Concita DE GREGORIO

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«Sanità pubblica non è ufficio di collocamento»

di Concita De Gregorio

La sanità pubblica non è un ufficio di collocamento per il personale politico né un bacino di denaro per il mondo degli affari: esiste in funzione dei cittadini, della loro salute. Se i medici e i dirigenti sono reclutati con criteri che prescindono dal merito è molto probabile che non siano bravi medici né bravi dirigenti: la qual cosa può essere un problema giudiziario, è certo un problema politico ma prima di tutto è un problema di tutti gli italiani che saranno curati peggio di come potrebbero. Questo dice Ignazio Marino alla fine di una giornata passata a ripetere che non è solito pensare ai complotti, che non crede ce ne sia stato uno ai suoi danni, che con Bersani presenterà a febbraio il suo progetto di riforma sui criteri di nomina di direttori generali e primari e che questo deve diventare un punto qualificante della politica del Pd perché certo che c’è un problema, un problema molto serio, ed è l’intreccio fra sanità politica e affari che induce i nostri uomini migliori ad andarsene dall’Italia e che rende la vita molto difficile a quelli, di valore, che restano.

Senatore Marino, cos’è successo col Sant’Orsola di Bologna? Può ripeterci quel che ha testimoniato in procura a dicembre?
«Sono stato sentito ed ho portato le mail che ho qui. Il carteggio col direttore generale Augusto Cavina. Nella primavera del 2009 avevo ricevuto un’offerta dal Sant’Orsola per andare ad operare da loro. A giugno ho avuto una proposta di contratto molto dettagliata: una volta alla settimana, il lunedì mattina, nessun compenso dovuto in caso di prestazioni in regime di libera professione ed altre specifiche. Nello stesso periodo ho deciso di candidarmi alle primarie, sono stato preso da altri impegni e ho tenuto il contratto nel cassetto. A metà agosto ho scritto al direttore scusandomi per il ritardo e dicendomi pronto a firmare. Mi ha risposto il giorno stesso: lavori di ristrutturazione alle sale chirurgiche consigliavano di soprassedere fino a ristrutturazione avvenuta. Ho chiesto quando sarebbe avvenuta la ristrutturazione, mi ha risposto: nell’autunno del 2010. Ho capito, ho risposto cordiali saluti. Mi sono preoccupato a quel punto di trovare un altro luogo dove operare i miei pazienti».

Nelle intercettazioni si legge che in un colloquio il direttore le avrebbe parlato di ragioni politiche.
«Non abbiamo mai avuto colloqui dopo la proposta di contratto, solo scambi via mail. Non mi ha mai parlato di politica».

Cosa pensa che sia successo fra giugno e agosto?
«Ho parlato con Bersani. Non ho mai neppure pensato che un uomo dei suo calibro possa immaginare di impedire ad un medico di operare malati di cancro al fegato, è assolutamente fuori discussione. Non è così. Presenteremo insieme il mio ddl nei prossimi giorni».

Dunque crede che in autonomia i dirigenti sanitari emiliani abbiano cambiato idea? Nel caso: perché?
«Hanno cambiato idea. Sul perché non ho una risposta».

Cosa dice il suo ddl?
«Che i direttori sanitari devono essere nominati sulla base dei titoli, scelti da un albo a cui devono iscriversi. Oggi hanno 18 mesi di tempo per dimostrare che hanno i requisiti. Dovranno mostrarli prima. Dice poi che i primari devono essere selezionati da una commissione di 4 loro colleghi estratti a sorte fra un elenco di specialisti della stessa disciplina che lavorano in altre regioni. Oggi il direttore generale propone una rosa di tre nomi, poi la politica sceglie».

Le è mai capitato da quando è in politica di avere pressioni?
«Al principio mi chiedevano appuntamento persone che avevano in corso un concorso per primario, mi manifestavano simpatia politica e chiedevano appoggio. Ho preparato una lettera standard da indirizzare ai dirigenti: “Vi chiedo, sulla base della verifica dei titoli e dello stato di servizio, di scegliere il migliore”. Dopo qualche tempo non ho avuto più richieste di appuntamento».

