GIANNI BAGET BOZZO.
Admin:
5/8/2008
Le donne vescovo doppia crisi anglicana
GIANNI BAGET BOZZO
La chiesa anglicana era l’esempio di una unità che cercava di comprendere sia il principio cattolico che il principio protestante. Essa conservava del principio cattolico il concetto della successione episcopale come elemento fondante dell’identità della chiesa. Del concetto protestante essa riceveva il tema del rapporto individuale del credente con la salvezza mediante il dono della fede giustificante. Ora essa entra in crisi in ambedue i suoi principi, quello cattolico e quello protestante, in forme diverse. La decisione dell’ordinazione delle donne a vescovo comporta la negazione della continuità tra Cristo e la chiesa che è il fondamento del principio cattolico. Non avendo il Cristo costituito un apostolo donna, il carattere maschile del sacerdozio esprime la continuità fisica con la fondazione di chiesa operata dal suo fondatore, e quindi della preesistenza della chiesa come comunione alle scelte dei singoli fedeli. Questo è il principio cattolico che è comune ai cattolici e agli ortodossi, sia quelli greco slavi che quelli orientali.
Contatti interrotti con cattolici e ortodossi
Perciò la decisione in linea di principio di elevare donne alla dignità episcopale comporta la variazione di un concetto essenziale della chiesa anglicana che la rendeva omogenea alle chiese che accettano la successione apostolica come fondamento della chiesa e il suo rapporto con il suo fondatore. Non sarà possibile creare una condizione speciale per i vescovi dissidenti dalla decisione del sinodo della chiesa d’Inghilterra, come era accaduto con l’ordinazione delle donne al sacerdozio presbiterale. E questo interrompe i contatti con le Chiese cattoliche e ortodosse e pone il problema di una divisione della chiesa anglicana tra cattolici e protestanti proprio mentre essa si fondava sul superamento della divisione storica del secolo XVI.
Ma al tempo stesso il principio della letteralità della Scrittura come fondamento dell’identità della chiesa viene leso dalla decisione di ammettere alla dignità sacerdotale ed episcopale omosessuali praticanti come ha fatto la chiesa episcopale americana. Ciò crea un contrasto con l’evangelismo delle chiese anglicane d’Africa che in grande maggioranza non intendono comunicare con la chiesa episcopale americana con cui la chiesa d’Inghilterra rimane in comunione.
Ciò mostra che il tema delle differenze dottrinali costituisce il fondamento dell’identità delle chiese e che è proprio il tema delle verità della fede quello che fonda le differenze ecclesiali ed anche le motivazioni dei singoli ad aderirvi.
Uniti non più dall’ecumenismo ma dalla paura
L’ecumenismo come forma di unione universale delle chiese, quasi che le formule in cui esse esprimono il dogma potesse essere superato in un abbraccio senza identità fondato solo sulla volontà di essere una sola chiesa, non ha avuto successo. L’ecumenismo ha però tolto l’estraneità delle Chiese l’una e all’altra e ha indotto al dialogo: ciò ha avvantaggiato la chiesa cattolica che può accettare il dialogo come principio e mantenere la sua unità fondata sul primato papale. La formula in cui viene professata la fede definisce l’esistenza di ogni chiesa sul particolare del suo modo d’essere. Ma al tempo stesso le minacce al Cristianesimo nel mondo tendono a unire i cristiani innanzi ai medesimi problemi. E la diversità delle formule indica le possibilità di approcci diversi che possono avere ciascuno la propria efficacia.
E la sfida del tempo determina anche una percezione dell’unità dei cristiani nella differenza delle chiese. L’idea di una chiesa di chiese che stava all’inizio dell’ecumenismo come ipotesi fondatrice viene così meno ed è sostituita dalla percezione della differenza e del superamento dell’ostilità. L’ecumenismo della chiesa unica è dunque caduto ed è rimasto il dialogo delle chiese divise ma unite di fronte al problema della testimonianza cristiana nella società globale. Differenza e unità sono complementari alla realtà della chiesa in un tempo di così grandi cambiamenti della condizione umana sulla Terra.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
da lastampa.it
Admin:
9/8/2008
Il Pdl come la Dc nel '48
GIANNI BAGET BOZZO
Destra e sinistra sono nate dal Parlamento inglese e, nei termini assolutamente empirici, indicavano il superamento delle differenze tra anglicani e i non conformisti nella convergenza verso la corona. Fu la fine della guerra religiosa e civile che mise in crisi l’Inghilterra nel secolo XVII. Le due differenze ecclesiastiche diventavano differenze politiche, si consideravano parti del medesimo sistema.
