori protetti. Banche, petrolieri e assicurazioni, in cambio di qualche soldo, hanno ricevuto parecchi vantaggi. Fuori la class action, nesuno parla più di massimo scoperto, , l’operazione sui mutui è vergognosa perché mette gli istituti al riparo dalla concorrenza (tutto sulle spalle dei consumatori), è stata intimorita l’autorità per l’energia, di cui volevano decapitare il vertice con un blitz. Il gioco è a tutto vantaggio delle società, perché i soldi in più saranno recuperati dai consumatori. Un governo che non incontra le parti sociali, ma fa tavoli con le assicurazioni che puntano a rivedere tutte le norme delle lenzuolate è assai strano. Questo è lo statalismo. avere un rapporto negoziale con questi comparti, non a nome dei consumatori».

E per i cittadini?
«Solo un messaggio populista, quello della social card che servirà a pochissimo: sono briciole. Ricordiamo che l’azzeramento Ici è andato ai ceti medio-alti, non certo ai poveri. Il centrosinistra avrebbe fatto cose molto diverse: le risorse Ici e quelle del maggior gettito sarebebro state destinate in parte alle detrazioni sul lavoro dipendente, in parte agli investimenti».

Infatti anche il capitolo sviluppo sembra a secco. In Parlamento si sono lamentati soprattuto i rappresentanti del sud. Sarà il Mezzogiorno il tallone d’Achille in ottobre?
«Il Sud è chiamato a pagare un prezzo altissimo perché sono state sottratte risorse consistenti. Si sono eliminati i fondi europei destinati a importanti infrastrutture. Ma anche il Nord non starà zitto: anche Formigoni e colleghi chiederanno qualcosa. Il nord non si accontenta certo di un dito medio alzato contro l’inno nazionale. Qualcosa dovranno raccontare agli elettori tutti gli amministratori locali chiamati da Tremonti a contribuire alla manovra con pesanti tagli. E allora saranno guai: il risveglio d’autunno sarà un vero incubo».

Pubblicato il: 03.08.08
Modificato il: 03.08.08 alle ore 14.26   
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Titolo: Bersani: «Alitalia, ci metteranno una pezza e sarà un disastro»
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2008, 06:02:49 pm
Bersani: «Alitalia, ci metteranno una pezza e sarà un disastro»

Laura Matteucci


«Berlusconi e la destra per ragioni puramente elettorali e politiche hanno messo Alitalia su un percorso accidentale, lungo e pericoloso. Siamo in un imbuto drammatico. Un’eventuale soluzione delle prossime ore sarebbe solo una tappa, una pezza che lascerebbe aperte tonnellate di problemi. Per i mesi a venire continuo a vedere solo ostacoli e intoppi».

Berlusconi dà la colpa ai sindacati e alla sinistra, che «vuole dare uno smacco al governo». Si sente perseguitato.

«Berlusconi è il campione mondiale della faccia tosta. Non è nemmeno il caso di commentare».

Invece è il caso, parla da presidente del Consiglio.

«Lui non dovrebbe dormire di notte. Proprio lui, che ha infilato Alitalia in questo disastro per pure ragioni elettorali. È totalmente irresponsabile. Gli sfuggono le proporzioni del disastro». Pierluigi Bersani, ministro ombra dell’Economia per il Pd, è esasperato. Alitalia è a un passo dal fallimento, tra incontri concitati, nuovi allarmi e, in serata, la convocazione dei sindacati da parte del governo. Ma Berlusconi, che aveva dichiarato di avere la soluzione in tasca, per cercare di salvare la faccia scarica le responsabilità sulla sinistra e sul sindacato perchè si pieghi a firmare contratti che non raggiungono neanche quelli delle compagnie low-cost».

Tra l’altro, tra le prime a rifiutare le condizioni per l’accordo ci sono le organizzazioni sindacali dei piloti, politicamente connotate a destra.

«Infatti. Comunque, lasciamo perdere destra e sinistra. Siamo di fronte a un dramma, e Berlusconi tende solo a cercare di fare bella figura a carico dei contribuenti. Vorrei capire bene quali carte il governo intenda giocare: perchè se sono carte di spesa pubblica, deve dirlo».b>

Che cosa teme?

«Se oltre a mettere a carico pubblico 1 miliardo, 1 miliardo e mezzo, si fanno provvedimenti speciali di decontribuzione dei costi del lavoro a favore delle aziende, allora attenzione: perchè in Italia ci sono crisi dappertutto, non si possono accettare condizioni differenti a seconda delle situazioni. Si andrebbe a creare un precedente, e a quel punto tutti potrebbero vantare gli stessi diritti. Giustamente».

Perché dice che un’eventuale soluzione non sarebbe comunque definitiva?

«La scelta di Berlusconi ha portato ad un progetto che non è affatto la nuova Alitalia, ma la nuova AirOne domestica e monopolistica, con capacità di azione e di investimento limitate. Si è creato un notevole scarto tra i problemi aperti e le soluzioni proposte. Per questo la situazione resta precaria, anche in prospettiva. In questo momento ci stiamo occupando del problema sociale, del passaggio drammatico che riguarda 20mila dipendenti, che non sono affatto dei privilegiati, i precari, e non dimentichiamo le migliaia di lavoratori dell’indotto. Ma poi di problemi se ne affacceranno altri in primo piano. Le procedure, innanzitutto, che fanno acqua da tutte le parti, e che coinvolgono creditori, fornitori, azionisti, obbligazionisti. Ci sono molte zone oscure in questa vicenda, e molti conflitti di interesse. Tremonti dovrà chiarire parecchie questioni: due mesi fa si è fatto garante della continuità aziendale di Alitalia, e su quella base è stato approvato il bilancio, fornitori e creditori sono rimasti immobili. Adesso invece non c’è alcuna garanzia. Morale: chi paga? Bisognerà chiarire anche il prezzo dell’operazione, e capire quanto vale davvero AirOne. Poi, la nuova società non riuscirebbe mai a dare risposte territoriali adeguate: ma come, prima una polemica infinita per i due hub di Fiumicino e Malpensa, e adesso che non ce ne sarebbe nemmeno uno tutti zitti? Del resto, chi ha smontato la soluzione Air France?».

È stato Berlusconi. Diceva di avere un’altra soluzione, che avrebbe salvaguardato l’italianità della compagnia.

«Per le prospettive industriali e strategiche, per il prezzo dell’operazione (a Air France sarebbe costata quasi 3 miliardi, senza oneri per i contribuenti), per pulizia delle procedure, quella di Air France era una soluzione indiscutibilmente migliore. La bandiera? Si sarebbe potuto investire perchè imprenditori italiani entrassero nell’azionariato. Meglio partecipare ad una cosa grande che essere padroncini di una cosa piccola».

L’atteggiamento della cordata nella trattativa è insolitamente rigido. Non è che mira al fallimento, ovvero al massimo ribasso?

«Non credo, perchè a quel punto potrebbe arrivare chiunque a bussare. Il fatto è che questa cordata ha la dimensione e la vocazione solo per un’altra AirOne, non si sta discutendo con un grande gestore di traffico aereo».

Pensa potrebbero esserci altre offerte, magari della stessa Air France?

«Penso che in queste ore convulse dovrebbe essere esperito un percorso alternativo. Perchè un conto è parlare, come prima, dell’intera Alitalia, un altro è parlare solo della “polpa”. Cambiano i termini dell’operazione, i costi, le prospettive».

Pubblicato il: 14.09.08
Modificato il: 14.09.08 alle ore 8.19   
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Titolo: Bersani andrà, Enrico Letta no lo sciopero Cgil divide il Pd
Inserito da: Admin - Novembre 27, 2008, 10:19:23 pm
Scontro fra le due anime del partito. "E' un giudizio sul governo". "Epifani si modernizzi"

Ancora incerta la partecipazione di Veltroni e D'Alema

Bersani andrà, Enrico Letta no lo sciopero Cgil divide il Pd


di GOFFREDO DE MARCHIS


ROMA - Almeno due ministri ombra del Partito democratico saranno in piazza con la Cgil il 12 dicembre, giorno dello sciopero generale indetto da Guglielmo Epifani senza Cisl e Uil. Nomi di peso, leader ex diessini. Parteciperanno senza se e senza ma. Piero Fassino, titolare degli Esteri, farà di tutto per essere presente. "Se sono a Milano andrò al corteo di Milano", dice.

A dir la verità, nella sua agenda è scritto che quel giorno dovrebbe andare a Bangkok. "Ma anche se non ci fossi il mio sostegno è totale". Pierluigi Bersani, ministro ombra dell'Economia, sarà invece alla manifestazione di Bologna accanto allo stesso Epifani che parlerà nel capoluogo emiliano. Ma Enrico Letta, che guida il dicastero Pd del Lavoro, diserterà la piazza.

Come la pensa si sa: "Ormai le differenze tra Cisl, Uil e la Cgil sono strategiche. Non possiamo fare finta di niente". Lui è sicuramente più vicino alle posizioni "strategiche" della Cisl. "Non andrò. Il Pd è autonomo, lo è anche il sindacato. Ma ho il massimo rispetto dello sciopero della Cgil": sceglie una via di mezzo Andrea Martella che nel governo del Pd si occupa di Infrastrutture.

L'adesione allo sciopero è esclusa. Ma poi c'è la partecipazione diretta o il sostegno o la presa di distanza. Tanti modi di porsi rispetto alla mobilitazione decisa dalla Cgil. Il 12 dicembre segnerà uno spartiacque per il Pd. Una prova vera per Veltroni, fuori dal confronto un po' autoreferenziale di questi giorni. Plasticamente sarà diviso, in piazza e a casa. E il giorno dopo lo sciopero si misurerà l'effetto Cgil sul Pd. Quella data servirà a capire cosa ancora tiene vicini un grande partito del centrosinistra e le organizzazioni dei lavoratori, quale deve essere il filo di collegamento ora che la cinghia di trasmissione è o dovrebbe essere un reperto archeologico.

È una questione aperta per il segretario, chiamato a far convivere almeno due linee. Veltroni - che promuove l'iniziativa Ue e boccia il governo ("le risorse sono sempre quelle, le spostano come fossero le famose mucche di un altro tempo storico...") - ancora non sa se andrà alla manifestazione, anche se. Così come Massimo D'Alema, ormai da quindici giorni in viaggio nel Centroamerica. Ma nel partito le differenze sono lampanti. Dice Achille Passoni, ex segretario confederale della Cgil e oggi senatore democratico: "Che il Pd non aderisca allo sciopero non è una novità. Non è mai successo, con nessun partito. Ma quando domani scopriremo le misure del governo per la crisi, il partito dovrà dire se le condivide oppure se è vicino alla piattaforma di Epifani". "Se le nostre piattaforme sono simili non ho problemi a riconoscerlo", spiega Bersani.

Ma non la pensa così Beppe Fioroni: "Ognuno va dove vuole, anche in piazza. Ma se cambia il mondo deve cambiare il sindacato. Il Pd deve stare fuori dalle dinamiche sindacali. Ma se può fare qualcosa è aiutare Epifani a diventare più moderno".


(27 novembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: BERSANI: confronto possibile, ma serve una svolta su stipendi e pensioni
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2008, 03:23:04 pm
Bersani: confronto possibile, ma serve una svolta su stipendi e pensioni
 
di Claudio Rizza


ROMA (1 dicembre) - Pierluigi Bersani non vuole parlare di “intese fuori dai contenuti”, espressione che nel gergo politico significa “niente inciuci”, ma un dialogo sul merito delle cose non lo demonizza. «Non abbiamo pregiudizi», spiega rispondendo al pressing del governo che, per bocca di Sacconi, chiede una «vera coesione nazionale» per far fronte alla crisi. I «ma» avanzati dal ministro ombra dell’Economia del Pd sono comunque tanti.

Lei dice che un dialogo sulle cose sarebbe possibile. A che condizione?

«Le condizioni minime sono: una misura strutturale su salari, pensioni e stipendi in termini di detrazione fiscale, fuori dalle una tantum; un rafforzamento e chiarimento sul tema degli ammortizzatori sociali; e il ripristino di investimenti pubblici e privati con carattere di automatismo».

Questo basterebbe?

«Però vorrei ricordare che questi tagli sul 55% e sul credito d’imposta sulla ricerca vengono dopo la sospensione del credito d’imposta per gli investimenti nel Sud. E’ proprio una linea: distruggere le novità del governo Prodi, non ci può essere altra spiegazione. In epoca di recessione queste sono scelte irrazionali, spiegabili solo da pregiudizio ideologico».

Il taglio del 55% è quello sul risparmio energetico?

«Chi ha fatto ristrutturazioni nel 2008 per rispamio energetico in casa, dagli infissi ai pannelli alle caldaie, se prenderà i soldi sappia che potranno essere decurtati fino a 15 mila euro. Una bella botta, ed è un taglio retroattivo».

Torniamo al governo: il dialogo istituzionale auspicato riguarda anche le Regioni sui fondi europei e i sindacati sui contratti.

«Vorrei dire una cosa molto semplice: da luglio a oggi, dopo tre decreti e una Finanziaria, abbiamo presentato proposte sotto forma di emendamenti. Solo un bugiardo può affermare che abbiamo detto solo dei no. Non abbiamo mai trovato accoglienza, ora c’è un vago cenno...».

La crisi s’è aggravata e la recessione incombe, se ne esce solo tutti insieme.

«E’ incredibile, dopo quanto è successo, che ci si dica “collaboriamo”. Comunque faremo un nostro pacchetto di proposte per costruire il confronto. Di fronte a soluzioni potabili non ci tireremmo indietro».

Che giudizio dà del piano anti crisi?

«E’ totalmente prociclico, non sposta nulla. Come è stato a luglio: la manovra era sbagliata, troppi soldi sull’Ici, sull’Alitalia, la detassazione degli straordinari...tutto questo fa almeno 8-9 miliardi. Ora le norme sull’energia si occupano di elettricità invece che di gas; in una fase di tariffe decrescenti bloccano le tariffe di distribuzione e trasporto d’energia con la conseguenza di stasi degli investimenti; la riduzione dell’anticipo fiscale non riguarda gli autonomi; sugli ammortizzatori ci sono pochissimi soldi e una miriade di norme limitanti».

Il dialogo sui Fondi comunitari?

«Se accettassero un consiglio, il centrodestra dovrebbe dire a Regioni e Comuni: non voglio portarvi via i soldi per gli investimenti previsti nel Fas o nei piani europei, ma casomai accelerarli. Quindi portatemi qui un pacchetto di interventi già cantierati e fermi e partiamo con quelli, pro quota per Regione».

Invece il governo che fa?

«Continuare a rastrellare soldi per metterli su ipotetiche grandi opere nazionali propone due strade: o le opere sono già in corso, come la Salerno-Reggio Calabria, e il cavallo beve quel che beve; o sono nuove, come il Ponte sullo Stretto, ma ne parleremo tra ics anni. Allora meglio mandare avanti i cantieri locali, no?».

Sugli ammortizzatori che dice?

«Sacconi vuole fare un fondo per il lavoro, ricavato dal Fas o dai fondi europei. L’idea di usare risorse del fondo sociale europeo per gli ammortizzatori viola un vincolo. Non dico che non si possa essere flessibili, ma spostarlo sic et simpliciter dalla formazione all’ammortizzatore ci porta su un vicolo cieco. Cerchiamo soluzioni intermedie. Ma avverto Tremonti e Sacconi che le Regioni, anche se non hanno ancora speso i soldi, hanno procedure aperte in corso: non si può andare con l’accetta e portar via loro i soldi. Solo con un dialogo ragionevole se ne esce».

E il confronto con il sindacato?

«Consiglierei di venir via da posizioni ideologiche. A luglio c’era l’onda per lo sviluppo della contrattazione decentrata e della produttività e si sono imbarcati in un privilegio degli straordinari, totalmente sbagliato. Ora si sono fermati, e spero facciano autocritica, e hanno spostato il tiro sui premi di produzione. Bene, lo dice anche Bonanni, lo si fa per lo sviluppo delle forme decentrate di contrattazione. Ma attenzione, il tema sarà pure interessante, ma non c’è coerenza con quanto sta avvenendo: è una pista non sbagliata ma scollegata, troppo ideologica. Rispetto al fatto che i problemi di oggi si chiamano “produzione” e “occupazione”».

Ma lei è favorevole all’intesa sui contratti o no?

«Certo che sì, auspico che si arrivi all’intesa sul secondo livello a firme congiunte. Ma aggiungo: non possiamo in questi due mesi occuparci di metodo, cioé di come sarà la nuova contrattazione, mentre di fatto è in corso una crisi epocale. I lavoratori potrebbero anche non capire di cosa discutiamo. La priorità e le preoccupazioni oggi sono tutt’altre».

La carta acquisti?

«Dico sempre che c’è chi ha bisogno anche di 40 euro. Male non fanno, ma bisogna darli in modo più dignitoso. Meglio darli sulla pensione, che loro sanno come fare. se no c’è sempre l’idea che ci sia lo sguardo del miliardario compassionevole sul povero. Non abbiamo bisogno di questo ma di redditi sicuri e di libertà dei consumatori».
 
da ilmessaggero.it


Titolo: Durissimo Bersani: abbiamo smesso di essere un partito riformista
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2008, 12:29:14 pm
20/12/2008 (7:33) - RETROSCENA

D'Alema rinuncia al colpo del ko
 
Durissimo Bersani: abbiamo smesso di essere un partito riformista

FABIO MARTINI
ROMA


Da sei minuti, davanti alla Direzione Pd, Sergio Chiamparino sta sciorinando le sue critiche alla gestione del partito, l’irritato Walter Veltroni guarda altrove, ma non può certo immaginare le parole con le quali il sindaco di Torino sta per congedarsi: «....e dunque rassegno le dimissioni da ministro nel Governo Ombra perché credo sia un organismo inadeguato». E con gesto plateale per un uomo sobrio come lui, Chiamparino consegna la lettera di dimissioni nelle mani di Veltroni. In “diretta”. Davanti alle telecamere di YouDem, la tv del Pd. E’ il passaggio più cruento nelle nove ore di dibattito della attesissima Direzione democratica, durante la quale l’autorità di Walter Veltroni è stata messa a dura prova, oltreché dal gesto di Chiamparino, da una pioggia acida di critiche mai ascoltate prima d’ora. Diversi “pezzi grossi” del partito hanno distillato perifrasi più affilate del solito, Massimo D’Alema è arrivato a dire che per il Pd «l’innovazione» invocata da Veltroni non basta, perché «serve l’autorevolezza». Come dire, senza dirlo, che il suo “amico” Walter è poco autorevole. Ma alla fine, al momento della conta, tutti quelli che erano venuti allo scoperto - Pierluigi Bersani e Francesco Rutelli tra gli altri - si sono riallineati. Proprio come Chiamparino. Interpellato in privato dal segretario, il sindaco ha ritirato le sue dimissioni e il suo dietrofront simboleggia bene la frustrazione dei critici di Veltroni, il “vorrei ma non posso” che ha attraversato la fronda al leader. Nella trattativa dietro le quinte che durava da 48 ore e che si è conclusa alle 20 di ieri sera, con la votazione del documento di “fiducia” a Veltroni da parte di tutte le “correnti”, si era consumato questo scambio: il segretario ha rinunciato all’annunciato «rinnovamento immediato della classe dirigente» e agli strombazzati «poteri straordinari», ha accanonato l’idea di dare un forte segnale di rilancio all’opinione pubblica, ma in cambio ha ottenuto il voto di “fiducia” da parte dei capi della “fronda”, Massimo D’Alema, Franco Marini, Francesco Rutelli, Enrico Letta. Anche se per il leader il prezzo da pagare è stato un pubblico “schiaffeggimento” da parte dei suoi critici, con accenti mai ascoltati nei 14 mesi di vita del Pd.

Il tutto si è consumato in uno scenario da film di Ettore Scola. Il salone della Direzione del Pd è collocato ai lati di una bella, grandissima terrazza che si affaccia sui tetti del centro di Roma, compreso quello di uno dei licei cattolici più esclusivi di Roma, il Nazareno, dove hanno studiato tanti rampolli della borghesia romana, da Carlo Verdone a Cristian De Sica: per nove ore, dalla terrazza si sono irradiate verso i tetti circostanti, le voci amplificate e contrite dei leader democratici. I più impegnati nella critica sono stati gli amici di D’Alema. Il colpo di assaggio è toccato all’intellettuale del gruppo, Gianni Cuperlo: «Non regge un partito che è il contenitore di tutto», «ci sono aspetti del nuovo inconsistenti», «c’è un deficit di autorevolezza nelle nostre classi dirigenti», «si fatica a trasmettere l’immagine del Pd», «in alcune aree il partito non c’è». Ma la sorpresa è stato Pierluigi Bersani. Sempre misurato nelle critiche, il ministro ombra dell’Economia ha depositato argomenti che in un altro contesto avrebbero fatto male. Ha parlato di un Pd nel quale «ci sono abbandoni silenziosi e arrivi che non arrivano», ha descritto «l’utopia distruttiva di un partito che va in automatico con la società, che tira su tutto come un’idrovora», rinunciando ad essere un partito riformista, «che vuole cambiare la società». Affilatissimo Marco Follini: «Si invoca il rinnovamento, ma io, Walter e Massimo, mese più mese meno, abbiamo la stessa età e quando arrivasse il rinnovamento, dovremmo farci tutti da parte». Tutti a chiedersi: fin dove si spingerà Massimo D’Alema? Spinge ma non assesta il colpo del ko: «Abbiamo bisogno di un partito vero», dice che «l’appannarsi di una visione politica incoraggia il ripiegamento egoistico». Le correnti? «Nel Pd non esistono, semmai siamo una amalgama mal riuscita». Certo, le correnti «sono discutibili, un modo non bello a vedersi, anche se darebbero un ordine».

Ed è D’Alema a dare il colpo di grazia al sistema delle Primarie, criticatissime nel dibattito: «Vanno ricondotte alla scelta dei candidati per le cariche istituzionali», ma se continueranno ad essere utilizzate anche per l’elezione del segretario del Pd, «a quel punto il rischio è che nessuno si iscriva più». Critiche condivise da tanti, in quello che alla fine è risultato una sorta di “de profundis” delle Primarie, forse la novità più rilevante emersa dal dibattito della Direzione.

da lastampa.it


Titolo: Maria Teresa Meli. Bettini soddisfatto, freddi Bersani, Fassino e Finocchiaro
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2008, 12:32:28 pm
Retroscena I veltroniani: l'unico filo che unisce i vari distinguo è il legame con i «vecchi» partiti

La nostalgia per Pci e Dc e l'esultanza di Bettini

Bettini soddisfatto, freddi Bersani, Fassino e Finocchiaro


Nel terrazzo della sede del Pd — che qualcuno propone di destinare a miglior uso organizzando dei party — Goffredo Bettini ragiona così: «Ci sono state critiche, ma non una proposta politica alternativa portata avanti in maniera unitaria. L'unico punto unificante di quanti hanno mosso rilievi a Walter è la nostalgia per i partiti d'appartenenza, la Dc e il Pci, eccezion fatta per Rutelli, ovviamente, che non appartiene a quelle tradizioni» .
Chissà cosa direbbe Massimo D'Alema se ascoltasse quel che dice il coordinatore dell'esecutivo. Lui che ha appena finito di spiegare che il troppo nuovo stroppia. Ma non sente. È dentro e sta parlando al cellulare. Quando chiude la conversazione spiega: «Ero al telefono con la Marcegaglia, volevo sapere come stava... Certo, quando c'ero io al ministero degli Esteri queste cose non succedevano». È un'altra, in questo momento, la nostalgia che prova D'Alema.
Ma sarà poi vero quel che sostiene Bettini? Certo, il rischio i veltroniani lo avvertono, non c'è che dire. Basta pensare al segretario che si dice convinto che se si tornasse ai posti di partenza — ai vecchi partiti insomma — sarebbe come fare la fine dei seguaci del «reverendo Jones». Quei signori, per intendersi, che morirono bevendo un'aranciata avvelenata in quel della Guyana.
Che di nostalgia o di orgoglio si tratti — a seconda di come la si vede — è innegabile che in molti interventi in direzione il richiamo a non dimenticare le radici è forte. Ed è insistito e ripetuto nei discorsi di tutti quelli che criticano il leader del Pd. Facendo precedere gli appunti alla linea di Veltroni con un «approvo la relazione del segretario», proseguendo poi con un «ma» o un «tuttavia», come si faceva ai tempi del Pci quando si voleva criticare il numero uno. È il caso di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd del Senato, che a un certo punto osserva: «Non vogliamo tener conto del fatto che la storia del riformismo italiano oggi possa esserci molto utile?». E Fassino — che è stato uno degli uomini chiave per la mediazione che ha portato a un documento unitario ma che qualche critica da fare ce l'ha — si dice convinto che «si debba avere coscienza della propria storia e appartenenza politica ».
Per non parlare di Bersani, che all'ingresso della saletta in cui si svolge la direzione del partito, ricorda il Pci degli anni 50 come un grande esempio, e che, poi, nel suo intervento, sottolinea: «Non dobbiamo dimenticare la grande solidità delle nostre radici perché noi il riformismo ce l'abbiamo davanti, ma ne abbiamo almeno cinquant'anni alle nostre spalle». Anche gli ex democristiani ci tengono alla loro casa madre. Marco Follini per attaccare il sistema delle alleanze messo su dal segretario invita il Pd a fare come la Dc di De Gasperi. L'ex presidente del Senato, Franco Marini, non vuol sentir parlare di adesione al partito socialista europeo: «C'è una cultura che è entrata nel Pd e che chiede rispetto».
E anche il tema della questione morale porta gli uomini del Pd a dividersi in ex qualcosa. Racconta Giovanni Lolli, democratico di radici diessine: «Io in Abruzzo, dopo la storia di D'Alfonso, mi vergogno a tornarci. I miei mi chiedono: ma perché ci siamo messi con quelli lì?». Dove per «quelli lì», naturalmente, si intendono gli ex margheritini. In compenso basta vedere le facce che fanno i popolari e ascoltare i loro commenti quando prende la parola Antonio Bassolino. A parti rovesciate, lo stesso discorso che fanno gli elettori di Lolli, soprattutto dopo che il presidente della Campania nel suo intervento non ha nominato nemmeno per sbaglio il termine «questione morale».
Quindi sembra proprio che quel Pd sognato da Veltroni — quella forza politica «in cui chi non viene dalle storie dei partiti fondatori si sente a casa propria» — stenti ancora a decollare. Sarà anche per questa ragione, oltre che per il susseguirsi di vicende giudiziarie che lo coinvolgono, che il Pd nel sondaggio riservato che viene dato ai leader del centrosinistra ogni venerdì registra un ulteriore calo dei consensi. Il Partito democratico, che la scorsa settimana stava al 27,5 è sceso al 26. E per paradosso — o forse no — la popolarità di Veltroni continua invece ad aumentare. L'altra settimana i consensi nei confronti del segretario erano superiori a quelli per il Pd di 9,7 punti in percentuale. Adesso Veltroni è 11 punti sopra. Dunque nel Pd i due partiti continuano a convivere. Anche per questo motivo chi non è d'accordo con il segretario fa fatica a metter su una «proposta politica alternativa unitaria», per dirla alla Bettini. Ma è anche vero che in questa Direzione si sono sentiti i primi scricchiolii della maggioranza che sostiene il segretario. Anna Finocchiaro, Pierluigi Bersani e Piero Fassino finora sono stati con Veltroni. E per adesso ci stanno ancora. Ma hanno cominciato a prenderne le distanze e ad ammettere, come ha fatto la Finocchiaro, che «la questione dell'assetto dirigente verrà dopo ». E' vero che la capogruppo del Senato ha aggiunto un «forse», ma la questione della leadership rimane lì, sullo sfondo, in attesa dell'appuntamento delle elezioni ammini-strative ed europee. Anche se alla fine, siccome alternativa non c'è, in Direzione hanno votato tutti lo stesso documento. Insomma, come dice l'ultra-prodiano Franco Monaco «sono stati d'accordo nel fingere di essere d'accordo».


Maria Teresa Meli
20 dicembre 2008

da corriere.it


Titolo: Marco Conti. Veltroni e la sfida delle europee
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2008, 05:01:23 pm
Il Pd e la tregua interna

Veltroni e la sfida delle europee
 
  di Marco Conti


ROMA (20 dicembre) - Tanto tuonò che non piovve, ieri alla direzione del partito Democratico, chiamata a discutere di risultati elettorali deludenti e

di questione morale. Walter Veltroni è riuscito a rimettere insieme i cocci di un partito che sembra accerchiato dalle procure e in forte crisi di identità. Proprio quest'ultimo aspetto viene oggi sottolineato con maggior forza sui quotidiani. Non si tratta forse solo «dell'amalgama mal riuscito» evocato da Massimo D'Alema, quanto dell'incapacità dei vertici del Pd di indicare una direzione stretti tra la piazza dell'Onda, il giustizialismo di Di Pietro, le liturgie del sindacato e le esigenze del riformismo a suo tempo espresse al Lingotto. Il voto bulgaro sul documento conclusivo, da «vecchio comitato centrale», come sottolineava ieri sera un vecchio militante proveniente dall'esperienza del Pci, non cancella però i problemi. Soprattutto non è detto che rappresenti l'umore di eletti e militanti che ieri sera al Nazareno non c'erano e che da anni vivono con sempre maggiore rarefazione le scelte romane.

La decisione del sindaco di Torino Sergio Chiamparino di sbattere la porta e dimettersi da ministro ombra delle Riforme, salvo poi ripensarci dietro pressing dello stesso Veltroni, raccoglie proprio questo senso di frustrazioni e di forte disorientamento che si avverte nelle province più lontante del partito Democratico, e che l'arruolamento dello scrittore Saviano non basta a recuperare. C'è voglia di far da soli in molti quadri di partito e amministratori locali abituati a trattare ormai personalmente con il governo anche questioni rigurdanti la politica estera. Si avverte un disorientamento che la crisi econimica rischia di far diventare esplosivo. Ieri sera Veltroni ha tentato di dare su questo tema delle indicazioni e il gruppo dirigente, seppur tra mille mugugni, astensioni e distinguo, si è adeguato. Forse non avrebbe potuto fare altrettanto, visto che anche i più critici nei confronti del segretario hanno sinora condiviso con Veltroni scelte e potere. Resta ora l'appuntamento con le elezioni europee del prossimo anno l'appuntamento decisivo per il Pd e Veltroni. Se il partito dovesse precipitare rischia di saltare non solo il quadro dirigente, ma il progetto stesso.
 
da ilmessaggero.it


Titolo: Bersani: "Nessuna alternativa a Walter? Se serve non mi tiro indietro"
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2008, 10:35:13 am
Intervista a Bersani: "Un partito solido sa anche distribuire i volantini"

"Da oggi al congresso del 2009 dobbiamo rimetterci in piedi per dare risposte alla crisi"

"Nessuna alternativa a Walter? Se serve non mi tiro indietro"

di SEBASTIANO MESSINA
 
ROMA

Onorevole Bersani, Veltroni ha messo il Pd davanti a un bivio: innovare o fallire. Ma cosa significa la parola "innovazione", per lei?
"E' una parola su cui son d'accordo, e che ho chiesto di qualificare. Per non renderla generica. Se parliamo di innovazione programmatica, Veltroni ha elencato alcuni punti, che io condivido e che è giusto proporre al Paese. Ma se parliamo di innovazione del profilo, della logica, della struttura di un partito, allora è meglio che ci chiariamo meglio le idee".

Le sembra un appello ambiguo?
"Io credo che il partito sia uno strumento, che deve funzionare per poter cambiare il Paese. Perché questo strumento funzioni, deve avere i piedi nella società, ma non deve esserne lo specchio. La società è piena di cose ottime, di energie vitali, ma è piena anche di diffettucci.
Il partito deve saper spostare energie e chiamare tutti a una riscossa civica".

Il Partito democratico è stato un po' zoppicante, su questo fronte?
"Secondo me all'inizio di questa nostra vicenda c'è stata questa utopia di una presa diretta tra il partito e la società, di un meccanismo automatico che può portarci dei guai. Prendiamo le primarie...".

Non le piacciono le primarie? Non crede che sia giusto che siano gli elettori del Pd a scegliere chi dovrà essere il candidato sindaco, o presidente della Regione?
"Sia ben chiaro, io sono favorevole alle primarie. Però dico: cos'è un partito?".

Già, cos'è un partito? Le è stato rimproverato di voler tornare al modello del Pci.
"No, io non voglio rifare il Pci. Voglio fare l'Avis".

E cioè?
"Una associazione di volontari della politica. Lì la sovranità è degli aderenti. I quali nei momenti decisivi la devolvono, per meccanismi statutari o per scelta, ai cittadini. Il collettivo di associati chiamato partito decide di fare le primarie per qualsiasi candidatura? Di fare l'elezione diretta per qualsiasi carica interna? Bene, ma lo decide lui. Non è possibile che in tutti i comuni d'Italia debbano esserci automaticamente le primarie, senza che il Pd faccia una valutazione collettiva. Altrimenti alla fine il partito diventa solo un regolamento. E diventa permeabile a qualsiasi cosa".

Massimo D'Alema ha parlato, nel suo intervento in Direzione, di un partito frutto di un "amalgama mal riuscito". Condivide?
"Un momento. D'Alema ha fatto un discorso più complesso. Ha detto: qualcuno sostiene che noi saremmo un partito a canne d'organo, un partito di correnti, ma non è così perché siamo in una fase precedente, quella in cui prevalgono semmai degli elementi di anarchia e di frantumazione. Altro che correnti. In questo momento noi non abbiamo nemmeno gli aderenti. Stiamo raccogliendoli adesso. E avremo il primo congresso nell'autunno prossimo. Sarà quello il momento in cui si confronteranno le diverse piattaforme politiche. Lì si creerà il pluralismo. Per adesso non è possibile parlare di correnti".

Che lei, mi pare di capire, non demonizza.
"Quando matureranno le condizioni, noi avremo certamente delle aggregazioni interne, che io vorrei che fossero anche statutariamente mobili e transitorie. Ma in un grande partito, come avviene ovunque, immagino che poi le varie sensibilità si organizzino in piattaforme, in proposte da mettere a confronto. Il nostro non sarà mai un partito con un padrone, dobbiamo tutti abituarci alla discussione".

E' vero che la leadership del Partito democratico avrebbe bisogno, come ha detto D'Alema, di più autorità e di più autorevolezza?
"Messa così, non sono d'accordo. Per me il leader è il vertice di un collettivo, un leader dei leader espressi dal basso. Nelle condizioni attuali, l'autorevolezza non è che te la puoi fabbricare. Oggi abbiamo un leader che ha un'investitura enorme ma non ha con sé un collettivo strutturato. Quindi rischia la solitudine, ma non perché si chiama Veltroni. Si chiamasse Bersani, o D'Alema, sarebbe la stessa cosa".

Teme il virus del cesarismo?
"Noi non possiamo mutuare dei meccanismi di autorità alla Berlusconi, alla Di Pietro, alla Bossi. Quelli sono partiti che emanano da persone. Noi no. Noi abbiamo chiesto il massimo della partecipazione per la scelta del segretario. Non è che il giorno dopo l'esercizio democratico può trasformarsi in autorità. O in autoritarismo".

Lei però ha condiviso la proposta di dare al segretario pieni poteri quando c'è da affrontare situazioni di emergenza locali che investano l'immagine del partito.
"Non solo l'ho condivisa ma mi sono battuto per farla passare. Però ho detto anche: attenzione, non c'è solo il problema di cacciare i disonesti, c'è anche il problema di difendere gli onesti. Perché se noi disamoriamo gli onesti, su quelle sedie potranno finirci solo i disonesti".

Dopo il crollo in Abruzzo, una sconfitta alle europee sarebbe un colpo durissimo per il Pd. E' davvero concreto il rischio di una disgregazione, di uno scioglimento?
"No. La nostra avventura di oggi è nel solco, almeno ai miei occhi, di 150 anni di storia di civismo, di riformismo, di battaglie democratiche. E questa vicenda ne ha viste tante. Se noi ci rendiamo conto di questo, relativizziamo anche la fase che stiamo attraversando. Non può esistere un futuro di questo Paese senza un grande partito riformista. Questo è sicuro. Io spero che le europee vadano bene. Ma, comunque vadano, non sono assolutamente in grado di provocare la fine del progetto del Pd".

Dunque una sconfitta non metterebbe a rischio la leadership di Veltroni?
"No, questo no. Io aspetto il nostro primo congresso per avere quel confronto di piattaforme politiche e culturali che aiutano a creare il profilo del partito. Nella situazione in cui saremo, certo".

Dice Massimo Cacciari: non c'è nessuna alternativa a Veltroni.
"Ma nessuno la sta cercando".

Però arriverà il momento del congresso, dice lei. E lì è possibile che l'alternativa a Veltroni si chiami Bersani?
"In tutta sincerità, questo problema io non me lo pongo. Vediamo come andrà il confronto sul profilo politico del Pd. Io so di avere delle idee, in proposito. E sono pronto a sostenerle, in un partito che possa condividerle".

Si sta candidando a fare il segretario?
"Chi conosce la mia mini-biografia sa che io non mi sono mai candidato a niente. Tutto quello che ho fatto è stato perché si pensava che potessi essere utile. Detto questo, non mi sono mai sottratto quando era necessario. C'è chi ama gli sport individuali e chi preferisce gli sport di squadra. A me è sempre piaciuto lo sport di squadra, sennò non mi diverto. Poi in uno sport di squadra uno può giocare in qualsiasi ruolo. Può fare il capitano ma può anche stare in panchina senza piangere".

E da qui al congresso che succede nel Pd?
"Guardi, io ho una grande, grandissima preoccupazione. La crisi sarà acuta e non sarà breve. Da qui all'estate noi ci troveremo in una situazione assolutamente inedita, sul piano produttivo e su quello sociale. Qualcosa che non abbiamo mai visto, almeno quelli della mia generazione. Noi rischiamo che la fascia più colpita, giovani precari, lavoratori e piccoli imprenditori, vengano abbandonati o alla compassione della destra o a qualche rigurgito rabbioso di tipo populista. Io sento acutamente che c'è bisogno di noi. Per questo dobbiamo rimetterci in piedi ed essere forti. Un partito come il nostro, deve esserci".

Cosa vuol dire, "esserci"? Non c'è, oggi, il Pd?
"Voglio dire che non basta che Bersani abbia la piattaforma giusta, se poi non abbiamo qualcuno che attacchi un volantino nella bacheca della fabbrica in crisi. Se agli occhi di un giovane precario, che ha perso anche quei 500 euro al mese che aveva, apparisse che a Roma siamo tutti d'accordo e diciamo che tutto va bene, ma dove va questo giovane? Ci vuole qualcuno che gli sia di riferimento e che gli dica: guarda, cerchiamo di combattere perché così non va. La mia preoccupazione più grossa oggi è questa: essere lì, accanto a quel precario che resta disoccupato".

(21 dicembre 2008)
da repubblica.it


Titolo: Pier Luigi BERSANI.
Inserito da: Admin - Gennaio 14, 2009, 05:55:44 pm
Blindano il voto ma non il disagio di tutto il Paese

di Bianca Di Giovanni


«Non riusciranno mai a blindare il disagio del Paese, che c’è ed è forte».
Pier Luigi Bersani ha appena terminato il suo intervento in Aula. Ha parlato per mezz’ora di fila, ripetendo più volte: ascoltateci. «La crisi è dura e non si propone nessuna ricetta. Il premier dice che nel paese non c’è conflitto - dichiara - Ma il conflitto non c’è perché molti sono disperati. Non sanno cosa fare, e il governo non dà indicazioni».

Come giudica l’intervento di Fini. Ha un peso politico forte?
«Conosco troppo bene i giochi della politica: senza un’alternativa non succede mai nulla. Fini ha reagito come si fa quando la goccia fa traboccare il vaso. Non si è mai visto che con 20 emendamenti depositati non si permetta all’Aula di esaminare il testo. L’opposizione aveva selezionato 10 proposte: non c’era nessun rischio di sforare nei tempi. Il discorso di Vito è surrealismo puro, anzi dadaismo. Addirittura porre la fiducia per rispettare il Parlamento. Davvero troppo».

Anche con l’esame in Aula non sarebbe cambiato molto nel merito. Tremonti insiste che le risorse non ci sono.
«Non è così, perché nella democrazia c’è anche una forte valenza economica. La discussione democratica serve per capire meglio e per correggere gli eventuali errori. Ebbene, l’Italia è l’unico Paese del mondo che non ha mai discusso della crisi e delle misure per contrastarla in modo serio e consapevole. Nell’opinione pubblica si trasmettono slogan preconfezionati e conformisti: non c’è una vera analisi critica, è per questo che rischiamo di andare sempre più giù».

Resta il fatto che Tremonti non concede risorse.
«Allora, passiamo al merito. Questo governo ormai risponde sempre che non si può fare nulla, è impossibile tutto, perché c’è il debito, perché c’è Bruxelles, perché ci sono i titoli. Ricordo che il governo Prodi, pur rientrando del deficit, redistribuì 6 miliardi con il “tesoretto”. In qualche modo avrà fatto. E poi voglio dirlo chiaro e tondo agli elettori: loro sono pagati per trovare una soluzione, non per dire che non c’è. Cosa pensa la gente che perde lavoro di queste persone che siedono nei palazzi e dicono semplicemente: non possiamo fare nulla? Che immagine stiamo dando?».

E l’opposizione?
«Noi abbiamo proposto varie cose. Abbiamo chiesto un incontro: lì ci erano state assicurate aperture sulle nostre proposte. Invece poi non si è visto nulla, a parte qualche concessione marginale (come quella sul bonus degli ecoincentivi). L’ho ripetuto oggi (ieri, ndr) in aula: faccio appello alla maggioranza. Apriamo un tavolo anticrisi, a cui partecipino anche gli enti locali, e troviamo delle risposte per la parte debole del paese. In troppi stanno soffrendo: questa crisi la sta pagando la parte meno tutelata. Nell’inconsapevolezza di tutti. Se la crisi è così dura, non si risolve con una rapina da una parte, o una rissa nel Cipe, spostando risorse da una parte e sottraendone da un’altra. Io insisto: ci vuole un piano concordato anche sugli investimenti locali. Non serve scippare le amministrazioni decentrate dei loro fondi».

Non è d’accordo con la proposta Sacconi sui fondi per la formazione?
«Se funziona, nessuno si mette di traverso in questo momento così difficile. Ma io temo che sia una strada molto complicata e molto lunga.
Nel frattempo i lavoratori e le loro famiglie finiscono nel baratro».

bdigiovanni@unita.it


14 gennaio 2009
da unita.it


Titolo: Fini-Berlusconi, il gelo continua: ora Pdl in stand by
Inserito da: Admin - Gennaio 15, 2009, 12:26:01 am
2009-01-14 21:59

Fini-Berlusconi, il gelo continua: ora Pdl in stand by

di Milena Di Mauro


ROMA - Vedersi, stringersi la mano, dare un segno anche plastico della ritrovata unità sarebbe stato facile, oggi che il premier è arrivato alla Camera a votare la fiducia sul decreto anticrisi e vi ha passato gran parte del pomeriggio. Invece così non è stato: tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi il gelo resta. E non basta il riconoscimento del Cavaliere al suo ex vicepremier: "Chapeau, Fini ha un ruolo istituzionale e lo interpreta bene - dice ai giornalisti in Transatlantico - svolgendo un ruolo non partigiano e cercando di dare giustamente l'impressione di essere super partes". Una lunga perifrasi che il presidente della Camera legge sulle agenzie, e che commenta solo muovendo le labbra ad un sorriso.

I due non si vedono e non si sentono, perciò. E l'ultimo contatto, per ammissione dello stesso Berlusconi, resta quello degli auguri telefonici per Natale. Mentre Fini confida a chi ci parla che da mesi non si confronta direttamente con il premier. Precisamente dal 30 ottobre, data in cui fu il presidente della Camera ad invitare a colazione a Montecitorio il Berlusconi (presentandogli nell'occasione l'indigesta pietanza del voto segreto sulla riforma della legge elettorale europea, infatti poi accantonata).

Dopo più nulla. "A fronte delle settimanali cene con Umberto Bossi, dei continui confronti con Giulio Tremonti, delle quotidiane consultazioni con ministri e maggiorenti di Forza Italia", osserva amaro un colonnello di An. Possibile che due leader che lavorano alla costruzione di un grande progetto politico, il Pdl, non parlino tra di loro? E' quello che hanno ripetuto ministri e big azzurri a Berlusconi oggi in diversi incontri, trovando il premier disponibile a non alzare ancora i toni dello scontro, disposto a riconoscere il bisogno di visibilità di Fini e pronto a riallacciare i rapporti, nonostante la persistente irritazione per le ultime stoccate del presidente della Camera. E della necessità di riannodare un filo è andato a parlare anche Ignazio La Russa a Berlusconi, in un incontro alla Camera che pare non sia stato dei più facili.

Finito il quale, dopo aver riferito a Fini, il 'reggente' di An ha dettato due eloquenti dichiarazioni.

La prima: "Berlusconi dice che il congresso del Pdl sarà il 27 marzo? La data è probabile, ma non è stata ancora decisa ufficialmente". Certo non stabilita di concerto da Berlusconi con Fini, come sarebbe stato d'uopo, secondo An. E ancora. Berlusconi assicura che "con Fini non ci sono incomprensioni" visti i quotidiani contatti con La Russa e Maurizio Gasparri? "Sono contento delle dichiarazioni di Berlusconi sul ruolo di Fini - replica La Russa, sempre dopo aver incontrato il leader di An - ma forse sarebbe auspicabile un contatto più assiduo tra presidente del Consiglio e presidente della Camera, che al momento non risulta". La frenata di An sulla data del congresso fondativo del Pdl non è che la punta di un iceberg di un malessere profondo.

L'intero partito è in subbuglio, preoccupato dall'assenza di regole e di democrazia interna del nuovo soggetto politico, dai contorni eccessivamente oligarchici che l'operazione va assumendo, dal rischio che il Pdl sia solo una Forza Italia allargata, con un Berlusconi padrone e tutti gli altri relegati al ruolo di vassalli e valvassini. Un partito finto, dove Berlusconi decide tutto, dove non ci si conta e non ci si confronta. Fini perciò tira il freno a mano. Resta convinto della bontà della scelta di dare vita ad una forza unica di centrodestra, ma comincia a dare ascolto ai molti di An che vanno da lui in processione implorandolo di riprendere l'iniziativa politica, di tornare ad essere un punto di riferimento per la destra. E torna a prendere quota, nella mente di qualcuno l'idea di rinviare la nascita del Pdl o di tornare almeno sul progetto di una federazione, anche se per i più il ruolino di marcia resterà quello fissato. Nella giornata in cui Fini esce dall'Aula prima che Berlusconi vi entri per votare la fiducia (con l'avallo del regolamento per il quale a presiedere, durante la chiama e dopo le dichiarazione di voto, non è il presidente ma un vice) si rafforza invece l'asse con il Quirinale. Fini sale al Colle e dalle maglie del riserbo più stretto trapela una forte sintonia. In particolare, sulla decretazione d'urgenza Fini ha detto ieri il suo punto di vista sulla esigenza di una reale "centralità del Parlamento".

Il capo dello Stato, incontrando le alte cariche dello Stato il 17 dicembre, a sua volta aveva definito l'abuso di decreti "un punto dolente della politica italiana". "Per quanto si tratti di provvedimenti straordinari che il governo adotta sotto la sua responsabilità - sottolineò allora Napolitano - il presidente della Repubblica e i presidenti delle Camere non possono esimersi dal sollevare i problemi, costituzionalmente sensibili, che derivano sia da un'abnorme frequenza del ricorso a decreti".(ANSA). 

da ansa.it


Titolo: Pier Luigi BERSANI.
Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2009, 10:06:50 am
Il ministro ombra annuncia che si candiderà alla leadership del Partito democratico:

"Sento il disamore dei nostro elettori. Ho fatto una cavolata a non correre alle primarie"

Pd, Bersani prepara la sfida di ottobre "Veltroni è solo il leader dei supporter"

dal nostro inviato GOFFREDO DE MARCHIS

 
CAGLIARI - Se non ora, quando? "La volta scorsa ho fatto una grandissima cavolata a non candidarmi alle primarie". Ci furono pressioni enormi, "sarei andato a chiedere i voti ai segretari delle federazioni mettendoli in imbarazzo perché il partito aveva fatto un'altra scelta. Mi rimaneva la possibilità di mettermi alla testa di una lista di consumatori.". Troppo poco per puntare al vertice. Ma gli errori non si ripetono.

Pierluigi Bersani ha un programma, un'idea di Partito democratico (opposta per molti versi a quella di Walter Veltroni), una visione di come si esercita la leadership. Persino l'età non è un problema, a dispetto dei soliti discorsi sul ricambio generazionale. "Sono un giovane di lungo corso, io", dice scherzando dall'alto dei suoi 57 anni. Dunque, ora. Il dado è tratto, Bersani lancia la sua corsa verso la segreteria del Pd. Con i tempi del partito che celebra il congresso a ottobre, certo. Con le variabili della politica: elezioni in Sardegna, amministrative, Europee. "Ma ho deciso di espormi subito perché sento il disamore dei nostri elettori, la mancanza di una prospettiva. Hanno bisogno di un punto di riferimento, altrimenti se ne vanno".

Bersani gira l'Italia da settimane, nei centri della crisi. Lavora per "la ditta", ma si guarda anche intorno, cerca di capire cosa chiedono i cittadini al Partito democratico. E a un eventuale nuovo segretario. Ieri era in Sardegna. Per Renato Soru, che potrebbe essere uno sfidante in autunno, e per ascoltare le domande del mondo del lavoro. Davanti ai cancelli della Syndial, fabbrica di cloro dell'Eni, trova ad aspettarlo tutti i 220 operai preoccupati per il loro futuro. Li rassicura, li prende sotto braccio, li coccola col suo accento emiliano, spiega anche qual è secondo lui la missione principale di un partito di sinistra. "Da 150 anni la nostra storia, con le sue evoluzioni, si fa carico del punto di vista dei più deboli, dei subordinati. Questo dobbiamo continuare a fare per costruire una società migliore". Poi nella sede regionale del Pd a Cagliari, accompagnato dal "commissario" Achille Passoni e dall'assessore all'Industria Concetta Rau, incontra i rappresentanti dell'Eurallumina, raffineria del Sulcis che il 23 febbraio rischia di chiudere i battenti per un anno. Così hanno deciso i proprietari russi.

Qui Bersani non si limita ad offrire sostegno, garanzie. Chiama l'ambasciatore russo perché nel Paese di Putin affari e politica vanno a braccetto. Telefona al ministro Scajola: "Quando lo aprite questo tavolo?". Il tour prosegue a nord: inaugurazione di un circolo del Pd a Uras, poi l'altra zona calda di Porto Torres.

I lavoratori sono la forza del Pd. E potrebbero essere la sua. Sia chiaro, questo fronte non va abbandonato. "Per il 13 febbraio ho aderito alla mobilitazione dei metalmeccanici e del pubblico impiego. E non mi venissero a dire che sono filo-Cgil. Quando si parla con gli imprenditori ci vogliono le truppe. Se hai dietro un consenso e una proposta ragionevole allora gli industriali ti stimano, ti ascoltano. Se lecchi i piedi, non ti stimano e non ti ascoltano". Questa bandiera quindi non la molla. "Ma lo sapevate che Di Pietro aveva aderito allo sciopero nazionale della Cgil? E che il 13 sarà in piazza sia con i metalmeccanici sia con i dipendenti pubblici? Ma vi pare che il Pd si deve far togliere la rappresentanza dei lavoratori da Tonino?".

No, così non va. Il partito, com'è oggi, non funziona. Le attenuanti non mancano, "perché lo so anch'io che siamo ancora nella fase costituente". Ma il Pd non riesce a darsi un profilo, una missione. "Perché esistiamo?", è la domanda senza risposta. Il riformismo "non è andar per funghi, come ho visto alla scuola di formazione di Cortona", fiore all'occhiello veltroniano. "Parla Rifkin, poi un altro professorone, un altro ancora e alla fine non si capisce l'obiettivo". Anche la conferenza programmatica di aprile può diventare un'occasione persa. "L'ho detto a Bettini. Coinvolgiamo subito la periferia, organizziamo assemblee sul territorio, facciamoci mandare dei documenti su 4-5 grandi temi: la crisi, l'Europa visto che si vota dopo poco, un Welfare universalistico, il Nord e il Sud. Mi ha ascoltato con grande attenzione, poi si è deciso il contrario. Si chiamano a raccolta 3000 persone il giorno prima, le si divide in una decina di gruppi, poi all'assemblea parlano i portavoce dei gruppi, due ospiti stranieri, magari Bono o chissà chi altro, si chiude con un discorso di Veltroni. Ma così Walter si riduce a fare il leader dei supporter e questo non può bastare a un grande partito". Invece è necessario motivare gli iscritti, farli partecipare. "Sennò tanto vale mettere nei circoli quei manifesti che si appendevano dal barbiere: vietato parlare di politica".

La sua candidatura è emersa da una riunione di Red, l'associazione dalemiana. Come dire che nasce nell'ambito dell'eterno dualismo tra Massimo e Walter. "Lo so, è una dinamica che ha stancato anche me. Però a Veltroni è piaciuto il cappello di D'Alema alle primarie.". Con il segretario in questi giorni ha il dente avvelenato. "Se hai un'opinione diversa vuoi distruggere il partito. Se ti acconci, come è avvenuto per la legge delle Europee, sei uno sconfitto. Adesso basta. Quando io e mia moglie litigavamo di brutto non andavo di là dalle bambine a dire che il papà voleva strangolare la mamma. Le consolavo: "Non succede niente, stiamo solo discutendo"". Bersani non scrive romanzi, non ha la barca, non cucina risotti. E' un antipersonaggio, per molti più un tecnico che un politico, molto competente sì, ma oltre questo? "Forse è pure vero, sembro un tecnico, ma ho anche approfittato di questa fama per rimanere fuori da certi meccanismi". Del suo privato si conosce soprattutto la passione per Vasco Rossi. "E chi dice che è un maschilista non capisce niente. Le donne sanno benissimo che il maschilismo di Vasco è solo un vezzo, un gioco. A far girare il mondo, anche in quelle canzoni, sono sempre loro".

(6 febbraio 2009)
da repubblica.it


Titolo: E Bersani si smarca: io andrò in piazza
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 12:40:59 am
11/2/2009 (11:37) - IL CASO


Lo sciopero della Cgil divide il Pd
 
Epifani in pressing sui democratici: «Sul lavoro abbiano una voce chiara»

Il partito ufficialmente non aderisce.

E Bersani si smarca: io andrò in piazza

ROMA

Lo sciopero dei metalmeccanici e del pubblico impiego della Cgil di venerdì prossimo irrompe nel dibattito interno del Pd. Se il partito ha deciso di non prendere posizione, Bersani ha invece annunciato ieri la sua adesione alla mobilitazione spiegando che «il Pd deve far sentire la sua presenza nei luoghi dove si muovono i protagonisti della crisi economica: lavoratori, sindacati e piccoli imprenditori».

La svolta di Bersani
Il ministro ombra del Pd, nonché futuro candidato alla segreteria, ha approfittato del dibattito promosso da Movimento per la sinistra ("Politica e conflitto sociale: la sinistra e lo sciopero generale"), per chiarire la sua posizione: «Io credo che l’oggetto della reciproca autonomia tra sindacato e politica, non sia un partito che aderisce o meno a uno sciopero. Non è questo il tema in discussione». «Dobbiamo tuttavia essere presenti perchè la piattaforma che viene presentata per lo sciopero del 13 febbraio mi sembra ragionevole, non mi pare affatto estremistica». Bersani ha poi snocciolato i temi «sui quali anche il Pd è impegnato e sui quali mi sembra giusto portare la nostra presenza: riduzioni fiscali per salari, pensioni e stipendi, misure possibili e ragionevoli sul sistema degli ammortizzatori sociali, il tema di investimenti nelle infrastrutture locali e così via».

Il pressing dela Cgil
Dopo l'adesione di Bersani il segretario della Cgil Epifani aumenta oggi il pressing sui democratici invitandoli ad avere sui grandi temi «una voce chiara». «Chiedo al Pd che abbia proprie radici nel mondo del lavoro, recuperi una sua capacitàdi lettura dei processi che riguardano la condizione dei giovani, dei precari e degli anzini ed elabori delle proprie proposte perchè solo così si potrà avere una capacità di confronto», dice Epifani ai microfoni di Radio tre. Una richiesta che il sindacato lega, anche e sopratutto, all’ultimo accordo separato sulla riforma del modello contrattuale. «Di fronte ad uno strappo di queste dimensioni, un grande partito deve dire, con forza, quello che ha detto l’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: che non si possono fare accordi senza la Cgil». E l'autonomia tra il sindacato e il Pd, -rincara Epifani- «non può essere indifferenza, perchè le ragioni del lavoro non possono stare a cuore solo al sindacato».

Cento parlamentari si smarcano con la raccolta firme
Il Pd ufficialmente ha deciso di non aderire allo sciopero ma un nutrito gruppo di parlamentari democratici ha promosso una raccolta di firme tra deputati e senatori che oggi verrà resa pubblica. Si tratta di oltre cento parlamentari che dichiarano la loro adesione allo sciopero, in contrasto con la decisione presa dalla segreteria. Tra loro ci sono nomi di un certo rilievo, da Anna Finocchiaro a Gianni Cuperlo, da Livia Turco a Vincenzo Vita, da Paolo Nerozzi a Maria Pia Garavaglia, da Walter Vitali a Ignazio Marino. Allo sciopero della Cgil aderiranno anche l’Italia dei Valori e la sinistra radicale, a cominciare dal Prc. «Siamo a fianco di tutti coloro che pagano sulla propria pelle le scelte sbagliate del Governo in campo economico», spiega Di Pietro. E il segretario di Rifondazione non risparmia una frecciata al Pd: «L’unica cosa che Veltroni realmente vuole è obbligare la Cgil a sottostare ai diktat del governo e di Confindustria».

da lastampa.it


Titolo: VELTRONI SCRIVE A EPIFANI, SERVE GRANDE MOBILITAZIONE DI MASSA
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 12:42:03 am
11-02-09 

CRISI: VELTRONI SCRIVE A EPIFANI, SERVE GRANDE MOBILITAZIONE DI MASSA 
 


(ASCA) - Roma, 11 feb - ''Davanti alla crisi e' necessaria una grande mobilitazione unitaria di massa''. E' quanto ha sottolineato il segretario del Partito Democratico Walter Veltroni in una lettera inviata al segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, in vista degli scioperi dei metalmeccanici e dei dipendenti pubblici indetti dalla Confederazione. ''Stiamo vivendo un momento eccezionale che richiede unita' di intenti e piena consapevolezza della gravita' della situazione'' scrive il segretario del PD ''viviamo un periodo di grande incertezza e difficolta' cosi' come accade in tutti gli altri paesi'' ma ''da noi continuano a mancare pressoche' del tutto gli interventi per contrastare gli effetti della recessione, un piano organico di sostegno all'economia e alle imprese, alle migliaia di persone che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro, a partire dai precari, alle famiglie che fanno sacrifici per necessita' o per prudenza''.

''Per questo - prosegue - siamo vicini ai quei lavoratori, e ne comprendiamo le ragioni, che decideranno venerdi' di rinunciare, pur in un periodo cosi' difficile, a una giornata di salario o di stipendio per chiedere con forza con il loro sciopero che si cambi rotta'' e ''siamo d'accordo, di fronte ai ritardi del governo, che e' necessario - come avviene negli altri paesi - esprimere questa domanda di cambiamento con la mobilitazione e la lotta, se e' possibile di tutte le forze produttive''.

Secondo Veltroni ''e' solo cercando e costruendo l'unita' tra le tutte le forze sociali e mettendo subito in atto una serie di azioni consistenti a sostegno dei lavoratori, delle imprese e delle famiglie che si potra' evitare al paese un periodo di drammatiche difficolta'''.

fgl/mcc/ss
 
da asca.it


Titolo: Pier Luigi BERSANI.
Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2009, 06:33:26 pm
L'ex ministro invita a un convegno Marcegaglia, Marchionne e Tremonti

Bersani lancia la sfida: «Proverò a rimettere il dentifricio nel tubetto»

All'appoggio di D'Alema si è aggiunto quello di Marini. E qualche giorno fa si è incontrato con Romano Prodi
 
 
ROMA — Pier Luigi Bersani non nasconde il pessimismo. Non a caso, a chi gli chiede di dire la sua, risponde con una delle metafore che l'hanno reso famoso. La più problematica: «Bisogna vedere se si riesce a rimettere dentro il dentifricio uscito dal tubetto». Ciò non toglie che l'ex ministro delle liberalizzazioni vedrebbe bene se stesso nei panni di chi si dovrà cimentare nella missione impossibile: politicamente parlando, la più grande occasione della sua vita. Lui ce la sta mettendo tutta per arrivare, a ottobre, in pole position. Ma da qui al congresso che incoronerà il successore di Walter Veltroni, sempre che la situazione non precipiti prima, il cammino è pieno di insidie. Contro, Bersani ha chi lo considera simbolo del vecchio apparato della Quercia, per questo incapace di innovare. Lui risponde ricordando di aver fatto «lo spezzatino dell'Enel, la riforma del commercio, la liberalizzazione delle ferrovie, le lenzuolate... ».

I GIOVANI - E non sono innovazioni? Già. Ma i giovani, la scommessa di Veltroni? «I giovani non vanno inventati, devono confrontarsi con un processo reale. Forse non sono stato io fra i primi a valorizzare, concretamente, i giovani?», rivendica. I nomi ce li ha sulla punta delle labbra: Maurizio Martina, trent'anni, segretario del Pd della Lombardia. Andrea Martella, classe 1968, ministro ombra delle Infrastrutture. Andrea Orlando, quarant'anni appena compiuti, portavoce del Pd. Ma sa, Bersani, che c'è pure chi nel Pd non gli ha mai perdonato proprio la mania delle liberalizzazioni. Come c'è chi prova imbarazzo quando ascolta Giulio Tremonti parlare di economia sociale di mercato, come fosse il portabandiera della sinistra. E lui rassicura anche loro: «Finora tutti i provvedimenti che ci hanno spacciato per economia sociale di mercato non hanno risolto un bel niente». È un Bersani diverso, quello che nella bufera della crisi corre per la segreteria.

IL PROTEZIONISMO - Un Bersani che dice «no al protezionismo », ma poi, come ha fatto giovedì alla presentazione dell'ultimo libro di Massimo Gaggi, La Valanga, riconosce che servono «strumenti in qualche modo difensivi» per le manifatture europee. Che parla di globalizzazione senza mettergli vicino la parola «opportunità ». E che non rinuncia a sottolineare gli errori storici del positivismo. Un Bersani impegnato nella lettura di un libro di Alberto Melloni: Papa Giovanni, un cristiano e il suo concilio. Consapevole che la Cgil può essere un potente alleato, ma pure che «le forze sociali devono trovare un compromesso non corporativo ». E che il mondo del lavoro non finisce con «chi ha l'idea balorda che chi sta con i lavoratori non può stare con gli imprenditori». Musica, per le orecchie di chi, come la Cisl, ha sempre sostenuto la partecipazione dei lavoratori al capitale. Una linea di pensiero che attraversa una vena importante, quella cattolica, del Pd, passando per Sergio D'Antoni.

D'ALEMA - E arrivando a Franco Marini: ancora una volta, con Massimo D'Alema, personaggio chiave dei destini del centrosinistra. Marini è concentrato a individuare un percorso che dopo le elezioni europee non spacchi il partito sulla scelta fra il Pse e il Ppe. Magari uno sparuto gruppo autonomo nel grande parlamento di Strasburgo, ma collegato esternamente al Pse. Bersani intanto incassa il sostegno dell'ex presidente del Senato (e di D'Alema) continuando a tessere la sua tela. A metà marzo ci sarà a Pisa una tre giorni in grande stile: il Manifutura festival. Ospiti Emma Marcegaglia, ma anche l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, Epifani, Claudio Scajola e Tremonti. Chi organizza? Il Nens, centro studi che Bersani ha fondato insieme a Vincenzo Visco. Già questo è piuttosto singolare. Che poi ci sia anche Tremonti, che una volta lo definì perfidamente «Nonsens», potrebbe sembrarlo ancora di più. Oppure no, nel clima concreto e «non settario» che Bersani vuole costruire intorno a sé. Qualche giorno fa si è incontrato con Romano Prodi, il convitato di pietra che lunedì aveva anche ricevuto sul Messaggero i sinceri complimenti del ministro dell'Economia. Un mortaretto, altrettanto sincero, lanciato da Tremonti fra i piedi di Veltroni. Senza immaginare che martedì sarebbe saltata per aria pure la Santabarbara.

Sergio Rizzo

21 febbraio 2009
da corriere.it


Titolo: Pier Luigi BERSANI.
Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2009, 05:44:26 pm
«Riportiamo il PD in fabbrica»

Itervista di Fabrizio Forquet
 
 

 
«L'impresa è una barca – racconta Pier Luigi Bersani, 57 anni –, se naviga bene ci stanno su sia gli imprenditori sia i lavoratori. Se va giù, vanno giù tutti.
E bevono, quanto bevono». Da ministro ombra dell'Economia, Bersani si è spesso trovato in disaccordo con il suo segretario. Ora vede le condizioni per un cammino nuovo: «Siamo stati troppo tempo lontani dalle fabbriche, ma nelle ultime settimane, già con Veltroni, si è cambiata rotta: ci sono le condizioni per lavorare nella direzione giusta».