21 gennaio 2010
da unita.it

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06/03/2010 22:08

Umiliati gli onesti

Concita De Gregorio


Il partito del fare e del malaffare, del fare un po' come gli pare - dell'abuso e del condono, del sopruso e del perdono, della cricca che sono - ha digrignato i denti e sfoderato braccia tese, ha minacciato mostrando la bava, «non ci fermeremo davanti a niente», poi ha fatto la voce sottile e il pianto da vittima quando del danno era artefice. Ha infine preteso, battendo i pugni, di cambiare le regole in corsa. Prima della Costituzione (articolo 72, nessun decreto in materia elettorale) ha infranto, gettandolo a terra tra risa di disprezzo, quel che resta del senso dello Stato. Ha insultato milioni di persone per bene che vivono ogni giorno nel rispetto delle regole pagandone il prezzo. Li ha - ci ha - resi ridicoli, sudditi a capo chino di un tiranno. Costoro, le persone per bene, sono furibonde ed hanno ragione: chi sta in fila a affoga tra le carte per un permesso di soggiorno, un'iscrizione a scuola, un concorso, un bollo scaduto, il rinnovo di un contratto, una concessione edilizia avrà da oggi la possibilità di sanare per decreto irregolarità burocratiche e ritardi? Certo che no. Eppure ciascuna di queste regole da rispettare corrisponde ad un diritto. Il diritto alla cittadinanza, all'istruzione, al lavoro, alla casa. Si potrà dire, da domani, che dovendo scegliere tra un ritardo nell'iscrizione a scuola e il diritto ad andarci prevale il secondo? No. Chi ritarda di mezz'ora sarà escluso. L'elasticità vale solo per chi può imporla con l'abuso. Dunque gli italiani onesti sono furenti: se fosse accaduto alla sinistra avremmo avuto un decreto del governo? Difficile. Pagheranno una multa i ritardatari come si paga la mora sulle bollette? Non sembra proprio. La regola vale per il deboli, l'arbitrio per i forti. Forse Milioni quello del panino è stato radiato dal Pdl per manifesta incompetenza? No, lo si è visto anzi in queste notti dalle parti di Palazzo Chigi. Dunque era un disegno, l'ennesima furbizia per alzare fumo? Che triste giorno, il 5 marzo. Un nuovo 8 settembre, scriveva ieri Alfredo Reichlin. «Fino a che punto siamo consapevoli che l'Italia è arrivata all'appuntamento con la storia?». Ecco, lo siamo?
Il presidente della Repubblica ha agito, si deduce dalle sue parole, secondo la logica del male minore: tra i due beni - il rispetto delle norme e il diritto dei cittadini a votare - ha scelto il secondo. Una scelta di quelle in cui si perde comunque. L'astuta truffa - il quesito del premier - era questo: o la democrazia o la legge. Ma la democrazia e la legge sono la stessa cosa, solo la banda di governo crede di no. Napolitano ha agito anche per timore delle conseguenze possibili: chiede che «tutti si rendano conto» dell'acuirsi di tensioni «non solo politiche ma istituzionali». Abbiamo titolato, l'altroieri, «Gulp di stato». Oggi possiamo dirlo in chiaro: colpo di stato, è questo il pericolo. Siamo sull'orlo e adesso tocca a noi. Spiazziamoli. Non sbagliamo la mira. Non cadiamo nel tranello, di nuovo, di assegnare ad altri - peggio che mai ad uno solo - compiti, colpe, responsabilità. La storia è nelle nostre mani e si cambia in un solo modo: non coi decreti ma col voto. Spiazziamoli, sì. Scendiamo in piazza e saremo noi a umiliarli: col voto delle persone oneste. Sono o no la maggioranza del Paese, annidate in tutti i partiti? Vediamo. Contiamole.

da unita.it

Admin:
«Lavori in corso», apriamo il cantiere della sinistra

di Concita De Gregorio


Da dove cominciamo, Nadia Urbinati, a parlare del risultato elettorale e dello stato della sinistra in Italia? Dal Partito democratico? Dal cantiere dei lavori fatti e da fare, dall'analisi degli errori e dalle fondamenta di una nuova proposta? Cominciamo dal successo di Vendola, da Grillo?
«Cominciamo dall'Emilia».

Risponde così Nadia Urbinati: c'è bisogno di una discussione larga, ampia, franca e senza paura. Un dibattito come quello che si è sviluppato in questi giorni anche sulle colonne del nostro giornale e soprattutto nel web, migliaia di lettori ci hanno scritto per raccontarci quel che vedono, quel che sperano, quello in cui credono e in cui non credono più. Apriamo davvero il cantiere delle idee, dice la docente della Columbia, appassionata studiosa di politica. Però facciamolo a partire dalla realtà: lasciamo che l'insegnamento ci venga dai fatti.

