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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 319024 volte)
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« Risposta #630 inserito:: Luglio 05, 2016, 12:14:28 pm »

La guerra al Califfato e la crisi dell'Europa

Di EUGENIO SCALFARI
03 luglio 2016

MENTRE scrivo queste righe la nostra Nazionale di calcio sta giocando a Bordeaux contro la Germania con il lutto al braccio per i nove italiani torturati e poi uccisi dai terroristi dell’Is in un ristorante di Dacca, capitale del Bangladesh. Una guerra dall’altra parte del mondo. Non è rabbia e terrore provati dalle periferie del mondo. All’Is, al Califfato, interessa anche il terrore delle periferie, ma Dacca non è una periferia e il Bangladesh non è una periferia: è uno degli Stati dell’Asia con maggioranza religiosa di musulmani moderati. Quindi l’Is è a suo modo uno Stato, con una capitale, un esercito “regolare”, un Capo e il suo stato maggiore, più le periferie sparse dovunque.

Naturalmente ha molti nemici; alcuni sono alleati tra loro, altri combattono il Califfato da soli. Insomma c’è una guerra che ha generato parecchie guerre: la guerra in Siria, la guerra in Turchia, la guerra in Iraq, la guerra in Kurdistan, la guerra in Libia e in Tunisia. E la “mezza guerra” con l’Egitto, con l’Iran e con l’Arabia Saudita. La guerra, come spesso avviene, diventa in certe fasi della storia una sorta di normalità: il potere lotta per consolidarsi ed estendersi. Poi arriva la pace, ma dura poco. Spiace dirlo ma guerra e pace (come magistralmente raccontò Tolstoj) si succedono l'una all'altra ma purtroppo lo stato normale è la guerra e il potere; la pace è un intervallo, un necessario riposo che presto scompare.

***

Accanto alle guerre contro l'Is ce ne sono altre che per fortuna non contengono efferatezze e spargimenti di sangue (qualche volta accade ma più per caso che per libera volontà). Una, la più recente e tuttora in corso, è il cosiddetto Brexit, cioè l'uscita (non ancora ratificata ma comunque già irrevocabilmente avvenuta) dell'Inghilterra dall'Unione europea. Si discute in tutta Europa se sia un grave danno per il nostro continente oppure un problema facilmente risolvibile e un vantaggio o un gravissimo errore per quella che ancora si chiama Gran Bretagna (Regno Unito non più per via della Scozia europeista e dell'Irlanda del Nord).

La risposta che un'attenta analisi suggerisce è la seguente: per l'Unione europea è una prova capitale: può rafforzarsi e fare passi avanti significativi verso uno Stato federale oppure sfasciarsi in molte parti sotto la spinta dei movimenti populisti antieuropei e antieuro. Per la Gran Bretagna è la fine. Una fine lunga almeno una decina d'anni, ma non revocabile in una società globale. Un'Inghilterra isolata. La cui influenza sul resto del suo impero d'un tempo e degli Stati Uniti d'America, è ormai prossima allo zero. A meno che una nuova maggioranza di inglesi non trovi il modo di sostituire la maggioranza che ha votato per il Brexit. È possibile che risanino l'errore ma non hanno molto tempo: un anno o al massimo due ma non di più.

***

Brexit a parte, resta da risolvere la questione europea che si compone di tre elementi: le elezioni tedesche che avverranno tra un anno e mezzo e che vedono la Merkel e i suoi alleati socialisti in difficoltà; il "sovranismo" francese che non è soltanto rappresentato dalla Le Pen, ma dal gollismo dove gran parte della classe dirigente di quel Paese ha ancora le sue radici; gli Stati dell'Europa dell'Est e del Nordest, come la Polonia, l'Ungheria, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, ma anche la Danimarca e la Svezia. Questi Paesi, ai quali va aggiunta l'Ucraina a mezza strada tra la Ue e la Russia, che hanno conservato le proprie monete, vogliono uscire dall'Ue e vivere in proprio.

Come si muoveranno i Paesi che ancora credono nell'Unione e sanno che per sopravvivere e progredire l'Ue deve rafforzare le proprie istituzioni e puntare sull'obiettivo d'una federazione che lasci però ai singoli Stati un'ampia autonomia sia pure nel quadro generale? E qual è la parte dell'Italia in questo momento storico di particolare importanza? L'Italia di fatto fa ormai parte di un triumvirato insieme alla Germania e alla Francia. Quel triumvirato non sempre trova l'accordo sui problemi in questione, ma rappresenta comunque la punta di vertice, le tre gambe che reggono il tavolo attorno al quale sono seduti i rappresentanti delle istituzioni europee: la Commissione, il Parlamento, le Corti di giustizia. E i capi dei 27 Stati ancora teoricamente membri dell'Unione. Ma se alcuni di essi dovessero uscirne, come abbiamo già ipotizzato, i 27 si restringerebbero ai 19 dell'Eurozona e forse nemmeno a tutti di essi.

I problemi che hanno sul tavolo sono i seguenti: 1. La guerra all'Is. 2. Il rapporto con gli Stati Uniti d'America soprattutto dal prossimo novembre quando Obama sarà sostituito. 3. Il rapporto con Putin. E poi i temi socio-economici: il rafforzamento dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni sociali, del sistema bancario, del debito pubblico, del bilancio dell'Unione europea e del suo debito pubblico, gli investimenti e la scelta politica che deve guidarli. Infine e soprattutto il tema dell'immigrazione, che comporta anche quello delle periferie e quello della libertà religiosa.

Abbiamo altre volte detto che uno degli attori principali dell'intera vicenda europea è Mario Draghi. Lo è sempre di più, man mano che la vicenda generale si aggrava. Tutte le questioni economiche, che sono una moltitudine, lo impegnano direttamente, a cominciare dal rafforzamento del sistema bancario, del debito europeo che deve assumere le caratteristiche di un debito sovrano rispetto a quello dei singoli Paesi e infine la lotta con la deflazione che sta particolarmente penalizzando l'Italia. Draghi preme per l'istituzione di un ministro delle Finanze unico dell'Eurozona e anche Renzi preme in quel senso. Ed ecco l'altro attore della vicenda europea e italiana: Matteo Renzi. Sui problemi europei l'abbiamo già visto come "triumviro", ma sullo scacchiere italiano?
***

Era molto popolare nel 2013 e lo è stato fino al 2015. Adesso ha perso peso, in parte per l'andamento delle amministrative in alcune città fondamentali come Roma, Torino, Napoli. In parte perché la gente non sente benefici, anzi avverte un aggravarsi dei sacrifici da sopportare. In parte è la realtà, in parte è un modo di sentire. Il risultato è che Renzi e il suo partito hanno perso l'appoggio di una quota rilevante della pubblica opinione. Due anni fa erano al 40 per cento, oggi (per quel che valgono) i sondaggi lo danno tra il 32 e il 34 per cento. La destra è del tutto sfasciata tra Salvini-Meloni e Forza Italia; ma se la destra fosse unita supererebbe anch'essa il 30 per cento. Quanto ai 5Stelle anch'essi sono su quella quota.

In sostanza è una struttura tripolare, pessima situazione per la governabilità democratica d'un Paese, specie in vista d'un referendum confermativo che avrà luogo ai primi del prossimo ottobre e al cui risultato Renzi, credendo con ciò di rafforzarsi, ha legato la propria sorte politica. Non starò qui a ripetere ciò che penso di quel referendum. Non mi piace l'abolizione del Senato, ma per il resto il contenuto di quel referendum è accettabile. Non è accettabile però la legge elettorale che aggancia il sistema monocamerale ad una legge maggioritaria che può avere due risultati: una vittoria del Pd renziano che dà all'Esecutivo (cioè a lui) pieni poteri di governo; oppure dà la vittoria ai 5Stelle mettendo il Paese nelle mani di un movimento praticamente populista (non a caso nel Parlamento europeo i suoi membri hanno votato con Farage, l'inglese che rivendica il merito del Brexit).

Queste due prospettive - o Renzi o i 5Stelle - fanno rabbrividire un buon democratico europeista. Perciò Renzi deve cambiare sostanzialmente la legge elettorale, avendo ben presente la fase degasperiana e post-degasperiana della Dc, che governò con i suoi alleati per dodici anni avendo il 40 per cento di voti propri e un 9 per cento dei suoi alleati (liberali, repubblicani, socialdemocratici). Questo deve fare Renzi per l'Italia, altrimenti il rischio è che al referendum vincano i "no", con quel che ne seguirebbe, anche con contraccolpi negativi della presenza italiana in Europa.

© Riproduzione riservata
03 luglio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/07/03/news/la_guerra_al_califfato_e_la_crisi_dell_europa-143319169/?ref=HRER2-1
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« Risposta #631 inserito:: Luglio 12, 2016, 12:04:34 pm »

Libertà e dittatura si combattono oggi nel mondo
Credo che il fattore determinante sia il predominio dell'interesse particolare di ogni individuo, di ogni lobby, di ogni civiltà

Di EUGENIO SCALFARI
10 luglio 2016

È accaduto di tutto in questi giorni, ma è ormai sempre più frequente che il mio articolo domenicale cominci in questo modo: sono mesi e forse anni che il mondo ci appare in continua evoluzione. Migliore o peggiore? La risposta dipende dagli interessi particolari di chi risponde. Quindi diciamo che il mondo cambia. In meglio per alcuni, in peggio per altri.

L'elenco di oggi comincia con l'eccidio di Dallas e la ripresa della guerra civile americana tra bianchi e neri. Dallas è una città simbolo di quella guerra, con essa infuria in un'infinità di altri luoghi: spesso è una competizione, altre volte è uno scontro sociale e politico e altre volte ancora la parola passa ai fucili mitragliatori e alle pistole.

Poi c'è il terrorismo del Califfato: sono appena arrivate in Italia le bare delle vittime uccise in Bangladesh, ma non sono le sole perché il terrore del fondamentalismo islamico infuria in tutti i continenti.

Quindi c'è Brexit, l'uscita dell'Inghilterra dall'Unione europea e le conseguenze che quell'uscita comporta. Ne abbiamo ampiamente parlato la scorsa settimana, ma le conseguenze continuano a manifestarsi soprattutto in Inghilterra e nella casa europea: una casa assasi variegata, che reagisce in modi molto diversi, da nazione a nazione.

Infine c'è l'Italia, dove le conseguenze del quadro generale sono state avvertite e determinano un mutamento della pubblica opinione che fino a qualche mese fa nessuno immaginava.

L'insieme di questi fatti avviene in una società globale, anch'essa fonte di mutamenti e contrasti (che il mio amico Carlo De Benedetti ha magistralmente descritto in un'intervista di ieri al Corriere della Sera).

Come si può sintetizzare uno scenario così molteplice che incide inevitabilmente sulla vita di ciascuno di noi? Credo che il fattore determinante sia il predominio dell'interesse particolare di ogni individuo, di ogni famiglia, di ogni categoria sociale e professionale, di ogni lobby, di ogni civiltà. L'interesse particolare mette in contrasto la libertà e il potere. Credo che la migliore definizione di questo quadro globale l'abbia data Paul Valéry in un saggio sulla dittatura e qui voglio citarne poche ma fondamentali righe che a mio avviso spiegano quanto è avvenuto nei secoli e avviene tuttora con la massima intensità.

"Deve essere un godimento straordinario unire la potenza con il pensiero, far eseguire da un popolo ciò che si è concepito in solitudine; e a volte modificare da soli e per un lungo periodo il carattere di una nazione.

Il dittatore è l'unico titolare della pienezza dell'azione. Egli assorbe nel proprio tutti i valori, riduce tutte le visioni alle sue. Rende gli altri individui strumenti del suo pensiero, che vuole sia ritenuto il più giusto e il più perspicace, dal momento che si è dimostrato il più audace e il più fortunato nell'ora del turbamento e dello smarrimento pubblico. Egli ha travolto il regime impotente o corrotto, ha cacciato gli uomini indegni o incapaci e con loro le leggi o i costumi che producevano l'incoerenza. Fra le cose dissolte, la libertà. Molti si rassegnano facilmente a questa perdita. Bisogna ammettere che la libertà, tra le prove che si possono proporre ad un popolo, è la più difficile. Saper esser liberi non è dato in egual modo a tutti gli uomini e a tutte le nazioni. Nel nostro tempo la libertà non è e non può essere, per la maggior parte degli individui, altro che apparenza. La dittatura non fa che portare a compimento il sistema di pressioni e di legami di cui i moderni, nei Paesi politicamente più liberi, sono le vittime più o meno consapevoli".