Mentre sabato discutevate in assemblea sul successore di Veltroni, il Governatore Mario Draghi dal Forex ha lanciato il suo allarme sul fronte del lavoro. Qualcuno a sinistra le ha chiesto di ripartire da lì e di annunciare subito il programma del Pd?
Con l'elezione di Franceschini, abbiamo evitato di cadere nel ridicolo, ritrovandoci in piena crisi a dividerci nei nostri gazebo su chi aveva i capelli e chi no. Ora possiamo concentrarci con tutte le nostre energie su questo durissimo passaggio economico e sociale. Mi aspetto che, come un sol uomo, riprendiamo il filo di una proposta per le imprese e i lavoratori che nelle ultime settimane era finalmente migliorata.

Veltroni aveva riunito le parti sociali e aveva lanciato un piano che coinvolgeva le piccole e medie imprese. Che fine fa quel lavoro?
Dobbiamo procedere in continuità con quelle ultime iniziative. Se il partito è arretrato in tante zone industriali è perché per troppo tempo lì non ci siamo stati. Io stesso ho fatto assemblee dei lavoratori dentro le fabbriche come non facevo da tempo. Con i lavoratori e con gli imprenditori, perché lì capisci come sia una caricatura quella di chi dice che devi stare o con i primi o con i secondi.

Ma lei che ruolo avrà nel partito nei prossimi mesi?
Darò una mano occupandomi di questi temi, dei miei temi (salvo sorprese, Bersani sarà il coordinatore del partito per l'economia, Ndr). È Franceschini che decide, ma qui si tira tutti la carretta. L'importante è che, superato il trauma, ci buttiamo a capofitto nei temi sociali e non ci facciamo più rappresentare come una realtà che discute solo su se stessa.

Ieri il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha osservato che la crisi non sarà superata finché non si garantirà stabilità ai mercati e alle banche. Da dove si comincia: dalle banche o dal lavoro?
Terrei conto del monito di un altro banchiere centrale, del presidente della Bce Trichet: c'è il rischio che le banche tengano al loro interno i prestiti e non li trasmettano alle imprese. Perciò non credo che i cosiddetti Tremonti-bond siano lo strumento migliore per il rilancio del sistema industriale. Almeno bisognava prevedere meccanismi più stringenti per la trasmissione dei finanziamenti alle aziende e andava dato un segnale sul management che ha sbagliato. Quei bond non basteranno: servono soluzioni diverse o tante imprese nei prossimi mesi ci lasceranno la pelle.

La priorità, sembra di capire, è l'economia reale.
La priorità è il lavoro e sono le imprese: che poi è la stessa cosa. Quello che serve è un intervento straordinario fatto di politiche fiscali e politiche pubbliche per il sistema industriale.

Ma queste misure costano, mentre i Tremonti-bond sono a costo zero.
Lo so. Togliamoci, tuttavia, dalla testa che la crisi si superi senza spendere. Per fronteggiare la situazione abbiamo bisogno di una manovra di 15-17 miliardi.

È possibile? Il debito pubblico corre già verso il 114%...
Non mi si dica che un grande Paese come l'Italia, in questa situazione, non è in grado di mobilitare le risorse che servono. Diamoci uno spazio di tre anni: nel primo investiamo e per i successivi già prevediamo il meccanismo di rientro. Con l'euro lo abbiamo fatto, dovremmo tornare a quell'esempio. Non puoi dire non ci sono i soldi se hai la gente per strada.

Il Governo ha stanziato otto miliardi per ammortizzatori.
Ma le basi di finanziamento sono incerte e discutibili e i soldi veri non si vedono ancora. Non basterà. Guardi, io sono stato a Bergamo nei giorni scorsi. Solo lì, esclusi i precari, servono 10 milioni di euro nel 2009. La verità è che si sottovaluta una situazione che può avere risvolti sociali poco controllabili. Sto girando tutta Italia, vorrei che lo stesso facesse il governo. Convochi tutti intorno a un tavolo. Montezemolo ha parlato di Stati generali. Ottimo. Facciamoli. Noi a marzo abbiamo la nostra iniziativa ManiFutura a Pisa. È un'altra occasione per discutere. C'è tanta gente che sta male. Non solo lavoratori e precari, ma anche piccoli imprenditori nei cui occhi ho letto il panico. Il clima è davvero brutto, corriamo il rischio di una stagione molto calda. Servono misure immediate per impedire che tutto questo degeneri.
 
Lei cosa propone?
Innanzi tutto è giusto intervenire su una categoria particolare di imprese: sono quelle che, virtuosamente, hanno investito nel 2008, ma ora si trovano strangolate tra il difficile ammortamento di macchinari che non producono e le banche che chiedono di rientrare. Su queste aziende bisogna intervenire con sgravi fiscali retroattivi. Glielo dobbiamo: sono gli imprenditori che hanno dato di più.

E per tutti gli altri?
Va rafforzato il programma di incentivi legato a Industria 2015, in riferimento alla mobilità sostenibile, al risparmio energetico e alle tecnologie del made in Italy. Bisogna accelerare davvero i pagamenti della pubblica amministrazione, un piccolo tesoro che può essere da subito disponibile. E vanno concentrate le risorse per le infrastrutture sui cantieri locali, che sono immediatamente attivabili.

Come giudica la proposta per trattenere in azienda il Tfr destinato all'Inps?
Era giusta. Tremonti ha detto che si toglievano soldi ai lavoratori, in realtà quelli sono soldi del Tesoro.

Sulle questioni sindacali lei non ha nascosto il suo malumore nei mesi scorsi per una certa lontananza del Partito democratico dalla Cgil.
Io non sono filo-Cgil. Faccio il mio mestiere, sto dove stanno i lavoratori e dove stanno i piccoli imprenditori.

Ma se i lavoratori stanno su posizioni diverse, come è avvenuto sulla riforma dei contratti?
Guardi, l'errore lo ha fatto il Governo. Se io fossi stato al suo posto non avrei mai chiuso quell'intesa senza la partecipazione di tutti, soprattutto in questa fase. Non perché sono amico di questo o di quello, ma perché nelle difficoltà un Paese deve stare insieme.

Ma nell'approccio verso il sindacato si aspetta novità dall'uscita di Veltroni?
Mi aspetto che il mio partito stia nelle fabbriche, vicino ai lavoratori e vicino ai piccoli imprenditori. Per un po' non lo abbiamo fatto, ora abbiamo ricominciato. Anche con Veltroni. Siamo tornati sulla barca. E mi auguro di non scenderne più.

da ilsole24ore.com


Titolo: BERSANI. «Riportiamo il PD in fabbrica»
Inserito da: Admin - Marzo 06, 2009, 09:37:11 pm
«Riportiamo il PD in fabbrica»

Itervista di Fabrizio Forquet
 
 

 
«L'impresa è una barca – racconta Pier Luigi Bersani, 57 anni –, se naviga bene ci stanno su sia gli imprenditori sia i lavoratori. Se va giù, vanno giù tutti.
E bevono, quanto bevono». Da ministro ombra dell'Economia, Bersani si è spesso trovato in disaccordo con il suo segretario. Ora vede le condizioni per un cammino nuovo: «Siamo stati troppo tempo lontani dalle fabbriche, ma nelle ultime settimane, già con Veltroni, si è cambiata rotta: ci sono le condizioni per lavorare nella direzione giusta».

Mentre sabato discutevate in assemblea sul successore di Veltroni, il Governatore Mario Draghi dal Forex ha lanciato il suo allarme sul fronte del lavoro. Qualcuno a sinistra le ha chiesto di ripartire da lì e di annunciare subito il programma del Pd?
Con l'elezione di Franceschini, abbiamo evitato di cadere nel ridicolo, ritrovandoci in piena crisi a dividerci nei nostri gazebo su chi aveva i capelli e chi no. Ora possiamo concentrarci con tutte le nostre energie su questo durissimo passaggio economico e sociale. Mi aspetto che, come un sol uomo, riprendiamo il filo di una proposta per le imprese e i lavoratori che nelle ultime settimane era finalmente migliorata.

Veltroni aveva riunito le parti sociali e aveva lanciato un piano che coinvolgeva le piccole e medie imprese. Che fine fa quel lavoro?
Dobbiamo procedere in continuità con quelle ultime iniziative. Se il partito è arretrato in tante zone industriali è perché per troppo tempo lì non ci siamo stati. Io stesso ho fatto assemblee dei lavoratori dentro le fabbriche come non facevo da tempo. Con i lavoratori e con gli imprenditori, perché lì capisci come sia una caricatura quella di chi dice che devi stare o con i primi o con i secondi.

Ma lei che ruolo avrà nel partito nei prossimi mesi?
Darò una mano occupandomi di questi temi, dei miei temi (salvo sorprese, Bersani sarà il coordinatore del partito per l'economia, Ndr). È Franceschini che decide, ma qui si tira tutti la carretta. L'importante è che, superato il trauma, ci buttiamo a capofitto nei temi sociali e non ci facciamo più rappresentare come una realtà che discute solo su se stessa.

Ieri il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha osservato che la crisi non sarà superata finché non si garantirà stabilità ai mercati e alle banche. Da dove si comincia: dalle banche o dal lavoro?
Terrei conto del monito di un altro banchiere centrale, del presidente della Bce Trichet: c'è il rischio che le banche tengano al loro interno i prestiti e non li trasmettano alle imprese. Perciò non credo che i cosiddetti Tremonti-bond siano lo strumento migliore per il rilancio del sistema industriale. Almeno bisognava prevedere meccanismi più stringenti per la trasmissione dei finanziamenti alle aziende e andava dato un segnale sul management che ha sbagliato. Quei bond non basteranno: servono soluzioni diverse o tante imprese nei prossimi mesi ci lasceranno la pelle.

La priorità, sembra di capire, è l'economia reale.
La priorità è il lavoro e sono le imprese: che poi è la stessa cosa. Quello che serve è un intervento straordinario fatto di politiche fiscali e politiche pubbliche per il sistema industriale.

Ma queste misure costano, mentre i Tremonti-bond sono a costo zero.
Lo so. Togliamoci, tuttavia, dalla testa che la crisi si superi senza spendere. Per fronteggiare la situazione abbiamo bisogno di una manovra di 15-17 miliardi.

È possibile? Il debito pubblico corre già verso il 114%...
Non mi si dica che un grande Paese come l'Italia, in questa situazione, non è in grado di mobilitare le risorse che servono. Diamoci uno spazio di tre anni: nel primo investiamo e per i successivi già prevediamo il meccanismo di rientro. Con l'euro lo abbiamo fatto, dovremmo tornare a quell'esempio. Non puoi dire non ci sono i soldi se hai la gente per strada.

Il Governo ha stanziato otto miliardi per ammortizzatori.
Ma le basi di finanziamento sono incerte e discutibili e i soldi veri non si vedono ancora. Non basterà. Guardi, io sono stato a Bergamo nei giorni scorsi. Solo lì, esclusi i precari, servono 10 milioni di euro nel 2009. La verità è che si sottovaluta una situazione che può avere risvolti sociali poco controllabili. Sto girando tutta Italia, vorrei che lo stesso facesse il governo. Convochi tutti intorno a un tavolo. Montezemolo ha parlato di Stati generali. Ottimo. Facciamoli. Noi a marzo abbiamo la nostra iniziativa ManiFutura a Pisa. È un'altra occasione per discutere. C'è tanta gente che sta male. Non solo lavoratori e precari, ma anche piccoli imprenditori nei cui occhi ho letto il panico. Il clima è davvero brutto, corriamo il rischio di una stagione molto calda. Servono misure immediate per impedire che tutto questo degeneri.
 
Lei cosa propone?
Innanzi tutto è giusto intervenire su una categoria particolare di imprese: sono quelle che, virtuosamente, hanno investito nel 2008, ma ora si trovano strangolate tra il difficile ammortamento di macchinari che non producono e le banche che chiedono di rientrare. Su queste aziende bisogna intervenire con sgravi fiscali retroattivi. Glielo dobbiamo: sono gli imprenditori che hanno dato di più.

E per tutti gli altri?
Va rafforzato il programma di incentivi legato a Industria 2015, in riferimento alla mobilità sostenibile, al risparmio energetico e alle tecnologie del made in Italy. Bisogna accelerare davvero i pagamenti della pubblica amministrazione, un piccolo tesoro che può essere da subito disponibile. E vanno concentrate le risorse per le infrastrutture sui cantieri locali, che sono immediatamente attivabili.

Come giudica la proposta per trattenere in azienda il Tfr destinato all'Inps?
Era giusta. Tremonti ha detto che si toglievano soldi ai lavoratori, in realtà quelli sono soldi del Tesoro.

Sulle questioni sindacali lei non ha nascosto il suo malumore nei mesi scorsi per una certa lontananza del Partito democratico dalla Cgil.
Io non sono filo-Cgil. Faccio il mio mestiere, sto dove stanno i lavoratori e dove stanno i piccoli imprenditori.

Ma se i lavoratori stanno su posizioni diverse, come è avvenuto sulla riforma dei contratti?
Guardi, l'errore lo ha fatto il Governo. Se io fossi stato al suo posto non avrei mai chiuso quell'intesa senza la partecipazione di tutti, soprattutto in questa fase. Non perché sono amico di questo o di quello, ma perché nelle difficoltà un Paese deve stare insieme.

Ma nell'approccio verso il sindacato si aspetta novità dall'uscita di Veltroni?
Mi aspetto che il mio partito stia nelle fabbriche, vicino ai lavoratori e vicino ai piccoli imprenditori. Per un po' non lo abbiamo fatto, ora abbiamo ricominciato. Anche con Veltroni. Siamo tornati sulla barca. E mi auguro di non scenderne più.

da ilsole24ore.com


Titolo: BERSANI «Il discorso di Fini demolisce l'azione di governo»
Inserito da: Admin - Marzo 29, 2009, 11:18:58 am
Bersani attacca: «Il discorso di Fini demolisce l'azione di governo»

Di Pietro: fermeremo progetto piduista, premier compra consenso. Casini: abbiamo idea diversa da Berlusconi

 
ROMA (28 marzo) - Le parole di Fini rappresentano «una clamorosa bocciatura delle principali misure del governo». Parla chiaro il responsabile economico del Pd Pierluigi Bersani. «Dall'immigrazione al testamento biologico, dall'economia alle misure anti-crisi - ha detto - abbiamo assistito allo smontaggio degli architravi delle politiche di Berlusconi».

Il dirigente Pd parla di «un'autorevole voce dissenziente dentro la maggioranza che non va derubricata come semplice dialettica congressuale».
«Prima dinanzi all'inerzia dell'esecutivo - afferma Bersani - sul fronte della crisi ha auspicato gli stati generali dell'economia con tutte le parti sociali. Poi ha bocciato i principi stessi delle norme in tema di immigrazione inserite nel pacchetto sicurezza, fino ad arrivare ad oggi alla sconfessione della legge sul testamento biologico».

Di Pietro: fermeremo progetto piduista. L'Italia dei Valori ha il «dovere civico» di impedire che si porti a compimento «quel progetto di rinascita piduista che è sempre stato nel cuore dell'attuale presidente del Consiglio». Secco il commento di Antonio Di Pietro sulla nascita del Pdl. Ieri Dario Franceschini: «Berlusconi guardi avanti, stesse cose e stessi slogan dal '94».

Berlusconi «vuole totalmente delegittimare il Parlamento togliendo anche il diritto di voto e di pensiero ai deputati - ha detto Di Pietro - ancora ieri ha riconfermato la validità di questa legge elettorale che gli assegna il dominio nella scelta dei candidati e quindi trasforma il Parlamento in un esercito di dipendenti». Il premier «ha delegittimato un organo costituzionale dello Stato come la magistratura, che considera un nemico, mentre considera vittime tanti personaggi contigui, vicini alla mafia». «Berlusconi - ha concluso - vuole avere in mano tutta l'informazione pubblica e privata, come dimostra la vicenda Rai, ed eliminare i controlli di legalità contro il suo operato. Noi cerchiamo di frenare la deriva antidemocratica».

«Il premier compra il consenso di maggioranza del Paese. Non è vero che ce l'ha, illude i cittadini ogni giorno con promesse nuove e con l'informazione li convince. Ma presto - aggiunge Di Pietro - i cittadini passeranno dalla illusione alla desolazione».

«Ha scritto la Costituzione con Gelli». «Credo che in Italia ci siano due Costituzioni, quella dei nostri padri e quella di Berlusconi, il quale l'ha scritta con Licio Gelli». 
«Ci sono altre centinaia di Catania in tutta Italia» ha conluso il leader dell'Idv riferendosi alla «mala gestione» della città emersa dalla trasmissione televisiva Report. «Questo modo di fare - ha sottolineato Di Pietro - deve essere contrastato mandando a casa a zappare la terra chi si comporta in questo modo. Viceversa li mandano in parlamento a fare gli onorevoli».

Casini: abbiamo idea diversa da Berlusconi. Il congresso del Pdl «dimostra più di ogni altra cosa l'idea che Berlusconi ha della politica e del Paese. È un'idea che rispettiamo ma la nostra è diversa». «Noi lavoriamo per il futuro del Paese - afferma Casini -Non abbiamo bisogno di rivendicare uno spazio al centro. Questo spazio c'è ed è documentato da tutti. Siamo impegnati per il futuro dell'Italia. È importante tutto ciò perché il nostro lavoro guarda anche alla possibilità di creare una alternativa in Calabria».

D'Alema: non è l'unico governo possibile. Sull'affermazione del premier, secondo il quale quello del centrodestra sarebbe l'unico governo possibile per il Paese D'Alema ha detto: «Certamente non è l'unico governo possibile. In questi 15 anni ha governato anche il centrosinistra, e lo abbiamo fatto meglio di loro». L'esordio del Pdl? «E' rivolto al passato».
 
da ilmessaggero.it


Titolo: BERSANI «Un’autoapoteosi. Ma...
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2009, 11:09:27 pm
Bersani «Un’autoapoteosi.

Ma non una risposta alla crisi dell’Italia»

di Federica Fantozzi



Il PdL? Un tritasassi ideologico del berlusconismo dove An sarà biodegradata in 15 giorni. Ma sul fronte laico Fini ha aperto una breccia». Pier Luigi Bersani analizza il nuovo partito dal punto di vista del Pd: «Al congresso dovremo organizzare il campo o ci sorbiremo a lungo le prediche del Cavaliere».
Che chiama «a raccolta il suo popolo» e sfida Franceschini a imitarlo alle Europee. Populista o avveduto?
«Berlusconi sa sempre ciò che fa, ma non sempre sta in una logica democratica piena. Nessun leader in Europa chiede un voto inutile e una preferenza ingannevole. È l’ennesima distorsione: i meccanismi democratici prevedono eletti, non bandiere».

Rivendica il rapporto senza mediazioni con gli elettori: il PdL «nasce dal popolo per il popolo». Cosa cambia rispetto a Forza Italia?
«Niente. Il congresso è stato un rito autocelebrativo, un’auto-apoteosi che è nelle corde eterne del berlusconismo. Non è qualcosa di nuovo per il Paese ma ha introdotto novità da non sottovalutare. Una: la vocazione maggioritaria che gli porterà spine».

Il partitone del 51% fa più paura agli alleati che all’opposizione?
«L’appello di Berlusconi è destinato a creare fibrillazioni con la Lega e l’Udc. La nascita del PdL porterà movimenti in politica ma la distanza dai problemi reali è siderale».

Annunciando la «terza ricostruzione» il premier ha ammesso la gravità della crisi. Una svolta realista?
«È la solita retorica: usciremo dalla crisi e sarà merito del governo. Un messaggio privo di rilievo per chi la vive già: operai, cassintegrati non hanno voce. Il premier ha annunciato una misura, un’iniziativa, una proposta, un atto, un gesto che incida sulla crisi? Nulla: solo parole».

Ha lanciato il premierato forte. Da solo se l’opposizione non collabora. Cosa farete?
«Anche qui, nessuna novità. Ha aggirato gli argomenti di Fini sia sulle riforme che sulla laicità dello Stato. Le riforme che gli interessano per rinsaldare i suoi poteri se le fa».

Qual è la posizione del Pd sulle riforme costituzionali?
«Anche noi vogliamo revisione del bicameralismo, rafforzamento dei poteri di bilanciamento e ammodernamento dei poteri del governo. Però Berlusconi va avanti a colpi di decreti e voti di fiducia ma si lamenta che gli impediscono di governare. È falso e mistificatorio».

Fini è stato coraggioso, un uomo di Stato come ha scritto Scalfari, o gioca una partita sua?
«Semplicemente ha intuito che per fare un partito conservatore di stampo europeo non si possono coltivare i riti di An né affidarsi al populismo. Fini insegue il profilo di una forza emancipata dalle arretratezze storiche e dall’ipoteca di Berlusconi. Tentativo intellettualmente apprezzabile ma in pratica velleitario: il leader ha fatto valere il predellino».

Non è detto che alla Camera la partita del testamento biologico non andrà diversamente che al Senato.
«Sì, su quel fronte Fini ha aperto una breccia. Ha fatto un’avance consapevole dell’aria che tira: nel centrodestra ci sono perplessità. Restare attaccati al sondino 15 anni per Quagliariello e Gasparri è un po’ esagerato».

Coglierete la sponda di An sul referendum sulla legge elettorale?
«È chiaro che ne uscirebbe una legge pessima, ma il testo Calderoli è due volte pessimo. Sarà l’occasione per il Pd di annunciare che legge vogliamo e, dopo le Europee, riflettere su come rappresentare un’alternativa alla cappa del berlusconismo».

Da ieri il PdL è realtà. Vi spaventa?
«Il loro abbrivio gli porterà problemi. C’è un troppo pieno. Detto questo, dobbiamo prendere atto che il sistema politico si evolve. Il nostro ruolo è crescere e organizzare il campo sennò ci sorbiremo a lungo le prediche del Cavaliere».

Significa: appuntamento al congresso? Per quale piattaforma?
«Una riflessione di fondo sul profilo politico e organizzativo che vogliamo dare al partito, sulla società, sulle alleanze, sulla costruzione di uno schieramento e rapporti di forza».

Tutti i ministri, da Berlusconi e Tremonti, hanno dedicato gli interventi ai guasti della sinistra. Un’ossessione?
«No, una tecnica connaturata al berlusconismo: ha bisogno del nemico per veicolare un messaggio ideologico».

Loro si ritengono post-ideologici..
«Macché. C’è un sistema concettuale e di pensiero che viene prima e a prescindere dall’azione di governo. E noi dobbiamo ribadire il nostro sistema ideologico: regole, civismo, uguaglianza. Esserne orgogliosi. Avere un programma non basta: la questione in gioco è culturale».

Cosa l’ha colpita della kermesse?
«I ragazzi sul palco. Berlusconi sta organizzando le truppe. Facce fresche in prima fila. È un tritasassi ideologico che assorbe tutto: An sarà biodegradata in 15 giorni».
ffantozzi@unita.it


30 marzo 2009
da unita.it


Titolo: Bersani: «Stavolta dalla crisi si esce solo riducendo le disuguaglianze»
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2009, 11:36:40 pm
Bersani: «Stavolta dalla crisi si esce solo riducendo le disuguaglianze»
 
Confindustria: «Il peggio è passato»

di Claudio Sardo


ROMA (20 aprile) - «Questa crisi economica ci cambierà. E cambierà anche la politica. A sinistra è finito il tempo della buona retorica e della leggerezza comunicativa. Tornano in campo parole dure come produzione, redistribuzione, welfare. Ma la sinistra democratica e liberale ha buoni strumenti nel suo zaino: l’uguaglianza sarà nei prossimi mesi motore decisivo della crescita». Pierluigi Bersani sta preparando per giovedì (insieme a Vincenzo Visco e all’associazione Nens) un convegno con economisti e intellettuali dal titolo: «Uno sguardo oltre la crisi».

«Raccolgo materiali e li metto a disposizione del Pd», spiega. Non è ancora il tempo del congresso e Bersani tiene a preservare la tregua interna, necessità assoluta in questa difficilissima campagna elettorale. Tuttavia ha annunciato la candidatura a segretario e non intende ritirarla. Giovedì al convegno ci sarà anche il cardinal Silvestrini: vale come una prima risposta a chi l’ha accusato di preoccuparsi troppo della rappresentanza della sinistra e poco dell’apporto dei cattolici.

Ma l’uguaglianza ha davvero a che fare con la crescita economica?
«Dal dopoguerra agli anni ’80 la crescita fu accompagnata da una riduzione delle diseguaglianze. Dagli anni ’80 ad oggi è accaduto il contrario. Ma proprio questo meccanismo ha prodotto la crisi. Oggi non è neppure pensabile tornare a crescere senza un nuovo equilibrio economico e sociale. Tanto più nel nostro Paese...».

La crisi è globale. Non penserà a soluzioni nazionali?
«La crisi è globale, certo. Ma le diseguaglianze in Italia sono più gravi che altrove, come dicono tutti i centri studi. È da noi che si è allargata maggiormente la forbice tra i redditi più alti e quelli più bassi. Sono aumentate anche le distanze tra Nord e Sud, si è ridotta più che altrove la mobilità sociale e c’è minore scorrimento generazionale. Sono handicap gravissimi, che pesano sulla nostra capacità di ripresa. Ma possono essere il punto di partenza del nostro lavoro: è nella ricomposizione di queste fratture sociali che c’è la maggiore riserva di energia per la crescita».

Secondo lei il governo si sta muovendo bene?
«Il governo è immobile. Parla d’altro. Spera che passi presto la nottata. Ma stavolta non è la solita crisi ciclica. L’inerzia rischia di farci perdere per sempre attori importanti. Ad esempio: i più esposti oggi sono proprio gli imprenditori più innovativi, quelli che hanno investito di recente e che ora si trovano gravati da impegni finanziari. Bisogna aiutarli. Governare la crisi vuol dire scegliere, darsi delle priorità».

Ma la sinistra è capace di scegliere la mobilità sociale, di puntare sui giovani rompendo con le corporazioni, insomma di declinare l’uguaglianza con uno spirito liberale?
«Ha già dimostrato di esserne capace. Ora si tratta di andare avanti. Fedeltà fiscale, nuovo modello di welfare, liberalizzazioni, scuola e università, politica degli affitti. Ci vuole una grande forza etica e culturale perché il Paese ha bisogno di un nuovo senso civico dopo 15 anni di abbattimento delle difese immunitarie».

Non rischia di scadere ora nel moralismo?
«Non propongo soluzioni pedagogiche o propagandistiche. La serietà della politica sta nella concretezza del programma. Dobbiamo dare vantaggi concreti ai cittadini in regola con il pagamento delle tasse, all’imprenditore che paga per tempo i fornitori, al gestore del servizio pubblico che soddisfa gli utenti, al dipendente pubblico che ottiene risultati ottimali. I valori etici, il senso civico devono diventare programma politico».

Forse è anche quello che vuol dire Tremonti con il suo Dio, Patria e Famiglia.
«Di certo per la destra sta finendo il tempo in cui ha potuto fare entrambe le parti in commedia. Da un lato è stata paladina delle libertà del liberismo, dunque di tutti i fattori più dinamici del mercato. Dall’altro ha agitato le paure della globalizzazione, difendendo particolarismi ed egoismi. Anche la destra ora deve scegliere».

Sui temi etici intanto il Pd rischia il cortocircuito: tra laici e cattolici si fatica, a dir poco, per trovare un compromesso.
«Nel nostro tempo la questione antropologica ha un valore essenziale. Nessuno può sottrarsi al confronto sui limiti della scienza e le possibilità dell’uomo. Del resto, i nostri umanesimi hanno in fondo una matrice cristiana. Un partito però non può che fondarsi sul principio dell’autonomia e della responsabilità della politica nelle scelte concrete».

È uno dei principi del cattolicesimo democratico.
«Dobbiamo recuperare e dare nuova forza a parole come uguaglianza, popolare, cattolico-democratico. In queste parole non c’è solo il passato, ma una parte importante del futuro del Pd. Il nuovismo sembrava una ideologia moderna, ma proprio la crisi ha dimostrato la sua inconsistenza. Abbiamo bisogno di un pensiero strutturato, di autonomia politica e culturale, tutto il contrario insomma del piccolo cabotaggio congeniale solo al pensiero unico».

In questi giorni di emergenza terremoto intanto l’Italia ha sperimentato una forma di solidarietà nazionale. Può essere preludio di nuovi rapporti con il governo?
«Sul terremoto non si litiga, ma si lavora insieme. Questa è una regola iscritta nel dna di ogni persona responsabile. Ma siamo già in una fase nuova. Il governo ha detto che non metterà nuove tasse per far fronte alla prima ricostruzione. Siamo d’accordo. Ma non accettiamo che vengano prosciugate tutte le risorse del Fas destinate al Mezzogiorno per i prossimi sette anni. Il prezzo sarebbe salatissimo, e non solo per il Sud. Se Berlusconi vuole che la collaborazione continui venga in Parlamento prima di varare il decreto in consiglio dei ministri. Abbiamo proposte alternative all’azzeramento delle riserve del Fas. Ma se ci volterà le spalle, si assumerà la responsabilità di rompere questa solidarietà».

 
da ilmessaggero.it


Titolo: BERSANI, le domande che nessuno fa alla destra
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2009, 06:09:11 pm
Bersani, le domande che nessuno fa alla destra

di Bianca Di Giovanni

«E' un governo più impegnato ad accrescere consensi che a risolvere i problemi veri. Passa per il governo del fare? Certo, nessuno pone le domande giuste e nessuno pretende risposte vere». Pier Luigi Bersani dà un giudizio senza appello sul primo anno del governo Berlusconi quater. Detto in due parole: racconta favole. Evidentemente, però, le racconta bene, visto che la popolarità è in aumento (dicono). «Certo, questo è un governo nato per accrescere consenso: è la sua prima missione», spiega Bersani.

Quali sono le domande non fatte?

«Per esempio nessuno ha chiesto a Giulio Tremonti e colleghi come mai l’Europa parla di un milione di disoccupati in più in Italia per quest’anno (nelle previsioni di primavera, ndr) che non compaiono nella sua Relazione unificata. Gran parte di quei nuovi disoccupati è costituita da precari, a cui non è stato dato nulla. Altro che governo del fare. Nella stessa Relazione si stima che gli investimenti diminuiranno di 5 miliardi in un anno. E tutte le chiacchiere sulle infrastrutture e le promesse sul Ponte?».

Altre domande?

«Ci aspettiamo qualche risposta per esempio sulle garanzie date dal Tesoro sull’operazione Alitalia, in cui sono rimasti intrappolati piccoli azionisti e obbligazionisti che ora si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Ancora: c’è qualcuno che ricordi a Tremonti che abbiamo speso 1,7 miliardi per coprire i “buchi” delle sue cartolarizzazioni? È più di quanto è costato il bonus famiglie. E qualcun altro che rammenti le perdite della finanza locale, avviata grazie a una circolare del Tesoro dell’altro governo Berlusconi? Nessuno ricorda nulla. D’altro canto questo governo è una macchina del consenso, per cui bisogna ogni giorno attivare un meccanismo di rappresentazione di nuove “conquiste”, che poi si perdono».

Cosa si è perso?

«Dov’è finito il maestro unico, su cui si scatenò all’inizio una guerra di religione? Dov’è l’esercito nelle strade? Dove sono i Tremonti bond? Lo sa la gente che li ha richiesti solo in una banca, il banco popolare? Cosa fanno esattamente i prefetti sul credito? Nessuno lo sa e nessuno vuole saperlo».

Insomma, con la crisi che morde, i problemi sociali, gli italiani crederebbero alle favole?

«Dopo gli ultimi fatti di cronaca su Veronica, consentitemi di dire che ci raccontano cose inverosimili e vogliono farcele credere. Non voglio parlare di divorzi, ma si sentono delle tesi sulle feste, l’arrivo all’ultimo minuto, il gioiello ritrovato per caso, che in altri paesi ci si vergognerebbe pure a raccontarle».

Resta il fatto che di fronte alla crisi (che è reale) il centrodestra non perde consensi.

«La loro tesi è che la crisi viene da altrove, che noi siamo solo delle vittime e dobbiamo resistere e dunque che non si può fare molto. Su questo comunque io andrei a contare i voti reali dopo le elezioni. Se si fa questo esercizio ci si accorge che Berlusconi non ha mai sfondato nell’altro campo. Quello che è riuscito a fare è rendere utilizzabile tutto il voto di destra del paese. Quando il centrosinistra si è unito, è riuscito a batterlo, ma poi si è visto che l’unità era una composizione piuttosto che una sintesi. Questo è il problema».

Non c’entra nulla la poca credibilità dell’opposizione?

«Anche noi ci abbiamo messo del nostro, rimanendo poco credibili sul come si costruisce un’alternativa. Dobbiamo lavorare a costruire e rilanciare un progetto».

Lei è ancora candidato alla segreteria?

«Su questo ho già parlato e non voglio aggiungere altro. Ora pensiamo alle elezioni, poi si vedrà».

Sul centrosinistra resta forte l’accusa di non saper leggere la realtà. Il Corsera scrive che ha bisogno di alfabetizzarsi per parlare alle partite Iva e alle piccole imprese.

«Le piccole imprese sono arrabbiatissime anche con la destra, che non le aiuta a superare la crisi. Mi pare che lo scriva proprio il Corsera. Dunque non mi pare che sia un fatto di alfabetizzazione. La verità è quella che il centrosinistra ripete ormai da mesi: noi siamo l’unico Paese che non ha fatto nulla di espansivo per fronteggiare l’emergenza, ma si è limitato a spostare fondi da una voce all’altra, per di più senza avere la cassa. Si impacchettano nuove voci di spesa, per l’Abruzzo o per la sicurezza, ma in cassa non c’è un euro».

Le preoccupazioni di Tremonti per il debito sono sacrosante.

«E lo dice a noi che abbiamo sempre rimediato al debito della destra? Ma correggere il debito vuol dire anche far crescere il Pil».

Questo lo dicevano loro quando facevano ancora i liberisti.

«Sì, ma loro giocavano con i numeri. Spargevano ottimismo e scrivevano una crescita del 3% quando il Pil era a 1. Noi proponiamo misure concrete per un punto di Pil e un percorso di rientro in due anni. Se non si sa come reperire mezzo punto di Pil in un anno, significa che non si sa governare. Il governo Prodi ha corretto il deficit dal 4,5% al 2,7% erogando anche il cuneo fiscale. Per rientrare di mezzo punto basta diminuire la circolazione del contante rendendo tracciabili i pagamenti e controllare meglio la spesa corrente».

Perché il centrosinistra ha proposto il prelievo sull’Irpef dei ricchi (che sono più poveri comunque degli evasori) e nulla sulle rendite?

«La proposta era di un contributo straordinario per la povertà estrema, e prevedeva anche misure contro l’evasione. Quanto alle rendite, abbiamo contrastato la seconda operazione Ici, dicendo chiaramente che non andava fatta».

10 maggio 2009
da unita.it


Titolo: PD: BERSANI HO IN TESTA UN PARTITO POPOLARE CONTRO POPULISMO
Inserito da: Admin - Maggio 14, 2009, 04:46:12 pm
Politica


PD: BERSANI, HO IN TESTA UN PARTITO POPOLARE CONTRO POPULISMO





ultimo aggiornamento: 13 maggio, ore 20:19
Roma, 13 mag. (Adnkronos)

- "Io ho in testa un partito popolare e non classista, molto radicato nei territori con un linguaggio popolare che possa distruggere il populismo, un partito che esprime un certo modello sociale e che comprenda modifiche nella struttura attuale che permettano al territorio di basare il partito sui capi e le cape locali, pronti a misurarsi per prima cosa a casa propria. Allora si che poi ci potrebbe essere un capo dei capi".

Lo ha detto Pier Luigi Bersani a 'Titoli' su Red Tv.


Titolo: BERSANI La sfida di Bersani al segretario "Adesso ricostruire il partito"
Inserito da: Admin - Giugno 24, 2009, 04:17:51 pm
L'ex ministro ha annunciato la sua candidatura alla guida del PD

"Bene Franceschini, ma adesso c'è bisogno di un nuovo radicamento"

La sfida di Bersani al segretario "Adesso ricostruire il partito"

 

ROMA - Alla candidatura per la segreteria del Pd annunciata ieri da Pierluigi Bersani, si è aggiunta oggi quella di Dario Franceschini.

L'ex ministro del governo Prodi aveva spiegato ieri, in un post sul suo blog, le ragioni della sua decisione. Questi i passaggi salienti: "Con i ballottaggi si è chiuso un appuntamento elettorale difficile. Bisogna riconoscere l'impegno e la mobilitazione senza risparmio di centinaia di migliaia di militanti, candidati e dirigenti, segretario in testa. Abbiamo davvero combattuto e non sono mancate le buone prove, sia dove abbiamo vinto sia dove abbiamo perso. Nell'insieme non è stato un risultato buono per noi, ma non tanto cattivo da impedirci di vedere che la destra deve ridimensionare le sue aspettative e che noi possiamo riprendere il cammino".

"C'è un duro lavoro da fare per costruire un radicamento popolare del nostro partito e rispondere così a una destra che quando vince, vince nel popolo.
C'è un lavoro da fare per collegarci alle forze produttive del paese, lavoratori e imprenditori, nel pieno di una crisi che ridefinirà anche il loro rapporto con la politica. C'è un lavoro da fare per convincere l'Italia a guardarsi con gli occhi delle nuove generazioni e costruire così nel senso comune una idea di futuro".

"Di tutto questo dobbiamo discutere, e in nome di questo, dobbiamo discutere anche di noi, cioè della nostra effettiva capacità di essere utili ad una Italia migliore".

In conclusione Bersani ha dato appuntamento ai suoi sostenitori a Roma il primo luglio, in un incontro nel quale esporrà il suo programma: "Quel che penso intendo rivolgerlo in primo luogo alla nuova generazione che è già in campo. Non credo che dobbiamo inventarci una nuova generazione, né evocarla per simboli. Credo che ci sia già, nel lavoro, nelle professioni, nelle amministrazioni, nel partito. Con questi giovani che sono già in campo farò il mio primo intervento pubblico il 1 luglio a Roma. Parlerò di politica e presenterò le mie idee".

(24 giugno 2009)
da repubbica.it


Titolo: BERSANI si candida archivia il veltronismo e riesuma i Ds
Inserito da: Admin - Luglio 02, 2009, 06:08:23 pm
Pd, Pierluigi Bersani si candida archivia il veltronismo e riesuma i Ds
 
 
 
 ROMA (2 luglio) - Lode a Pierluigi Bersani per il pregio della chiarezza. Un’ora di intervento all’insegna del concretismo emiliano, senza sorvolare sui problemi, anzi, e senza segnali di fumo. L’ex ministro quel che aveva da dire non l’ha mandato a dire. Il partito che ha in mente? «Di sinistra, laico, del lavoro». L’autosufficienza? «Da soli non si va da nessuna parte». Le primarie? «Voglio un partito degli iscritti», le primarie devono essere di coalizione e dovranno servire per gli eletti nelle istituzioni non per i dirigenti del partito, ha spiegato con altre parole. Il ricambio, i giovani, l’innovazione? «Basta con queste categorie inafferrabili».

Conclusione: «Il prossimo dovrà essere il congresso fondativo di questo partito».

Non detto ma sottinteso: finora abbiamo scherzato, da quando Romano Prodi lanciò nel 2004 l’idea di Uniti nell’Ulivo si è solo fatto finta, il nuovo, il vero inizio sarà a ottobre 2009. Il Pd conosciuto finora non è mai esistito. Con parole puntute come spilloni e schiaffoni di quelli che fanno male, Bersani archivia in un’ora di discorso in uno dei templi del veltronismo, l’Ambra Jovinelli, Veltroni la stagione del Pd veltroniano e il veltronismo tout court.

La platea che era lì voleva sentirsele dire, queste cose, e più volte è esplosa in un applauso liberatorio. In particolare quando l’ex ministro di Prodi ha menato sul nuovismo e contro la dialettica vecchi/giovani declassata a dialettica dell’«inafferrabile», il partito che vuole Bersani pretende «rispetto per gli anziani» e comunque per chi c’era prima, «e poi sia chiaro io non mi faccio stringere nell’angolo del grigio, mi stanno dipingendo addosso una patina di grigiore, ma io dove sono stato ho sempre cambiato le cose», ha quasi urlato Bersani sapendo che su di lui la parte avversa franceschiniana cercherà di usare ”l’anatema” del dirigente d’antan. Ma tant’è.

Il discorso bersaniano ai franceschini boys non è piaciuto granché. Uno come Giorgio Tonini, veltroniano ultrà e tra i maggiori artefici del Pd ”a vocazione”, non appena Bersani finisce di parlare, sbotta: «Ma qui si torna al congresso di Pesaro, qui tornano i Ds, e senza neanche l’afflato degli ultimi Ds che volevano contaminarsi, che con D’Alema più di tutti spingevano per fare un partito nuovo assieme alla Margherita perché da soli, come si diceva, eravamo ormai sterili».

Tonini è un fiume: «La linea di questo Pd diessizzato sarebbe che Bersani fa il segretario di un partito che poi va da Casini e poi, come Letta ha già spiegato chiaramente, gli affida il suo si spera 20-25 per cento per farci vincere, si spera, le elezioni? Riproponiamo l’idea di una coalizione di 10-12 partiti in cui il Pd è uno dei tanti per fare numero? Un pezzo di proporzionale da sommare ad altri pezzi e segmenti?». A Tonini non è sfuggito quel passaggio bersaniano su artigiani e lavoratori autonomi che, «se rispettano le regole, sono nostri amici», secondo il veltroniano «è una specie di lapsus, Bersani così ripropone il partito classista, ma noi gli artigiani del Triveneto li vogliamo conquistare o ci rivolgiamo solo agli ”amici”?».

Critico ma più soft è pure Paolo Gentiloni, lib-dem battitore libero rutelliano e uno di quelli che per il Pd ci ha messo la faccia: «La tradizione storica e politica cui Bersani si rifà merita rispetto, ci mancherebbe, è una componente importante del Pd, ma non può pensare di farla diventare la dominante, specie in un momento in cui in tutta Europa ha mostrato segni di inarrestabile declino».

Oggi sarà la volta degli ”imputati”, di Walter Veltroni e soci che ricordano il Lingotto a due anni dalla prima volta. Ci saranno undici interventi, tra i quali Chiamparino, e conclusioni di Veltroni che, annuncianno, «volerà alto ma non per sorvolare sui problemi, per bombardare dall’alto».

Poi toccherà ai ”liberi democratici” (Lib-dem) di Francesco Rutelli, quindi la prossima settimana a Franceschini. La mozione del segretario che vuole la riconferma si è riunita ai vertici e hanno stretto il patto per il congresso: oltre a Franceschini c’erano Fassino, Fioroni e Gentiloni, riunione operativa in vista della battaglia congressuale. In attesa delle ultime adesioni: per un Chiamparino che viene dato prossimo pro-Dario, c’è Anna Finocchiaro data invece in costante e sicuro avvicinamento a Bersani. 
 
da corriere.it


Titolo: Bersani: "E anche sul clima il governo non è credibile"
Inserito da: Admin - Luglio 06, 2009, 02:41:55 pm
6/7/2009 (7:29) - VERSO IL G8

Bersani: "E anche sul clima il governo non è credibile"
 
Il candidato segretario del Pd: «Aspetto l’enciclica del Papa»


ALESSANDRO BARBERA
ROMA

Detta da uno che è stato definito «Zapatero in salsa emiliana» è già una notizia: «Aspetto con ansia la nuova enciclica del Papa. Le sue ultime parole sono un richiamo perché il G8 faccia qualcosa di concreto contro l’impoverimento dell’Africa. Poiché sulle regole la discussione è certamente rimandata al G20, mi aspetterei che il vertice dell’Aquila producesse qualche risultato almeno su questo e sul tema del clima. Purtroppo su entrambe le questioni l’Italia non è nelle condizioni di indicare la strada, non è credibile». E’ domenica, Pierluigi Bersani si prende qualche ora d’aria nella sua Piacenza prima di cominciare la campagna elettorale per la segreteria del Pd. Incurante di chi dice che sa di Pci e vecchie sezioni, Bersani ha pronta quella che chiama senza complessi «piattaforma programmatica». Tre le parole d’ordine: merito, reddito, mobilità sociale.

Bersani, perché il governo non sarebbe credibile? Non è scorretto che mentre si apre il G8 il candidato alla guida dell’opposizione attacchi il governo padrone di casa del summit?
«L’atteggiamento del governo sulla lotta alla povertà è clamoroso. Capisco l’imbarazzo di Berlusconi di fronte a Bob Geldof nella bella intervista fatta dal vostro giornale. I numeri cantano: con Prodi eravamo arrivati a destinare agli aiuti allo sviluppo lo 0,22% del prodotto interno lordo, non troppo lontano da quella media dello 0,25% dei Paesi G8. Ora siamo ripiombati allo 0,14%. E si tenga conto che la metà di questi soldi sono destinati all’Africa. Sul clima l’arretramento è micidiale: io avevo lanciato la “green economy” con i bandi di “Industria 2015”, i crediti d’imposta per la ricerca, gli sgravi per lo sviluppo del fotovoltaico. Nella migliore delle ipotesi le procedure sono state rese più complicate, nella peggiore i soldi sono stati dirottati altrove a sostenere spesa improduttiva».

Se il G8 non produrrà grandi risultati, non è perché lo strumento è superato e potrebbe essere presto sostituito dal G20? Non è pretestuoso prendersela con il governo?
«Berlusconi ha invitato al tavolo di questo vertice sia l’India che la Cina, dunque qualcosa di sostanziale nel formato otto più cinque lo si sarebbe potuto ottenere».

Nel dialogo con Geldof il premier spiega che il governo sta affrontando una recessione senza precedenti, che c’è da tenere in ordine i conti pubblici. Se lei oggi fosse il premier non avrebbe le stesse difficoltà?
«E chi lo nega. Ma il governo non ha capito che se non fa qualcosa di serio per ridare fiato all’economia le entrate e i conti andranno a picco. Siamo gli unici al mondo che nel 2010 abbasseranno la spesa per investimenti pubblici. E nel frattempo, vedrà, arriveranno lo scudo fiscale e un bel condono tributario. Questa è una politica economica senza capo né coda. Per migliorare le cose al governo basterebbe avere un terzo del coraggio che avemmo nel 1996 imponendo l’eurotassa».

L’ex direttore generale del Fmi Pier Carlo Padoan dice che c’è il rischio di una crisi sociale drammatica, soprattutto fra i giovani. E’ d’accordo?
«Da emiliano faccio fatica a usare parole come dramma. Però non capisco perché il governo non mette un po’ di soldi in tasca ai precari rimasti senza lavoro. Darebbe almeno una spinta ai consumi».

Ma perché non lo avete fatto quando eravate voi al governo?
«Noi abbiamo cominciato rafforzando i contributi previdenziali, per permettere a questi giovani di avere una pensione. Certo, avremmo dovuto proseguire, ma la situazione di allora non è paragonabile con quello che sta accadendo in questi mesi a chi ha un contratto atipico».

Il fatto che a perdere il lavoro oggi siano soprattutto i giovani cosa significa? Che negli anni destra e sinistra hanno spinto troppo sui contratti a tempo oppure il problema è che la flessibilità è stata imposta solo a loro?
«Non c’è dubbio che in Italia si è introdotta la flessibilità troppo in fretta. In due anni siamo arrivati a quote di lavoro flessibile che in altri Paesi si sono raggiunte in dieci. Bisogna pensare ad una unificazione delle forme contrattuali».

E’ favorevole alla proposta Boeri-Garibaldi sul contratto unico, una stabilizzazione progressiva del lavoratore?
«Di proposte ce ne sono tante ma la direzione è quella».

Questa proposta è nella sua piattaforma? Perché c’è chi dice che lei non farà nulla se non avrà il sostegno della Cgil.
«Balle. Io penso che l’idea di società tocchi alla politica, poi si parla con tutti, anche con i sindacati. Il problema del governo Berlusconi è proprio questo: non ha una sua idea di società ed ha paura di turbare meccanismi di consenso. Anche quelli dei sindacati».

da lastampa.it


Titolo: Bersani: «Voglio un partito che funzioni, come l'Avis o una bocciofila»
Inserito da: Admin - Luglio 07, 2009, 11:16:14 pm
L'intervista di zoro

Bersani: «Voglio un partito che funzioni, come l'Avis o una bocciofila»

Il candidato alla segreteria del Pd: «Le regole servono. No a un partito liquido»
 

ROMA - «Io non voglio il Pci, ma un'associazione che funzioni. Voglio fare l'Avis, o una bocciofila in cui ci sono delle regole, non è che puoi fare come vuoi». Pierluigi Bersani, durante la video-intervista web su Excite.it con il blogger Diego Bianchi (Zoro), spiega la sua idea di partito. «Se stai in una associazione - afferma il candidato alla segreteria del Partito democratico - devi anche accettare alcune auto-limitazioni, serve un minimo di disciplina e meccanismi che garantiscano la partecipazione anche al di fuori di te. Finora noi ce ne siamo dimenticati».

NO AL PARTITO LIQUIDO - Bersani non accetta che questa concezione sia bollata come «vecchia, io sono per le primarie, per un partito moderno, ma non posso accettare che la nostra politica sia affidata ad una galassia che non ha una incisività reale». «Non è che perché si temono i signori delle tessere, non si debba fare più il tesseramento. Se la parola 'tessera' diventa impronunciabile, ma che razza di partito è?». Per Pierluigi Bersani servono le tessere, basta con l'idea di «partito liquido, che poi ci facciamo una bella bevuta e arrivederci e grazie...». Certo, ammette amaramente, non sarà un tesseramento con «numeri da signori delle tessere, saranno invece i numeri di chi non ha creduto al fatto che un partito per stare in piedi ha bisogno di organizzazione e di radicamento sul territorio».

IDEE - E la sfida con Franceschini e Marino per la segreteria? «Spero di vincere - afferma Bersani - perché penso di avere in testa qualcosa che può essere utile, non mi sono mai mosso per esigenze mie, penso che questa sia un'occasione per darci una linea che si capisce, perciò conto di vincere, lavoro per vincere».

METALLICA - Diego Bianchi lo incalza sulla «colonna sonora» della sua sfida: «Nun me dì Vasco, che nun se ne può più. Sembra che conosci solo quello. Alla presentazione della mozione avete messo Steve Wonder. L'hai scelta tu?». «Ma a me piace tutto il rock - risponde Bersani - i Led Zeppelin, ad esempio, è il ritorno alle origini, ma è il meglio». Allora hanno ragione quelli che dicono che sei un nostalgico... commenta Zoro. Qualcosa di più recente? «Ma ascolto anche i Metallica». Il blogger esulta: «Bersani ascolta i Metallica! Ci vuole un'agenzia: Bersani ascolta i Metallica».


07 luglio 2009

da corriere.it


Titolo: BERSANI Congresso Pd, Bersani sicuro: "Nè scissioni, nè litigi"
Inserito da: Admin - Luglio 10, 2009, 10:53:30 pm
Congresso Pd, Bersani sicuro: "Nè scissioni, nè litigi"


Mentre Ignazio Marino cerca il sostegno necessario per iscrivere al partito democratico i militanti che poi assicureranno al congresso il fatidico 5% per arrivare alle primarie, Franceschini e Bersani lavorano a programma e schieramento.  Entrambi hanno dato una risposta preoccupata allo show del capo del governo all'Aquila, dove l'opposizione si è presa la sua dose di insulti, accompagnata da un minaccioso "devono cambiare registro". Franceschini e Bersani hanno spiegato che attaccare l'opposizione è uno sport che fa male al paese e che Berlusconi lo fa con lo scopo di nascondere la crisi.

Ma a parte questa risposta parallela e comune nei toni ognuno dei candidati principali ha differenziato parole e obiettivi. Franceschini è impegnato in riunioni no-stop per definire il suo programma, Bersani va al Nord per cominciare a costruire la rete di amministratori a supporto della sua elezione. E per smentire l'immagine di candidato degli apparati, torna a rivolgersi, come aveva fatto nella prima manifestazione all'Ambra Jovinelli, ai giovani perchè, sostiene il coordinatore della sua mozione Filippo Penati, «c'è già una classe dirigente che governa pezzi importanti del Paese e noi li vogliamo valorizzare». In realtà, dice un dirigente del Pd, «al momento ogni previsione o scenario, ad esempio Bersani forte tra gli iscritti e Franceschini tra il popolo delle primarie o l'exploit di Marino, sono numeri al lotto».

  Le prime analisi si potranno fare solo dopo la chiusura del tesseramento e poi all'inizio di settembre quando partiranno i congressi dei circoli e, spiegano al Pd, «si vedrà l'aria che tira» tra iscritti e elettori. Dai numeri delle tessere, che saranno intorno alle 600mila, e soprattutto dalla geografia regionale si potranno cominciare a studiare punti di forza e debolezza dei candidati in vista del primo passaggio del congresso.

 Prova che soprattutto l'outsider Marino può superare, assicurandosi nuovi iscritti. Su blog e facebook i 'piombinì, l'area dei giovani al fianco del chirurgo, spingono al tesseramento. Molto attivi Pippo Civati e Paola Concia che, da dirigenti del Pd, sanno che le vittorie si costruiscono anche con le tessere. E in supporto del senatore erano intenzionati a scendere anche i Radicali, bloccati ancora una volta, dopo il tentativo di Marco Pannella di correre alle primarie contro Walter Veltroni, dallo Statuto. «Era girata voce di una lista radicale a sostegno di Marino, poi si trattava di Mina Welby», racconta il leader radicale, contrariato dal fatto che il Pd vieti la doppia tessera e quindi abbia impedito l'iscrizione all'esponente radicale.

A loro favore oggi, dopo ieri Franco Marini, si è speso Francesco Rutelli ma ormai le regole non si possono modificare.  Alla sfida nazionale si incrocia quella per la leadership regionale. Oggi Debora Serracchiani ha annunciato che deciderà a giorni se candidarsi alla segreteria del Friuli. E dopo essersi attirata addosso gli strali per i giudizi su Bersani e D'Alema, anche lei si adegua alla tregua nei toni degli ultimi giorni. «Le tensioni sono normali, ma dal congresso usciremo tutti più forti e con un solo partito», assicura l'eurodeputata.

E nega scenari foschi anche Bersani: ottobre «non porterà a scissioni e neanche ad un litigio.


10 luglio 2009
da unita.it


Titolo: Bersani con Bindi, «l’esempio è l’Ulivo»
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2009, 06:06:19 pm
Bersani con Bindi, «l’esempio è l’Ulivo»


di Simone Collini

Racconta Pier Luigi Bersani che se verrà eletto segretario del Pd, come colonna sceglierà «La canzone popolare». «Avrei voluto farla mettere già all’Ambra Jovinelli», confessa. Cioè due settimane fa, quando ha ufficializzato la sua candidatura. «Ma ho pensato che non fosse giusto usarla come canzone di una mozione, l’Ulivo è di tutti».

E allora l’ex ministro aspetta il 25 ottobre, fiducioso, evitando di aprire fronti polemici con gli altri sfidanti. Ma anche, specialmente in una giornata come quella di ieri in cui di fatto va in scena un confronto a distanza tra candidati, replicando se c’è da replicare. «Ci aspetta un mese e mezzo complicato, perché c’è una grande distanza tra il barocchismo del percorso da effettuare e lo stato organizzativo del partito», dice l’ex ministro partecipando a un’iniziativa promossa dai “Democratici, davvero”, di Rosy Bindi. «Siamo esposti a incursioni e dileggi, dobbiamo tenere ferma la barra, dimostrare agli italiani che stiamo parlando di loro e dobbiamo farlo in amicizia».
Ecco perché annuncia: «Non dirò una parola contro nessuno, a meno che non ci siano picconatori della ditta».
Nessuno vuole tornare indietro

Però a passare come il «nostalgico», come quello che guarda al passato, non ci sta. E così quando gli mettono sotto mano l’integrale dell’intervento di Franceschini all'Acquario romano, quando legge che il segretario ha detto che «per fare un partito solido non c’è bisogno di tornare ai modelli di 50 anni fa», Bersani non lascia cadere la questione. E intervenendo all’iniziativa degli ulivisti la mette giù così: «Ho visto un discorso di oggi...», e fa un gesto liquidatorio con la mano, «non so a chi ci si riferisse...», e scuote la testa e alza le spalle, «insomma solo un cretino penserebbe di tornare a un partito di 50 anni fa», e gira all’insù i palmi delle mani. E più tardi: «Ma sia chiaro che io non ci sto al “ma anche”».
Conflitto di interessi e filosofia

Bersani aspetta fiducioso il 25 ottobre, dialogando col sindacato (in mattinata interviene all’assemblea di programma della Cgil a Chianciano, incassando un forte applauso) stringendo un accordo con la componente cattolico-democratica (nel pomeriggio convegno dei bindiani), lanciando messaggi al cosiddetto popolo delle primarie. Come fa alla Festa del Pd di Caracalla, la sera, con un’altra stoccata al rivale: «Se parliamo di conflitto di interessi in generale rischiamo di andare sul filosofico. Se si vuole andare sul concreto bisogna affrontare il tema settore per settore, con una legge antitrust sul sistema della comunicazione».
riaprire il cantiere dell’Ulivo

L’ex ministro vuole costruire un partito «popolare, di sinistra, democratico, laico», e per farlo riporta lo sguardo anche sull’Ulivo. E non a caso. Bersani ritiene sbagliata la gestione del partito degli ultimi anni, mentre giudica tutt’altro che da buttare l’esperienza precedente. «Anche nei tempi di damnatio memoriae ho sempre detto la parola Prodi», dice di fronte alla platea di ulivisti chiamati a raccolta dalla Bindi aggiungendo che lui non è per il centrosinistra «con il trattino». Però la «vocazione maggioritaria», dice, ora va «interpretata». Per questo fa sapere che vuole «riaprire il cantiere dell’Ulivo», con «tutti quelli che sono preoccupati per la curva plebiscitaria intrapresa da Berlusconi»: «L’Ulivo è un’idea della politica e delle istituzioni, non una questione sentimentale. Suscitò un movimento di tipo civico e noi dobbiamo tornare a mobilitare grandi battaglie civili».
Bindi soddisfatta

Un discorso che piace a Rosy Bindi, che propone una lista unica in vista del congresso: «Dopo la relazione di Franceschini, sono ancora più convinta che lo spessore politico è qui, con Bersani». Un’ultima stoccata al segretario, dopo un convegno che è stato tutt’altro che tenero con la gestione Veltroni-Franceschini e la filosofia del Lingotto: «Con quel discorso - accusa la vicepresidente della Camera - si delegittimarono 15 anni di storia dell’Ulivo».

Forte applauso per l’ex ministro all’assemblea di programma della Cgil. Intesa con la Bindi per «riaprire il cantiere dell’Ulivo». E alla Festa del Pd: «Se parliamo di conflitto di interessi in generale si va sul filosofico».

17 luglio 2009
da unita.it


Titolo: BERSANI «Voglio un partito, non del secolo scorso ma un partito»
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2009, 04:47:18 pm
L’ex ministro replica a Veltroni: «Voglio un partito, non del secolo scorso ma un partito»

Bersani: io nella scia di Pci-Ds?

Basta con le caricature

Serracchiani in campo per la segreteria del Friuli. Franceschini: acidità contro di lei


ROMA — «Una caricatura». Pier Luigi Bersani risponde così a Walter Veltroni che sul Corriere aveva definito la piattaforma dell’ex ministro «legittimamente dentro l’evoluzione Pci-Pds-Ds: punta a un modello di partito come ce n’erano un tempo». Accusa che Bersani respinge con fastidio: «Non replico, è una caricatura che si sta facendo da molte parti di me. Io ho in testa un partito del nuovo secolo, che sia un partito però. È uno strumento che deve funzionare perché deve mettersi a servizio del Paese».

Partito leggero o strutturato, continuità o rottura con il passato, vocazione maggioritaria o alleanze larghe: temi che animano la fase precongressuale del Pd e che vedono schierati in maniera contrapposta i due fronti guidati da Dario Franceschini e Pier Luigi Bersani. Ad accendere lo scontro è l’intervista di Veltroni, che tra l’altro ipotizza un’«alleanza riformista» da sviluppare «innanzitutto con la formazione di Vendola, i socialisti di Nencini, i radicali». Soddisfatto il segretario socialista Riccardo Nencini: «Meglio tardi che mai. Il banco di prova saranno le prossime Regionali ». Veltroni ha annunciato che lavorerà nell’Antimafia e sul conflitto d’interessi. Tema che Giuseppe Giulietti e Vincenzo Vita vedono tornare sul tappeto con favore.

Ieri intanto Debora Serracchiani si è candidata alla segreteria regionale del Friuli Venezia Giulia. Un modo per provare a smentire chi, come D’Alema, contestava l’irresistibile ascesa dei giovani selezionati solo in virtù di «un discorso brillante». Non è un caso che Franceschini sottolinei la scelta, dopo «le acidità e le critiche ingiuste»: «E’ stata rappresentata come una ragazza fortunata che, grazie all’attenzione mediatica, avrebbe bruciato tutte le tappe interne ». La lista costituita dalla Serracchiani insieme a David Sassoli, Rita Borsellino e Francesca Barracciu—«Semplicemente democratici»— ha ottenuto 500 adesioni via mail e 300 via Facebook. Non è l’unica lista che appoggerà Franceschini: scalda i motori Ermete Realacci, che insieme a Sergio Cofferati e Luigi Nicolais costituirà una lista «Innovazione, ambiente e lavoro». Sull’altro fronte, Rosy Bindi chiede che si proceda con una lista unitaria.

Se Pier Luigi Bersani ha l’appoggio di tutti i governatori pd e di molti segretari regionali, Franceschini mette in campo una lunga lista di amministratori locali pronti a sostenerlo: dal sindaco di Lodi al vicepresidente della provincia di Genova, dal sindaco di Reggio Emilia a quello di Cosenza. Bersani sta intanto lavorando alla sua mozione, che sarà ben più snella rispetto al passato: una decina di paginette, pronte per essere pubblicate on line. Chi deve molto faticare per recuperare terreno è Ignazio Marino, che non può contare sulla forza organizzativa degli altri sfidanti. «La sua candidatura però ha già fatto bene al congresso» spiega il coordinatore Michele Meta. Tra le personalità che hanno aderito ci sono Veronesi, Rodotà, Odifreddi e la Mafai, «che ha ripreso la tessera dopo molti anni».

Marino ieri ha detto sì alle unioni civili per i gay, portando a casa il sostegno di Imma Battaglia (Gay Project), ma anche qualche perplessità di Aurelio Mancuso (Arcigay), che chiede chiarimenti. Quanto a Beppe Grillo, in sua difesa scende in campo Mario Adinolfi, anche lui candidato alla segreteria. Il partito nega all’attore e aspirante segretario del Pd la tessera. Che invece il coordinatore del circolo di Paternopoli Andrea Forgione si è detto invece pronto a concedergli. Dal suo blog Grillo lancia un appello: «Fate outing, multitesseratemi e mandate a casa chi vi ha fatto perdere tutto».

Alessandro Trocino

19 luglio 2009
da corriere.it


Titolo: BERSANI attacca le gestione Veltroni
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2009, 10:47:23 am
Bersani attacca le gestione Veltroni.

I sostenitori di Franceschini: ma lui era in ferie?


 Nel giorno in cui Beppe Grillo molla la scalata al Pd, non si ferma il confronto tra i candidati alla segreteria. Da parte di Bersani è i partita una forte critica alla gestione di Walter Veltroni, e quindi implicitamente a Dario Franceschini che ne fu il vice, mentre i sostenitori di quest'ultimo criticano l'avversario sulle sue responsabilità passate e sui personaggi discussi che lo sostengono, a partire da Antonio Bassolino.

Oggi Bersani ha depositato, con un giorno di anticipo, le firme  per la sua candidatura, guadagnandosi il titolo di 'mozione 1'.  Il documento è assai duro su come è stato guidato il partito da Veltroni e da Franceschini: «La vocazione maggioritaria si è ridotta alla scorciatoia del nuovismo politico», si legge nella mozione, e «invece di fondare un partito mai visto nella storia italiana si è preferita la suggestione mediatica al rinnovamento della cultura politica».   Nella conferenza stampa per annunciare il sostegno a Bersani anche i Cristiano sociali sono stati impietosi con l'ex segretario: «Ha condotto il partito con l'affanno di fare i titoli dei giornali del giorno dopo, gli è mancato il respiro». «Abbiamo vissuto in una bolla mediatica, ora ci siamo svegliati e dobbiamo lavorare». I Cristiano sociali hanno picchiato duro anche su Sergio Cofferati e Debora Serracchiani, rei di candidarsi alle segreterie regionali di Liguria e Friuli pur essendo eurodeputati. «Agli elettori si dice una cosa - ha detto Donata Lenzi - e poi se ne fa un'altra».

 Insomma, rispetto a Veltroni-Franceschini serve la «discontinuità» dopo le «indiscutibili sconfitte elettorali», ha detto Mimmo Lucà, segretario dei cristiano sociali. E una «programmatica discontinuità rispetto alla linea che ha portato il Pd al disastro», la sottolinea anche il prodiano Franco Monaco.

I franceschiniani ovviamente non ci stanno: «Nessuno di noi - ha detto Marina Sereni - e neppure Bersani ovviamente, era in
ferie negli ultimi venti mesi». È vero, «sono stati commessi errori e non abbiamo saputo realizzare pienamente la promessa di
un partito nuovo», ma «se oggi il Pd è in piedi e può affrontare con serenità un confronto congressuale democratico lo si deve al senso di responsabilità e al coraggio con cui Dario Franceschini, assumendo la guida del partito in un momento di straordinaria difficoltà, ha saputo condurre la campagna elettorale, sciogliendo anche nodi complessi come quello della collocazione europea del Pd».