Ciò potrà accadere quando la lunga guerra civile sarà finita e non ora, mentre è in corso. Sinistra e destra in Italia sono diventate categorie sovraccariche: l’una, destra, di rigetto; l’altra, sinistra, di adesione. E così i due termini non definiscono e i partiti Pd e Pdl devono essere nominati senza aggettivi e senza definizioni: come organizzazioni.
Sembrerebbe che alla sinistra abbia giovato il suo essere sovraesposta all’uso politico, ma ciò le ha creato un problema. Sinistra è diventata un valore assoluto, in cui essere più a sinistra vuol dire avere più valore. Ma accade curiosamente che il Pd possa essere detto di sinistra solo impropriamente, perché esso tende ad assumere una funzione di centro nella sua unione con i democristiani della Margherita e di popolari e quindi la qualifica di sinistra non è più sufficiente a definirlo.
D’altro lato il carattere valoriale del termine fa sì che i partiti «antagonisti» possano, grazie alla rottura con il Pd, definirsi ancora come la vera sinistra. E la difficoltà per il Pd è che la sinistra come categoria politica beneficia dell’appoggio di un partito intellettuale che controlla l’accademia e la stampa e fa di essa il partito dell’identità costituzionale. Nella storia che condusse al Pd la differenza tra centro sinistra con il trattino e quella senza fu fondamentale. Ora ha prevalso con il Pd quella senza, ma nemmeno essa viene più indicata. E’ come se nel Pd il termine di sinistra diventasse un problema, come lo è quello di destra nel Pdl. L’impossibilità di usare i termini propri, destra e sinistra, indica che la legittimazione reciproca non è ancora avvenuta. Le tensioni interne al Partito democratico mostrano che vi è ancora il problema del centro sinistra con trattino perché l’alleanza con Casini viene cercata come rilegittimazione al centro, come se il Pd non fosse stato abbastanza. Il fatto che nelle elezioni politiche il Pd abbia perso voti a destra e ne abbia guadagnati a sinistra mostra che l’operazione del Pd è fallita e che l’area di destra gli è preclusa.
Così è accaduto che del cambiamento del paese in questi anni abbia approfittato la coalizione di Berlusconi, che è riuscito a fare dei suoi temi il criterio della legittimità della politica. Essa non si può fondare altro che sui termini di libertà, di autorità e di identità che sono oggi il sentimento prevalente nel paese, anche a sinistra. E il centrodestra, che può definirsi tale senza problemi, può vincere non solo le elezioni ma diventare esso, la forza politica più delegittimata, il criterio della legittimità politica.
Vi è una analogia tra vittoria del centrodestra e quella della Dc nel ‘48. Anche allora la vittoria dello scudo crociato fu prodotta da una mobilitazione popolare senza partito attorno alle parrocchie e i temi fondamentali furono quelli di garantire la libertà, preservare l'autorità dello Stato, salvare l’Italia. La maggioranza del centrodestra si è prodotta e questo è il fatto nuovo, attorno a sé stessa, senza organizzazioni preesistenti. La debolezza dei partiti che compongono il Popolo della libertà è ben evidente ma, come nel ‘48, e questa volta in modo autonomo e consistente, l’elettorato si è costituito attorno ai temi dello Stato, dell’Italia e della libertà come un fatto spontaneo e dopo una battaglia durata anni. Il fatto della vittoria del centrodestra è un fatto definitivo perché i temi posti dall’attuale maggioranza sono problemi del popolo che vota a sinistra e non può più definirsi nei termini legati alla questione sociale del secolo scorso. Come nel ‘48 la maggioranza opposta alla sinistra ha vinto al Nord e al Sud e questo nonostante la presenza determinante della Lega al Nord. E la formazione di Bossi ha avuto successo nel Nord in quanto legata alla visione del sistema Italia nel suo insieme e quindi al superamento di ogni nordismo separatorio. Nelle precedenti elezioni dopo il ‘94 la sinistra aveva per sé il tema della legittimità costituzionale storica e del sostegno della cultura politica. Dopo la vittoria berlusconiana del 2008, questi temi non sono più sufficienti a costituire un’alternativa politica.