Dunque l'Emilia, dove da poco è tornata a vivere. «Perchè in queste settimane, da quando sono rientrata in Italia, ho visto nei miei paesi qualcosa che non avevo visto mai. L'Emilia sarà la prossima regione a diventare leghista se non ci sarà un cambio radicale e profondo. In larga parte lo è già. Vedo i militanti della Lega girare per le piazze dei paesi con le roulotte e i camioncini, fermarsi a fare comizi di fronte a sei persone. Senza telecamere, senza microfoni. Senza media al seguito. Li sento scandire parole d'ordine semplici che fanno presa. Vedo le persone a me vicine cambiare. L'Emilia oggi è la frontiera più avanzata, o più arretrata. È Little Big Horne. La Lega ha capito molto bene che è questa la sfida più grande. La rivincita. Il vecchio desiderio democristiano. Quel che non si è tinto di bianco oggi si sta tingendo di verde. I leghisti hanno la capacità di farlo. Hanno militanti che credono, non che dubitano e discutono. Fanno turni, lavorano in modo sistematico, casa per casa. Il modello americano è questo: casa per casa. Non bastano le cene elettorali, quelle sono ad un altro livello. Nelle piazze dell'Emilia profonda il Pd non c'è. A Ferrara ho visto le navette che portano al centro commerciale. Nei paesi sono tutti chiusi dentro le case, con le loro parabole per vedere la tv. E' il Midwest: è qui che si vince o si perde».

«A partire dal linguaggio, sì. Ma dietro il linguaggio ci deve essere un ordine del discorso. Devi prima sapere cosa vuoi poi dire cosa pensi. Farlo in modo chiaro. Parole semplici e narrativa ricca. A Carpi, a Sassuolo. C'è la crisi della ceramica. Ha la sinistra una politica di riconversione industriale da proporre? Le donne della Omsa, senza lavoro perchè la manodopera all'estero costa meno. La risposta non può essere la cassa integrazione per mesi, per anni. Ci vuole un progetto. Quegli impianti devono restare qui, qualcuno sa dire come?
La Lega dice che i neri - gli stranieri - portano via il lavoro. In queste zone è un'affermazione che somiglia alla realtà. Quando il lavoro non c'è la competizione è fra chi resta escluso e chi entra in assenza di regole. Sappiamo dare una risposta?»

«A Modena - continua Nadia Urbinati - ho visto favolose piste ciclabili. Non basta. Ho visto nascere come funghi grandi centri commerciali fatti per dare ossigeno alle coop edili. Hai dato lavoro per qualche tempo agli edili, ma hai finito per portare la gente nei luoghi del berlusconismo. Dentro casa davanti alla tv durante la settimana, al centro commerciale nel week end. L'integrazione con le comunità immigrate non è avvenuta. Ciascuno vive nel proprio ghetto. I bambini vanno insieme a scuola, e cosa fanno dopo? Niente che li porti in un futuro diverso dal passato: rientrano nelle loro comunità di origine, gli adulti si chiudono e si difendono gli uni dagli altri. Sta nascendo un'altra società e la sinistra non ne è consapevole, non sembra esserlo, se lo è è impotente».

«Proviamo in Emilia a ricostruire le sezioni di partito. Non i circoli che si riuniscono una volta al mese, per il resto deserti, nel migliore dei casi i militanti si parlano sul web. È la presenza sul territorio che manca, i giovani hanno bisogno di fare qualcosa, lo chiedono: domandano cosa possiamo fare, dove possiamo andare? Non c'è un luogo. Alle feste dell'Unità la maggioranza è fatta di anziani.
È a questo livello che bisogna ricostruire a partire dai nostri principi, i nostri valori: il buon governo, la legge uguale per tutti, la Costituzione, la crescita di una comunità solidale».

«Il Pd è nato distruggendo i partiti alla sua sinistra. Una parte della sinistra non si riconosce in quel partito, né può farlo.
Ma il modello arcipelago è fondamentale. Se non ti federi con i partiti a te vicini quelli se ne vanno. Gli elettori con loro.
La scelta strutturale di guardare al centro ha conseguenze visibili. Gli elettori che non si riconoscono in questo Pd guardano a Di Pietro, poi a Grillo. Oppure si astengono. È una catena di delusioni progressive. Poi, certo, se guardo ai risultati dei partiti alla sinistra del Pd osservo che l'utopia è parte della politica, e la protesta è necessaria. Serve se è finalizzata a un risultato, se no può diventare dannosa per tutti. Si può stare vicini senza essere identici. Bisogna ascoltare chi protesta, provare a comprendere e non snobbare.
Lo stimolo critico deve essere espresso, ce n'è bisogno. Nader ha determinato la sconfitta di Gore, ma è stato perché la politica di Gore non era abbastanza convincente».