In clima congressuale non si porge l'altra guancia ed ecco che i franceschiniani attaccano Bersani sul sostegno che gli assicura Antonio Bassolino. 'O Governatorè, in un intervista al Corriere della Sera strizza l'occhio al partito del Sud, ed ecco arrivano le
critiche di Sergio D'Antoni e Pina Picierno, schierati con Franceschini: «Bassolino ha esplicitato il suo sostegno a Bersani quale segretario del Pd - attacca Piecierno - Evviva la chiarezza. Ora però entrambi dovrebbero spiegare qual è il progetto strategico che hanno in mente per il futuro della città di Napoli e di tutta la Campania». E polemiche ci sono anche in Sicilia sul sostegno a Bersani da parte di Crisafulli.

Più sottile la stilettata di Giorgio Tonini che prende spunto dalle parole di Enrico Letta ('grande elettore di Bersani) per il quale «si torna a governare solo con l'Udc»:  «Nessuno discute l'utilità del dialogo con i centristi - chiosa - beninteso al netto di Cuffaro». Che però è sempre nel partito prediletto da Bersani per le alleanze. Tonini spiega che avrebbe poco senso una riedizione dei Ds per poi allearsi con l'Udc e dover addirittura concedere a loro la leadership.

22 luglio 2009
da unita.it


Titolo: BERSANI Io non mi tiro fuori dal passato ma adesso il partito deve cambiare
Inserito da: Admin - Luglio 25, 2009, 11:07:12 am
Il candidato alla segreteria presenta slogan e mozione.

Replica con decisione a Veltroni e ribadisce la stima per Marino.

"Dopo il congresso dobbiamo essere più uniti di prima"

Bersani: "Io non mi tiro fuori dal passato ma adesso il partito deve cambiare"

Una proposta per "riaprire il cantiere dell'Ulivo": "Vocazione maggioritaria non vuol dire aspettare il 51% ma sentire la responsabilità di costruire alleanze"
 
ROMA - "Vocazione maggioritaria non vuol dire aspettare di avere il 51% per essere un'alternativa al centrodestra, ma avere un progetto per tutto il centrosinistra e sentire la responsabilità di costruire delle alleanze". Pierluigi Bersani, presentando la sua mozione congressuale e lo slogan della sua campagna per la segreteria del Pd ("Un senso a questa storia"), lo dice chiaramente: "Io non ragiono col trattino", bisogna "riaprire il cantiere dell'Ulivo e riorganizzare il centrosinistra". Un progetto alternativo a quello di Walter Veltroni (e del suo successore Dario Franceschini), a cui l'ex ministro replica così: "Sento dire: ma tu dov'eri? Io c'ero, nessuno si è calato da fuori, e uso sempre il noi. Ora dopo venti mesi ci sono cose che dobbiamo correggere".

E la correzione deve avvenire soprattutto sul piano delle alleanze. "La parola centrosinistra - spiega infatti Bersani - è un luogo, non è il tratto di identità del partito. È dove abiti, non chi sei. Perciò io propongo di lavorare per dire chi siamo: siamo un partito popolare, laico, del lavoro della riscossa civica. Definiamo assieme queste cose". "Il primo punto" che, a suo giudizio, è legato al tema delle alleanze future è quello "del profilo della democrazia e delle istituzioni: legge elettorale, conflitto di interessi, informazione", di queste cose "dobbiamo ragionare con tutti quelli che sono preoccupati dalla deriva populistica della destra". Poi puntualizza di essere "per il bipolarismo ma non per il bipartitismo": da qui la necessità di "una legge elettorale coerente che riconosca soggettività ai partiti politici". "No ai presidenzialismi mascherati", aggiunge.

Bersani precisa inoltre che la sua "non è una candidatura contro qualcuno, anzi dal congresso possiamo uscire più uniti se discutiamo di politica e se diamo fondamenta più solide al progetto, perchè questo è il tema. Al congresso non dobbiamo presentare un programma, ma un grande asse di proposte programmatiche. Questo congresso bisogna condurlo con grande civiltà e dobbiamo uscire più uniti di prima. Non voglio fare polemiche, mi piace però che il mio pensiero non venga distorto".

E non mancano le stoccate interne. Rivolte, indirettamente, al suo avversario Dario Franceschini, che ha candidato i neo-eurodeputati Sergio Cofferati e Debora Serracchiani a due delle segreterie regionali del Pd. "Si sono chiamati europarlamentari a dirigere il partito a due mesi dalle europee - attacca - ci sono fiori di europarlamentari che mi sostengono ma io non li utilizzerò nelle corse alle segreterie regionali". "Radicare un partito non è cosa da week end", prosegue Bersani. Che ribadisce la sua stima per il terzo incomodo nella corsa alla segreteria, Ignazio Marino, oggi attaccato pesantemente del Foglio di Giuliano Ferrara a proposito del suo allontanamento dall'istituto di trapianti Ismett.

(24 luglio 2009)
da repubblica.it


Titolo: Bersani con il 53% stacca il rivale di 14 punti nei circoli. Marino all’8%
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2009, 10:37:24 am
PD - l'apertura della campagna congressuale a Milano

D'Alema: «Sono ariete, non scorpione»

E Bersani: «Il berlusconismo è finito»

La risposta dell'ex premier a Franceschini che aveva citato la favola di Esopo «La rana e lo scorpione»


MILANO - Massimo D'Alema la butta in astrologia. Replicando al segretario del Pd, Dario Franceschini, che per l'ex premier aveva citato la favola di Esopo La rana e lo scorpione, con l'aracnide che, nonostante le sue rassicurazioni, non può venire meno alla sua natura e pungere la rana, facendo affogare entrambi, D'Alema ha risposto: «Vorrei rassicurarlo perché io sono ariete, di segno e di carattere. Ma soprattutto quella è una favola triste, nella quale alla fine tutti vanno a fondo. Non è così, vorrei rasserenare Franceschini che tutti e due potremo lavorare per il Pd».

UNIRE, NON DIVIDERE - «Serve un nuovo centrosinistra riformista. Ci vuole qualcuno che unisca queste forze, non che le divida e le umili», ha aggiunto D'Alema, a Milano per l'apertura della campagna congressuale di Pierluigi Bersani come prossimo segretario del Partito democratico. «Abbiamo storie diverse, ma siamo uniti nella convinzione che bisogna rilanciare il Pd su basi rinnovate, più forti, serie e credibili». D'Alema invita a usare nel dibattito congressuale «i toni giusti, senza polemiche inutili e guardando alla prospettiva di ricomporre l'unità di questo partito e ricreare il clima fraterno per lavorare insieme. Anche il rinnovamento richiede le virtù dell'esperienza. Dobbiamo lavorare senza alimentare fratture artificiose tra vecchio e nuovo, tra politica e società civile. La classe dirigente si forma su un solo criterio: la qualità delle persone».

BERLUSCONI, INIZIO DEL DECLINO - D'Alema ha dedicato un passo del suo intervento alle recenti vicende politiche. «Intorno a Berlusconi, che vive al tempo stesso l'apice del potere e l'inizio del declino, si consuma una vicenda torbida: storie di cortigiane e cattivi consiglieri, giornalisti che diventano sicari, bugie e tradimenti. Una sorta di romanzo di appendice sugli ultimi giorni dell'impero romano d'Oriente. E mentre succede tutto questo, il Paese è senza una guida e il governo non fa nulla».

BERSANI - «Affermiamo con convinzione la laicità come autonoma responsabilità della politica nella costruzione del bene comune», ha spiegato dal canto suo Bersani. «La destra ha coltivato un rapporto utilitaristico e strumentale con la Chiesa cattolica e alla lunga i nodi sono venuti al pettine. Noi siamo invece per un rapporto aperto e sincero. Affermiamo che la Chiesa non può essere zittita, come è avvenuto brutalmente in questi giorni, e che le va senza ambiguità riconosciuto il diritto-dovere di essere nella discussione pubblica. A nostra volta abbiamo il dovere di dichiarare con chiarezza in quella discussione pubblica le nostre intenzioni». Poi l'affondo a Berlusconi: «Se questo fosse mai un regime, dove sono le opere del regime? Non sta forse nel manico il difetto?». «Berlusconi - afferma Bersani - è all'imbrunire ed è ora che noi tutti andiamo al riassunto di questo ciclo e anche per chi ci ha creduto è ora di guardare oltre: per dieci anni gli italiani hanno permesso a Berlusconi di fare tutto ma a che cosa è servito? Noi dobbiamo dire qualcosa di nuovo perché anche noi non le abbiamo fatte tutte giuste. Serve il cambiamento per quanto riguarda il tipo di partito, l'asse della nostra politica e la nostra proposta politica». L'obiettivo di Bersani è quindi partire «da una vigorosa battaglia di opposizione che prenda via via il profilo di un'alternativa di governo».

DI PIETRO IN PLATEA - «Mi fa piacere constatare che finalmente anche nel Pd incominciano a rendersi conto che Berlusconi è un male per il Paese e va fermato, non con meno ma con più antiberlusconismo». Lo ha detto il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, commentando l'intervento di Pier Luigi Bersani dal palco del Palalido di Milano. «Ho ascoltato con interesse - ha detto Di Pietro, presente in platea - l'intervento di Bersani e ascolterò anche quelli degli altri candidati. L'Italia dei Valori, dopo il risultato importante delle ultime elezioni, sente il dovere e la responsabilità di un'alternativa a quello che anche Letta dal palco ha definito l'avversario comune e cioè Silvio Berlusconi». Secondo Di Pietro, è necessario «mettere in campo una proposta di governo e noi dell'Italia dei Valori vogliamo contribuire a metterla in campo. La vogliamo costruire insieme e aspettiamo di vedere il Pd con noi sul fronte a partire da un grande gesto di responsabilità: liberarsi dei tanti berluschini al proprio interno».


06 settembre 2009
da corriere.it


Titolo: Bersani con il 53% stacca il rivale di 14 punti nei circoli. Marino all’8%
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2009, 06:33:30 pm
 Democratici.

Bersani con il 53% stacca il rivale di 14 punti nei circoli. Marino all’8%

Franceschini in svantaggio punta tutto sulle primarie

La strategia del segretario: toni duri su rinnovamento e questione morale


ROMA — Si sapranno solo oggi i primi dati ufficiali dei congressi che i circoli del Pd stanno tenendo in tutta Italia in vista delle assise nazionali dell’11 ottobre a Roma. Ma a largo del Nazareno, dove con­tinuano ad affluire i risultati, si è già fatta una stima orien­tativa. Ieri mattina le percen­tuali erano queste: Pierluigi Bersani sfiorava il 53 per cen­to, Dario Franceschini si atte­stava al 39, mentre Ignazio Marino era di poco sopra al­l’ 8. In termini assoluti l’ex mi­nistro del governo Prodi otte­neva 7.202 voti, il segretario 5.341 e il senatore-chirurgo 1.111. Come da copione, in­somma.

SCARTO IN AUMENTO - È probabile che Bersani, nei congressi che si sono svolti ieri sera, vedrà aumen­tare lo scarto sul segretario, ma si tratta di cifre che co­munque dimostrano come non ci sia un vincitore a stra­grande maggioranza. Secon­do le stime che vengono fatte al Nazareno alla fine parteci­peranno a queste votazioni 500mila degli 800mila iscritti al partito e le percentuali defi­nitive, quelle con cui i con­tendenti arriveranno al con­gresso nazionale, sono già state grosso modo calcolate. La mozione Bersani si aggire­rà intorno al 55 per cento, quella Franceschini fra il 38 e il 40. Peraltro in questa fase è forte il peso degli apparati, come dimostrano certe per­centuali bulgare per l’uno o l’altro dei contendenti nelle roccaforti dei diversi «ras» lo­cali. Due esempi indicativi nel viterbese. A Vetralla dove Beppe Fioroni, che appoggia il segretario, è fortissimo, Franceschini ha battuto Ber­sani 50 a 2. A Canepina, inve­ce, che è una zona d’influen­za dell’ex segretario ammini­strativo del Pds Ugo Sposetti, Bersani ottiene 212 voti con­tro i tre di Franceschini.

IL PESO DEGLI APPARATI - Dunque, nulla di nuovo sotto questo punto di vista: il peso degli apparati in questa fase era dato per scontato. Quel che sembra stupire, in­vece, è l’affluenza in alcune zone tipicamente rosse come l’Emilia Romagna. Lì, finora, ha votato solo il 30 per cento degli iscritti. Quella zona, co­munque, fatta eccezione per Ferrara, è quasi del tutto ap­paltata a Bersani, che è spon­sorizzato dal presidente della giunta Vasco Errani. Ci sono state anche delle recenti pole­miche sulle modalità di voto nella più grande delle regio­ni rosse: a Imola, sopranno­minata la Stalingrado bersa­niana, alcuni militanti del Pd sono andati a votare muniti addirittura di facsimile della scheda. La cosa, com’era ov­vio, non è passata inosserva­ta ed è stata denunciata pub­blicamente dallo stesso Fran­ceschini. E a proposito del segreta­rio, il leader del Pd si sta già preparando alla fase due del confronto, quella delle prima­rie. Franceschini dà quasi per scontato che al congres­so, dove più forte è il peso de­gli apparati del partito, Bersa­ni prenderà più voti. Il lea­der, perciò, punta già tutte le carte sull’appuntamento del 25 ottobre. Finora il suo av­versario ha fatto una campa­gna elettorale alla grande, tappezzando tutta Italia di manifesti. Tant’è vero che ci sono state diverse polemiche sulle spese sostenute dall’ex ministro del governo Prodi, spese che, secondo lo statuto del Pd, sono limitate da un tetto oltre il quale non si può andare. Il segretario non è an­cora passato al contrattacco su questo fronte. Finora ha voluto evitare di mettere i manifesti con il suo volto, ma lo farà per le primarie. «Sarà quello del 25 ottobre il voto significativo», continua a ripetere ai suoi Franceschi­ni, che non sembra dare trop­pa importanza ai risultati che emergono dai congressi dei circoli del Pd. «L’obiettivo— ripete quasi ossessivamente il segretario — è quello di ot­tenere una grande mobilita­zione per le primarie: un mi­lione e mezzo, due milioni di persone, questo è il traguar­do » .

CAMBIO DI STILE - Un traguardo che evidente­mente il leader del Pd ritiene di poter raggiungere. Proprio per questo, terminati i con­gressi locali, Franceschini cambierà anche lo stile della sua campagna elettorale. Do­po la pausa estiva, infatti, il segretario aveva usato un to­no molto soft nei confronti degli avversari interni: la pla­tea dei votanti non è quella adatta ad apprezzare la divi­sione e lo scontro, visto che gli iscritti, in ogni occasione, continuano a invocare «uni­tà, unità». Ma il popolo delle primarie è diverso: perciò per quella campagna elettora­le il segretario riprenderà al­cuni temi a lui cari. Tornerà a insistere sul concetto di «vec­chio » e «nuovo» e non lasce­rà ai margini del confronto il tema della questione morale.

Maria Teresa Meli
19 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Bersani: «Riaprire il cantiere dell'Ulivo»
Inserito da: Admin - Ottobre 11, 2009, 10:29:02 pm
A Roma la convenzione democratica, preludio all'elezione del nuovo segretario

Bersani: «Riaprire il cantiere dell'Ulivo»

Franceschini: «Abbiamo salvato il Pd»

Il candidato ex ds: recuperare i ceti popolari che hanno guardato a destra.

Marini: i nostri leader non litighino

   
ROMA - «Bisogna riaprire il cantiere dell'Ulivo». Lo ha detto Pier Luigi Bersani nel suo discorso alla convenzione del partito democratico. Il congresso del centrosinistra è il preludio alle primarie del 25 ottobre che sanciranno, a furor di popolo, la nomina del nuovo segretario del partito. Oltre a Bersani, il primo ad intervenire, sono in lizza per la segreteria anche il leader uscente, Dario Franceschini, e l'outsider Ignazio Marino.

LE PRIORITA' DI BERSANI - Il vincitore della prima fase del congresso indica le priorità per il partito: «Adesso abbiamo tre cose da fare- dice- rinnovare e rafforzare noi stessi, riaprire il cantiere dell'Ulivo con movimenti politici e civici disposti al dialogo con noi; lavorare per un quadro ampio di alleanze politiche. Noi- ha aggiunto Bersani che in apertura di intervento ha spiegato di non credere «al partito di un uomo solo» e di voler puntare sulle idee di molti piuttosto che sulla sua figura di possibile segretario - non vogliamo fare da soli nè ci immaginiamo da soli nel futuro. Penso anzi che dobbiamo proporre già con il nostro congresso ampie alleanze democratiche e di progresso per le prossime elezioni regionali».

«RECUPERARE I CETI POPOLARI» - Il candidato alla segreteria sottolinea che il Pd «giunge a questa politica di apertura con un profilo nostro, senza trattini o divisione dei compiti, con un nostro modo di rivolgerci a tutta l'area del centrosinistra e a quella parte dei ceti popolari che fino a qui hanno guardato a destra». Bersani avverte: «Chi» nel Pd «pensasse di fare da solo lucrando qualcosa sulla divisione delle forze di opposizione se ne prenderebbe la responsabilità». Bersani, che ha incassao il sostegno del segretario della Cgil Guglielmo Epifani («Voterò per lui») in apertura del suo discorso aveva rivolto un esplicito apprezzamento all'invito giunto da Romano Prodi «a risvegliare il paese».


«OGGI SIAMO UN PARTITO» - E' stata poi la volta del segretario uscente, Dario Franceschini, che ha spiegato che «oggi siamo un partito, nel senso più autentico della parola. Partito non è una parola di cui vergognarsi. È una parola che trasmette forza, che trasmette energia». «L'onore e l'orgoglio più grande è essere stati chiamati a servire il proprio partito quando tutto sembra perduto - ha detto l'esponente ex popolare -. Quello è il momento in cui fare un passo avanti per dire sono qua, ci proverò e ce la faremo a salvare il nostro partito». Con un paragone storico, Franceschini ha poi sottolineato che è stato come per la battaglia del Piave «che viene ricordata come una vittoria, non come una sconfitta». Allora, ha evidenziato, «il rischio era che il Pd si disegregasse» ma al suo salvataggio «hanno contribuito tutti». Anche lui ha poi parlato della necessità di un'azione unitaria, spiegando che se sarà eletto segretario chiamerà anche Bersani e Marino a lavorare con lui.

«BERLUSCONI? UN OMINICCHIO» - Franceschini ha poi contestato l'azione del governo, in particolare nel modo di fare fronte alla crisi economica («Si è scelto di occultarla, senza mettere in campo misure per affrontarla»). E riferendosi al battibecco con la Bindi dei giorni scorsi (il premier l'aveva definita «più bella che intelligente») ha commentato: «Berlusconi se offende Rosy e tutte le donne italiane è un ominicchio. E non è antiberlusconismo, ma dire la verità».

«NO AL NUOVO CENTRO» - Il segretario uscente ha poi bocciato nettamente l'ipotesi della nascita di un nuovo centro con conseguente abbandono della vocazione maggioritaria «Di tattica si muore», ha detto Franceschini spiegando che c'è qualcuno che «lavora per far nascere un centro» che si prepari a sostituire Berlusconi, ma così questo centro «va stabilmente a destra e noi restiamo all'opposizione per 35 anni». Dunque, ha aggiunto, «non vorrei che il risultato del contrasto alla vocazione maggioritaria fosse di farci diventare un partito a vocazione minoritaria».


«I LEADER NON LITIGHINO» - Ignazio Marino, ultimo dei tre candidati ad intervenire, ha insistito sulla necessità di adottare la laicità come criterio per le scelte del partito. E ha insistito sulla necessità di una formazione che sia ed appaia unita: «I nostri militanti non hanno idee così diverse tra loro, sono i gruppi dirigenti che litigano e che mostrano divisioni che nulla hanno a che vedere con ciò che crediamo e molto a che vedere con le posizioni che ricoprono». «Il mio ruolo e di tutti coloro che mi hanno sostenuto - ha aggiunto - qualunque sarà il risultato del congresso, è quello di contribuire a un rinnovamento radicale io credo che l'antipolitica sia da contrastare, ma dobbiamo iniziare da noi». «Temo ancora oggi - ha aggiunto Marino - un partito che non decide e non incide, perchè troppi sono gli equilibri o gli equilibrismi dettati dalle correnti e dai personalismi». Infine, Marino ha accennato alle polemiche sul tesseramento in alcune regioni del Sud, come Campania e Calabria: «Quel che è successo in alcune zone del Mezzogiorno - ha sottolineato - non ha fatto male a me, ha fatto male a tutti noi, perchè proprio mentre abbiamo bisogno di riaffermare la libertà e chiamare alla responsabilità tutti i cittadini, li invitiamo invece ad abbassare la testa e a rispondere al comando dei capibastone».

VERSO LE PRIMARIE - Con l’elezione di due commissioni, una per la modifica dello Statuto, l’altra per il Codice etico,la convenzione nazionale si è poi conclusa. Il responsabile Organizzazione del Pd, Maurizio Migliavacca, ha comunicato che «le due commissioni avranno un compito istruttorio di definire gli indici delle questioni aperte e preparare materiali utili all’Assemblea nazionale che sarà eletta con le primarie del 25 ottobre che è comunque sovrana». La commissione per la modifica dello Statuto è composta da 40 membri, quella per il codice etico da 20. I nomi proposti sono condivisi da tutti e tre i candidati alle primarie. Primarie che si svolgeranno, appunto, domenica prossima e che coinvolgerannno tutti gli iscritti e i simpatizzanti (VEDI la scheda): solo in quell'occasione si saprà il nome del nuovo segretario.


11 ottobre 2009
da corriere.it


Titolo: BERSANI a l'Unità: «Contrario a governi centristi»
Inserito da: Admin - Ottobre 22, 2009, 11:21:59 pm
Primarie Pd, Bersani a l'Unità: «Contrario a governi centristi»


Un'ora di confronto con Pier Luigi Bersani, candidato alla segreteria del Partito Democratico. Stimolato dalle domande della redazione e dei lettori, l'ex ministro ha esposto le sue idee a tutto campo: dalla forma del partito alle riforme istituzionali, dal lavoro da fare su scuola e immigrazione alle alleanze in vista delle regionali. Di seguito una sintesi testuale di tutte le risposte, dalle 18,30 sarà possibile vedere il video dell'incontro. IL VIDEO DI BERSANI

La tre giorni de l'Unità continua domani, quando sarà la volta di Ignazio Marino. Giovedì toccherà quindi a Dario Franceschini, a partire dalle ore 13,30.

11.03 - «Per Tremonti il posto fisso è casa o a lavoro?»
Si comincia commentando i fatti del giorno e la prima pagina del nostro giornale, con le dichiarazioni del ministro Tremonti sul precariato. «Per Tremonti il posto fisso è casa o a lavoro?», chiede Bersani. A parte le battute, prosegue il candidato leader, c'è poco spazio per parlare dei fatti, dei dati, di quello che sta succedendo nel paese.

11.05 - «Facciamo sì che il successore di Berlusconi sia il leader di un'alleanza alternativa»
«Non mi interssa se Tremonti o chi altro può fare il successore di Berlusconi. Facciamo questi discorsi perché il premier mostra evidenti segni di cedimento, ma meglio far sì che il successore di Berlusconi sia il leader di un'alleanza alternativa»

11.08 - «Niente rischio scissione, il giorno dopo il 25 il partito va avanti»
Bersani scongiura e stigmatizza il rischio scissioni. «Queste sono solo schermaglie. Bisogna invece stare sereni, stiamo facendo una cosa utile alla democrazia e questo congresso non è una resa dei conti, un modo per decidere un capo».

11.10 - «Centrosinistra senza trattino»
«Penso a un partito plurale ma con un muro maestro: profilo sociale, civico e liberale. Mescolare parole nuove e parole antiche, perché possano riconoscersi nel Pd nuove ragioni e nuove culture. Penso a un centrosinistra senza trattino, che si aggreghi attorno a un soggetto con un'identità forte».

11.12 - Caso Binetti: i parlamentari tengano conto di una disciplina condivisa
«A nessuno il dottore ha detto di fare il parlamentare. Chi vuol farlo deve tener conto di una disciplina condivisa. Se c'è il marcato rispetto delle regole condivise, ci si mette fuori».

11.14 - Giustizia e riforme istituzionali da collegare ai temi sociali
«Berlusconi sa che questo paese è disposto a dar via un po' di democrazia se gli viene qualcosa in tasca. Noi dobbiamo convincere il nostro popolo che quella ricetta sta producendo dei danni concreti, economici, sociali. La difesa della Costituzione è un must, il punto è come».

11.16 - Dialogo solo su temi concreti
Dialogo o non dialogo: «Se parliamo di giustizia, di precariato, di cose che la gente vive, allora dobbiamo mostrare capacità di dialogo e di lavorare a trovare soluzioni ai problemi. Se dobbiamo star nel campo dei problemi suoi, del premier, non c'è possibilità di dialogo. Sulle riforme istituzionali si parta dalla bozza Violante, occorre concentrarsi soprattutto sulla riforma elettorale: è incredibile che gli elettori possano scegliere il segretario del Pd e non i suoi parlamentari».

11.23 - Ripristinare la funzione del parlamento
«Usciamo da questa paranoia del dialogo. Abbiamo il parlamento, facciamolo lavorare: sulla bozza Violante, sulla crisi. Ripristinare la funzione del parlamento è il punto iniziale. Se fai 25 voti di fiducia in un parlamento a cui tu di fatto hai dato la fiducia, con questo meccanismo elettorale, stai mettendo la pistola alla tempia dei soggetti sociali».

11.20 - Ricomporre le divisioni coinvolgendo i lavoratori».
Sul tema del lavoro e l'accordo separato sui metalmeccanici.«Serve una ricomposizione del fronte sindacale, attraverso una forma di partecipazione dei lavoratori che possa dirimerle».

11.27 - Ricostruire l'Ulivo, alleanze larghe
Alleanze alle regionali: variabili, sul territorio, verso il centro o verso sinistra? «Dobbiamo fare tre cose. Primo: rafforzarci come partito, facendo percepire che siamo utili all'alternativa. Facendo uno sforzo generoso per risolvere il problema Berlusconi. Secondo: riaprire il cantiere dell'Ulivo, ricostruire un rapporto con le formazioni più vicine a noi, di sinistra, ambientaliste. Terza: proposta larga di alleanze politiche. Dobbiamo coinvolgere tutte le forze che ci sono all'opposizione, e so benissimo quali difficoltà ci sono». Le regionali? «Un'occasione per proporre alleanze larghe, democratiche».

11.35 - Nessuna "balena bianca" all'orizzonte
Casini, Fini stanno facendo il loro lavoro politico, un nuovo soggetto di centro non è destinato ad allearsi con la destra piuttosto che con la sinistra? «Siamo entrati fortemente in un sistema bipolare che dobbiamo riaffermare e che è già intimamente in questo paese. Non è bipartitico e quindi sopporta al suo interno un insieme di partiti che però dovranno acconciarsi a un quadro bipolare. Ma i cittadini hanno diritto di sapere quale è la maggioranza che li governerà. L’ipotesi che nasca una balena centrale io non la vedo. Penso che Fini dovrà combattere con Berlusconi e il berlusconismo perché ha in mente una idea di partito di destra europeo non populista, ma la destra europea festeggia il suo 25 aprile senza se e senza ma e non ha quel populismo berlusconiano che c’è di qua».

11.38 - Un'iniziativa parlamentare sulla scuola
«Questa che ci vendono come riforma Tremonti Gelmini è una semplice riduzione dell'offerta formativa. Questo sistema è entrato in un bricolage di riforme che lo sta distruggendo. Abbiamo una responsabilità di proporzioni cosmiche. Fermiamoci, fermatevi. Facciamo un'operazione parlamentare, chiamiamo le migliori competenze. Nel 1978 si fece per via parlamentare la riforma sanitaria, che fu una rivoluzione. Facciamo lo stesso per l'istruzione. Di bricolage in bricolage si rischia grosso». Sulla ricerca è necessario trovare meccanismi virtuosi come il credito d'imposta, oltre che aumentare le risorse.

11.42 - La scuola non può essere solo tema di bilancio
«Per noi ci sono beni che non possiamo affidare al mercato: salute, istruzione, sicurezza. Poi possono tirare fuori la scuola privata, ma anche nel corpo grosso dell’elettorato loro il concetto di scuola pubblica e di sanità pubblica sono fondamentali. Andremo a una discussione parlamentare partendo da qui. Ci sono problemi di qualità, di merito e di estensione ed inclusività. La scuola non si può ridurre a tema di bilancio».

11.44 - I sedicenni al voto e il senso del Pd
«Se pensi che tutti gli uomini hanno la stessa dignità vieni qua e dacci una mano. Questo dico ai sedicenni. Non dobbiamo tornare a parlare di ideologie ma nemmeno a fare i post-identitari io non ci sto. Senza idealità non c’è interesse per la politica. Noi ai ragazzi dobbimo dire che abbiamo un senso e un mestiere. Siamo qui per dire che crescita, sviluppo economico non ci può essere se non lo guardi con il principio dell’ugaglianza».

11.46 - Superare dicotomia iscritti-elettori
Perché si è disperso il patrimonio degli elettori delle primarie, con un'anagrafe che sarebbe certamente tornata utile? Si va a delle nuove primarie, voterà molta gente che non è iscritta. C'è un progetto per tenere conto di questa massa di persone e superare in modo positivo la questione iscritti-elettori? «Noi abbiamo fatto un errore a stabilire la diversità tra popoli, tra iscritti ed elettori, come se fossero antropologicamente diversi. Non sono razze diverse. Io non sono perché le tessere contino al cento per cento, io sono perché contino al cinquanta. Ci vuole un albo degli elettori, una ricognizione. Non è possibile che Storace dica chi vuole votare al Pd: astenersi perditempo. Gli iscritti avranno qualche responsabilità e potere in più, possiamo coinvolgere gli elettori quando vogliamo essere presenti sul territorio. Iscritti ed elettori sono la stessa cosa, semplicemente con un'intensità diversa sul territorio».

11.48 - Ridurre i costi della politica
«Facciamo una Maastricht dei costi della politica. Prendiamo i paesi europei, le loro spese, voce per voce: facciamo la media e ci mettiamo in quella media».

11.49 - Liste e candidature: rinnovamento ma ok a Bassolino e Loiero nelle primarie
«Bassolino e Loiero sono andate bene fin qui. Dobbiamo andare a un rinnovamento. Che poi un presidente della regione non debba essere in un parlamentino di partito, non capisco perché».

11.55  Bossi e l'immigrazione
«Bossi ha un’altra cosa in testa, sull’immigrazione dobbiamo avere una consapevolezza. Ma gli immigrati ci danno il 10% della ricchezza ci costano il 3% della spesa assistenziale, il problema invece viene scaricato sulla parte piu’ debole della popolazione: un grande partito popolare deve avere occhio a questo problema. Sennò rischiamo di far correre dentro il popolo regressioni culturali che non è facile fermare con le prediche».

12.00 - Domande finali, botta e risposta
Quali i principali errori del Pd in questi due anni? «Quello fondamentale: abbiamo deciso di farlo, senza discutere di come farlo». Quali incarichi a Franceschini e Marino, se sarai eletto? «Ne parlo prima con loro, non credo funzioni così». Lista civica con Galan in Veneto? «Il primo passo è quello dell'autonomia. In Veneto come in tutto il nord noi possiamo avere molta forza, specie dove la destra è divisa». Come difendere la Costituzione? «Saldare tema democratico e temi sociali». Tesseramento e risultati congressi al sud: sono un problema? «Esiste certamente un problema, non tanto nelle proporzioni dei votanti. Certo, in date aree bisogna stare molto attenti a deviazioni e infiltrazioni. Dopodichè attenzione: banalizzare questo tema è pericoloso. Che non passi l'idea che non c'è niente da fare, che tutto quel che viene dal sud è robaccia, noi lasciamo sole le forze vere che stanno lavorando e che soffrono di certi giudizi sbrigativi. Occorre riprendere il tema del mezzogiorno senza semplificazioni». C'è un tentativo del governo di isolare la Cgil? «Sì, e il Pd può aiutare mostrando un suo punto di vista. In questo punto di vista c'è il tema dell'unità del lavoro come bene pubblico». Ci sono posizioni incompatibili tra loro dentro il Pd? «Quello che conta è un metodo, come qualsiasi associazione. Ci sono regole, ci sono delle eccezioni, ma chi non sta nelle regole di fatto si mette fuori».

(a cura di Francesco Costa)

20 ottobre 2009
da unita.it


Titolo: Bersani: "Ritiratelo e discutiamo"
Inserito da: Admin - Novembre 24, 2009, 09:59:03 pm
Fini contro il processo breve: "non è la riforma della giustizia".

Bersani: "Ritiratelo e discutiamo"



Il presidente della Camera Fini attacca di nuovo i progetti di Berlusconi: "Il processo breve non è la riforma della giustizia", afferma. Se si vogliono le riforme costituzionali con largo consenso "si può ripartire dalla bozza Violante", afferma ancora Fini. "Può diventare legge in pochi mesi".

Un'apertura sulle riforme che il Pd considera giusta: «Sulla bozza Violante il Presidente Fini ha detto parole sagge - afferma Bersani - confermo che, a partire da quel testo, noi siamo pronti a discutere di riforme costituzionali, iniziando dal superamento del bicameralismo perfetto, dalla riduzione del numero dei parlamentari e dal rafforzamento dei poteri di governo e parlamento». «Posso aggiungere che una simile iniziativa sarebbe coerente con il percorso delle normative sul federalismo fiscale, alle quali abbiamo contribuito, e a un possibile confronto sul codice delle autonomie. Sarebbe curioso, infatti - aggiunge - occuparsi giustamente dei consigli di quartiere dimenticandosi delle esigenze di ammodernamento di Parlamento e Governo»

Poco prima il Pd aveva ribadito di essere pronto a discutere di giustizia, ma solo se il Pdl ritirerà il disegno di legge sul processo breve. Lo ha detto lo stesso segretario, in una conferenza stampa al termine della Direzione del partito. "Quello della giustizia - ha detto Bersani - è sicuramente un problema per i cittadini, vista la lunghezza dei processi. Noi non solo siamo disponibili a discuterne, ma abbiamo già presentato quattro proposte di legge". "Adesso però - ha proseguito - ci stanno facendo vedere un altro film, e cioè come evitare i processi al premier. Bondi, che è il ministro della Cultura, ci presenti il film giusto e noi discutiamo. Se vogliono evitare i processi ai colletti bianchi per noi non è possibile".

Quanto al No-B day, di fronte agli interrogativi che regolarmante gli vengono riproposti in questi giorni, ha ribadito che il partito democratico «ha una posizione lineare: non ci facciamo tirare per la giacca. "Ci sono manifestazioni che organizza il Pd e poi ce ne sono altre organizzate da movimenti. In questo caso il nostro approccio -ha puntualizzato Bersani- e quello di verificare se ci sono parole d'ordine compatibili e allora non c'è nessun problema al fatto se partecipano cittadini e militanti. Quella manifestazione ha avuto mutazioni complesse: vedremo».

Ribadito che non c'è ostilità verso nessuno, Bersani ha sottolineato che «facciamo le nostre cose cercando di non essere speculari al tema 'Berlusconi sì Berlusconi nò, non possiamo stare semplicemente su una strada segnata da altri, dobbiamo averne una nostra pur essendo amichevoli verso tutti».

24 novembre 2009
da unita.it


Titolo: Re: BERSANI
Inserito da: Admin - Dicembre 11, 2009, 04:49:16 pm
Bersani: "Non so cos'ha in testa Berlusconi, ma non andremo dove vuol portarci lui"


A caldo aveva criticato l'esternazione "internazionale" del premier dicendo che facendo così Berlusconi drammatizzava oltre misura il caso Italia all'estero. Aveva aggiunto di considerare giuste e sagge le parole di risposta del presidente napolitano. Qualche ora più tardi il segretario del Pd Bersani ha fatto capire lo sgomento crescente dei democratici di fronte alla deriva del premier:  «Non so cosa Berlusconi abbia in testa. Con queste frasi violentissime e sconsiderate, per di più pronunciate all'estero, il Presidente del Consiglio allude a un sistema che non è il nostro, a una repubblica che non è costituzionale».

Giungendo alla presentazione dell'iniziativa «1000 piazze per l'alternativa», in programma domani e sabato a Roma e nel Lazio, Bersani ha aggiunto: «Bisogna che Berlusconi ci dica dove vuole portarci perchè noi non andremo dove vuole andare lui».

«Le preoccupazioni del presidente Napolitano sono le nostre». Lo dice Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato, riferendosi alle parole del premier da Bonn. «Berlusconi - prosegue Anna Finocchiaro -  con rigorosa puntualità e infischiandosene del contesto internazionale in cui si trova a rappresentare il Paese, compie affermazioni gravi che colpiscono la Consulta, la magistratura, la nostra Carta Costituzionale e presidenti della Repubblica e conferma lo scarso rispetto per le istituzioni del nostro Paese. È il rispetto a cui il presidente della Repubblica anche oggi con parole sagge ed equilibrate richiama tutti coloro che hanno responsabilità politiche e istituzionali».

«Il Pd condivide totalmente il monito del Capo dello Stato. Un partito come il Pd - continua Finocchiaro - ha il dovere di respingere affermazioni di tale gravità e di assicurare i cittadini, le famiglie e i lavoratori circa il proprio impegno nel difendere la democrazia italiana e nel cercare testardamente la via delle riforme, mantenendo vive le istituzioni. Un grande Paese come il nostro non si governa con irresponsabili isterismi e allo smarrimento  dei cittadini italiani cercheremo di rispondere con la serietà delle nostre
buone ragioni e delle nostre proposte politiche e con una difesa rigorosa degli equilibri democratici».

10 dicembre 2009
da unita.it


Titolo: Bersani: Ma perché siamo l'unico Paese Ocse che non ha una tassa sui ...
Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2010, 10:33:16 pm
Il segretario del Pd a Pisa in un convegno dell'associazione Nens

"Primo o poi Tremonti ci dovrà pur spiegare le ragioni di questa anomalia"

Bersani: "Ma perché siamo l'unico Paese Ocse che non ha una tassa sui grandi patrimoni?"


PISA - "Io non chiedo una tassa patrimoniale, non sono d'accordo. Mi aspetto però che  qualcuno mi spieghi perché siamo l'unico Paese dell'Ocse che non ha una tassa sui grandi patrimoni? Tremonti ci spieghi perché". Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani nel suo intervento di chiusura al Manifutura Festival organizzato dal Nens, il Centro studi Nuova Economia Nuova Società di Pisa. Parlando più in generale di fisco, Bersani ha aggiunto che "bisogna semplificare il sistema e riordinare anche la discussione in materia". Dal governo, ha proseguito, "arrivano sparate sempre diverse, del tipo 'togliamo l'Irap o tagliamo le aliquote' e poi non succede niente. Bisogna fare un'operazione di semplificazione, in particolare per quanto riguarda le piccole e medie imprese: l'obiettivo è di mettere un pò di soldi nelle loro tasche".

Le soluzioni, secondo il numero uno del Pd, sono cinque o sei: "O rinviare la manovra sul Tfr, o agendo sugli adempimenti fiscali, oppure lavorando sui pagamenti da parte della pubblica amministrazione, perché le imprese sono in una grave situazione di difficoltà di liquidità".

L'Italia ha una ripresa debole e più lenta degli altri Paesi europei perché - ha proseguito il segretario del Pd - "la crisi si è saldata a problemi strutturali antichi e li ha aggravati. Questo non significa che non possiamo rimontare e accelerare la crescita, ma significa che accelerare e darsi un orizzonte non viene da sé non facendo nulla". Un piano anti-crisi serve a stimolare l'economia, anche perché "si esce dalla crisi quando si torna al punto in cui si era prima, cioè al 2006", in tempi brevi. Per questo "si dovrebbe correre più velocemente". E' necessario "stare attenti al tema economico e sociale: da quando è cominciata la crisi ci sono 6-700mila lavoratori in meno, con un milione di persone che ha usufruito degli ammortizzatori sociali".

Per l'immediato, ha continuato Bersani, "ci sono rischi: siamo in una fase di avvitamento con disoccupazione, stagnazione, crisi della finanza pubblica". Sul lungo periodo invece "il rischio è di un rimpicciolimento della base produttiva del Paese". "L'esito di questa crisi - ha aggiunto il leader democratico - non tutto è nelle nostre mani, ma ciò non ci esenta dal fare qualcosa per dare stimolo alla ripresa e affrontare i problemi strutturali".

Ed è per questo che serve un piano anticrisi nazionale. "Nel 2010 - ha sottolineato il segretario Pd - rispetto allo scorso anno avremmo un 12% in meno di investimenti. Non si può non fare niente, serve un grande piano di piccole opere e un piano di economia verde. Le piccole opere partono in tempi brevi, le grandi vanno bene ma richiedono i loro tempi". Bersani ha inoltre chiesto interventi per le famiglie numerose e un piano Paese di politica industriale".

(14 febbraio 2010)
da repubblica.it


Titolo: BERSANI: «Io spalai, Bertolaso voli basso»
Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2010, 04:29:38 pm
BOTTA E RISPOSTA

Bersani: «Io spalai, Bertolaso voli basso»

Replica al sottosegretario: «Con me capita male: io ero angelo del fango a Firenze, non so lui cosa facesse»


MILANO - Non solo il G8 a La Maddalena e gli appalti a L'Aquila. Argomento di polemica tra il numero uno della Protezione Civile e l'opposizione diventa anche l'alluvione che sconvolse Firenze nel 1966. È Pier Luigi Bersani ad evocare il disastro di 44 anni fa. E lo fa per invitare all'umiltà il sottosegretario Guido Bertolaso che, in un'intervista a Panorama, aveva polemizzato con il segretario democratico («se arriva un terremoto chi spala? Bersani?»).

POLEMICA - «A Bertolaso consiglierei un po' più di umiltà - replica il leader del Pd al termine dei lavori d'aula alla Camera - meno arroganza e di volare un po' più basso, perché con me capita male: io a quindici anni spalavo a Firenze, non so lui cosa facesse». Il riferimento è ai tanti giovani volontari, poi ribattezzati "angeli del fango", che giunsero in Toscana per mettere in salvo opere d'arte e libri.

Redazione online
19 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: BERSANI «Mi piace la musica, e alla sinistra dico: allarghiamo la testa»
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2010, 09:28:15 am
Bersani: «Mi piace la musica, e alla sinistra dico: allarghiamo la testa»

di Roberto Brunelli


Segretario, ha visto le primarie del Dopofestival? Al momento è in testa D’Alema accoppiato al principe…
Ride). «Un principe e un re in testa. Questo dimostra che abbiamo molta gente spiritosa in giro, che c’è del buonumore, nonostante tutto».

Quando si è saputo del suo arrivo a Sanremo, lei ha detto «basta snobismi, è un modo per andare tra la gente»: una nuova strategia del Pd?
«Senza esagerare sì, però il punto di partenza è che a me piace la musica. La domanda, però, non è perché andiamo a Sanremo. È l’opposto: perché non andarci? Forse anche tra di noi ci sono un po’ troppi stereotipi. Al congresso l’ho detto: se vogliamo essere un partito veramente popolare dobbiamo saper parlare anche a chi guarda il tg di Fede. Io ci sono andato. Poi ognuno porta le sue idee, i suoi gusti, le proprie proposte. Non allarghiamo la coperta se non allarghiamo la testa: e se non lo facciamo rimaniamo impigliati in logiche minoritarie».

A lei piacciono Vasco e gli Ac/Dc: che c’azzecca Sanremo?
«Anno 1982, Vasco arriva a Sanremo con Vado al massimo, anno 1983, torna con Vita spericolata».

Sì, ma arrivò ultimo…
«Magari anche questa volta il migliore arriva ultimo. Insomma, qui ci sono passati molti grandi, Tenco, Paoli, Dalla, Zucchero, il
Celentano della via Gluck. E poi diciamocelo: se Vasco fosse rimasto a suonare a Zocca, oggi l’Italia non avrebbe Vasco».

Come sempre, qui ci sono state molte polemiche, a cominciare da quella su Pupo e il principe…
«Sì, ho sentito che li hanno fischiati. Certo che Sanremo ospita anche delle stupidaggini… non male l’idea di digiunare se vincono».

Che mi dice della scelta Clerici?
«Questo festival ha successo anche perché la gente in questo momento ha bisogno di un po’ di rassicurazione. Chi ha scelto Antonella Clerici ha azzeccato il momento: trasmette autenticità, sdrammatizza, rassicura».

Una delle sorprese di Sanremo 2010 è il Dopofestival di Youdem, tutt’altro che «politically correct».
«Neanche un po’ politically correct. È quello che volevamo: uno sguardo critico, scanzonato e libero. Un modo per chiacchierare e riderci su. Mi dicono che <CF161>Novella 2000</CF> ha linkato il sito di Youdem: ebbene, è giusto trovare spazio anche in quei luoghi che sbaglieremmo a ritenere alieni. Ricordiamo tutti con ammirazione quando Togliatti andava all’<CF161>Unità</CF> ad assicurarsi che pubblicassero i numeri del Lotto: era un’attenzione a grandi fatti popolari magari anche opinabili… ma insomma, l’idea di una sinistra che stia dentro i luoghi dove la gente vive, per accompagnare una crescita che si fa insieme alla gente senza mettersi in cattedra, rimane un punto di forza anche se si parla di canzonette».

«Italia senza regole, ai margini della democrazia». Parole sue. Qualcuno potrebbe dire che questo vale anche per Sanremo.
«Lì mi riferivo all’economia, ai diritti dell’informazione, alla democrazia delle regole, alla sovranità del parlamento. Però è vero che
si deve tenere vivo uno spirito critico pure nel mondo dello spettacolo».

Cosa le è piaciuto di più, cosa di meno di questo festival?
«La maglia nera spetta a Filiberto, il numero di Lippi è stato disdicevole. Delle canzoni ne restano tre o quattro di livello. Malika certamente, ma anche Arisa: una canzoncina, certo, ma dal gusto antico. Anche Mengoni è interessante, pure Cristicchi. Poi ho ceduto alla curiosità e ho sentito la cosa di Morgan su YouTube: al netto delle colpe e degli errori, è una bella canzone».

21 febbraio 2010
da unita.it


Titolo: BERSANI Bersani stoppa Di Pietro
Inserito da: Admin - Marzo 08, 2010, 08:47:13 am
07 marzo 2010, 21:54

Bersani stoppa Di Pietro

Regionali     


Per il segretario del Pd, Antonio Di Pietro sbaglia ad attaccare Giorgio Napolitano per la firma sul decreto "salvaliste", la colpa è "tutta del Governo Berlusconi", ma la manifestazione di sabato del centrosinistra non è a rischio. Domani (lunedì), anche e soprattutto alla luce del decreto legge adottato l'altra sera dal governo, il Tar del Lazio dovrà esprimersi sul ricorso del Pdl e sul tavolo troverà anche la delibera della Regione Lazio con il ricorso alla Corte Costituzionale

"Sarebbe sbagliato dare occasione al centrodestra di nascondersi dietro al Quirinale". La frase pronunciata da Pier Luigi Bersani, rientrando a Roma per la riunione del coordinamento del Pd, non solo esprime la posizione del Pd di fronte alle critiche di Antonio Di Pietro al presidente Napolitano, ma sintetizza anche quanto lo stesso Bersani ha detto al leader di Idv al telefono. La manifestazione unitaria di sabato 13 marzo, infatti, dovrà esser capace di parlare all'elettorato del centrosinistra, ma anche a una area più vasta.

Bersani, a fine giornata, è rimasto fedele al proprio impegno di non attaccare mai i propri alleati. E di fronte ad Antonio Di Pietro, che ancora oggi ha criticato il Quirinale, il segretario del Pd gli ha semplicemente voluto ricordare un fondamentale della politica: "La responsabilità totale del decreto è del governo - ha affermato - altrimenti, se non teniamo fermo questo punto, viene meno ogni discorso" in vista della manifestazione del 13 marzo. Anche perché, insiste Bersani, la firma di Napolitano è un atto dovuto: "Sappiamo bene quali sono il mestiere e le prerogative del presidente della Repubblica".

Domani ci sarà una riunione organizzativa della manifestazione in cui si comincerà a decidere la piattaforma comune dell'iniziativa che, spiega Bersani, "deve fare sintesi non solo del centrosinistra ma deve andare al di là di questa area". Questo perché nell'opinione pubblica "c'è un turbamento in un'area più vasta del nostro elettorato" come dimostrano i sondaggi pubblicati oggi dai giornali.
Secondo Renato Mannheimer il gradimento del governo ha perso negli ultimi giorni 4 punti, scendendo al 39%, rispetto al 50% dei giorni successivi all'aggressione di Berlusconi a Milano.

Insomma il centrosinistra deve saper "interpretare in modo combattivo e propositivo" questo turbamento. Il momento della verità dovranno essere le elezioni regionali.

Infine Bersani condivide la preoccupazione espressa oggi da Emma Bonino la quale ha detto di temere che il centrodestra possa non convertire in legge il decreto in caso di sconfitta elettorale: "Ogni trucco è pensabile - ha detto Bersani - avendo già visto il trucco più vergognoso. Il punto è come reagire. L'Aventino lascia campo libero agli avversari. La risposta dirimente deve essere il voto".
A fare eco al segretario Enrico Letta secondo il quale un'opposizione divisa "sarebbe un regalo che Berlusconi non merita". Letta ribadisce "mobilitazione massima" e ostruzionismo al decreto in Parlamento.

Potrebbe essere domani il giorno della verità per la lista provinciale del Pdl di Roma. Il giorno in cui, con la possibile consegna della documentazione ai sensi del cosiddetto decreto salva-liste, potrebbe chiudersi il cerchio aperto sabato scorso con la bagarre al Tribunale di Roma culminata con il mancato deposito delle carte all'Ufficio centrale circoscrizionale. O almeno potrebbe chiudersi per il momento, perché in serata la giunta regionale del Lazio ha varato all'unanimità una delibera con cui si invita il presidente della giunta regionale del Lazio Esterino Montino a ricorrere alla Corte costituzionale per conflitto di competenze e in prima istanza per chiedere la sospensione del decreto legge.
La materia elettorale toccata con il dl, questa la tesi, non spetta allo Stato ma alla Regione.

Una mossa che secondo il consigliere Pdl Donato Robilotta è priva di valore giuridico, perché a suo dire la giunta, sciolta da mesi, dovrebbe occuparsi solo di ordinaria amministrazione.

Per la Regione Lazio, invece, sussistono i requisiti di "indifferibilità e di urgenza" che legittima il provvedimento. "Questa delibera non è una scelta politica ma istituzionale che riafferma il principio del rispetto delle prerogative della Regione", replicando anche alle critiche della candidata del centrodestra Renata Polverini secondo la quale si vuole "provare a vincere espellendo una forza politica, la piu' importante della città di Roma".

Domattina, comunque, anche e soprattutto alla luce del decreto legge adottato l'altra sera dal governo, il Tar del Lazio dovrà esprimersi sul ricorso del Pdl e sul tavolo troverà anche la delibera della Regione Lazio con il ricorso alla Corte Costituzionale.

da aprileonline.onfo


Titolo: BERSANI "Sento aria di riscossa civile"
Inserito da: Admin - Marzo 13, 2010, 11:12:47 am
Bersani: "Sento aria di riscossa civile"

di Pietro Spataro


La nostra sarà una manifestazione gioiosa, il popolo ci chiede unità…». Oggi il centrosinistra sarà a Piazza del Popolo a Roma e Pierluigi Bersani si mostra tranquillo e determinato. Sente che si stanno aprendo spiragli che possono far girare il vento. «Berlusconi non è onnipotente», dice. Le telefonate del premier al direttore del Tg1 e al presidente dell’Agcom? «Sconcertanti e avvilenti». Come fermare questa destra arrogante e pericolosa? «Dobbiamo essere combattivi, non si può stare in pantofole davanti a chi indossa gli anfibi».

Allora, Bersani partiamo dall’ultimo caso: da alcune intercettazioni pubblicate su «Il fatto» emerge l’asservimento del direttore del Tg1 e del commissario dell’Agcom ai voleri di Berlusconi. Il premier sarebbe indagato. Un altro fatto grave, no?
«Vedremo se ci saranno sviluppi sul piano giudiziario. Sicuramente se le indiscrezioni saranno confermate si tratta di fatti sconcertanti e avvilenti. Ma diciamo la verità, lo si poteva capire anche senza intercettazioni che eravamo in una situazione grave. C’è un problema nei rapporti tra politica e informazione che tocca la dignità professionale e mina una delle libertà fondamentali. O i politici e giornalisti fanno ognuno il loro mestiere o altrimenti non ne usciremo».

C’è chi nel centrosinistra chiede le dimissioni di Minzolini. Lei che ne pensa?
«Davanti a documenti certi il giudizio sul comportamento del direttore del Tg1 spetta alla commissione di vigilanza. Senza dimenticare tuttavia lo spettacolo indecoroso di un presidente del consiglio che con tutti i problemi che ci sono si occupa dei servizi dei tg».

Ormai il clima è infuocato. Berlusconi parla di complotti , Bondi paventa attentati, Cicchitto la accusa di far parte del network dell’odio. Siamo allo scontro di civiltà?
«Siamo al solito schema. Ho parlato di disco rotto, diciamo meglio, un cd rotto così ci capiscono anche i giovani. Berlusconi individua il nemico, che siamo sempre noi della sinistra, e poi chiede un giudizio di dio su se stesso: sì o no. Ecco, per esser chiari: noi combatteremo Berlusconi e questo schema colpo su colpo. La nostra agenda non è Berlusconi-sì Berlusconi no, ma sono i problemi veri del Paese. Smettiamola con il governo del fare che fa solo gli affari propri. Insomma quelle dei complotti e degli attentati sono teorie balorde, scarti di propaganda che lasciamo a lui. Noi invece dobbiamo lavorare sodo perché ci sono spazi per incontrare il disagio dell’elettorato berlusconiano che non vive di propaganda».

Il problema è: come fermare un premier che logora il sistema istituzionale e quello della legalità?
«Si stanno aprendo varchi su cui lavorare. Basti ricordare come si è bloccata la legge sulla Protezione civile Spa o come si stanno inguaiando sulla vicenda delle liste. Non dobbiamo credere che Berlusconi sia onnipotente. Anzi, ormai lui non riesce più a tirare la palla avanti, è solo capace di usare il consenso per aggiustarsi le regole. Per questo bisogna essere combattivi e mostrare il legame stretto tra questione democratica e questione sociale. Guardate che l’aria sta cambiando».

Eppure la destra riesce ancora a ridurre tutto a leggi ad personam o ad listam mentre i problemi dell’Italia restano. Ieri c’è stato lo sciopero della Cgil…
«Sì, c’è un evidente tentativo di ridurre tutto alle questioni personali del premier. Però i temi che stanno a cuore agli italiani sono altri: il lavoro, la sanità, la scuola, i redditi. Assistiamo a una continua compressione che prima o poi arriverà a un punto di rottura che non credo si esprimerà in una rivolta sociale. Ma non pensino che non ci sarà una riscossa civile, un forte movimento di opinione che entrerà anche nel loro elettorato respingendo l’idea di una separazione tra governo e società».

Insomma, anche lei crede che Berlusconi sia al declino e che questi siano colpi di coda?
«Nessuno riesce a dire se il tramonto sarà lungo o breve. Però è evidente che Berlusconi non parla più al futuro del paese. In questo tramonto ci sono elementi di pericolo: non solo delegittimazione delle istituzioni e della politica ma un duro colpo allo spirito civico. E anche il rischio di ipotesi regressive…».

E quali sarebbero?
«Beh, se passiamo dal berlusconismo al leghismo non è che facciamo un passo avanti, si può arrivare a toccare la stessa unità nazionale. Per questo insisto che bisogna lavorare per un’alternativa che abbia un saldo fondamento costituzionale. Faccio appello a tutte le forze di opposizione: contrastiamo con forza questo disegno e cominciamo a costruire un’altra idea dell’Italia».

Che manifestazione sarà quella di Roma oggi a Piazza del Popolo? Solo protesta contro il decreto salva-liste?
«Per la prima volta facciamo un’operazione insieme, la politica e la società civile. Dobbiamo saper trasformare la protesta in proposta, occuparci dei problemi sociali degli italiani. La nostra manifestazione sarà tutto questo. Guardo a Piazza del Popolo con spirito molto positivo. Vedrete che sarà una manifestazione festosa».

Di Pietro sembra aver ammorbidito i toni e non attacca più Napolitano. Lei si sente tranquillo? Non c’è sempre il rischio che si spacchi la piazza?
«Mi sento tranquillo. Ogni forza di opposizione deve capire che questo è il momento di accorciare le distanze con la destra. Chi dovesse venire meno a questo dovere pagherebbe un prezzo enorme, non glielo perdonerebbero. Non possiamo separarci da un popolo democratico che ci chiede unità».

Senta, ma come vi siete incontrati voi, il popolo viola e la società civile? Non c’era qualche diffidenza?
«C’è stata una maturazione reciproca. I movimenti oggi ci chiedono di portarli da qualche parte, di riuscire a superare insieme questa difficile situazione. È un fatto positivo perché è chiaro che noi non faremo mai un riformismo senza popolo. Anzi, dico di più: se perdiamo su questo punto ci teniamo Berlusconi chissà per quanti anni ancora. Invece credo ci siano le condizioni per voltare pagina e tornare a vincere».
Eppure nel Pd qualche mugugno c’è. Gli ex popolari fanno sapere che non saranno alla manifestazione…
«Rispetto tutte le sensibilità. Le nostre scelte non le abbiamo fatte in solitudine ma nella discussione. Credo che quelle preoccupazioni non siano fondate. Le cose cambiano e noi dobbiamo muoverci come fa un partito serio. Non possiamo mica stare in pantofole mentre davanti a noi c’è qualcuno che ha messo su gli anfibi».

Previsioni: come finiranno le elezioni regionali? Qualche ottimista dice che potrebbe anche finire 9 a 4 per il centrosinistra. Lei che ne dice?
«Dico che per noi sarà un successo avere la maggioranza delle Regioni. Dal voto può venire un segnale forte di inversione di tendenza, dobbiamo riuscire a far capire che è ripreso il cammino. Poi però dal giorno dopo bisogna costruire l’alternativa. E dobbiamo lavorarci con serietà perché l’edificio sta bene in piedi con fondamenta solide. Su questo non possiamo scherzare».

13 marzo 2010
da unita.it


Titolo: BERSANI «Noi disponibili al dialogo, il premier no»
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 11:03:12 pm
Con una lettera al partito, il leader aveva replicato anche alle critiche interne

«Noi disponibili al dialogo, il premier no»

Bersani: «Siamo noi che abbiamo verificato, dopo 50 decreti e 31 fiduce, la sua indisponibilità a discutere»


MILANO - «Non è Berlusconi a dover misurare la nostra disponibilità. Siamo noi che abbiamo verificato, dopo cinquanta decreti e trentuno fiduce, la sua indisponibilità a discutere, perchè per fare le riforme deve funzionare il Parlamento». Così, Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, risponde al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che aveva parlato di una stagione delle riforme. «La nostra agenda - prosegue Bersani - è chiara: occupazione, piccole e medie imprese, redditi bassi. Su questo siamo pronti a discutere. Anzi, sarebbe ora, a partire dalle norme sul lavoro, rinviate alle Camere dal Presidente della Repubblica. Sulle riforme istituzionali il presidente del Consiglio sa benissimo qual è la nostra posizione: superamento del bicameralismo, diminuzione dei parlamentari, nuova legge elettorale, legge sui partiti, rafforzamento reciproco dei poteri di Parlamento e governo. Su tutte queste materie - conclude - la maggioranza non ce la meni con il dialogo o non dialogo.»

RISPOSTA ALLE CRITICHE INTERNE - In precedenza Bersani, con una lettera, aveva dato un'altra risposta, quella ad un'altra lettera, scritta da 49 senatori del suo partito. Nonostante la «delusione» per la perdita del Lazio e del Piemonte «per una manciata di voti», il Pd «è in piedi», e ora deve «accelerare» sulla strada della costruzione dell'alternativa al governo del centrodestra aveva sottolineato Bersani.

LA MISSIVA - «La possibilità di cambiare il corso delle cose - si legge nella sua lettera - è legata alla nostra capacità di offrire un'alternativa positiva e credibile, di dare un'altra possibilità agli italiani. Adesso dobbiamo accelerare. Da qui dobbiamo ripartire mettendoci al lavoro per rafforzare il nostro progetto e per dare radicamento a un Partito democratico concepito come una grande forza popolare, presente con continuità ovunque la gente vive e lavora e capace di offrire proposte che abbiano un contenuto sempre più visibile e coerente. Diversamente, i rischi non solo di disaffezione dell'elettorato ma anche di radicalizzazione e di frammentazione impotente, non potrebbero che diventare più gravi».
«Le recenti elezioni regionali - scrive Bersani - sono state per tutti noi un passaggio importante, che ci mostra tutta la complessità e la profondità dei problemi che abbiamo di fronte. Il Partito democratico è in piedi. Sentiamo forte in queste ore la delusione per avere perso la guida di alcune regioni, e il Lazio e il Piemonte per una manciata di voti. La delusione è solo in parte attenuata dal fatto che abbiamo conquistato comunque la presidenza di sette tra le tredici regioni in palio: un risultato certamente non scontato alla luce dei rapporti di forza che si sono determinati nelle elezioni più recenti, tenendo conto che le elezioni regionali del 2005 si erano svolte dentro un altro universo politico». Prosegue Bersani: «Va rimarcato che per la prima volta dopo molto tempo, nel voto di domenica e lunedì scorsi si è verificato un arretramento consistente dei consensi del Popolo delle libertà, solo in parte compensato dalla crescita della Lega; le distanze tra il campo del centrodestra e il campo del centrosinistra sono oggi sensibilmente inferiori rispetto a un anno fa, e quindi pur dentro a elementi di delusione si apre uno spazio per il nostro impegno e per il nostro lavoro. Tuttavia, dal voto emergono chiaramente alcuni problemi di fondo nel rapporto tra i cittadini italiani e la politica: c'è una disaffezione crescente, che si manifesta come distacco e radicalizzazione, verso una politica che gli elettori percepiscono come lontana dai loro problemi. Una crisi sociale ed economica pesante fa sentire ogni giorno le sue conseguenze sulla vita dei cittadini, senza che dal governo arrivino risposte adeguate alla gravità dei problemi». «Il principale responsabile di questa situazione - continua la lettera di Bersani - è il presidente del consiglio; ma è una situazione che interroga anche noi». «Dobbiamo servire il Paese - sottolinea il leader democratico - raffigurandoci come un partito fondato sul lavoro, il partito della Costituzione, il partito di una nuova unità della nazione. Il Partito democratico è il partito di una nuova centralità e dignità del lavoro dipendente, autonomo, imprenditoriale e della valorizzazione del suo ruolo nella costruzione del futuro del Paese. È il partito che non accetta che il consenso venga prima delle regole e lavora per istituzioni più moderne rifiutando la chiave populista. È il partito che dà una risposta innovativa al tema delle autonomie nel quadro di una rinnovata unità nazionale. Avvieremo insieme un grande piano di lavoro incardinato su questi obiettivi».

Redazione online
01 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it


Titolo: Il segretario Bersani nella tenaglia e la minoranza lo sfida: «Cambia linea»
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2010, 11:34:55 pm
12/4/2010 (7:30)  - OPPOSIZIONE

Spunta l'asse Prodi-Chiamparino

La richiesta: azzerare le correnti.

Il segretario Bersani nella tenaglia e la minoranza lo sfida: «Cambia linea»

CARLO BERTINI
ROMA

Senza dubbio è una bella pietra lanciata nello stagno, ma in questa fase nessuno si pone come obiettivo quello di scalzare Bersani». Dopo una giornata passata tra le colline liguri, Sergio Chiamparino fa un sobbalzo quando sente le parole spese da Romano Prodi sul Messaggero, «l’attuale struttura nazionale del Pd non serve più, troppo autoreferenziale. Serve un partito federale».

Un intervento, quello del fondatore dell’Ulivo, mirato a ricostruire la struttura del Pd, con un leader nominato da un esecutivo composto «esclusivamente dai segretari regionali, senza le infinite code di benemeriti e aventi diritto, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio». Insomma un «politburo» di venti pezzi grossi che trovano legittimità dalle primarie. «E un conto sono le primarie con il principio delle scatole cinesi, con candidati decisi in base alla spartizione tra le correnti, altro conto sarebbe il percorso indicato da Prodi», ragiona il sindaco di Torino. Il quale, giusto il 7 aprile scorso, disegnava il modello di «un partito affidato a sindaci e governatori, azzerando caminetti e correnti, con una sua unità nazionale data dall’insieme di partiti radicati sul territorio, capaci di scelte autonome sui programmi e anche sulle alleanze». Naturale dunque chiedergli se questo inedito asse sia frutto di qualche scambio di idee. «No, assolutamente, ma è vero che la filosofia è proprio la stessa».

Insomma, questa «pietra nello stagno» diventa subito un caso, proprio nei giorni in cui tutti si chiedono quale possa essere il «papa straniero» invocato dal direttore di Repubblica per salvare le sorti del centrosinistra, come fece appunto Prodi nel ’96. Un caso che suscita commenti, a volte caustici, nella galassia variegata del Pd. Uno che con Prodi fece il ministro, ma che non è mai stato troppo tenero con lui, per via dei rapporti conflittuali con Rutelli e la Margherita, è Paolo Gentiloni, oggi in prima fila dentro il «correntone» di Veltroni e Franceschini.