La citazione è lunga e me ne scuso, ma non poteva descrivere meglio e in modo estremamente aggiornato quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi in Europa, in America, nel mondo intero e, soprattutto per noi in Italia. Valéry scrisse queste pagine qualche tempo prima della morte, avvenuta nel 1945. Ebbene, sembrano scritte ieri, su di noi e per noi.

***

Matteo Renzi (è di lui che ora dobbiamo parlare) è raffigurato alla perfezione da Paul Valéry e naturalmente non è il solo nell'Europa e negli Usa di oggi. Mi viene in mente Angela Merkel, il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, Iglesias in Spagna, ma anche Cameron in Gran Bretagna e via numerando. Ma Renzi, così mi pare, ha più tocco degli altri, si adatta meglio alla parte che tutti i giorni deve recitare, nel Consiglio dell'Unione, nei tête-à-tête con le autorità di Bruxelles e con i primi ministri dell'Ue e dell'Eurozona, con Mattarella, con Napolitano. Col suo partito meno, soprattutto con i suoi dissidenti: sono loro costretti a misurarsi con lui e non lui con loro.

Renzi comunque ha dunque spartiti da recitare: in Europa e in Italia. Quello europeo, a mio parere, lo recita abbastanza bene. Vuole rafforzare l'Europa dei 27 e soprattutto l'Eurozona dei 19. Vuole diventare, anzi è già diventato, il terzo componente del direttorio che di fatto determina la linea dell'Ue. Un tempo erano due: La Germania e la Francia. Adesso sono tre e il terzo è lui; a guardar bene, in ordine di importanza, è addirittura il secondo.

So bene che la bandiera di Altiero Spinelli nel suo obiettivo finale degli Stati Uniti d'Europa lui non lo vedrà e forse non lo vedrà nessuno, ma qualcosa di mezzo tra federazione e confederazione questo sì, è un obiettivo raggiungibile e sta diventando il suo obiettivo: una politica economica comune, di tipo keynesiano; un'intesa con Draghi sul ministro delle Finanze unico dell'Eurozona e su una politica di investimenti italiani ed europei; una politica bancaria che garantisca i risparmiatori, italiani ed europei; un rafforzamento europeo della Nato e un eventuale contingente militare europeo; una polizia federale europea; un'eventuale Europa a due velocità economiche.

Non è una politica facile. Comporta anche una crescente partecipazione alla guerra contro l'Is e il Migration Compact con tutto ciò che ne deriva sia sul piano militare sia su quello economico.

Bisogna aggiungere a questo quadro un elemento in più: oltre che triumviro europeo, Renzi ha anche in mente un altro obiettivo: promuovere un fronte europeo del Sud, che faccia da contrappeso alle alleanze della Germania con i Paesi del Nord e del centro. Il Sud va dalla Grecia alla Francia, Spagna, Portogallo, Malta, che hanno interessi e obiettivi per molti aspetti comuni.

E questo è il Renzi positivo, almeno potenzialmente. Il problema è diverso per lo scenario italiano, che non è secondario perché le radici di Renzi sono il suo potere in Italia ed è quella la base sulla quale poggia il suo ruolo in Europa.

***

Nel 2013 e l'anno successivo fu accolto come il grande rottamatore. Come tale piacque molto agli italiani e qui il ritratto di Valéry calza a pennello. Le prime leggi piacquero anch'esse, promettevano molto, in certi casi distribuirono sollievo sociale, sia pure limitato. Affrontò anche la questione dei diritti, culminata con la legge recentissima sulle unioni civili. Il guaio di questi interventi fu però che alle leggi seguirono stentatamente o non seguirono affatto i regolamenti procedurali e qui la delusione cominciò a farsi strada. Soprattutto sul piano della disoccupazione giovanile, dell'andamento del reddito nell'ambito degli investimenti e dei consumi.

In particolare i giovani hanno sofferto, i padri hanno sofferto, i pensionati, il Mezzogiorno, gli Enti locali. Rispetto all'andamento di altri Paesi dell'Unione e in particolare dell'Eurozona, i tassi del reddito sono rimasti dietro a tutti, la pressione fiscale è aumentata, il debito pubblico anche, nonostante una flessibilità concessa dall'Europa in misura abbastanza ragguardevole.
Questi vari elementi di sofferenza hanno gradualmente modificato l'opinione pubblica. L'astensione dal voto è aumentata; il Movimento 5Stelle ha messo radici locali oltreché nazionali e s'è visto nelle recenti elezioni amministrative.

Questi mutamenti dell'opinione pubblica rendono molto più pericoloso di prima sia il referendum costituzionale sia, anzi soprattutto, la legge elettorale ormai valida e pronta ad entrare in funzione se necessario.

La legge costituzionale sottoposta a referendum contiene molti punti discutibili, ma complessivamente sarebbe accettabile, sia pure con qualche ritocco che può essere effettuato subito dopo l'approvazione referendaria. Di fatto abolisce il Senato e instaura un sistema monocamerale come da tempo esiste nei principali Paesi europei. Quindi non è qui lo scandalo, ma lo è il suo collegamento con la legge elettorale, effettuata in modo tale da essere di fatto una legge di "nominati" o in parte eletti con le preferenze, anch'esse in gran parte nelle mani del potere esecutivo. Il quale, per conseguenza, se vincerà le elezioni raggiungendo il 40 per cento dei voti espressi, avrà di fatto un potere assoluto, salvo l'autonomia della magistratura, i poteri della Corte Costituzionale e le prerogative del capo dello Stato.

Aggiungiamo a questa situazione il fatto che, ove mai il Pd non raggiungesse il 40 per cento, un altro partito potrebbe vincere al suo posto e sarebbe con tutta probabilità il Movimento 5Stelle. E se nessuno arrivasse a quella soglia che attribuisce il premio, il confronto avverrebbe al ballottaggio tra i primi due; ma poiché siamo in un regime politico non bipolare (una destra e una sinistra) ma tripolare, il ballottaggio sarebbe vinto da chi riesce a convogliare su di sé i voti del terzo. È facile immaginare che quel terzo non favorirebbe il Pd ma assai più probabilmente i 5Stelle.

***

Questa è la situazione, la quale sta delineando una prevalenza dei "no" sui "sì" nel voto referendario.

Per evitare questa situazione Renzi dovrebbe prolungare la data del referendum e mettere subito mano alla legge elettorale. Abbiamo già scritto più volte su queste pagine come dovrebbe essere cambiata; su questo punto ne ha scritto ieri anche Michele Ainis.

Vedremo nei prossimi giorni che cosa accadrà. Se tutto resterà com'è oggi, la sconfitta dei "sì" referendari è molto probabile.

Chi la fa l'aspetti, dice il proverbio. In questo caso sarebbe chi non la fa si aspetti il peggio.

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10 luglio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/07/10/news/liberta_dittatura-143772835/?ref=HRER2-1
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« Risposta #632 inserito:: Luglio 25, 2016, 12:14:09 am »

Il Califfo e il fulmine di Zeus sul popolo sovrano
"Stiamo attraversando un periodo amarissimo; il Califfato l'avevamo ormai imparato a conoscere, ma è l'ultimo dei disastri che l'area balcanica e mediterranea sta attraversando. Ci vorrà molta forza d'animo e molta speranza di futuro per attraversare l'Inferno che c'è caduto addosso"

Di EUGENIO SCALFARI
24 luglio 2016

SOLTANTO l'Is, il Daesh, il Califfato o comunque vogliate chiamarlo non difendono la democrazia ma un Dio proprio, un proprio Allah che fa giustizia di tutti gli altri Dei, ovunque siano e comunque si chiamino. In realtà il vero Dio per il Califfato è il Califfato medesimo, depositario di tutto il bene e nemico senza quartiere di tutto il male. Il terrorismo è l'arma del Califfato per sterminare il male. Ricordate gli dei olimpici? Zeus aveva il fulmine, Nettuno le tempeste del mare, Vulcano il fuoco e Ade i tartassati degli Inferi. Il Califfato prosegue questa tradizione e il terrorismo ricorda il fulmine di Zeus e gli Inferi di Ade.

In tutti gli altri Paesi, specie quelli del Medio Oriente e della civiltà occidentale, la democrazia è la parola ricorrente sia pure in diversi significati che variano col variare della storia e delle diverse religioni. Noi in America, in Europa e in Italia ci siamo spesso dichiarati tali salvo nei frequenti casi di potere assoluto. In quella situazione però il potere assoluto e accentrato nella mani di una sola persona e del ristrettissimo gruppo dei suoi consiglieri, si diceva venisse usato per il bene del popolo. Ma quale popolo? Quello governato e sottomesso alla sovranità del Capo, che fosse Re o Papa o duca o marchese o cardinale o vescovo. La democrazia era assente nella pratica, ma presente nel ricordo è la speranza di un futuro migliore costantemente perseguito e auspicato. Ma anche la democrazia presupponeva un potere affidato al popolo.

A quel popolo che governava quel territorio, lo difendeva e spesso pensava di estenderne i confini aggredendo altri popoli. In che modo? Non certo con pacifica predicazione ma con la guerra, difensiva o offensiva. La storia di tutto il mondo è caratterizzata da questi valori, anche se chiamarli tali è alquanto abusivo. Valori? Ideali? Oppure, più realisticamente, finalità. Obiettivi, speranze futuribili?

Ho scritto di queste cose in alcuni miei libri ma in particolare in quello intitolato "L'uomo che non credeva in Dio" e un altro dal titolo "L'amore, la sfida, il destino", ma non è stata materia dei miei servizi giornalistici. Credo che ora sia il momento di farlo per rendere più comprensibile ciò che accade tutti i giorni e in tutti i Paesi del mondo, "croce e delizia al cor", ma molto più croce che delizia e non soltanto al cor ma anche al corpo e dunque alla vita.

***

La democrazia è il potere affidato al popolo. Ma qual è il popolo sovrano? Come si configura socialmente? Un tempo, poco più di cent'anni fa, in quasi tutti i paesi era limitato ai maschi ed anche al censo. I maschi poveri erano esenti dalle imposte e quindi dal voto. Sudditi, non sovrani. Ma la rivoluzione inglese guidata da Cromwell e quella francese del 1789 modificarono la visione del popolo sovrano. In Inghilterra e in Francia più rapidamente che altrove. L'Italia fu l'ultima ad allinearsi alla modernità nel voto tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Quando, almeno in teoria, i popoli erano ovunque sovrani. Questa sovranità si manifesta con tre valori (questa volta bisogna chiamarli tali): la libertà, l'eguaglianza, la fratellanza. La loro bandiera fu il tricolore francese, acquisito in Italia circa un secolo dopo e cioè nel 1861 quando Cavour proclamò il Regno d'Italia.

Dunque popolo sovrano, tutti coloro che la legge autorizzava a votare e questo avviene sia pure con diverse modalità in tutti i Paesi della civiltà occidentale e in quelli che il colonialismo rese o tentò di rendere simili ai nostri. Accade però che molti cittadini elettori non abbiano voglia di esercitare quel loro diritto e se ne astengono. Fisiologicamente il 20 per cento degli elettori non esercita il suo diritto, ma in molti Paesi la quota degli astenuti è cresciuta, ormai si aggira intorno al 30 e in certo casi al 40 per cento con punte estreme che arrivano addirittura al 50 per cento. In questi casi la sovranità è in mano ad un popolo ampiamente falcidiato, composto a sua volta da due categorie assai diverse tra loro: una consapevole dei suoi diritti e degli interessi generali che lo Stato democratico deve rappresentare; l'altra di persone che perseguono l'interesse proprio e dei loro capi locali e qui emergono anche fenomeni di corruzione che inquinano i risultati elettorali.

Infine c'è un fenomeno che spesso accade e cioè il fascino di un Capo, il suo carisma che si impone a masse di elettori. Di questo fenomeno ho parlato qualche settimana fa citando un brano estremamente significativo di Paul Valéry sulla dittatura. Lo ricordo perché è un fenomeno ormai abbastanza diffuso, che mina dall'interno la democrazia, il popolo sovrano e i valori generali dei quali uno Stato democratico dovrebbe essere depositario. Personalmente non credo molto al popolo sovrano. Credo piuttosto ad una classe dirigente che guida l'economia, le banche, la cultura, la scienza e naturalmente la politica.

Questa classe dirigente ha come base di sostegno il popolo sovrano; base di sostegno, non più di questo, ma una base di sostegno è comunque fondamentale; se la base cede, l'intera classe dirigente precipita nella crisi e nella sconfitta. Quanto alla politica, da che mondo è mondo essa si compone di un'oligarchia con al vertice un Capo il quale è l'espressione dell'oligarchia. Aristotele, che metteva la politica in cima a tutto, l'affidava ad un'oligarchia e così è sempre stato. Se manca l'oligarchia c'è un sovrano assoluto, con la soppressione della libertà.