da lastampa.it
Admin:
7/9/2008
La Lega e i vincoli di carne
GIANNI BAGET BOZZO
Il federalismo fiscale è un vero problema, ma non è un problema fiscale. È la prospettiva di differenziare il Paese assecondando la sua diversa geografia; il Nord padano ha possibilità diverse dalla penisola mediterranea che può crescere nello sviluppo del traffico del mare di mezzo, un incrocio tra l’Asia e l’Europa. Ma ciò chiede anche una forte tenuta dello Stato e questo non può essere che opera dello Stato nazionale. I ministri della Lega Nord hanno tenuto banco sui due temi, Maroni ha diretto il ministero dell’Interno, Calderoli ha elaborato la riforma del federalismo fiscale. Ne è nata una certa egemonia del discorso leghista, anche perché la sinistra ha ritenuto che la sua sconfitta sia nata proprio dalla cancellazione del sentimento di classe per quello di territorio e ha pensato che la Lega avesse il monopolio di questo tema.
Del resto la stessa modifica dell’articolo quinto della Costituzione nel 2001, fatto dalla maggioranza Amato, era stato visto come un tentativo di dissociare il voto leghista dalla Casa delle Libertà, il che non avvenne. Si è perso così di vista che la maggioranza del 2001, l’opposizione del 2006 e di nuovo la maggioranza del 2008 erano avvenute attorno a Silvio Berlusconi, cioè attorno al tema della libertà dello spazio del privato, sul tema classico che divide la destra dalla sinistra e che in Italia era anche frutto del rigetto di un’egemonia della sinistra nelle istituzioni.
È stato un voto di moderazione e tradizione, ha preso il posto del voto alla Dc e ai partiti di centro: un voto dunque tradizionale, omogeneo a quello del ’94. La domanda di sicurezza e di regolamento dell’immigrazione era un fatto nuovo ma si inseriva nel voto antico del Paese e non era certo un voto di intolleranza. Non è un caso che Berlusconi volesse qualificarsi ancora come un uomo che difendeva la proprietà privata del singolo: e ciò apparve nel fatto che l’unica cosa che egli ottenne fu quella di togliere l’Ici dalla prima casa. Non è un caso che Bossi abbia chiesto di reintrodurla come necessaria ai Comuni e Calderoli abbia accettato di costituirla con l’imposta generale dei Comuni per le funzioni da essi esercitate verso i proprietari delle case.
La cultura della Lega Nord è diversa; e lo scopo della riforma fiscale imposta da Calderoli consiste nel fatto di aumentare i poteri locali a partire dai Comuni, mantenendoli tutti, anche le Province, così come sono ora: una riforma del potere dal centro verso il locale, associando a ciascun ente un’imposta distinta. La Lega è un partito di amministratori e di sindaci, la maggioranza dei suoi deputati sono sindaci dei Comuni del Nord e vedono il Paese come un insieme di Comuni. E la funzione di Stato la pensano ancora certamente affidata alla polizia locale capace di essere in contatto con i cittadini. Questo dipende dalla cultura della Lega che è una cultura della comunità, cioè del vincolo etico e etnico che unisce i singoli tra loro in un vincolo carnale che costituisce la loro identità prima. È per questo ethos comunitario che la Lega ha forza e costituisce una militanza. Non è un caso che essa abbia cercato radici etniche persino nel culto del dio Po, perché il vincolo etico e etnico è fondamentale nella sua concezione. La Lega ha compreso bene il problema dell’identità e pensa che l’unità carnale sia la miglior condizione per dare ai cittadini il senso comunitario: è il lombardo, più che il cittadino, che conta nella concezione leghista.
