GIANNI BAGET BOZZO.

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26/11/2008
 
Il dialogo impossibile su Dio
 
GIANNI BAGET BOZZO

 
Benedetto XVI ha firmato una lettera a Marcello Pera, con un elogio per il suo libro Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori).
Il dialogo questa volta ha funzionato, perché il senatore laico è divenuto cristiano in quanto liberale e professa le radici cristiane della libertà moderna. Ma il Papa e il senatore sono concordi nel dire che il dialogo interreligioso non è possibile. Paolo VI introdusse, con l’Ecclesiam suam, il termine «dialogo», che ha avuto grande successo ma ha generato un equivoco: far pensare alla compatibilità del cattolicesimo con tutte le culture.
Il concetto di cattolicesimo come dottrina e come identità culturale è andato così perduto. Quanto papa Benedetto abbia fatto, quand’era ancora cardinale, per riaffermare il «logos» cristiano contro il «dialogo» divenuto parola dominante, appare chiaro nella Dominus Jesus del 2000, trincea dottrinale di fronte al dilagare del dialogo in occasione dell’anno giubilare. Ciò mostra che il cardinale non condivideva lo «spirito di Assisi» per quanto riguarda i rapporti interreligiosi. Lo spettacolo del primo convegno, quando gli animisti sacrificarono un gallo in una chiesa, non si ripete più.

Non meraviglia perciò che il Papa dichiari, nell’intervento sul libro di Pera, che «il dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile». Per questo Benedetto ha fatto della parola «logos» il fondamento della sua esposizione dottrinale dei rapporti tra fede e ragione, tra Chiesa e cultura. La piena valorizzazione del termine «logos» è propria della Chiesa cattolica e di quelle ortodosse. Non vale più come espressione dell’armonia tra grazia e natura nelle comunità nate dalla Riforma protestante, in cui fede e grazia salvano la persona ma non perfezionano la natura umana. E di «logos» è impossibile discutere con le grandi religioni mitiche: l’induismo, il buddhismo, il confucianesimo, ridivenuto forma culturale in Cina.
La «sorgente greca» che la Chiesa ha incorporato è un termine che fonda il cattolicesimo ma non ne semplifica i rapporti con le altre religioni.
Certamente non li semplifica nemmeno con l’Islam, per cui la natura è un atto di pura volontà divina senza consistenza propria e la ragione non ha alcuna autorità se non all’interno dell’esegesi letterale delle fonti islamiche. Dove non c’è «logos» non vi può nemmeno essere dialogo.

La cultura protestante ha determinato largamente il cattolicesimo postconciliare, a partire dalla lettura della Bibbia e dall’interpretazione della modernità, ma nessun dialogo ha raggiunto un qualche effetto nei rapporti istituzionali e dottrinali tra cattolici e protestanti. Qualcosa che possiamo chiamare «dialogo» esiste ancora, soprattutto nei rapporti tra cattolici e Islam, e ha forse l’utilità di far aumentare la conoscenza del mondo nato dal Corano all’interno della Chiesa, per comprenderlo meglio e capire il fascino che può avere in Occidente. Ma il dialogo con il mondo islamico avviene soprattutto per sollecitare la comprensione musulmana della libertà religiosa e quindi favorire la libertà della condizione cristiana nei Paesi islamici. È, come dice il Papa nella lettera a Pera, un intervento sulla cultura e non sulla religione.

Nel discorso di Ratisbona il Papa ha mostrato la differenza radicale tra la concezione cristiana del «Logos», inteso come verità di Dio nel mondo e del mondo in Dio, e il Dio islamico fondato sulla volontà divina oltre la natura e oltre ogni ragione. Il Dio del Corano è diverso dal Dio della Bibbia e soprattutto dal Dio di Gesù Cristo. I rapporti tra Chiesa e Islam avvengono soprattutto attraverso gli Stati, che sono un’eredità dell’Occidente nel mondo islamico e non hanno autorità religiosa. Nemmeno quello saudita, dove il re è custode dei luoghi santi, della Mecca e di Medina, ma non è fonte di conoscenza religiosa.