Infine la libertà ha bisogno dell'eguaglianza la quale a sua volta ha bisogno della libertà e tutte e due si uniscono in nome della fratellanza che personalmente vedo così come papa Francesco vede lo Spirito Santo nel suo rapporto con Dio padre e il figlio Cristo. Perdonerete questa citazione un po' ardita, ma è per dire che la fratellanza trasforma in umanesimo la libertà e l'eguaglianza. Bisogna amare il popolo e operare per il suo bene, scegliere la pace e non la guerra, l'amore e non il potere.

Stiamo attraversando un periodo amarissimo; il Califfato l'avevamo ormai imparato a conoscere, ma il sultanato turco è l'ultimo dei disastri che l'area balcanica e mediterranea sta attraversando. Ci vorrà molta forza d'animo e molta speranza di futuro per attraversare l'Inferno che c'è caduto addosso. Ed ora un poscritto dedicato a Matteo Renzi. Ho saputo da una fonte molto attendibile che non posso citare per ragioni di deontologia professionale, che Renzi ha deciso di metter mano alla riforma elettorale in modo drastico e prima del referendum costituzionale. Quindi entro qualche settimana. Sarebbe un passo decisivo e positivo per la democrazia italiana. Mi auguro che la mia fonte colga il vero e lo auguro al nostro Paese.

© Riproduzione riservata 24 luglio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/07/24/news/il_califfo_e_il_fulmine_di_zeus_sul_popolo_sovrano-144718642/?ref=HRER2-1
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« Risposta #633 inserito:: Luglio 28, 2016, 06:46:15 pm »

"I partiti? Solo potere e clientela". Così Berlinguer lanciò l'allarme
Trentacinque anni fa il confronto di Scalfari con il segretario del Pci sulla questione morale.
Ecco un estratto di quell'intervista


Di EUGENIO SCALFARI
28 luglio 2016

"I partiti non fanno più politica", mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara sulla bocca e nella voce come un velo di rimpianto. Mi fa una curiosa sensazione sentirgli dire questa frase. Siamo immersi nella politica fino al collo: le pagine dei giornali e della tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie politiche, di slogan politici, di formule politiche, al punto che gli italiani sono stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dall'Alpi al Lilibeo...

"No, non è così", dice lui scuotendo la testa sconsolato. "Politica si faceva nel 1945, nel 1948 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine dei Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c'era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c'era lo sforzo di capire la realtà del Paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, n'era ricambiato".

Oggi non è più così?
"Direi proprio di no: i partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia".

La passione è finita? La stima reciproca è caduta?
"Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss"".

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
"È quello che io penso".

Per quale motivo?
"I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente: ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura dei vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti".

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
"E secondo lei non corrisponde alla situazione?".

Debbo riconoscere, signor segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del Paese da un pezzo.
"La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un Paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri lei pensa che gli italiani abbiamo timore di questa diversità".

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?
"Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?".

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
"La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?".

© Riproduzione riservata
28 luglio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/07/28/news/questione_morale_berlinguer-144942852/?ref=nrct-12
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« Risposta #634 inserito:: Agosto 02, 2016, 05:12:05 pm »

Il Dio amoroso di Francesco e gli dei cruenti di guerra e di potere
Il temporalismo che il Papa combatte senza tregua è in aumento e Bergoglio ne è pienamente consapevole

Di EUGENIO SCALFARI
31 luglio 2016

LE NOTIZIE che si accavallano una con l'altra sono innumerevoli, tutte drammatiche, tutte dolorose e frustranti; ma quella che tocca più profondamente delle altre il cuore e la mente delle persone consapevoli viene da Cracovia e da Birkenau e riguarda l'incontro di papa Francesco con i giovani di tutto il mondo e con i campi di sterminio di 75 anni fa. Riguarda le memorie, il sangue versato, la barbara ricomparsa del terrore che ripropone il tema delle religioni e del loro uso sanguinolento in nome di un Dio cruento d'odio anziché di amore.

Francesco ha passato tre giorni tra Cracovia e Birkenau, tre giorni decisivi per il suo pontificato e - oso dirlo da non credente - per l'anima del mondo. La Shoah voluta dalla Germania nazista non sarà mai scordata ma, sia pure con caratteristiche molto diverse è nuovamente attuale, soprattutto nella discussione su Dio. Questa volta i suoi accoliti lo evocano come Allah Akbar, Allah è grande; ma l'eccidio in corso guidato dal Califfo trova un corrispettivo nella storia del mondo e delle religioni: l'Islam, i Cattolici, i Protestanti, i Tartari. Ovunque gli Dei sono stati simboli branditi per guerre e per stragi effettuate in loro nome. E poiché guerre e stragi hanno come reale motivazione il potere, gli Dei in lotta tra loro sono stati sempre e dovunque identificati con il potere.

Allah Akbar è oggi il più orribilmente disumano, ma eccita tutti gli altri a rispondere analogamente. Dunque guerre di religione e opinioni pubbliche che le condividono e le sostengono. Salvo un solo uomo e chi è con lui: Jorge Mario Bergoglio che non a caso viene "dalla fine del mondo" come egli stesso disse quando tre anni fa fu eletto Papa.

Nonostante il titolo che il Conclave gli conferì, Bergoglio non è il padrone della Chiesa. Vedendolo operare, i contrasti interni sono aumentati e compaiono ormai allo scoperto. La Chiesa è divisa e non lo nasconde. Tornano in mente le Crociate e non soltanto quelle. Il temporalismo che Bergoglio combatte senza tregua è in aumento e papa Francesco ne è pienamente consapevole. Le giornate di Cracovia e di Birkenau sono avvenute a pochi giorni di distanza dagli eccidi di Nizza e di Ansbach, hanno acuito il conflitto interno della Chiesa. Bergoglio esclude con crescente consapevolezza che sia in corso una guerra di religione. Il Califfato e il Califfo in prima persona lottano per il potere, personale e di gruppo. Il Califfo si sente Dio, è lui che detta la legge e getta i suoi soldati contro l'Islam del Corano, colpiti numericamente molto di più dei cristiani.

Francesco lo dice ormai chiaramente: il terrorismo del Califfo è un'arma di potere e non ha nulla a che fare con la religione. Questa affermazione del Papa cattolico è motivata da una verità talmente ovvia da essere sconvolgente: per chi crede in Dio ce n'è uno solo e unico. Le religioni del mondo sono molte, ma la loro differenza è soltanto nelle dottrine, nelle Sacre Scritture e nella liturgia, ma il Dio è unico, unico è il Creatore dell'universo che non può che amare le sue creature.

Questa è la verità di papa Francesco, che lo spinge a riunire tutti i cristiani come primo passo avanti e nel contempo a predicare l'affratellamento con le altre religioni, cominciando da quelle monoteistiche ma non soltanto.

Ecco perché Dio non può essere vendicativo, Dio perdona ed è soprattutto misericordioso. Perdona i peccati ma dona la misericordia. Non a caso il Giubileo indetto da papa Francesco è incentrato alla misericordia.
"Dove è Dio se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dove è Dio quando persone innocenti muoiono a causa delle violenze, del terrorismo, delle guerre? Questa è la domanda che per un cristiano trova risposta solo nella Croce: il dono di sé, anche della vita, a imitazione di Cristo".

Per un cristiano Cristo è Amore ma questo è vero per l'unico Dio, del quale Cristo è un'articolazione che c'è anche nel Dio di Mosè e in quello di Allah, nel Brahma, nel Buddha, nel Tao, in tutte le divinità che sono una soltanto, plasmata dalla storia degli uomini che la pensano.

Questo predica Francesco. Dopo Paolo, i padri dei primi trecento anni di storia cristiana e dopo Agostino di Ippona, non c'era stato altro Papa cattolico che innalzasse il pensiero religioso fino a queste altezze. Tutto il resto è guerra e potere, la Chiesa come lui predica è pace e amore. Questo dice quanto sia difficile la sua dottrina, la sua fede, la sua predicazione e quanto sia necessario per la vita degli uomini e perfino per la politica che dovrebbe combattere le diseguaglianze e perseguire la misericordia sociale e la pace.

© Riproduzione riservata 31 luglio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/07/31/news/dio_amoroso_dei_cruenti-145115542/?ref=HRER2-1
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« Risposta #635 inserito:: Agosto 09, 2016, 06:13:16 pm »

Nei giorni del prossimo novembre vorrei cantare La Marsigliese
"Con l'Italicum democrazia non più parlamentare. Il controllo sarà esercitato soltanto dalla Magistratura, dalla Corte Costituzionale e dal capo dello Stato. Non sarebbero soddisfatti i patrioti che nel 1789 votarono la nuova Costituzione e inventarono la Marsigliese"

Di EUGENIO SCALFARI
07 agosto 2016

LA COSIDDETTA narrazione che Renzi ha di sé è molto particolare, totalmente positiva, ma lo è per tutti, l'Io ama se stesso, da Adamo ed Eva in poi, salvo gli esiti del Giudizio universale che probabilmente non ci sarà mai.

Ovviamente la narrazione anti- renziana è totalmente negativa e anche questo è ovvio: gli Io si contrappongono e ognuno giudica positivamente se stesso.

Poi ci sono quelli che svolgono, per voglia e per mestiere, un'attività critica, cioè giudicante. Anche questo è il frutto di un Io che si attribuisce l'obiettività. A volte finge, a volte è realmente oggettivo, ma questo non sta a lui deciderlo. Il modo migliore per realizzare l'oggettività è di identificarsi con la persona da giudicare, fare propria la sua narrazione e sottoporla all'opinione pubblica. Fu il metodo di Sainte-Beuve. A me è sempre piaciuto e cerco di imitarlo come posso.

Questa premessa era necessaria poiché la situazione generale nella quale l'intero mondo si trova è particolarmente complicata e per un italiano la figura di Renzi ha una particolare importanza, ma per il resto conta assai poco, in questa fase rappresenta l'Italia che ha un suo peso su alcuni temi e nessun peso per altri.

"Il concetto vi dissi, or ascoltate / com'egli è svolto. Andiam, incominciate!".

*** La novità, rispetto ad una decina di giorni fa, viene dalla Libia e dall'iniziativa militare e politica adottata improvvisamente dagli Stati Uniti ancora guidati da Obama.

Il bombardamento di Sirte che è una delle centrali strategiche del Califfato.

C'è un migliaio di combattenti dell'Is a Sirte che da lì alimenta il terrorismo libico, le tribù cirenaiche e antitripolitane, i singoli "soldati" che risiedono a Tunisi, pronti a uccidere morendo non appena ricevono un cenno da parte di chi comanda a Sirte.
Usa hanno scatenato bombardamenti a tappeto con aerei, droni armati ed elicotteri corazzati. Alcuni reparti di forze speciali appoggiano da terra; contingenti militari che provengono da Tripoli combattono anch'essi per la liberazione di Sirte. Ed anche l'Italia è chiamata in campo.

Non sappiamo quanto Renzi prevedesse l'intervento del premier libico Al Serraj, prima o poi sarebbe avvenuto, ma Renzi non aveva a disposizione il calendario. Ora ce l'ha, sa che gli Usa porteranno avanti la battaglia per tutto il mese di agosto, salvo proseguirla se fosse necessario. L'Italia è stata per ora soltanto informata. Se necessario le si chiederà l'uso della base di Sigonella, per una limitata presenza militare, con droni da avvistamento. Resta comunque il fatto che il tema libico ci riguarda. Renzi lo sa, se ne preoccupa perché non vuole la guerra per non stimolare l'arrivo del terrorismo nel nostro Paese; ma d'altra parte avverte la nostra importanza nella questione libica, della quale ha rivendicato da tempo la nostra leadership politica. Il tema libico ha dunque due aspetti contraddittori e Renzi come spesso gli avviene, sente che il solo modo di superare la contraddizione è di rilanciare: il problema libico ci riguarda geograficamente e storicamente, ma anche perché da quella lunga costiera parte il grosso dell'immigrazione verso le sponde italiane. Bisogna che non accada più, bisogna che quel flusso di barconi cessi di ingombrare le rotte verso i nostri approdi. Dunque è necessario aprire un dialogo con i paesi africani di provenienza dove attendono di partire entro i prossimi vent'anni 50 milioni di persone che hanno come meta l'Europa.

Il rilancio di Renzi è la trattativa con quegli Stati del centro Africa, il finanziamento di comunità, la creazione con capitali europei e americani di posti di lavoro locali, atteggiamenti amichevoli dei governi interessati alla questione. Insomma una sorta di ri-colonizzazione pacifica e concordata, che alimenti la modernizzazione africana e possa perfino esser favorita dal diffondersi della Chiesa missionaria in quei Paesi africani dall'Ovest del Ciad fino al Mali, al Kenya e alla Repubblica Centrafricana, dove il Papa aprì le prime porte del Giubileo della Misericordia.