«Più che il merito della sua proposta, che può essere ragionevole, è significativo il fatto che si occupi del Pd. In un paese gerontocratico, mentre si parla di elezione diretta del premier, non mi stupirebbe se qualcuno si alzasse per dire che quel “papa straniero” potrebbe essere ancora Romano, che di sicuro pensa di essere una riserva della Repubblica. Certo da quello che scrive non sembra faccia il tifo per Bersani». Gentiloni aggiunge una postilla al vetriolo che mostra come il leader sia ormai stretto tra due fuochi. «D’altronde, anche se chi mette in discussione il segretario in questa fase è un pazzo, è indubbio che la linea su cui ha vinto il congresso, e cioè “allargare le alleanze”, esce da questo voto, se non azzerata, molto ridimensionata e quindi andrà rivista».

Dalle parti di Bersani la musica è un’altra e tocca al numero uno della segreteria diffonderla nell’etere. Se dal Pdl, ma anche dalla nave del Pd, partono siluri del tipo «ora Prodi vuole liquidare Bersani», Migliavacca li respinge sdegnato: «Sciocchezze. Quello di Prodi è un contributo utile a disegnare una strada di riforma in senso federalista dello Stato e a costruire un partito più radicato e capace di valorizzare dal basso le migliori esperienze». In ogni caso «un disegno di lungo termine, ma già da adesso si possono fare passi significativi in questo senso». Quali? «Vedrete», risponde sibillino il braccio destro del leader, forte anche della spiegazione data dall’ex sottosegretario di Prodi, Richi Levi, secondo il quale Bersani era stato avvertito dal Professore che in realtà «gli ha alzato una palla».

E non stupiscono quindi le tiepide reazioni con cui anche gli esponenti della minoranza, di fede «mariniana» o «fassiniana», cioè i «lealisti», hanno accolto la «road map» del Professore. Il cattolico Beppe Fioroni la liquida dicendo che «oggi il Pd non ha bisogno di formule organizzative o di schemi regolamentari». E l’ex Ds Marina Sereni è sulla stessa linea. Una cosa è certa: quando domani Bersani riunirà i segretari regionali, le parole dell’ex premier aleggeranno in sala, e lo stesso avverrà sabato quando la Direzione del Pd dovrà discutere di riforme e del perché il Pd ancora una volta non ha vinto.

da lastampa.it


Titolo: Pd, Bersani media tra D'Alema e Franceschini: «Ora un progetto per il Paese»
Inserito da: Admin - Aprile 18, 2010, 10:50:33 pm
Pd, Bersani media tra D'Alema e Franceschini: «Ora un progetto per il Paese»

di Andrea Carugati


Un Bersani con le mani tese verso la minoranza interna guidata da Veltroni e Franceschini, a partire dalla difesa del bipolarismo e dall'ammissione della «delusione» per l'esito del voto, segna la prima direzione Pd del dopo regionali. Una direzione preceduta da un clima piuttosto teso, con l’area democratica a sottolineare la sconfitta alle urne e venerdì il duello D’Alema-Franceschini sul bipolarismo e soprattutto sul rapporto con Gianfranco Fini. Ma alla fine il segretario riesce a trovare le parole giuste per non scontentare nessuno, per tenere abbastanza unito il partito su una linea attendista nei confronti della crisi nel Pdl, («Sono questioni loro», sintetizza Franco Marini), ma pronto a firmare un «patto repubblicano» con le forze disponibili a fermare la «deriva plebiscitaria» di Berlusconi, dunque anche con quella destra «normale» incarnata da Fini.

Insomma, il dilemma “Fini sì Fini no” sembra sciogliersi alla luce dell’idea, fatta propria anche da Bersani, che i due litiganti del Pdl alla fine troveranno un modo per aggiustarsi tra loro. Sul bipolarismo Bersani è ecumenico: «Noi pensiamo ad una forma di bipolarismo più europeo, più moderno, più in grado di decidere», conclude a metà pomeriggio. «Dobbiamo prendere atto che negli ultimi 15 anni, tranne qualche riforma dei governi di centrosinistra, le riforme non sono state fatte perchè ha prevalso una democrazia plebiscitaria che accumula consenso ma non decide».

Bersani, che lancia l’asseblea nazionale per il 22 maggio (obiettivo: discutere del progetto per l’Italia) concede qualcosa alla minoranza anche sul tema della riforma elettorale: «Le soluzioni per una riforma sono diverse ma vanno tenuti fermi tre paletti: il sistema bipolare, la scelta del deputato e la garanzia di una maggioranza stabile». «L'attuale legge elettorale è una vergogna, è l'architrave del meccanismo plebiscitario e populista di Berlusconi», dice il leader Pd. «Dobbiamo combattere per oltrepassarla. Intorno a questi tre criteri possiamo ragionare insieme e arrivare a proposte più precise ma cerchiamo di sdrammatizzare il tema perchè le leggi elettorali vanno e vengono, mentre Berlusconi sta qui dal ‘94...».

Messe a posto le questioni che avevano agitato venerdì lo scontro tra D’Alema e Franceschini, Bersani passa all’attacco sul terreno a lui più caro, quello delle proposte per il Paese. «Mettiamoci subito al lavoro sul progetto per l’Italia. Il futuro è una sfida: mettiamoci all’altezza di questa sfida. Serve un progetto per l'Italia, un’agenda che ci porti a fare emergere la nostra visione del Paese». Pochi i punti cardine: «Lavoro inteso come lavoro delle nuove generazioni, fisco, educazione e cioè scuola e università, istituzioni, giustizia e informazione». «Lavoriamo per l'Italia e lavoreremo per noi. Dobbiamo trasmettere positività, il partito non può essere il nostro oggetto di discussione col Paese: è lavorando per l’Italia che daremo il profilo al partito, le nostre parole da contrapporre all’ideologia di Berlusconi e della Lega sono uguaglianza, diritti, civismo e merito».

Tra i primi passi concreti della nuova agenda Pd, Bersani annuncia una proposta di legge per mettere fuori i partiti dalla Rai e una nuova norma Antitrust per affrontare (e risolvere) il conflitto d'interessi. E sulla giustizia prende le difese del responsabile del settore Andrea Orlando, criticato nei giorni scossi per aver presentato al Foglio una bozza di riforma: «La giustizia non è un tabù, è un servizio che non funziona, le nostre proposte sono contro le leggi ad persona, m si può essere d’accordo o meno ma non esiste che tra di noi si parli di “intelligenza con il nemico”».

Veltroni sceglie di non intervenire e se na va senza fare commenti, Franceschini nel suo intervento apprezza la «difesa del bipolarismo» da parte del segretario ma ribadisce la sua linea su Fini: «Non bisogna fare a Fini il torto di considerarlo “di qua” e coinvolgerlo in scenari confusi perché lui sta facendo una battaglia per una destra normale ma è un nostro avversario. Dare l’idea che Fini è un nostro interlocutore sarebbe un grande regalo per Berlusconi». E aggiunge: «La missione del Pd è cambiare il paese rimettendo in discussione tutto, non sommando le singole sigle». «Il partito non è solo di chi ha vinto il congresso ma insieme di chi ha vinto e di chi ha perso. Tra il silenzio e la litigiosità c'è la via di mezzo del confronto chiaro, dobbiamo discutere per contribuire a fare le scelte».

L’occasione sarà l’assemblea nazionale convocata per il 22 maggio, e intanto Franceschini risponde anche a quell’ala cattolica, da Fioroni a Castagnetti, che anche oggi ha ribadito il suo disagio in un partito troppo “di sinistra”: «Il Pd ha ancora la colla fresca. E se ci sono dei dirigenti che percepiscono con disagio un pd comepartito di sinistra, questo è un segnale che deve essere ascoltato». Non mancano segnali di apertura a Bersani anche da altri esponenti della minoranza. «La direzione è stata utile ed è stata imboccata la strada di un chiarimento», dice Fioroni. «Abbiamo fatto un primo passo verso il rilancio del progetto originario dopo la «sconfitta elettorale«, dice il braccio destro di Veltroni Walter Verini. «Si è compiuto un passo in avanti sulla direzione di investire sul progetto del Pd, sul suo rapporto con l’Italia, lasciando molto, ma molto, sullo sfondo quelle cose che ci avevano imbrigliato, tipo la politica delle alleanze». mentre Fassino dà atto al segretario di aver presentato «un'analisi del voto più
preoccupata del giudizio iniziale e una griglia per il rilancio».

D’Alema, anche a costo di un certo isolamento, ha ribadito le sue tesi sulla crisi del bipolarismo e sulla necessità di «interloquire» con quella destra incarnata da Fini che può dare a una mano per fermare la «spallata plebiscitaria» di Berlusconi. «Dire che vogliamo fare domani un governo insieme a Fini è una scemenza, a me interessano i contenuti, dalle riforme all’immigrazione, e non per fare manovrette politiche», spiega D’Alema. Che ribadisce il suo sostengo per un sisyema dell’alternanza, che va però ripensato, «perchè la tanto vituperata e consociativa prima repubblica è stata in grado di produrre riforme profondissime, mentre la second, quella delle decisione, appare molto debole». Nessuna marcia indietro, dunque. D’Alema ribadisce la sua ricetta sul bipolarismo in crisi e anche sul dialogo con la nuova forza parlamentare che Fini starebbe per lanciare. «Non vorrei che nel nome del bipolarismo lo rimproverassimo di dare fastidio a Berlusconi, sarebbe un eccesso di zelo», conclude l’ex ministro, prima che Rosy Bindi lo inviti al “time out” per aver sforato i tempi.

E proprio la presidente Bindi è protagonista di uno scontro con Paola Concia, a cui avrebbe tolto il diritto di intervenire. «Dopo la relazione di Bersani ha detto che c’erano 60 interventi, troppi, e che avrebbero dovuto parlare solo le personalità politicamente rilevanti», accusa Concia. «Io e altri siamo stati “tagliati”, evidentemente i temi che rappresento non ionteressano alla Bindi, ma io voglio discutere dentro il mio partito, non sulle pagine dei giornali...». «La prossima volta la facciamo di due giorni così ognuno avrà bei 15 minuti per parlare», replica la Bindi ai colleghi che protestano.

Marta Meo, esponente veneta della mozione Marino, esce nel primo pomeriggio con lo sguardo sconsolato: «Mi pare che questo partito sia in preda all’horror vacui: abbiamo davanti tre anni senza elezioni e senza congressi, sarebbe il momento per parlare di cose concrete, e invece ho l’impressione che non si sappia da dove cominciare. Un’altra conferenza di programma a maggio? Ma non c’erano i forum tematici? Perché non vengono convocati?». Un tema su cui è d’accordo anche Marino, che sprona Bersani a «far funzionare i forum». «Deve fare come un rettore con i dipartimenti, farsi dare dei report su quello che è stato deciso, sull’agenda dei prossimi incontri...».

17 aprile 2010
da unita.it


Titolo: BERSANI Promette battaglia dura al ddl intercettazione
Inserito da: Admin - Giugno 10, 2010, 05:18:26 pm
Francesco Scommi ,   09 giugno 2010, 11:50

Bersani: Il segretario del Partito democratico parla a Repubblica tv, progetta di consultare la base per individuare lo sfidante del centrodestra ma chiarisce che "non avremo un uomo solo al comando, un simil - Berlusconi". Offerta alle altre opposizioni: "Uniamoci su 2 - 3 concetti fondamentali". Promette battaglia dura al ddl intercettazioni: "Cosa ci ha trovato Fini di migliorato nel testo?". La manovra economica la ritiene "una batosta ai redditi medio - bassi, al lavoro e agli investimenti"


Dalle intercettazioni alla manovra fino alla proposta di una piattaforma comune delle opposizioni contro le politiche del governo e al futuro del centrosinistra. Il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani interviene a "Repubblica tv" sui temi centrali del dibattito politico del momento.

Manovra.
Bersani è netto sulla stangata da 24 e passa miliardi predisposta dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti: "O in Parlamento si modifica la manovra approvata dal consiglio dei ministri o da qui ad un anno siamo da capo dopo, però, aver dato una batosta ai redditi medio - bassi, al lavoro e agli investimenti". Queste le proposte dell'ex ministro dello Sviluppo economico: "Voglio tassare le rendite finanziarie e patrimoniali e voglio fare la lotta all'evasione a fatti e non a chiacchiere". Il ricavato "voglio metterlo a riduzione del carico su lavoro e sulle imprese perché se non cresciamo un po' non aggiusteremo il Paese -ha aggiunto il segretario del Pd- bisogna alleggerire lavoro e imprese e fare investimenti e curarsi degli snodi cruciali come la scuola". A proposito di scuola, Bersani ha ribadito quel "rompicoglioni" alla Gelmini che tante polemiche aveva destato quando venne pronunciato: "Io non ho insultato nessuno ma in modo un po' popolare ho detto una cosa sacrosanta: la smettano di rompere le scatole alla scuola".

Intercettazioni.
Bersani è decisamente insoddisfatto delle ultime modifiche fatte sotto il pungolo dei finiani: "La maggioranza non ha fatto alcun correttivo e bisogna richiamare tutti alla coerenza. Che cosa ci ha trovato Fini di migliorato nel testo?". Il segretario democratico tuttavia ha promesso opposizione al ddl "con tutte le forze" ma nello stesso tempo suggerito di non far prevalere la battaglia in questione su quella sociale: "Vedremo come condurre la battaglia di opposizione, io insisto su un punto: teniamola legata alla grande questione sociale, se andiamo sul fondo dell'opinione pubblica il tema sociale può prevalere sul tema democratico".

Opposizione.
Bersani ha invocato ancora una volta l'unità delle opposizioni: "Attenzione a fare a gara a chi fa più o meglio opposizione a Berlusconi perché questo non porta da nessuna parte. Serve un'unità non al vecchio modo, tutti assieme, ma su 2 - 3 concetti fondamentali dobbiamo attrezzarci perché siamo ad un momento di battaglia delicata". Sembra proprio un richiamo ai "duri e puri" dell'Italia dei Valori e non a caso a stretto giro è arrivata la nota di replica del capogruppo alla Camera dei dipietristi, Massimo Donadi: "'L'Italia dei Valori è pronta da due anni a fare una piattaforma comune sulla manovra così come sugli altri grandi problemi del Paese. Era ora che il Pd battesse un colpo. Noi mettiamo a disposizione la nostra contromanovra che, a differenza di quella del governo, non mette le mani nelle tasche degli italiani".

Bersani ha insistito sul fatto che "bisogna tenere unita battaglia sociale e battaglia democratica perché Berlusconi ha avviato un meccanismo populista che ha fatto sì che in 15 anni si ha avuta la paralisi delle riforme. Solo restringimenti di spazi ma zero riforme". Poi il segretario del Pd ha spiegato sulla stessa falsariga le ultime uscite di Berlusconi, contro magistrati, giornalisti e Corte costituzionale: "Fa sempre così, quando deve deviare l'attenzione da quello che lo preoccupa di più. Lui adesso sa che questa manovra chiude con il periodo delle favole. Non riesce a dire al paese la parola 'sacrifici' e piuttosto che farlo, la spara grossa". Bersani ha aggiunto: "Non che Berlusconi non sia pericoloso, perché poi fa anche dei fatti. Ma quando il tema sociale non regge, come con la manovra, lui spara sempre di più sul tema democratico. E' il suo meccanismo". La replica di Bersani al premier è dunque su due fronti: "Mentre gli rispondo 'tu hai giurato sulla costituzione e se non ti piace vai a casa' gli ricordo anche che lui sta alzando all'85 per cento la percentuale di invalidità per prendere l'indennità. Se non diciamo questo, l'invalido a casa rischia di non capire". Nello stesso tempo, tuttavia, è perplesso sull'annuncio dello sciopero dei magistrati: "Non è normale che i magistrati scioperino e questo contiene elementi di rischio verso l'opinione pubblica che non capisce. Non è uno sciopero politico e il problema c'è perché è una delle categorie più colpite dalla manovra ma è un'iniziativa opinabile".

Centrosinistra. Bersani si è soffermato anche sul futuro della coalizione di centrosinistra, quella che dovrà candidarsi alla guida del Paese. Chiarito che ritiene improbabile una nuova discesa in campo di Romano Prodi - "secondo me non ci pensa nemmeno" - il leader democratico ha ragionato sulla diversa concezione che ha dell'opposizione e della costruzione di una "squadra" per governare. Non rivuole l'Unione, "perché non funzionava", ma ritiene necessario "ragionare con tutte le forze che oggi sono all'opposizione in parlamento, vedendone tutte le distanze per l'amor di dio". In particolare, Bersani immagina due tipi di 'alleanza', un fronte per il Governo e un altro, più largo, che comprende tutti quelli che condividono una "certa idea della democrazia". Bersani ha detto: "Io voglio fare un primo 'cerchio' per governare, e un secondo 'cerchio' sulla tenuta della democrazia". Nel primo "cerchio" ci possono stare tutti quelli che condividono un programma di governo, mentre nel secondo rientrano anche coloro che semplicemente condividono una concezione delle regole base della vita pubblica". Lasciapassare necessario per entrare nel "primo cerchio" è ritenere "questa legge elettorale una vergogna".

Per individuare il candidato premier del centrosinistra, Bersani ha promesso primarie di coalizione, "cosciente che serve la partecipazione ma anche la determinazione a mettere in campo chi ha più chance". Ha proseguito: "Nello Statuto è scritto che il segretario è il candidato premier e io ho sempre detto che e' possibile ma non lo ordina il dottore. Ora sento che sul punto chi difendeva ad oltranza lo Statuto, lo mette in discussione...". In ogni caso, sostiene il leader Pd, "noi non avremo un uomo solo al comando. Non esiste nel centrosinistra l'idea di trovare un simil - Berlusconi, non ci serve il leaderismo perché il nostro popolo ci chiede un capo ma anche una squadra, certo migliore di quella fatta in passato".

http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=15082


Titolo: BERSANI. Care democratiche, cari democratici
Inserito da: Admin - Giugno 13, 2010, 12:10:42 pm
Care democratiche, cari democratici


pochi giorni fa il Governo ha presentato una manovra economica che non sostiene le famiglie e le imprese, che non contiene misure per i giovani e la crescita e prevede tagli indiscriminati destinati a colpire i servizi per i cittadini, dalla scuola alla sanità ai trasporti.

Saranno soprattutto le persone più deboli a pagare le conseguenze della manovra, che lascia invece al riparo le grandi ricchezze e le rendite e non combatte in modo efficace l’evasione fiscale. Tutto questo è inaccettabile!

Per questo il nostro partito ha deciso di promuovere una manifestazione nazionale per sabato 19 giugno, alle ore 10 al Palalottomatica di Roma, per un’altra politica economica, per la crescita e il lavoro, contro una manovra ingiusta e sbagliata, per dare voce a tutti i protagonisti sociali colpiti dalle scelte del Governo.

Vogliamo offrire al paese un’alternativa ispirata a equità e rigore, all’idea che nessuno sta bene da solo e che una comunità può crescere e progredire solo se è unita e solidale. Potete leggere e scaricare le nostre proposte sul sito del PD.

Ci vediamo sabato 19, sicuro che da voi possa venire il contributo prezioso di chi ogni giorno è a contatto con le persone, con le loro speranze e i loro problemi.

Ieri, il Senato ha approvato il ddl intercettazioni. Con la trentesima fiducia e una legge sbagliata, il governo continua il massacro della libertà. I senatori Pd hanno abbandonato l’Aula per non partecipare a quello che Anna Finocchiaro ha definito "un voto di fiducia che manca di legittimità". Ora tocca alla Camera, dove la nostra opposizione sarà durissima.


Bersani Pier Luigi Bersani
Segretario Nazionale del Partito Democratico



Titolo: BERSANI Nuovo Ulivo e un'Alleanza democratica per sconfiggere Silvio Berlusconi
Inserito da: Admin - Agosto 26, 2010, 03:18:35 pm
La lettera

"Nuovo Ulivo e un'Alleanza democratica per sconfiggere Silvio Berlusconi"

La svolta di Bersani: è ora di suonare le nostre campane.

Occorre l'impegno univoco di tutte le forze progressiste.

Il consenso per il Cavaliere è ancora largo ma il rapporto tra promesse e realtà è sempre più labile

di PIERLUIGI BERSANI


CARO direttore, dopo anni di illusione berlusconiana l'Italia continua a regredire sul piano economico e sociale e si allontana, alla luce di ogni parametro, dai paesi forti dell'Europa. Nello stesso tempo l'impegno a riformare e a rafforzare le istituzioni repubblicane si sta trasformando in una deformazione grave della nostra democrazia. Ci si vuole trascinare ad un sistema dove il consenso viene prima delle regole e cioè delle forme e dei limiti della Costituzione; dove si limita l'indipendenza della Magistratura; dove il Parlamento viene composto da nominati; dove il Governo ha il diritto all'impunità e ad una informazione asservita e favorevole; dove si annebbiano i confini fra interesse pubblico e privato. I segni di tutto questo li abbiamo potuti valutare in questi anni berlusconiani: regressione dello spirito civico e della moralità pubblica, politica ridotta a tifoseria, allargamento del divario tra nord e sud, nessuna buona riforma sui problemi veri dei cittadini. Il populismo infatti è, per definizione, una democrazia che non decide, specializzata com'è nell'usare il governo per fare consenso e non il consenso per fare governo. Il dato di fondo della situazione politica sta qui, mentre la questione sociale e quella del lavoro sono senza risposte e si drammatizzano ogni giorno. Il consenso per Berlusconi è ancora largo, ma il rapporto fra parole e fatti e fra promesse e realtà diventa sempre più labile anche nella percezione dei ceti popolari. Vengono alla luce degenerazioni corruttive che vivono all'ombra di un potere personalizzato. Gli strappi all'assetto costituzionale non sono più sopportati da una parte della destra attratta da ipotesi liberali e conservatrici di stampo europeo.

A questo punto per Berlusconi la scelta è fra ripiegare o alzare la posta. Per l'Italia la scelta non riguarda più solo un governo, ma finalmente una idea di democrazia e di società. La prossima scadenza elettorale, più o meno anticipata che sia, comporterà in ogni caso una scelta di fondo. Rispetto a tutto questo, la proposta alternativa soffre ancora di debolezze che devono essere rapidamente superate. Il venir meno di una promessa populista produce sempre, direttamente o specularmente, fenomeni di distacco dei cittadini dalla politica, una spinta alla radicalizzazione impotente, espressioni vere e proprie di antipolitica che possono insorgere da ogni lato. Il compito dell'alternativa è quello di trasformare grande parte di queste forze disperse in energia positiva, collegandole ad un progetto politico capace di sorreggere non solo una proposta di governo ma una proposta di sistema. Tocca al PD innanzitutto, come maggiore forza dell'opposizione, indicare una strada che colleghi efficacemente l'iniziativa di oggi alla sfida radicale e dirimente di domani.

Rendendoci disponibili oggi ad un governo di transizione non cerchiamo né scorciatoie né ribaltoni. Sfidiamo piuttosto la destra a riconoscere la realtà e ad ammettere l'impossibilità di mandare avanti l'attuale esperienza di governo e ad introdurre correttivi, a cominciare dalla legge elettorale, che consegnino lo scettro ai cittadini, per tornare poi in tempi brevi al voto. Sarebbe questo un tradimento del mandato elettorale? L'elettore in realtà è stato tradito da chi non è più in grado di rappresentare la sua coalizione e mantenere le promesse del suo programma. Sarebbe questo uno strappo costituzionale? Qui siamo all'analfabetismo o alla sfacciata malafede. E' l'esclusione in via di principio di questa ipotesi, il vero strappo costituzionale!

Chi ha rispetto della Costituzione della Repubblica e del suo Presidente deve considerare invece tutte le possibilità. Noi lo facciamo. Noi consideriamo la possibilità che il Governo provi a sopravvivere con una specie di respirazione artificiale, rifiutandosi di prendere atto della sua crisi politica. Una soluzione che non porterebbe lontano e alla quale risponderemmo con una opposizione netta. Riteniamo infatti doveroso che la destra in disfacimento certifichi la sua crisi in Parlamento. Consideriamo altresì la possibilità che la situazione precipiti verso un vuoto politico e verso elezioni svolte con questa sciagurata legge elettorale, in una situazione economica, sociale e finanziaria di acutissima criticità. In questo caso la nostra proposta avrebbe la stessa ispirazione che oggi ci fa proporre un governo di transizione; una ispirazione cioè che deriva dall'analisi di fondo cui ho accennato. Noi proporremmo un'alleanza democratica per una legislatura costituente. Un'alleanza capace finalmente di sconfiggere una interpretazione populista e distruttiva del bipolarismo, capace di riaffermare i principi costituzionali, di rafforzare le istituzioni rendendo più efficiente una salda democrazia parlamentare (a cominciare da una nuova legge elettorale) e di promuovere un federalismo concepito per unire e non per dividere. Sto parlando di una alleanza che può assumere, nell'emergenza, la forma di un patto politico ed elettorale vero e proprio, o che invece può assumere forme più articolate di convergenza che garantiscano comunque un impegno comune sugli essenziali fondamenti costituzionali e sulle regole del gioco. Una proposta che potrebbe coinvolgere anche forze contrarie al berlusconismo che in un contesto politico normale (come già avviene in Europa) avrebbero un'altra collocazione; una proposta che dovrebbe rivolgersi ad energie esterne ai partiti interessate ad una svolta democratica, civica e morale. Come si vede, questa idea nasce dalla convinzione che la fuoriuscita dal berlusconismo non sia un processo lineare, cioè legato ad una semplice alternanza di governo in un sistema che funziona. Si dovrà uscire, lo ribadisco, da una fase politica e culturale e non solo da un governo, verso una repubblica in cui alternanza e bipolarismo assumano la forma di una vera fisiologia democratica.

Per dare l'impulso decisivo a questo cruciale passaggio occorre l'impegno univoco, leale, convinto e coeso di tutte le forze progressiste, che sono adesso chiamate a mettersi all'altezza di una responsabilità democratica e nazionale. Come potrebbero queste forze essere credibili se in un simile frangente non dessero per prime una prova di consapevolezza, di unità e di determinazione comune? Ecco allora la proposta di un percorso comune delle forze di centrosinistra interessate ad una piattaforma fatta di lavoro, di civismo, di equità, di innovazione e disponibili ad impegnarsi ad una progressiva semplificazione politica e organizzativa che rafforzi il grande campo del centrosinistra. Un simile percorso dovrebbe lasciarci definitivamente alle spalle l'esperienza dell'Unione e prendere semmai la forma e la coerenza di un nuovo Ulivo. Un nuovo Ulivo in cui i partiti del centro sinistra possano esprimere un progetto univoco di alternativa per l'Italia e per l'Europa e mettersi al servizio di un più vasto movimento di riscossa economica e civile del Paese. Dunque, un nuovo Ulivo ed una Alleanza per la democrazia. Su queste proposte il Pd vuole esprimere la sua funzione nazionale e di governo.

Su queste basi politiche il Partito Democratico organizzerà per l'autunno una grande campagna di mobilitazione sui temi sociali e della democrazia. E' giunto il tempo infatti di suonare le nostre campane.

(26 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/26/news/lettera_bersani-6514997/?ref=HRER1-1


Titolo: BERSANI alla Lega "Si discuta della nostra proposta"
Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2010, 09:00:46 pm
PD

Federalismo, Bersani alla Lega "Si discuta della nostra proposta"

All'apertura del leader democratico replica immediata di Calderoli: "Pronti a discutere anche domani".

Al centro dell'intervista con Sky anche la vicenda Fiat: "Non siamo divisi, abbiamo posizione chiara".

"Udc non entrerà nel governo".

"Col terzo Polo per andare tutti assieme oltre il Cavaliere".

"Al mio partito sei meno in coesione, sette all'iniziativa politica"


ROMA - Alla Lega, che chiede al Pd di fare le riforme assieme dopo aver detto sì al Federalismo, il leader democratico replica secco. Lo fa senza chiudere in modo netto, ma rivendicando l'autonomia della propria forza politica: "Noi riteniamo di essere federalisti, abbiamo una nostra proposta, se ragioniamo sulla nostra bene altrimenti se si tiene la sua, noi non ci stiamo".

Immediata la risposta in termini concilianti del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Ringraziandolo per aver risposto "ad un appello di responsabilità" sul federalismo, l'esponente del Carroccio invita Bersani a rileggere con attenzione la proposta del Pd dal momento che è stata bocciata dall'Anci che l'ha definita come una "tarsona" ovvero come il ritorno di una tassazione sulla prima casa. "Noi - spiega Calderoli - restiamo contrari alla tassazione della prima casa intesa in termini di possesso, noi intendiamo mantenere questa posizione e introdurre anche un vantaggio per gli inquilini che non avendo le risorse per poter comprare la prima casa sono costretti ad affittarsela: se dal Pd viene accettato questo presupposto mirato a garantire che tutti, come proprietari o come affittuari, debbano avere una prima casa con tutti i conseguenti vantaggi fiscali legati alla prima casa, allora sono pronto ad anticipare quel tavolo che abbiamo già convocato con tutte le forze politiche per martedì 11 gennaio e sono pronto a farlo partire già dal primo di gennaio e per i giorni a seguire". "

Lavoriamo nei primi dieci giorni di gennaio - suggerisce ancora Calderoli - per dare finalmente concrete risposte al Paese. E visto che qualcuno parla in questi giorni di catena di montaggio - conclude Calderoli in tono ironico - diamo una dimostrazione concreta che anche la politica è disponibile a lavorare ad una vera catena di montaggio delle riforme ...".
 
L'intervista a Sky di Bersani è stato però a tutto campo, toccando anche gli altri temi dell'attualità politica, a cominciare dall'allargamento della maggioranza, necessario perché non si arrivi ad una crisi formale. Bersani non sembra credere all'ipotesi di una Udc che entri a far parte dell'esecutivo. "Tenderei a escluderlo", perché "verrebbe meno" alla linea fin qui tenuta.

Dal segretario democratico analogo scetticismo sulla possibilità di elezioni. "Sulle elezioni io non ci scommetto. Deve scommetterci Berlusconi. Se ci arriviamo, però, deve essere chiaro che è la proclamazione del suo fallimento totale".

E il Terzo polo? Bersani rinnova l'invito a tutte le forze di opposizione a lavorare insieme per andare non solo contro Berlusconi ma ''oltre Berlusconi''. "Negli ultimi due anni questo polo in costruzione e' venuto via dal centrodestra e si e' creata una formazione politica in nuce, in embrione, che deriva dal rifiuto di una piegatura populista del centrodestra''. Quindi, serve un cammino assieme, "per una fase che faccia una riforma della Repubblica e proponga un grande patto per il lavoro e la crescita, cosi' da uscire da un peridoo ormai decennale. Su questo noi lavoreremo su una nostra piattaforma da mettere a confronto''.
 
Riguardo il fatto che Pd possa privilegiare una alleanza con Casini, si resta sul vago. ''Io - dice Bersani - voglio far uscire con tutte le forze che ho il dibattito dal politicismo. E' ora di parlare di Italia, abbiamo davanti un sacco di problemi''. "Il Pd, 'che e' la più grande forza di opposizione', deve presentare 'una piattaforma di riforme, che riguardano la democrazia e il lavoro'' chiedendo che ''su quelle si apra un confronto con tutte le forze di opposizione".

Articolato anche il discorso sul caso Fiat. Il leader Pd smentisce divisioni e spiega: "Detto che sulla questione produttiva 'i lavoratori si pronunceranno, noi ci auguriamo che l'investimento venga confermato perche' e' molto importante per Torino e l'Italia''. Ma, aggiunge, "nell'accordo della scorsa settimana 'c'e' una cosa che non va e che riguarda la rappresentanza, perché non e' giusto che chi dissente venga tagliato fuori dai diritti sindacali. Chi dissente non puo' impedire'' l'applicazione dell'accordo ma ''non puo' essere tagliato fuori. Su questo bisogna rimontare e il governo dovrebbe favorire i meccanismi di partecipazione''.

Infine, il partito. Al quale Bersani dà i voti. Se meno per coesione interna, sette per l'iniziativa politica, sei meno per il consenso. "Bisogna ricordare che in epoca berlusconiana fare opposizione è il mestiere più difficile in tutto l'occidente. Quindi voto 7 quest'anno e per l'anno prossimo 7 più".

(30 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/30/news/federalismo_bersani_alla_lega_si_discuta_della_nostra_proposta-10710413/?ref=HREC1-2


Titolo: BERSANI «Il motore della crescita è la riduzione delle disuguaglianze»
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2011, 12:15:06 pm
La lettera

Bersani: dal presidente del Consiglio proposta che arriva fuori tempo massimo

La ricetta del leader del Pd. «Il motore della crescita è la riduzione delle disuguaglianze»

 
di  PIERLUIGI BERSANI *


Caro Direttore,
il mio partito sta lavorando ormai da un anno ad un progetto per l'Italia. Alla nostra Assemblea nazionale di venerdì e sabato se ne discuterà la prima sintesi. Benché tanti dei nostri documenti approvati siano pubblici, si è trattato di un'operazione svolta, nostro malgrado, in clandestinità, essendo l'agenda politico-mediatica sempre occupata da ben altri temi e contingenze.

Noi ci siamo fatti un'idea piuttosto precisa della situazione italiana e dei possibili e difficili rimedi. Stiamo ragionando come un partito di governo temporaneamente all'opposizione. Con questa stessa attitudine, considero la proposta che il Presidente Berlusconi mi rivolge dalle pagine del Corriere. Non nascondo la mia prima impressione: se la proposta è un astuto diversivo per parlare d'altro, mostra di essere davvero tempestiva; se è sincera, suona singolarmente estemporanea! D'altra parte negli anni trascorsi abbiamo imparato a nostre spese che Berlusconi ama gettare ponti quando è in difficoltà per abbatterli un minuto dopo. Ma non amo divagare o scherzare quando finalmente si può parlare di Italia. Nemmeno voglio dilungarmi in recriminazioni a proposito della sprezzante indifferenza con cui sono state ignorate dalla maggioranza in questi due anni le proposte pragmatiche dell'opposizione.

Non posso tacere, tuttavia, dell'umorismo un po' macabro di cui Berlusconi fa sfoggio concedendomi «sensibilità» in materia di liberalizzazioni. Se chi ha fatto la liberalizzazione del commercio, dell'elettricità, delle ferrovie e di un certo numero di mestieri e di attività economiche è una persona «sensibile al tema», come definiremmo chi ha testardamente osteggiato tutto questo, chi ha affidato formalmente la riforma delle professioni agli ordini professionali, chi detiene personalmente posizioni dominanti in gangli vitali della vita civile?

Ma passiamo oltre, e parliamo di cose serie. Negli ultimi dieci anni i nostri problemi antichi si sono drasticamente aggravati. Il Sud si allontana dal Nord, il Nord si allontana dall'Europa. Non c'è indicatore che non lo certifichi. La crisi ha accelerato il divario rispetto ai Paesi con cui siamo stati per molti anni in compagnia. Ci giochiamo il nostro ruolo nella divisione internazionale del lavoro; ci giochiamo la tenuta di un sistema di welfare e, in particolare, le prospettive di occupazione e di reddito della nuova generazione. Il fatto di essere, in Europa, il grande Paese a più bassa crescita e a debito più alto ci espone inevitabilmente a possibili tempeste. La positività e l'ottimismo tanto cari al Presidente del Consiglio possono venire solo dalla verità e dall'avvio di una riscossa e non dalla retorica oppiacea dei cieli azzurri che ha colpevolmente paralizzato le enormi energie potenziali del Paese (nemmeno può servire allestire astutamente bersagli immaginari: nella nostra proposta sul fisco discussa e approvata alla Camera si parla di evasione e di rendite, non di patrimoniali!).

Mi predispongo a proporre, assieme al mio partito, una scossa riformatrice che riguardi assieme democrazia ed economia. Una riforma della Repubblica che investa il funzionamento delle Istituzioni, la legge elettorale, un federalismo credibile, la giustizia e la legalità, la concorrenza e i conflitti di interessi, l'immigrazione, i costi della politica, i diritti, la dignità e il ruolo delle donne. Un nuovo patto per la stabilità, la crescita e l'occupazione, fatto di riforma fiscale, di liberalizzazioni, di norme sul lavoro, di riforma della pubblica amministrazione, di politiche industriali e dell'economia verde, di ricerca e tecnologia. Staremo al concreto e ci rivolgeremo con il nostro progetto alle forze sociali, all'arco ampio dei partiti di opposizione e a chiunque voglia discutere con noi.

Ma eccoci al punto. Quel che serve, in modo ineludibile, è uno sforzo collettivo in cui chi ha di più deve dare di più; in cui la riduzione delle diseguaglianze sia un motore della crescita; in cui tutti accettino di disturbarsi leggendo il futuro con gli occhi della nuova generazione. Uno sforzo paragonabile a quelli più ardui che abbiamo pur superato nella nostra storia repubblicana. Chi chiamerà a questo sforzo? Con quale credibilità? Con quale coerenza, con quale sincerità? Con quale capacità di unire un Paese diviso? Lo si lasci dire a un cosiddetto pragmatico: pensare di fare riforme difficili senza metterci la spinta di quei valori sarebbe come pretendere di tenere in piedi un sacco vuoto.

Per rivolgersi oggi credibilmente all'opposizione bisognerebbe che il Presidente Berlusconi fosse in grado di rivolgersi credibilmente al Paese. Non è così. Il Presidente del Consiglio non è in condizione di aprire una fase nuova: ne è anzi l'impedimento. Nessuna partita si può giocare a tempo scaduto. Ormai il Paese non chiede al Presidente Berlusconi un programma: gli chiede un gesto. Mentre l'Italia perde drammaticamente la sua voce nel mondo ed è paralizzata davanti ai suoi problemi, se ci fosse da parte del Presidente del Consiglio la disponibilità a fare un passo indietro, tutti dovrebbero garantire, e ciascuno nel suo ruolo, senso di responsabilità ed impegno. Se questa non sarà l'intenzione, il nuovo progetto per l'Italia dovrà essere presentato agli elettori. Noi ci accosteremmo a quella scadenza chiedendo a tutte le forze di opposizione di impegnarsi generosamente non «contro» ma «oltre»; in una operazione comune, cioè, di ricostruzione delle regole del gioco e del patto sociale, capace di suscitare, in un Paese sconfortato, un'idea di futuro.

* segretario del Pd

01 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/politica/11_febbraio_01/bersani


Titolo: I punti della relazione di Bersani
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2011, 10:16:25 am
I punti della relazione di Bersani


LA CRISI INTERNAZIONALE
I protagonisti che hanno provocato la crisi finanziaria sono ancora in campo: Non si vede ancora l’alleanza necessaria tra la politica cre riprende il suo ruolo e l’economia reale. E si propone una drammatica contraddizione. Mentre la globalizzazione imporrebbe la ricerca di un governo condiviso a livello mondiale i meccanismi di ricerca del consenso portano invece verso posizioni di chiusura e di divisione. L’esempio lampante è quello della Germania, che con l’euro ha potuto guadagnare posizioni nell’espansione della propria economia, ma che davanti a un problema come quello greco, che rappresenta appena il 3 per cento del pil europeo, sembra interessata più a una punizione della spesa facile che alla salvezza dell’euro e dell’Unione.

L’EUROPA E LA CRISI
Le destre, che hanno guidato fin qui l’Europa, cominciano a perdere consensi. Ma questo non significa che si realizzi un cambiamento con facilità. Siamo vicini a numerose elezioni. Francia, Germania, Polonia, Romania, Croazia. Saranno elezioni che si svolgono in una fase recessiva. Credo dunque che sarebbe bene avere una piattaforma europea dei partiti progressisti per avviare campagne elettorali radicali. Una piattaforma che punti alla crescita economica, senza la quale non si affronta il problema del debito; che chiarisca che lasciare affondare i paesi marginali significa segare i rami su cui tutti gli europei sono seduti; che riconosca che la diversa competitività dei paesi europei è un problema da mettere e affrontare in comune; che metta al centro il tema della domanda aggregata. Il Pd ha già avanzato in particolare il progetto di un’agenzia europea per gestire il debito pubblico che gli stati hanno accumulato per salvare i propri istituti finanziari dalla crisi, la tassazione delle transazioni finanziarie, l’emissione di eurobond per finanziare gli investimenti. Noi italiani possiamo essere protagonisti di questa fase. Sapendo che ciò che è accaduto nelle ultime settimane è solo un’onda del mare della crisi. Gli investitori finanziari sono tornati a battere sul tasto della sfiducia sull’euro e sull’Europa.

L’ITALIA E LA CRISI
E’ chiaro a tutti che con una crescita bassa non si capisce come si potrà ripagare il debito. Per di più, dopo aver visto per tre anni questo governo il mondo ha capito che non siamo credibili. Fino a un mese fa, complice uno straordinario conformismo, si discuteva con i titoli a nove colonne sulla riduzione delle tasse. Ora ci troviamo nella condizione di dover subire manovre pesantissime. La verità è che in questi tre anni non c’è stata una politica economica, né una politica industriale. Ci sono stati filosofemi. Messaggi e suggerimenti con continue oscillazioni, il fai da te, l’individualismo, poi sullo statalismo. Ma niente di risoluto o di sostanziale. E sono stati aboliti di fatto tutti i luoghi e tutte le possibilità di discussione e di confronto. Consigli dei ministri chiusi in cinque minuti. Fiducie a raffica. Non c’è stato un solo luogo dove discutere. Quella del tenere in conti in ordine in questa condizione è stata una leggenda. Abbiamo tagliato la spesa per la scuola e abbiamo speso di più negli sperperi. Altro che riduzione della spesa pubblica. Nessuna vera riforma. Quando sotto i colpi della speculazione siamo arrivati al dunque, abbiamo fatto bene a concedere l’accelerazione dei tempi. Ma qui si ferma la nostra responsabilità per una manovra approvata con la fiducia e che è sbagliata e iniqua. Se tocca a noi garantiamo che i saldi resti invariati, ma che correggeremo il senso della manovra. Anzi noi in base alle proposte che abbiamo già elaborato siamo in grado di dare anche un altro contributo di qualità e di efficienza su quattro punti decisivi:
- 1) Il Risparmio nella Pubblica amministrazione. Nel documento che abbiamo approv ato nella nostra assemblea nazionale ci sono moltissime indicazioni. Dobbiamo andare avanti anche con le nostre proposte istituzionali su province, Comuni, società comunali. Noi abbiamo dimostrato, quando abbiamo governato, di saper intervenire con efficienza. Certo potevamo anche fare di più. Ma non c’è dubbio che abbiamo fatto meglio.

In questo capitolo ci sono i costi della politica. Bisogna tirare una linea e presentare proposte concrete perché effettivamente il problema esiste. Dunque dobbiamo essere fermi nel determinare interventi e iniziative. Poi bisogna tirare la riga e da lì dobbiamo difendere a spada tratta la buona politica dall’antipolitica. Adesso che la destra capisce di perdere questo sta facendo: sta mettendo fango nel ventilatore per mandare tutto allo sfascio. Dunque dobbiamo intervenire effettivamente sulle cose che vanno cambiate. E poi da lì in poi lottare per difendere la buona politica. Dobbiamo fare anche in fretta, perché solo se intervieni sulle tue cose, come per esempio i vitalizi che noi vogliano riportare nell’alveo della previdenza che riguarda tutti gli altri cittadini iscritti all’Inps, sugli stipendi dei parlamentari da riportare nella media europea, sull’incompatibilità tra i diversi incarichi, sulle province, sui comuni, sulle società comunali, solo così puoi parlare e intervenire sui privilegi degli altri. E nella società italiana di situazioni di privilegio ce ne sono moltissime.

- 2) Il Fisco. Noi dobbiamo riequilibrare il carico fiscale. Chi ha di più deve dare di più.

- 3) Le liberalizzazioni.

- 4) La politica industriale.

IL QUADRO POLITICO
Ma si può fare tutto questo con il quadro politico attuale? Può dare questo governo un’idea di stabilità? No. La strada maestra è quella del voto. Sono convinto che se si presentano programmi nuovi a confronto, tutti nella garanzia del rispetto dei saldi, e protagonisti nuovi, mercati e investitori capiranno. Intanto non stiamo con le mani in mano. Con Idv e Sel stiamo discutendo le proposte di programma. Con l’Udc abbiamo concordato in Parlamento gli emendamenti alla manovra. Se poi, dopo le dimissioni del governo, ci fossero le condizioni per la formazione di un governo di breve transizione per fare la riforma della legge elettorale, noi potremmo essere disponibili. Ma questo passaggio presuppone tempi stretti e che non restino al loro posto coloro che ci hanno portato fin qui.

LEGGE ELETTORALE
E’ importante che oggi approviamo la nostra proposta, che ha caratteri abbastanza comprensivi sia di questioni di sistema sia di questioni più politiche, uno strumento che non chiude le porte nella discussione con le altre forze politiche, accompagna il bipolarismo , garantisce un buon equilibrio tra maggioritario e proporzionale e che ciascun partito possa presentarsi con il proprio volto. Prevede un collegio nominale a doppio turno e garantisce meccanismi per la parità di genere e che prevede che i gruppi parlamentari corrispondano alle liste presentate alle elezioni. Nel frattempo sono state avviate le procedure per la presentazione di due referendum. Uno, proposto da Passigli, l’altro che punta al ripristino del mattarellum. In entrambi i casi, sia pure per ragioni diverse, gli esiti non sono coerenti con le proposte del Pd. Credo dunque che sia da sostenere la nostra proposta.

19 luglio 2011
da - http://www.unita.it/italia/i-punti-della-relazione-di-bersani-leggi-1.315131


Titolo: BERSANI - «Così ricostruiremo il Paese»
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2011, 10:17:40 am
Parla Bersani: «Così ricostruiremo il Paese»

di Simone Collini

«Ricostruiremo noi l’Italia», dice Pier Luigi Bersani il giorno dopo l’approvazione di una manovra «spudoratamente classista e che non porta il Paese fuori dalla tempesta». Per il leader del Pd il dato fondamentale di questo passaggio è che «di fronte a scelte assurde o profondamente negative tutta l’opposizione parlamentare ha concordato sia l’assunzione di responsabilità sui tempi, sia la fortissima critica sui contenuti»: «Per la prima volta dopo tre anni, Pd, Idv e Udc hanno presentato emendamenti comuni. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento difficile come questo dobbiamo lavorare all’unità dell’opposizione e alla definizione di un’alternativa credibile».

Anche perché, dice Bersani ripensando ai colloqui con capi di Stato e di governo incontrati nel viaggio in Medio Oriente da cui è da poco rientrato, «è urgente rilanciare il ruolo dell’Italia nel mondo»: «Il berlusconismo ha portato un grande Paese come il nostro a non discutere neanche di quel che avviene alla porta di casa. È desolante come siamo avvitati su questioni domestiche, spesso di serie C, come questo governo non si renda conto che quanto sta avvenendo al di là del Mediterraneo sia rilevante per il nostro futuro».

Sicuri che il vostro «senso di responsabilità» sia stato compreso dai cittadini, che non veniate giudicati anche voi responsabili di una manovra come questa?
«Un governo in difficoltà, con la sua comunicazione, prova a far condividere delle responsabilità che sono solo sue. Ma la realtà dei fatti è semplice. Da un mese il governo aveva annunciato la fiducia, come aveva già fatto 46 volte. La nostra responsabilità è stata quella di accettare il cambio dei tempi. Lo abbiamo fatto vedendo che l’Italia era aggredita dai mercati internazionali, sapendo che due settimane di confusione in una situazione già drammatica avrebbero potuto portare guai peggiori e sapendo che i costi dei danni provocati si scaricano sempre sui più deboli. Ma la nostra responsabilità si ferma qui, sul baratro di guai peggiori».

Dice invece Berlusconi che ora che è stata approvata la manovra “l’Italia è più forte”.
«Non è così, hanno imbastito una manovra carica di tasse e senza alcuna riforma, che non ci metterà al riparo dai mercati e che ha innescato una bomba a orologeria che scoppierà tra il 2013 e il 2014. Dopo tre anni in cui il governo ha perseguito una politica economica sbagliata, neanche questa volta è stata fornita la risposta all’interrogativo di fondo, e cioè come fa un Paese con un debito così alto a pagare quel che deve crescendo poco o nulla. È vero che c’è un attacco all’Euro, è vero che imperversa la speculazione, ma se siamo tra i paesi più deboli dell’Unione è perché non c’è una minima strategia per la crescita. Senza un pacchetto di riforme da dare in pegno all’Europa per un rientro più sensato, meno pesante, rimaniamo in mezzo alla tempesta».

Voi siete disposti a confrontarvi col governo su queste riforme per la crescita “nel modo più aperto e concludente”, per utilizzare le parole del Capo dello Stato?
«L’appello del Presidente Napolitano, che riconosce che nessuno ha rinunciato alle proprie posizioni, è a presentare un pacchetto di riforme, e noi abbiamo già avanzato delle proposte indicative già nel corso della discussione della manovra. Abbiamo indicato un elenco di liberalizzazioni, di interventi per ridurre i costi dell’amministrazione e quelli della politica, abbiamo anche presentato una proposta di riforma fiscale e una per un diverso sistema degli appalti. Se si tratta di avanzare proposte di riforma, noi sono tre anni che lo facciamo. Se si tratta di ritenere che il quadro politico lo consenta però no, non pensiamo che sia possibile».

Perché per voi Berlusconi non ha la credibilità sufficiente?
«Non è per noi. È agli occhi del mondo che Berlusconi non ha credibilità. Se dopo le amministrative e il referendum è emerso con evidenza che non ha più la fiducia del Paese, ora è evidente che non ce l’hanno neanche i mercati e le cancellerie internazionali».

Ha la fiducia in Parlamento.
«I numeri gli consentono una sopravvivenza estenuata. Parlano della stabilità di questo governo come se fosse la medicina mentre è parte della malattia».

Va bene ma se le dimissioni non arrivano, voi cosa intendete fare?
«Intanto dobbiamo chiarire come la pensiamo noi, e cioè che parte del rimedio è una ripartenza che passi per un confronto elettorale, con nuovi protagonisti, nuove idee, nuovi impegni».

Un governo istituzionale no?
«Siamo anche pronti a discutere la possibilità di una fase di transizione che nei tempi utili consenta una riforma elettorale. Ma a condizione che i vecchi protagonisti si facciano da parte. Se invece chi ci ha portato in questa situazione intende sopravvivere navigando da un incidente all’altro, si tratterà di una responsabilità gravissima che si assume totalmente».

Di nuovo: e voi intanto cosa intendete fare?
«Utilizzeremo tutte le occasioni parlamentari per porre fine a questa situazione e tutte le possibilità che abbiamo nel Paese, comprese le Feste, per far crescere il senso comune della necessità di una ripartenza. Sul piano della politica, lavoriamo per comporre uno schieramento d’opposizione unitario».

Dall’Udc a Sel passando per l’Idv? Non teme che l’alternativa sia poco credibile?
«Guardi che la vera novità politica di questo passaggio non è tanto nei tempi di approvazione della manovra, ma il senso di responsabilità dimostrato dalle forze di opposizione. Per la prima volta in tre anni il Pd, l’Udc e l’Idv hanno proposto correttivi comuni, hanno presentato in Parlamento emendamenti insieme. È una novità che non va sottovalutata. Tanto più in un momento delicato come questo bisogna costruire l’unità dell’opposizione. E lo stiamo facendo concretamente, mantenendo un costante rapporto con l’Udc e lavorando su tavoli tecnici con Idv e Sel. Così stiamo costruendo una credibile alternativa di governo. Sapendo anche che più passano i giorni senza che si verifichi una svolta, più avremo l’esigenza di una ricostruzione. E quindi il prossimo non sarà un passaggio di governo qualsiasi».

Anche perché il grosso della manovra viene scaricato nel biennio 2013-2014, quando a governare saranno altri: nel caso ci foste voi al governo?
«Terremmo invariati i saldi della manovra, ma ne cambieremmo segno e composizione. Alcuni segnali già li abbiamo dati. Due regioni governate da noi, Emilia Romagna e Toscana, non applicheranno l’aumento del ticket sanitario, mentre in Parlamento già abbiamo depositato una proposta di legge che eliminerebbe l’aggravio indicando anche una copertura diversa. Ma è l’intero impianto di questa manovra che va cambiato perché sono state compiute scelte di un micidiale classismo. C’è il taglio lineare della detrazione fiscale, che colpisce famiglie e lavoratori, cioè chi paga le tasse, mentre non c’è un rigo contro l’evasione fiscale e c’è anche un mezzo condono. La tempesta non è passata e noi dovremo compiere un’operazione di ricostruzione in tempi molto difficili».

E con un sentimento di antipolitica che, a giudicare dagli ultimi tempi, è piuttosto in crescita. Dice che l’opposizione e in particolare il Pd, per come si sta muovendo sui costi della politica, ha la credibilità per affrontarlo efficacemente?
«Noi abbiamo avanzato proposte precise e coraggiose sui costi della politica e sul tema degli sprechi e dei privilegi. Come il superamento dei vitalizi per i parlamentari, la riduzione del numero di deputati e senatori, la riduzione delle società pubbliche, l’abolizione delle province al di sotto dei 500 mila abitanti, uscendo in questo caso dalla questione demagogica di cancellarle tout court senza dare conto di cosa fare delle funzioni che svolgono. Non accettiamo che questo tema delicato venga agitato in nome dell’antipolitica, o che venga confuso con il tema istituzionale. Altrimenti con certi toni di questo passo si chiederà di abolire il Parlamento e il Quirinale, perché costano, e di reinserire invece la figura del Podestà, tanto per risparmiare».

Non la preoccupa che senza qualche concessione alla demagogia si rompa quell’alleanza tra voi e società civile che si è vista alle amministrative, al referendum, nelle piazze in primavera?
«La mia preoccupazione principale è tenere un punto fermo, e cioè che senza politica comanda solo il miliardario. La Germania, paese che galoppa di più, non ha il miliardario ma i partiti. Detto questo, ci vuole una politica sobria, ci vuole la buona politica. Che rivendica il suo ruolo ineludibile, indicare dove va il Paese e garantire maggioranze che consentano un governo, ma conosce i suoi limiti. Che sta sotto il palco e arrotola le bandiere in presenza di movimenti che la convincono e che sa quand’è invece il momento di dispiegarle, queste bandiere».

E sulla legge elettorale? Secondo lei come dovrebbe muoversi la politica, e in particolare il Pd, considerando anche che in campo ci sono due referendum diversi per superare il Porcellum?
«Martedì in Direzione propongo un testo di riforma coerente con la logica bipolare, che consente all’elettore attraverso un semplice voto sulla scheda di determinare anche la maggioranza di governo, che prevede il doppio turno e induce alle convergenze, che garantisce il diritto di tribuna, la presenza femminile e il fatto che i gruppi parlamentari possono essere formati soltanto da forze presentate alle elezioni. Io chiedo che il partito sostenga questa proposta e di discuterla con le altre forze politiche. Questo tocca ai partiti. Il resto va lasciato alla società civile».

17 luglio 2011
da - http://www.unita.it/italia/bersani-cosi-ricostruiremo-il-paese-1.314488


Titolo: BERSANI Il leader dei Democratici al Corriere: «Non siamo immuni da rischi».
Inserito da: Admin - Luglio 26, 2011, 11:24:49 am
Il caso Penati - «Non rivendichiamo una diversità genetica ma politica»

Bersani: «Pd turbato, ora occhi aperti»

Il leader dei Democratici al Corriere: «Non siamo immuni da rischi».

«Una legge sul bilancio dei partiti»


Caro Direttore,

ci si chiede se i recenti fatti giudiziari mettano in discussione qualcosa della natura del Partito democratico. Voglio rispondere con chiarezza. Noi non rivendichiamo una diversità genetica. Noi vogliamo dimostrare una diversità politica.

In primo luogo, a proposito dell'inchiesta di Monza così come in ogni altra occasione, noi diciamo: la magistratura faccia serenamente e fino in fondo il suo mestiere. Abbiamo fiducia nella magistratura. Confidiamo che Penati possa vedere presto riconosciuta l'innocenza che rivendica con forza. Intanto, Penati ha fatto con correttezza e responsabilità un passo indietro. Questo è infatti il nostro secondo criterio: in caso di inchieste le istituzioni e il partito, in attesa che le cose si chiariscano, non devono essere messi in imbarazzo e devono poter agire in piena serenità.

I nostri principi sono dunque: fiducia nella magistratura, rispetto assoluto delle istituzioni, presunzione di innocenza secondo il principio costituzionale. Teniamo altresì fermo il principio secondo il quale, verificata l’assenza di «fumus persecutionis» un parlamentare è un cittadino come gli altri. Se le leggi vanno cambiate, si cambiano. Finché ci sono esse valgono per tutti, per un immigrato come per un deputato o un senatore. Così ci siamo comportati sia nel caso Papa sia in quello Tedesco, per il quale abbiamo indicato l’opportunità di un passo indietro.

Chiediamo una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici, pena l’inammissibilità a provvidenze pubbliche o alla presentazione di liste elettorali. A differenza di altri, noi abbiamo già fatto molto per predisporci autonomamente a quella prospettiva. Abbiamo in vigore un codice etico più restrittivo rispetto alle garanzie del percorso giudiziario. Abbiamo recentemente approvato un codice da sottoscrivere da parte dei nostri amministratori per garantire trasparenza dei loro redditi e nelle procedure di appalto e di gestione del personale. Abbiamo applicato per i candidati alle recenti elezioni il codice suggerito dalla commissione Antimafia. Unico fra tutti i partiti italiani, fin dalla sua nascita il Partito democratico sottopone il proprio bilancio ad una primaria società indipendente di certificazione.

Il Partito democratico (e non solo perché nella vicenda principale non esisteva ancora!) è totalmente estraneo ai fatti oggetto di indagine a Monza e altrove. Ci tuteliamo e ci tuteleremo in sede legale contro chiunque affermi o insinui il contrario. Infine, abbiamo predisposto nel nostro programma un elenco di norme da cancellare e di riforme da fare per dare limpidezza alla gestione pubblica, per evitare gli eccessi di intermediazione amministrativa, per abolire procedure speciali e opache oggi in vigore per la gestione della spesa pubblica. Bisogna approvare la legge anti corruzione, da troppo tempo insabbiata dal governo in Parlamento. Tutto questo, appunto, per togliere l’acqua in cui la corruzione può nuotare.

A prescindere dalle loro conclusioni, non neghiamo dunque il turbamento che ci viene dalle indagini in corso. Sappiamo, anche per il futuro, di non poter essere immuni da sospetti più o meno fondati e da rischi. Sappiamo che anche noi dobbiamo aprire quattro occhi e fare tutto quanto ci è possibile per migliorare procedure di garanzia ed evitare che venga oscurata la nostra missione. I principi ispiratori all’origine del Pd sollecitano comportamenti civici esigenti, sobrietà e rigore nell’azione di governo e sensibilità verso il problema e i rischi della corruzione. La sfida quotidiana della buona amministrazione sta nell’applicare canoni severi anzitutto verso se stessi e i propri amici. Questo è ciò che pensiamo.

Sia altrettanto chiaro tuttavia che tuteleremo con ogni energia e in ogni direzione il buon nome del Partito democratico. Lo dobbiamo innanzitutto ai grandi valori ai quali ci riferiamo, che ci sono stati consegnati dal sacrificio di tanti e che ci impegniamo a non tradire. Lo dobbiamo alle centinaia di migliaia di donne e uomini che ci sostengono con onestà e convinzione, come si può vedere fisicamente in questi stessi giorni nelle feste che organizziamo ovunque; donne e uomini fortunatamente sensibilissimi ai temi del civismo e dell’etica pubblica. Lo dobbiamo in particolare al nostro Paese che ha bisogno per la sua riscossa di una forza politica responsabile, aperta e pulita. È per questo che niente potrà scoraggiarci e nessuno potrà intimorirci.

Al di fuori di una politica che sappia migliorarsi e farsi rispettare, c’è forse un’altra strada per l’Italia? Vogliamo forse continuare sulla strada di soluzioni eccezionali e sconosciute alle altre democrazie del mondo? Vogliamo affidarci ad ulteriori scorciatoie dopo quello che abbiamo visto in questi anni? Sarebbe disastroso. Tocca a noi evitarlo, certamente. Ma non solo a noi. Non c’è bisogno di negare i problemi della politica, in ciascuno dei suoi lati. C’è solo bisogno di non spargere sale sul buono che già vive o che sta nascendo. C’è bisogno che nessuno si senta esentato dal compito di contribuire, in ogni campo, in ogni situazione, alla riscossa civica del Paese.

Pier Luigi Bersani

26 luglio 2011 09:13© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/politica/11_luglio_26/bersani-lettera-legge-sui-bilanci-partiti_d7fdf76a-b747-11e0-bc88-662787a705c0.shtml


Titolo: BERSANI Manovra ingiusta e dannosa governo di transizione per l'emergenza
Inserito da: Admin - Agosto 15, 2011, 10:21:52 am
L'INTERVISTA

Bersani: "Manovra ingiusta e dannosa governo di transizione per l'emergenza"

Il segretario del Pd: "Paghino i grandi patrimoni e chi ha esportato capitali". Pronto un pacchetto di emendamenti per modificare le norme presenti nel decreto del governo. Apertura su Iva e pensioni: "Ma meglio lavorare sull'evasione"

di ROBERTO MANIA


ROMA - "Non so se Tremonti resterà ministro dell'Economia. Francamente penso che non lo sappia nemmeno lui", risponde Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, che sulla conversione del decreto con la stangata da 45 miliardi di euro punta a giocare in Parlamento una partita-chiave. Una risposta che conferma il nuovo quadro con le divisioni laceranti che attraversano la maggioranza.

Tremonti non è più una pedina insostituibile nel governo. E anche questo apre a nuovi possibili scenari. Bersani ha preparato un pacchetto di emendamenti per cambiare la manovra e ha deciso di confrontarsi con tutti: opposizioni, forze sociali, e partiti di maggioranza. Obiettivo: "Far pagare a chi evade e a chi non ha ancora pagato nulla come i possessori dei grandi patrimoni immobiliari".

Sullo sfondo - perché no? - prove di nuove grandi alleanze, di quel "governo di transizione" per presentarsi nel mondo "con una faccia diversa da quella di Berlusconi".

Perché a luglio avete permesso che in Parlamento la manovra da 48 miliardi venisse approvata rapidamente e ora vi preparate a dare battaglia su un decreto non molto diverso?
"Per la verità quella manovra è arrivata in Parlamento già blindata, con l'impegno del presidente del Consiglio di porre la fiducia e con l'improvvisa catastrofe dei mercati. Ma Berlusconi, per ora, ha detto che stavolta non intende ricorrere al voto di fiducia. E non perché vuole dialogare con me, ma perché ha problemi seri a casa sua. Resta il fatto che la manovra è ingiusta sul piano sociale e recessiva sul piano economico. Si colpisce esclusivamente chi paga l'Irpef e si tagliano i servizi di base. Nella batosta si accomunano i ceti medi con i ceti popolari. Riassumendo: paga chi ha sempre pagato e non paga chi non ha ancora pagato. Questa manovra va profondamente cambiata ed è per questo che abbiamo messo in campo le nostre proposte che, posso assicurare, stanno in piedi".

Sta davvero in piedi la proposta di ritassare i capitali rientrati in Italia attraverso lo scudo fiscale di Tremonti?
"Intanto voglio dire che questa è l'unica misura una tantum, e in fondo si chiede di pagare il 20% a chi, rimanendo anonimo, ha pagato il 4 o 5%. Le altre hanno tutte natura strutturale. Sono pronto a sfidare chiunque sulla possibilità tecnica della nostra proposta e sulla sua costituzionalità. Noi stimiamo di ricavare non meno di 15 miliardi da destinare alla crescita e al lavoro. Ma gli altri sono tutti interventi strutturali: la tracciabilità dei pagamenti per prestazioni e servizi, le norme antievasione, il ripristino dell'elenco fornitori-clienti, le dismissioni del patrimonio pubblico, le liberalizzazioni, la politica industriale, i tagli ai costi della politica, l'introduzione di un'imposta molto progressiva sui patrimoni immobiliari rilevanti a partire da un determinata soglia che indicheremo anche in ragione dell'esito della discussione in Parlamento".

Ma questa sarebbe una vera patrimoniale?
"Questa sarebbe semplicemente una tassa sul valore di mercato degli immobili. Esiste in tutti i paesi. Noi la faremo fortemente progressiva e con larghe esenzioni".

Con questi emendamenti punta a trovare in Parlamento nuove alleanze con gli altri partiti dell'opposizione?
"Prima di arrivare in Parlamento voglio confrontarmi con le forze sociali e con i partiti di opposizione. Sono pronto a recepire suggerimenti. Quanto alla maggioranza, parla sempre di dialogo - parola per me fumosa - bene, la metta in pratica confrontandosi con noi. Io voglio parlare con tutti".

Ha in mente un "governissimo"?
"Questo governo non ha alcuna credibilità. Se non cambia rischiamo di rendere inutili tutti i nostri sforzi. Ci vuole un governo di transizione per affrontare l'emergenza e cambiare la legge elettorale. Serve un altro volto che non sia quello di Berlusconi per presentarsi nel mondo. Detto e ribadito questo, sia chiaro che noi anche in questo quadro politico avanzeremo le nostre proposte alternative".

Come pensa che i mercati accoglieranno il decreto del governo?
"Abbiamo la fortuna che nei nostri confronti ci sia un occhio responsabile da parte della Bce e della Commissione di Bruxelles. Siamo troppo grossi perché non ci venga data qualche sponda".

La Marcegaglia ha invitato anche l'opposizione a cambiare il decreto aumentando l'Iva e bloccando le pensioni di anzianità. Cosa risponde?
"Non ho pregiudizi di principio, ma gli effetti potrebbero essere negativi. Non è meglio lavorare sull'evasione e sui significativi patrimoni immobiliari?".