Per questo Bossi è diventato un simbolo sacro e, come tutti i simboli sacri, la sua infermità giova al suo carisma, mostra che chi fa appello a motivi carnali è più forte del suo corpo, che il corpo politico del re dà forza al corpo fisico del leader. Non è perciò un bene che il tema federale, gestito solo con il linguaggio della Lega, sembri, a destra come a sinistra, un cedimento della cultura vincitrice. Se il federalismo fiscale deve andare innanzi, non deve essere a detrimento della dimensione della nazione Italia e del suo Stato. Il sentimento della nazione non è etnico, è civile e nasce dalla tradizione cattolica e da quella laica. È significativo che Berlusconi abbia voluto affiancare i temi del federalismo fiscale con un classico tema di libertà, il tema della riforma della magistratura, sia della sua efficacia sia del suo equilibrio interno. Cioè un tema classico della cittadinanza e dello Stato nazionale. È bene quindi che il partito più votato dagli italiani, il Popolo della Libertà, equilibri con le sue parole l’impressione che il federalismo fiscale sia una proprietà della Lega Nord.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
da lastampa.it
Admin:
11/9/2008
Il risveglio di Genova nel nome di Siri
GIANNI BAGET BOZZO
Il cardinale Giuseppe Siri e il cardinale Angelo Bagnasco sono ambedue genovesi e sono divenuti, l’uno e l’altro, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana.
La personalità del cardinale Siri ebbe un ruolo nella Chiesa nei tempi del Concilio, ma soprattutto nei tempi del postconcilio.
Scopo fondamentale della sua azione fu quello di affermare che il Vaticano II manteneva come vincolante la tradizione della Chiesa e quindi non poteva essere presentato come un nuovo inizio, il principio di una Chiesa diversa da quella che essa era stata nell’epoca moderna. Comprendere il moderno non significava farne il criterio di lettura e di interpretazione delle unità della tradizione nel tempo. La sua ferma posizione servì a mantenere i molti cattolici nella Chiesa conciliare e a permettere che l’opera di Paolo VI, tesa a mantenere intatta l’autorità del Papa sulla Chiesa, ottenesse il consenso universale del Concilio e del postconcilio, evitando un uso alternativo alla tradizione del concetto di collegialità.
Il clero e il laicato cattolico genovese sostennero anche posizioni diverse più sensibili al tema dell’aggiornamento come programma iniziale del Concilio, basti pensare alle figure e alle opere di ecclesiastici genovesi come Emilio Guano e Franco Costa. Nonostante la grande considerazione che per Siri ebbero i papi del Concilio e del postconcilio, la diocesi genovese sembrò segnata dalla posizione sull’arcivescovo e quindi come una resistenza al rinnovamento globale voluto dal Vaticano II. Per questo Genova non ebbe più nel suo clero candidati alla dignità episcopale in Italia.
Le cose cambiarono con il pontificato di Benedetto XVI, che formalizzò la posizione del Papato circa il Vaticano II, sostenendo che vi erano due letture del Concilio: una che lo vedeva come rottura e un nuovo inizio e l’altra come continuità della tradizione. Ciò dava riconoscimento alla lettura che era stata propria del cardinale Siri. E da allora le nomine degli ecclesiastici genovesi alla dignità episcopale o a incarichi della Santa sede sono divenute uno degli elementi significativi dell’attuale pontificato. La nomina del cardinale Bagnasco agli stessi incarichi che furono del cardinale Siri indica un riconoscimento che la differenza genovese, come risultava dal lungo episcopato di Siri, era un fatto positivo. Essa ha posto l’accento sull’identità della Chiesa in se stessa, sulla sua dimensione essenziale di parole e di sacramento, sulla novità reale della grazia.
Con Angelo Bagnasco un genovese ritorna a dirigere la Chiesa di Genova e al tempo stesso la Chiesa italiana. I tempi sono grandemente diversi e nel mondo occidentale vi è la tendenza a definire questo tempo come postcristiano in cui il Cristianesimo vale come memoria e non più come interpretazione del mondo e dell’uomo.
Genova e l’Italia rappresentano ancora un’eccezione rispetto a questo clima, il Papa e la Chiesa sono ancora riconosciuti come autorità storica e invocati come capacità di dare letture del tempo tecnologico del mondo e della società globale. Ciò comporta un elemento di contrasto con una visione postcristiana del mondo che nel nostro Paese non è dominante.