Queste cose Renzi le sa; sono molto difficili da realizzare ma possono - se ben condotte - attribuirgli un ruolo di notevole importanza, almeno simile a quello francese nelle sue ex colonie.

***
Nella narrazione del nostro presidente del Consiglio il tema libico-africano ha fatto nascere un secondo e un terzo tema strettamente connessi con il primo e tra di loro. Uno di essi è la partecipazione finanziaria dell'Europa allo sviluppo africano. Nel frattempo tuttavia l'Europa deve concorrere all'accoglienza, sia pure temporanea, dell'immigrazione proveniente dalle coste del Sud Mediterraneo. Su questo tasto tuttavia l'Europa è assai poco disponibile. Le ragioni sono molte, in parte connesse con elezioni in Spagna, in Francia, in Germania. Renzi ha parlato più volte con la Commissione di Bruxelles ed ha presentato anche un Migration compact, ma l'esito è stato nullo.

Va detto che il tema dell'immigrazione africana in Europa, connesso all'immigrazione proveniente dall'Est e dal Sudest prima o poi si fermerà o dovrà essere affrontato, ma ci vuole ancora parecchio tempo. Su questo Renzi otterrà poco o nulla. Altrettanto può aspettarsi da un altro tema che ha carezzato la sua mente: l'alleanza dei Paesi europei del Sud che forma un contrappeso ai Paesi del Nord e quelli del Nordest.

I Paesi del Sud sarebbero Grecia, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Malta. Uno schieramento non contrapposto ma dialettico e interamente partecipe dell'Eurozona. Alcuni dei suddetti Paesi concordano col progetto renziano, altri hanno qualche dubbio. Nel frattempo Renzi è entrato a far parte di una sorta di triumvirato dove tre Paesi si scambiano opinioni e affrontano problemi di linea generale: Germania, Francia, Italia. Prima di questa sorta di direttorio facevano parte soltanto Francia e Germania; adesso anche l'Italia e così è nato il triumvirato che ci ha dato un peso europeo maggiore.

Infine c'è la bandiera di Ventotene e degli Stati Uniti d'Europa voluta da Altiero Spinelli, che Renzi ha fatto propria e che in piccola parte ha cominciato ad attuare. Il ministro delle Finanze unico dell'Eurozona, auspicato anche da Mario Draghi; la struttura di garanzia dei depositi bancari, l'Unione bancaria, le emissioni di Bund europei, l'ipotesi ancora lontana ma degna di essere formulata di una sorta di Fbi europeo con poteri di intervento per impedire a vari Paesi comportamenti che violano le regole dell'Unione a cominciare dal ripristino di confini interni contravvenendo a Schengen. Questa è la versione futura di un'Europa che divenga uno Stato federale, ferme restando le nazionalità, i loro poteri locali e la loro capacità negoziale.

Ma oltre al ruolo europeo c'è poi la casa propria, le sue stanze, i suoi cortili e la famiglia con la quale si vive e si convive.

Se questa casa va in frantumi, e la famiglia si sfascia e Matteo viene sfrattato è evidente che il ruolo internazionale scomparirebbe e Matteo, che non è neppure membro del Parlamento, se ne tornerebbe a Firenze a casa di papà. Ecco dunque un'altra narrazione che dobbiamo capire, raccontare, giudicare. Sainte Beuve ce la spiega nelle sue Conversazioni del Lunedì.

A casa propria, cioè a Palazzo Chigi e dintorni, ha fatto cose buone, cose inutili, cose cattive. Ne abbiamo parlato per molte volte. Ora è passato vario tempo e alcune condizioni sono cambiate sicché è venuto il momento di fare il punto. Le questioni sono tre, una di relativa importanza, il colpo di spugna sulla Rai; un altro è il referendum costituzionale che si concentra sull'abolizione del bicameralismo perfetto e il monocameralismo; la terza è fondamentale: l'Italicum, la legge elettorale già approvata e pronta ad entrare in uso quando ci saranno le elezioni politiche generali.

La narrazione di Renzi non coincide questa volta con le altre. Secondo lui la democrazia parlamentare non è affatto incrinata dall'Italicum, dal premio al 40 per cento del vincitore e al ballottaggio tra i primi due che si avvicinano a quel 40 per cento senza raggiungerlo. Ma le cose non stanno affatto così.

L'ipotesi del ballottaggio è molto realistica ed estremamente pericolosa perché il sistema politico vivente non è affatto bipolare ma tripolare il che significa che in caso di ballottaggio vince il terzo e non uno dei primi due.

Si è visto in gran parte delle elezioni amministrative recenti e soprattutto a Torino dove Fassino con dieci punti di vantaggio dopo il primo turno ha perso la carica di sindaco a Torino superato largamente dalla Appendino del Movimento 5Stelle, che al ballottaggio ha ricevuto voti dal centro, dalla destra e perfino da frange estreme di sinistra raggiungendo una ampia maggioranza.

Renzi questa situazione certamente la conosce. Allora perché non intende modificare la situazione? Evidentemente sta cercando di negoziare tacitamente con le forze che saranno fuori dal ballottaggio. Queste forze non stanno alla sua sinistra perché, poche che siano, non accettano l'Italicum. Il negoziato assai probabilmente si svolge con la destra, con tutta probabilità al primo turno i moderati non si muoveranno ma al secondo Stefano Parisi potrà dare il suo apporto affinché il ballottaggio sia vinto dal Pd. Questo porrebbe i moderati in una posizione di presenza importante nel governo che uscirà dal referendum e dall'Italicum. E la democrazia? Non più parlamentare. Il controllo sarà esercitato soltanto dalla Magistratura, dalla Corte Costituzionale e, nell'ambito delle sue prerogative, dal capo dello Stato.

Il barone di Montesquieu che scrisse L'esprit des lois sarebbe soddisfatto della divisione dei poteri assicurata da questo tipo di situazione. Ovviamente non lo sarebbero affatto quei patrioti che votarono nel 1789 la nuova Carta costituzionale e inventarono la Marsigliese.

A me quell'inno piace moltissimo e lo canto ogni volta che mi si dà l'occasione. Speriamo di poterla cantare anche nei mesi e negli anni che ci attendono.
 
© Riproduzione riservata 07 agosto 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/08/07/news/nei_giorni_del_prossimo_novembre_vorrei_cantare_la_marsigliese-145519036/?ref=HRER2-1
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« Risposta #636 inserito:: Agosto 28, 2016, 11:05:25 am »

Il terremoto di Amatrice e tutti gli altri mali del mondo
La civiltà occidentale ha globalmente contrapposto il relativismo, lo scetticismo, la forza del dubbio alle certezze dell’assoluto

Di EUGENIO SCALFARI
28 agosto 2016

QUANDO arrivò pochi giorni fa la notizia del terremoto ad Amatrice e in altre terre d’Abruzzo, di Umbria, delle Marche e del Lazio rietino, stavo rileggendo i Canti e le Operette morali di Giacomo Leopardi.
Ebbi grande commozione per quanto era accaduto. All’inizio i morti ritrovati sotto le macerie erano 38, ma si capiva che era soltanto un inizio: crebbero man mano che i ricercatori esploravano le case crollate, le chiese, gli alberghi e i tuguri dei poveri. Siamo quasi a trecento e non è ancora detto che sia la cifra definitiva.

Gran parte sono persone ed intere famiglie abitanti in quei luoghi, ma ci sono anche turisti capitati lì per svago e per la festa dell’Amatriciana. Potevano essere altrove ma il caso non l’ha voluto.
Questi fatti hanno scosso tutto il paese mettendo in sordina gran parte degli accadimenti altrettanto sanguinosi e terribili: la guerra in Siria, gli attentati in Turchia e le repressioni che ne derivano, il mare che inghiotte centinaia di emigranti e guerre, minacce, economie dissestate, crescente povertà e diseguaglianze, diffusa corruzione.

In Europa risorgono i confini, la democrazia traballa dove c’è ed è sempre più bandita dove non c’è mai stata.

Siamo dunque in una fase della vita nostra e di quella del mondo intero che sconvolge gran parte del pianeta. La ragione della caduta in pezzi di questo mondo?

C'è un Dio vendicatore che lancia fulmini sulle sue creature e sul male che possono aver fatto? Oppure siamo noi tutti, ciascuno per la sua parte, a determinare il caos? Questa è la parola giusta: il caos, il marasma, il disordine. Finirà? Che cosa dobbiamo fare per attenuare questo generale sconvolgimento? Oppure il mondo è sempre stato così e la vita esiste e perdura sostenuta dalla speranza che tuttavia è vana perché non raggiunge mai un risultato definitivo, ma parziale e precario?

***

Ho scritto all’inizio che quando arrivò la notizia del terremoto stavo rileggendo i Canti e le Operette morali di Leopardi. Lui, saggista, filosofo e poeta di grandissimo fascino artistico, fu uno dei più coerenti nichilisti della civiltà moderna. Un nichilismo totale, senza fessure o tentennamenti. Ce ne sono stati assai pochi del suo livello.

La civiltà moderna e specialmente quella dell’Europa e dell’Occidente, ha globalmente contrapposto il relativismo, lo scetticismo, la forza del dubbio alle certezze dell’“assoluto”. Sarà un vantaggio o un disastro rispetto ad epoche passate, ma questo è avvenuto. E tuttavia il relativismo ha ben poco a che fare con il nichilismo. Ci sono stati, dal Settecento in poi, periodi dominati dal pensiero nichilista, di fronte ad emergenze spaventose, ma sono stati periodi transitori e quando il peggio aveva ceduto al meno peggio, al tollerabile, al discreto o addirittura in certi momenti al meglio.

Pochi, lo ripeto, sono i nichilisti totali e definitivi. La sostanza del pensatore nichilista è il desiderio costante degli uomini d’essere felici e l’inesistenza della felicità. Può durare un attimo la felicità, ma non più che tanto. La felicità come “status” della vita e di una lunga fase di essa è inesistente. La speranza, certo; quella ti aiuta a campar la vita, ma le poche volte che si realizza dura poco più d’un respiro, che si tramuta presto in un sospiro.

Questa infelicità non affretta l’arrivo della morte; la maggior parte delle persone continua a vivere, si contenta, ride, motteggia, mangia l’amatriciana o altre gustose vivande, ma la società in cui vive ospita brandelli di felicità avvolti da una nube di infelicità dalla quale ogni giorno, ogni ora, ogni attimo si scatena il fulmine che colpisce questo o quello o molti o tutti: siano guerre, epidemie, povertà, delinquenza, incompetenza, malanni molto diffusi e presenti ovunque.

Il nichilismo constata questo caos di sofferenze e ne deduce che vivere è del tutto inutile. Non spinge al suicidio ma confida che la vita sia breve e vede la morte come l’unico vero bene.

Naturalmente il nichilista è ateo, quindi esclude che la morte sia apportatrice di felicità ultraterrene. Il solo vantaggio della morte è di eliminare la tua infelicità.

Ricorderete che ai tempi della Shoah, la terribile strage organizzata dai nazisti per motivazioni razziali, molti chiesero ai loro sacerdoti come mai Dio aveva accettato una situazione così assurda senza intervenire e molti degli interrogati risposero che Dio di fronte ad un massacro di quel genere, perpetrato dai portatori del male, si era ritirato dietro le nuvole. Un modo assai improprio per persone di fede religiosa.

Il nichilista ovviamente ateo pensa invece che il male, anche il più orribile, il più inatteso, prodotto dagli uomini o dalla natura o da quei due elementi uniti insieme, sia lo stato usuale della vita e quanto benvenuta sarebbe la morte. Lo scrisse anche Francesco d’Assisi nella canzone delle Laudi parlando della morte come “sorella corporale” laudata anch’essa perché non fa alcun male. Francesco non era certo un nichilista, era un mistico. Ebbene, certe persone pensano che il nichilista sia anche lui un mistico. Leopardi non lo sapeva ma certamente lo era e basta leggere i suoi Canti per capirlo.

Chi vuole esaminare un personaggio di quel livello si domanda se il poeta sia nel suo caso più importante del filosofo o viceversa. A me è accaduto di pensare e di scrivere che la figura del filosofo è dominante e il poeta sia l’aspetto sentimentale della sua filosofia. Ma il tempo passa e la mente d’ogni persona cambia con lo scorrere del tempo, sicché il mio pensiero considera ora il poeta l’elemento dominante di quel personaggio che è uno dei più illustri della letteratura italiana. “Il primo amore”, “L’ultimo canto di Saffo”, “L’Infinito”, “Alla luna”, “Il passero solitario”, “A Silvia”, “Le ricordanze”, “Amore e morte”, “A se stesso”, “Il tramonto della luna”, “La ginestra” sono i gioielli d’una anima dominata da “Sora nostra morte corporale / de la quale nullu homo vivente pò scappare”.