E sulle pensioni di anzianità? Sono un tabù per la sinistra, come per la Lega?
"Possibile che tutti gli anni si sollevi questa questione? Si metta fine una volta per tutte introducendo un meccanismo di flessibilità di uscita dal lavoro entro una forchetta, per esempio tra i 62 e i 70 anni".

Dunque non è contrario ad aumentare l'età effettiva di pensionamento?
"Sono sicuramente d'accordo ma giunti a questo punto con meccanismi volontari e di convenienza poiché le riforme degli ultimi anni ci hanno sostanzialmente messi in equilibrio".

Su licenziamenti e derogabilità dell'articolo 18 lei sta con la Cgil che protesta o con la Cisl che la considera una buona soluzione?
"Io sto con il Pd. Certo, dopo il recente accordo tra le parti sociali e con tutti i guai che abbiamo, accendere una miccia di quel tipo mi pare una cosa pazzesca".

Perché ha informato il Capo dello Stato del tentativo di Tremonti di nominare, quasi con un blitz, Vittorio Grilli nuovo governatore della Banca d'Italia al posto di Mario Draghi?
"Era un dovere. Ritenevo corretto accertarmi che il Presidente della Repubblica, in quanto parte in causa rilevante, fosse a conoscenza di questo tentativo che va oltre ogni immaginazione".

(15 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/15/news/bersani_manovra-20450944/


Titolo: BERSANI «Oggi è un giorno di liberazione»
Inserito da: Admin - Novembre 13, 2011, 10:47:18 am
LE DIMISSIONI DEL GOVERNO

Bersani: «Oggi è un giorno di liberazione»

Il segretario del Pd e le reazioni del mondo politico

MILANO - «Oggi è una giornata della liberazione». Con queste poche battute Pierluigi Bersani ha festeggiato la caduta del governo Berlusconi nella storica sezione del Pd di via dei Giubbonari, a Roma. «Anche io - ha detto fra l'altro Bersani- ho dato il mio contributo per mandare a casa Berlusconi. Alle primarie avevo detto che il più antiberlusconiano di tutti sarebbe stato quello che lo avrebbe mandato a casa. Non mi riferivo alla persona, ma al mio partito. Ed è stato il Pd che lo ha mandato a casa».

BINDI: GUARDARE AVANTI - PerRosy Bindi, il premier dimissionario «ha fatto bene ad evitare la folla davanti al Quirinale e davanti a palazzo Grazioli, anche se vedo gente più festosa che non arrabbiata, ma era prevedibile che ciò avvenisse». Ospite dello speciale di Ballaro dedicato alla crisi, il presidente del Pd ha ribadito che «Berlusconi non ha avuto la capacità di apparire credibile ai mercati. Ora dobbiamo guardare avanti, con una persona di assoluta fiducia come Monti».

IL PARERE DELLA CAMUSSO - Il leader della Cgil Susanna Camusso cerca di guardare lontano: «Gli storici si domanderanno se si è dimesso in ragione dello spread o se si è dimesso in ragione del giudizio del paese». Ebbene, Berlusconi «si è dimesso per il giudizio del Paese», perchè «si sono fatte poliche sbagliate».

LA GIOIA DELL'IDV - «Abbiamo detronizzato il satrapo», esulta il capogruppo IdV al Senato, Felice Belisario. E il suo leader Antonio Di Pietro: «Bisogna ricostruire un Paese dalle macerie. Ora siamo in attesa di sapere cosa vorrà fare il Governo nuovo. Ci comporteremo come San Tommaso».

IL TERZO POLO PENSA AL GOVERNO - È tutta protesa sul prossimo governo l'attenzione del Terzo Polo. «Non complichiamo la vita al manovratore, cerchiamo di semplificargliela: per noi Monti può fare il governo che vuole». Sostiene Pier Ferdinando Casini. Con Fli l'Udc ha votato sì al ddl di stabilità, smarcandosi dal resto delle opposizioni (il Pd non ha partecipato, l'Idv ha votato no). La ragione ufficiale l'ha spiegata il capogruppo di Fli alla Camera, Benedetto Della Vedova, in Aula: «Non è la nostra legge, non ci piace, non ci sono molte delle cose che ci sarebbero piaciute ma il nostro è un sì di fiducia, di prospettiva, un semaforo verde a una stagione nuova che deve partire da lunedì». In realtà, secondo alcuni parlamentari terzopolisti, si è trattato di pura tattica per nascondere il fatto che oggi la maggioranza avrebbe superato quella quota 308 raggiunta sul Rendiconto.

LA POLVERINI: RISPETTO DEL VOTO - Sul governo tecnico il Pdl ha chiesto al Quirinale «paletti di garanzia e in particolare il rispetto della scadenza elettorale. Non una data certa, ma abbiamo chiesto di capire le intenzioni del Capo dello Stato». Lo ha detto la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, al termine dell'Ufficio di Presidenza del Pdl, che ha avuto ad oggetto, sottolinea Polverini, «una discussione importante su argomenti seri».

Redazione Online
12 novembre 2011(ultima modifica: 13 novembre 2011 00:18)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/11_novembre_12/opposizione-bersani_18568072-0d77-11e1-a42a-1562b6741916.shtml


Titolo: BERSANI "Pieno sostegno a Monti"
Inserito da: Admin - Novembre 15, 2011, 11:41:28 am
Politica

15/11/2011 - SECONDA GIORNATA DI CONSULTAZIONI

Bersani: "Pieno sostegno a Monti"

Oggi anche l'incontro con il Pdl


ROMA

10,33 - Bersani: "Sostegno a Monti senza condizioni"
«Abbiamo confermato pieno e convinto sostegno a questo sforzo e tentativo» del professor Monti e dunque «non abbiamo posto termini al governo». Lo ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, al termine dell’incontro con il presidente del Consiglio incaricato Mario Monti.

Mario Monti è pronto ad accettare che i partiti si tengano alla larga dal suo esecutivo, pur sapendo che ciò rischia di indebolirlo notevolmente anche in previsione dei «sacrifici» che dovrà chiedere al Paese; ma non ad acconsentire che sul suo governo sia posta una data di scadenza. Perchè in questo caso è pronto a dire no. È un Monti pragmatico quello che alle otto di sera, un po' inaspettatamente, affronta per il secondo giorno di fila le telecamere al termine della prima, lunga giornata di consultazioni nel corso della quale ha visto tutte le formazioni minori, ma anche il terzo polo e l’Idv. Non la Lega, con la quale ha avuto una «consultazione» solo telefonica.
Tutti, Carroccio a parte, gli hanno assicurato il loro appoggio. Dal Terzo Polo è arrivata "carta bianca". Meno rassicurante, invece, il sostegno dell’Italia dei Valori che ha ammonito: in caso di modifica della legge elettorale a causa del referendum le urne in primavera sarebbero inevitabili.

Ma sostanzialmente il Professore ha incassato l’appoggio di tutti. Tuttavia non ha sciolto alcuni nodi fondamentali, soprattutto con i partiti più grandi: Pdl e Pd, che incontrerà oggi. I partiti di Silvio Berlusconi e di Pier Luigi Bersani, per ragioni simili, si oppongono all’ingresso di loro esponenti nell’esecutivo. Entrambi timorosi delle conseguenze che ciò potrebbero avere sui propri elettori e sulle rispettive alleanze. Monti, invece, preferirebbe che entrassero «ai massimi livelli» e cioè almeno da ministri, per garantirsi una seria "camera di compensazione" tra Palazzo Chigi e Parlamento. Una opportunità che non potrebbero garantirgli solo dei tecnici puri.
Insomma, una sorta di "polizza" sulla vita dell’Esecutivo (anche in vista delle misure che dovranno essere varate) con il coinvolgimento diretto dei partiti : ma se così non fosse è pronto a farsene una ragione.

«È un desiderio», spiega in conferenza stampa, ma che non «drammatizzereì» perchè la presenza di un segretario «non è indispensabile».
L’appoggio dei partiti al suo governo, precisa, sì: «Che siano presenti nel governo non è condizione indispensabile, ma è indispensabile invece un convinto appoggio» al governo.

Altrettanto dirimente è il fatto che non gli vengano posti limiti temporali: «La predeterminazione della durata toglierebbe credibilità al governo» e «non accetterei una definizione temporale», ammonisce. L’orizzonte che Monti deve poter vedere davanti a sè è quello della
«fine della legislatura». Anzi, molte delle misure - spiega - avranno effetti che andranno al di là del 2013.
Perchè parte dei provvedimenti - come ha ripetuto durante le consultazioni - saranno strutturali.

E porteranno a «sacrifici», ma non a «lacrime e sangue», termine che preferisce non usare. Anche perchè, se la situazione è «seria» ed impone misure «impopolari» è altrettanto vero che accanto al risanamento dei conti serve la crescita. E parte delle risorse dovranno necessariamente essere destinate alla ripresa senza la quale il rigore è inutile.

L’ex Commissario chiede quindi alla politica «coesione» per trasformare la crisi in una «opportunità» di cambiamento e auspica che
«l’epoca» delle polemiche sia finalmente chiusa. Annuncia di aver aggiunto alla lista delle parti da consultare anche i rappresentanti del mondo femminile e dei giovani. A rischio di rendere ancor più nervosi i mercati che oggi sono tornati al segno negativo.
«Non trascuro l’importanza mercati, ma agiamo in democrazia e sono necessari determinati tempi», sostiene Monti, secondo il quale
«l’impazienza» degli investitori sarà temperata dalla «razionalità».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/429907/


Titolo: BERSANI "È il momento del dialogo sociale"
Inserito da: Admin - Gennaio 04, 2012, 07:42:32 pm
La lettera

L'agenda di Bersani per le riforme

"È il momento del dialogo sociale"

La missiva del segretario del Partito Democratico sulle sfide che l'Italia deve affrontare.


CARO DIRETTORE, come tutti dicono, abbiamo davanti un anno arduo e non semplice da interpretare. Vale forse la pena di "progettarlo" un po', togliendo di mezzo un eccesso di fatalismo. Vorrei cominciare con qualche prima idea.

1. La scena si apre sull'Europa. Fino ad ora le decisioni sono state deboli. L'agenda da qui a marzo di per sé non rassicura. Nelle opinioni pubbliche è ancora dura come il marmo quell'ideologia difensiva e di ripiegamento che le destre europee hanno coltivato, ricavandone inutili vittorie, e che i progressisti non hanno potuto o saputo contrastare, ricavandone larghe e dolorose sconfitte.

Inutile illudersi. O si mette in comune rapidamente e seriamente la difesa dell'Euro (vincoli di disciplina, strumenti efficaci e condivisi contro la speculazione e per la crescita, politiche macroeconomiche coordinate) o sarà il disastro. Se davvero l'Italia è troppo grande sia per fallire che per essere salvata, allora è troppo grande anche per stare zitta.

È tempo che ciascuno di noi faccia la sua parte in Europa; il Partito Democratico sta lavorando per la piattaforma comune dei progressisti europei. Ma è tempo anche di fare qualcosa assieme, qui in Italia. Governo e forze politiche possono determinare una posizione nazionale. Il Parlamento (che non esiste solo in Germania!) può articolarla e assumerla. Il nostro Presidente del Consiglio può interpretarla e gestirla al meglio. Le idee ci sono e vedo su di esse la possibilità di una larga convergenza.

Il biglietto da visita delle nostre idee in Europa potrebbe essere così concepito: noi continueremo le nostre riforme e ci riserviamo ogni ulteriore iniziativa per rafforzare la nostra credibilità. Ma non faremo più manovre. A chi raggiunge il 5% di avanzo primario che cosa altro si può chiedere? Nel caso, nessuno pensi di trattarci come la Grecia. Come si diceva, siamo troppo grandi e quindi parecchio ingombranti. Se ne tenga conto.

2. Torniamo qui ai nostri compiti. Salvare l'Italia significa, al concreto, contrastare la recessione, produrre crescita e occupazione, dare una prospettiva alla nuova generazione. Salvare l'Italia è possibile solo se cambiamento e coesione si danno la mano. Se coesione e cambiamento diventassero un ossimoro, non ci sarebbe speranza.

L'azione di governo deve dunque possedere un metodo fondamentale e un fondamentale messaggio. Quanto al metodo, emergenza e transizione pretendono una forma particolare di dialogo sociale tale da sollecitare partecipazione e corresponsabilità, salvaguardando comunque la decisione tempestiva. Si può fare e, a parer mio, si deve fare.

Ma voglio sottolineare in particolare il metodo politico. Il Governo troverà la sua forza in un rapporto stabile, permanente e ordinato con i Gruppi Parlamentari; un rapporto da allestire anche nella fase ascendente delle decisioni. Si parli di mercato del lavoro, o di liberalizzazioni, o di politica industriale, di pubblica amministrazione, di immigrazione, di Rai e di cento altri temi, esistono in Parlamento, da ogni lato, idee inevase da anni e non necessariamente divisive.

Dica il Governo il suo piano di lavoro, raccolga dal Parlamento orientamenti e idee e avanzi quindi le sue decisioni e le sue proposte. Noi non pretendiamo il cento per cento di quel che faremmo, e così sarà per gli altri. Ma la trasparenza e la chiarezza servono a tutti. Quanto al messaggio fondamentale, se nell'emergenza è in gioco il comune destino del Paese, si deve innanzitutto promuovere un'idea di comunità degli italiani. Ci si ricordi allora che la solidarietà è la materia prima di una comunità, è ciò che la distingue da una accozzaglia anarchica di interessi.

Se vogliamo farcela, tutti assieme, i riflettori vanno dunque puntati su chi è più in difficoltà. Bisogna predisporre l'aiuto a chi sta vivendo e vivrà le condizioni più difficili, come l'assenza di lavoro, l'insufficienza di reddito o una disabilità abbandonata. Su questo, non ci siamo ancora. Occorre fare di più, cominciando col cancellare qualche inutile asprezza di alcune misure già adottate che suscitano un giusto risentimento.

3. La grande parte delle forze politiche e parlamentari si dichiarano interessate e disponibili ad una iniziativa di riforma delle Istituzioni e della politica. Il Presidente della Repubblica la sollecita autorevolmente. È evidente che un simile percorso significherebbe stabilità per il Governo e maggiore credibilità della politica e delle Istituzioni nella prospettiva della nuova legislatura.

Sto parlando della già avviata adozione di parametri europei nei costi della politica, di riduzione del numero dei Parlamentari, di riforma del bicameralismo, di radicale aggiornamento dei regolamenti parlamentari e, alla luce delle prossime decisioni della Corte, di riforma elettorale. Su tutto questo esistono proposte e appaiono possibili convergenze significative.

Si intende fare sul serio? Intendiamo davvero passare dalle parole ai fatti? Questo pronunciamento tocca innanzitutto ai segretari dei partiti, ovviamente non solo a quelli che hanno votato la fiducia al Governo, ma a partire da loro. C'è poco tempo ed è quindi ora di prendersi impegni pubblici, espliciti e dirimenti.

I tre punti che ho segnalato dovrebbero essere, a parer mio, l'agenda di gennaio. Infine una parola per chi, nel gioco ormai stucchevole fra tecnica e politica, si predispone a promuovere, chissà in quali forme nuove, l'edizione 2012 dell'antipolitica. L'Italia ha già dato.

Per quello che ci riguarda il Partito Democratico ha compiuto un gesto propriamente politico, trasparente e generoso, nel sostenere questa transizione e si predispone ad offrire agli elettori, quando sarà il momento, una proposta riformista e democratica di ricostruzione, alternativa al decennio populista.

Siamo pronti a riconoscere in termini nuovi i codici e i limiti della politica. Anche in questo difficile passaggio, tuttavia, siamo convinti di poterne rafforzare la dignità e l'indispensabile ruolo.
 

(03 gennaio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2012/01/03/news/lettera_bersani-27522924/?ref=HRER1-1


Titolo: BERSANI "Ora i partiti siano coinvolti di più"
Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2012, 05:38:54 pm
Politica

09/01/2012 - INTERVISTA

Bersani: "Ora i partiti siano coinvolti di più"

Pierluigi Bersani, segretario  Pd, auspica che «si arrivi ad una nuova legge elettorale meditata e migliore di quella che abbiamo oggi»

Il leader Pd: «Nuovo metodo con chi sostiene il governo»

FEDERICO GEREMICCA
Roma

«E' chiaro che con l'anno che comincia bisogna darsi un metodo...». Un metodo, dice Pier Luigi Bersani: che semplifichi il lavoro del governo nel suo confronto con i partiti e renda più trasparente il rapporto tra i partiti e tra loro e il Parlamento. Il tutto, naturalmente, per lavorare meglio e di più. Così, chi temeva (o sperava) di trovare alla ripresa un Bersani dubbioso circa le scelte fatte - e magari tentato da un qualche disimpegno ora sa come stanno le cose. Si va avanti ventre a terra, perché il Paese ne ha bisogno e soluzioni migliori all'orizzonte per ora non ce ne sono.

Naturalmente, bisogna cambiar passo. Prima di tutto in Europa, ma anche qui da noi: bisogna accelerare sul versante della crescita e correggere qualcosa di quanto fatto (sulle pensioni, per esempio). Ma sono soprattutto certi veti europei a preoccupare il leader del Pd, che dice: «Veti ideologici... La globalizzazione ha imposto una ideologia nuova e micidiale: in economia i mercati hanno sempre ragione, in politica ognuno difenda se stesso. Bene, per quanto mi riguarda non può essere così».

E' un po' che lei sembra più preoccupato da certe dinamiche europee che da quanto accade qui da noi.

«Non è precisamente così, ma è importante ricordare come da questa crisi si esce un passo dietro l'altro, e muovendo tutte e due le gambe. La gamba italiana il suo lo sta facendo, è ora che si muova quella europea».

Che è ferma, invece.

«L'universo degli economisti, degli osservatori e del mondo politico conviene sul fatto che non siamo su una strada corretta. In Europa ancora non facciamo gesti inequivocabili che dicano: difenderemo l'euro, di qui non si passa. Questo messaggio non è arrivato: anzi, non è neanche partito. Ora abbiamo un po' di tempo per farlo: con gesti che non possono essere solo il pur importante bricolage di rafforzamento della disciplina dei bilanci».

E cosa pensa?

«A tre questioni. La prima: accelerare sul fondo salvastati, rendendolo credibile e dotandolo di risorse. Finché non saremo lì bisogna consentire maggiore possibilità di intervento alla Bce. La seconda: teniamola pure sullo sfondo, ma la partita degli eurobond deve essere avviata (un'anticipazione potrebbe essere, come chiede Monti, una emissione europea dedicata agli investimenti). La terza: nonostante quel che dicono gli inglesi, sempre tanto preoccupati per la city - ma noi non possiamo mangiare pane e city, perché alla fine non ci sarà più neanche il pane -, è ora che la finanza paghi qualcosa di quel che ha provocato. Insomma, una tassa sulle transazioni finanziarie va allestita».

Non chiede poco.

«Qualcosa di questo deve essere messo in moto. E senza che il giorno dopo, con una intervista o della Merkel o di Sarkozy, si dica: abbiamo scherzato. Perché è così che è andata fino a oggi, anche se tutti sanno che senza una qualche mossa di questo genere finiamo nei guai. Tutti: Germania compresa. Allora: perché non si fanno queste cose?».

Già, perché non si fanno?

«Lo dico da due anni: il problema è ideologico. Che le ideologie siano morte è uno dei grandi inganni degli ultimi decenni. Forse sono morte quelle vecchie... Ma con la frusta della globalizzazione, sull'Europa è calata una nuova ideologia, interpretata dalla destra e subita troppo passivamente dalla sinistra. Una ideologia di ripiegamento, difensiva, corporativa, che dice: in economia i mercati hanno sempre ragione, in politica ognuno faccia gli affari suoi».

E quindi?

«Quindi occorre anche una battaglia politica. Io credo molto a una piattaforma dei progressisti europei, e su questo abbiamo già fatto molti incontri. E' già fissato un appuntamento a marzo, in Francia, per avviare un'offensiva su questo tema. E' ora che qualcuno dica alle opinioni pubbliche europee che da solo non si salva nessuno».

E l'Italia?

«Le forze che sostengono Monti - che dovrebbe andare in Europa a dire che c'è un Parlamento anche qui e non solo in Germania - possono affermare: abbiamo il 5% di avanzo primario e faremo il pareggio di bilancio nel 2013, cosa che non fa nessuno. Insomma, noi abbiamo dato: e a questo punto o c'è un altro passo europeo o non è che possono pensare di trattarci come la Grecia...».

Vuol forse dire che in Italia non c'è altro da fare?

«C'è moltissimo da fare. Ma all'Italia, dopo quanto già fatto, non possono esser chieste altre manovre, magari recessive. Possono sollecitarci ad andare avanti in un processo di riforme, cioè di messa in efficienza del sistema. Politiche di crescita, insomma. E qui, è chiaro, abbiamo un campo enorme di cose da fare».

Crede che la politica, cioè il rapporto tra i partiti e il governo, lo permetterà? Insomma, quanto si può continuare così, con distinguo più o meno quotidiani?

«Adesso che si imposta il lavoro di un anno, bisogna stabilire un metodo. Che secondo me è fatto di tre punti. Sulle questioni europee e internazionali, Monti può trovare un rapporto diretto con i segretari dei partiti che gli consenta di rappresentare posizioni unitarie e nazionali su punti strategici; poi, occorre un modo ordinario e ordinato di avere una sede tra governo e gruppi parlamentari che consenta di costruire l'agenda di lavoro e renderla effettiva; infine, bisogna prendere una iniziativa - e io farò la mia parte - per definire un'agenda per riforme istituzionali e costituzionali: per altro, sulla modifica dei regolamenti parlamentari, sul bicameralismo e la riduzione dei membri di Camera e Senato c'è un lavoro sedimentato. Anche sulla legge elettorale si è cominciato a lavorare. E' chiaro, inoltre, che questa terza questione accentuerebbe la stabilità del governo. Insomma: penso che sia ora che i leader dei partiti dicano esplicitamente e pubblicamente se sono disposti a convenire su un'agenda da affidare, poi, ai gruppi parlamentari».

Un'ultima domanda sulla Consulta e sul referendum. Che decisione auspica? E pensa anche lei che un sì al voto destabilizzerebbe il governo?

«Quel che auspico è che, referendum o non referendum, si arrivi ad una nuova legge elettorale meditata e migliore di quella pessima che abbiamo oggi. Anche un ritorno al "mattarellum" sarebbe meglio, ma l'esperienza ha dimostrato che quel sistema non è perfetto. Quanto a eventuali crisi, dico solo questo: penso che finché non saremo messi su binari solidi, abbiamo bisogno di non prendere la responsabilità di destabilizzare il Paese in un momento così. Non sarebbe capito da nessuno, né qui né in giro per il mondo...».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437387/


Titolo: BERSANI - Nuove regole in pochi mesi sul finanziamento . Nessuno si metta di ...
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2012, 05:26:30 pm
L'intervista

Bersani: «Nuove regole in pochi mesi sul finanziamento . Nessuno si metta di traverso»

«Senza controlli sui bilanci dei partiti, codici etici e regole sulle candidature l'Italia non è una democrazia moderna»


ROMA - Onorevole Bersani, che cosa l'ha spinta ad appellarsi ad Alfano e Casini per promuovere una legge sui bilanci dei partiti?

«Io sono convinto che nei prossimi dodici mesi dovremo affrontare un passaggio drammatico: o saremo in grado di consegnare all'Italia un assetto costituzionale occidentale del nostro sistema politico, riformandolo, o ci arrenderemo a un'eccezione italiana, passando da un populismo all'altro. Siccome il nostro obiettivo è il primo, è chiaro che dobbiamo riuscire ad affermare una democrazia moderna in cui i partiti non rispondano solo ai loro elettori e iscritti. Per raggiungere questo traguardo dobbiamo riuscire a varare una legge seria perché le forze politiche abbiano bilanci certificati e controllati, codici etici, meccanismi trasparenti di partecipazione alla vita interna, regole per le candidature. In questo senso vanno previste anche delle sanzioni, come l'esclusione dai finanziamenti ed eventualmente anche il divieto di presentazione liste. Noi avevamo presentato per tempo una nostra proposta e ora diciamo "acceleriamo assolutamente", perché i fatti che stanno emergendo sono allucinanti».

Si riferisce alla Lega?
«Sì ma non solo, e in ogni caso c'è un punto da sottolineare: in questi anni siamo slittati verso una personalizzazione talmente accesa, con la costituzione di partiti quasi personali, che, com'era inevitabile, ha portato alla creazione di cerchie ristrette, familismi, corti, sistemi feudatari di vassalli valvassori e valvassini, con imperatori capaci di nominare anche i cavalli. Insomma, in queste condizioni non poteva non prendere piede un sistema opaco. Quando io tre anni fa dicevo che non metterò mai il mio nome sul simbolo non volevo fare demagogia, ma intendevo dire che i partiti devono essere un patrimonio collettivo, quasi istituzionale, non posso essere piegati a una logica personale, che tra l'altro ci ha consegnato una legge elettorale dove sono stati possibili casi come quelli di Calearo e Scilipoti che lasciano esterrefatti. Dobbiamo correggere queste derive e prendere esempio dalle normali democrazie occidentali che non hanno questi fenomeni perché lì i leader sono leader pro tempore, secondo regole che i partiti si danno».

Lei pensa che i partiti italiani abbiano gli anticorpi necessari?
«Assolutamente sì, guardi noi: per esempio, le primarie, che pure sono un meccanismo da migliorare, rispondono proprio all'esigenza di avere un partito, per così dire, all'aria aperta. Lo stesso dicasi per la decisione che abbiamo preso a suo tempo di far certificare i bilanci. Per lo stesso motivo affermo che dopo Bersani ci saranno le primarie, niente cooptazioni, ma meccanismi di partecipazione. La strada è questa e non riguarda solo noi che per primi abbiamo adottato questo meccanismo, dovrà riguardare tutti se vogliamo un sistema trasparente e democratico».

Sarete in grado di fare questa legge o ancora una volta toccherà al governo cavarvi d'impaccio?
«Un minimo comune denominatore tra i partiti per fare una legge sui finanziamenti c'è e ci può essere. C'è tutta la possibilità di lavorare su questo nelle prossime settimane».

Non le sembra di peccare d'ottimismo?
«Voglio dire la verità: io avevo scritto questa lettera dicendo di tenerla riservata e di lavorarci sopra, sono stati Alfano e Casini a dirmi "no, tiriamola fuori e impegniamoci a fare queste cose". Questo significa che la volontà c'è. Immagino perciò che nei prossimi giorni si avvierà una discussione approfondita non solo tra noi tre. Se ci mettiamo seriamente all'opera ce la possiamo fare in poco tempo. Faccio un esempio, nella mia proposta di legge si prevede di mettere a sistema un meccanismo di primarie, ma se gli altri non sono pronti, possiamo vedere questa questione più avanti; però sulla certificazione dei bilanci, sulla necessità di inserire una soglia molto bassa per cui bisogna dichiarare i soldi che un partito ha ricevuto, sull'obbligatorietà di pubblicazione su Internet dei nostri bilanci possiamo metterci d'accordo rapidamente».

E poi verrà varato un decreto per fare velocemente?
«Per quel che riguarda lo strumento, per me può anche essere un progetto di legge di pochi articoli, che abbia una corsia ultrapreferenziale. Non escludo nemmeno, una volta stabilito il contenuto, sentito il governo, e, naturalmente il presidente della Repubblica, che ci si possa avvalere di uno strumento straordinario come il decreto. A me interessa la sostanza: in pochi mesi dobbiamo arrivare a una soluzione».

Intanto continuerete a prendere rimborsi senza spenderli tutti per le attività elettorali.
«Vorrei chiarire subito una cosa. C'è già stata una drastica riduzione del finanziamento della politica perché nel 2010 erano stanziati 289 milioni di euro, che diminuendo di anno in anno arriveranno ai 143 del 2013. Inoltre non è più vero che se si interrompe la legislatura continua il finanziamento. Dal 2011 non è più così. Con questa tagliola significa che non sarà più nemmeno possibile che partiti ormai morti ricevano dei soldi. Con queste novità, il finanziamento della politica in Italia diventerà inferiore a quello che è in Germania, in Francia o in Spagna. Ciò detto, è vero che il meccanismo adesso lascia un margine d'ambiguità. Sotto il titolo rimborso elettorale c'è, come negli altri Paesi, un forfait che riguarda il finanziamento dell'attività politica e non solo quello della campagna elettorale. Si può riconsiderare questo aspetto, ma l'importante è essere d'accordo su due punti di fondo. Primo, il finanziamento alla politica da Clistene e Pericle in poi c'è sempre stato nelle democrazie per evitare plutocrazie, oligarchie e dominio. Secondo, è vero che bisogna adeguarsi ai parametri europei, laddove non ci fossimo ancora, ma è soprattutto necessario prevedere un sistema di controllo che ora non c'è. Bisogna dire quali sono le regole, scriverle in una legge e avere qualcuno che le certifichi. Su questo fronte l'Italia adesso non è a posto. Senza certificazione regolare non deve essere più possibile prendere i soldi: i partiti non sono associazioni private per cui possono anche mantenere le famiglie dei loro leader, sono l'ossatura della democrazia».

Che cosa risponde a chi dice che i partiti si sono svegliati solo ora che sono ricoperti dagli scandali? Lo sapete che gli elettori non hanno più fiducia nelle forze politiche.
«Veramente sono due o tre anni che noi del Pd abbiamo elaborato quattro-cinque progetti in materia che ora abbiamo unificato. E voglio essere chiaro: se non riusciamo a risolvere un problema di questo genere ci meritiamo come sistema politico la sfiducia degli italiani. Su questo sconti non se ne faranno. Adesso partiamo, troviamo una soluzione e chi si volesse mettere di traverso se ne prenderà la responsabilità. Facciamo quattro articoli e poi parliamo con la Lega, con l'Idv, con chi sta in Parlamento. Il resto lo vedremo più approfonditamente dopo».

La gente non ha più fiducia nei partiti: perché dovrebbe accettare che vengano finanziati pubblicamente?
«Se vogliamo somigliare alle democrazie europee dobbiamo prevedere che la politica venga finanziata. Altrimenti ci ribeccheremo un miliardario che suona il piffero con tutti che gli vanno appresso».

Maria Teresa Meli

8 aprile 2012 | 9:16© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/12_aprile_08/nuove-regole-in-pochi-mesi-nessuno-si-metta-di-traverso-maria-teresa-meli_1429dd06-8148-11e1-9393-421c9ec39659.shtml


Titolo: Legge elettorale, Bersani rilancia "Non ci arrendiamo al porcellum"
Inserito da: Admin - Luglio 14, 2012, 03:59:07 pm
IL CASO

Legge elettorale, Bersani rilancia "Non ci arrendiamo al porcellum"

Il segretario interviene all'assemblea del Pd e ribadisce la posizione del partito: "Basta buttare la palla in tribuna, pronti al compromesso, ma serve il premio di governabilità e la possibilità di scegliere i parlamentari".

Poi annunia primarie entro l'anno, ma è scontro con Renzi: "Pensa di metterci in saccoccia, ma si sbaglia"


ROMA - "Davanti alle preclusioni della destra non ci arrendiamo davanti all'idea di tenerci il porcellum che, lo abbiamo ripetuto mille volte, è una causa principe del discredito della politica". Pier Luigi Bersani, aprendo l'assemblea del Partito democratico, torna sulle difficoltà che stanno caratterizzando il tentativo di riformare la legge elettorale prima della scadenza della legislatura.

"Siamo pronti a ragionare su soluzioni di compromesso ma non a rinunciare a due principi - prosegue il segretario del Pd - i cittadini la sera delle elezioni devono sapere chi è in grado di organizzare e garantire credibilmente la governabilità e quindi chiediamo un credibile premio di governabilità" che deve essere attribuito "a chi arriva primo sia nella forma di una lista singola sia nella forma di liste collegate". Ed il cittadino, sottolinea ancora Bersani, "deve poter decidere sul suo parlamentare".

"L'Italia - aggiunge - ha il diritto di costruire un bipolarismo saldamente costituzionale, temperato, flessibile, che metta a confronto progetti alternativi per il Paese. Con le prossime elezioni, o ci sarà una scelta fra progetti alternativi, o l'alternativa si rischia di farla fra populismi e resto del mondo".

"La strada per la riforma elettorale - ricorda il leader democratico - è intralciata dalla beffa costituzionale di Pdl e Lega che buttano la palla in tribuna per propaganda col rischio di bloccare ogni riforma.
Siamo pronti a approvare almeno la norma sulla riduzione del numero dei parlamentari". All'opposto, secondo il segretario del Pd, cì invece il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che "ringraziamo ancora per quello che sta facendo per sollecitare il cambio della legge elettorale".

"Per noi - precisa Bersani - la proposta migliore è il doppio turno di collegio. Davanti alle preclusioni della destra dichiariamo di non volerci arrendere al Porcellum che e' la causa principe del discredito della politica".

Prima delle elezioni, il Pd passerà però dalle primarie che Bersani assicura si svolgeranno "entro la fine dell'anno". Non saranno il congresso del Pd, ripete il segretario: "Dalla direzione è venuto un criterio di apertura, che suggerisce di privilegiare l'allargamento della partecipazione piuttosto che l'allestimento di barriere". Un criterio di cui "sono personalmente molto convinto" che corrisponde "all'idea di investire, anche rischiando qualcosa, sul rapporto fra politica e società che oggi è largamente in crisi. In nome di questa logica, mentre ho ritenuto giusto dichiarare da subito la candidatura del segretrario del Pd, anche in ossequio alle regole statutarie, ho chiesto e chiedo che questa sia in via di principio una candidatura esclusiva. Avremo modo, nel tempo giusto, di investire l'assemblea dei temi regolamentari e statutari e di prendere assieme le decisioni conseguenti".

Ma a mettere in guardia il leader democratico ci pensa Matteo Renzi. "I giovani del Pd - avverte il sindaco di Firenze - non faranno come Alfano". "E' stato desolante - dice - vedere tanti giovani del Pdl che si sono immediatamente rimessi in ordine appena Berlusconi ha detto 'scendo in campo io'. Noi faremo l'opposto". Poi attacca frontalmente il segretario: "Rinviando il discorso sulle primarie tutto a settembre, Bersani pensa di metterci in saccoccia. Si sbaglia di brutto peché noi in questo mese ci organizziamo, ci organizziamo sul territorio e a settembre siamo pronti".

(14 luglio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/07/14/news/bersani_basta_procellum-39041855/?ref=HREC1-2


Titolo: Bersani Vendola e l’Udc.
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2012, 09:45:02 am
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Bersani Vendola e l’Udc.

Il leader Sel boccia Di Pietro. L’ex pm: “Tradisce i lavoratori”


Il presidente della Puglia spiega di essere pronto per coalizioni che comprendano "tutti quelli che vogliono modernizzare l'Italia" e che abbiano al centro "i diritti sociali e civili delle persone, come i diritti delle coppie gay".

Donadi (Idv): "Di Pietro chieda incontro". E Cicchitto (Pdl): "Ulivo aggiornato. Bacio della morte per Casini"

di Redazione Il Fatto Quotidiano
1 agosto 2012


Il duo Bersani (Pd)-Vendola (Sel) apre all’Udc di Casini ed estromette Di Pietro. Dalla riunione tra i due leader sembra arrivare l’apertura al partito dell’ex presidente della Camera (che solo ieri avevano aperto uno spiraglio all’alleanza invocando i partiti ad “ammainare le bandiere di parte”) e l’esclusione del numero uno di Italia dei Valori. Che a stretto giro fa sapere che non ci crede: “Mi rifiuto di pensare che Vendola possa rinunciare alle nostre battaglie sui diritti dei lavoratori”.

In quella che sembra una nuova alleanza, a legge elettorale ancora in alto mare, il leader di Sel mette fuori dai giochi l’Idv con queste parole: “Il propagandismo esasperato di Di Pietro lo sta portando alla deriva”.  Il presidente della Puglia spiega quindi di essere pronto a partecipare a coalizioni che comprendano “tutti quelli che vogliono modernizzare l’Italia” e che abbiano al centro “i diritti sociali e civili delle persone, come i diritti delle coppie gay” rispondendo a una domanda proprio sull’Udc. Argomenti che solo ieri il segretario dei Democratici ha elencato nella carta di intenti come prioritari. Allo stato quindi le porte sembrano chiuse per l’Idv perché “non sta mostrando interesse” per la costruzione di un’alleanza di centrosinistra. Eppure solo un mese fa Vendola e Di Pietro avevano inaugurato il “cantiere del centrosinistra” e lanciato un aut aut ai democratici. In caso di alleanza con Casini sarebbe venuta meno la foto di Vasto. I due partiti dicevano di aver fatto fronte comune (“Niente coalizione se non ci siamo entrambi”), con il governatore pugliese che proteggeva l’ex magistrato gettando sul tavolo il suo clamoroso successo nelle ultime amministrative. ”Credo che sia difficile, direi impossibile, per Sel, il partito di Nichi Vendola, rompere con l’Italia dei Valori, perché vorrebbe dire rompere con le battaglie in difesa del lavoro – fa sapere Antonio Di Pietro - Mi rifiuto di pensare che Vendola possa rinunciare alle nostre battaglie sui diritti dei lavoratori. L’alleanza vera si fa sui programmi. Oggi noi siamo andati in Corte di Cassazione e abbiamo depositato due quesiti referendari, sull’art. 18 e sull’art. 8, entrambi in difesa dei lavoratori: quelli licenziati ingiustamente e quelli a cui viene tolto il contratto collettivo di lavoro. Chi pensa di fare a meno dell’IdV nella costruzione di una nuova area riformista, di una coalizione che mette insieme sviluppo e solidarietà, pensa forse di poter fare a meno degli elettori. Anche dei suoi elettori. Mi rifiuto di pensare che Vendola possa rinunciare alle nostre battaglie sui diritti dei lavoratori”.

Invece oggi Vendola apre ai moderati dicendo: “Il centrosinistra è il soggetto fondante dell’alternativa e non deve aver paura di portare con sè chi intende arricchire il suo orizzonte se l’agenda ha al centro i diritti socialie civili. Io non pongo veti a nessuno”. Sel “è disponibile ad essere un soggetto fondatore al pari del Pd di un polo della speranza per costruire l’alternativa a 30 anni di liberismo che hanno portato l’Italia in grande crisi”.Il governatore della Puglia però smentisce, bollando come “Fantapolitica”, l’ipotesi di una lista unica Pd-Sel. ’‘Con Bersani abbiamo discusso a lungo dei contenuti della carta di intenti - spiega Vendola – e tra qualche ora ci sarà un documento di Sel che vuole interloquire nel merito dei temi. A Bersani ho sottolineato la necessità di una rottura molto più limpida con politiche di liberismo che hanno segnato 30 anni e portato l’Italia in una condizione di grande crisi”. Per il leader di Sel “è necessario costruire un polo della speranza, una coalizione del futuro per offrire una prospettiva alle giovani generazioni a partire da un piano straordinario del lavoro”. Per Vendola è necessaria “una coalizione larga e plurale per essere un credibile punto di svolta ne costituisca punto di svolta per l’Italia vampirizzata dal berlusconismo”. Vendola non crede però nella aggregazione di Pd e Sel in una lista unica: “ho fondato un partito e sono molto orgoglioso di rappresentare un punto di vista molto critico verso il liberismo. La reductio ad unum non è un vantaggio”. Vendola ha parole anche per quelli che non sarebbero stati mai presi in considerazione come alleati: “Fini vuole ricostruire il centrodestra, il mio progetto è il centrosinistra. E’ difficile che le strade possano coincidere”.

”L’Idv ha fatto la sua scelta da un p0′di tempo, ha scelto un’altra strada” spiega Bersani che elogia la riunione con Vendola e apprezza il titolo lanciato sulla coalizione “polo della speranza”: “Un incontro molto buono e molto utile. Si possono fare passi avanti molto importanti, c’è lavoro da fare ma vedo tutte le prospettive positive. Abbiamo bisogno di qualche mese per garantire l’impegno ad un governo dai contenuti seri”. “Abbiamo parlato – prosegue Bersani – di Italia, di lavoro, di temi sociali per profilare un’alternativa di governo alla destra”. Ora, aggiunge il segretario Pd, “Vendola e Sel proporranno una proposta interlocutoria con un documento e noi continuiamo negli incontri che saranno un pò di profilo politico, un pò con i soggetti sociali, a partire domani dal forum del terzo settore”.

L’ufficio stampa di Sel però fa arrivare un comunicato stampa che sembra ammorbidire le dichiarazioni del leader: “Nessuna svolta, nessuna apertura all’Udc. Leggiamo in alcuni titoli di agenzie di stampa, e di alcuni siti online che Nichi Vendola avrebbe aperto all’alleanza con l’Udc, che siamo alla svolta, che avrebbe scaricato Di Pietro. Invitiamo tutti a non equivocare le parole del leader di Sel: semplicemente ha ripetuto le stesse parole che negli ultimi mesi sono state dette sul tema delle alleanze. Non vogliamo subire veti, non poniamo veti né ultimatum a nessuno. Ma occorre essere chiari: se si è d’accordo nel superare le politiche liberiste delle destre, se si vogliono difendere i diritti sociali e l’equità sociale a partire dall’art.18, se si vogliono difendere i diritti civili a partire dai diritti delle coppie di fatto e gay, tutti sono benevenuti”. Alle 15.30 è comunque prevista una conferenza stampa.

‘Mi auguro che Di Pietro rinvii al mittente le accuse di non voler far parte della coalizione di centrosinistra e chieda al più presto un incontro con Bersani e Vendola –  commenta Massimo Donadi, capogruppo dell’Idv alla Camera – Quello che è certo è che un partito come Italia dei Valori non può lasciare che decisioni di questo rilievo siano prese da altri o, semplicemente, che accadano senza averle decise. Anche perché la decisione di una rottura col centrosinistra sarebbe letteralmente antitetica a tutto quanto deciso nell’ultimo congresso nazionale e dall’esecutivo di Vasto dello scorso anno. Organismi che, in caso contrario, dovranno essere al più presto riconvocati. Non può bastare una dichiarazione, nemmeno di Bersani e Vendola, per sancire l’esclusione di Italia dei Valori dalla coalizione di centrosinistra, di cui Idv fa parte da quasi dieci anni, con la quale amministra, insieme a Pd e Sel, gran parte degli enti locali italiani. Tuttavia non si può più nemmeno fingere di non vedere che Idv, ormai da mesi, non sembra avere alcun interesse per la costruzione di tale coalizione, rincorrendo il massimo di conflittualità con i potenziali alleati oltre che con le più alte istituzioni politiche del Paese. La ventilata ipotesi di alleanza elettorale con Grillo, poi, ancor più che pregiudicare la coalizione di centrosinistra, rischia di essere un fatto che snatura per sempre l’identità stessa di Idv. Servono al più presto posizioni nette e chiarificatrici”.

Sull’incontro Vendola Bersani arriva la riflessione di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera Pdl: “Da un lato si profila la riproposizione con nomi aggiornati dell’Ulivo visto che Bersani e Vendola si incontrano e danno a Casini il bacio della morte, dall’altro certamente l’attacco di Bersani ad Alfano sul terreno della banalità è del tutto privo di fondamento. Dovrebbe esserne consapevole visto che egli è una delle massime autorità in materia”. 

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/01/incontro-bersani-vendola-aperti-ad-alleanza-con-ludc/312735/


Titolo: BERSANI - Si Difende Sulla Vicenda Mps: "Si Sparano Menzogne, Non Accetto...
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2013, 04:39:06 pm
 Elezioni 2013: Pierluigi Bersani Ad Agorà Si Difende Sulla Vicenda Mps: "Si Sparano Menzogne, Non Accetto Lezioni Di Morale"

E Sugli Esodati: "Mario Monti Deve Dare Delle Risposte"

E Sul Salario Minimo Garantito: "Ci Vuole Una Norma"

Pubblicato: 24/01/2013 08:43 CET  |  Aggiornato: 24/01/2013 10:50 CET


Alza gli scudi Pierluigi Bersani, lo fa ad Agorà su Raitre. Si difende e difende il Partito Democratico sulla vicenda Monte dei Paschi di Siena: "Visti gli attacchi ricevuti soprattutto da destra sul coinvolgimento del Pd nel caos della banca senese: "Non accetto il lezioni da altri", attacca il centrodestra e sopratutto la Lega: "Dico solo una parola, Creditnord" e poi ammette "Il sistema delle banche va rivisto, alcuni localismi devono essere riformati". Sul problema del controllo degli istituti bancari da parte dagli enti locali: "In prospettiva - spiega Bersani - è un legame eccessivo che va in parte spezzato".

Il segretario del Partito Democratico superato lo scoglio Mps, entra poi nel vivo dei temi della campagna elettorale:

Il lavoro. "E' diventato vulnerabile - dice il segretario del Pd - chi lo perde non riesce a riconquistarlo. Bisogna creare un meccanismo di convenienza perché dalla precarietà si passi a contratti a tempo indeterminato". Critica la proposta di Silvio Berlusconi, che promette assunzioni esentasse per 3 o quattro anni: "Speriamo non incentivi a lasciare a casa due persone intanto che se ne assume una". In tema di reddito minimo garantito Bersani risponde così: "Per chi va sotto la soglia vitale ci vuole una norma, il resto - ha aggiunto - sono politiche sociali affidate agli enti locali".

Per chi non ha contratto nazionale serve salario minimo,in generale politiche sociali che diano servizi di cittadinanza @agorarai @paticchio
January 24, 2013 7:59 am via Twitter for iPad Rispondi Retweet Preferito

L'Imu e la patrimoniale. Sul tema Bersani mantiene la linea della progressività, ossia: "Bisogna - spiega - inserire un'imposta progressiva in base al valore delle proprietà. Non intendo - dice - tassare il ceto medio che paga le tasse e fa girare i consumi".

Esodati. Visti le notizie circolate in questi giorni legati a un possibile aumento del numero reale: "cominciando dal tema esodati, non vorrei che questo sia solo un problema del futuro governo". Pone poi alcune domande al governo Monti: "In un anno di recessione siamo a posto con gli ammortizzatori? Abbiamo soldi sufficienti per la cassa Integrazione? E le missioni all'estero?".

Spesa pubblica.. Usa il termine riparazione il segretario Bersani: "No ai tagli lineari - dice - ragioniamo settore per settore" E fa qualche esempio: "Prendiamo le aziende pubbliche: che ogni singola amministrazione si faccia un piano industriale e se non lo fa non gli deve essere concesso il turn over. In questo caso il pubblico deve comportarsi come il privato". Sulla spending review:"Basta con la politica dei commissari straordinari, possono bastare i ragionieri dello Stato".

Alleanze. Risponde all'appello di Ingroia che ieri su Sky aveva chiesto al Pd una tregua: "Io non mi sento in guerra con nessuno, mi preoccupa solo che lui dica che il suo avversario non è Berlusconi. Per me l'avversario è il Cavaliere" Bersani non da per nulla scontata la vittoria: "La destra in questo paese esiste e non bisogna sottovalutarla". In tema di voto utile dice: "Tutti sono utili, quelli di
testimonianza, appartenenza e protesta. Ma per battere la destra di voti utili ce n'è uno solo".

La squadra di governo . "Ho già in mente alcune persone ma non le dico non vorrei che al vertice di Davos ci fossero dei problemi. Toto governo non ne faccio. D'Alema e Veltroni? "Chi può dare una mano la dia".

Il futuro del centrosinistra.. "Renzi - dice - ne farà sicuramente parte". Monti? "Non è di questa squadra, non lo definirei un progressista".

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/01/24/pierluigi-bersani-parla-ad-agora_n_2539705.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: BERSANI Monti pericoloso su Cgil. - (il "partito" Cgil lo è per l'italia)
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2013, 04:42:08 pm
Bersani: "Non tasserò il ceto medio. Monti pericoloso su Cgil"

Il leader del Pd torna a parlare di imposte ("Imu c'è già, ma poco progressiva"), ma soprattutto di lavoro ("Serve fondo per esodati").

Poi attacca il professore sui sindacati: "Cade in luoghi comuni della destra".

E annuncia: "Ho già in mente ministro dell'Economia"


ROMA - "Non intendo tassare il ceto medio che paga le tasse". Lo ha detto, intervenendo ad Agorà su Raitre, il candidato premier del centrosinistra Pier Luigi Bersani. L'Imu, ha aggiunto, "è già una patrimoniale sugli immobili. Il problema è che è poco progressiva". Il leader del Pd è tornato a parlare di conti pubblici e di lavoro, attaccando il premier uscente per le dichiarazioni sulla Cgil: "Mi stupisco che Monti cada in luoghi comuni insufflati dalla destra, mentre quando governi sono tutti figli tuoi. Un'organizzazione come la Cgil con oltre 4 milioni di iscritti non puoi in premessa metterla fuori, dirti contro. È un sindacato non un partito, è un elemento del paesaggio, è pericolosa una linea di questo genere, caccia fuori in premessa un pezzo di Italia"

Lavoro . Il leader democratico è tornato sulla vicenda degli esodati, che già ieri lo aveva visto polemizzare con Monti (VIDEO). "Quando sento dimenticare troppo facilmente alcune questioni allora mi inalbero un po'. Vorrei che nella famosa Agenda Monti mettesse questa parola, esodati. Ci hanno bacchettato dicendo che non siamo tecnici e poi si è visto chi è tecnico...". Nel merito, il candidato del centrosinistra sostiene che per affrontare il problema
"serve un fondo da rimboccare mano a mano che si affacciano le situazioni. Tuttavia - ha aggiunto - il problema può riproporsi, per cui è il meccanismo in uscita che deve essere flessibile". Il leader del Pd, poi, ha parlato di salari minimi per chi non ha contratto: "Penso ci voglia una norma sul salario minimo garantito, il resto sono politiche sociali indispensabili affidare agli enti locali".

Spesa pubblica. Bersani invita moderare gli appelli alla riduzione della spesa pubblica: "Se togliamo la spesa per interessi sul debito e quella per pensioni il resto della spesa pubblica è ai livelli bassi per l'Europa", ha sottolineato il leader Pd: "Esiste un livello della spesa pubblica sotto il quale alcuni elementi di civilizzazione europea non stanno in piedi. E allora non raccontiamoci che si possono tagliare d'amblais 80 miliardi di spesa corrente". Semmai la spesa pubblica va razionalizzata, "dobbiamo mettere il cacciavite settore per settore e poi tenerla ferma". C'è, però, una voce di spesa che lo Stato può ridurre: "Dobbiamo rivedere gli impegni sugli f35. Anche il Canada lo ha fatto", dice Bersani.

Ministro dell'Economia. Come ministro dell'Economia "penso a persone di livello, qualcosa ho in mente. Ma non lo dico, non vorrei che a Davos ci fossero dei problemi ". Il leader del Pd ammette di aver pensato a chi potrebbe occupare la poltrona, ma non si sbottona. Poi, rispondendo a una domanda su un eventuale coinvolgimento nell'esecutivo di D'Alema e Veltroni: "Totogoverno non ne faccio. Su queste due, e su altre personalità, penso che in ogni caso in pensione dalla politica non vanno, ne avremo bisogno. Si vedrà fisicamente, al governo e in Parlamento, che sta arrivando nuova gente, giovani e donne. Dopodiché non c'è solo il governo e il Parlamento. Chi può dare una mano la dia".

Foto di gruppo. "Non ho ancora visto una foto di gruppo Monti-Casini e Fini o Berlusconi-Maroni-Alfano... Io oggi mi presento, faccio la foto con Vendola e Tabacci, che è certo criticabile, ma vorrei vedere anche la loro, loro che garantiscono il progetto comune, la governabilità...", ha detto Bersani. Immediata la risposta del presidente della Camera: "Se Bersani le vuole, di nostre foto gliene mandiamo dieci. Piuttosto aspetto Bersani e Vendola che nello stesso comizio parlino del governo Monti. È quello il punto dolente di quella coalizione. Lo stesso punto dolente che hanno Berlusconi e Maroni: nelle due coalizioni si sono alleati partiti che sostenevano Monti e chi lo avversava", ha detto Fini ospite di Omnibus, su La7

Monti e il Colle. Mario Monti può ancora ricoprire un ruolo istituzionale, a partire dalla presidenza della Repubblica? "Nel caso bisogna parlare con lui", sostiene Bersani. "Io non ho bisogno di nascondere che fino a sei mesi fa ho sempre immaginato per lui un compito di natura istituzionale. Dopo di che il presidente Monti ha avuto questa passione per la politica. Immagino che ora nella sua testa possa avere altre idee...". Quanto al Colle, Bersani non lo nasconde: "La cosa è diventata più problematica, non c'è dubbio".

Germania. Se Bersani diventasse il premier italiano, ''Ad Angela Merkel direi che non voglio litigare con la Germania, che noi non abbiamo fatto i compiti a casa e loro sì, ma senza litigare serve ragionare perché si prosegua con il rigore, ma si dia anche sostegno agli investimenti e al lavoro perché tra un po' entrano in recessione anche loro'', ha detto.

(24 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/24/news/bersani_non_tassero_il_ceto_medio_e_su_mps_accuse_da_campagna_elettorale-51177412/?ref=HREC1-4


Titolo: F-35. Salvate il soldato Bersani
Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2013, 04:42:57 pm
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F-35. Salvate il soldato Bersani

di Toni De Marchi | 24 gennaio 2013


Anche l’Aeronautica militare scende (o sale, vedete voi) a gamba tesa in campagna elettorale e convoca un po’ di giornalisti amici allo stabilimento di Cameri, la lampada di Aladino, l’antro delle meraviglie, dove dovrebbero nascere gli aerei a cui affidare le sue magnifiche sorti e progressive. Lo fa il giorno dopo che Bersani ha scatenato un mezzo putiferio dicendo quello che in tanti, e non solo a sinistra, da tempo pensano: bisogna rivedere la spesa per gli F-35.

Forse la vicinanza dei due eventi è casuale, ma certo non è un caso che la Difesa faccia propaganda all’F-35 in piena campagna elettorale. Una scorrettezza istituzionale grave, ma dal ministero dell’ammiraglio Di Paola non ci si può aspettare granché. Naturalmente manda in passerella non le bombe o i missili (che, si sa, non sono granché glamour) ma fa sfilare gli imprenditori e i posti di lavoro che l’F-35 dovrebbe portare con sé. Ripete, un po’ vergognandosi, la storiella dei diecimila operai, ma nessuno ci crede più. E d’altronde i numeri sono lì, implacabili: alla Vitrociset cinquanta occupati sull’F-35, trenta all’Omi, cinquanta alla Oma, centoventi all’Aerea secondo quanto riporta Giampaolo Cadalanu su La Repubblica.

Coincidenza o meno, la conferenza stampa dell’Aeronautica è la conferma del panico che si è impadronito dei nostri vertici militari dopo le disastrose notizie sul programma F-35. Che non sono solo i serbatoi che possono esplodere, o le fessure sulle ali che hanno messo a terra a metà gennaio tutti i prototipi della versione B (destinata anche alla nostra Marina) o l’annuncio che la Turchia ha posticipato sine die l’ordine per due F-35 già annunciato lo scorso anno o lo stop del Canada al programma. La Difesa in realtà teme la crescente opposizione che sta montando nel Paese contro il programma e che la competizione elettorale potrebbe amplificare.

Perché Bersani non ha detto una cosa di sinistra affermando che bisogna rivedere la spesa per gli F-35. Ha detto una cosa di buonsenso, che naturalmente piace, e molto, a sinistra e a Vendola in particolare, ma trova da tempo consensi anche in aree politiche più moderate.

Per questo, nel silenzio assoluto degli autoproclamatosi “moderati” che tacciono perché nessuno si vuole esporre sostenendo questo programma, mi è francamente incomprensibile il clamore dei “rivoluzionari civili”. Di Pietro, Ingroia, Lotti tutti si sono affrettati a rinfacciare al segretario Pd le precedenti scelte del suo partito. Lo sappiamo, l’ho scritto anche su questo blog, che l’F-35 è stato concepito ed è stato svezzato dai governi Prodi e D’Alema e amorevolmente allevato dai governi di Berlusconi e Monti.

Lo sappiamo che nel Pd di oggi e di ieri la lobby militare-industriale è vivace e ben rappresentata. Oltre a Prodi che lanciò il programma, ci sono Arturo Parisi, l’uomo che sdoganò l’operazione Dal Molin a Vicenza, il senatore Lorenzo Forcieri, il primo che da sottosegretario raccontò alla Camera la frottola dei 10mila posti di lavoro, la genovese “generalessa” Roberta Pinotti. Ma Bersani ha detto una cosa precisa, ed è la prima volta che un segretario del Pd nonché candidato premier si pronuncia in modo così netto e mediaticamente forte sulla necessità di ridimensionare un programma militare. Diamogli credito.

Avrebbe potuto dire cancelliamo gli F-35? Certo, ma nessuno gli avrebbe davvero creduto. Siamo onesti: ha detto l’unica cosa realisticamente possibile perché seriamente ed effettivamente fattibile: riduciamo la spesa, riduciamo il danno. L’unica cosa che può seriamente preoccupare i sostenitori “senza se e senza ma” dell’F-35, che può turbare i ministri-ammiragli e tenere svegli i lobbisti di tutti i colori.

Anziché proposte impraticabili, dovremmo semplicemente chiedere al segretario del Pd una piena accountability rispetto alle sue proposte, che diventi o meno il prossimo presidente del Consiglio. Per il momento, cerchiamo di salvare il soldato Bersani dai crociati della Lockheed e dai profeti di una resa invincibile.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/24/f-35-salvate-soldato-bersani/479028/


Titolo: BERSANI hai fatto fatica a salire d'immagine ora perchè vuoi scendere in basso.
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2013, 07:24:20 pm
Mps, Monti: "Tenere partiti via dalle banche, io ho vietato gli incroci pericolosi nei cda"

Il premier rivendica le misure introdotte con il decreto Salva Italia: "Un primo passo concreto e importante per arginare la commistione tra politica e finanza".

Bersani punge: "Benissimo, ma fuori anche i banchieri dai partiti"


ROMA - "Sono stato accusato di presiedere un governo di banchieri" ma "ho vietato le presenze incrociate nei consigli di amministrazione di banche e compagnie assicurative concorrenti". E' stato "un passo concreto per arginare la commistione politica-finanza, che ho già definito una brutta bestia".  Mario Monti torna oggi sugli interrogativi sollevati dal caso Monte dei Paschi di Siena.

"Teniamo i partiti lontani dalle banche", insiste il presidente del Consiglio. "Ricordo solo - prosegue - che il decreto Salva Italia, voluto dal nostro governo, ha vietato le presenze incrociate nei consigli di amministrazione di banche e compagnie di assicurazioni concorrenti. Sono anche questi intrecci di persone a generare i conflitti di interesse, le distorsioni al mercato e i danni al sistema finanziario". 

"La nostra misura - rivendica ancora il premier - è stata una scelta coraggiosa e apprezzata all'estero, che migliora la concorrenza del mercato, a vantaggio dei cittadini. Un provvedimento che non può certamente essere etichettato come un favore ai 'salotti buoni' della finanza, anzi è un primo passo concreto e importante per arginare la commistione tra politica e finanza, che ho già definito una brutta bestia. Per il bene di tutti - conclude - dobbiamo tenere i partiti lontani dalla gestione delle banche".

L'uscita del presidente del Consiglio è stata occasione per l'ennesima scintilla con Pierluigi Bersani. "Monti ha detto via i partiti dalle banche? Sono d'accordo dieci volte. Io aggiungo via i banchieri dai partiti. Così siamo a posto", ha commentato il leader Pd con una battuta che non può non far pensare alla lunga collaborazione tra il premier e Corrado Passera alla formazione della nuova formazione centrista, collaborazione saltata solo in extremis.

(31 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/31/news/monti_banche_partiti-51650367/?ref=HREA-1


Titolo: BERSANI - Elezioni, Bersani con Renzi a Firenze. (il ritorno all'antico)
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2013, 11:35:56 am
Elezioni, Bersani con Renzi a Firenze.

Il sindaco attacca Monti e Berlusconi

Il segretario del Pd e il primo cittadino al teatro Obihall, per un'iniziativa in vista del voto che li vede entrambi protagonisti.

Renzi: "Non sottovalutare Berlusconi ma nemmeno il mago Silvan riuscirebbe a far scomparire quello che ha fatto".

E sul premier: "Si confonde, nel 1921 è nato lui forse". E su Twitter spopola l'hashtag #pdbrothers


FIRENZE - Un lungo applauso ha accolto Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi al Teatro Obihall di Firenze per il comizio elettorale del Pd. Abito grigio e cravatta azzurra Bersani. Renzi sceglie un vestito nero e una camicia bianca, prende per primo la parola. "Mi sono messo anche la camicia bianca d'ordinanza delle primarie", scherza appena prende la parola e prima di salutare "in modo particolare il prossimo presidente del consiglio Pier Luigi Bersani", dice. Poi ricordando le primarie aggiunge: "Ha vinto lui, io lo sostengo. Abituiamoci alla lealtà". "Noi siamo fatti così", aggiunge. "Prima siamo stati al Comune, e quando tornerai da premier ti verremo a cercare e firmerai il libro d'onore di Palazzo Vecchio - spiega Renzi - . E lo dico io che sono abbastanza bravo ad andare a cercare i presidenti del Consiglio, anche in sedi non istituzionali...".

Almeno tremila persone hanno riempito il teatro per il comizio, il primo dove sono presenti i due ex sfidanti dopo le primarie del centrosinistra del dicembre scorso. Una folla di centinaia di persone non è riuscita ad entrare all'interno per motivi di sicurezza.

Renzi attacca Monti e Berlusconi.
Renzi non perde tempo e attacca gli avversari politici Mario Monti e Silvio Berlusconi. "Oggi Monti ha detto che il Pd è nato nel '21... deve aver confuso con la sua carta d'identità. Monti per mesi ha detto che non si sarebbe candidato e sarebbe rimasto sopra le parti e ora è nel ring della politica di tutti i giorni con persone molto lontane da lui. Forse non ha capito che Fini non è quello dei tortellini ma quello della Bossi-Fini". Poi ricorda che non va sottovalutato Berlusconi. "Dobbiamo sapere che può anche ingaggiare Balotelli, ma anche se ingaggiasse il mago Silvan, non servirebbe a far sparire le cose che ha fatto. E soprattutto quelle che non ha fatto".

Poi un riferimento alla questione del rapporto fra finanza e politica. "Dal governo di centrosinistra noi ci aspettiamo un governo capace di un rinnovato rapporto tra finanza e politica. Ma di questo sarà Pier Luigi Bersani a parlarne, com'è giusto", ha detto Renzi. Durante il comizio Bersani dovrebbe parlare di Mps. Un punto proprio quello del rapporto fra politica e banche che era stato oggetto della sfida fra Bersani e Renzi durante le primarie del partito.

Bersani si toglie la giacca. Poco dopo interviene Bersani che inizia il suo comizio con un "primo omaggio a Matteo", togliendosi la giacca come fa sempre il sindaco di Firenze. "Se lo merita". "Noi non siamo oggi a contarci in un gioco di correnti", qui "non ci sono Bersaniani e Renziani. Qui c'è il Pd" che è "di tutti", spiega. "Invece di discutere della crisi più grave dal dopoguerra, in questa campagna elettorale siamo ancora soltanto al festival delle promesse oppure all'attacco dell'avversario, mentre si evita di parlare del futuro dell'Italia", dice.

"Prodi mandato a casa, io non farò così".  "A chi non ha votato per me vorrei dire che non è sempre stato facile discutere ma non dobbiamo avere paura di chi non la pensa come noi, non dobbiamo pensare che chi dissente è un nemico. Meglio dirci prima le cose sennò i finti unanimismi hanno fatto sì che per due volte Romano Prodi è andato a casa. Non lo faremo". Mentre sul premier uscente attacca: "O girano promesse o aggressioni, un pò di bastonate come suggeriscono i guru. In un anno Monti non ci ha mai trovato un difetto e ora da 15 giorni ce ne trova uno al giorno. Quella di oggi sul Pd nato nel '21 e' veramente infelice. Si può dire di tutto ma non ferire un progetto di cui non ha neanche una vaga idea". E poi sul caso Mps spiega: "Non siamo mammolette e non accettiamo che ci faccia la predica chi ha cancellato il falso in bilancio, che noi reintrodurremo il primo giorno di governo. Noi proponiamo una commissione di inchiesta sull'utilizzo dei derivati e per una regolamentazione più stringente". In campagna elettorale "siamo ancora o al festival delle promesse o all'attacco generico all'avversario", con "promesse e favole invereconde e non degne di un paese serio", aggiunge Bersani.

Poco prima di arrivare al teatro i due leader del Pd si sono incontrati a porte chiuse a palazzo Vecchio, sede del municipio.   Su Twitter intanto spopola l'hashtag #pdbrothers per dimostrare che le ostilità tra i due sono finite con le primarie. Anche il sito del largo del Nazareno, apre la propria homepage con un pdoodle che mostra la foto dei Blues Brothers e la scritta in inglese "Everybody Needs Somebody".
 

(01 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/02/01/news/migliaia_di_persone_per_il_comizio_di_bersani_e_renzi-51731422/


Titolo: BERSANI - Caso Mps, Bersani al contrattacco
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2013, 05:45:20 pm
POLITICA
02/02/2013 - LA POLEMICA POLITICA

Caso Mps, Bersani al contrattacco

Maroni e Ingroia contro Napolitano

L’Ue: “La supervisione Bce aiuterà”


Il leader Pd: «Non accetto che chi ha tolto il reato di falso in bilancio sollevi questi polveroni contro il Pd»

ROMA

Il monito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla vicenda Mps infiamma lo scontro politico. I partiti continuano a fronteggiarsi con toni sempre più accesi sullo scandalo che ha travolto la banca senese. E se da un lato Bersani si schiera con il capo dello Stato, altri - dalla Lega a Ingroia - criticano l’intervento del Colle.
 