L’ecumenismo inter-cristiano è divenuto diplomazia del buon vicinato e ha efficacemente sostituito la mutua condanna, ma non è in grado di raggiungere alcuna unione tra Chiese. Il dialogo con le religioni è divenuto quindi un’estensione della diplomazia cattolica verso gli Stati e verso le istituzioni delle grandi religioni. Ma non ha la base di «logos» e non è quindi vero dialogo. È una relazione inter-istituzionale che ha un significato politico e non dottrinale o religioso. Il suo fine è far crescere nel mondo la libertà e quindi, di fatto, uno spazio non religioso come accaduto in Occidente. Ciò mostra, ancora una volta, la connessione tra cattolicesimo e libertà moderna. Quello che insieme Benedetto XVI e Marcello Pera sostengono.

bagetbozzo@ragionpolitica.it
 da lastampa.it

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3/12/2008
 
Moro, la Dc e il dialogo sconfitto
 
GIANNI BAGET BOZZO

 
Gli Anni 2000 sono risultati così diversi dagli Anni 1900 che di questi si perde la memoria. In un tempo in cui il presente è tutto, il futuro è un problema, il passato non è più un maestro di vita, ciò che è stato perde i suoi diritti. Il tempo comincia con l’oggi e del «doman non v’è certezza». È perciò un atto meritorio dell’Università Luiss di Roma dedicare domani un convegno alla figura più drammatica dell’Italia nella guerra fredda: Aldo Moro. Di guerra fredda morì, perché tentò di dare forma politica al Paese, alla maggioranza italiana di allora, composta da cattolici e da comunisti. Dai «due vincitori» delle elezioni, come disse a Benevento dopo il voto del ’76.

Ma il caso Moro ha, per la sua potenza simbolica, un fascino particolare. È un dramma perfetto: personale, familiare, di sinistra, politico, istituzionale. Moro cercò di creare negli interstizi della guerra fredda un’eccezione italiana in cui un partito comunista, il più grande dell’Europa occidentale, accettava con il suo segretario la tesi che il socialismo si poteva costruire all’ombra della Nato. Forse era troppo ardito sperare che il partito di Togliatti rompesse i vincoli con l’Urss, troppo radicato il mito del «socialismo realizzato» da noi: un Paese credente, in cui il comunismo, assunta la forma d’una religione popolare, si conciliava con il culto della Madonna e dei santi. Gramsci aveva voluto proprio questo. L’Italia era stata un’eccezione ai tempi della guerra fredda perché il Paese è sede del Papato e Roma intendeva parlare anche col potere sovietico e non diventare un avamposto dell’Occidente. Ma l’ipotesi che la sede romana del cattolicesimo fosse così forte da essere una tale eccezione, era un concetto troppo ardito. Sia vera o falsa la tesi di Giovanni Galloni che vede nell’assassinio di Moro la vendetta di Kissinger, è certo che le Br eseguirono su lui una sentenza che aveva l’approvazione di Washington e di Mosca.

La storia di Moro non è inclusa nella storia Dc se non in parte. La sua vita politica e anche quella nel carcere Br fu tesa a mostrare che l’idea del dialogo, con cui Paolo VI affrontava il postconcilio, era politicamente praticabile. Moro non intese il dialogo come cedimento: evitò l’errore di Dossetti e Fanfani di fare della sinistra Dc la chiave del rapporto col Psi, poi col Pci. Anche le lettere dal carcere sono la testimonianza di una vita politica e del dialogo come principio che l’ispirava. La sua coerenza nell’estrema sventura fu intesa come debolezza. Di una cosa Moro volle essere garante: che tutta la Dc fosse presente nei governi che nascevano con una maggioranza prima col Psi e poi col Pci. Il criterio che guidò Moro nel dialogo fu l’unità della Dc. Ma il dialogo era una categoria politica sufficiente? Una scelta papale che interpretava il Vaticano II aveva la forza di diventare un fatto spirituale e politico in Italia? La vicenda di Moro ci dice di no. Le sorti di cattolici e comunisti si bipartirono definitivamente dopo la sua morte.