Questo non è nichilismo, è l’espressione mistica di un poeta. Nell’arco di un secolo simili a lui furono Rilke, Poe, Baudelaire e da noi il D’Annunzio dell’“Alcyone”, Montale, Ungaretti, Quasimodo. Ma lui, debbo dirlo, li sovrasta quasi tutti.

Concluderò pubblicando alcuni brani di uno dei suo canti più belli: “Le ricordanze”. La sofferenza dell’anima s’è insinuata tra quelle righe e ha lasciato la sua impronta fino a diventare essa stessa la sostanza di quel canto disperato.

O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima età! Sempre, parlando, ritorno a voi che per andar di tempo, per variar d’affetti e di pensieri, obliarvi non so...
Ahi, ma qual volta a voi ripenso, o mie speranze antiche ed a quel caro immaginar mio primo, indi riguardo al viver mio sì vile.
E sì dolente, e che la morte è quello che di cotanta speme oggi m’avanza; sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto consolarmi non so del mio destino...
e spesso all’ore tarde, assiso sul conscio letto, dolorosamente alla fioca lucerna poetando, lamentai co’ silenzi e con la notte il fuggitivo spirto ed a me stesso in sul languir cantai funereo canto.

© Riproduzione riservata 28 agosto 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/08/28/news/il_terremoto_di_amatrice_e_tutti_gli_altri_mali_del_mondo-146745389/?ref=HRER2-1
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« Risposta #637 inserito:: Settembre 06, 2016, 04:34:05 pm »

Francesco ci ricorda che la terra nasce dal mare e dal fuoco
Terremoto: è l'ora della ricostruzione. Ma contro il malaffare occorrono talenti e menti oneste

Di EUGENIO SCALFARI
04 settembre 2016

I MORTI, le rovine, i funerali, le polemiche, i progetti di ricostruzione, l'assistenza: tutto è stato ormai vissuto dalle vittime del terremoto avvenuto in Abruzzo, in Umbria, nel Lazio di Rieti, in quella fascia dell'Appennino già messa più volte alla prova. Ora tocca all'azione ricostruttiva. I talenti ci sono, ma insieme ad essi si ripresentano anche varie e assai diffuse forme di malaffare, contro le quali ci vorrebbe una mente, un'esperienza ed una onestà a tutta prova.

Ho letto la settimana scorsa un ampio articolo pubblicato dall'Osservatore Romano e scritto da Francesco Scoppola, per anni sovrintendente al ministero dei Beni culturali e in particolare proprio di quelle zone dove il recente terremoto si è scatenato. A persone come lui bisognerebbe affidare la progettazione della attuale fase: programma, persone capaci di attuarlo, fondi necessari. Mi auguro che anche il ministro competente lo abbia letto e ne tragga conclusioni adeguate.

Questo è il fare, ma c'è anche il pensare alla natura della quale facciamo tutti noi parte, subendone o provocandone gli effetti. È nostro nemico il terremoto, nostri nemici i vulcani, nostri nemici gli abissi che d'improvviso si spalancano sotto i nostri piedi? La gente normalmente la pensa così ed è naturale che sia questa la reazione di fronte al frequente ripetersi di questi spaventosi fenomeni in un paese come il nostro dove le catastrofi geologiche sono frequenti e diffuse.

Ma questo fenomeno naturale, oltre alle camarille che ci mangiano sopra, mette in causa per i presenti anche Dio. Perché Dio non interviene, non impedisce eventi che causano sofferenze e morte a persone, vecchi, bambini, ricchi e poveri? Dio non c'è, ma solo una natura affidata al caso o al destino? Monsignor Pompili, vescovo di Rieti, ha capovolto il problema, ha affermato pubblicamente nei giorni del dolore che terremoti e vulcani hanno costruito il mondo e non hanno prodotto il male; sono gli uomini che uccidono gli uomini con le loro opere imperfette e il loro malaffare.

La gente nella sua grande maggioranza è rimasta a dir poco stupita. Ma poi tre giorni fa ha parlato papa Francesco, la gente nei paesi distrutti aspetta che vada di persona a visitarli e confortarli. Francesco ha parlato ancor più chiaramente del vescovo. Ha detto: "Terremoti e vulcani hanno costruito il mondo e in particolare i luoghi emersi dalle acque. Invitiamo tutti ad un esame di coscienza al fine di confessare i nostri peccati contro il Creatore, contro il Creato, contro i nostri fratelli e le nostre sorelle, perché quando maltrattiamo la natura maltrattiamo anche gli esseri umani e in particolare i più indifesi che sono i poveri".

Questo è il pensiero di Francesco, così come fu il pensiero del Santo di cui ha preso il nome. Il Creato è santo perché santo è il suo Creatore. Anche gli uomini, cioè la nostra specie, fanno parte del Creato, ma ad essi Dio ha donato la libertà di scegliere tra il bene e il male. Qui sta il punto che ci differenzia dal resto del Creato. Ma come e perché? E questo vale soltanto per il Dio dei cristiani o anche per le altre religioni? Il Dio è unico, pensa e dice Francesco. Ma le altre religioni sono d'accordo? E lo dimostrano e lo predicano come Francesco?

***

In teoria tutte le religioni, soprattutto quelle monoteiste, non negano il Dio unico, anche se ne parlano il meno possibile. Ci sono tuttavia due differenze fondamentali rispetto alla Chiesa cattolica ed anche alle altre Chiese cristiane: né gli ebrei né i musulmani hanno alla loro testa un Papa, un Patriarca o comunque si chiami un religioso che tutti li rappresenta. Ci sono dei rabbini più autorevoli di altri e così pure degli imam che si distinguono per il loro sapere e per il numero dei loro seguaci, ma un Papa non c'è. E questa è la prima differenza.

La seconda però è ancora più importante e riguarda soltanto i musulmani. Molti Stati in cui sono divisi sono tutti teocratici, cioè il potere politico e quindi anche quello religioso sono nelle mani di un religioso e questo crea grandi differenze rispetto al resto del mondo. Bernardo Valli, nella sua rubrica di oggi sull'Espresso, dedica proprio a questo tema le sue riflessioni. L'articolo è intitolato "Come si dice laicità in arabo", e scrive così: "La Medina di Maometto non è stata cancellata dalle coscienze. Ha contribuito ad alimentare le fantasie e le passioni e rimane ancora un estremo rifugio nelle disgrazie. Il ritorno alla Medina di Maometto è il rimedio a tutti i mali del secolo, a tutte le umiliazioni subite. E può anche essere una fonte di fanatismo come dimostra lo Stato islamico".

La teocrazia ha immobilizzato l'Islam. E diviso in molte diverse sette, gli sciiti, i sunniti, i wahabiti e molte altre, ma il laicismo non c'è e se qualche famiglia islamica che vive all'estero lo pratica viene espulsa dalla comunità e a volte addirittura uccisa, oppure è mobilitato il padre che fa giustizia dei figli che hanno tradito il potere religioso e le sue leggi.

Riusciranno mai i musulmani ad acquisire il laicismo senza con questo rinunciare alla loro religione? Di fatto ciò significherebbe rinunciare alla teocrazia. Valli spera di sì e forse ha ragione ma ci vorranno secoli. Del resto la Chiesa cattolica ha impiegato secoli a rigettare il potere temporale, che è una forma sia pure moderata di teocrazia. Papa Francesco combatte ancora questa battaglia ed è ancora lontano dall'averla vinta.

L'ostacolo maggiore che Francesco incontra è il contrasto che ancora lo divide tra la verità assoluta e il relativismo laico. Questi due modi di considerare la verità sono inconciliabili e questo è un ostacolo apparentemente insuperabile per quell'incontro con la modernità che è uno dei precetti più importanti del Vaticano II. Francesco vuole attuarlo ed è per questo che cerca di trovare una soluzione. In alcune nostre conversazioni ho avuto la sensazione che abbia trovato il bandolo per sciogliere la matassa. Mi ha avvertito qualche tempo fa, ma adesso mi sembra che su quel bandolo sia all'opera e me ne rallegro.

La nostra verità - dice Francesco - è assoluta perché Dio è assoluto. Questo principio non è superabile e marca la nostra differenza con i non credenti. Ma il nostro assoluto è percepito da ogni persona religiosa a suo modo. Le persone non sono cloni. Ciascuno crede alla verità assoluta ma a suo modo. Quindi la verità assoluta è la mia, è la tua, è quella che molti vescovi hanno, per esempio sulla famiglia, una verità che non è la stessa di altri vescovi e così

su molte altre cose. Sono differenze che arricchiscono e mi permetto di aggiungere che arricchiscono il mondo cattolico ma anche il mondo laico e non credente. Su tutto questo domina il dubbio. Il quale non preclude l'azione, ma mantiene la vigilanza critica. Questo è l'umanesimo.

© Riproduzione riservata 04 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/04/news/francesco_ci_ricorda_che_la_terra_nasce_dal_mare_e_dal_fuoco-147139484/?ref=HRER2-1
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« Risposta #638 inserito:: Settembre 16, 2016, 11:41:50 pm »

Vorremmo l'Italia e l'Europa con l'elmo di Scipio
Tutti noi auspichiamo l'avverarsi del sogno di Altiero Spinelli e dei suoi compagni di Ventotene

di EUGENIO SCALFARI
11 settembre 2016

A Bratislava si sono incontrati i ministri delle Finanze dell'Ue per fare il punto sulla situazione economica dell'Unione di 27 Paesi. Ma ai margini di quella riunione il ministro tedesco Wolfgang Schäuble ha lanciato un violento attacco contro la Grecia e contro la riunione che il premier greco Tsipras ha avuto con Renzi e Hollande. La rabbia di Schäuble era di tale intensità da mettere in ombra il dibattito sull'economia europea perché rappresentava una politica di rigore e di austerità della Germania in una fase in cui l'Unione europea dovrebbe adottare una politica di crescita la più accentuata possibile.

La Germania ha dunque cambiato la linea accettata dalla cancelliera Merkel appena tre settimane fa nell'incontro con Renzi e Hollande a Ventotene e poi a Maranello? Lì sembrò che la Merkel accettasse non solo un rilancio degli investimenti ma anche della domanda dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese ed accettasse anche un patto delle potenze mediterranee per governare al meglio le politiche delle immigrazioni: una sorta di cintura mediterranea che avrebbe fatto anche gli interessi della Germania contenendo le correnti migratorie provenienti dal mare e in particolare dalla Libia.

Insomma a Bratislava Schäuble ha ignorato e anzi addirittura capovolto le posizioni della Merkel e la cancelliera da Berlino ha taciuto. Forse è la sconfitta inattesa alle elezioni amministrative di Meclemburgo-Pomerania che suggerisce alla Merkel un radicale cambiamento di linea?

A Bratislava era presente anche Draghi perché l'Ecofin riguarda direttamente anche la Banca centrale europea. Il suo intervento è stato molto sintetico ma ha toccato un tasto di grande importanza: la Germania attraversa un periodo in cui le sue esportazioni hanno raggiunto un livello mai toccato prima. "Sarebbe ora - ha detto Draghi - che accrescessero molto nella propria economia gli investimenti e il livello dei salari, come del resto le regole dell'Ue prescrivono". Non è certo una battuta spiritosa il rimprovero del presidente della Bce al governo tedesco.

***

Visto che Draghi è entrato nel nostro racconto di quanto sta accadendo in Europa, penso sia opportuno esaminare la politica della Banca centrale in questi mesi estivi, dove tutti vanno in vacanza almeno per qualche giorno salvo lui che lavora senza soste e dorme non più di due notti di seguito nello stesso letto. È in moto continuo, soprattutto in Europa ma anche in Usa, in Asia, in Australia, in Canada, in Egitto, insomma dovunque. Le monete si muovono e lui come le monete di cui ne governa una che ha rapporti di cambio e di scambio con tutte le altre.

Personalmente sono buon amico di Mario; conobbi anche suo padre Carlo quando lavorai nella Banca nazionale del lavoro della quale suo padre fu anche presidente.

Tra noi però, per tacita convenzione, non parliamo mai del suo lavoro che io seguo da giornalista con le usuali fonti di informazione.

So, come tutti sanno, che Draghi ha sostenuto e sostiene in tutti i modi che lo statuto della banca gli consente la moneta comune dei 19 Paesi europei che compongono quella che si chiama Eurozona. L'euro. È lo strumento che usa con un intento che non è soltanto economico ma anche di politica economica.