Il segretario del Pd, intervistato a “Studio Aperto”, passa al contrattacco: sugli istituti di credito «abbiamo sempre detto che il peso delle fondazioni non può essere predominante» e «bisogna rivedere anche altro» ma io dico «sbrano» perché alla fine «emergeranno tre titoli: il falso in bilancio che non c’è più; il meccanismo dei derivati lasciato troppo correre e lo scudo fiscale che ha consentito rigiri anche di cose poco pulite. Queste cose hanno un nome e un cognome e io non accetterò un polverone da parte di chi le ha messe».
 
Ieri il Presidente della Repubblica aveva sollecitato tutti a evitare il cortocircuito tra stampa e giustizia e aveva invitato a guardare al richiamo «piuttosto brusco» della «Procura della Repubblica di Siena, di fronte alla pubblicazione di notizie» dichiarate «totalmente infondate» e che l’ha portata a «ventilare provvedimenti per aggiotaggio e insider trading». «Abbiamo spesso quasi dei cortocircuiti - è stato il ragionamento di Napolitano - tra informazione, che tende ad avere il massimo di elementi per poter assolvere a un ruolo di propulsione alla ricerca della verità e riservatezza necessaria delle indagini giudiziarie e rispetto del segreto d’indagine».
 
Una tesi che però non convince molti, a partire dal Pdl. No all’uso di «due pesi e due misure», commenta poco dopo il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Gasparri parla di «scandalo gigantesco. Maroni è durissimo: «Conosco e stimo Napolitano, non voglio pensare questo, ma la brutta impressione è che sia sceso in campo per coprire lo scandalo Mps e attenuare i riflessi negativi che sta avendo sulle sorti elettorali del Pd». Sul fronte opposto anche Ingroia non risparmia una stoccata a Napolitano: «Non credo che l’aspetto più grave sia il cortocircuito tra informazione e giustizia - afferma il leader di Rivoluzione civile - . Il cortocircuito più grave è quello tra politica, banche e finanza, lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, dei soldi che non si sa dove siano finiti, che Monti abbia dato soldi al Mps togliendoli alle tasche degli italiani senza controllare come sarebbero stati spesi e che i partiti sono ancora dentro la gestione delle banche attraverso le fondazioni. Queste mi sembrano le cose gravi».
 
Di Pietro si augura che «i magistrati siano lasciati in pace a fare il loro dovere». «Mai come ora i cittadini devono sapere», dice il leader Idv. Bersani invece difende l’intervento del Quirinale: «Voglio sottolineare le parole del capo dello Stato. I magistrati devono fare il loro delicato lavoro serenamente e deve esserci rapporto sereno tra magistratura e informazione». Sulla vicenda si fa sentire anche Bruxelles. Con i poteri di «supervisione alla Bce si assicurerà un controllo più efficace» che aiuterà a evitare anche casi come quello di Mps, afferma un portavoce della Commissione rispondendo a chi gli chiedeva se con la supervisione unica si riduce il rischio di incorrere in casi come quello dei derivati Mps.

da - http://www.lastampa.it/2013/02/02/italia/politica/caso-mps-bersani-al-contrattacco-maroni-e-ingroia-contro-napolitano-BnuAzCkiF9ywc1BmYfFqON/pagina.html


Titolo: BERSANI - Bersani: «Pronti a collaborare con Monti» (OTTIMA COSA!)
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2013, 06:56:22 pm
IL LEADER DEL CENTROSINISTRA

Bersani: «Pronti a collaborare con Monti»

La replica: «Disponibile con chi vuole riforme»

Il candidato del centrosinistra a Berlino: «Disposti a lavorare con chiunque sta contro leghismo e berlusconismo»


«Noi siamo prontissimi a collaborare con tutte le forze contro il leghismo, contro il berlusconismo, contro il populismo. E quindi certamente anche con il professor Monti» Pierluigi Bersani a Berlino lancia la proposta a Monti. Un'apertura che è stata raccolta dal premier uscente con queste parole «Apprezzo ogni apertura e ogni disponibilità e anche questa frase che Bersani ha detto dalla Germania, dove, mi pare, la politica fatta in quest'ultimo anno con l'aiuto del Parlamento, è stata apprezzata», così il premier Mario Monti, a Pordenone, ha commentato le parole del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. «Io - ha assicurato - sarò disponibile ad alleanze con tutti e solo coloro che saranno seriamente impegnati sul piano delle riforme strutturali».

LAVORO E PENSIONI - Parlando al German council on Foreign Relations, il segretario del Pd ha ripercorso la parabola della discesa in campo del premier. «Monti è arrivato da solo. Era il professor Monti. Non aveva una forza politica né una maggioranza parlamentare. Gliele abbiamo date noi. Noi abbiamo voluto Monti, noi abbiamo affrontato il popolo che ha visto la riforma del lavoro e delle pensioni. Ci riteniamo protagonisti nel bene e nel male di questo anno e mezzo».

LE REAZIONI - L'apertura di Bersani a Monti consente alla sua concorrenza a sinistra di incalzarlo: «Bersani ha fatto la sua scelta. Quella di stare dalla parte dei poteri forti tutelati da Monti anziché dei cittadini senza potere che evidentemente siamo solo noi a tutelare. Gli elettori ne prendano atto», ha detto il leader di Rivoluzione civile, Antonio Ingroia. Non mancano le critiche anche dal centro destra: «Bersani si dice "prontissimo a collaborare con Monti. Che c'entri una certa banca di Siena? Più dell'onor potè l'inciucio...», ha scritto su Twitter Roberto Maroni. Mentre Sandro Bondi, senatore del Pdl commenta: «È evidente che, al di là della cortina fumogena appositamente concordata, dopo le elezioni Monti e Bersani si propongono di formare una intesa di governo che garantisca la Germania, come rivela l'incontro di Bersani con il custode del rigore del governo tedesco. Solo gli elettori possono sventare questo patto ai danni dell' italia».

Redazione Online

5 febbraio 2013 | 16:56© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_febbraio_05/bersani-pronto-collaborare-con-monti_eb6fd228-6f9c-11e2-b08e-f198d7ad0aac.shtml


Titolo: BERSANI - «Non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi»
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2013, 10:12:01 pm
«Non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi»

Bersani: noi per un governo di combattimento

«Il Movimento 5 Stelle è il primo partito, ora Grillo ci dica cosa vuole fare. Ciascuno si prenda le sue responsabilità»


La faccia è scura. Preoccupata. Tirata. È il momento di Pier Luigi Bersani. Il primo commento del segretario del Pd dopo i risultati delle elezioni. Si parte con una ammissione: «È chiaro che chi non riesce a garantire governabilità non può dire di aver vinto. Non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi e questa è la nostra delusione». E sono «due elementi di fondo» che secondo Bersani hanno influito: «Il primo della crisi: la recessione più grave del dopoguerra a oggi.E la disoccupazione giovanile».Ma soprattutto «c'è stato un rifiuto della politica così come si è presentata in questi anni, di istituzioni inefficienti e di una politica apparsa moralmente non credibile».

I PUNTI DEL PD -Il pallino, per ora, è in mano al Pd. Ed elenca i tre punti da cui non vuole prescindere. «Perché non è l'ora della diplomazia». Dunque i temi da affrontare per la prossima legislatura sono riforme istituzionali, quella «della politica e dei suoi costi, poi la legge sui partiti e una moralità pubblica e privata». Un programma essenziale. Perché Bersani dice di no «a discorsi a tavolino su alleanze. Ognuno si deve prendere le responsabilità in Parlamento».

IN PARLAMENTO E IL PDL - Una certezza c'è: «Bisogna cambiare». Per questo lui vuole fare un «governo di cambiamento». Anzi, «di combattimento». E su una cosa chiarisce: «No a discorsi a tavolino sulle alleanze». Per questo «consegneremo al presidente della Repubblica le nostre impressioni. Le nostre valutazioni. E alla fine sarà lui a dire chi è in grado di poter fare il governo in questo passaggio difficile». In ogni caso «noi ci rivolgeremo al Parlamento». Quindi è escluso un «governissimo con il Pdl». Certo, «ci confronteremo ma non penso che atteggiamenti diplomatici corrispondano al cambiamento che dicevo, dobbiamo ribaltare lo schema, non credo che il paese tolleri balletti di diplomazia...si riposassero».

IL M5S - Scartata dunque una possibile alleanza con il Pdl, Bersani guarda a Grillo che per stessa ammissione del segretario è il primo partito. Quindi, «ora è lui che ci deve dire che cosa vuole fare». E attende « l'insediamento del Parlamento. E lì ci saranno le possibilità istituzionali». Per le presidenze di Montecitorio e Palazzo Madama, Bersani si dice «favorevole alla co-responsabilità. Il Movimento 5 Stelle è primo alla Camera. Ciascuno si prenda le sue responsabilità». Ma su una cosa chiarisce: «Certamente un'Italia che si staccasse dall'Europa sarebbe un disastro, questa è matematica non è un'opinione». Certo, altro discorso è «se si dice che bisogna chiedere una rivisitazione della politica economica e ci sono proposte dei progressisti».

IL SINDACO DI FIRENZE - A chi gli chiede se non era meglio far correre Renzi, lui risponde «Non se avremmo vinto. Io ho fatto le primarie. Di più non potevo fare».

Benedetta Argentieri

bargentieri@corriere.it

26 febbraio 2013 | 18:08© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/26-febbraio-bersani_8dc898c2-802b-11e2-b0f8-b0cda815bb62.shtml


Titolo: Intervista a Pier Luigi Bersani di Massimo Giannini
Inserito da: Admin - Marzo 03, 2013, 11:19:34 pm

PD – Partito Democratico

Il mio piano per governare

Intervista a Pier Luigi Bersani di Massimo Giannini - La Repubblica

pubblicato il 1 marzo 2013 ,

Chiamatelo come volete: governo di minoranza, governo di scopo, non mi interessa. Mercoledì prossimo lo proporrò in direzione, poi al Capo dello Stato: io lo chiamo un governo del cambiamento, che mi assumo la responsabilità di guidare, che propone sette o otto punti qualificanti e che chiede in Parlamento la fiducia a chi ci sta». Pierluigi Bersani si gioca così le ultime carte. Chiuso nel suo ufficio, tormenta il solito toscano spento. Ma appare molto più battagliero della mesta conferenza stampa di martedì scorso. Il leader del Pd prova a uscire dall'angolo rilanciando la sfida a Grillo («i suoi insulti non mi spaventano»), aprendo alle ipotesi di offrire le alte cariche dello Stato a M5S e Pdl «sui ruoli istituzionali siamo pronti a esaminare tutti gli scenari») ma chiudendo definitivamente la porta a qualunque "governissimo" con Berlusconi («ora basta, di occasioni per dimostrarsi responsabile ne ha avute e le ha sprecate tutte»).

Segretario, partiamo dall`inizio. Il giorno dopo lo tsunami. Cos`ha provato, lunedì sera?

«Come ho già detto: una delusione per una governabilità a rischio».

Vogliamo dirlo? Queste elezioni le avete perse.

«Anche se per la prima volta un partito di centro sinistra ha avuto la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato questo non ci ha consegnato di per sé la soluzione, come avverrebbe in altre democrazie del mondo...».

Non parli in politichese. Avete vinto numericamente, ma avete perso politicamente. Il Pd ha dilapidato 3 milioni 600 mila voti, con il neo-liberismo in crisi, l`onda lunga delle sinistre in Europa, la destra berlusconiana distrutta in Italia. Quando vi ricapiterà un`occasione del genere?

«Certamente questa ondata di protesta ed esigenza di cambiamento ci è arrivata in casa. Ma non è vero che le "condizioni di sistema" erano così favorevoli. Sul terreno sociale non lo erano affatto. E questo io l`avevo percepito. Si vada a rileggere tutto quello che ho detto in campagna elettorale, e vedrà se non è vero».

Se fosse vero, gli italiani l`avrebbero votata in massa. Se non è successo la colpa di chi è? Degli italiani che non hanno capito, odi voi che non vi siete spiegati?

«Ne vedo tanti di dotti, medici e sapienti che sdottoreggiano col senno di poi. Io non ho mai pensato che se non vinciamo la colpa è degli italiani che non ci capiscono. E neanche penso che quel che è avvenuto sia riconducibile a errori della campagna elettorale che possono sempre esserci. Si sono fronteggiati una destra che proponeva soluzioni fiscali oniriche e Grillo che proponeva la palingenesi. Mi vuol far dire che avremmo dovuto coltivare anche noi un messaggio che si inserisse tra l`impossibile e l`irrazionale? Avremmo dovuto essere un po` meno "realisti"? Non sono convinto di questo. In campagna elettorale ho sempre detto che il cuore della crisi italiana nasceva dai temi sociali, dall`impoverimento e dall`allargamento della forbice delle disuguaglianze».

L`impressione è che siate rimasti ingabbiati tra la solita paura di scoprirvi a sinistra e la solita necessità di aprire al centro, tanto più che sapevano tutti che dopo il voto avreste fatto l`accordo con Monti.

«E' innegabile che la necessità di non rompere con Monti ci ha condizionato. E in questo condizionamento qualcosa abbiamo pagato».

In più avete sottovalutato la rabbia degli italiani, che mentre pagavano l`Imu vedevano moltiplicarsi gli scandali e non vedevano limiti ai privilegi della casta.

«Ho sempre avuto chiaro quanto contassero anche i nodi dei costi e dei meccanismi della nostra democrazia, che via via sono diventati una pregiudiziale ineludibile per tanti elettori che hanno scelto il Movimento 5 Stelle...».

Ma lo tsunami vi ha travolto lo stesso. Evidentemente il messaggio sul cambiamento è stato vago, o non abbastanza forte.

«No, su questo non ci sto. Si può dire che non siamo riusciti ad evitare che il fenomeno del voto del disagio e della protesta ci venisse in casa. Ma non mi si venga a dire che non avevamo visto il pericolo. Se non l` avessi visto non avrei fatto le primarie, mettendomi in gioco, e non avrei fatto le "parlamentarie". E oggi lo tsunami non l`avremmo preso di striscio, ma in piena faccia. Se abbiamo un Parlamento tutto nuovo il grosso del merito è nostro: il 42% dei nuovi sono donne, e su 340 deputati dei nostri eletti alla Camera io ne conosco al massimo il 10%. In campagna elettorale ho passato giorno e notte a divincolarmi, tra chi mi chiedeva a quanti centimetri di distanza il Pd dovesse stare da Monti o da Vendola. Mi sono sgolato a rispondere "voi siete matti, non vedete che il problema non è questo?"».

 Lei si sgolava pure, ma non si chiede perché non l`abbiamo sentita?

«Vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa in campagna elettorale? Accetto anche questo. Ma vede, insistere su questo vuol dire rimuovere la questione di fondo. Le ragioni che spiegano la novità del voto le ho indicate più volte e ora devo solo rafforzarle. Negli ultimi due anni la riduzione di Pil e la distruzione di valore aggiunto e posti di lavoro è comparabile solo con quello che è successo dopo l`ultima Guerra Mondiale. Di fronte a questo dramma la politica è apparsa impotente o immorale. Chiedersi "quanto ci costa un parlamentare" è l`altra faccia del chiedersi "a che serve un parlamentare". La democrazia rappresentativa ha dimostrato di non padroneggiare l`avvitamento in atto tra austerità e recessione. E un tema europeo, ma è un tema ancora di più italiano. Questa crisi ha creato correnti fortissime, l`opinione pubblica si è divisa tra istanze di innovazione, proteste radicali, linee di fuga utopiche, scorciatoie per cercare il meglio dal peggio, tipo "usciamo dall`euro". Qui, in questo punto, sta il che fare...».

Bene, ce lo spieghi. Che fare?

«Prima di tutto c`è da rispettare l`esito del voto. In secondo luogo c`è bisogno che ciascuno si assuma le sue responsabilità. A noi spettata prima parola perché abbiamo la maggioranza, larga alla Camera e relativa al Senato. E allora, per noi responsabilità significa cambiamento. Il cambiamento non è un`esclusiva di M5S. Anche noi l`abbiamo chiesto, l`abbiamo praticato e oggi e lo invochiamo con ancora più forza».

In che modo? Qual è la sua proposta per dare governabilità al Paese?

«Voglio ribaltare lo schema. Mercoledì prossimo in direzione mi assumerò la responsabilità di formali fare la proposta di un governo di cambiamento, che segnali in modo netto il cambio di fase con sette - otto punti programmatici. Il primo tema è l`Europa.Voglio che il prossimo governo ponga una questione dirimente, di cui ho parlato al telefono con Hollande l`altroieri: l`austerità da sola ci porta al disastro. In sede europea, tutti devono mettersi in testa che il rientro dal debito e dal deficit è un tema che va spostato nel medio periodo: ora c`è un`altra urgenza assoluta, il lavoro. Il secondo tema è quello sociale. Il disagio è troppo forte, i comuni devono poter aprire sportelli di sostegno, bisogna sbloccare subito i pagamenti della PA alle imprese e introdurre sistemi universalistici negli ammortizzatori sociali. Il terzo tema è la democrazia. Il nuovo governo, immediatamente, deve dimezzare il numero dei parlamentari, abbattere gli stipendi al livello di quelli dei sindaci, varare leggi che regolino la vita dei partiti e non solo per i finanziamenti, che inaspriscano drasticamente le norme anti-corruzione e che regolino finalmente i conflitti di interessi. Ciascuno di questi punti si tradurrà in un specifico disegno di legge, che giorno dopo giorno farò pubblicare in rete già da giovedì mattina. Questo mi offrirà la gradevole opportunità di rilanciare anche qualche vecchia idea, come la creazione di un ministero per lo Sviluppo Sostenibile, visto che l`economia verde deve essere il cuore del nuovo governo che ho in testa».

Perfetto. E con questa piattaforma programmatica cosa ci farà, una volta ottenuto il via libera dalla direzione del Pd?

«Quando il Capo dello Stato mi chiamerà per le consultazioni, io presenterò questa piattaforma come base per un governo di cambiamento...».

... Di cui lei si candida a fare il presidente del Consiglio?

«Sì. Questa sarà la mia proposta a Napolitano. Con questa piattaforma io mi presento in Parlamento, perché è ora che questo Parlamento fortemente rinnovato torni a svolgere fino in fondo il suo ruolo. Con questa piattaforma io mi rivolgo a tutte le forze politiche, per vedere chi è pronto ad assumersi le proprie responsabilità».

E questo cosa sarebbe? Un governo di minoranza, un governo di scopo, che si va a cercarei voti dove li trova, senza maggioranze precostituite?

«Lo chiami come vuole. Per me è un govemo di cambiamento, che come tutti i governi chiederà la fiducia. La mia partita la gioco a viso aperto, e questo vuoi dire che non ci sono tavoli segreti, inciuci o caminetti».

Grillo dice: "sceglierò legge per legge cosa votare"...

«Leggendo la nostra costituzione, votare legge per legge non è sufficiente, perché un governo nasce con un voto di fiducia o non nasce per niente. Ora sta a lui scegliere. Il cambiamento non lo fai con quelli che di una torta si vogliono mangiare solo la ciliegina. Il Paese va governato, non può essere lasciato allo sbando di fronte all`Europa e ai mercati».

D`Alema propone di cedere a M5S e al Pdl la presidenza di Camera e Senato. Lei è d`accordo?

«Non mi discosto da quello che ho detto in campagna elettorale. Chi arriva primo non ha l`esclusiva sulle cariche istituzionali. Ma ci sono due aspetti che mi preme sottolineare. Il primo: l`emergenza non si affronta con i vecchi schemi da cittadella assediata della politica. Il secondo: quando ci sono in ballo le istituzioni sono aperto a tutte le ipotesi, ma quando si parla di governo non possono esserci ambiguità...».

Appunto, Hic Rhodus. Se salta lo schema del suo "governo di cambiamento" lei è pronto o no a fare il patto col diavolo, cioè un governo di larghe intese con il Berlusconi "statista" che dice "questa è l`ora della responsabilità"?

«Senta, in questi anni Berlusconi di "ore della responsabilità" ne ha avute a bizzeffe, e le ha mancate tutte. La responsabilità lui non la concepisce al di fuori degli interessi suoi e dei suoi. Dunque, lo voglio dire con assoluta chiarezza: l`ipotesi delle larghe intese non esiste e non esisterà mai».

Eppure sembra che anche nel Pd ci siano forti pressioni su di lei.

«Pressioni ce ne sono tante, e di tutti i tipi. Anche la base preme, e in direzione opposta a quella delle larghe intese. Per fortuna siamo un grande partito, che discute e decide in organismi collegiali. Proposte di governissimo finora non ne ho sentite. Sarebbero la morte del Pd, sarebbero risposte di una politica che rifiuta la realtà e si chiude in se stessa. Io ho un`altra idea: come ho detto sempre in campagna elettorale serve un governo di combattimento, e io sono pronto a guidarlo».

Ma se Grillo le risponde picche, e le ripete che lei è "un morto che cammina" che si fa?

«Mi aspettavo che Grillo rispondesse così. Ma sbaglia di grosso, se pensa di aver davanti uno che si impressiona. A Grillo voglio solo dire che accolgo il suggerimento di Vasco Rossi: "fottitene dell`orgoglio". Lui può insultare finché vuole, ma deve venire in Parlamento a dirmelo. Gli lancio questa sfida. Il governo di cambiamento che propongo non risponde solo al sentire del suo popolo, ma anche del mio. Finora il suo slogan è stato "tutti a casa". Bene, ora che dentro la casa c`è anche lui dica con chiarezza se vuole andare via anche lui o se è interessato a ristrutturare la casa».

Non mi ha detto se nel suo pacchetto c`è anche la riforma della legge elettorale, visto gli ennesimi disastri prodotti dal Procellum.

«È certamente una priorità. Bisognerà verificare le posizioni altrui. Noi la nostra proposta l`abbiamo già presentata in Parlamento:maggioritario a doppio turno, sul modello francese».

D`Alema, evidentemente per blandire il Pdl, propone di inserire il presidenzialismo. Lei condivide?

«Nella nostra proposta deliberata dall`Assemblea nazionale il presidenzialismo non c`è».

Senta, ma se il suo governo di cambiamento fallisce che succede? Si torna a votare?

«Non ho subordinate. Questa è la mia proposta. Deciderà il presidente della Repubblica, con la sua consueta saggezza».

Lei si sta giocando l`osso del collo. Non ha mai pensato di dimettersi, in questi giorni? E che farà se la sua proposta non va in porto?

«Dimissioni? Sono due anni che dico che questo 2013 per me è l`ultimo giro. Lo so e l`ho sempre saputo. Ma da mozzo o da comandante, io non lascio la nave...».

Segretario, dica la verità. Quanto pesa l`istinto di sopravvivenza delle nomenklature?

«Non scherziamo. Qui c`è un Paese da salvare. Per quel che riguarda me chi pensa che sia in gioco una questione personale o è un meschino, o è un cretino».

Fonte: La Repubblica

DA - http://www.partitodemocratico.it/doc/251447/il-mio-piano-per-governare.htm


Titolo: BERSANI - dal piano di Bersani al governo del presidente.
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2013, 11:07:19 pm
Il sudoku del post voto: dal piano di Bersani al governo del presidente.

Ecco le 5 ipotesi

di Vittorio Nuti

7 marzo 2013Commenti (9)


La direzione nazionale del Pd ieri ha approvato in massa la linea del segretario Bersani, incardinata su un governo di minoranza che strizza l'occhio ai grillini grazie ad un programma di 8 punti vicino ad alcune istanze del Movimento. Il sudoku del post voto è però tutt'altro che risolto, perché l'ipotesi Governo di minoranza è solo una tra le molte sul tavolo del capo dello Stato, tutte con quotazioni oscillanti a seconda della giornata e degli umori dei vari leader. Passiamole in rassegna.

Incarico a Bersani e governo di minoranza targato Pd
È l'ipotesi sostenuta da Pier Luigi Bersani: grazie al premio di maggioranza imposto dal "Porcellum", il Pd ha tre volte i deputati di Grillo, il doppio di quelli di Berlusconi, e si candida a guidare il governo contando sulla possibile uscita dall'aula del Senato dei grillini, che negli ultimi giorni hanno però sempre confermato il loro «no» ad ogni possibile appoggio ai democrats. Il Quirinale, anche per questa ragione, è molto freddo all'idea di concretizzare la cosa. Ma Bersani non demorde, anche perché la direzione Pd (per ora) non ha chiesto un cambio di rotta. «Da questa riunione di ipotesi B non ne sono venute, è venuta una iniziativa A», ha sottolineato il segretario nella sua replica finale, per poi ammettere: «è un sentiero molto stretto, o lo si supera e si comincia con un governo che cambi davvero le cose, o almeno questo sentiero lo si sgombrerà dalla nebbia». Una soddisfazione, in tempi così incerti.

Da valutare poi il ruolo di Renzi, che ha assistito alla relazione Bersani del mattino ma poi ha lasciato la riunione senza commentare: chi tace acconsente - come sostiene Vannino Chiti - o chi tace sta zitto, come crede chi conta in una scelta attendista da leader di riserva? Lo capiremo nei prossimi giorni.

Governo di scopo tecnico istituzionale o "del Presidente"
Se la prima ipotesi, come sembra assai probabile, non andrà in porto, prenderà corpo come "piano B". Non dei democratici ma del Quirinale, che potrebbe essere costretto a giocare la carta del governo "politico istituzionale" cui affidare come compito principale quello di modificare la legge elettorale, di mettere in cantiere alcune riforme istituzionali e di varare i provvedimenti necessari a sostenere l'economia prima del ritorno alle urne. Chi lo guiderebbe? Sarebbe sicuramente un governo a termine, composto da figure di riconosciuta autorevolezza a cavallo tra il modo politico e quello istituzionale, in grado di ricevere il consenso di un'ampia maggioranza in Parlamento.

Monti-bis e prorogatio del Governo del Professore dimissionario
Non è fantapolitica, ma una ipotesi che Napolitano potrebbe essere costretto a percorrere se le due precedenti formule non trovassero i voti necessari in Parlamento. Il programma, in questo caso, non potrebbe essere molto diverso da quello di un Governo di scopo, quindi legge elettorale in tempi brevi e misure tampone in economia per tranquillizzare i mercati. Un contributo in questa direzione potrebbe arrivare dal dialogo che lo stesso Monti ha aperto con il sindaco di Firenze Matteo Renzi, uscito sconfitto dalle primarie del Pd per il candidato premier. Intanto, mentre si cercano soluzioni di governo, il premier dimissionario Monti va comunque avanti e governa in regime di "ordinaria amministrazione".

Spazio agli ultimi arrivati: Governo "a 5 stelle"
Al momento non ci pensa davvero nessuno, neanche i diretti interessati, anche per la dichiarata inesperienza dei grillini, ma nei partiti "tradizionali" potrebbe affacciarsi la tentazione di "mettere alla prova" i nuovi arrivati.

Governissimo Pdl-Pd o esecutivo di "Grande coalizione"
Insieme alla precedente, nella scala delle probabilità, è l'ipotesi che più si avvicina allo zero, almeno sotto forma di un'alleanza diretta tra il maggiore partito del centrodestra ed il maggiore partito della sinistra: la distanza tra Pd e Pdl è antropologica e culturale, ribadita in tutte le salse dall'ultima direzione dei democratici. Il centrodestra, Berlusconi in testa, però ci spera, convinto che sia l'unico modo per giocare ancora un ruolo "pesante". Per rimetterla in pista, da qui al 15 marzo quando si riuniranno per la prima volta le Camere, dovrebbero davvero cambiare troppe cose negli assetti e negli equilibri della sinistra. Da registrare, comunque, la posizione solitaria di un peso massimo come Massimo D'Alema, che ieri in direzione ha messo in guardia da chi teme che si arrivi ad un accordo con i berluscones: «Vogliamo liberarci dal complesso, dalla malattia psicologica dell'inciucio? Gramsci diceva che la paura dei compromessi é l'emanazione di una subalternità culturale che serpeggia nelle nostre file. Il fatto che in un Paese in cui da vent'anni le forze politiche non sono d'accordo su nulla il dibattito sia dominato dall'inciucio é segno di fragilità culturale». Poco prima, si era rammaricato «che non sia possibile l'unità nazionale. Colpa di Berlusconi, non ce ne possiamo rallegrare: il tentativo di comprare parlamentari é un attentato alla democrazia. Lo steccato sta nel leader che guida la destra». E se Berlusconi facesse un passo indietro? Al momento è impossibile, ma domani, chissà…

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-03-06/piano-bersani-prova-sudoku-212049.shtml?uuid=AbWMfZbH


Titolo: Così Bersani giaguaresca un po'
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2013, 05:12:40 pm
17 marzo 2013 - 11:31

Così Bersani giaguaresca un po'

La frase di Pier Luigi Bersani più smentita dai fatti e dallo stesso Bersani non è quella sul giaguaro, ma quella sul fatto che di tattica si possa anche morire.

Con le elezioni di Pietro Grasso e Laura Boldrini alla presidenza del Senato e della Camera, infatti, Bersani ha dimostrato che di tattica si può anche sopravvivere un po'. Male che gli vada, ha iniziato nel migliore dei modi la sua campagna elettorale all'insegna dell'inseguimento dei voti di sinistra andati a Beppe Grillo alle elezioni del giaguaro non smacchiato, bene che gli vada si ritrova premier di un governo fatto dalla ricompattata alleanza di centrosinistra (con Boldrini alla Camera il partito unico Pd-Sel è quasi fatto) più spezzoni vari di dissidenti vari al Senato. Poi al paese forse servirebbe un governo forte, coraggioso e capace di fare riforme profonde. Ma questo è un altro discorso, da rinviare magari a dopo le prossime elezioni. Si vedrà.

da - http://danielebellasio.blog.ilsole24ore.com/danton/2013/03/cos%C3%AC-bersani-giaguaresca-un-po.html


Titolo: BERSANI - Il leader democratico incontra oggi le formazioni politiche.
Inserito da: Admin - Marzo 26, 2013, 11:23:15 pm
Consultazioni, Bersani alla prova dei partiti.

Alfano: "Posizioni distanti, così si va al voto"

Il leader democratico incontra oggi le formazioni politiche.

Dal Pdl ancora un no a qualsiasi forma di sostegno che non passi da una "grande coalizione".

La neo parlamentare del Pd Alessandra Moretti: "Giovedì al Quirinale il segretario andrà con l'esito delle consultazioni e chiederà a Napolitano di andare in Parlamento e di presentare gli otto punti"


ROMA - "La via migliore è la collaborazione". Lo ha detto Angelino Alfano al termine dell'incontro con Pierluigi Bersani nell'ambito del quarto giorno di consultazioni sulla formazione del nuovo governo. Il segretario del Pdl ha aggiunto che "la soluzione più sperimentata in Europa è quella della corresponsabilità tra le forze principali". "Questa collaborazione - ha precisato - non può non tenere conto che il turno elettorale coincide con l'elezione del presidente della Repubblica. Le forze politiche che hanno avuto massima rappresentanze vanno coinvolte in momento così delicato".

Da Maroni ok ad Alfano. "Noi non abbiamo posto preclusioni su nessuno ma considereremmo incomprensibile un atteggiamento di chiusura da parte di chi ha vinto solo con uno scarto dello 0,3% di voti e se così fosse mancherebbe in assoluto e in ogni forma il nostro sostegno alla nascita del governo Bersani", ha detto ancora Alfano. Dopo di lui ha preso la parola il segretario della Lega Nord Roberto Maroni, spiegando di condividere in pieno le parole dell'ex ministro della Giustizia. "Auspichiamo un governo a guida politica - ha commentato - basta con i tecnici. Serve un governo di legislatura che duri, solo così si affrontano e risolvono i problemi e lo dico in veste di governatore".

Alfano ha chiarito poi  che al momento tra Pd e centrodestra "le posizioni restano molto distanti e se così resteranno anche nelle ultime 48 ore ribadiremo che l'unica strada è tornare al voto".

Consultate da sabato a ieri parti sociali di assai diverso ordine e grado, da oggi sono iniziati per Bersani gli incontri con le forze politiche, dopo aver respinto al mittente l'offerta di Berlusconi su Alfano come vice e aver incassato ieri la fiducia piena dalla direzione Pd, in una riunione lampo durata meno di un'ora.

Giovedì al Colle. I colloqui con i partiti dureranno oggi e domani. Giovedì Bersani è atteso al Quirinale per fare le sue valutazioni e richieste e mettere Napolitano in condizione di tirare le somme sull'incarico: mettere la parola fine all'esplorazione del segretario Pd, dare il via libera alla nascita di un suo governo che vada la prossima settimana alle Camere a chiedere il voto di fiducia.

La neo parlamentare del Pd Alessandra Moretti si dichiara ottimista: "Giovedì al Quirinale Bersani andrà con l'esito delle consultazioni e chiederà a Napolitano di andare in Parlamento e di presentare gli otto punti". "Se avessi Berlusconi qui davanti a me - ha continuato in un'intervista al Tgcom24- gli chiederei  di fare un passo indietro". Ribadendo che "noi apriamo al Pdl per quanto riguarda le riforme costituzionali, ma sull'attività di governo ci sono delle incompatibilità evidenti a partire dalla figura di Berlusconi".

Alle 17.45 è previsto il faccia afaccia tra Bersani e i montiani di Scelta Civica. Passaggio tutt'altro che scontato perché un loro eventuale no al governo Bersani senza accordo certo con il centrodestra potrebbe tagliare la gambe definitivamente al lavoro del leader Pd.

M5S mercoledì. Domani, invece, il leader democratico chiude le consultazioni con gli alleati di Sel di Nichi Vendola, i capigruppo del suo partito e con il Movimento Cinque Stelle. Non è ancora dato sapere se Beppe Grillo in persona bisserà la consultazione come fatto con Napolitano la scorsa settimana al Quirinale, onde evitare tentazioni di voto autonomo di qualcuno dei suoi parlamentari. E' invece certa la richiesta di diretta streaming del colloquio con Bersani venuta dai grillini, onde fugare anche solo il sospetto di  "accordi non rivelabili" fra il Movimento e il leader Pd. Oggi una parziale apertura a Bersani è arrivata dal deputato del M5S Matteo Dall'Osso. "Vogliamo un governo a cinque stelle non dei cinque stelle, ovvero un governo con personalità estranee alla politica", ha affermato a Radio 24, elencando alcuni nomi: "tipo i giornalisti Saviano, Gabanelli, come premier magari Zagrebelsky, ex giudice della corte costituzionale". Perché non Bersani premier? "Lui - ha risposto ancora il parlamentare - è stato ministro dell'industria e non delego una persona così. Non la diamo la fiducia a lui, se vuole crea un Governo con personalità superpartes che ne sanno del proprio lavoro non legate ai partiti. Se vogliono metterci in difficoltà devono fare così".

Sì alla fiducia da Union Valdotaine e Gruppo Misto. Le consultazioni di oggi si sono aperte alle 10 con la delegazione del gruppo della Minoranza linguistica della Valle d'Aosta, che si è dichiarato "pronto ad appoggiare quella che sarà la proposta di governo". "Ci sono state date garanzie sulle autonomie", spiegano  il loro rappresentanti Albert Laniece, Rudy Franco e Margue Rettaz. Appoggio a Bersani e no deciso alle larghe intese anche da parte del Gruppo Misto al Senato: "E' necessario e auspichiamo che si possa arrivare alla formazione di un governo su dei punti chiari che sono gli otto punti di Bersani, ma ce ne possono essere anche altri", ha detto la senatrice Loredana De Petris. "Non saremo mai d'accordo- aggiunge De Petris- a ipotesi di governo di coalizione Pdl-Pd, perchè non farebbero bene al Paese".
 
Sostegno anche dal Psi alleato del Pd nella coalizione di centrosinistra. Il segretario Riccardo Nencini auspica un "esecutivo di cambiamento aperto alle eccellenze". Vasco Errani, in rappresentanza della Conferenza delle Regioni, manifesta la volontà di collaborare a un "governo allargato del Paese" e chiede che vengano "assicurate date certe per le riforme istituzionali". Propone, inoltre, che venga ristabilito il fondo sanitario nazionale e si attui una revisione del patto di stabilità interna per le regioni. Occorre poi evitare l'aumento dell'Iva e rivedere l'Imu sulla prima casa.

L'incontro con Bagnasco. Pier Luigi Bersani ha incontrato anche il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale Angelo Bagnasco.

Le consultazioni dei giorni scorsi. Ieri si erano sono svolti gli incontri con Cgil, Cisl, Uil, Ugl; con Rete imprese Italia; con una rappresentanza del mondo ambientalista; con don Luigi Ciotti; con il Forum delle associazioni giovanili e del consiglio nazionale degli studenti; con il Consiglio italiano del movimento europeo, con il Movimento federalista europeo e la Gioventù federalista europea.

Domenica, invece, Bersani aveva incontrato Confagricoltura, Cia, Copagri, Confcooperative, Coldiretti, il presidente Censis Giuseppe De Rita, Confindustria, Alleanza cooperative italiane, Confapi, Confprofessioni, Abi, Ania.  Le consultazioni di Bersani erani iniziate sabato con Anci e Forum terzo settore. Oltre a un colloquio telefonico con Roberto Saviano. Mentre venerdì, dopo aver ricevuto l'incarico al Quirinale, il leader Pd aveva incontrato prima i capigruppo del suo partito e poi i presidenti del Senato e della Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini.
 

(26 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/26/news/consultazioni_bersani_alla_prova_dei_partiti_pdl-lega_ma_senza_berlusconi_poi_i_montiani-55369058/?ref=HRER3-1


Titolo: BERSANI - "No al governissimo altrimenti arriveranno giorni peggiori"
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2013, 11:12:28 am
Bersani a Repubblica: "No al governissimo altrimenti arriveranno giorni peggiori"

Lettera del segretario del Pd: "Io ci sono solo se sarò utile, ma non sarò d'intralcio. L'importante è non fare un governo che viva di equilibrismi o di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico".

Ma nel partito cresce la fazione del 'no al voto' che critica il leader


ROMA - Pier Luigi Bersani ribadisce il suo no al governissimo e lo fa con una lettera aperta a Repubblica. Testo in cui inoltre sottolinea, ribadisce, che un governo di cambiamento, "che non viva di equilibrismi", può anche prescindere dalla sua persona. Lo dice: "Non voglio essere d'intralcio". E' la risposta del segretario Pd alle tensioni che in questi giorni di crisi muovono, e in parte spaccano, il partito, tra chi pensa di aprire al Pdl di Berlusconi e chi invece non ne vuole sapere.
 

Caro direttore,
nell'articolo domenicale di Eugenio Scalfari, insieme con tante considerazioni che mi trovano d'accordo, c'è un passaggio che mi offre l'occasione di una precisazione. Scalfari scrive: "Non condivido la tenacia con cui Bersani ripropone la sua candidatura". L'osservazione è inserita, al solito, in un contesto amichevole e rispettoso di cui ringrazio Scalfari. Devo registrare tuttavia che una valutazione simile si fa sentire anche in contesti ben meno amichevoli. Nelle critiche aggressive e talvolta oltraggiose di questi giorni, nelle inesauribili e stupefacenti dietrologie, e perfino nelle analisi psicologiche di chi si è avventurosamente inoltrato nei miei stati d'animo, non è mai mancata la denuncia verso una sorta di puntiglio bersaniano.

Ecco dunque l'occasione per precisare. La proposta che ho avanzato assieme al mio partito (governo di cambiamento, convenzione per le riforme) non è proprietà di Bersani. Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio. Esistono altre proposte che, in un Paese in tumulto, non contraddicano l'esigenza di cambiamento e che prescindano dalla mia persona? Nessuna difficoltà a sostenerle! Me lo si lasci dire: per chi crede nella dignità della politica e conserva un minimo di autostima, queste sono ovvietà! È forse meno ovvio ribadire una mia convinzione profonda, cui farei fatica a rinunciare. Il nostro Paese è davvero nei guai. Si moltiplicano le condizioni di disagio estremo e si aggrava una radicale caduta di fiducia. Ci vuole un governo, certamente. Ma un governo che possa agire univocamente, che possa rischiare qualcosa, che possa farsi percepire nella dimensione reale, nella vita comune dei cittadini. Non un governo che viva di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico. In questo caso, predisporremmo solo il calendario di giorni peggiori.

È un momento difficile per il Partito democratico, uscito miglior perdente alle elezioni di febbraio, con un'ampia maggioranza alla Camera ma senza possibilità di formare un governo. Tra i vertici del partito si rafforza la fazione del 'no al voto', posizione che è una diretta critica all'operato del segretario. Il sindaco di Firenze tuona sul "fare presto", "o governo o voto" ma garantisce di non volere l'accordo con Berlusconi; Dario Franceschini ha aperto a un patto con il Pdl e l'ha detto usando una formula molto dura: "Basta con i complessi di superiorità, hanno preso gli stessi nostri voti"; e il ministro Fabrizio Barca ha presentato una piattaforma di idee per il Pd pur dicendo "non voglio fare il segretario".

Intanto, mentre il segretario cerca di ricompattare il partito, il Pd ha annunciato ieri una manifestazione di piazza per sabato 13 aprile "contro la povertà".

(08 aprile 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/04/08/news/lettera_bersani_a_repubblica-56165981/?ref=HREC1-1


Titolo: Bersani accerchiato difende la linea: le aperture sono nel nostro percorso
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2013, 11:14:02 am
Il segretario domani riunirà i gruppi: se la proposta cambia, sono io che non ci sto

Bersani accerchiato difende la linea: le aperture sono nel nostro percorso

Il no al governissimo e il sospetto del pressing per fare spazio a Renzi. L'obiettivo resta far partire il governo di minoranza


ROMA - «Non ho alcuna intenzione di gestire questa partita delicatissima in una logica da bunker, non ho mai pensato che tutto debba ruotare attorno a me...». Pier Luigi Bersani smentisce la descrizione di un leader isolato e arroccato, rinchiuso nella ridotta emiliana e pressato ai fianchi dai dirigenti «dialoganti» del Pd. Ma il segretario resta convinto che la sua linea sia l'unica spendibile e che non ci siano alternative alla logica del «doppio binario». Confronto «con tutti» sul Quirinale e poi «governo del cambiamento».

La tenaglia in cui lo hanno stretto uno dopo l'altro Veltroni, D'Alema, Renzi, Fioroni, Franceschini è riuscita, se non altro, a smussare gli spigoli di una posizione che spacca il partito. Il ragionamento di Bersani è adesso più flessibile e morbido nei confronti del Pdl. Ma la sostanza non cambia di molto: «Nessuna grande coalizione, un governissimo è per noi impensabile, non è questa la soluzione che sblocca il Paese. Ci siamo già passati con Monti e non ha funzionato. Sarebbe la palude... E poi, a parte un paio di renziani, tra i parlamentari del Pd non c'è nessuno che lo voterebbe, un esecutivo così».

A giudicare dalle riflessioni di Bersani in queste ore, la traiettoria non è granché mutata. Se Matteo Orfini teme che sia in atto «una conversione a u», il percorso politico non si discosta troppo dal tracciato originario: «Larghissima condivisione sulle riforme e nella scelta del nuovo capo dello Stato». Bersani non ha in mente strappi e intende procedere col suo stile, «un passo alla volta». Prima si vota il capo dello Stato, poi si pensa al governo. Dario Franceschini ha parlato di «esecutivo di transizione» e l'intervista che l'ex segretario ha rilasciato al Corriere è stata letta come una svolta, se non come una plateale rottura. Bersani, anche per ricompattare il partito, vuole invece che si sappia come le aperture al Pdl di Franceschini e Roberto Speranza «stanno dentro al percorso che abbiamo scelto». «Bersani non è isolato - assicura Davide Zoggia -. Anche quelle posizioni si muovono nel solco della direzione nazionale». La chiave del piano di Bersani è la responsabilità per il bene del Paese, ma senza scambi sottobanco o accordi al ribasso. La formula è quella che il direttore Claudio Sardo sintetizza su L'Unità con l'espressione «compromesso democratico». L'idea, cioè, di consentire la nascita di un governo «sotto la responsabilità del Pd» in un momento drammatico per l'Italia, fiaccata da una crisi che può portare al suicidio. In cambio di cosa? La domanda, che molto infastidisce Bersani, è destinata per ora a restare senza risposta. Certo non in cambio di un Guardasigilli amico o di un presidente scelto come garante dei «problemi personali di Berlusconi», come ha lasciato intendere il capogruppo al Senato Luigi Zanda.

Per ora, nelle trattative che preparano l'incontro di metà settimana con il Cavaliere, i bersaniani in soldoni hanno offerto pochino: legittimazione piena sul piano politico, la guida della Convenzione per le riforme e qualche strapuntino parlamentare. La richiesta invece è corposa, si tratterebbe in sostanza del via libera di Berlusconi alla nascita di un esecutivo Bersani. Prospettiva che il segretario non ha affatto abbandonato, come certifica su Twitter il portavoce Stefano Di Traglia: «Il governo di cambiamento che nascerà dovrà dare risposte vere ai fatti di Civitanova e non inseguire il confuso teatrino di questi giorni». Ma come dovrebbe nascere, questo benedetto governo di minoranza? Nel Pd nessuno lo sa. «Ci sono tanti modi per farlo partire», allude a stratagemmi parlamentari un dirigente molto vicino al leader, il quale delinea un esecutivo di minoranza che, in un anno o due al massimo, dovrebbe metter mano alla riforma elettorale e ad alcune misure urgenti per la crescita. Dove il non detto è la speranza di ottenere un sostegno trasversale, anche dai dissidenti grillini... Domani Bersani riunirà i gruppi, per concordare la strategia sul presidente della Repubblica e anche per tastare il polso ai democratici, in grandissima fibrillazione. «Elucubrare sul governo è inutile» avverte Enrico Letta, il vice che fa da cerniera tra il segretario e quanti guardano a un governo del presidente come piano B: «L'elezione del Quirinale sarà determinante per capire se la legislatura muore o va avanti».

La sensazione prevalente, vista anche la manifestazione annunciata da Bersani contro la povertà, è che il voto si stia avvicinando. Al Nazareno aleggia il sospetto che il fronte dei «dialoganti» miri a costringere Bersani al passo indietro per far largo a Renzi. Il leader a lasciare non pensa affatto, eppure, per allentare l'accerchiamento, ribadisce che se il problema è lui è pronto a farsi da parte. Ipotesi che diverrebbe concreta se mai prendesse forma lo scenario delle larghe intese con il Pdl: «Se la proposta cambia, sono io che non ci sto».

Monica Guerzoni

8 aprile 2013 | 7:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_aprile_08/leader-accerchiato-difende-la-linea-guerzoni_655dad76-a00d-11e2-b85a-0540f7c490c5.shtml


Titolo: BERSANI: "Imu non si scarichi su affitti Servirebbe governo del cambiamento"
Inserito da: Admin - Agosto 31, 2013, 08:49:01 am

Bersani: "Imu non si scarichi su affitti Servirebbe governo del cambiamento"


Stoccata al premier Letta dell'ex segretario dem: "Bisogna occuparsi degli inquilini, ma questo può farlo un altro tipo di esecutivo".

Affondo anche su Renzi: "Chi c'è dietro il tradimento dei 101? Chiedetelo a lui". Sondaggio Swg: 70% contro la crisi


ROMA - Ne ha per tutti e due, Enrico Letta e Matteo Renzi. Presente e futuro del Partito democratico, di cui Pierluigi Bersani è stato fino a pochi mesi fa segretario. La prima stoccata riguarda il premier in carica e l'ultimo provvedimento approvato dal governo, la riforma dell'Imu: "Anche noi abbiamo detto che l'imu andava riformato. La formula che è uscita- spiega Bersani a Rainews 24 - risente di un compromesso" con il Pdl. "Ma adesso si dice che transiteremo verso la service tax. Benissimo, si può fare - spiega l'ex segretario - ma non si può scaricare l'eventuale beneficio dei proprietari sugli inquilini. Un certo contenuto patrimoniale quell'imposta deve averla". "La tassa sulla proprietà è una buona cosa ma adesso bisogna occuparsi dell'affitto - spiega l'ex segretario democratico -, se no il paese si irrigidisce troppo. E questo può farlo solo un governo di cambiamento". "Il governo è un compromesso, ma noi siamo un'altra cosa - insiste Bersani -, come ha sempre detto anche Enrico Letta che non se l'è cercata lui, questa cosa".

Sul futuro dell'esecutivo pendono comunque le vicende giudiziarie del Cavaliere. "O si prende atto subito che il destino di Berlusconi e quello del Pdl devono in qualche modo distinguersi - mette in guardia l'ex segretario -, e se lo si fa subito il governo può andare avanti e l'italia evitare dei traumi, oppure spiega l'ex segretario del Pd - diversamente, si arriverà comunque a questo tema, tra tre mesi, tra sei mesi, ma la differenza è che nel frattempo può saltare il governo e possiamo avere come paese dei traumi molto seri".

Stoccata a Renzi. L'altro affondo di Bersani riguarda il tradimento dei 101 parlamentari dem a danno di Romano Prodi, durante l'elezione del Capo dello Stato. Un episodio che ha determinato le sue dimissioni dalla segreteria. "Credo che i 101 siano frutto di tante ragioni, anche contingenti, ma che abbiano avuto l'idea di una manovra per impedire l'elezione del candidato a presidente della Repubblica e che mi smontassero".
Alla domanda del giornalista se anche Matteo Renzi si trovasse nella "regia" che ha frenato l'elezione di Prodi al Quirinale, Bersani risponde: "Chiedetelo a lui. Per me è chiusa lì. Il problema è che non succeda mai più. Per l'Italia, non per Bersani. Perché l'Italia ha bisogno di un partito riformista serio".

Pd non sia protesi del leader. Quanto alla sfida per la leadership del partito, per Bersani è il discussione il modello stesso di Pd: "C'è un problema di come configuriamo questo partito - conclude l'ex segretario dem -. Il congresso deve dirci che conformazione politica vogliamo creare: vogliamo una protesi del leader? Pensiamo che questa sia la modernità? Questa modernità non esiste in nessun un paese del mondo, nemmeno negli Usa".

Italiani contro la crisi di governo. Intanto secondo il 70% degli italiani Silvio Berlusconi dovrebbe lasciar proseguire l'azione di governo.
E' il risultato che emerge da un sondaggio dall'Istituto Swg in esclusiva per Agorà. Ad esserne convinta è un'ampia fascia dell'elettorato di centrosinistra (87%). Favorevole a far continuare l'esecutivo è anche oltre la metà degli elettori di centrodestra (53%), contro il 39% di questo stesso elettorato che auspicherebbe invece l'apertura di una crisi di governo.
 
(30 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/30/news/bersani_imu_non_si_scarichi_su_affitti_servirebbe_governo_del_cambiamento-65544474/


Titolo: BERSANI - L’anno più lungo del leader generoso rimasto troppo solo
Inserito da: Admin - Gennaio 11, 2014, 04:10:03 pm
politica
06/01/2014

L’anno più lungo del leader generoso rimasto troppo solo
Dalla “non vittoria” al disastro sul Quirinale, tradito dal suo partito
L’Italia giusta, slogan della «non vittoria» 2013


Conviene prenderla per il verso dal quale la prenderebbe lui, PLB, uno che non ha mai avuto paura di niente, se non – forse – di dimenticare da dov’è partito, e infatti su Facebook l’ha stampato bello chiaro.

«Sono nato a Bettole, Comune montano della valle del Nure, e la mia è una famiglia di artigiani, mio padre Giuseppe era meccanico e benzinaio...». Gente concreta, poco dire e tanto fare; gente che se gli parli di «emorragia subaracnoidea» strabuzza gli occhi e poi ti dice «ma va là, che vuoi che sia, ne ha viste di peggio quello lì...».

Di peggio non sappiamo, ma di brutte, di tristi e dolorose, Pier Luigi Bersani ne ha viste certamente a pacchi: e come il destino a volte scrive, quasi tutte assieme. E quasi tutte – impietosamente – una volta giunto su, che più su non si può. Ormai anche le pietre mandano a memoria il fatto che i guai di PLB sono iniziati con una vittoria, quella del 2 dicembre 2012 contro «Matteo lo schiacciasassi», una vittoria che altro che quella di Pirro contro i romani, perché da lì è cominciato il precipizio.

Da allora a qui, un anno vissuto dolorosamente, trascinandosi di delusione in delusione: e se con un tratto di penna si potesse cancellare un pezzetto di vita, certo Bersani casserebbe l’inverno-primavera del suo calvario, febbraio-marzo-aprile dell’anno che fu. Doveva vincere le elezioni – sì, doveva – e non andò così; doveva guidare un governo – certo che doveva – e non ci riuscì; doveva eleggere un nuovo Presidente della Repubblica – altroché se doveva – e invece naufragò.

Per un errore di strabismo si discettò – tutti noi discettammo – della «sconfitta di Bersani». Pochi capirono che non era quello il punto, che il tempo aveva voltato un’altra pagina e che altro che PLB: quell’inverno-primavera aveva liquefatto una generazione, un modo di intendere la politica e – forse – addirittura qualcosa in più. Pier Luigi Bersani ha pagato per tutti – e più di tutti – perché era «il capo», ed è stato inevitabile e giusto che andasse così: ma adesso, in quest’altro inverno-primavera coi nervi a fior di pelle, si vede bene come il conto sia arrivato – stia arrivando – non soltanto per lui.

«Ma va là, Pier, smacchiamo ’st’emorragia», verrebbe da augurargli adesso, sapendo (sperando) che gli farebbe piacere. Quel gusto per la metafora, per il detto popolare, lo coltiva e lo perseguita da sempre, ma è diventato un must giusto nell’anno del calvario. Non se ne è risparmiata e non ce ne ha risparmiata nessuna, compresa quella (incomprensibile) che segnò il suo confronto televisivo con Renzi che lo sfidava alle primarie: «Meglio un passerotto in mano che un tacchino sul tetto». Chissà quanti, in quei giorni e anche dopo, gli avranno consigliato di non eccedere, di darci un taglio: la risposta era sempre la stessa, un sorriso e poi dritto per la sua strada.

Strada che ha ripreso a percorrere dopo un’estate non proprio felice e un autunno che gli ha rimesso di fronte quel Matteo Renzi inizio e origine di ogni incubo e di ogni guaio. Altre primarie: il rottamatore contro Cuperlo e Civati. Partita segnata in partenza, e qualcun altro (molti, del resto, lo hanno fatto) avrebbe chinato la testa e messo le vele al vento. E invece «io sto con Cuperlo, ci mancherebbe. Di Renzi, poi, non ho capito che Pd vuole». Quando poi l’ha capito – o ha cominciato a capirlo – non è che abbia fatto finta di non aver inteso..

«Renzi deve dirci qual è la sua idea di Pd... Il Partito democratico deve decidere se essere spazio o soggetto politico, se essere impermeabile ai potentati oppure no». E se la sua idea non fosse stata sufficientemente chiara, ecco il resto: «Non si può usare la clava, questa è una ruota. Va benissimo il rinnovamento, ma serve anche l’esperienza. Matteo Renzi, insomma, deve ricordare che se siamo dove siamo è perché qualcuno ci ha preceduto, e ha portato la fiaccola fin qua».

Onestà intellettuale, coraggio e dedizione cieca alla causa: ma poiché questo non è un de profundis, un omaggio o un addio, non è che Pier Luigi Bersani sia solo e tutto qui. Errori ne ha fatti, ci mancherebbe: e i più seri e insistiti li ha commessi forse proprio in quel febbraio-marzo-aprile del suo calvario. Troppa sicurezza di aver già vinto le elezioni di febbraio; troppa ostinazione nell’inseguire i Cinque Stelle per arrivare a Palazzo Chigi; troppe oscillazioni nella lunga guerra per il Quirinale. E troppa solitudine – ecco la colpa che nel partito non gli hanno perdonato – troppa separazione nei giorni in cui i suoi unici interlocutori erano i fedelissimi del cosiddetto «tortello magico». Una lenta ma incessante parabola...

Ma è così che a volte va la vita, la si imbrocca e poi si sbaglia; si vince, si perde e qualche volta ci si arrangia e si pareggia. Anche a Pier Luigi Bersani è andata, sta andando così. E ora cosa dire, allora? Un incoraggiamento. O magari una banalità sulla battaglia più difficile, quella da vincere per forza. Sicuri che Bersani annuirebbe, rispondendo – molto seriamente – a modo suo: «Ma sì, che vinceremo. Non siam mica qui a dare la cera in autostrada...». 

Da - http://lastampa.it/2014/01/06/italia/politica/lanno-pi-lungo-del-leader-generoso-rimasto-troppo-solo-dLyE8SjFlKBr50wkfzzfTL/pagina.html


Titolo: BERSANI - «Renzi reggerà, ma il Paese ora vuole fatti»
Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2014, 07:28:32 pm
LA GIORNATA DELL’EX SEGRETARIO DEL PD
Bersani, il ritorno tra abbracci e baci
«Renzi reggerà, ma il Paese ora vuole fatti»
«Da domani il Paese vorrà misurare lo spread tra le sue parole e le sue azioni»

Un lungo e caloroso applauso ha accolto Pier Luigi Bersani al suo arrivo nell’Aula della Camera. L’ex segretario del Pd nel gennaio scorso era stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico per un’improvvisa emorragia cerebrale, e questo è stata la sua prima riapparizione sulla “trincea” politica.

IN AULA - L’abbraccio con Letta è il più lungo e intenso, commovente, inquadrato dai cameraman e dai fotografi. Poi l’ex segretario si concede anche, con più moderate strette di mano, a colleghi di tutti gli schieramenti. Prima di andarsene, dopo il voto, Pierluigi Bersani consegna il suo ultimo pensiero ai cronisti: «Per come si è svolta questa vicenda e per come il presidente del Consiglio ha interpretato questo voto di fiducia - ha detto ai microfoni di Ballarò - da domani gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti».

Bersani: "Gli italiani misureranno lo spred fra parole e fatti"

25 febbraio 2014
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Redazione Online

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_25/bersani-ritorno-abbracci-baci-renzi-reggera-ma-paese-ora-vuole-fatti-4ec5a924-9e68-11e3-a9d3-2158120702e4.shtml


Titolo: BERSANI - Elezioni Politiche 2013 «Non siamo in una nuova Tangentopoli»...
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2014, 06:47:16 pm
Elezioni Politiche 2013
14/02/2013 - verso il voto


Bersani attacca sulle tangenti: “Basta”
Il leder del Pd: «Non credo nella giustizia a orologeria».

Silvio Berlusconi il re lo vede nudo e trova naturale, mentre il caso Finmeccanica varca gli oceani e diventa indiano, dirlo urbis et orbis. «La tangente è un fenomeno che esiste, non si possono negare le situazioni di necessità se si va trattare nei Paesi del terzo mondo o con qualche regime». Altrimenti, se si vuole indulgere a «moralismi assurdi», meglio non fare gli imprenditori. Il Pd insorge: è gravissimo che il leader di uno schieramento politico, più volte premier del Paese, faccia «apologia della tangente, che non sarebbe un reato ma una commissione estera».

Pier Luigi Bersani nega parallelismi tra questa campagna elettorale puntellata da inchieste ed il ’92: «Non siamo in una nuova Tangentopoli». Ma invita a darsi codici di comportamento e dice: «Basta con le tangenti e basta con Berlusconi». Per il segretario del Pd sarebbe però «da pazzi» vendere gioielli di famiglia come Finmeccanica, Eni, Enel.

Roberto Maroni, segretario della Lega Nord, chiede che il sistema delle tangenti sia «combattuto ovunque», ma tuona ancora contro la giustizia ad orologeria, ribadendo l’estraneità della Lega. Il Cavaliere rilancia invece difendendo Giuseppe Orsi «ottimo amministratore, il migliore». «Tutte le inchieste su Eni, Finmeccanica, ma anche le cose contro Fitto - conclude perciò - servono a sviare l’attenzione dal macroscopico scandalo di Mps». Berlusconi si lancia quindi nell’ennesimo attacco ai pm giacobini che «mostrano autolesionismo puro», «una magistratura rossa che è un cancro per la democrazia, una patologia enorme del vivere civile», affonda proponendo intanto di reintrodurre l’immunità parlamentare.

Reagisce l’Anm: «Sono inaccettabili le dichiarazioni sulle tangenti e la corruzione internazionale non è una condotta eticamente censurabile, ma un reato da perseguire». Una pioggia di attacchi arriva sul Cavaliere anche da parte di Antonio Di Pietro («Berlusconi giustifica le mazzette»), Antonio Ingroia («Berlusconi si conferma un corruttore della vita politica, economia e morale del Paese, si autoassolve come fosse un giudice e giustifica la corruzione come un’attività normale e necessaria»), Gianfranco Fini («Berlusconi si è confessato. Parlava di sé stesso?»).

Ad una decina di giorni dal voto prosegue intanto lo scontro a distanza tra Mario Monti e Nichi Vendola. Apre le danze il leader Sel, con un affondo sul professore: «Monti in questo periodo è prodigo di idee miracolistiche sul futuro e fa concorrenza a Berlusconi». Vendola aggiunge che sulla scuola il premier «fa pubblicità ingannevole» e che è «impossibile discutere di alleanze a prescindere dalle idee». «Io e Vendola siamo lontani anni luce come visione del mondo», ribatte Monti, perché sia chiaro che da parte sua non c’è alcuna intenzione di allearsi con Sel (a meno che sia Vendola a «cambiare opinione»). Quanto alle proposte del governatore della Puglia su esodati e ammortizzatori sociali, il prof è tranchant: “Il presidente Vendola, che io rispetto, non ha nessun titolo per darmi nessuna lezione, non è compito suo».

Uno scambio polemico al quale dà il suo contributo Bersani, che conferma l’alleanza con Sel ed annuncia di volere un «superministero dello sviluppo»: escluso però che questa casella decisiva del futuro governo possa essere occupata da Monti. Contro il premier anche Berlusconi («Non capisce nulla di economia, è un professorino»), che non è più tenero con Fini («un traditore degli elettori») e Grillo («un pericolo per la democrazia, che pensa solo a picconare l’establishment esistente, ma non propone nulla di costruttivo»)

Da - http://lastampa.it/2013/02/14/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/bersani-attacca-sulle-tangenti-basta-ukPpAE4Pyo8mrr4qTC5FSK/pagina.html


Titolo: BERSANI - "Nella manovra c'è del coraggio ma bisogna lavorare per aggiustarla"
Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2014, 05:26:12 pm
Pier Luigi Bersani, legge di stabilità: "Nella manovra c'è del coraggio ma bisogna lavorare per aggiustarla"

Andrea Carugati, l'Huffingtonpost
Pubblicato: 17/10/2014 13:14 CEST Aggiornato: 17/10/2014 13:14 CEST

“In questa manovra c'è del coraggio e alcune buone scelte, come l'alleggerimento delle tasse sul lavoro, ma perché sia davvero espansiva bisogna lavorare bene per aggiustarla. Altrimenti, non vorrei che poi qualche commentatore si scandalizzasse se i Comuni non riescono più a spazzare le strade”. Pier Luigi Bersani parla con Huffpost della prima finanziaria targata Renzi. E avverte: “Nelle prossime settimane bisogna fare una discussione seria, non possiamo più permetterci discorsi superficiali e approssimativi. Vogliamo che una siringa costi uguale a Milano e in Calabria? Ecco, così, procedendo con i tagli lineari, non ci si arriverà mai...”.

Anche lei critica i tagli a Regioni ed enti locali?
“Se mandiamo in default le Province, poi bisogna anche fare un decreto per impedire che il prossimo inverno nevichi, visto che non ci sarà nessuno a far andare gli spazzaneve. Insisto, con l'approssimazione si rischia di pagare un prezzo che riguarda la vita dei cittadini. I servizi fondamentali non devono essere messi in discussione, altrimenti per bastonare il cane si finisce per bastonarsi i piedi. Per questo auspico che dentro la manovra ci si guardi bene, perché le intenzioni del governo sono quelle di una manovra espansiva, ma lì dentro ci sono delle contraddizioni che rischiano di portare al risultato opposto”.

Si riferisce in particolare ai tagli alla Sanità?
“E' troppo facile dire “le Regioni”, o usare l'accetta. Se si taglia linearmente il Fondo sanitario, c'è il rischio che dove sei all'osso si taglino i servizi fondamentali e magari metti alcuni in condizione di non ridurre gli sprechi.

Condivide la battaglia dei governatori, Chiamparino e Zingaretti su tutti?
"Mi pare molto imprudente liquidare le loro obiezioni, visto che stiamo parlando di gente seria. Bisogna assolutamente evitare un ulteriore aumento delle tasse locali, altrimenti la gente non spende e l'economia non si rimette a girare. E ' un film già visto. Per questo dico ragioniamo, miglioriamo questa manovra, senza accendere fuochi”.

Nella legge di Stabilità ci sono anche alcune idee di Visco su come ridurre l'evasione fiscale...
"Ho visto, ma sull'evasione credo che si possa fare molto di più. La proposta di Visco riguarda non solo l'Iva ma anche l'Irpef: è tutto scritto, basta andarseli a leggere, nessuno pretende che venga adottata integralmente”.

Pensa che l'Europa si metterà di traverso?
“Mi auguro che a Bruxelles prevalga il buon senso. Le macro-cifre di questa manovra non vanno messe in discussione, perché lì si vede il coraggio e lo sforzo espansivo. Se l'Europa dovesse contestare il quadro dei numeri saremmo tutti pronti a reagire in sintonia con il governo. Sono i meccanismi interni della legge di Stabilità quelli che andrebbero aggiustati.”