Ricordo che la prima lettera di Moro fu indirizzata al ministro dell’Interno, Cossiga, e che vi era il chiaro appello a non farsi incantare dalla «ragion di Stato». Fu per questa parola che, chiamato dal direttore del Secolo XIX Afeltra cui la lettera era giunta a dare un consiglio sulla sua autenticità e quindi sulla sua pubblicazione, risposi che il termine «ragion di Stato» era della penna di Moro. Sua la tesi che i conflitti presenti nella società non fossero conflitti di Stati, ma conflitti nei popoli e che, per salvare la democrazia, occorreva usare uno strumento che desse dignità politica alle parti coinvolte, anche se non erano governi in esilio o forme istituzionali o paraistituzionali. Il dialogo teorizzato da Paolo VI come forma di presenza della Chiesa nelle modernità diveniva per Moro uno strumento politico di cui non solo la comunità internazionale, ma nessun singolo Stato era in grado di fare a meno. La ragione di rivoluzione è la più radicale delle ragioni di Stato: e le implacabili Br non risposero all’atto solenne con cui Paolo VI cercò di coinvolgerle nel dialogo da esse cercato con le istituzioni mediante l’appello diretto ai brigatisti di salvare Aldo Moro «senza condizioni», cioè senza trattativa delle Br con lo Stato. Le Br non consideravano la Chiesa come potere, volevano il riconoscimento del potere reale: quello dello Stato italiano che non ebbero.
 
da lastampa.it

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16/12/2008
 
Dall'anima all'embrione
 
GIANNI BAGET BOZZO
 

Lo sviluppo indefinito della scienza e della tecnica create dall’Occidente e il costituirsi attorno a esse della società mondiale ha chiuso il tempo delle utopie della ragione e del fascino della rivoluzione sociale imponendo problemi nuovi. Riguardano il corpo fisico dell’umanità: demografia, energia, ecologia, sono i termini reali che investono l’uomo e pongono il problema del suo limite in un momento in cui la sua azione sembra quasi creatrice. Ciò riguarda anche il corpo umano diventato protagonista dell’immagine, della comunicazione e delle possibilità di modificazione del suo modo naturale di esistenza. È come se una seconda natura manufatta dall’intelligenza umana si aggiungesse alla creazione, andando oltre il principio di selezione naturale.

La Chiesa cattolica ha avuto difficoltà a comporsi col pensiero moderno, col primato della ragione storica e il fascino dell’utopia: ha dovuto misurarsi con esso e subirne i contraccolpi. Ma in questa umanità carnale in cui il fisico riprende i suoi diritti e il corpo la sua realtà, la Chiesa si trova molto meglio. Per quanto sia forte la sua sorgente greca, la Chiesa è fondata sull’incarnazione, sul Verbo fatto a carne. Per questo papa Ratzinger ha scelto con fermezza, sin da quand’era cardinale, di porre l’accento sull’inviolabilità dell’embrione. In quest’inviolabilità assoluta vi è l’idea del Dio creatore e della legge che, con un precetto concreto, prescrive il rifiuto della soppressione dell’embrione e della sua manipolazione. La Chiesa pone l’accento sulla salvezza dell’embrione come prima poneva l’accento sulla salvezza delle anime e lo fa per stabilire il principio del limite umano sulla creazione e sulla vita, e fondare il valore assoluto dell’uomo. Non a caso la dichiarazione della Congregazione si chiama Dignitas personae. Vuol ribadire che l’embrione è persona, anche se la fine della metafisica impedisce di dare al termine il suo pieno significato. Lo fa senza parlare dell’anima, linguaggio interdetto dal carattere fenomenologico della scienza, come la stessa istruzione dice, ma annunziando la vita divina che il Cristo ha donato all’uomo nel Figlio incarnato. Pone così a tutela dell’embrione il proprio della fede cristiana: la divinizzazione dell’uomo in Cristo. Ma in questo modo essa parte da un principio antichissimo proprio dei cristiani che, come dice la Lettera a Diogneto (II Secolo), non praticavano l’aborto, differentemente dal costume diffuso. E difende il principio della non manipolabilità del corpo umano, oggi spinta sino alla clonazione.