In Italia i nostri governatori furono tutti di questa taglia: Luigi Einaudi, Donato Menichella, Paolo Baffi, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi. Draghi è della stessa specie, mentre in altri Paesi europei quasi sempre i governatori della banca centrale sono soltanto efficienti esecutori della politica economica stabilita dal governo. Quando ci saranno (se mai ci saranno) gli Stati Uniti d'Europa, anche la posizione del capo della Banca centrale cambierà; ma Draghi auspica gli Stati Uniti d'Europa. Anzi - posso dirlo perché lo conosco molto bene - è interessato al bene pubblico dell'Europa e non al proprio.

Tutto ciò premesso, il nostro banchiere centrale è per la crescita delle economie dell'Europa. Sta immettendo da mesi liquidità nel sistema, acquista obbligazioni emesse da aziende private con una mole di acquisti che ormai hanno una mole di miliardi di euro. Finanzia le banche europee che ne hanno bisogno ma mette tassi negativi sui loro depositi presso la Bce per incoraggiare i flussi di credito dei nostri banchieri verso i loro clienti privati che meritano credito per investire.

L'economia italiana sta attraversando da tempo una fase di immobilismo. Il Pil degli altri Paesi è in aumento, ma quello italiano no, è fermo da almeno un anno ed oggi questa mancata crescita è uno dei motivi di rabbia psicologica d'una massa di italiani che trasformano le loro difficoltà economiche in rabbia politica.

Draghi non privilegia l'Italia, tratta tutti i Paesi di Eurolandia così come le loro economie richiedono. Ma non credo sia molto soddisfatto della politica economica del nostro governo. Ha apprezzato la convergenza di Renzi sulla proposta che fece lui alcuni mesi prima di un ministro delle Finanze unico dell'Eurozona. Ha apprezzato alcuni interventi di Padoan, ma constata l'immobilità del Pil e quel che ne consegue economicamente e socialmente.

Io non so cosa pensi in concreto che l'Italia debba fare. Ma poiché a questi problemi penso anch'io, la mia proposta a Renzi ed a Padoan è questa: un taglio se non totale almeno della metà del cosiddetto cuneo fiscale.

Il cuneo fiscale è il nome che si dà all'ammontare dei contributi che imprenditori e dipendenti versano all'Inps. Pesa molto su tutte e due queste categorie e produce una notevole differenza tra salari e profitti lordi e salari e profitti netti. Il taglio di almeno la metà di tale contribuzione produrrebbe un aumento dei salari e dei profitti. Un aumento tale da stimolare la domanda dei lavoratori e di profitti degli imprenditori. Nel complesso, secondo me, è questo il vero strumento per rimettere in moto il sistema. Romano Prodi fece qualche cosa di simile con il suo primo governo, ma il taglio fu del 3 per cento, eppure qualche beneficio lo produsse. Qui parliamo non del 3 ma del 50 del cuneo fiscale: secondo me una rivoluzione.

Naturalmente a carico dell'Inps che ha alcune risorse proprie ma certamente insufficienti a sostenere un taglio dei contributi di queste dimensioni, fermi restando i servizi di vario tipo che l'Inps deve continuare a fornire anche di fronte al taglio dei contributi.

A questo punto l'Inps chiederà l'appoggio del governo il quale a sua volta dovrà aiutare l'Inps finanziandosi su tutti i contribuenti, fiscalizzando cioè il taglio dei contributi e addebitandolo a tutti i contribuenti in ragione del loro reddito. Una vera e propria fiscalizzazione degli oneri sociali.

Questa è la proposta. Ignoro che cosa ne pensi Draghi ma per quel che lo conosco forse approverebbe. Se mi sbaglio mi dispiace ma la proposta che faccio a Renzi e a Padoan per quel che vale (e credo che valga molto) è questa.

***

Torniamo a Renzi e al suo accordo con Francia e Grecia che sarà esteso a Malta, Spagna, Portogallo.

È un accordo che punta su una politica europea di crescita, sul rafforzamento delle strutture europee, su una politica di contenimento dell'immigrazione, un contenimento attivo che trattenga i migranti nei Paesi d'origine negoziando con quei governi e puntando su una riaccoglienza dignitosa e alla creazione di nuovi posti di lavoro da parte di investitori esteri privati e pubblici.

Questa è la politica estera ed economica come la vedono i Paesi dell'alleanza mediterranea. E la Germania si opporrebbe? È impensabile che questo accada, anche perché una politica del genere comporta costi non indifferenti che spetta all'Ue di finanziare.

Tutti noi che auspichiamo l'avverarsi del sogno di Altiero Spinelli e dei suoi compagni di Ventotene, e Renzi, ma anche la Merkel, dovrebbero essere d'accordo su questa politica. Renzi lo è, anzi la promuove, ma l'Eurolandia al completo dovrebbe appoggiarla. Così come dovrebbe appoggiare una politica di sostegno del governo libico nella lotta contro il Califfato in Libia, in Iraq, in Siria, col pieno accordo degli Usa. Speriamo che Hillary Clinton, se vincerà, sia sulla stessa linea del suo predecessore.

La politica militare, comunque, è ormai diventata un'incombenza che l'Ue non può più ignorare. Renzi e il nostro ministro degli Esteri Gentiloni con la sua collega della Difesa, l'hanno già proposto: difesa e politica estera sono ormai un compito dell'Ue che va al più presto realizzato. Sarebbe un passo decisivo verso il traguardo di Spinelli.

La Germania non è soltanto il Paese economicamente più forte d'Europa, ma dovrebbe porsi il problema ormai centrale: guidare l'Europa verso l'unità federale oppure restare in questo stato d'incertezza neutralista?

Capisco che la Merkel abbia il peso delle elezioni tra pochi mesi, ma non sarebbe una carta per lei vincente presentarsi con la bandiera di Ventotene in mano?

***

Il ruolo europeo che Renzi ha conquistato è, come abbiamo visto, di grande peso e importanza. Ma poi c'è l'Italia e i problemi politici che comporta e qui la faccenda è particolarmente ingarbugliata. Ne abbiamo scritto più volte ma merita un aggiornamento.

Grillo: una catastrofe. Non per il Paese ma per il suo movimento. Che non ha mai attirato chi ha consapevolezza del bene comune. Promette un futuro luminoso ma non ha mai detto che luce avrà e quale panorama illuminerà. Ha detto però che per volere quella luce e il panorama illuminato bisogna prima distruggere tutto. E purtroppo per molti italiani questo programma distruttivo corrisponde alla loro rabbia.

È un fenomeno cominciato dalle elezioni europee che furono il trionfo di Renzi ma l'inizio di un astensionismo di massa mai visto prima. Nel seme di quell'astensionismo nacque il grillismo: un modo di astenersi votando. Poi: un modo di distruggere tutto, tutto vuotando.

Questo è il grillismo, riflette la rabbia di molti italiani. Giovani senza futuro, lavoratori precari, insegnanti frustrati, immigrati detestati, Europa obliata, moneta comune che non ci regala niente e che quindi non vale la pena di difendere. Questo è il grillismo.

Ora s'è visto che quanto meno è come gli altri se non peggio. La crisi c'è ed è tutt'altro che terminata, i sondaggi la riflettono con la diminuzione dei voti, ma non di molto. La situazione politicamente tripolare c'è ancora con tutti i guai e con tutti i pericoli che comporta.

Renzi comunque sembra aver capito che un "no" vittorioso al referendum lo renderebbe debolissimo in Parlamento. Ha capito che deve cambiare profondamente la legge elettorale. Ha capito che il ballottaggio è un pericolo tuttora grave, anche con un Grillo più debole.

Il "sì" referendario lo rinforzerebbe ma non è un obiettivo facile. Deve trasformare la legge elettorale. Deve accettare le sue caratteristiche di sinistra democratica e allearsi con formazioni di centro liberale. Deve combattere per uno sblocco economico e fiscale.

Se gioca bene queste carte la rabbia sociale diminuirà. Deve togliersi gli abiti da rottamatore e indossare quelli del nuovo costruttore. Deve studiare la storia politica di Alcide De Gasperi, di Aldo Moro, di Enrico Berlinguer.

Se capirà bene quello che legge e che alcuni di noi hanno vissuto potrà raggiungere una popolarità responsabile del popolo che è sovrano quando pensa e quando sa.

Abbiamo ieri pubblicato un'intervista a Giorgio Napolitano del direttore del nostro giornale. Napolitano ha fatto un'ampia indagine dell'Italia moderna, dei suoi guai e anche delle sue virtù. È per il "sì" referendario
ma è anche per un necessario mutamento della legge elettorale. Lui fa parte dei personaggi che ho prima ricordato. Ci conosciamo bene Giorgio ed io. Lui era liberal-comunista ed io liberal-socialista. Adesso siamo tutt'e due liberal-democratici e vorremmo un governo che lo fosse.

© Riproduzione riservata
11 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/11/news/italia_europa_elmo_di_scipio-147540354/?ref=HRER2-1
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« Risposta #639 inserito:: Settembre 16, 2016, 11:45:19 pm »

Rifugiati, il governo fermi l'inferno del Cara di Foggia
L’inchiesta de l’Espresso denuncia la vergogna del centro di accoglienza

Di EUGENIO SCALFARI
13 settembre 2016

SUL NOSTRO Espresso uscito domenica scorsa, insieme a molti articoli, reportage e inchieste ce n'è una che fa rabbrividire. L'autore è il nostro collega Fabrizio Gatti, il titolo dice "Sette giorni all'Inferno" e l'inchiesta si svolge in un centro di accoglienza per immigrati. Le poche parole di presentazione dicono tutto: sono entrato clandestino nel Cara di Foggia, dove mille esseri umani sono trattati come bestie e per ciascuno di loro le coop percepiscono 22 euro al giorno.

Nelle undici pagine che seguono, Gatti visita ogni stanza fingendo di essere un rifugiato di lingua inglese entrato in quel luogo d'angoscia per puro caso. Qualche volta alcuni abitanti di quell'inferno sospettano che sia un investigatore.

L'inchiesta de l'Espresso
Quelli che vivono in quel luogo sono persone di varia provenienza, per lo più africani che si dividono in diverse camarille e si disputano i cibi e i luoghi e le pochissime provvidenze che la gestione delle coop gli fornisce. Tra di loro ci sono anche donne, fanciulle, ragazzetti tra i 10 e i 12 anni che spesso vengono stuprati da gruppi di nigeriani che poi li fanno prostituire fuori dal campo.

La notte molti riescono ad uscire da quell'inferno circondato da fil di ferro e da ringhiere, con buchi che i più esperti varcano per poi ritornare dopo aver fatto sporchi giochi con controparti locali. Ai cancelli del campo la sorveglianza è compiuta da numerosi militari e agenti di polizia che però non entrano mai dentro i locali. Chi vi entra sono le persone che prestano servizio nelle coop e forniscono ai rifugiati pasti che, a quanto il nostro autore ha verificato, piacciono più ai cani randagi che entrano in massa in quel caseggiato e ai topi che ne traggono graditissimi alimenti.

Questa è la situazione. I contatti col mondo esterno sono limitati agli incaricati delle coop, i quali forniscono anche qualche medicina se vedono malati e bisognosi di soccorso. I medici naturalmente non sono mai arrivati anche quando ci sarebbe stato urgente bisogno di loro. In un brano dedicato alle porte, Gatti così scrive: "Non ci sono uscite di sicurezza. Nemmeno maniglioni antipanico. Molte porte si incastrano prima di aprirsi, il loro movimento comunque va verso l'interno. Dovevano servire a non far scappare i reclusi e a non agevolarne la fuga. Infatti se scoppia un incendio questa è una trappola".

Ma c'è dell'altro, c'è il caporalato nigeriano. "I ragazzi sono tornati ieri sera alle dieci. Hanno mangiato la pasta della mensa tenuta da parte da qualche compagno di stanza e a mezzanotte sono andati a dormire. Dopo tre ore di sonno hanno preso la bicicletta fornita dai nigeriani sfilando uno dietro l'altro per recarsi sui luoghi di lavoro. I braccianti che vivono in questo ghetto di Stato lavorano fino a 14 ore al giorno e guadagnano 16 euro, poco più di un euro all'ora e una mensa che piace soprattutto ai cani".

So bene che il nostro presidente del Consiglio ha molte cose da fare in Italia e in Europa, ma a nome dei nostri giornali, e credo di tutti i nostri lettori che tra carta e web sono oltre cinque milioni, gli chiedo di far ispezionare immediatamente quel Centro che accoglie all'Inferno un migliaio di persone e chiedo anche alla Procura di Foggia di disporre indagini sulle coop che dovrebbero gestire con competenza e amicizia quei rifugiati ed invece ignorano, direi volutamente, l'inferno che sta sotto i loro occhi.

