ECONOMIA E IMPRESE 11 Settembre 2018 Il Sole 24 Ore
DISTRIBUZIONE
E-commerce a mezzo servizio Lo strano divieto domenicale
La proposta di legge dei 5 Stelle prevede un limite alle consegne
Le aperture domenicali hanno sostenuto i consumi tra l’1 e il 2%
Anche l’e-commerce nella stretta annunciata dal governo sulle aperture dei negozi nei giorni festivi. Tra le proposte di legge per limitare le liberalizza sugli orari di apertura dei negozi introdotte dal governo Monti nel 2011, ce n’è anche una che prevede il blocco degli ordini online nei giorni di festa. La proposta, firmata dal deputato Cinque Stelle Davide Crippa, afferma che nei giorni festivi l’attività commerciale legata a un ordine online non possa essere esercitata «in alcune delle sue fasi» (si veda articolo in basso per i dettagli).
Non a caso, alle reazioni allarmate di molti attori della grande distribuzione e dell’industria di marca sollevate nei giorni scorsi, ieri si è aggiunta anche la voce di Netcomm, il Consorzio del commercio digitale italiano che rappresenta oltre 300 aziende internazionali e di piccole e medie dimensioni: «Questa proposta creerebbe un ulteriore ostacolo non solo al retail, ma anche all’intero sistema economico italiano – ha detto il presidente di Netcomm Roberto Liscia –. Se il consumatore italiano non potrà acquistare nei canali fisici ciò di cui ha bisogno, lo cercherà online, ma se online le condizioni offerte dai player italiani non saranno allineate a quelle dei portali internazionali, la sua scelta ricadrà su questi ultimi». Altro che favore all’ecommerce, dunque: secondo Liscia le proposte di legge avanzate avrebbero un impatto negativo anche su questo settore. Un settore in crescita, che a fine anno dovrebbe raggiungere i 27 miliardi di euro, con un incremento del 15% rispetto al 2017.
Il derby nazionale tra favorevoli e contrari alle aperture domenicali ha avuto anche ieri la sua vetrina mediatica, con il ministro Di Maio che ha cercato di smorzare le polemiche, precisando che «ci sarà sempre un negozio aperto sotto casa per fare la spesa», grazie a un meccanismo di turnazione (quello previsto nella proposta dei Cinque Stelle) per cui resterebbe aperto il 25% dei punti vendita, mentre gli altri chiuderebbero a turno. La turnazione sarebbe decisa in parte dalla legge nazionale e in parte dalle istituzioni locali. Così come a livello locale sarebbero demandate anche le deroghe alle chiusure previste dalla proposta della Lega, la più restrittiva, che prevede soltanto otto aperture durante i festivi nell’arco dell’anno.
Proprio l’ipotesi di un ritorno a decisioni prese a livello locale è uno degli aspetti criticati dalle imprese della Gdo: «Il nostro auspicio è che le regole rimangano nazionali», commenta il presidente di Federdistribuzione Claudio Gradara, che parla di uno scenario di incertezza «che non fa bene alle imprese e agli investimenti». Anche Coop chiede chiarezza e un punto fermo da cui far partire il confronto, con l’obiettivo «di trovare soluzioni equilibrate per garantire il servizio ai consumatori, l’occupazione e il rispetto dei diritti del lavoro – commenta Stefano Bassi, presidente di Ancc-Coop –. Aspettiamo di conoscere, al di là delle proposte dei singoli partiti, il punto di vista concreto del governo, attraverso specifici testi legislativi, e opereremo di conseguenza per portare il nostro punto di vista nel confronto parlamentare».
Occupazione e diritti dei lavoratori sono l’altro elemento cardine attorno a cui ruotano le polemiche di questi giorni: Lega e Cinque Stelle parlano di una legge «sacrosanta» per il diritto dei lavoratori a trascorrere i festivi con le proprie famiglie, sostenuti in questo da associazioni del commercio, come Confesercenti e da alcune sigle sindacali, come Filcams-Cgil e Cobas, che sottolineano come l’occupazione non sia aumentate con le aperture. Tuttavia, secondo Federdistribuzione sarebbero invece tra i 15mila e i 20mila, nell’ipotesi di una legge restrittiva, gli esuberi solo tra i propri associati, che rappresentano circa il 50% della Gdo italiana. Gradara sottolinea inoltre che le vendite al dettaglio in Italia sono ancora in stallo e che un ritorno alle chiusure domenicali non può che aggravare la situazione: «Secondo i nostri calcoli – dice – in questi anni di crisi l’apertura nei festivi ha contribuito a garantire una media annua di consumi aggiuntivi per l’ 1% nell’alimentare e per il 2% nel non alimentare». Tornare indietro significherebbe «perdere l’1% dei consumi», conferma Centromarca (l’associazione che rappresenta l’industria di marca), che stima 40mila posti di lavoro messi a rischio. Stime che coincidono con quelle di Conad, «senza contare – aggiunge l’amministratore delegato e direttore generale Francesco Pugliese – l’impatto negativo sulle retribuzioni degli addetti, che oggi possono integrare il loro stipendio attraverso i turni festivi».
Il Contratto nazionale del commercio – a cui fanno riferimento tanto i piccoli punti vendita quanto la grande distribuzione – prevede infatti che una maggiorazione del 30% per tutte le forma di rapporto tra azienda e dipendente, compresi dunque i «contrattini weekend» che interessano soprattutto i giovani. A questa maggiorazione possono poi aggiungersi eventuali ulteriori indennizzi previsti dai singoli contratti integrativi.
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Giovanna Mancini
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