Il «gelo» sui bond societari: mancano all’appello 20 miliardi
Effetto spread. Banche e imprese italiane hanno emesso da inizio anno titoli per 45 miliardi: la frenata a causa del premio per il «rischio-Italia» -
Nel 2019 da rinnovare 100 miliardi di debito
Se la crisi del debito italiano del 2011-2012 ha avuto conseguenze devastanti sull’economia è perché il maggior costo di rifinanziamento del debito pubblico legato all’aumento dello spread si è tradotto in una stretta del credito a famiglie e imprese. Con le banche che chiudono il rubinetto, o lo aprono solo a condizioni proibitive, e un mercato obbligazionario dove va in scena lo stesso copione non c’è da stupirsi se l’Italia, un Paese per di più costretto a dolorose misure di austerità, sia finito nella sua peggior recessione dal dopoguerra. Da questo baratro la nostra economia è uscita grazie soprattutto alla politica monetaria espansiva della Bce che ha favorito la graduale ripresa dei prestiti bancari garantendo alle imprese un contesto favorevole sul mercato obbligazionario: cinque anni fa un’obbligazione corporate quinquennale ad alto rating denominata in euro rendeva in media il 2 per cento. Oggi si viaggia allo 0,7 per cento. Un bond ad alto rischio (high yield) che nel 2014 rendeva in media il 5% oggi rende circa 2,3 per cento.
Come i mutui, il credito al consumo e altre forme di finanziamento anche il mercato obbligazionario ha potuto beneficiare di condizioni vantaggiose. E anche di più visto che la Bce ha deciso di includere i bond corporate ad alto rating nel suo programma di acquisti. Le grandi aziende e banche italiane hanno approfittato di questo contesto favorevole per rifinanziare a basso costo il proprio debito emettendo bond a tassi bassissimi.
Questo è successo fino a maggio di quest’anno perché poi l’impennata dello spread ha cambiato il quadro di riferimento. A differenza del canale di finanziamento bancario, che risente dell’andamento dello spread solo a mesi di distanza, quello obbligazionario reagisce immediatamente. Quando scattano le vendite sui titoli di Stato anche le obbligazioni societarie, al pari della Borsa, soffrono. La conseguenza, per una banca o un’azienda che vuole collocare titoli sul mercato, è che, per trovare acquirenti, si vede costretta a offrire rendimenti più alti. O meglio un premio di rischio per il solo fatto di essere italiana.
Alla luce di questo peggioramento delle condizioni di mercato non stupisce constatare una netta frenata nei collocamenti di titoli societari. Uno stop fotografato dai numeri della banca dati S&P Market Intelligence che, da inizio anno, ha censito emissioni da parte di banche e imprese italiane per un controvalore di circa 45 miliardi di euro. Esattamente 20 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Negli ultimi 4 mesi sono state per lo più le banche a emettere bond sui mercati (comunque pochi) mentre è mancato il contributo delle società non finanziarie. Da maggio ad oggi Dealogic ha censito appena 5 operazioni da parte di società non finanziarie per un controvalore collocato di 3,5 miliardi di euro. L’anno scorso, nello stesso lasso temporale, sono state fatte 23 emissioni per un controvalore collocato di 12,5 miliardi di euro.
Come si può notare dal grafico in pagina la frenata si è iniziata a vedere già ad aprile. Il trend si è poi consolidato nei mesi successivi. Oltre a scaricare sui mercati 58 miliardi di titoli di Stato gli investitori esteri hanno venduto, tra maggio e giugno, ben 12 miliardi di bond di altri titoli. È logico supporre che si tratti soprattutto di bond societari. La volatilità sullo spread è negativa per il Paese, perché comporta maggior spesa per interessi sul debito, ma anche per le banche e le grandi aziende italiane che ora avranno qualche difficoltà in più a reperire finanziamenti sui mercati.
Nel 2019, stando alla banca dati S&P Market Intelligence, le società quotate a Piazza Affari dovranno rifinanziare oltre 100 miliardi di euro di bond in scadenza.
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Andrea Franceschi
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