I rifugiati devono essere assistiti con competenza e sensibilità non così. Il presidente del Consiglio disponga subito un'ispezione in quei luoghi.
© Riproduzione riservata 13 settembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/13/news/rifugiati_il_governo_fermi_l_inferno_del_cara_di_foggia-147661762/?ref=HRER2-1
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« Risposta #640 inserito:: Settembre 20, 2016, 08:53:12 pm »

Un padre degli italiani attento ai più deboli.
La sua vita all’insegna di legalità e cultura
Il racconto di un’amicizia intima e fraterna durata 54 anni e nata in Banca d’Italia.
Fu lui a portarci nell’euro

Di EUGENIO SCALFARI
17 settembre 2016

NON posso nascondere che nel momento in cui prendo in mano la penna per ricordare Carlo Azeglio Ciampi sono molto commosso: siamo stati amici per cinquantaquattro anni, amici intimi e fraterni quale che fosse il suo ruolo: capo dell’Ufficio studi della Banca d’Italia e poi, dopo una rapida carriera, governatore. E poi primo ministro di un governo tecnico che durò un anno, poi ministro del Tesoro con Prodi e con D’Alema, poi presidente della Repubblica e poi senatore a vita, oltre ad essere il padre degli italiani.

In tutta questa lunga vita, terminata poche ore fa, ha perseguito tutti i suoi affetti privati con sua moglie Franca, i suoi figli e una schiera di nipoti e pronipoti. Aveva una componente paternale molto intensa nel suo carattere, che lo ha distinto da tutti gli altri.

Padre degli italiani non per ragioni politiche ma caratteriali e sentimentali. Se debbo esaminare tra i presidenti della Repubblica che l’hanno preceduto e seguito non trovo alcuno con questa caratteristica. Forse Sandro Pertini, ma la sua paternità era molto diversa da quella di Ciampi: Pertini era un padre di combattimento, Ciampi un padre di pace, profondamente laico nei suoi ruoli pubblici ma profondamente cattolico nella sfera privata.

In politica non fece mai il tifo per questa o quella parte poiché la dominante sempre presente in tutti i suoi ruoli pubblici fu sempre l’interesse generale e quello per i poveri, i deboli, gli esclusi. Non a caso da giovane si iscrisse alla Cgil. Nacque a Livorno, dove sarà sepolto lunedì prossimo. Lì visse e studiò fino a circa trent’anni. Prese due lauree, una in Lettere l’altra in Giurisprudenza ed anche quella doppia scelta non fu casuale: amava la cultura e la legalità ed entrambe hanno alimentato la sua vita.

Il nostro rapporto di amicizia nacque dall’incontro che avvenne nel 1962 nello studio di Guido Carli. Conoscevo Guido da molti anni ma quella conoscenza diventò amicizia fraterna un paio di anni dopo la sua nomina a Governatore della Banca d’Italia nel 1960.

Qualcuno dirà che non gli è mai capitato di incontrare due uomini così diversi tra loro: tanto Ciampi era dolce nei sentimenti, tanto Carli era imperativo; tanto l’uno era paterno nella sua dolcezza, tanto l’altro era maschile e affascinante nella sua imperatività. Ma ciò che li legava entrambi da una profonda stima reciproca era il senso dell’interesse generale e della legalità e lo si vide paragonando le loro relazioni annuali da governatori: Carli denunciava quelle che lui chiamava “le arciconfraternite del potere”, Ciampi non amava denunciare ma esponeva quello che a suo giudizio era non solo il bene comune ma la necessità di tener sempre presente i bisogni dei ceti più poveri e più deboli. Carli promosse con la sua politica il cosiddetto “miracolo italiano” che portò al massimo gli investimenti, la produttività e l’occupazione; Ciampi fu l’autore dell’ingresso dell’Italia nella moneta comune.

Dopo il suo anno da presidente del Consiglio accettò la carica di ministro del Tesoro nel governo Prodi. La moneta comune europea, dopo ampi studi dei governi interessati, aveva come fautore principale la Germania. Prodi era anche lui favorevole ma preferiva aspettare e verificare che quel nuovo strumento funzionasse. Nell’autunno del 1996 partirono per un incontro a Madrid con il governo spagnolo e il principale argomento che esaminarono fu appunto la moneta comune europea. La Spagna si dichiarò favorevole rinviando però la sua adesione di qualche anno.

Nel viaggio di ritorno a Roma Ciampi mise tutta la sua logica economica e politica sostenendo che un Paese fondatore della Comunità europea doveva essere tra i fondatori della moneta comune. Prodi si convinse e incaricò lui di incontrare il Cancelliere tedesco e comunicargli la nostra adesione immediata e così avvenne. L’incontro con Helmut Kohl non fu soltanto una comunicazione di adesione dell’Italia a quello che sarebbe stato chiamato l’euro, ma anche un confronto sulla politica monetaria ed economica della quale l’euro sarebbe stato lo strumento per promuovere la crescita, l’occupazione ed anche il rafforzamento dell’Europa verso una struttura di graduale unità politica oltreché economica. Questo fu uno dei tanti risultati di Ciampi che va ascritto a principale merito dell’opera sua.

***

Consentitemi ora di raccontare come nacque la nostra amicizia. Era, come ho già detto, il 1962 ed io stavo discutendo con Carli sulla situazione economica del nostro Paese, sui malanni della nostra economia e del nostro capitalismo “arciconfraternita del potere”. L’economia italiana era allora dominata da alcune grandi aziende pubbliche, tra le quali l’Eni e l’Italsider, ed altre private: la Fiat, la Edison di Valerio, la Montecatini di Faina, la Pirelli, l’Olivetti, la Sade. Più o meno i poteri erano questi, molti dei quali aderivano ad una sorta di salotto buono che era la Società Bastogi.

Carli aveva invitato a partecipare a questa nostra conversazione (che avveniva almeno una volta al mese) il capo dell’Ufficio studi che era appunto Ciampi che io incontrai in quell’occasione.
Lo studio di Carli era una piccola stanza con appeso alla parete dietro la scrivania del Governatore un quadro che rappresentava il corpo nudo di San Sebastiano trafitto dalle frecce d’un gruppo di torturatori. Lo ricordo perché era diventato simbolico e quindi celebre.

La discussione tra noi tre fu lunga e Ciampi fu molto concreto nel suggerire i modi d’una politica espansiva e antimonopolistica. Alla fine Guido mi disse: «Forse è bene che tu venga più spesso qui da noi e se io fossi occupato potresti andare nell’ufficio di Ciampi ed esaminare con lui le questioni che ti stanno a cuore». Ciampi si dimostrò contento e mi propose d’andare subito nel suo ufficio così avrei visto qual era la strada per arrivarci. Io ero ormai di casa alla Banca d’Italia e i commessi mi lasciavano piena libertà di movimento.

Così cominciò il nostro rapporto con incontri quasi settimanali che poi trasformavo in articoli sull’Espresso che dirigevo. Ma il rapporto con Carlo diventò presto fraterno, ogni tanto cenavamo nelle nostre case, le mogli si conobbero, insomma diventò una specie di famiglia.

Debbo dire che questo rapporto continuò e si accrebbe quando Carlo ascese al Quirinale. Ci vedevamo alla Vetrata e perfino l’estate in Sardegna. Io avevo allora una seconda moglie essendo rimasto vedovo e con lei avevamo una piccola casa a Porto Rafael, di fronte all’isola della Maddalena dove Carlo e la sua famiglia passavano una ventina di giorni in agosto nella casa che era sede del comando della Marina. I Ciampi ci invitavano spesso a cena con la partecipazione dell’ammiraglio Biraghi che era capo di Stato maggiore. Mandavano al molo di Porto Rafael una scialuppa con due marinai che ci portava alla Maddalena dove facevamo arrivare mezzanotte. Lì nacque con Franca Ciampi una profonda amicizia che dura tuttora. Lei è di poche settimane più giovane di Carlo e gli è stata accanto sempre, per sessantasette anni. Oggi l’ha visto morire, ma era consapevole che stava per accadere.

Avrei ancora tanto da raccontare su Ciampi governatore, ministro, presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, ma soprattutto su Ciampi amico fraterno. Ricordo ancora le visite che gli feci quando lui era già molto malato ma, avendo una residenza a Palazzo Giustiniani come tutti gli altri ex presidenti della Repubblica, spesso ci si faceva portare. Lì aveva una specie di piccolo letto nel quale si sistemava con le gambe distese e il torso e il volto sollevati. Così parlava e ascoltava. Spesso gli altri “emeriti” (termine che lui non amava affatto) venivano a trovarlo o lui andava da loro. Anche lì facemmo tante e lunghe chiacchierate. Lui aveva un libro di appunti, una sorta di diario quotidiano, che in parte è stato pubblicato e che credo meriterebbe d’essere ora ristampato.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/09/17/news/un_padre_degli_italiani_attento_ai_piu_deboli_la_sua_vita_all_insegna_di_legalita_e_cultura-147934376/?ref=HRER2-2
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« Risposta #641 inserito:: Ottobre 05, 2016, 12:42:46 pm »

Zagrebelsky è un amico ma il match con Renzi l'ha perduto
Il primo errore è stato la contrapposizione tra oligarchia e democrazia


Di EUGENIO SCALFARI
02 ottobre 2016

FORSE i miei venticinque lettori, come diceva l'autore dei Promessi sposi, si stupiranno se, avendo visto alla televisione de La7 il dibattito tra Renzi e Zagrebelsky, comincio dalle nostre rispettive età: Renzi ha 41 anni, Zagrebelsky 73 e io 93. Sono il più vecchio, il che non sempre è un vantaggio salvo su un punto: molte delle questioni e dei personaggi dei quali hanno parlato io li ho conosciuti personalmente e ho anche letto e meditato e scritto sulle visioni politiche dei grandi classici.

Nel dibattito l'accusa principale più volte ripetuta da Zagrebelsky a Renzi è l'oligarchia verso la quale tende la politica renziana. L'oligarchia sarebbe l'anticipazione dell'autoritarismo e l'opposto della democrazia rappresentata dal Parlamento che a sua volta rappresenta tutti i cittadini elettori.

Conosco bene Gustavo e c'è tra noi un sentimento di amicizia che non ho con Renzi e, mi dispiace doverlo dire, a mio avviso il dibattito si è concluso con un 2-0 in favore di Renzi ed eccone le ragioni.

Il primo errore riguarda proprio la contrapposizione tra oligarchia e democrazia: l'oligarchia è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono salvo la cosiddetta democrazia diretta, quella che si esprime attraverso il referendum. Pessimo sistema è la democrazia diretta. La voleva un tempo Marco Pannella, oggi la vorrebbero i 5 Stelle di Beppe Grillo. Non penso affatto che la voglia Zagrebelsky il quale però detesta l'oligarchia. Forse non sa bene che cosa significa e come si è manifestata nel passato prossimo e anche in quello remoto.

L'oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche. E se vogliamo cominciare dall'epoca più lontana il primo incontro lo facciamo con Platone che voleva al vertice della vita politica i filosofi. I filosofi vivevano addirittura separati dal resto della cittadinanza; discutevano tra loro con diversi pareri di quale fosse il modo per assicurare il benessere alla popolazione; i loro pareri erano naturalmente diversi e le discussioni duravano a lungo e ricominciavano quando nuovi eventi accadevano, ma ogni volta, trovato l'accordo, facevano applicare alla Repubblica i loro comandamenti.

Ma questa era una sorta di ideologia filosofica. Nell'impero ateniese il maggior livello di oligarchia fu quello di Pericle, il quale comandava ma aveva al suo fianco una folta schiera di consiglieri. Lui era l'esponente di quella oligarchia che fu ad Atene il punto più elevato di buon governo e purtroppo naufragò con la guerra del Peloponneso e contro Sparta (a Sparta non ci fu mai un'oligarchia ma una dittatura militare).

Nelle Repubbliche marinare italiane l'oligarchia, cioè la classe dirigente, erano i conduttori delle flottiglie e delle flotte, il ceto commerciale e gli amministratori della giustizia. Amalfi, Pisa, Genova e soprattutto Venezia ne dettero gli esempi più significativi.

Veniamo ai Comuni. Avevano scacciato i nobili dalle loro case cittadine. L'oligarchia era formata dalle Arti maggiori e poi si allargò alle Arti minori. Spesso i pareri delle varie Arti differivano tra loro e il popolo della piazza diceva l'ultima parola, ma il governo restava in mano al ceto produttivo delle Arti e quella era la democratica oligarchia.