«Il grande problema è avere una classe dirigente solo istituzionale, parlamentare. Sarebbe una buona cosa che il leader dello schieramento non fosse un uomo delle istituzioni. Chi è nella condizione di difendere la sua posizione non è fino in fondo libero. Vivere di politica significa che non si può vivere per la politica. È Weber. Ci vogliono personalità libere di progettare un disegno comune fuori dagli schemi delle convenienze e delle appartenenze. Sarà chi saprà trovare un minimo comune denominatore alle forze della sinistra colui che saprà renderla forte abbastanza da consentirle di governare il Paese».

«Sì, c'è anche una questione di leadership. Dobbiamo consentire di far crescere un'altra generazione, non usarla solo come simbolo senza dargli potere. Se no è il rapporto che c'è tra genitori e figli: i genitori hanno la borsa, tengono i cordoni. I figli hanno bisogno del loro conto in banca. Non hanno lavoro, non hanno autonomia, non hanno peso».

«Berlusconi occuperà anche il web. Ha grande istinto, è capace di arrivare alla gente. Per il Pd il web è burocrazia, un lavoro come il resto. Non rispondono. Io lo uso a volte. Non mi rispondono. Non vedono, non capiscono. Obama ha vinto le elezioni grazie alla rete.
Un dollaro a testa, in milioni e milioni lo hanno finanziato. Qui vai a cene elettorali dove paghi cento euro e il leader non viene. Certo bisogna fare le due cose: ma farle bene, entrambe».

«Infine direi solo: bisogna andare a riprendere le persone e tirarle fuori da casa, dar loro qualcosa di più interessante della tv. Berlusconi ha costruito il suo potere isolando gli italiani davanti alle sue tv. Ma la Lega non ha tv, usa il modello del Pci di antica memoria. Uno stile premoderno, il camioncino e il megafono, bussano e ti compilano i moduli, ti aiutano a risolvere i problemi minimi che per le persone sono fondamentali. Noi non facciamo né l'uno né l'altro. Vogliamo cominciare a parlarne?».

04 aprile 2010
da unita.it

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20/04/2010 22:41

Il Falcon e Ipazia

Due parole sul sobrio titolo del giornale di casa Berlusconi, edizione di ieri: «Non ringraziano chi gli salva la pelle. I tre operatori sanitari rifiutano il volo di Stato», tema svolto dal direttore di quel quotidiano in assoluto disprezzo della realtà, come del resto sovente gli capita salvo poi chiedere scusa, in qualche raro caso, nella pagina delle lettere. Parliamo dei tre operatori di Emergency trattati dalla stampa di destra come terroristi e non ancora rientrati in patria. Come chiunque abbia fonti giornalistiche alla Farnesina sa, e di certo il Giornale ha facile accesso ai collaboratori del ministro Frattini, una delle condizioni poste dal governo di Karzai per la liberazione dei tre era che non «rientrassero da eroi». Che non ci fossero particolari cerimonie al loro arrivo, accoglienza solenne in aeroporto. Che non volassero su aerei di Stato: un rientro discreto, meglio se con tappa intermedia, meglio ancora se separati. La Farnesina, a dispetto dell'atteggiamento a dir poco prudente del ministro, si è attivata difatti fin dal primo giorno per le trattative, due inviati sono stati mandati immediatamente sul posto, quasi subito hanno saputo e riferito come non ci fossero capi d'accusa corroborati da prove di alcun tipo contro i tre operatori sanitari. Alcuni altissimi esponenti del ministero si sono messi in moto, rientrando se del caso anche dalle loro sedi estere, per porre rimedio alle improvvide parole di Frattini («Prego Iddio che siano innocenti») che nel linguaggio della diplomazia suonavano come una presa di distanza e hanno collaborato a mitigare i toni, a scrivere i testi successivi del ministro, a tenere i contatti con il governo di Karzai. Dunque, la trattiva si è conclusa ad alcune condizioni tra cui quella di cui sopra. L'inviato della Farnesina Massimo Iannucci lo sapeva benissimo e si è adoperato in questo senso. Non lo sapeva, evidentemente, il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto, inviato sul posto da La Russa, che ha "offerto" il passaggio sul Falcon dell'Aeronautica. Difetto di comunicazione fra ministeri? Rivalità fra ministri? Occasione creata ad arte per gettare altro discredito su Emergency? Difficile scegliere l'ipotesi peggiore. La verità per una volta è facile da accertare, certo per chi non sia in mala fede. I tre operatori sanitari non sono stati accusati di alcun reato, dunque sono stati ingiustamente detenuti. Chi è andato a riprenderti ha trattato su condizioni che ha poi rispettato. L'ospedale è stato sottratto al controllo di Emergency, è lecito il sospetto che fosse questo l'obiettivo. Inoltre per la prima volta si parla in documenti ufficiali di interessi nell'aera legati al traffico di droghe. La presunta connivenza coi talebani, l'esserne "oggettivamente complici" per il fatto di curare anche i loro figli - come se medici e militari avessero la stessa missione - oltre che essere tesi che qualifica chi la sostiene risulta in questo caso fuori tema. La partita era un'altra.