Crede che sarà possibile cambiarli nel percorso parlamentare?
“Ci sono tutte le condizioni per fare una discussione seria, che include anche una ulteriore razionalizzazione delle spese di Regioni ed enti locali. Ma senza bastonare i servizi fondamentali per i cittadini...altrimenti non sono solo i presidenti di Regione che salgono sulle barricate, ma è l'obiettivo stesso della manovra che rischia di non essere raggiunto”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/10/17/bersani-legge-stabilita_n_6001766.html?utm_hp_ref=mostpopular


Titolo: Non c'è da stupirsi capita anche a loro di dire assurdità...
Inserito da: Admin - Novembre 16, 2014, 05:39:12 pm
Convegno a Milano

Bersani: «Il Patto del Nazareno fa bene al titolo Mediaset»
L’ex segretario alla riunione dell’area riformista polemizza con Renzi: «Nessuno può dare lezioni di innovazione alla sinistra di governo»

Di Redazione Milano online

«Il Pd è nato come l’incontro tra culture riformiste e non tra modernisti e cavernicoli. Non mi risulta che il Pd sia nato alla Leopolda». Lo ha detto l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani, nel corso del suo intervento al convegno organizzato dall’area riformista del partito. «Nessuno può dare lezioni di innovazione alla sinistra di governo- ha aggiunto Bersani -. Il Pd è casa nostra sul serio. Certo la nostra ispirazione certe volte ha difficoltà perché è difficile cantare fuori dal coro quando i cori sono assordanti. Cerchiamo di lanciare un messaggio di unità delle culture che si possono richiamare alla sinistra di governo e teniamo accesa la fiammella. Se non c’è la fiammella, fra cinque anni viene giù tutto». Bersani ha poi concluso ammettendo che a volte è «difficile cantare fuori dal coro, quando i cori sono assordanti».

«Parlamento disponibile»
«Non ho mai visto un parlamento così disponibile verso il governo: 28 fiducie, che forse arriveranno ad una trentina, in otto mesi»: Pier Luigi Bersani lo ha detto confutando «l’idea che si è voluto dare che c’è un cavaliere, paladino Orlando, che affronta i mori conservatori. Non siamo frenatori, ma gente che dice che non si fa abbastanza non si va abbastanza a fondo. Non è solo una questione di riforme: nelle periferie ci sono problemi che una politica ridotta a comunicazione non riesce a dare voce. La comunicazione si accorge della periferia solo quando esplode. Senza una politica che vada a mediare sui problemi fuori dai riflettori siamo nei guai».

Il Patto del Nazareno
«Forse nessuno si è accordo che l’altro giorno dopo l’incontro del patto del Nazareno, la Borsa ha perso il 2,9% mentre Mediaset ha guadagnato il 6%. Se il patto del Nazareno funziona così allarghiamolo a tutte le imprese». Pierluigi Bersani ha ironizzato sul patto del Nazareno durante il suo intervento alla riunione dell’area riformista. Bersani ha poi aggiunto che «non c’è bisogno del patto del Nazareno, ma di fare le riforme e farle con tutti, parlando con tutti. Non c’è bisogno di legarsi a una forma che sia un patto». L’ex segretario del Pd intravede il rischio «che ci possa essere un trasversalismo paludoso, che lascia ai margini chi urla. Non può funzionare così il Paese. Abbiamo bisogno di un bipolarismo reale, due progetti di Paese per fare in modo che la democrazia respiri. La democrazia cammina su due gambe».

Martina: né yesman né signor no

«Noi di Area riformista nel Pd non siamo né signor no né Yes man. Con le nostre idee lavoriamo per cambiare il Paese, rafforzare il Pd e vincere la sfida di Governo». Così il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, durante il suo intervento a Milano all’incontro «La sinistra di Governo» di Area riformista
15 novembre 2014 | 12:58
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Da - http://milano.corriere.it/notizie/politica/14_novembre_15/graffio-bersani-il-pd-non-nato-leopolda-09bc9afc-6cbe-11e4-b935-2ae4967d333c.shtml


Titolo: BERSANI - I capilista bloccati sono un problema
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2014, 03:20:14 pm
Bersani: i capilista bloccati sono un problema insuperabile
2 dicembre 2014

Da Algeri Matteo Renzi nega sia possibile qualunque collegamento fra riforma elettorale e riforma costituzionale, ma dà la disponibilità a una clausola all’interno della legge elettorale che ne fissi l’entrata in vigore a gennaio 2016. Poi, Il premier non vuole restare prigioniero delle possibili meline sulla riforma del Senato, ma lancia l’amo per risolvere il nodo spinoso del rischio di elezioni anticipate che potrebbe paralizzare o rinviare l’Italicum. A confermare, però, che la strada per la riforma è tutta in salita è intervenuto Pier Luigi Bersani, che ha definito «un problema insuperabile» la soluzione dei capilista bloccati con le preferenze per gli altri. E un altro bersaniano, Alfredo D’Attorre, boccia come «balzana» l’idea della riforma dal 2016: «Qui non si tratta di ammansire il Parlamento permettendo ai parlamentari di rimanere in carica un anno in più».

Domani scade il termine per gli emendamenti
Oggi in commissione Affari costituzionali del Senato è entrata nel vivo la discussione generale sull’Italicum, che andrà avanti fino a giovedì. Ben 53 gli iscritti a parlare, ma la presidente Anna Finocchiaro (Pd) ha confermato la deadline di giovedì, non escludendo sedute notturne. Domani alle 20 scade il termine per presentare gli emendamenti. L’impressione generale a Palazzo Madama, dopo l’intervento di Renzi ieri in direzione, è che il testo sia “blindato” secondo le revisioni concordate nella maggioranza e con Forza Italia (nonostante i malumori): aumento al 40% della soglia oltre la quale scatta il ballottaggio; sbarramento unico al 3%; capilista bloccati e ritorno delle preferenze per gli altri.

Bersani: i capilista bloccati sono un problema
Dopo il dissenso manifestato dalla minoranza Pd che alla direzione di ieri non ha partecipato al voto sull’ordine del giorno finale, oggi Pier Luigi Bersani ha definito «un problema insuperabile» il sistema dei capilista bloccati. «Sono un meccanismo non razionale - ha detto l’ex segretario Pd al Gr1 - che crea una differenza tra un partito che sta sopra il 20% e può eleggere qualcuno con le preferenze e un partito sotto il 20 che nomina e basta. Quindi si crea una disparità tra gli elettori e questo mi sembra un problema insuperabile. Bisogna adottare un altro schema che consenta alla grande maggioranza dei deputati di essere scelti dai cittadini».

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-12-02/renzi-si-clausola-salvaguardia-far-entrare-vigore-legge-elettorale-gennaio-2016-174946.shtml


Titolo: Per il Quirinale: "Al premier auguro di avere molti Bersani in giro"
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2014, 06:58:46 am
Bersani, "Renzi chiede lealtà? Non da tutti i pulpiti si possono accettare prediche"
Dopo l'assemblea di Roma l'ex segretario commenta l'invito fatto dal premier alla minoranza interna.
E sul pericolo "franchi tiratori" per il Quirinale: "Al premier auguro di avere molti Bersani in giro"

15 dicembre 2014

ROMA - Non si ferma la polemica interna al Partito Democratico. E dopo l'assemblea di Roma è l'ex segretario, Pierluigi Bersani - che non ha partecipato ai lavori - a commentare la richiesta di "lealtà" che Matteo Renzi aveva indirizzato alla minoranza interna. "In un partito come il Pd, plurale e senza padroni, la lealtà è la materia prima senza la quale non si va da nessuna parte. Sento in questi giorni e leggo sui giornali di appelli, prediche sulla lealtà. Ma non da tutti i pulpiti si possono accettare prediche". E sull'ipotesi scissione: "Il Pd è casa mia, ci vogliono i carabinieri per buttarmi fuori".

Tra il Nazareno e il Quirinale. "A Renzi auguro di avere molti Bersani in giro", dice l'ex segretario rispondendo ai cronisti che gli chiedono un consiglio per evitare franchi tiratori all'elezione del nuovo inquilino del Colle. A chi gli domanda se Romano Prodi, che oggi ha visto Renzi, potrebbe spuntarla, Bersani replica: "Non lo chiedete a me, mi sono dimesso perchè hanno fatto fuori Prodi". E sul legame tra patto del Nazareno e decisione sul prossimo presidente della Repubblica: "Berlusconi penso conosca il patto del Nazareno, ma lui non sempre è sincero. Io i contenuti di quel patto non li conosco, ma penso occorra parlar con tutti. Il patto, poi, è una parola troppo stretta, forte e non mi piace". Poi il commento sulla legge elettorale: "Il Mattarellum è meglio dell'Italicum".

Il Pd "figlio dell'Ulivo". Così Bersani arrivando alla facoltà di Ingegneria di Roma per la presentazione di un libro. Poi, aggiunge: "Renzi si sbaglia quando parla di opposizione interna nel Pd. Io ho fatto il segretario e so cosa vuol dire minoranza, so cosa vuol dire opposizione". E nel giorno dell'incontro tra il premier e Romano Prodi, l'ex segretario interviene anche sulla polemica legata alla storia dell'Ulivo: "Il Pd è figlio dell'Ulivo e non una fusione tra modernizzatori e cavernicoli". Poi la sua idea di partito: "Deve essere organizzato, stabile, avere funzioni in tutto il territorio del Paese".

Vincere ma con le proprie idee. E se Bersani riconosce che in politica "è giusto cercare di vincere" aggiunge che è "necessario farlo con le proprie idee". E' importante, ha spiegato Bersani, che "anche il centrodestra si ristrutturi intorno ad un asse capace di rappresentare una guida per il paese, il sistema ha bisogno del centrodestra e del centrosinistra perché con una destra alla Salvini magari posso vincere facile, ma il paese degenera". E sul metodo Renzi: ""Con la politica fatta di sola comunicazione si va allo sbando. Ci vuole un collettivo in cui si possa guardarsi in faccia. Chiedo troppo?".

© Riproduzione riservata 15 dicembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/15/news/bersani_pulpito-102976604/?ref=HREC1-2


Titolo: BERSANI: Al Quirinale una figura che sappia tenere il volante
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2014, 06:00:43 pm
Bersani: "Al Quirinale una figura che sappia tenere il volante"
L'ex segretario del Pd ospite di Lucia Annunziata a "In mezz'ora" su Rai Tre. Sulla battaglia per il Colle del 2013: "Il cavallo azzoppato andava eliminato"

21 dicembre 2014

ROMA - Per il Quirinale "bisogna trovare una figura di garanzia, che sappia tenere il volante perché siamo ancora nelle curve".
Lo dice Pier Luigi Bersani a "In mezz'ora" su Rai Tre.

"L'avvitamento tra crisi sociale e democratica c'è e il meccanismo democratico non è in grandissima salute. Dobbiamo cercare una figura della massima autorevolezza - ribadisce l'ex segretario del Pd - e che oltre a essere per bene deve anche essere una persona autonoma e fedele solo alla Costituzione. Non lavoriamo per soluzioni che abbiamo il carattere della partigianeria e nemmeno per soluzioni stravaganti. Non facco esempi tipo un narratore, uno scrittore o altro, quella è una responsabilità seria e impegnativa". Ad ogni modo "non è un tratto dirimente o esclusivo, ma non guasterebbe una personalità che conoscesse l'economia. Avremo davanti un paio d'anni ancora complicati".

Possono esserci preclusioni su un nome del Pd? "Assolutamente inaccettabile - risponde Bersani - Credo che non sia immaginabile una figura ostile ai valori della sinistra e del centrosinistra, ma in questo grande ambito non sono accettabili preclusioni di nessun genere. Va bene cattolico, laico, va bene tutto, purché cui siano caratteristiche per tenere il volante di un Paese che deve essere guidato e rasserenato".

E riferendosi alla battaglia per il Quirinale nel 2013, afferma: "Si disse quella volta che cavallo azzoppato andava eliminato. E quel cavallo ero io. Meglio essere un cavallo che un asino".

Questa mattina sull'argomento è intervenuto anche il leghista Roberto Calderoli che ha risposto così su Sky Tg24 a Maria Latella sulla prossima corsa al Quirinale: "Siamo ampiamente disponibili a discutere, ma cerchiamo di non tirar fuori la solita vecchia scarpa della politica.  Qual è l'identikit del prossimo Capo dello Stato, per la Lega? "Penso, ad esempio, a Caprotti di Esselunga, o a Vittorio Feltri - ha detto il vicepresidente del Senato -  Ma una cosa è certa: non possiamo più avere un presidente della sinistra".

In merito alla leadership di Silvio Berlusconi del centrodestra, Calderoli ha aggiunto: "Nei fatti il leader del centrodestra è Matteo Salvini, sono convinto che se si andrà al voto il confronto sarà tra due che si chiamano Matteo: Salvini e Renzi".

Sulla richiesta di lealtà più volte invocata da Renzi, Bersani chiarisce: "Da parte nostra la lealtà c'è. Siamo al trentesimo voto di fiducia nessuno si è lamentato. La lealtà c'è e ci vuole. Vorrei però che tra quelli che la invocano forse sarebbe simpatico che la lealtà venisse sempre praticata", rileva.

A proposito del Patto del Nazareno, afferma: "Sono contro i patti, bisogna discutere ma stringere dei patti non va bene. Temo che il Nazareno passi alla storia per il Patto, pur essendo la sede del Pd. Io sono contro i patti per un motivo molto semplice, penso che ci voglia una sinistra e una destra, che un Paese debba respirare con due polmoni e se si sfrangia la differenza e si crea una cosa troppo trasversale non è salute. Bisogna parlare, dialogare sui temi istituzionali, ma stringere patti dove chi ha firmato ha l'ultima parola non va bene. Lasciamo che facciamo l'opposizione. E lo dico senza avercela in particolare con Berlusconi".  E aggiunge: " Renzi sa bene che tenere un Paese da soli è difficile, essere in due non è male", riferendosi al fatto che il presidente del Consiglio potrebbe non desiderare al Colle una personalità troppo forte. "
 
© Riproduzione riservata 21 dicembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/21/news/bersani_pd_riforme_quirinale-103432214/?ref=HREA-1


Titolo: Pd, lo strappo di Bersani: "Io non sono un figurante". (Allora cosa sei?)
Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2015, 04:36:16 pm
Pd, lo strappo di Bersani: "Io non sono un figurante".
Renzi: "Stupito da polemiche, noi per il confronto"
Con parole di fuoco, l'ex segretario fa sapere che non parteciperà alla riunione dei gruppi parlamentari dem convocata dal premier.
Attacca Jobs act, riforma costituzionale e Italicum. Anche minoranza dem pronta a disertare.
La replica distensiva: "Non sprechiamo tempo, nessuno ha verità in tasca, no a caminetti ristretti"

26 febbraio 2015
   
ROMA - E' un Pier Luigi Bersani decisamente arrabbiato quello che annuncia di non avere alcuna intenzione di andare domani all'incontro dei parlamentari Pd convocato al Nazareno dal premier-segretario Matteo Renzi. "Non ci penso proprio - è la presa di posizione dell'ex leader del partito che incassa il plauso di Pippo Civati -, perché io m'inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto". Parole di fuoco pronunciate in una lunga intervista che uscirà domani su Avvenire. Tra gli argomenti affrontati, anche la riforma delle banche popolari, il caso Rai-Mediaset e le liberalizzazioni.

Le replica (distensiva) del presidente del Consiglio arriva dopo qualche ora: "Nessuno ha la verità in tasca e nessuno vuole ricominciare con i caminetti ristretti vecchia maniera: noi siamo per il confronto, sempre. Aperto e inclusivo, senza che nessuno si senta escluso". Renzi si dice quindi "stupito" di chi, nella minoranza Pd, "gioca la carta della polemica interna" disertando l'incontro di domani.

"Il nostro popolo - prosegue il premier - quello che ci vota alle primarie e che, dopo tante sconfitte ci ha dato il 41% per cambiare l'Europa e l'Italia, non si merita polemiche ingiustificate persino sugli orari e sulle modalità di convocazione di questi incontri informali. Non abbiamo tempo da perdere, non sprechiamo neanche un minuto in polemiche sterili. Al lavoro, per ridare speranza e fiducia all'Italia. Non capisco - aggiunge - la polemica di queste ore sulle riunioni di domani al Pd. Il nostro è un partito democratico, nel nome ma anche nelle scelte e nel metodo. Tutte le principali decisioni di questi 15 mesi sono state discusse e votate negli organismi di partito: dal Jobs act fino alle riforme costituzionali, dalla legge elettorale alle misure sulla legge di stabilità. Abbiamo organizzato iniziative su scuola, politica estera, Europa, forma partito, sociale, enti locali e molto altro. Per domani abbiamo offerto una opportunità in più, una semplice occasione di confronto, come sempre diretto e schietto, che pensavamo potesse essere apprezzata da chi spesso chiede più collegialità. Un semplice scambio di idee, convinti come siamo che solo ascoltandoci possiamo migliorare".

Un attacco frontale, tuttavia, Bersani lo riserva proprio al Jobs act che "mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni Settanta" e perciò si pone "fuori dall'ordinamento costituzionale". Un secco avvertimento al premier, poi, arriva su Italicum e riforma costituzionale: "Il combinato disposto" tra i due testi “ rompe l'equilibrio democratico. Se la riforma della Costituzione va avanti così io non accetterò mai di votare la legge elettorale".

Lo scontro dentro ai democratici si era già consumato ieri, quando il presidente del Consiglio aveva deciso di convocare una riunione dei gruppi dem che ha colto di sorpresa molti. La lettera aperta di Renzi ai 'suoi' parlamentari - un documento in cui si annunciava per venerdì un pomeriggio di dibattiti da un'ora ciascuno su scuola, Rai, ambiente e fisco - è piaciuta davvero a pochi. Fin da subito si era capito che buona parte della minoranza con tutta probabilità non avrebbe partecipato. Un'impressione confermata col passare delle ore, quando è apparsa sempre più realistica la possibilità di un abbandono di massa da parte della sinistra. A far sapere che non andrà all'incontro è anche Gianni Cuperlo.

Nessun "ordine di scuderia", era stata la rassicurazione, "ognuno deciderà individualmente", ma erano già stati in tanti a dare per scontato che non ci sarebbe stato né Bersani né i parlamentari a lui vicini come Davide Zoggia, Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina. La mossa del premier era stata descritta (da fonti vicine ai dissidenti), come una reazione alla nascita della corrente dei 'catto-renziani', vale a dire quelli che fanno capo a Graziano Delrio e Matteo Richetti che proprio ieri sera si sono riuniti a Montecitorio alla presenza di Luca Lotti.

Sotto sera, 20 senatori Pd scrivono a Luigi Zanda per manifestare "perplessità" sull'incontro di domani. I firmatari sono in buona parte i protagonisti della battaglia contro la legge elettorale dello scorso gennaio: Claudio Broglia, Vannino Chiti, Paolo Corsini, Erica D'Adda, Nerina Dirindin, Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti, Maria Cecilia Guerra, Miguel Gotor, Paolo Guerrieri Paleotti, Silvio Lai, Sergio Lo Giudice, Doris Lo Moro, Patrizia Manassero, Maurizio Migliavacca, Corradino Mineo, Carlo Pegorer, Lucrezia Ricchiuti, Lodovico Sonego, Walter Tocci.

"Le modalità e il merito della convocazione suscitano rilevanti perplessità", scrivono i senatori. "In primo luogo, quanto al metodo, riteniamo che la convocazione del gruppo parlamentare rientri nel ruolo precipuo del presidente. Ciò consente, fra l'altro, di non alterare il diverso e autonomo ruolo che i gruppi parlamentari devono avere nei confronti del governo e nei confronti del partito". "In secondo luogo - proseguono - la convocazione non può prevedere un'ora di discussione su temi di vastissima portata". Concludono i senatori: "Su di un lavoro sistematico di confronto sull'agenda parlamentare, da condurre in stretta relazione con la segreteria del partito e con i nostri rappresentanti al governo, e ovviamente, con il nostro segretario, la nostra disponibilità non è e non è mai stata in discussione, anzi è stata da noi sollecitata in più di un'occasione".

La risposta di Zanda non si fa attendere: gruppi parlamentari e partito devono lavorare insieme - dice - le riunioni possono essere "talvolta utili" vista "la complessità, la difficoltà e anche i rischi dell'attuale fase politica".

Il botta e risposta prosegue dopo l'arrivo della lettera di Renzi, che per i 20 "sembrerebbe indicare la volontà di un rilancio del confronto di merito all'interno del nostro gruppo parlamentare fra gruppi parlamentari e tra questi e il partito. Si tratta di una prospettiva di fondamentale importanza a cui siamo da sempre interessati", ma, osservano "proprio per questo le modalità e il merito della convocazione suscitano rilevanti perplessità che ci teniamo a rappresentarti".
 
© Riproduzione riservata 26 febbraio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/02/26/news/pd_lo_strappo_di_bersani_domani_da_renzi_non_vado_non_sono_un_figurante_e_stronca_jobs_act-108264639/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_27-02-2015


Titolo: BERSANI contro Matteo Renzi e Sergio Marchionne. Distorce i pensieri altrui...
Inserito da: Admin - Aprile 20, 2015, 05:48:22 pm
Pierluigi Bersani contro Matteo Renzi e Sergio Marchionne: "Chi pensa che l'Italia debba somigliare agli Usa non ha capito

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 18/04/2015 17:00 CEST Aggiornato: 4 ore fa

Pierluigi Bersani attacca in una sola mossa sia il presidente del Consiglio, Matteo Renzi sia l'amministratore delegato Fca, Sergio Marchionne. "Il progetto di Marchionne per il contratto Fca - scrive su Facebook - è una novità non da poco. Ho sempre sostenuto che la vera sfida riformatrice del Jobs act avrebbe dovuto essere l'impostazione, nel rapporto fra capitale e lavoro, di un nuovo equilibrio fra decentramento, rappresentanza e partecipazione. Si è fatto altro. Come si vede in questi giorni, quel tema ineludibile viene così lasciato alla spontaneità e ai soli rapporti di forza".

"C'è il rischio - scrive ancora - di una pericolosa disarticolazione del sistema. Aggiungo che chi pensa sia meglio somigliare nei rapporti sociali agli Stati Uniti piuttosto che alla Germania non ha capito come è fatta l'Italia. Tanto per fare un esempio, nel nostro paese puoi anche trovare imprese capaci di esportare le tasse e di importare i modelli contrattuali".

Proprio durante il suo incontro con Barack Obama a Washington, Renzi aveva affermato in maniera entusiastica che "negli Usa, negli ultimi sette anni si è ridotta la disoccupazione ed è aumentato il Pil. In Europa è aumentata la disoccupazione e si è ridotto il Pil. In Europa qualcosa non ha funzionato. Per questo l'economia Usa deve essere un modello per l'economia europea".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/04/18/bersani-contro-marchionne-e-renzi_n_7092296.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Regionali Liguria, Pier Luigi Bersani si spende per Raffaella Paita.
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2015, 11:48:58 pm
Regionali Liguria, Pier Luigi Bersani si spende per Raffaella Paita.
"Sto dando una mano dove ci sono problemi politici"

Andrea Carugati, L'Huffington Post
Pubblicato: 29/05/2015 08:32 CEST Aggiornato: 1 ora fa

Pier Luigi Bersani atterra a Genova a ora di cena, e si butta subito nella mischia di questa difficile campagna elettorale in Liguria. Pontedecimo, quartiere popolare, epicentro del dissenso di sinistra verso la candidata renziana Raffaella Paita. Da queste parti le primarie di gennaio le aveva vinte Sergio Cofferati, e del resto il “padrone di casa” in questa storica società di mutuo soccorso che ospita la cena elettorale, la Fratellanza, è Giovanni Lunardon, segretario regionale, capolista Pd e tra i primi sostenitori del Cinese. Solo che Lunardon, quarantenne della Ditta, a differenza di Cofferati e di Luca Pastorino (che hanno fatto un comizio poche ore prima in piazza Negri a Genova con Pippo Civati), ha scelto la disciplina di partito. E così Bersani, che ha spiegato alle oltre duecento persone sedute tra i tavoli che “in questi ultimi giorni di campagna vado più in giro, soprattutto dove ci sono delle ammaccature, perché ho capito che tra tanti miei amici per l’Italia c’è del disagio”.

“Sono in giro per dire che tante cose che sta facendo il Pd non le condivido e non le farei così. Però il Pd è casa mia, è la mia speranza, il mio sogno. Le battaglie si fanno nel Pd perché è un partito che ha 8 anni, è un bambino. Sapete quante ne vedremo da qui ai prossimi anni? Questo sto dicendo in giro. Sto dando una mano là dove ci sono problemi politici”.

Insomma, Bersani ha rimesso i panni del pompiere, come aveva fatto mercoledì qui in Liguria Roberto Speranza, e il disagio cerca di curarlo. O almeno, non vuole passare nella file dei gufi in caso di sconfitta. Per questo invita tutti a “fare il nostro dovere” domenica alle urne, e a sostenere “la nostra candidata Paita”. La candidata si è detta “onorata” dalla presenza di Bersani, e ha ringraziato Lunardon “per come hai gestito il partito in questi mesi difficili”. Presente anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, spezzino come Paita, anche lui tra i sostenitori del Cinese alle primarie. “Non è che fai la sinistra sostituendo un selfie di Renzi con uno di Ferrero”, ha scherzato il Guardasigilli, riferendosi al leader di Rifondazione schierata con Pastorino.

Bersani, dal canto suo, ha spiegato la sua presenza a Genova dicendo che “per essere ascoltati e legittimati bisogna esserci anche nei momenti difficili, e io sono qui”. Ma non ha rinunciato a criticare il Pd renziano, e il partito della Nazione. “Per me lo slogan deve essere ‘tornare al Pd’, un partito di centrosinistra, ulivista, alternativo alla destra, che vuole costruirsi come un grande partito popolare, che non rinnega le radici ma le fa evolvere. Un grande collettivo. “Questo intendo farlo valere nel Pd. Se mi dite che non c’è molta comprensione e che tutto può essere ricambiato da insulti…io comunque sono sereno”, ha scherzato. Per poi ribadire che “quando abbiamo vinto lo abbiamo sempre fatto con la fatica delle nostre idee”. Lunardon ha fatto più volte riferimento alla necessità di tenere unito il Pd in questa sfida: “Siamo un partito di passione e di energie, le controversie che ci sono state tra noi non devono far vincere la destra o il M5s”. “Una destra sempre più lepenista”, gli ha fatto eco Orlando, “e anche per questo i liguri non hanno nessuna intenzione di essere cavie di qualche laboratorio…”. Bersani vede diverse regioni “al pelo”, ma non condivido il pessimismo e non prevedo brutte sorprese per il Pd. Anzi il Pd potrebbe prendersi anche qualche bella soddisfazione”.

Dal comizio con Pastorino, Civati aveva attaccato duro Bersani: “Non so come faccia a sostenere una candidata che è più renziana di Renzi. Pier Luigi stasera ha sbagliato piazza, lui è nella piazza del Jobs Act, delle riforme costituzionali, della riforma elettorale, del patto con Forza Italia”. L’ex leader replica senza acrimonia: “Con tutto il bene che voglio a Civati gli dico ‘Dove vai?’ E’ uno sbaglio, bisogna combattere nel Pd…”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/05/29/liguria-bersani-con-paita_n_7466356.html?1432881144&utm_hp_ref=italy


Titolo: BERSANI - Nuovo Senato, Bersani a Renzi: «Non c’è disciplina di partito»
Inserito da: Arlecchino - Settembre 08, 2015, 04:36:42 pm
LE RIFORME E LA TENSIONE NEL PD
Nuovo Senato, Bersani a Renzi: «Non c’è disciplina di partito»
L’ex segretario dem: «No a prove di forza sul nuovo Senato. Non si può chiamare alla disciplina di partito davanti alla Costituzione. Noi liberi»

Di Redazione Online

«Non si tocca l’art. 2 della riforma? Renzi ha ragione a chiedere che non si apra un vaso di Pandora, ma poi c’è il libero convincimento». Lo dice Pierluigi Bersani a Radio Anch’io. «Non si può chiamare alla disciplina di partito davanti alla Costituzione. Non si è mai fatto in nessun partito», ammonisce l’ex segretario del Pd.

Che continua: «Non pretendo di dettare il compito e questa è la mia opinione», ma sulla riforma «c’è il libero convincimento di senatori che, davanti a temi costituzionali, non possono essere richiamati a una generica disciplina di partito. Nessun partito nella storia di Italia ha mai richiamato alla disciplina davanti alla Costituzione».

Spaccare il Pd sulle riforme? «Io lo chiedo a Renzi, io sono per il sì, non per il no» alla riforma costituzionale. «Ma qui non è in gioco il superamento del bicameralismo perfetto, il doppio voto di fiducia, ecc... Tutti vogliono la riforma e intendono portarla in porto, qui è in gioco se, dopo la legge elettorale, noi possiamo avere un Parlamento dove la grandissima parte dei membri viene scelta a tavolino». «La questione è questa e qui non c’è Bersani - spiega l’ex leader dem - ma il libero convincimento di un numero di senatori con i quali bisogna discutere e trovare una soluzione. Non mi risultato tentativi di mediazione, ho visto ricostruzioni prive di sostanza». Quanto all’ipotesi listino, circolata in questi giorni come possibile terreno d’incontro, «è priva di sostanza», poiché, a detta di Bersani, «non si può scrivere una cosa in un articolo e poi correggerla in un altro». La questione è «sì a un ruolo degli elettori. Punto».

8 settembre 2015 (modifica il 8 settembre 2015 | 11:18)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_settembre_08/nuovo-senato-bersani-non-c-disciplina-partito-ed901e5c-55fc-11e5-b0d4-d84dfde2e290.shtml


Titolo: Intervista a BERSANI - di Valentina Santarpia
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 17, 2015, 07:17:58 pm
La diretta
Bersani a #Corrierelive: «Contrario alla sfiducia a Boschi e al governo, ma Renzi sia meno arrogante»
L’ex segretario del Pd all’appuntamento negli studi del Corriere della Sera parla del salvabanche e di un Partito che «ha bisogno di più cura».
E rivela: «Mi chiamarono quando stava cadendo Letta, io non avrei fatto quell’operazione in quel modo»

Di Valentina Santarpia
 
Lo spettro del conflitto di interessi ora arriva sul governo Renzi, con il decreto salvabanche. Pierluigi Bersani, che è stato anche ministro dello Sviluppo economico e si è occupato di banche più volte, ne parla in studio con Alessandra Arachi, Monica Guerzoni, Tommaso Labate, Antonio Polito. «A me appare che in questo caso non ci sono atti pubblici che intervengono a favore di atti privati- sostiene l’ex segretario Pd- ma consiglierei a Renzi e alla Boschi di non affrontare questa vicenda con toni muscolari, perché c’è turbamento in giro e quindi bisogna rispondere con trasparenza, chiarimenti, senza arroganza. Quindi affrontiamo anche l’appuntamento parlamentare della fiducia con questa impostazione. Per quanto mi riguarda non ho dubbi nel negare la sfiducia alla Boschi, ma attenzione perché è una vicenda che è stata percepita con profondo turbamento da parte degli italiani».
 
«Consiglio a Renzi e alla Boschi di rispondere senza arroganza»
Renzi accusato di doppiopesismo: si era comportato nei confronti della Cancellieri con una richiesta di dimissioni, ora si sta comportando diversamente? «Io sono più analitico: una fattispecie paragonabile a questa è quella del ministro Lupi. Negli altri casi, Josefa Idem, la Cancellieri, la Di Girolamo, uno formalmente può dire che erano accusati di qualcosa che li riguardava personalmente, non di figli e padri, però è vero che si è stati in quei casi un po’ tranchant e sbrigativi. E quindi qual è il criterio del rigore, della moralità? Io sono per ripristinare una cosa logica, e cioè il conflitto di interessi c’è quando fai una cosa a favore di un interesse collegato. Quando capitano cose come quelle della Cancellieri, della Idem, io sarei per avere più misura. Con loro non sono stato colpevolista. Se poi mi si dice che siamo negli Usa, allora posso essere più fermo, però un banchiere che frega negli Stati Uniti buttano la chiave. Se siamo in Italia, siamo in Italia, non possiamo a fasi alterne fare quelli che stanno negli States e quelli che stanno in Italia».
 
«Il governo faccia un decreto per i consumatori»
Bersani il salvabanche l’avrebbe scritto così com’è o pensa che in realtà sia troppo tenero con le banche? «Io penso che con l’Unione europea si poteva anche insistere. Ma una volta arrivati lì, non ho alcuna obiezione. Io dico che forse in quel rapporto con l’Ue qualcosa sia cambiato. Il salvabanche per definizione salva le banche, poi la giustizia vedrà se può rivalersi qualcuno. Io ho un’altra logica. Se la Consob e la Banca d’Italia tutelano la stabilità del consumatore, la difesa del consumatore chi la porta avanti? Come faccio a difendere un consumatore contro le prepotenze del mercato? Ci vuole la norma. Quando feci la norma sulla trasferibilità dei mutui, mi arrivò addosso uno tsunami, perché mi ero permesso di infilare la mano nei mutui. Ma io sapevo che era un furto legalizzato, e allora ho fatto la norma. In questo caso avrei fatto una norma per impedire di vendere obbligazioni allo sportello, punto e basta. Io consiglierei che il governo facesse una bella riunione e piazzasse un decreto con 4-5 norme secche. Non ho obiezioni sul salvabanche, arrivati lì: ma il cittadino doveva essere difeso prima dallo Stato, dalla politica». Questo scandalo può essere messo in conto al Pd, o che il Pd possa perdere voti? «Il rischio c’è per il semplice fatto che governiamo. Perciò dico che ci sono materie per cui il governo deve mettere le mani nel mercato. C’è un momento in cui la gente è debole, a a chi chiede qualcosa? Al governo. Normalmente siamo chiamati a far qualcosa».

«La Boschi determinata ma usi toni più umili»
Cosa pensa della Boschi? «Una persona molto determinata, che ha forza. Mi trovo più nella fase di formatore, e quindi noto che è una che studia, ma le consiglierei un tono più umile. Per il resto è una persona che ha delle qualità notevoli, e poi sono contento che ci siano più donne in politica. I messaggini? Ma con me non parlano: siamo nell’autosufficienza più totale. Sono meccanismi troppo autocentrati, dovrebbero essere sia lei che Renzi più aperti, riflessivi, dialoganti».

«Il governo durerà fino al 2018»
Previsione sulla durata del governo Renzi. «Durerà finché vorrà, nel senso che le elezioni ci saranno quando sono previste, nel 2018. Non vedo francamente problemi tali da mettere un pregiudizio sul governo. Mentre vedo la difficoltà di affrontare un’opinione pubblica che cambia ciclicamente. Non c’è nessun mago che possa ovviare al problema della nuova onda che arriva. Forse noi siamo ancora sulla vecchia onda, forse la nuova che arriva è un’altra.Questa è la paura che ho nel profondo. Non abbiamo una ripresa davvero forte davanti a noi, ma meccanismi di difesa, a chiusura nel campo sociale. Io dico: rinnoviamola la bandiera della sinistra, ma non ripieghiamola. Se no arriviamo alla prossima onda disarmati».

«Rivendico ancora il famoso streaming con i grillini»
Ma perché non si è fatto il governo con Grillo? «Io avevo un’idea, quella di fare dell’instabilità una forza. Io avevo detto loro: lasciatemi partire e poi si vede. Ma lo sapevo che non venivano. Non potevo sperarci, erano arrivati appena anche loro, ma in quel famoso streaming misi in chiaro, a costo di fare la figura del pirla, che io ci stavo. Ancora adesso, che loro stanno studiando per capire le cose di governo, ci ripenso. Caro M5S, puoi ancora far da solo? Dicendo io non parlo con nessuno?».

«Se fosse rimasto Letta avremmo meno velocità ma più partito»
Il passaggio Letta- Renzi: «Se fosse rimasto Letta forse avremmo avuto più cacciavite e meno velocità ma un partito messo meglio. E nella prospettiva del Paese avere un Pd in forma è molto importante. Questo nuovo meccanismo ha dato un dinamismo incredibile ma pagando qualche prezzo. Se ci fossi stato io in quei giorni lì, non avrei votato a favore o in direzione del governo Renzi. Mi chiamarono, avevo un gran mal di testa - all’epoca Bersani era ricoverato in ospedale, ndr -ma spiegai: si può fare tutto, compresa quest’operazione, ma qualsiasi cosa deve essere proposta da tutti e due. Dal capo del governo e dal capo di partito. Questo dissi io allora. Ho sempre avuto un’idea di centrosinistra come vasta area culturale, rispetto a cui il Pd era il perno. Adesso è prevalso un meccanismo di autosufficienza, e in un Paese orientato da cento e più anime, è un azzardo. Lo so che è difficile governarlo il centrosinistra quando governi ma è così».

«Nel Pd c’è ancora qualcosa di mio»
C’è la speranza che Bersani riprenda la segreteria? «Speranza ha mollato la poltrona- ride Bersani- Penso che bisogna stare nel Pd, non condivido quelli che parlano del Partito della nazione, bisogna giocarsela lì». In questo Pd c’è ancora qualcosa di Bersani? «Se mi venite dietro qualche volta, quando mi chiamano in qualche roba popolare, vedete che c’è tanto di mio. Adesso è un momento in cui qualcuno mi sorride. Io voglio tenere accesa la fiammella di un’idea di sinistra, e penso che sia giusto tenerla nel Pd: vuol dire difendere il cittadino dalle prepotenze del mercato, un universalismo nel sociale, una sanità equa per tutti. Con i socialisti europei diciamo questo: se ci tassiamo tutti per il terremoto in Nepal vogliamo fare un fondo presso l’Oms per remunerare i brevetti e rendere accessibili i farmaci per tutti? Altrimenti tra qualche anno non ci sarà nessun universalismo che può reggere».

La Stabilità: «Si può fare di più, la voterò con qualche dubbio»
Questa legge di stabilità è di sinistra? «C’è qualcosa di sinistra. Per esempio quando fai una misura per favorire l’ammortamento degli investimenti e l’acquisto dei macchinari, oppure gli interventi per le iniziative ambientali. Meno di sinistra quando fai un’operazione sulla casa: per l’amor di Dio togliamo le tasse a chi non può pagarle ma lasciamole a chi può. Oppure l’intervento sul contante. Io la voterò, con qualche dubbio. Il lavoro lo fai con gli investimenti, se non c’è lavoro la ruota non gira. Non ci sono abbastanza investimenti. Se vuoi aiutare la crescita devi ridurre la forbice sociale, uno degli elementi per ridurla è il welfare: se la gente deve pagarsi una risonanza magnetica, sono due Imu; secondo, la progressività fiscale. Queste sono le cose che riducono la forbice e quindi migliorano la crescita. Si può fare di più».

La Leopolda: «Renzi metta fuori le bandiere del Pd»
«Caro Renzi, se ce l’hai nel cuore mettile fuori le bandiere del Pd, sei il segretario. Ognuno deve fare il suo mestiere. Ho fatto 16 anni l’amministratore in una regione rossa dove il Resto del Carlino era il giornale ufficiale, ma io non ho mai aperto bocca perché mi piacerebbe che ci fosse l’idea di una stampa, un’informazione, che non si legga come le carte del popolo. Mi piace che ognuno faccia il suo mestiere. Nella stampa e nell’informazione troppo conformismo non lo gradirei: più c’è servio encomio, più c’è codardo oltraggio».

Renzi vuole il partito della Nazione? «Non lo escludo»
Il fatto che Nardella apra al partito della Nazione la infastidisce? «Non condivido niente di quell’intervista, con tutto l’affetto e la simpatia, soprattutto quando dice che destra e sinistra sono vecchie categorie. Io ho in testa una sinistra sociale e liberale. Vedo dentro tutte le esigenze di innovazione. Ma se non teniamo alta la fiammella, dimentichiamo che essere di sinistra è sentire che tutti gli uomini e le donne hanno eguale dignità. E quindi è contro ogni idea di prevaricazione, ingiustizia, sopruso. Non devi fare il predicatore della sinistra, ma gli atti devono avere un senso: se fai una tassa, la devi fare per chi può pagarla. Tu governi, fai mille atti, devono avere un senso percepibile. Quanto sfugge il senso, ti disarmi. Poi se mi si dice che il bersanismo è in salita, lo so anche io. Ma vincere per perdere non mi interessa. Lo schema del partito della Nazione è quello che ha in testa Renzi? Non posso escluderlo».

Il caso Roma
A Roma chi era il candidato di Bersani? «Era Zingaretti». «Non trovo sia un vanto per il Pd aver cacciato Marino, è stato spiacevole per entrambi. Quando è capitato nella mia esperienza un dramma, come a Roma è scoppiata Mafia capitale, si reagiva elaborando il lutto venendone fuori come un collettivo. Io trovo che a Roma davanti a questo dramma sia mancato questo: il collettivo».

La vicenda Penati
La faccenda Penati: «Credo che ci siamo capiti senza telefonarci. Io son contentissimo perché non ho mai avuto dubbi, ma lui se l’è portata grossa. Io piccola piccola, però spero che ci siamo capiti senza parlarci, bisogna venire fuori dalla bufera, e quel che ho avuto io di distanza è per tutelare la ditta. Quando dico ditta intendo il centrosinistra, non è una partita Iva».

Un’assemblea per capire il senso del Pd
«Più che un congresso straordinario farei un appuntamento senza pesi e magliette, ma una riunione per capire cosa è il Pd, come si faceva con la vecchia conferenza di organizzazione. Un partito giovane come il nostro ha bisogno di cure. L’accordo con i Cinque Stelle? Bella svolta. L’invio di militari in Iraq? Stiamo prudenti, però bisogna portare coerenza. Non confondiamo la storia con la cronaca: quello che sta succedendo è una riorganizzazione del Medio Oriente. La gente che dice combatto l’Isis vuole solo prendere posizione nella nuova riorganizzazione. Allora a questo punti bisogna che Europa e Stati Uniti chiamino tutti gli amici e li invitino alla coerenza. Dopodiché, il tema militare diventa da poco se si risolviamo quello politico».

Da - http://www.corriere.it/politica/15_dicembre_16/bersani-corrierelive-afe1299a-a3fc-11e5-900d-2dd5b80ea9fe.shtml?cmpid=PA178012501DCOR&refresh_ce-cp


Titolo: Pier Luigi Bersani: "Caro Renzi, serve la sinistra delle lenzuolate" ... sic
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 23, 2015, 06:13:12 pm
Elezioni spagnole, intervista a Pier Luigi Bersani: "Caro Renzi, serve la sinistra delle lenzuolate"

Pubblicato: 21/12/2015 18:17 CET Aggiornato: 57 minuti fa

Pier Luigi Bersani, partiamo dall’interpretazione del voto spagnolo.
È chiaramente un voto in sintonia coi processi profondi che stanno avvenendo in Europa. E cioè: già prima della crisi c’è una sinistra di stampo socialdemocratico, socialista, riformista che ha preso uno schiaffone con la globalizzazione. Globalizzazione che ha minato le situazioni di forti servizi, alta fiscalità e alti salari. Poi è arrivata la crisi e l’Europa del grande compromesso sociale si è trovata sbragata, indebolita, divisa. È chiaro che la rottura di questo equilibrio che, ripeto, inizia prima della crisi, viene pagato dalle forze che hanno costruito il welfare europeo, cioè quel peculiare punto di equilibrio tra società ed economia. Questi processi portano a Podemos ma non solo.

Ma anche Ciudadanos, la Le Pen, qualche tempo fa Tsipras. Fenomeni diversi che però...
Esatto, esatto. Diverse forme tutte con una caratteristica: una critica all’establishment e un riflesso isolazionista. In tutti questi casi che ha elencato ci sono queste due cose. E infatti sono fenomeni che trovano radici popolari.

Si può dire che in Italia, nel 2013, con l’esplosione del Movimento 5 Stelle si è visto l’anticipo di ciò che sarebbe accaduto in Europa?
Direi che l’Italia, non da oggi, è piuttosto in anticipo sui fenomeni... Nell’ultimo secolo è successo diverse volte compreso il 2013 con l’irrompere del movimento Cinque stelle. Per questo dico: attenzione.

Dice Renzi: benedetto Italicum. Non rischiamo l’ingovernabilità che si rischia in Spagna.
Sono radicalmente in disaccordo. Ra-di-cal-men-te. Dire che dopo la Spagna va bene l’Italicum significa dare una lettura profondamente sbagliata di quel che è accaduto in Spagna. Che è un po’ quello di cui stavamo parlando: la crisi della sinistra riformista, i populismi, eccetera. Detto questo, sull’Italicum a Renzi dico: in una società moderna, la governabilità non può essere una camicia di forza. Voglio dire: se io sono un catalano e mi si dice se dovrò scegliere tra Rajoy e Sanchez io ribalto il tavolo. Le pentole a pressione hanno la caratteristica che hanno uno sfogo sennò scoppiano. Io non sono un proporzionalista ma non penso che si possa blindare in modo ortopedico l’opinione della gente.

Ormai l’Italicum è legge. Si rassegni.
Io continuo a essere per il doppio turno di collegio. E dico: occhio che misure ortopediche ci predispongono a qualche tsunami.

Tipo la vittoria dei Cinque stelle. Con l’aria che tira in Europa...
Beh, ammucchiare tutti i populismi che sono contro è fin troppo facile. E in Italia, oltre ai Cinque stelle c’è ancora una destra. E nel profondo dei meccanismi di ripiegamento e regressivi c’è un terreno per la destra.

Però Bersani, andando al cuore del problema, anche Renzi dice: basta austerità perchè sta alimentando i fenomeni populisti, antieuropeisti.
Io sono d’accordissimo sullo slogan "basta austerità" e sulla necessità di avere un atteggiamento propositivo e combattente rispetto a una deriva germanocentrica. Dopo di che devo dire che bisognerebbe essere conseguenti sui due punti fondamentali su cui ci stanno impiccando, ovvero le banche e l’energia. Dico questo: sulle banche, se si voleva fare un braccio di ferro, si poteva fare alla Corte di Lussemburgo sul tema dell’uso del fondo di garanzia interbancario. Mentre sull’energia la questione South Stream è ben precedente alle sanzioni. Il sabotaggio vero e proprio del South Stream è avvenuto ben prima delle sanzioni alla Russia: è stato prodotto da una combinazione tra Stati Uniti e Unione Europea a traino tedesco.

E dunque?
Dunque già lì, quindi già un paio di anni fa, abbiamo perso l’attimo per dire che per noi il South Stream esisteva in quanto c’era il North Stream e quindi andava posto il problema di un corridoio sud che facesse da bilancia con il corridoio nord. Ora l’Italia deve puntare i piedi e sfruttare tutti gli strumenti diplomatici in suo possesso perché l’Unione europea ristabilisca un equilibrio energetico con un corridoio sud.

Però, a proposito lotta all’austerità, va detto che sulla legge di stabilità il governo apre i cordoni. Non si può parlare di austerità. Soldi a pioggia alle forze di polizia con gli 80 euro, soldi forze armate, intelligenze, welfare capitolo sulle povertà, bonus ai 18 anni. Dove è l’errore?
Sono il punto numero due. Manca il punto numero uno, cioè gli investimenti se dici “basta austerità”. Sennò di cosa parliamo? Quello che voglio dire in generale, e a maggior ragione dopo il voto spagnolo, è: non sarà ora di porsi la domanda: che cosa deve fare la sinistra riformista per riprendersi il suo profilo?

Che cosa deve fare?
Guardi, io ce l’ho ben chiaro da tempo. Deve fare due cose, una verso l’alto una verso il basso. Quella verso l’alto gliela spiego con un esempio: la sanità. Una sinistra riformista non può esistere se su un tema come la sanità non riesce a dire che ha una proposta di governo perché non ci siano né poveri né ricchi. Oggi, coi nuovi costosi farmaci salvavita, la sinistra dovrebbe porre il problema dicendo: ci tassiamo noi Stati per un fondo presso l’organizzazione della sanità che remuneri i brevetti salva-vita e consenta di avere tutti, in Europa e in Africa, di avere farmaci. Dunque portare i temi su scala globale è il primo compito: vale per la sanità, per la finanza, per il clima.

Passiamo alla cosa verso il basso.
Deve costruire un riformismo radicale, non tanto nel senso dei costi della politica, che, per carità, va bene ma sul populismo si arriva sempre secondi. Deve costruire un riformismo sulla difesa radicale delle condizioni di vita della gente comune contro l’establishment e le elite.

Per esempio sulle banche.
Per esempio... Si poteva fare, o no, qualche bella norma sulla possibilità di vendere obbligazioni subordinate allo sportello come facemmo sulla flessibilità dei mutui? Sarebbe servita sulle banche una sinistra delle lenzuolate.

Bersani, mi sembra visibilmente contrariato, arrabbiato.
Ma abbia pazienza. La Banca d’Italia si occupa di stabilità, la Consob la trasparenza, ma la difesa del cittadino, che poi è la sostanza, chi la garantisce? Glielo dico io che cosa avrei fatto: una norma. Bisognava e bisogna mettere mano alle norme. Si ricorda quando feci la norma sulla trasferibilità dei mutui che bufera che arrivò perché mettevo il dito nel mercato e si smascheravano le truffe? Ecco. Poi, per amor di Dio, se si doveva fare una un braccio di ferro con l’Ue per l’uso del fondo interbancario si faceva.

Ho capito...
Mi faccia finire il ragionamento. Faccio questi esempi per dire che la sinistra deve alzar lo sguardo da un lato sulla dimensione del mondo se vuole salvare l’universalismo, dall’altro se vuole assorbile le inflessioni populiste e isolazioniste deve riprendere contatto con la vita comune dei cittadini mettendosi dalla loro parte anche contro meccanismi di establishment e di élite.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/12/21/spagna-bersani-renzi_n_8854528.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Pier Luigi Bersani attacca Matteo Renzi su ... (sai che novità!)
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 22, 2016, 08:46:07 pm
Pier Luigi Bersani attacca Matteo Renzi su Verdini, Carrai e Banca Etruria: "Direzione Pd? Nel partito non si discute"

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 21/01/2016 16:58 CET Aggiornato: 1 minuto fa

Nel Pd non si discute sui temi in agenda, le riunioni della direzione sono puro "formalismo". L'accusa, forte, arriva dall'ex segretario del partito Pier Luigi Bersani: "Discussione? Non abbiamo fatto nessuna vera discussione, su questo (le unioni civili, ndr) e su altri temi. La direzione dove si parla cinque minuti è un formalismo...". Intervistato da L'Espresso, Bersani parla anche del caso Carrai, in via di nomina alla guida dell'agenzia sulla cybersecurity del Governo: la nomina di Marco Carrai a Responsabile del governo per la sicurezza online "sarebbe incredibile e se Renzi davvero l'avesse presa in considerazione farebbe bene a ripensarci". "Non riesco a credere che Renzi abbia pensato una cosa così. E se l`ha pensata ci ripensi".

Nell'intervista a Marco Damilano su l'Espresso, Bersani torna sulla vicenda di Banca Etruria e mette in guardia il presidente del Consiglio e il ministro Maria Elena Boschi: dalla vicenda emergono "troppe relazioni amicali" e Renzi e Boschi farebbero bene a mostrare maggiore "umiltà. Lasciamo fare alla magistratura che chiarirà quel che c'è da chiarire. Ma sul piano dei comportamenti emerge una sovrabbondanza di relazioni amicali, localistiche".

Insomma, "troppe cose in pochi chilometri quadrati. Lette con attenzione anche all'estero dagli investitori. Consiglierei a Renzi e alla Boschi di non usare toni troppo assertivi che possono apparire arroganti. Un po' di umiltà non guasta".

Riforme. Secondo l'ex segretario, Renzi commetterebbe un errore a trasformare il referendum in un plebiscito su di sé: "Il Pd sarà unito. A meno che si contraddica il punto di equilibrio che ci ha spinto tutti a votare la riforma, l`elettività dei senatori. Mi schiero con il senso comune: la gente pensa che sia un passo in avanti da appoggiare, ma non percepisce un appuntamento epocale. Se trasformi il voto in Armageddon rischi un ballottaggio anzitempo tra chi è pro o chi è contro Renzi, con qualche rischio. Non ne vedo l`utilità né per l`Italia né per il Pd. E neppure per Renzi".

Infine il caso Verdini. Se si dovesse arrivare ad un 'listone' Pd con dentro anche Denis Verdini, sarebbe un "bel problema": "Ho visto che poi si è corretto (rispetto all'ipotesi di "affiliarsi" al Pd, ndr), parla di affiancarsi al Pd ma ha ragione lui: se fai un listone con un altro partito il termine tecnico è affiliazione... E se dovesse esserci lui con noi avrei un bel problema. Non accetterei mai uno snaturamento del Pd così evidente e palese. Il Pd non può diventare l`indistinto dove tutto si ammucchia. Queste pensate tattiche e trasformistiche sono destinate a essere spazzate via".

Dello stesso avviso un altro esponente della minoranza dem, Roberto Speranza: "Ieri il voto di Verdini & company al Senato, decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza assoluta. Oggi la elezione di tre vice presidenti delle commissioni al Senato appartenenti al gruppo Ala. Forse è il caso che Renzi ci dica se esiste una nuova maggioranza politica che sostiene il governo e che comprende anche Verdini. Se è così si deve aprire un dibattito pubblico e in Parlamento", ha detto l'ex capogruppo alla Camera interpellato dall'Ansa.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/01/21/bersani-renzi-pd-etruria_n_9039944.html?1453391913&utm_hp_ref=italy


Titolo: BERSANI e le vecchie manovre "contro" per il potere interno al PD. BASTA!
Inserito da: Arlecchino - Marzo 01, 2016, 06:22:25 pm
Bersani: "No a congresso anticipato è una risposta arrogante"
"Non è vero che abbiamo bisogno di Verdini come non avevamo bisogno di Berlusconi. Renzi scelga se vuol fare quello che rottama o quello che resuscita"

01 marzo 2016

ROMA - "Una risposta arrogante, tranciante". Così Pierluigi Bersani ha commentato il 'no' ad un congresso anticipato arrivato dalla segreteria Pd all'indomani del voto in Senato sulle Unioni Civili. "Mi spiace che non si veda un po’ di gente che sta cercando di raffigurare un Pd ospitale per un'idea di sinistra - ha aggiunto Bersani - se non si apprezza questo sforzo vuol dire che non si sta capendo cosa sta succedendo". "Ci sono dei problemi - ha proseguito Bersani - che richiederebbero una discussione. Un congresso sarebbe più utile ma cercheremo comunque di far vivere una discussione nel partito, ci vediamo a Perugia per questo", facendo riferimento alla convention della minoranza Pd che si terrà l'11, 12 e 13 marzo.

Bersani ha poi affrontato il tema della maggioranza e dei voti del partito di Verdini: "Non è vero che abbiamo bisogno di Verdini come non era vero che avevamo bisogno di Berlusconi con il Patto del Nazareno. E' una scelta, Renzi scelga se vuol fare quello che rottama o quello che resuscita e su questo bisognerebbe fare una discussione anche congressuale". "Se uno che vota la fiducia non è in maggioranza - ha aggiunto - uno che non la vota non è all'opposizione...Siamo fra aggiuntivi e disgiuntivi. Eccoci finalmente approdati nella casa delle libertà. Devo riconoscere a Renzi una straordinaria qualità: è riuscito a cambiare le papille gustative di un bel pezzo dell'area democratica e dell'informazione. Il mondo di Verdini risulta improvvisamente commestibile. Io continuo a trovare questa cosa

"Se uno riesce a buttarmi fuori deve avere un gran fisico..." ha poi scherzato Bersani rispondendo ai cronisti che chiedevano conferme sull'eventualità che, con l'avvicinamento di Verdini al Pd, la minoranza possa uscire dal partito.

© Riproduzione riservata
01 marzo 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/01/news/bersani_no_a_congresso_anticipato_rispostea_arrogante-134563751/?ref=HREC1-5


Titolo: Tenere "tutti e due i piedi nel Pd" e chiamare CentroSinistra il Comunismo...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 12, 2016, 09:45:17 am
Pier Luigi Bersani: "Noi per alternativa nel Pd e per centrosinistra"

L'Huffington Post  |  Di Redazione

Pubblicato: 11/03/2016 19:06 CET Aggiornato: 1 ora fa

"Roberto Speranza è uno che non ha bisogno di rottamare" Lo ha detto Pierluigi Bersani alla convention della sinistra Pd. "La mia generazione non ha bisogno di essere rottamata perché non ha nulla da chiedere. Salvo: chiedimi chi erano i Beatles", ha aggiunto.

Bersani ha continuato: "Dice che alla prossima direzione se non si dimostra lealtà, le nostre strade si dividono. Ma hai visto uno che vuole uscire dal Pd? Io sono per un'alternativa nel Pd e per il centrosinistra". "In una democrazia rappresentativa - ha aggiunto - i rappresentanti devono rappresentare, non devono ubbidire".

Bersani ha sottolineato di tenere "tutti e due i piedi nel Pd".
L'ex segretario parlando alla convention della minoranza ha commentato così l'ipotesi di una scissione del partito evocata da Massimo D'Alema in una intervista al Corriere della sera: "Mi metto pienamente nel solco di quello che ha detto Roberto (Speranza, ndr): tutti e due i piedi nel Pd".


Semmai, può essere qualcun altro a decidere di andarsene, ha aggiunto con una battuta riferita a Matteo Renzi: "In un retroscena è uscita una cosa che dice 'se alla prossima direzione non si dimostra lealtà le nostre strade si dividono...' Oh, hai visto mai che vuole uscir dal Pd? sarebbe una notizia, ragazzi!".

Sulla riforma del credito cooperativo, Bersani ha attaccato: "Prendiamoci qualche libertà in più. Se ad esempio osano insistere nel cancellare la indivisibilità delle riserve di una cooperativa, io anche se mettono dieci fiducie non le voto. È una cosa che non ha mai fatto neppure la destra. Te la fai votare da Verdini, che è un noto esperto di credito cooperativo".

Sul doppio incarico segretario-presidente del consiglio, Bersani ha spiegato: "Il fondatore della non obbligatorietà del doppio incarico è stato Renzi: fu lui a chiedermi di potersi candidare premier contro di me che ero il segretario. Avesse vinto, io sarei ancora segretario. Sento sollevare grandi strali sul doppio incarico, ma non lo ordina il dottore. È la prima volta che il Pd è al governo. Vuoi che non ci sia uno schiacciamento su questo? Non è affatto un tema da prima repubblica".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/11/pierluigi-bersani-sinistra-riformista_n_9440068.html?1457719592&utm_hp_ref=italy


Titolo: Bersani "Renzi ricordi che noi l'abbiam fatto l'Ulivo. (hai sempre fatto finta).
Inserito da: Arlecchino - Marzo 13, 2016, 06:31:31 pm
Pd, Bersani: "Renzi ricordi che noi l'abbiam fatto l'Ulivo. Non lo tocchi o mi sentirà"
Botta e risposta a distanza tra il premier e l'ex segretario dem all'assemblea di Sinistra riformista di San Martino in Campo: "Se lui è la vera sinistra, noi cosa siamo?". Tra i temi trattati anche la legge elettorale: "Penso tutto il peggio possibile dell'Italicum". D'Alema: "Ci sarà il tempo, un momento per replicare"

12 marzo 2016
   
PERUGIA - "Avete sentito uno qui che dice andiam fuori dal Pd? Ecco, avete la risposta". Così Pier Luigi Bersani risponde a una domanda sulle parole di Massimo D'Alema, a margine dei lavori dell'assemblea della minoranza dem a San Martino in Campo.

"Il disagio testimoniato" dall'intervista di D'Alema, "c'è. Ma noi abbiamo una certa idea di come rispondere", aggiunge. Certo è che così "il Pd non va" continua Bersani, "stiamo approfondendo alcuni temi che riguardano la vita comune cercando di darci una organizzata per il futuro". "Perché se si dà per perso il Pd non c'è più il centrosinistra, alla barca bisogna dare una raddrizzata", aggiunge l'ex segretario. D'Alema incalza: "Voglio esprimere il mio apprezzamento per il lavoro di elaborazione che si svolge qui: mai come in questo momento c'è bisogno di idee nuove per rilanciare la sinistra, senza ripercorrere ricette sperimentate da altri o anche da noi in altre epoche storiche". Ma, continua, "non intendo rispondere su altri aspetti: ci sarà tempo, ci saranno luoghi. Ho espresso le mie preoccupazioni" sul Partito democratico, "ci sono state delle risposte. Ci sarà il tempo, un momento per replicare".

Il botta e risposta Bersani-Renzi-D'Alema arriva a distanza. Il premier parla dalla scuola di formazione del Pd. "Quando erano al governo hanno iniziato a dividersi e mandare a casa chi doveva fare il cambiamento, quelli che oggi chiedono più rispetto per l'Ulivo e la sinistra sono quelli che hanno distrutto l'Ulivo e hanno consegnato l'Italia a Berlusconi, non accetto lezioni da nessuno", dice il presidente del Consiglio.
Pd, Renzi: ''Quelli che mi accusano sono quelli che hanno distrutto l'Ulivo''

A rispondere è Bersani. "Affermazioni del genere non meritano un commento. Renzi ricordi che noi l'abbiam fatto l'Ulivo. Noi l'Ulivo l'abbiamo fatto", e ancora "se lui è la vera sinistra, noi cosa siamo?". E continua, "Renzi sta andando veramente oltre il segno. Non tocchi l'Ulivo perché allora ci sentiamo davvero. Non tocchi l'Ulivo, questo lo deve sapere".

L'ex segretario poi passa a criticare la legge elettorale. "Penso tutto il peggio possibile dell'Italicum. Non è una novità". L'ex segretario ribadisce la sua posizione. Il tavolo sulle riforme di San Martino chiede che l'Italicum sia modificato. "Penso che sarebbe interesse di Renzi cambiarlo. Perché ho l'impressione che al M5s e alla destra la legge elettorale così com'è va bene. Avrebbero l'occasione di mettere insieme un listone al ballottaggio e tentare di prendere tutto", spiega. E aggiunge: "ma non sono sicuro che Renzi abbia ben presente il rischio, anche sul piano sistemico. Qui si sta parlando di un 25-27 per cento" di consensi "che può tenere in piedi da solo un governo. Una base di rappresentanza troppo esigua. Una situazione persino rischiosa".

Renzi replica: "Le primarie sono il migliore strumento per la scelta della classe dirigente e un presidio di garanzia democratica per tutti". "Vogliamo decidere regole nuove, sono pronte ma non si mettono in discussione", aggiunge Renzi. "Noi abbiamo i nostri limiti, certo, se ci sono dei casi, e ci sono stati, anche se alcuni sono stati presentati opposti alla realtà, va bene il ricorso, ma i ricorsi non diventino una scusa per chi ha perso e deve diventare quello che ha vinto", continua il presidente del Consiglio. "Gli ulteriori ricorsi saranno verificati, aspetteremo l'esito e se il risultato delle primarie sarà confermato, tutti insieme a Valeria Valente andremo a restituire una speranza di cambiamento ad una città che va rilanciata e non passa il tempo a discutere delle regole interne al Pd".
Renzi: "Chi discute il concetto di primarie offende la democrazia''

Infine, sulla possibilità che la sinistra dem possa non votare il referendum costituzionale se non arriveranno modifiche alla legge elettorale, Bersani risponde: "Io ho detto la mia sull'Italicum, il resto? Certo, il combinato disposto non dà un bel risultato ma il problema prima di tutto è la legge elettorale".

Su Renzi si dice "preoccupato". "Se dico cosa penso di Renzi vado su tutti i tg, ma se dico che sono preoccupato perché è in corso un processo silenzioso e strisciante di privatizzazione della sanità pubblica nessuno se ne occupa, così non va bene" continua e non tralascia di rispondere a previsioni sul futuro.

Un segretario del Pd per il futuro? "Zoro", risponde secco Bersani. "E' lui, è lui...", aggiunge sorridendo all'inviato di Gazebo, il programma ideato da Diego Bianchi, alias Zoro. A Bersani non piacerebbe affatto la chiusura o il ridimensionamento di Gazebo.  "Ne approfitto e lo dico da persona che non ha mai detto una parola sulle televisioni e sulle radio: se la Rai servizio pubblico si privasse o indebolisse una trasmissione come la vostra da spettatore mi girerebbero molto perché io credo che certe cose che avete fatto sono una delle cose più belle che ha fatto il servizio pubblico negli ultimi anni".

Anche Renzi nomina Zoro. Nel centrodestra "per anni Berlusconi sceglieva, alla fine, i candidati", invece "nell'ultimo periodo, con Salvini che gli ha messo dei paletti, pare che Berlusconi li abbia mandati a stendere e a Roma abbia detto 'il candidato lo metto io'". Quindi "hanno fatto le 'gazebarie' o qualcosa del genere, da non confondersi con un'importante trasmissione televisiva di Rai3 o a Zoro gli prende un coccolone".

Poi, a distanza, continua con i riferimenti a quando accade all'assemblea di Sinistra riformista : "In questi giorni tutta la discussione politica è al nostro interno, ma il mondo fuori da qui non è interessato alle nostre discussioni. Al mondo non importa nulla". Poi elenca una lunga serie di provvedimenti adottati, rivendicandoli come di sinistra e un invito a non farsi del male da soli: "Essere di sinistra non è fare le manifestazioni sull'articolo 18 ma aumentare i posti di lavoro. Essere di sinistra significa cercare di cambiare la realtà per quella che è e non la realtà parallela delle nostre discussioni interne".