Certo la Chiesa sa che vi è un consenso su questi principi o sulle loro conseguenze anche tra coloro che non praticano la fede. Il diritto della scienza e della tecnica di manipolare l’uomo è contestato non solo dalla Chiesa ma anche dalla coscienza dell’Occidente, nata come Cristianità. Questa ecologia del corpo umano ha ancora più consenso di quello che riguarda l’altro problema del limite: l’ambiente e la convivenza sulla Terra delle generazioni future. Vi è in questo un sentimento religioso e il sentimento del limite che la natura impone all’uomo: il fatto su cui s’è innestato il linguaggio religioso. Ma con questo il Papa ottiene anche il superamento del fascino dell’utopia che ha dominato il periodo postconciliare e fatto del mondo cristiano una zona di espansione del linguaggio utopico, rivoluzionario, sovversivo dell’idea di Chiesa cattolica. In questo Benedetto XVI può pensare di offrire al linguaggio cattolico il senso della sua identità, anche se a prezzo del dissenso dei fedeli, come nel caso dell’aborto praticato anche da credenti. Gregorio Magno ha scritto che il compito del Papa è quello di sentinella della fede e dell’identità della Chiesa. Il documento della Congregazione sulla bioetica non aggiunge niente al già noto, ma lo ribadisce esaminando tutte le possibilità che la manipolazione, quando ha per fine solo la sua onnipotenza, può infliggere al corpo umano.

bagetbozzo@ragionpolitica
 
da lastampa.it

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4/1/2009
 
Se cala pure l'audience del Papa
 
GIANNI BAGET BOZZO
 

La notizia pubblicata sui giornali, secondo la quale il pubblico alle udienze di papa Ratzinger sarebbe diminuito, ha suscitato il problema se Benedetto XVI abbia il consenso del suo popolo o se egli sia soltanto una conseguenza del pontificato di Giovanni Paolo II, l’espressione della necessaria continuità con un pontefice che ha segnato la storia della Chiesa e del mondo.

Ma Ratzinger ha espresso, anche sotto il pontificato di Wojtyla, i fondamentali del cattolicesimo. Lo fa ora da Papa con autorità e chiarezza.
Realizza ciò che il suo «amato predecessore» ha intensamente voluto. Ci sono alternative a Benedetto XVI? C’è un altro modo di governare la Chiesa, se non quello di esprimerla come Chiesa cattolica, dando al cattolicesimo un significato proprio, una continuità dottrinale e un’identità?

Con il linguaggio dei Padri della Chiesa
Quando diciamo i «fondamentali» del cattolicesimo, intendiamo l’annuncio cristiano come si è espresso alle origini della Chiesa: Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio. E difatti Benedetto XVI ha scelto il linguaggio dei Padri della Chiesa come suo linguaggio, in cui il messaggio non appare più solamente come dogma, cioè come limite al pensiero, ma come Mistero che richiede la partecipazione interiore e la disciplina esteriore, la mistica e la morale, l’etica e perfino la politica.

Sono le circostanze esteriori che hanno imposto la necessità di un linguaggio chiaro riguardo ai fondamentali del cattolicesimo: la Chiesa cattolica si trova sottoposta ad una pressione congiunta, che comprende vari fattori.

Mentre emergono la Cina, l’India e l’Islam
Il primo è l’emersione delle grandi nazioni pagane, come la Cina e l’India, difficilmente accessibili al messaggio cristiano se non in termini individuali. Non è pensabile che la Cina e l’India cedano all’annuncio cristiano come cedettero l’ellenismo e la romanità. Non a caso Joseph Ratzinger ha sottolineato come il logos greco e l’universalità romana facciano parte, insieme con l’Antico Testamento, del messaggio cattolico.

Il secondo fattore è la pressione dell’Islam, che esso esercita sia con la sua potenza di messaggio, che può affascinare anche menti occidentali per la sua radicalità religiosa, sia con la persecuzione esteriore della presenza cristiana nelle terre musulmane.

Il terzo fattore sono la scienza e la tecnica, che invadono l’Occidente tendendo a fare dell’uomo il re-creatore dell’uomo, a cacciare quindi Dio dall’esistenza umana, sostituendolo con la concezione dell’uomo come unico decisore sul suo corpo.

Sono tre sfide che richiedono al cattolicesimo di essere se stesso, anche per garantire l’identità cristiana delle altre Chiese, che tutte subiscono la medesima sfida, soprattutto in Occidente. L’ecumenismo della carità credente richiede che la Chiesa cattolica rimanga tale, ossia che esprima la differenza cristiana per tutte le Chiese.