P.s.: è nelle sale Agorà, il film che narra la storia di Ipazia - matematica, astronoma e filosofa - lapidata dai cristiani nel 415 dopo Cristo. A decretarne la morte il vescovo Cirillo: una donna, secondo le scritture, non aveva diritto di parola pubblica.

Le cavarono gli occhi, fu fatta a pezzi. Andate a vederlo, se potete.

da unita.it

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22/04/2010 21:58

Concita De Gregorio

Te lo dico in faccia

Segnatevi questa data perché l'era del superuomo è finita. Certo ci vorrà tempo, mesi forse anni perché il naturale dibattito interno di un partito diventi veleno che lo corrode e lo sfinisce come è accaduto, appunto negli anni, ai partiti che abbiamo conosciuto prima dell'avvento del messia, fossero di destra di centro o di sinistra. Ci vorrà tempo, quello del Pdl si conta da ieri. Il centralismo carismatico su cui è stato costruito a prezzo del sacrificio della destra di Fini - e per buone ragioni, ragioni di marketing elettorale e di posti di potere - ha conosciuto un affronto finora impensabile: come nella fiaba del bambino e del re in mutande. Osanna al re, e nella folla una voce che dice: ma è nudo. A Berlusconi non deve essere mai successo niente di simile, di certo non in pubblico. Il mito del sole in tasca, del venditore fortunato, dell'uomo dei miracoli adorato dalle genti non contempla possibilità di critica. Nessuno fra i suoi ha mai saputo o potuto dire forte: imbrogli, sbagli, menti. Non conveniva. Ha detto ieri Fini: lo facevano solo sottovoce e quando voltava le spalle. L'unica è stata la moglie, ma quella è una vicenda privata e abbiamo visto comunque quanto feroce sia stata e sia ancora l'ira del sovrano e la vendetta: umiliata, ritratta nuda come "velina ingrata" e fatta inseguire dai giornali di famiglia fin nelle isole ad aprile deserte. Ora è Fini, però, che si alza e lo indica col dito dalla platea sbalordita (impagabile la faccia del fido Bonaiuti seduto accanto) e gli si rivolge chiamandolo per cognome: «Berlusconi, te lo dico in faccia». L'elenco di quel dirà è incompleto e sommario, date le circostanze. Tu sai bene come sono andate le cose nelle presentazione delle liste a Roma. I giornalisti "lautamente pagati da tuoi parenti stretti" mi danno la caccia perché dico quello che penso, mi trattano da traditore. Berlusconi è sotto choc. Lo vedete qui come non l'avete visto mai: prende il microfono e strilla tu non sei venuto in piazza San Giovanni, tu non puoi parlare così sei il presidente della Camera. Sottinteso, ma neanche tanto: io te l'ho data e io te la tolgo. Sei roba mia anche tu. Ecco, questo hanno visto ieri milioni di italiani. L'inizio del tramonto del Re Sole. La prima ombra, per le conseguenze vedremo. Potrà comprare i finiani uno ad uno, come ha promesso, ma d'ora in avanti sarà in pubblico. E poi l'esito non dipenderà solo da Fini. Tutto il mondo politico, sinistra compresa, si muove da oggi in uno scenario nuovo. Un'ottima occasione per battere un colpo, volendo anche due.
P.s. Vi diciamo oggi chi sono nove delle famiglie che non hanno pagato la retta per la mensa dei figli, ad Adro. Leghisti e destra si sono sgolati a dire chi non ha soldi non pretenda di mangiare, troppo comodo sperare nei benefattori. Famiglia numero uno: operaio in Cig, coniuge disoccupata, 4 figli (8,4,3 anni e 8 mesi), reddito 2009 tremila euro, affitto mensile 400. Così fino alla nona. Si potrebbe ora sostenere che chi non ha lavoro è meglio che i figli non li faccia. Lo diranno, vedrete. L'unico problema sarà distribuire anticoncezionali alle famiglie operaie: la Chiesa potrebbe ritenerlo contrario alle scritture. Immorale, il preservativo. Per i bambini senza pranzo invece tutto ok. Governo Adro.

da unita.it

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