E conduce a porre l’accento sulla Chiesa in se stessa, sull’identità della persona che il Cristianesimo ha rivelato al mondo. Non a caso la liturgia come espressione della Chiesa nella sua pienezza fu così cara al cardinale Siri come a papa Ratzinger e torna nelle tematiche di governo del cardinale Bagnasco. Egli può dire di governare ancora una Chiesa di popolo, una realtà rara in Europa. E forse il fatto che la Chiesa italiana, grazie anche al cardinale Siri, abbia manifestato con tanta chiarezza il suo sentimento della differenza ecclesiale ha mantenuto una dimensione popolare come caratteristica propria.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
da lastampa.it
Admin:
5/11/2008
La Bibbia e le borse impazzite
GIANNI BAGET BOZZO
Papa Ratzinger continua la sua opera di recupero della tradizione della Chiesa come condizione della sua identità. Proprio gli avvenimenti che hanno circondato il Sinodo e hanno veduto una grande crisi del capitalismo occidentale, che veniva dopo quella del comunismo, permettono di sciogliere il mito conciliare e postconciliare secondo cui la Chiesa si deve aggiornare sulla storia. Non a caso lo stesso concetto di storia è entrato in discussione e credo che il cristiano dei nostri giorni possa avere verso le realtà della società umana il sentimento dell’Ecclesiaste, cioè della ripetizione degli eventi umani. L’uomo, che può con la scienza e la tecnica tutto conoscere e quasi tutto operare, non è più adatto al governo di se stesso e della sua società delle generazioni che lo hanno preceduto. Per questo ricorrere alla tradizione della Chiesa come al filo aureo che esprime la parola di Dio in Cristo per tutti i tempi e tutte le storie significa fondare la propria casa sulla roccia secondo la parola evangelica.
Il Sinodo dei vescovi che si è tenuto a Roma nei medesimi giorni delle borse impazzite avrà certamente avuto presuli sensibili al mito dell’aggiornamento e dell’adattamento. Ma l’impronta del Papa ha dominato il Sinodo, perché anche i vescovi più legati alla memoria conciliare avvertono che solo la lettura nella Chiesa della Parola di Dio permette loro di collegare le generazioni di là dei tempi che le separano.
Papa Ratzinger ha vissuto il disagio della fede e della teologia da quando l’esegesi, anche quella cattolica, ha considerato i testi biblici come meri testi, separati l’uno dall’altro e scomponibili nei loro frammenti e nelle tradizioni che essi incorporano. Questa esegesi è conforme alla Riforma protestante entro cui essa è nata per cui la giustificazione del credente non modifica colui che la riceve: e così il singolo testo biblico non cambia senso quando esso viene raccolto dalle assemblee religiose sia ebraiche che cristiane nel canone biblico. In questo modo la lettura che un credente riformato fa della Bibbia è frutto del suo spirito, non è la ricerca della parola di Dio immanente nella Scrittura.
Nei tempi postconciliari la lettura dei testi come documenti letterari e come testimonianza dei fatti è divenuta prevalente anche tra i cattolici sicché i testi sono divenuti relativi e i fatti improbabili. Il criterio della Chiesa d’Occidente e d’Oriente è quello di leggere la Bibbia come un documento unitario in cui il senso unico è il Cristo e soprattutto ritiene che sia la Chiesa come «opera proprio dello Spirito Santo» (Agostino) il soggetto che legge la Scrittura per trovare in essa il volto di Cristo. È solo in questo senso che la nota frase di Gerolamo secondo cui chi ignora la Scrittura ignora Cristo è chiaramente comprensibile.
La lettura che la Chiesa fa della Bibbia pone l’Antico Testamento, la Bibbia ebraica, come profezia del Cristo ed è in questo modo che il lettore trova in quanto parte della Chiesa la parola di Dio nel testo scritturale. La ricerca con metodi appartenenti alle diverse scienze di interpretazione è certamente significativa, ma non costituisce né una premessa né un obbligo per leggere la parola di Dio nella Bibbia. E, non a caso uno dei temi del Sinodo, e forse quello più significativo, è che lo spazio della Scrittura è quello sacro, cioè quello della liturgia. Così è visibile che, dopo la lunga influenza della Riforma protestante nella teologia e nell’esegesi postconciliare, il Papa conduce anche nel Sinodo i cattolici verso una vicinanza con le Chiese ortodosse, mettendo in luce pensieri che appartengono al cattolicesimo e insieme sono caratteristici delle Chiese ortodosse. La presenza del patriarca di Costantinopoli al Sinodo dei vescovi e il suo magnifico discorso, molto conforme al genio della sua tradizione ma capace di fare risuonare la tradizione cattolica, indica che è nata una nuova realtà che non è più l’ecumenismo come abbiamo conosciuto.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
da lastampa.it
Navigazione