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/03/12/news/bersani_italicum_pd_disagio-135333517/?ref=HREA-1


Titolo: BERSANI: “Mi batto per un Pd ulivista mentre c’è chi si diverte a dividere”
Inserito da: Arlecchino - Maggio 30, 2016, 05:57:22 pm
Bersani: “Mi batto per un Pd ulivista mentre c’è chi si diverte a dividere”
L’ex segretario: “Ho fatto campagna elettorale per le amministrative più di ogni altro. L’Italicum? Inaccettabile perché non dà sovranità ai cittadini”


Amarezza, preoccupazione, ma nessuna intenzione di arretrare di un millimetro sulle questioni «squisitamente politiche» che ha messo sul tavolo della discussione. L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dopo aver letto quanto ha detto il premier Matteo Renzi dal Giappone sull’Italicum – «non si cambia» -, dice che non si stupisce. «Sono stato sostituito in Commissione, insieme ad altri, perché avevo obiezioni sulla legge elettorale, quindi nulla di nuovo…». E alla fine di questa lunga intervista le distanze dalla maggioranza del Pd restano intatte.

Ammetterà che l’ultima critica che lei ha mosso – sulle 10-15 persone che contano che si stanno aggiustando le cose con il governo e in cambio fanno applausi attraverso i giornali – è pesante. Le sembra poco?
«È l’osservazione del paesaggio. Essendo sul campo da molti anni mi accorgo quando questo capitalismo italiano ha bisogno di riorganizzare le sue cose e di non essere disturbato. È un istinto a tenersi affiancati fra sistema politico e sistema economico con il risultato di non guardare spesso la realtà e dirsi reciprocamente che tutto va bene quando invece i problemi sono acuti. Nel tempo questo atteggiamento può diventare elemento di pericolo. C’è troppo conformismo nei confronti della situazione, non lo dico per polemica, ma come un avviso ai naviganti».

Bersani, c’è qualcosa che va bene? Il quadro che traccia è sempre fosco…
«L’Italia ha ancora dei problemi, di natura economica e sociale, relativi al tema del lavoro e dei redditi, della protezione sociale e a una dinamica dell’allargamento della forbice della diseguaglianza. Se la si vive come una polemica, vuol dire non si vuole prendere atto di un problema che c’è».

Che risponde al senatore Andrea Marcucci che, riferendosi alle sue dichiarazioni, parla di una insana tendenza all’autogol?
«Sono esterrefatto. Marcucci e compagnia dovrebbero ringraziarmi, cerco di tenere nel Pd anche chi percepisce il disagio. Se interpretano anche questo come autogol vuol dire che non vedono la realtà».

Non le sembra che le critiche più dure al Pd arrivino dal Pd più che dagli altri partiti?
«Ma è l’Unità che vede questo?»

È quello che raccontano gli altri giornali ogni giorno.
«Credo di aver fatto campagna elettorale per queste amministrative più di ogni altro, vado a chiedere i voti per il Pd, con i miei argomenti e mi sembra che i miei argomenti riescano a convincere buona parte di questo partito. Ogni volta ripeto che si deve restare nel Pd con una buona dialettica. Sono io quello che fa polemica? Quando c’è polemica nel Pd non sarà che c’è un gruppo dirigente che se la prende con un pezzo di Pd? Chi dirige deve tenere assieme, non deve non dividere. Io faccio lo sforzo di tenere assieme, di fronte a un gruppo dirigente che si diverte a dividere».

Renzi dal Giappone risponde: l’Italicum non si tocca. Quindi, che succede, visto che per lei è una condizione per votare Sì al referendum?
«Non mi meraviglio della risposta. Insieme ad altri sono stato sostituito in commissione perché avevo obiezioni sull’Italicum. So bene come la pensa Renzi, ma sono convinto che procedere così per quattro mesi significhi fare una riforma a prezzo di un solco difficilmente colmabile nell’area democratica. Se vogliamo dividere l’Italia tra l’Italia del “Sì”e l’Italia del “No”, rischiamo di prendere una strada che provocherà un mare di problemi e non aiuterà il Paese. Io ho suggerito un modo diverso con il quale il “Sì” può rivolgersi al “No”. Le norme che sono state votate, con tutti i difetti che hanno, sono comunque un passo avanti se accompagnate con l’elezione diretta dei senatori, ma sono in dissenso radicale con la conduzione politica di questa battaglia. Sommare i destini di un governo a quelli di una Costituzione crea un precedente non accettabile, fuori dal nostro sistema e con l’aria che tira in Europa può, in prospettiva, creare guai seri al Paese».

Le chiedo: c’è un modo per accorciare le distanze?
«Quello che sto dicendo lo dico per trovare una strada che unisca. L’Italicum è una legge inaccettabile per il fatto che non dà sovranità ai cittadini e si propone di garantire la governabilità sacrificando la rappresentanza in un momento in cui in Europa e in Italia c’è bisogno di essere flessibili. Dopo di che, se mi si viene a dire che è ora di smetterla perché abbiamo avuto 63 governi io rispondo: è colpa delle leggi elettorali? L’ultimo governo è caduto per le leggi elettorali?».

Cacciari dice che nel fronte del No ci sono quelli che hanno fallito per 40 anni…
«Il fallimento di 40 anni? Ma questa retorica di 40 anni buttati via da dove nasce? Noi, che siamo eredi del buono che c’è stato in questo Paese, adesso facciamo in coro la condanna di quello che questo Paese ha fatto? Come si può dire che 63 governi non hanno fatto nulla? Ci sono stati limiti, errori, ma questo è un Paese che ha fatto passi avanti, progressi. È tutto fallimento in attesa del Messia? Noi stessi, per esempio, abbiamo cambiato già la Costituzione col Titolo V facendo qualche errore. Un vero fallimento, ad esempio, è che non siamo riusciti a cambiare i regolamenti di Camera e Senato. In due anni, alla Camera, abbiamo fatto 70mila votazioni e al Bundestag 80. Cerchiamo di essere meno sbrigativi e di non fare “ante Christum natum, post Christum natum”. Per favore…».

La moratoria delle polemiche interne sembra una chimera…
«Io terrò testardamente la linea di un Pd ulivista con l’idea che il nostro Paese non può sopportare divisioni. Per me questa è una moratoria quotidiana. Se invece si continua con atteggiamenti muscolari e divisivi e non si accetta di discutere con le ragioni degli altri, continuando sulla strada dell’ambiguità, non si va da nessuna parte. Le faccio un esempio pratico: a Bologna, dove vinceremo le elezioni e le vinceremo bene, c’è in lista una giovane che si è fatta le ossa con l’antimafia: come sta assieme con la circostanza che abbiamo fatto un matrimonio con Verdini e quindi con D’Anna che insulta Saviano e Capacchione? Pongo questa domanda e aspetto risposte».

La scelta, quindi, sarebbe Bersani o Verdini?
«Qui non è questione di nomi, stiamo parlando del profilo di un partito. Quel che mi colpisce non è Verdini, è il fatto che ogni 48 ore il nostro segretario giustifichi l’alleanza con Verdini. Fa impressione. Forse ha intenzione di fare un’altra cosa?».

Lei sa quanti annunciano che sta pensando di andare via dal Pd. Questo voleva dire con quel “Io non ci sto”?
«Prima di me se ne vanno altri. Io parlo in nome del Pd per come lo concepisco io. “Non ci sto” vuol dire che non ci sto, non ho niente da chiedere, si aspettino però che non mollerò, continuerò la mia battaglia in nome di un Pd ulivista».

È stato un errore far partire la campagna referendaria adesso?
«Assolutamente sì, in piena campagna per le amministrative si creano più problemi che opportunità. Stiamo confondendo la nostra gente, tra i nostri elettori ci sono sensibilità diverse».

Sarà anticipato il congresso, è questo che rende ancora più aspra la polemica interna?
«Un congresso è necessario, se si vuole fare in autunno dovremmo già essere all’opera. Dovremmo cioè garantire che sia un congresso serio perché per come vedo messo il partito, non vorrei che si finisse su tutte le gazzette locali per questo o quell’episodio».

Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre la invitano a sfilarsi e lavorare a una nuova sinistra.
«L’Italia ha bisogno di un centrosinistra, il centrosinistra di un Pd che sappia organizzare un campo. Se non ci fosse speranza nel Pd non ci sarebbe speranza per il centrosinistra. A queste sollecitazioni rispondo “no”. Quelli che danno per perso il Pd danno per perso il centrosinistra, che invece resta la sola chiave politica per il futuro democratico del Paese».

Da - http://www.unita.tv/interviste/bersani-mi-batto-per-un-pd-ulivista-mentre-ce-chi-si-diverte-a-dividere/


Titolo: BERSANI - (DAL SUO ESILIO MORALE RICATTA CON ASTIO PERSONALE) Ma non importa!
Inserito da: Arlecchino - Agosto 28, 2016, 11:31:08 am
L’avviso di Bersani a Renzi: “Modifiche all’Italicum o vedrò come votare al referendum”
L’ex segretario del PD: «Il premier fa ammuina, ma ci sono oltre due mesi di tempo per intervenire sulla legge elettorale»
27/08/2016

La tragedia del terremoto ha silenziato lo scontro dentro la politica e il Pd sul referendum e sulle modifiche all’Italicum. Ma da domani, domenica 28 agosto, quando si alza il sipario sulla Festa nazionale dell’Unità a Catania o al massimo nei prossimi giorni, scommettono i più, il dibattito ricomincerà dal punto in cui è stato sospeso. Pier Luigi Bersani, pur con il tono che si addice a giornate di lutto, butta un sasso nello stagno: «Non vedo ancora una vera intenzione di modificare la legge elettorale. Ci sono due mesi e mezzo per rimediare al combinato disposto tra legge elettorale e riforma elettorale. Vedrò cosa si fa e poi dirò come voto», avverte l’ex segretario Pd tenendosi le mani libere.

Matteo Renzi non ha cambiato idea: di cambiare la legge elettorale, venendo incontro alla sinistra interna, per ora non se ne parla. L’obiettivo dei prossimi mesi resta la campagna referendaria per il sì al referendum di novembre e per questo saranno concentrate forze e energie del Pd proprio a partire dalle Feste dell’Unità. Il premier è pronto al confronto con l’Anpi sulle ragioni del sì e del no anche se tra impegni a Roma ed il G20 in Cina, i primi giorni di settembre sembrano occupati. Ma la richiesta di fare modifiche alla legge elettorale è destinata a cadere nel vuoto. Ed anche i ricorsi alla Consulta, che si riunirà il 4 dicembre, non sembrano spaventare il governo. 

Davanti al muro renziano, la minoranza dovrà scoprire le carte: Roberto Speranza, che ha presentato la proposta del Mattarellum 2.0, ha già chiarito che senza modifiche alla legge elettorale, che riequilibrino gli effetti della riforma istituzionale, voterà no al referendum. Una scelta che sembra destinata a non essere solo personale dentro la minoranza. «Sono per questi boschi da molto tempo e so quando si fa sul serio e quando si fa solo ammuina», è la metafora di Bersani per criticare l’immobilismo di Renzi sull’Italicum. Comunque, aggiunge, «ci sono due mesi e mezzo per rimediare al combinato disposto tra legge elettorale e riforma elettorale». Altrimenti, avverte, «davanti alla Costituzione ognuno è libero di decidere come crede».

Ma oltre alla minoranza, qualche crepa sull’Italicum si è aperta anche nella maggioranza del Pd. Dopo Dario Franceschini, anche Andrea Orlando dei Giovani Turchi, nelle scorse settimane, ha sostenuto che «sarebbe ragionevole una norma che eviti il doppio turno». Per garantire la governabilità, secondo il Guardasigilli, «un premio di maggioranza proporzionale al risultato potrebbe evitare le coalizioni forzate e al contempo garantire buone probabilità di governabilità». 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/08/27/italia/politica/lavviso-di-bersani-a-renzi-modifiche-allitalicum-o-vedr-come-votare-al-referendum-jgHNjkBzrTibgG9JUlmOyN/pagina.html


Titolo: BERSANI: Modifiche all’Italicum? Solo chiacchiere. Franceschini: Così spacchi...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 10, 2016, 11:46:55 am
Referendum, Bersani: “Da Renzi solo chiacchiere, voto No”.
Franceschini: “Così spacchi il Pd”


09/10/2016

«Sono addolorato dalla scelta di Bersani, la minoranza per mesi ha posto il tema della modifica dell’Italicum per votare sì, Renzi ha detto che in direzione le modifiche all’Italicum erano al centro della riunione con la disponibilità a modifiche e Bersani, senza aspettare la riunione di domani anticipa il no. Così si lacera partito, è una scelta motivata da altro: andare contro Renzi». Così Dario Franceschini, su Sky Tg24 a L’Intervista di Maria Latella, commenta le dichiarazione di Pier Luigi Bersani.

 Bersani: «Modifiche all’Italicum? Solo chiacchiere» 
L’ex segretario e ministro dello Sviluppo economico ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, nella quale annuncia il no ai referendum nonostante le modifiche alla legge elettorale promesse dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Dal canto suo, Bersani si è tolto ben più di qualche sassolino dalla scarpa. Dalle pagine del Corriere definisce «chiacchiere» quelle di Renzi sulle modifiche all’Italicum e accusa: «In un anno e mezzo non ho mai avuto occasione di discutere di riforme nel partito. E dire che un po’ ci capisco». «Noi abbiamo cercato di salvare il salvabile - ha detto ancora Bersani - ma a volte trattenersi è molto difficile. E anche adesso dico quel che dico perché un pezzo del nostro popolo non vada via».

Speranza: «tempo scaduto sull’Italicum, voto No» 
Dalle pagine di Repubblica, invece, arriva l’affondo di Roberto Speranza, tra gli esponenti di spicco della sinistra Dem: «Legge elettorale e riforma costituzionale rappresentano un’unica grande riforma dell’architettura istituzionale. Una sola Camera farà le leggi e darà fiducia. E’ ovvio che il modo in cui si elegge quella Camera è decisivo. Da mesi dico che questo meccanismo non va perché cambia la forma di governo. L’unica strada per scongiurarlo è votare No». E ancora: «Da mesi chiediamo una modifica della legge elettorale. Purtroppo non si è fatto nulla. La direzione è l’ultima possibilità. Però non per annunci generici».

Nasce il comitato dei Democratici per il No 
Intanto a Roma, nella storica sede del Pd di Testaccio, sono nati i Democratici per il No al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Alla prima riunione hanno partecipato un gruppo di iscritti, militanti ed elettori del Pd e del centrosinistra. Tra i promotori il consigliere regionale del Pd del Lazio Riccardo Agostini e l’ex responsabile comunicazione del Pd, nonchè ex portavoce di Pier Luigi Bersani Stefano Di Traglia. «Sono sempre di più gli elettori del Pd e del centrosinistra che - affermano Agostini e Di Traglia - stanno manifestando l’intenzione di votare No al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Pensiamo sia giusto rappresentare e sostenere le loro argomentazioni, con l’obiettivo di promuovere, nelle settimane che ci separano dal voto, occasioni di confronto coinvolgendo singoli cittadini, associazioni, organizzazioni che hanno già mostrato o che mostreranno l’intenzione di sostenere la campagna a favore del No». «Crediamo che il cambiamento fine a se stesso - affermano i promotori - non sia sempre positivo. L’Italia ha necessità di riforme, ma di riforme vere, giuste e utili per i cittadini. È in atto da anni un restringimento della base democratica il cui unico effetto sui cittadini è la diminuzione del diritto di votare i propri rappresentanti. Per tutto ciò e per molto altro - concludono i due esponenti democratici - è necessario fermare la giostra e invertire la direzione. Noi diciamo si al cambiamento, ma non così». 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/09/italia/politica/referendum-bersani-da-renzi-solo-chiacchiere-voto-no-franceschini-cos-spacchi-il-pd-OKl7jRX2hHl6EYOGm6wylO/pagina.html


Titolo: E’ semplice, per Bersani Renzi è un imbroglione. Fine della discussione
Inserito da: Arlecchino - Novembre 08, 2016, 11:07:05 pm
E’ semplice, per Bersani Renzi è un imbroglione. Fine della discussione
Il Noista   
Ripercorriamo tutta la storia fino all’accordo strappato da Cuperlo

“Arroganza e sudditanza”, insulta Pier Luigi Bersani: l’intervento di Matteo Renzi alla Leopolda non gli è molto piaciuto, ma non sa bene spiegarne il perché. Abituato ormai da un paio d’anni a cannoneggiare il segretario del suo partito e il governo espressione del suo partito, contestandone ogni scelta e ogni respiro e ogni provvedimento, Bersani ora s’atteggia a povera vittima, evoca come un Pigi Battista qualsiasi lo spettro dello stalinismo, rivendica il suo amore per la “Ditta” (difficile immaginare un’espressione più spettrale).

E allora, molto semplicemente e con molta pazienza, proviamo a ripercorrere la vicenda, e cerchiamo di capire non chi abbia ragione – non ce n’è bisogno – ma quanto alta sia ormai la percentuale di malafede in coloro che, dopo aver perso le elezioni, il Quirinale, palazzo Chigi e la segreteria del Pd, ora vorrebbero che Renzi li imitasse.

Che cosa è successo in queste ultime settimane? La minoranza guidata da Bersani, sebbene abbia votato sei volte la riforma costituzionale in Parlamento, ad un certo punto ha annunciato che avrebbe votato No al referendum se non fossero intervenute modifiche sensibili all’Italicum. Italicum che, com’è noto, non fa parte della riforma e non è oggetto del referendum; e che, com’è altrettanto noto, era già in vigore quando Bersani e Gotor votarono felicemente Sì alla riforma Boschi.

Anziché scoppiare a ridere di fronte al testacoda di Bersani, Renzi pazientemente ha convocato una riunione della Direzione del partito, si è detto disponibile a modificare profondamente la legge elettorale, ha promosso una commissione che mettesse le modifiche nero su bianco.

Bersani e Speranza si sono rifiutati di entrare nel gruppo di lavoro, Cuperlo invece ha accettato.

Sabato i lavori della commissione si sono conclusi con un accordo che accoglie tutte – TUTTE – le modifiche proposte dalla minoranza: premio “di governabilità” ridotto, niente ballottaggio, collegi uninominali, coalizioni anziché liste di partito, elezione diretta dei senatori.

Cuperlo, colpevole di credere al significato delle parole, si è detto soddisfatto. Bersani e i suoi amici sono invece insorti: “Dichiarazione di intenti estremamente fumosa e ambigua”, ha sentenziato l’acuto Gotor. E il brillante Speranza: “Se si vuole fare sul serio si fanno provvedimenti, non documenti”. “Quel foglietto – ha concluso sprezzante Bersani – per me vuol dire che Renzi vuole mantenere le mani libere. Su quel foglio c’è scritto ‘stai sereno’. Io non sto sereno e voto No.”

Finalmente una frase sincera: Bersani di Renzi non si fida. Lo considera un imbroglione.

Qualsiasi cosa dica, per lui non vale. I documenti sottoscritti dal vicesegretario del partito, dai due capigruppo e dal presidente sono carta straccia perché è Renzi il segretario. Ogni impegno assunto non ha alcun significato, se ad assumerlo è Renzi o qualcuno che lo frequenta.

La prima frase sincera di Bersani in molti anni è preziosa e va dunque ricordata: il No al referendum al fianco di grillini e leghisti, l’attacco sistematico al governo del Paese, la critica violenta al partito non sono una scelta politica, ma il frutto di un’alterazione umorale, di uno slittamento psicologico, di un disagio da andropausa: Renzi è un imbroglione e la sua parola non vale nulla. Fine della discussione.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/torniamo-a-spiegare-per-bersani-renzi-e-un-imbroglione-fine-della-discussione/


Titolo: BERSANI: sogno ancora un Pd unito ma il governo cambi rotta, giusto ...
Inserito da: Admin - Novembre 14, 2016, 05:49:30 pm
Bersani: sogno ancora un Pd unito ma il governo cambi rotta, giusto abbassare i toni
La lettera. L'ex leader democratico risponde a Ezio Mauro: "Dopo il referendum parta una discussione vera. La gufologia nega la questione sociale"


Di PIER LUIGI BERSANI
13 novembre 2016

Caro direttore, le ipotesi sensate diventano sogni, come scrive Ezio Mauro, quando il tempo si consuma. Da oltre un anno a questa parte se avessi avuto l'inedita occasione di essere seriamente e direttamente ascoltato avrei detto quel che andavo dicendo pubblicamente e che devo ripetere oggi. Aver messo in gioco il governo sui temi costituzionali ed elettorali ha acceso la miccia scoperchiando il vaso di Pandora delle tensioni accumulate in questi anni, non solo da noi. Al fondo, in realtà, c'è una enorme questione sociale mondiale e italiana che meriterebbe almeno di essere nominata e compresa, e non taciuta o negata dalla gufologia. Senza rimettere i piedi nella realtà non se ne viene fuori. Questo vale per la politica e vale per l'informazione.

Ciò che si può fare in superficie e nell'immediatezza di questi venti giorni è lavorare per raffreddare il clima ragionando responsabilmente sul dopo. Diciamo dunque assieme che sul referendum non è in gioco il governo. Diciamo al mondo che la riforma del senato è una vicenda italo-italiana e che non siamo né su un crinale né su un precipizio. Diciamo assieme che è ovvio e giusto che il Pd dia la sua indicazione di voto e che è altrettanto ovvia e giusta la libertà di ciascuno davanti a temi costituzionali. Il segretario potrà ben dire che spera di poter convincere i democratici che vogliono votare No, ma ovviamente ritiene che quelle realtà associative e quelle persone hanno piena cittadinanza nel Pd e nel centrosinistra.

Il dopo referendum per me è fatto di un Pd unito che si organizza per una discussione politica vera sui temi di fondo a partire dalla natura e dai compiti della sinistra nella fase di ripiegamento della globalizzazione e dell'insorgere di una nuova destra protezionista. Il dopo referendum per me è fatto di un governo che corregga la narrazione e l'agenda. È fatto di una impostazione politica sfidante verso i 5 Stelle e alternativa alla destra, da subito non accettando che questi si intestino la rappresentanza politica del No; anche perché il No esprime, in particolare nel rapporto inestricabile con la legge elettorale, una radicale questione democratica che non si risolve a parole ma a fatti. Cercare la governabilità in una concentrazione incontrollata del potere e in una drastica riduzione della rappresentanza è una strada sbagliata e pericolosa. Su ciascuno di questi punti sono intervenuto già molte volte e da tempo e potrei avanzare qualche idea di dettaglio piuttosto precisa, giusta o sbagliata che sia. Ma vorrei discuterne nel collettivo e non nei riti della comunicazione. La grande e radicale novità sarebbe infatti la disponibilità a una vera e onesta riflessione collettiva. Purtroppo un sogno, a cui tuttavia non rinuncio.

© Riproduzione riservata
13 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/13/news/pd_bersani-151897934/?ref=HRER1-1


Titolo: BERSANI Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. (sic)
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 29, 2016, 07:13:03 pm
Carissimi,
da oggi potete leggere su Il campo delle idee, giornale online del Nens, il centro studi fondato da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani, tra gli altri articoli, i dossier, le analisi e le statistiche economiche e sociali prodotti da istituti nazionali e internazionali, i seguenti titoli:
   
Il centrosinistra deve dare vita a una nuova piattaforma politica. La via seguita finora è sbagliata.

Ci siamo raccontati e accontentati di un racconto secondo il quale abbiamo fatto piccoli passi, ma sulla strada giusta. Non è così. La verità è che dobbiamo discutere e capire come fare passi in avanti su una strada diversa, un’altra strada, perché quella che abbiamo imboccato e continuiamo a seguire è sbagliata. Se il Pd e il campo progressista restano sul piano di un blairismo nato in altre fasi, rimasticato e ormai esausto, o se ci si mette sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro. Le scorie lasciate dal ripiegamento della globalizzazione, la disunione europea, i problemi strutturali italiani impongono un ripensamento complessivo. Dobbiamo proporre protezione, ma con i valori della sinistra: riprendere in mano i diritti del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo ridurre la forbice sociale, basandoci su due pilastri: fedeltà e progressività fiscale da un lato e welfare universalistico davanti ai bisogni essenziali. E un nuovo ciclo di investimenti pubblici per dare lavoro, in particolare sull'innovazione industriale e per la manutenzione straordinaria del Paese. Nella speranza di incontrare il vostro interesse, vi invitiamo a continuare a seguirci, a leggere i nostri articoli e i numerosi documenti, statistiche, analisi delle diverse istituzioni nazionali e internazionali.

Nell’invitarvi a continuare a seguirci e a sostenerci, vi ricordiamo che, altre agli articoli a lettura libera, ogni giorno il giornale online del Nens pubblica documenti, analisi, studi, statistiche e interventi di organismi nazionali e internazionali.

La Direzione del Nens

Da – il campo delle idee.


Titolo: Pier Luigi Bersani: Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il PD
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 31, 2016, 02:21:44 pm
Pier Luigi Bersani: "Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il Pd"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 29/12/2016 15:42 CET Aggiornato: 5 ore fa

Per il Pd è arrivato il momento di cambiare, o si andrà dritti contro un muro. “Blairismo rimasticato”, “rottamazione” e “giovanilismo” hanno fallito, è tempo di cambiare rotta. È un duro attacco ai principi cardine del renzismo il lungo articolo a firma di Pier Luigi Bersani apparso oggi su Il Campo delle Idee, giornale online dell’Associazione Nuova Economia Nuova Società, centro studi fondato dallo stesso Bersani insieme a Vincenzo Visco.

    "Una fase si è chiusa”, scrive l’ex segretario. “L'esigenza urgente e drammatica è di non arroccarsi e di aprire una discussione vera. Perché sarebbe sbagliato pensare solo ad aggiustamenti millimetrici, o che basti mettere una scorza di sinistra nel cocktail degli ultimi tre anni. Non basta. Né il Pd potrà riproporre idee come la rottamazione, o quella forma di giovanilismo un po’ futurista che ha contraddistinto l'ultima fase. Per il centrosinistra si impone una nuova piattaforma politica: guardiamo avanti".

Secondo Bersani, “solo con proposte di una sinistra di governo la sinistra sarà di nuovo competitiva. Se invece il Pd e insieme al Pd tutto il campo progressista restano sul piano di un blairismo rimasticato, e ormai esausto, o se si mettono sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro”.

Per Bersani è necessario evitare che il malessere “venga interpretato solo dalla demagogia”. "Dobbiamo fare in modo che il problema che c'è, il malessere, non venga interpretato solo dalla demagogia. Non lo chiamo neppure più populismo. Sono i cattivi pensieri di una nuova forma di destra nascente. E possono essere guai, se non interviene il Pd, lo schieramento progressista, che è già in ritardo. Come? Io vedo tre campi di azione".

    “Il primo: riprendere in mano i diritti del lavoro. C’è poco da fare: se non mettiamo meno insicurezza, meno incertezza e meno precarietà nel lavoro; se prosegue l’umiliazione del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, se tutto questo non accade, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Secondo, cercare di ridurre la forbice sociale. Sono due i pilastri per riuscire in questa impresa: fedeltà e progressività fiscale da un lato; e, dall’altro, welfare universalistico davanti a bisogni essenziali della vita delle persone, a cominciare dalla salute. Anche questo dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Terzo campo di azione: il ruolo del settore pubblico, diretto e indiretto, negli investimenti. Finché si va avanti con crescite dello zero virgola non possiamo pensare che non vi sia uno sciopero del capitale, come è avvenuto negli ultimi anni. Se non c’è un orizzonte che consente di sperare in una crescita dei consumi, l’imprenditore i soldi se li tiene ben stretti. Quindi ci vuole un nuovo ciclo di investimenti pubblici diretti e indiretti, se vogliamo dare lavoro. Investimenti ben selezionati, perché devono essere orientati al lavoro, alla modernizzazione e al potenziamento dell’apparato economico”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/pier-luigi-bersani-superare-renzismo_n_13879958.html?utm_hp_ref=italy


Titolo: Bravo Bersani, guardiamo avanti
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 03, 2017, 09:01:16 pm
Bravo Bersani, guardiamo avanti

Pubblicato: 30/12/2016 17:27 CET Aggiornato: 30/12/2016 17:27 CET BERSANI
Il lungo articolo pubblicato da Pier Luigi Bersani sul giornale online del suo centro studi è importante, per almeno tre ragioni.

La prima: parla esplicitamente di campo progressista, cioè della necessità di una sinistra di governo che mandi in soffitta la vocazione all'autosufficienza con cui è nato il Partito democratico. Sono le stesse parole che utilizziamo noi e che indicano la possibilità e la necessità di un perimetro comune.

La seconda: non sono sufficienti, dice Bersani, aggiustamenti millimetrici rispetto al "blairismo rimasticato" di Renzi e del suo gruppo dirigente. Serve una nuova piattaforma programmatica che parta dai diritti del lavoro, da un nuovo sistema di welfare e dalla riduzione della forbice delle diseguaglianze, da un nuovo intervento dello Stato e del settore pubblico nell'economia. Si tratta di priorità del tutto condivisibili, coerenti con il Social Compact proposto in Parlamento dal gruppo di Sinistra italiana.

La terza ragione riassume le prime due: tali auspici muovono cioè in direzione opposta alla teoria e alla pratica del renzismo, nei confronti del quale non è possibile alcun atteggiamento mimetico. La sinistra a cui dobbiamo ridare forza è radicalmente alternativa al renzismo, per valori, ambizioni, programmi, stile (Bersani scrive di rottamazione e giovanilismo un po' futurista).

Delle due l'una, quindi: o siamo in grado di costruire, su questi presupposti, un campo progressista capace di governare e di dare finalmente risposte alla condizione sociale drammatica del nostro Paese; oppure abbiamo fallito l'appuntamento con la storia, piccola o grande che sia.

Il fallimento della costruzione di un campo progressista in discontinuità con gli errori degli ultimi anni conduce automaticamente a uno scenario horror: un Pd di Renzi e Marchionne subalterno vita natural durante ai paradigmi neo-liberali, una sinistra radicale irrilevante nel suo ennesimo cartellino elettorale, le destre o il Movimento Cinque Stelle al governo.

Non servono molte parole. Bisogna agire rapidamente nella direzione opportuna. I referendum proposti dalla Cgil sui voucher, l'articolo 18 e gli appalti sono il primo grande banco di prova per capire chi vuole voltare pagina e chi vuole rimanere indietro. Perché, caro Renzi, il 4 dicembre ha detto a tutti una cosa chiara: voi siete la conservazione, noi il (possibile) cambiamento.

Da - http://www.huffingtonpost.it/simone-oggionni/bravo-bersani-guardiamo-avanti_b_13895676.html


Titolo: Bersani: “Se Renzi forza e rifiuta il congresso, il Pd è finito: rifacciamo...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 04, 2017, 05:38:22 pm
Bersani: “Se Renzi forza e rifiuta il congresso, il Pd è finito: rifacciamo l’Ulivo”

Di F. Q. | 1 febbraio 2017

Aveva detto che dal Pd se ne sarebbe andato solo se l’avessero preso a calci. Ora quel momento sembra essere diventato più vicino. Dopo Massimo D’Alema e Nichi Vendola, dopo le proteste di Michele Emiliano e Enrico Rossi, ora tocca a Pierluigi Bersani: “Se Renzi forza – dice l’ex segretario del partito, rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”. A chi chiede se un faccia a faccia con il leader gli basterebbe, Bersani risponde di non voler incontrare Renzi: “Parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”.

La distanza tra Bersani e Renzi resta su molte cose. Le riforme necessarie, le misure che servono alla ripresa economica e alla crescita. E anche la legge elettorale. Dice Bersani che “siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere”. Se si estende la legge elettorale della Camera al Senato si ha “una legge che garantisce l’ingovernabilità. Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta”. Per l’ex ministro “vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati”.

E non c’entra nemmeno la vicenda dei vitalizi, evocata ieri Renzi. “E’ inaccettabile” quella frase, per Bersani. “Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perché ci crede. Perché non si vive di solo pane. Il rispetto conta”.

Un ragionamento che finisce per coinvolgere, necessariamente, il governo Gentiloni, che sarebbe la vittima sacrificale delle elezioni anticipate. “Il governo deve governare. Gentiloni vuole governare? Un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd” dice Bersani nell’intervista. Renzi “vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum Cgil… La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non dico che non si può votare prima della scadenza. Dico andiamoci con ordine, dopo Congresso e con una legge elettorale decente”.

Di F. Q. | 1 febbraio 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/02/01/pd-bersani-se-renzi-forza-e-rifiuta-il-congresso-partito-finito-rifacciamo-lulivo/3359398/


Titolo: Pd, Bersani: "Penso ad Ulivo 4.0 non ad un revival". (sic)
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 04, 2017, 06:11:51 pm
Pd, Bersani: "Penso ad Ulivo 4.0 non ad un revival".
Renzi: "Scissione non la capirebbe nessuno"
L'ex segretario dopo le polemiche spiega come immagina la nuova aggregazione a sinistra: "Se non si fa un congresso si faccia qualcosa che gli assomigli".
Il segretario dem al Tg1: "L'importante è che il giorno dopo si rispetti chi ha vinto"

02 febbraio 2017

ROMA - Un nuovo Ulivo, nuovo di zecca; un Ulivo 4.0 moderno e adatto ai tempi. Pierluigi Bersani comincia a spiegare cosa ha in mente quando chiede a Matteo Renzi di convocare il congresso o qualche altra forma di verifica interna al Pd, minacciando altrimenti di creare una 'cosa nuova'. E sulle elezioni è del parere di arrivare al 2018, ma prima deve esserci una discussione all'interno del Pd.

"Una scissione non la capirebbe nessuno", replica in serata Matteo Renzi al Tg1. "Comunque vadano le primarie o il congresso, l'importante è che il giorno dopo si rispetti chi ha vinto, altrimenti è l'anarchia", dice il segretario dem.

Bersani: "Ulivo 4.0, dalla sinistra radicale al civismo". "Quando dico Ulivo dico qualcosa che ha una solida cultura costituzionale e punta a mettere insieme la pluralità del centrosinistra. Non possiamo rassegnarci all'idea di un soggetto chiuso nel proprio campo", spiega a cronisti che lo assediano in Transatlantico a Montecitorio. "Serve una pluralità che vada dalla sinistra radicale al civismo. Poi le forme in cui questa idea si potrà realizzare la troveremo. L'Ulivo che ho in mente non è un revival del passato, è un Ulivo 4.0", dice l'ex segretario. Che in serata, dagli studi li La7, esclude che il ruolo di federatore possa essere ricoperto da Renzi.

Un progetto che dovrebbe coinvolgere tutti i prodiani che si sono schierati contro Renzi, pezzi di mondo cattolico popolare che non ha mai digerito l'ascesa dell'ex premier. Un settore che ha come portabandiera la presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi che potrebbe allargarsi fino all'ex premier Enrico Letta che sta alla finestra a Parigi. Dalle parole di Bersani sembra anche di capire il progetto si potrebbe allargare anche al movimento che si sta raggruppando intorno a Massimo D'Alema e alla nascente Sinistra italiana che a fine mese celebrerà il suo congresso costituente a Rimini. Sbocco quasi scontato visto che nel 1995 fu proprio D'Alema ad investire politicamente su Romano Prodi e l'Ulivo e che la sinistra che si riunisce a Rimini ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l'Ulivo.

Bersani, invece apparentemente glissa, sul ramoscello di pace lanciato ieri dal presidente del Pd Matteo Orfini che ha proposto di celebrare le primarie in caso di voto anticipato. "Su questo - scherza l'ex segretario - non penso niente". Però poi aggiunge che "in tutti i partiti che conosco io in Europa e nel mondo, quando si arriva alle viste della conclusione di un ciclo, si rende contendibile la linea politica. In casa Pd non possiamo arrivare a votare senza fare il punto. Se non si fa un congresso si faccia una cosa che assomigli a un congresso, che ci metta in condizione di discutere linea politica e leadership". E in serata, sempre a Piazzapulita, ha ribadito: "Io non so perché si precipiti il Paese al voto con sei mesi di anticipo. Quando si chiude un ciclo in tutto il mondo democratico i partiti rendono contendibile la linea politica. Io sono per il voto nel 2018: non tocca a me decidere ma il Pd si levi dalla testa che si possa andare alle elezioni senza aver fatto prima una discussione".

Anche Roberto Speranza vede di buon occhio la posizione di Orfini: "Ho letto positivamente l'apertura del presidente del partito - dice il deputato, uno dei leader della minoranza Pd - ma la strada maestra resta il congresso. Certo se ci sono le elezioni anticipate un problema si pone perché è impossibile andare alle elezioni politiche senza un confronto vero nel Pd".

La replica di Renzi. "E' importante che comunque vadano le primarie o il congresso, chi perde, il giorno dopo rispetti chi ha vinto. Perché altrimenti è l'anarchia", dice in serata al Tg1 il segretario del Pd Matteo Renzi, dopo aver escluso la possibilità di una scissione nel partito. "Va bene tutto per fare del Pd davvero un partito democratico", aggiunge.

Per quanto riguarda la data del voto, Renzi non si sbilancia: "Non so in che giorno si voterà, non tocca a me deciderlo, ma qualunque sia quel giorno è fondamentale che le forze politiche parlino delle esigenze delle persone. Discutiamo di disoccupazione, discutiamo di sicurezza, di banda larga e innovazione, del futuro dell'ambiente: così saremo credibili, altrimenti le elezioni sembreranno solo una caccia alle poltrone".

"Forse l'errore più grande (al referendum ndr) è stato quello di perdere di vista le esigenze dei cittadini normali e pensare alle dinamiche del Palazzo - spiega Renzi - Questo è forse l'insegnamento più grande del dopo-referendum: preoccuparsi molti più di ciò che accade ai cittadini e un pochino meno alle questioni interne al Palazzo. Dopo di che ci sono milioni di italiani che hanno votato sì e che hanno voglia di dare una mano affinché questo Paese sia più semplice e più bello e non ricada nei giochi della Prima Repubblica, come stiamo vedendo in queste ore".

"E' fondamentale - aggiunge il segretario Pd - che tutti diamo una mano al governo italiano quando va a Bruxelles a rappresentarci. Il governo deve sentire il sostegno e l'affetto di tutti gli italiani perchè gli italiani siano difesi e aiutati".

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02 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/02/news/bersani_pd_scissione-157422393/


Titolo: Pd, Bersani: "Congresso a giugno, legge elettorale e voto nel 2018"
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 13, 2017, 12:35:42 pm
Pd, Bersani: "Congresso a giugno, legge elettorale e voto nel 2018"
L'ex segretario: "Che il governo governi, basta giochetti, affrontare i problemi, dalla manovra ai voucher"
08 febbraio 2017

L'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani detta quello che secondo lui dovrebbe essere il timing del Pd e del governo da qui al 2018. Senza troppi giri di parole: "E' ora che tutti, dico tutti, dicano parole chiare: io sono per il voto nel 2018, perché il governo governi e da qui a giugno si faccia la legge elettorale e a giugno il congresso", dice Bersani, invitando così il vertice del Pd a fare chiarezza sulle tappe "altrimenti, se non rimettiamo i piedi a terra, i cittadini non capiscono e andiamo nei guai non solo politici ma anche economici e sociali". Quanto alla legge elettorale, per Bersani vanno tolti i capilista bloccati.

"Io, Franceschini, Orlando, Renzi, dobbiamo dire quando vogliamo andare a votare. Da quel momento metti in fila tutto: il governo, la legge elettorale, la manovra, il congresso, tutto. Si mette in ordine tutto. Altrimenti non si esce da questo circuito politico-mediatico e si incasina tutto". Se, come lui auspica, si decide di votare nel 2018, "ne deriva che il governo deve governare e ha una serie di cose da fare, si fanno le elezioni amministrative, si fa qualcosa sui voucher su cui c'è un referendum".

Oltre a ciò "a giugno parte il congresso Pd, che è la prima forza del Paese e deve fare il congresso in modo ordinato da qui a novembre. In una famiglia italiana normale, di cosa credete che si parli? Lavoro, redditi. Uno che guarda il nostro dibattito cosa credete che pensi di noi?" ha proseguito Bersani. "Abbiamo un Paese da governare, possiamo fare questi giochini qui? Ai cittadini sembra che stiamo in un sovramondo. Dobbiamo tornare con i piedi per terra e dire parole chiare, dire quando si vota e dire al Paese e all'Europa cosa si fa, serve un soprassalto di responsabilità".

E a chi come Renzi teme l'effetto che un anno di governo può avere sul rendimento del Pd in campagna elettorale, come fu per il Pd di Bersani al termine del governo Monti, il deputato Pd risponde: "Non è questo il problema. Qui bisogna mettersi tutti con una politica che parte dal Paese, dall'Italia, perché le tue fortune puoi farle solo se interpreti il Paese. Non esiste un destino del Pd a prescindere dal Paese".

Quaranta senatori del Pd della maggioranza e della minoranza interna hanno scritto un documento a sostegno del governo Gentiloni e per chiedere un rilancio del partito. "Sostenere il governo Gentiloni, nella pienezza dei suoi poteri; rimettere in piedi il Pd; lavorare a una legge elettorale omogenea per Camera e Senato; non concedere nulla alla pulsione antipolitica": queste,si legge, le priorità per i 40 senatori (Tronti, Albano, Amati, Angioni, Bianco, Borioli, Broglia, Capacchione, Cardinali, Chiti, Cirinnà, Corsini, D'Adda, Dalla Zuanna, De Biasi, Dirindin, Fabbri, Ferrara, Filippi, Fissore, G. Rossi, Giacobbe, Granaiola, Guerrieri, Idem, Lo Giudice, Manassero, Manconi, Martini, Mattesini, Micheloni, Puppato, Ranucci, Sangalli, Silvestro, Sonego, Tomaselli, Vaccari, Valentini, Zavoli). "Sentiamo il bisogno di dare un contributo e prendere una posizione nel dibattito politico", si legge nel documento. Per i firmatari occorre "un'azione combinata del governo e del partito" per affrontare tutte le problematiche, con in testa la "nuova questione sociale.

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08 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/08/news/bersani_pd_voto_congresso_legge_elettorale-157863282/?ref=HREC1-3


Titolo: BERSANI - Pd, Bersani: “La scissione è già avvenuta”
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 14, 2017, 05:23:40 pm
Pd, Bersani: “La scissione è già avvenuta”
«Da Renzi ho visto solo dita negli occhi»

Pubblicato il 14/02/2017
Ultima modifica il 14/02/2017 alle ore 16:42

«Qui non è questione di calendario» del congresso, «quella è una tecnica. Qui il problema è se siamo il Pd o il Pdr, il Partito di Renzi. Io da Renzi non mi aspetto nulla, ma chi ha buonsenso ce lo metta. Perché siamo a un bivio molto serio». Lo dice Pier Luigi Bersani, in transatlantico alla Camera all’indomani della direzione. «La scissione è già avvenuta tra la nostra gente. E io mi chiedo come possiamo recuperare quella gente lì. Ma ieri ho visto solo dita negli occhi», aggiunge. 

Bersani lancia un appello a «chi è vicino a Renzi»: «Noi, come ogni partito normale, ce l’abbiamo un canale per discutere a fondo ed eventualmente correggere la linea politica o no? Chi ha buonsenso ce lo metta perché la questione è seria», dice.

«Serve una riflessione politica. Da Renzi non me l’aspetto, dopo averlo sentito ieri, ma da quelli che stanno attorno a lui me l’aspetto», aggiunge. Per Bersani «il congresso si deve tenere a giugno». «Diamoci - dice - un percorso ordinario. Facciamo il Congresso nei tempi ordinari, da qui a giugno mettiamoci alle spalle la legge elettorale, facciamo le amministrative, poi prepariamo bene il Congresso», osserva.

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/02/14/italia/politica/pd-bersani-la-scissione-gi-avvenuta-jm2BkiA8SkwqdaficdQpFK/pagina.html


Titolo: Bersani: “M5s forza di centro e argine alla deriva populista.
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2017, 12:05:29 pm
Bersani: “M5s forza di centro e argine alla deriva populista. Se vincono e chiedono un incontro? Io ci sarei”
L'ex segretario Pd in un colloquio riportato dal Corriere della Sera ha parlato con toni interessati alle dinamiche del Movimento 5 stelle.
Al tempo stesso ha anche escluso che la nuova formazione politica Mdp sarebbe pronta a sostenere a scatola chiusa eventuali "larghe intese contro i populismi".
Il vicesegretario dem Guerini: "E' confuso". Il grillino Bonafede: "Noi non facciamo accordi con nessuno"

Di F. Q. | 22 marzo 2017

 “M5s è la forza di centro dei tempi moderni”. E se vincesse alle prossime elezioni e chiedesse una diretta streaming per discutere di un ipotetico accordo? Pierluigi Bersani dice che “lui ci sarebbe. Sarebbe curioso rinunciare”. L’ex segretario Pd, ora primo tra i scissionisti del partito e fondatore di Mdp, in un colloquio con alcuni militanti durante un’iniziativa a Campobasso ha parlato del Movimento 5 stelle con toni moderati e soprattutto interessati a capire cosa sta succedendo sul fronte grillino. A riportare le parole che il deputato ha detto parlando con i suoi è il Corriere della Sera, nello stesso giorno in cui la Stampa pubblica una sua intervista in cui si rivolge direttamente al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “E’ l’ora che si emancipi da Renzi”, ha detto.

Il concetto espresso da Bersani, discutendo prima dal palco durante l’iniziativa e poi privatamente con gli attivisti, rivela a grandi linee le intenzioni della sua nuova formazione politica in vista delle elezioni. L’idea è quella di non sostenere delle eventuali “larghe intese contro i populismi”, cioè non allearsi con “questo Pd”, ma di non scartare a priori un dialogo con un eventuale M5s vincitore. Bersani ha però specificato di “non voler fare da raccordo delle forze populiste contro quelle che si definiscono responsabili”. “I 5 stelle tengono in stand-by il sistema”, ha detto Bersani secondo il Corriere nel suo ragionamento. “Ma se alle prossime elezioni, in assenza di un centrosinistra largo, s’indebolissero, arriverebbe una robaccia di destra”. Tanto che i grillini per Bersani sono il vero “argine alla deriva populista e nazionalista”. Poi ha spiegato: “Il Movimento sarà pure solipsista, ma va tenuto dentro il circuito democratico. D’altronde una forza che raccoglie al primo colpo il 25 per cento dei consensi non è un fenomeno transitorio. Anzi loro sono il partito di centro dei tempi moderni. Anche perché i moderati non sono come si prova a rappresentarli oggi. Eppoi i moderati incazzati non sono una novità”. L’ex segretario democratico ha anche detto che i 5 stelle, per mantenere intatta la loro identità, finiscono per non andare da nessuna parte. “Il problema”, ha continuato Bersani, “è che, volendo mantenere la loro diversità, i 5 stelle finiscono per bloccare il sistema. Lo tengono in stand-by, appunto, senza dar sbocco alle richieste di novità che provengono dal loro elettorato. A meno che…a meno che non si rivelasse davvero capace di coalizzare in Parlamento”. E quindi, appunto, se i grillini dovessero davvero vincere nelle urne e non avere la maggioranza assoluta, Bersani sarebbe pronto a ripetere la famosa diretta streaming del 2013. “Io ci sarei ancora, sarebbe curioso rinunciare. In modo speculare sarebbe quello che ho chiesto a loro 4 anni fa”.

Le parole di Bersani hanno fatto saltare sulla sedia più di un dirigente democratico. Tanto che a parlare per tutti è stato il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Non voglio fare polemica su di una riflessione che mi pare abbastanza confusa. Il M5s più che un argine al populismo e alla demagogia è il populismo e la demagogia in questo Paese. Un’alleanza mi sembra una strategia abbastanza complicata da comprendere”. Bersani, fermato dai cronisti in Transatlantico, ha replicato: “Loro stanno dando benzina a Grillo, sono anni che danno benzina alla demagogia, io sto cercando di tirargliela via. Io confuso? Aspettiamo chiarezza dal Pd. Io ho a cuore l’Italia”.

I grillini, dal canto loro, hanno risposto ribadendo che loro non fanno alleanze. “Non voglio commentare l’opinione rispettabile di Bersani”, ha detto il deputato Alfonso Bonafede su RaiNews24. “Sottolineo soltanto che noi non facciamo accordi con nessuno, puntiamo al 40 per cento e, una volta al governo, faremo le nostre proposte che le altre forze politiche potranno votare alla luce del sole. Queste affermazioni ci fanno piacere se un giorno, con noi al governo, le altre forze politiche voteranno nostre proposte, come vuole la democrazia. Ma noi non facciamo né alleanze né tavoli all’interno dei palazzi, la democrazia è stupenda quando tutto si svolge alla luce del sole”, ha detto. Sul possibile appoggio della Lega ai singoli provvedimenti di un ipotetico governo Cinque stelle, Bonafede ha spiegato: “Non abbiamo questo tipo di preclusioni ideologiche, noi vogliamo agire nell’interesse dei cittadini”. E in merito alla descrizione fatta dall’ex segretario Pd – oggi in Mdp – del Movimento come forza politica di centro, Bonafede precisa: “Noi non abbiamo etichette, nel tempo ci hanno detto che eravamo di destra, di sinistra o di centro, ma noi lavoriamo per i cittadini mentre gli altri lavorano per dare un’etichetta ai 5 stelle in maniera fallimentare”.

Di F. Q. | 22 marzo 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/22/bersani-m5s-forza-di-centro-e-argine-alla-deriva-populista-se-vincono-e-chiedono-un-incontro-io-ci-sarei/3468122/


Titolo: Bersani: "Coalizione? Col Pd, non con Renzi
Inserito da: Arlecchino - Maggio 22, 2017, 11:57:52 am
Conferenza Art.1 Mdp. D'Alema: "Sinistra si ispiri a Francesco".
Bersani: "Coalizione? Col Pd, non con Renzi

L'ex premier dal palco milanese della tre giorni programmatica "Fondamenta": riferimento il Papa e non il finanziere "con il conto alle Cayman, la società off-shore a Malta, che poi magari dalla Leopolda ci spiega che cos'è la sinistra moderna. Quello è il renzismo"

20 maggio 2017

MILANO - Massimo D'Alema e Pier Luigi Bersani sono i protagonisti più attesi della seconda giornata di "Fondamenta", la tre giorni di lavori dedicati alla discussione politica e programmatica promossa da Articolo 1 -Mdp, dove tra panel e assemblee tematiche sfilano anche Enrico Rossi ed Emma Bonino, Arturo Scotto e Giuliano Pisapia, Guglielmo Epifani e Susanna Camusso. L'annunciato Ferruccio De Bortoli dà forfait per le polemiche seguite al nuovo caso Boschi-Banca Etruria scaturito dal suo libro. Ma è evidente che gli adepti della forza di sinistra nata con la scissione dal Pd aspettino da D'Alema e Bersani indicazioni sulle coordinate per inquadrare la direzione da intraprendere nella sua nuova sfida a una società globale. Con Walter Veltroni che, intervistato da Maria Latella, su SkyTG 24, invita a non affrontare "i temi del lavoro come si faceva nel 900: si può essere nostalgici ma quel mondo non c'è più".

Dal palco del Megawatt Court di Milano, D'Alema indica tra i nuovi riferimenti per una sinistra moderna papa Francesco. "Le grandi sfide di oggi non si vincono a livello nazionale - dice -. Occorre avere una sinistra che sia capace di avere come modello ideale un nuovo umanesimo, perché solo una nuova visione umanista può cambiare una globalizzazione che altrimenti produce conflitto". Di qui l'invito a trarre ispirazione "da Francesco, che dice che viviamo una sorta di terza guerra mondiale a pezzi, con una molteplicità conflitti, con la globalizzazione che ha portato sulla scena mondiale ingiustizie così profonde da mettere in discussione la stessa tenuta dei sistemi democratici, in un mondo in cui otto famiglie detengono le stesse ricchezze della metà più povera dell'umanità". E non prendere invece ad esempio il finanziere "con il conto alle Cayman, la società off-shore a Malta, che poi magari dal palco della Leopolda ci spiega che cos'è la sinistra moderna". Perché quello, scandisce D'Alema "è il renzismo".

"Noi siamo una piccola forza, siamo all'inizio del cammino - aggiunge D'Alema, rivolgendosi ai militanti di Mdp - . Ma ritengo che al di là della dimensione, bisogna avere l'ambizione di guardare lontano". Guardando lontano ma non troppo, dentro e fuori Mdp è aperto il dibattito sulle alleanze. A Milano D'Alema viene sollecitato al suo arrivo sulla possibilità di larghe intese dopo l'esito delle prossime politiche, dove prosegue nella sua invettiva contro il renzismo che non lascia molti spazi di interpretazione. "Non lo so, non sappiamo neanche quale sarà la legge elettorale - la sua risposta -. Ma a me sembra che una certa intesa fra Renzi e Berlusconi ci sia sempre stata. E sostanzialmente questa intesa è ancora operativa, a volte in modo sotterraneo a volte in modo aperto. Un'intesa che sostanzialmente ha caratterizzato tutta la politica renziana fin da quando Renzi andò a trovare Berlusconi ad Arcore". Quanto al governo Gentiloni, per D'Alema è sostanzialmente in continuità con l'operato dell'esecutivo Renzi, anche se "qualcosa hanno dovuto cambiare. Ad esempio sul Jobs Act, per timore del referendum della Cgil"

Sulle alleanze, Bersani va diretto ancor prima di salire sul palco di "Fondamenta". Disegnando davanti ai taccuini e ai microfoni dei giornalisti non lo scenario post-elettorale, ma un possibile cammino di Mdp verso l'urna delle politiche lungo il quale è piantato un paletto grande come un totem, che è anche la risposta all'apertura di Franceschini ai soli bersaniani di Mdp. "Mi stai chiedendo se sono d'accordo nel fare la coalizione nel centrosinistra, con un simbolo, con primarie per il candidato premier? Col Pd, non con Renzi, sì. Perché io penso che ci voglia una sinistra di governo". Per D'Alema, "se ci sarà un vero governo di centrosinistra, la prima cosa da fare è cambiare la Bossi-Fini. Questa legge, che nessun governo ha avuto il coraggio di rimuovere, è disastrosa per l'Italia e ha l'effetto di avere reso quasi impossibile l'immigrazione legale in Italia, perché pone condizioni irrealizzabili. Bisogna tornare alla legge Turco-Napolitano".

Critico, Bersani sul testo proposto dal Pd per la legge elettorale: "Il problema non è il maggioritario o no, è che questo è un maggioritario a geometrie variabili. E alla fine non c'è una maggioranza, ma ci sono le geometrie variabili. Se si vuole fare sul serio, si prenda il Mattarellum, punto. Vuol dire coalizione, simbolo e programma uguali in tutta Italia, con le primarie. Questo si chiama coalizione, l'altro si chiama trasformismo". Punto su cui D'Alema concorda alla lettera. "Questa legge elettorale permette il massimo dell'arbitrarietà e del trasformismo" è il suo giudizio sul testo proposto dal Pd, a margine dei lavori Mdp, "la penso come Bersani: una proposta molto confusa e anche rischiosa", in particolare l'elasticità delle coalizioni. "Una cosa molto diversa dalla legge Mattarella - osserva D'Alema - che aveva consentito la nascita dell'Ulivo".

Una volta sul palco, Bersani parte dal grande problema dell'Italia: la crescita. "In questi tre anni abbiamo raccontato che stavamo uscendo dai problemi. Questo ci costerà. Nell'epoca dei più bassi tassi di interesse della storia siamo riusciti ad aumentare debito e a diminuire gli investimenti. Siamo invece dentro ai problemi. Il lavoro è diventato più indebolito e ricattabile. I servizi sono diminuiti". E allora, prosegue Bersani, "qualche spunto sul nostro programma. Il lavoro lo danno gli investimenti non gli sgravi e il bonus. Gli assi degli investimenti sono l'innovazione in campo industriale e dei servizi e un grande piano di manutenzione del Paese sul territorio".

La "sinistra di governo può presentarsi nelle forme di un centrosinistra plurale nella politica e nei soggetti sociali, associativi e nei corpi intermedi. Le società complesse - ammonisce in conclusione Bersani, citando Gramsci - non le governi solo con il governo se non discuti e non crei pensiero, cultura, relazioni". Con stoccata finale e ironica a Veltroni per il richiamo, di cui si diceva all'inizio, sui "temi del lavoro non si possono affrontare come si faceva nel 900". "Grazie a Veltroni. Io sono per gli accordi che sindacato, Fiom compresa, hanno fatto con Ducati e Lamborghini con i tedeschi", accordi che "possono essere d'esempio. E parliamo della Germania di questo secolo, non del secolo scorso".

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Titolo: STEFANIA ROSSINI BERSANI - "Il Pd è un sogno infranto, ma ora sono me stesso".
Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2017, 11:00:06 am
INTERVISTA

"Il Pd è un sogno infranto, ma ora sono me stesso".
La Sinistra secondo Pier Luigi Bersani

L’addio 
alla 'Ditta'. Il rapporto con Renzi 'burattinaio'. 

La famiglia. Il futuro politico. Parla l’ex segretario del Partito Democratico a tre mesi dallo strappo e dalla fondazione, con Massimo D'Alema, del movimento Articolo 1 – Mdp

DI STEFANIA ROSSINI 
05 giugno 2017

Invitare Pier Luigi Bersani a parlare di emozioni è insieme semplice e impegnativo. Semplice perché l’uomo è disponibile a rivelare debolezze e cedimenti. Impegnativo perché ogni suo sentimento è incarnato nella politica, radicato in una storia collettiva e proiettato in una visione personale e irriducibile del mondo. A tre mesi dallo strappo definitivo che lo ha portato fuori dal Pd, partito che amava chiamare “ditta” tanto lo sentiva suo, fondatore con Massimo D’Alema e altri di un movimento (Articolo1-Mdp) non ancora sottoposto all’esame di realtà, alle prese con uno scenario politico in movimento, Bersani si mostra convinto della sua scelta e del consenso che potrà riscuotere.

Lo ammetta, Bersani, le manca il Pd.
«Eccome se mi manca! È il sogno infranto di un grande partito di centrosinistra. Ma almeno ora mi sento me stesso, libero di dire quello che penso».

Diceva: “Mi porteranno via con l’esercito”.
«Lo dicevo quando mi sentivo ancora a casa, ma ormai di quella casa erano caduti i muri portanti. Quando vedi che si imbarcano parole d’ordine della destra, che in una situazione sociale come la nostra si racconta al Paese che è arrivato il bel tempo, che persino dopo una sconfitta come quella del referendum, si ribadisce un’idea di comando solipsistico, allora ti scatta il mollone».

Che cosa scatta?
«Glielo spiego con un pensiero di Abramo Lincoln in cui mi sono imbattuto quando avevo 15 anni: “Così come non accetterò mai di essere servo, non acconsentirò mai a essere padrone. Questa è la mia idea di libertà”. Non ho mai fatto il padrone quando è toccato a me dirigere, non faccio il servo quando tocca ad altri».

Ha visto molti servi in giro?
«Ho visto cose che noi umani... Purtroppo il conformismo è dilagato soprattutto nella nuova generazione. Forse perché è meno temprata di noi vecchi, non spera più che il mondo possa cambiare e ha della politica un’idea di galleggiamento. Ma c’è un limite a tutto. Quando si è trattato di eleggere il presidente della Repubblica e vedevo tutti quei giovani che correvano al telefonino ad aspettare sms, a sbirciare Facebook, ho gridato: “Basta! Siete dei deputati, accidenti!”».

La maggioranza di quei giovani in Parlamento ce li ha portati lei.
«È vero, puntavo sulla freschezza e ho sottovalutato la mancanza di formazione. Del resto non mi metto a contare gli autogol che mi sono fatto!».

Gliene propongo uno. Perché nel 2012 concesse a Matteo Renzi le primarie che chiedeva soltanto lui?
«Perché altrimenti si sarebbe spaccato il Pd. Ne approfitto per raccontare una cosa che non ho mai detto. Ho fatto quella scelta, sulla quale erano quasi tutti contrari, motivandola con la generosità, con la voglia di sfidare Renzi sul campo. Tutto vero, ma c’era anche dell’altro».

Che altro?
«La sensazione che uno come Renzi avrebbe strappato la tessera, organizzato il seguito che già aveva, raccolto le firme e partecipato ugualmente alle primarie, dato che il nostro statuto lo permetteva. Allora sì che il Pd sarebbe finito. Io quella volta l’ho salvato».

E adesso si torna a votare, con una legge elettorale nuova. Che ne pensa?
«Puro avventurismo del potere. Se davvero succederà, arriverà qualche sorpresa dal Paese. Renzi ha la sindrome del burattinaio, ma gli elettori non hanno i fili sulla testa».

Sul vostro movimento i sondaggi non sembrano ottimisti.
«Se cent’anni fa avessero fatto un sondaggio sulla tavola degli elementi, avrebbero trovato il 66 per cento di tungsteno, il 32 di cadmio, il 20 di berillio e appena il 3 per cento di uranio. Ma la bomba atomica è stata fatta con l’uranio. I sondaggi non leggono la dinamica».

Da ragazzo lei aveva fondato una sezione di Avanguardia operaia, gruppo extraparlamentare a sinistra del Pci, oggi è di nuovo in un gruppo dissidente. Un lungo giro per ritornare al punto di partenza?
«Perché no? Si può anche ricominciare. Non vorrei però che mi fosse attribuito un gusto minoritario. A me piace il governo delle cose e credo di averlo dimostrato più volte come ministro. Ma oggi è necessario impedire che si finisca in braccio a una destra regressiva o a una demagogia inconcludente. Dopo di che le cose possono andare bene o male».

E se vanno male?
«Io ho in testa l’ultimo fotogramma di “Edipo re” di Pasolini con la frase “La vita finisce dove comincia”. Lui la intendeva in senso freudiano, ma se uno mette in conto che la vita politica finisce sempre con un dispiacere, anche a novant’anni, l’unico scampo è quello di essere fedele agli ideali della gioventù».

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È aver sfiorato quel dispiacere che l’ha fatta ammalare, a pochi mesi dal suo fallimento nel costruire una maggioranza di governo?
«Molti l’hanno pensato, e invece il coccolone mi è venuto in un momento in cui stavo bene, sentivo di aver fatto tutto il possibile e avevo passato la merce a Enrico Letta. Questi malanni possono venire anche quando vai a comprare il giornale».

Ha avuto molta paura?
«Sentivo che era una faccenda seria, ma in quei momenti le cose sono più semplici di quel che si crede. Un po’ perché l’unica cosa che vuoi è che ti passi il dolore, un po’ perché ti senti protagonista di un fatto eccezionale e scatta il senso di te. Io ci ho aggiunto la deformazione professionale. Sull’ambulanza che mi portava da Piacenza a Parma, pensavo: “Se ci lascio le penne faccio pure la figura del pirla, perché sono stato io a decidere che il polo di neurochirurgia fosse a Parma e a Piacenza solo il pronto soccorso”».

Davvero non ha temuto di morire?
«Con la morte ho una certa confidenza. Ho letto tutto quel che se ne è scritto e, una volta, quando ero assessore regionale, ho anche tentato di farne il tema di un convegno, “La morte e il morire dal corteggiamento all’umanizzazione”: Cesare Musatti, Cesare Zavattini e Tonino Guerra avrebbero risposto alle domande del pubblico».

Perché non l’ha fatto?
«La giunta me l’ha bocciato. Tutta gente brava e sveglia, intendiamoci, ma con l’idea radicata dell’Emilia gaudente. E io, che avevo solo 28 anni, li volevo far pensare alla morte!».

Bersani, sbaglio a dire che lei è un sentimentale? L’abbiamo visto piangere in pubblico più di una volta.
«Eh sì, non ho difficoltà ad ammettere che mi commuovo spesso, anche per cose di consumo».

Al cinema, immagino.
«Di più ascoltando musica, specialmente le canzoni di Vasco, come “Stupendo”, dove c’è tutta la delusione della generazione del Sessantotto. Ma mi commuovo anche quando Tarantino in “Kill Bill”, dopo cinque ore di film fantastico, ci svela che la storia era semplicemente quella di una madre che voleva ritrovare sua figlia. Poi capita che Vespa mi faccia rivedere in tv, senza preavviso, i miei genitori morti da tempo. Come si può non piangere?».

Che rapporto ha avuto con loro?
«Conflittuale e di stima profonda. La mia era una famiglia rigorosa, cattolica che mi ha dato l’impronta dell’onestà, ma che non capiva la mia scelta politica. Fu l’Ulivo, con l’incontro pubblico tra comunisti e cattolici, a riconciliarci».

Invece lei che padre è stato?
«Purtroppo sempre lontano. Ho tenuto testardamente la famiglia ferma e ho fatto il pendolare. Dicono che quello che importa non è la quantità, ma la qualità del tempo. Balle! Ho due bravissime figlie, ma resta la sensazione di aver perso qualcosa».

Però, nonostante il pendolarismo, il suo matrimonio dura da decenni.
«Forse proprio grazie al pendolarismo. Andare, tornare, ritrovare sempre tua moglie e casa tua. E poi aiuta anche il paese, il sistema di reti corte, dove conosci tutti, dove se parli di un macellaio ti viene in mente la stessa persona».

Lo stesso macellaio... Andiamo verso una delle sue metafore?
«No, quelle sono più complesse. E sono vere, non ne ho mai inventata una. Vengono tutte dal popolo, si levigano nella sua saggezza. Le ascolto al bar, al supermercato, tra la gente, perché a me la gente piace davvero. Sa qual è la cosa che mi diverte di più?».

Sentiamo.
«Fare il popolare, sparare metafore sempliciotte e poi quando arriva il professore, il cardinale, l’imprenditore che ti guardano dall’alto, stupirli con qualche citazione in latino. Fargli sospettare che non sono né incolto né rozzo».

Non la lascio senza tornare un momento alla politica. La sinistra nel mondo appare ormai disarmata. Abbiamo Trump, May, Macron, nel nostro piccolo, Renzi. Che ne sarà di quella grande idea?
«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi passa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto».

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