I tempi attuali sono molto lontani da quelli del Concilio Vaticano II e ricordano piuttosto la Chiesa del 1800, isolata dal pensiero culturalmente dominante. Il consenso dei credenti in papa Ratzinger è scritto nella loro identità di cattolici.

bagetbozzo@ragionpolitica.it

da lastampa.it

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24/2/2009
 
Dietro lo scisma ricucito

 
GIANNI BAGET BOZZO
 
L’ incidente che ha turbato i rapporti tra Santa Sede e comunità ebraica è stato chiuso con l’annuncio del viaggio di papa Benedetto in Israele e in Giordania, confermato dal primo ministro Olmert. Ma si è ancora posto il problema se veramente il piccolo gruppo di Ecône e la ricomposizione dello scisma lefebvriano valessero un incidente di così ampio rilievo, tale da coinvolgere anche l’opinione del cancelliere tedesco Angela Merkel. Eppure il Papa ha riaffermato l’intenzione di continuare i rapporti con la comunità lefebvriana dopo che il suo superiore, Bernard Fellay, ha confermato l’adesione alla condanna del negazionismo.

Non è certo la dimensione del gruppo di Ecône a porre il problema; lo è invece la tesi, ricorrente nel mondo cattolico e fuori di esso, secondo cui il Vaticano II ha costituito una rottura tra Chiesa pre-conciliare e post-conciliare, abbracciando talmente la modernità da divenire il contrario della Chiesa di Pio IX e di Pio X. Infatti negli anni di Paolo VI, durante il Concilio e subito dopo, l’ingresso della teologia nella pubblicistica comune e il dibattito su tutti i temi aperti nel mondo cattolico aveva dato l’impressione che la rotturanon fosse consistita in un arricchimento del linguaggio, ma nella sua alterazione. Quindi il problema posto dal vescovo Lefebvre andava ben oltre i termini dello scisma reale, che egli aveva preparato e poi consumato. L’azione dei papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, è stata tutta rivolta a mostrare che gli sviluppi avvenuti col Concilio erano in continuità con l’implicito della tradizione cattolica e si fondavano su posizioni antiche. In particolare, si può prendere come esempio proprio l’antigiudaismo, che poté essere usato dall’antisemitismo dell’800 comeun suo supporto,mache rimase fermo nella convinzione del valore di Israele e della sua appartenenza morale e spirituale al mondo della salvezza, sino alla fine della storia. Il carisma di Ratzinger, anche da cardinale, fu quello di unire la continuità nella tradizione con la riforma della Chiesa attuata dal Concilio.Maquesta posizione espressa da Papa all’inizio del pontificato chiedeva di essere testimoniata con l’apertura verso la comunità che aveva creato uno scisma e che aveva rifiutato l’autorità papale? La comunità di Ecône si era indurita nella sua separazione, le sue posizioni pre-conciliari erano diventate anti-conciliari, lo scisma era divenuto la realtà della sua identità?

Papa Benedetto non ha seguito questo giudizio, ha praticato verso Ecône le medesime aperture che il Concilio aveva stabilito verso le Chiese ortodosse e le comunità protestanti, cercando motivi di convergenza. Il fatto che i lefebvriani accettassero sempre formalmente l’autorità papale e il primato petrino era una strada per ottenere la possibilità del superamento dello scisma. Ciò avrebbe provato che il sentimento cattolico di continuità nella tradizione era più forte dell’attaccamento a dimensioni che la storia aveva posto in altra luce col passare del tempo. Era stato un dramma della coscienza cattolica accettare la grande variazione conciliare e post-conciliare; ogni fedele aveva dovuto affrontare il problema dell’identità della sua fede. Risolvere lo scisma significa riconoscere lo sforzo fatto da milioni di fedeli per ritrovare nel linguaggio che i teologi formulavano l’identità del significato dottrinale e spirituale oggetto della loro fede. La Chiesa è tesa a mantenere l’unità della fede non solo nello spazio,ma anche nel tempo. In questo la fatica del post-Concilio ha riequilibrato la figura della Chiesa. La speranza conciliare e post-conciliare di un mondo riappacificato con lamodernità non si è realizzata nella forma auspicata dai teologi, perché l’avvento della scienza e della tecnica ha posto l’uomo di fronte a problemi assai diversi dalla questione sociale che il comunismo aveva posto al Concilio. La sfida del tempo unisce la Chiesa e le permette di chiudere le ferite antiche, di fronte a un laicismo totale e all’islam traboccante nella sua coscienza religiosa.Come forma di linguaggio, sia quello pre-conciliare che quello post-conciliare chiedono un aggiornamentonuovo. Papa Benedetto ne fornisce la chiave.

bagetbozzo@ragionpolitica.it
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