Nel nostro passato prossimo l'esempio ce lo diedero la Democrazia cristiana e il Partito comunista. La Dc non fu mai un partito cattolico. Fu un partito di centrodestra che "guardava a sinistra" come lo definì De Gasperi; l'oligarchia era la classe dirigente di quel partito, i cosiddetti cavalli di razza: Fanfani, La Pira, Dossetti, Segni, Colombo, Moro, Andreotti, Scelba, Forlani e poi De Mita che fu tra i più importanti nell'ultima generazione. Quasi tutti erano cattolici ma quasi nessuno prendeva ordini dal Vaticano. De Gasperi, il più cattolico di tutti, non fu mai ricevuto da Pio XII con il quale anzi ebbe duri scontri. Tra le persone che davano il voto alla Dc c'erano il ceto medio ed anche i coltivatori diretti che frequentavano quasi tutti le chiese, gli oratori, le parrocchie.

I braccianti invece votavano in massa per il Partito comunista, ma non facevano certo parte della classe dirigente. Gli operai erano il terreno di reclutamento dell'oligarchia comunista, scelta tra i dirigenti delle Regioni e dei Comuni soprattutto nelle province rosse, dove c'erano molti intellettuali, nell'arte, nella letteratura, nel cinema e nella dolce vita felliniana. Al vertice di quella classe dirigente c'erano Amendola, Ingrao, Pajetta, Scoccimarro, Reichlin, Napolitano, Tortorella, Iotti, Natta, Berlinguer e Togliatti. Al vertice di tutto c'era la memoria di Gramsci ormai da tempo scomparso.

Togliatti operava con l'oligarchia del partito e poi decideva dopo aver consultato tutti e a volte cambiava parere. Ascoltava anche i capi dei sindacati. Gli iscritti erano moltissimi, quasi un milione; i votanti erano sopra al 30 per cento degli elettori con punte fino al 34. Ma seguivano le decisioni dell'oligarchia con il famoso slogan "ha da venì Baffone".

Caro Zagrebelsky, oligarchia e democrazia sono la stessa cosa e ti sbagli quando dici che non ti piace Renzi perché è oligarchico. Magari lo fosse ma ancora non lo è. Sta ancora nel cerchio magico dei suoi più stretti collaboratori. Credo e spero che alla fine senta la necessità di avere intorno a sé una classe dirigente che discuta e a volte contrasti le sue decisioni per poi cercare la necessaria unità d'azione. Ci vuole appunto un'oligarchia. Spero che l'abbia capito, soprattutto con la sinistra del suo partito che dovrebbe capirlo anche lei.

***

A me il Renzi europeista piace. Facendolo sul serio si è anche conquistato un ruolo che prima di lui e molto più di lui si erano conquistati De Gasperi, Ciampi, Prodi e Draghi che però il ruolo, che sorpassa tutti gli altri, non l'ha ottenuto in quanto italiano e in rappresentanza dell'Italia, ma come banchiere centrale eletto da tutta l'Europa perché primo tra i primi, nonostante il parere della Bundesbank.

Per criticare il Renzi europeista molti sostengono che quel ruolo lui l'ha usato per fare colpo sugli italiani per ottenere più facilmente il loro consenso elettorale. Sbagliato: il popolo che vota se ne infischia del ruolo del suo partito in Europa. Semmai può interessarlo il nazionalismo. E visto che siamo in argomento aggiungo che non mi stupisce affatto la richiesta di Renzi di esser votato anche dal centrodestra, essendo lui il capo d'un partito di centrosinistra. Ma chi chiede voti a destra deve essere realmente di sinistra. Se invece si è collocato al centro, come di fatto è da tempo avvenuto, sarà la destra a chiedere i suoi voti e non viceversa.

La conclusione su questo punto è che lui voleva ritornare a quello che fu il programma di Veltroni quando, eletto segretario del Pd, descrisse le idee del partito al Lingotto di Torino e alle elezioni di pochi mesi dopo ottenne il 34 per cento dei voti, più i 4 di Di Pietro suo alleato.

Veltroni presentò il Pd come il partito che doveva ricostruire l'Italia su basi socialmente, economicamente e politicamente riformatrici per un paese da modernizzare. Renzi si presentò come rottamatore e non fu una presentazione felice. La rottamazione avviene in modo naturale se si modernizza un paese, ma non per ragioni anagrafiche. Infatti quella parola ormai Renzi non la usa più. Se ha fatto un dibattito con un anziano costituzionalista che ha trattato con grande rispetto, questa è stata una buona svolta. Comunque, chieda pure i voti al centrodestra, ma accentui le caratteristiche di sinistra democratica del suo partito. Una sinistra moderna, questo sì. Che si imponga non solo in Italia ma in tutta l'Europa. La modernità, l'ha detto più volte Mario Draghi, consiste nell'aumentare la produttività, puntare verso l'Europa unita, risanare un sistema bancario alquanto indebolito, creare un bilancio sovrano europeo e un Tesoro unico in grado di emettere buoni del Tesoro europei sul mercato. Su alcuni di questi elementi Renzi è d'accordo ma non lo è sulla politica economica che pure rappresenta il punto centrale. La sua politica economica si basa soprattutto sulle mance, a volte benfatte, più spesso malfatte ed elettoralistiche. E per finanziarle non fa che chiedere flessibilità all'Europa.

Ebbene, non si fa così la politica fiscale, specie quando si ha una tecnologia che rende assai più facile individuare il lavoro nero e l'evasione. Il reddito nero e l'evasione ammontano a centinaia di miliardi di euro. Ma quello che stiamo ottenendo da queste operazioni ammonta a stento a 50-60 milioni all'anno. Cioè niente.

Non parliamo del problema spese e tasse. In teoria dovremmo aumentare le prime e diminuire le seconde. Nei fatti avviene l'inverso: si aumentano le tasse e si diminuiscono le spese, oppure restano ferme tutte e due ed è ferma anche l'economia del paese, salvo la flessibilità e il costante aumento del debito pubblico.

La vera ed unica soluzione è un taglio massiccio del cuneo fiscale. Ne ho già parlato su queste pagine ma nessuna risposta c'è stata, sicché ne riparlo ancora.

L'ammontare dei contributi che imprese e lavoratori versano all'Inps ammonta a 300 miliardi dei quali i datori di lavoro versano all'incirca il 21 per cento e i lavoratori il 9. L'ipotesi da me suggerita è un taglio di 30 punti, pari a 90 miliardi. L'Inps naturalmente dovrebbe continuare a fornire i servizi previsti, ma le sue entrate avendo subìto questo taglio massiccio dovrebbero essere finanziate dallo Stato il quale a sua volta dovrà fiscalizzare l'importo con una tassazione moderata dei redditi a cominciare da quelli che superano i 120mila euro e aumentando a misura dei redditi più elevati. Per un certo aspetto si tratta d'una imposta sul patrimonio, ma l'aspetto più rilevante riguarda l'aumento della domanda e quindi dei consumi da parte dei lavoratori e dell'offerta da parte delle imprese, indotte a questo comportamento che non avviene una tantum e quindi mette in moto i motori di una politica progressista.

Misure del genere in realtà andrebbero prese anche dai paesi europei alcuni dei quali non hanno mai adottato queste soluzioni. Va detto però che in molti paesi i servizi pubblici vengono forniti direttamente dallo Stato e quindi la fiscalizzazione è già in corso.

Gentile presidente del Consiglio, vorrei conoscere che cosa lei pensa di questa proposta. L'ideale sarebbe che lei la mettesse in moto subito ottenendone al più presto le conseguenze positive.

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02 ottobre 2016

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« Risposta #642 inserito:: Ottobre 10, 2016, 12:15:51 pm »

In democrazia sono pochi al volante e molti i passeggeri

Di EUGENIO SCALFARI
09 ottobre 2016

SONO stato molto contento come vecchio fondatore di questo giornale che il nostro direttore Mario Calabresi abbia deciso di aprire un dibattito sulle varie tesi che riguardano il referendum costituzionale che sarà votato dai cittadini il 4 dicembre prossimo e la vigente legge elettorale che molti (e io tra questi) considerano malfatta o addirittura pessima.

Il dibattito sulle nostre pagine è avvenuto anche perché Repubblica ha ricevuto una quantità di lettere e di messaggi via web su quei medesimi argomenti, esprimendo variamente il loro atteggiamento sul voto Sì o il voto No o l’astensione attiva (come l’ha definita Fabrizio Barca in un suo memorandum in circolazione nelle sezioni del partito democratico).

Sono infine molto grato a Gustavo Zagrebelsky che ha dato il via a questa discussione nel suo incontro televisivo di qualche giorno fa con Matteo Renzi.

Desidero subito chiarire un punto: io non sono contrario al referendum per ciò che contiene e che in sostanza consiste nell’abolizione del bicameralismo perfetto. Esso esiste già in quasi tutti i Paesi democratici dell’Occidente, rappresenta un elemento a favore della stabilità governativa che non significa necessariamente autoritarismo: può significarlo però se la legge elettorale è fatta in modo da conferirgli questa fisionomia. Ragion per cui mi sembra onesto dichiarare fin d’ora quale sarà il mio voto al referendum.

Se il governo cambierà prima del 4 dicembre alcuni punti sostanziali della legge elettorale o quanto meno presenterà alla Camera e al Senato una legge elettorale adeguata che sarà poi approvata dopo il referendum, voterò Sì; se invece questo non avverrà o se eventuali modifiche a quella legge saranno di pura facciata, allora voterò No.

Coloro che non vedono (o fanno finta di non vedere) la connessione che esiste tra un Parlamento monocamerale e l’attuale legge elettorale sono in malafede o capiscono ben poco di politica ed oppongono il renzismo all’antirenzismo, cioè la simpatia o l’antipatia verso l’attuale presidente del Consiglio in quanto uomo. Evidentemente questo è un modo sbagliato di pensare. Ricordo a chi non lo sapesse o lo avesse dimenticato che Napoleone Bonaparte difese da capitano d’artiglieria dell’esercito francese (lui era stato fino ad allora di nazionalità corsa) il Direttorio termidoriano eletto dalla Convenzione dopo la caduta di Robespierre che aveva provocato la reazione di piazza dei giacobini. Questo avvenne nel 1795. Pochi anni dopo il 18 brumaio Napoleone decise di sciogliere il Direttorio, lo sostituì con il Consolato composto da tre Consoli due dei quali non contavano nulla e il terzo che era lui aveva tutti i poteri. Di fatto era l’inizio dell’impero che fu dopo un paio d’anni definito come tale.

Come vedete e già sapete gli umori cambiano secondo le circostanze sicché votare pro o contro deve riguardare soltanto il merito e non il nome di chi lo propone.

***

Fatte queste premesse debbo ora affrontare le questioni dell’oligarchia e della democrazia, che hanno diviso Zagrebelsky e me. Crazia è un termine greco che significa potere. Oli significa pochi, demos significa molti, cioè in politica popolo sovrano. Il potere a pochi o il potere a molti. Così dicono i vocabolari, così pensa la maggior parte della gente e così ha sostenuto Zagrebelsky nel suo dibattito con Renzi prima e con me due giorni dopo.

Al contrario io penso che la democrazia, di fatto, sia guidata da pochi e quindi, di fatto, altro non sia che un’oligarchia.

Una sola alternativa esiste ed è la cosiddetta democrazia diretta che funziona attraverso il referendum. In quella sede infatti il popolo si esprime direttamente, ognuno approva o boccia con un voto di due monosillabi, il Sì e il No, il suo parere su un quesito. I singoli cittadini quando raggiungono il numero previsto dalla legge, possono presentare quesiti sotto forma di domanda e sottoporli al voto.

Naturalmente quel Paese è uno Stato che ha una sua Costituzione la quale, preparata dai partiti o da un gruppo dei saggi, viene sempre approvata per via referendaria.

Tutto ciò premesso riguardo alla democrazia diretta, va detto che dirigere un Paese soltanto con i referendum è tecnicamente impossibile in Stati la cui popolazione ammonti a milioni di abitanti e convive con miriadi di Stati diversi con i quali esistono complessi rapporti di amicizia o di conflitto, scambi economici o sociali, pace o guerra. Pensare e supporre che tutta questa vita pubblica possa essere governata attraverso i referendum è pura follia e non si può parlare neppure in astratto di questa ipotesi.

Il dibattito dunque è un altro e le posizioni sono già state presentate: io sostengo che la vera democrazia non può che essere oligarchica, molti invece e Zagrebelsky per primo sostengono che quei due temi sono opposti e che non possiamo da veri uomini liberi che preferire i molti ai pochi. Quindi: partiti dove tutti i militanti determinano la linea, il Parlamento (bicamerale o monocamerale che sia) è la fonte delle leggi. Chi rafforza il Parlamento, eletto dalla totalità dei cittadini aventi diritto o comunque dagli elettori che usano il loro diritto di voto, rafforza la democrazia, cioè il governo dei molti.

Questo è dunque il dissenso che personalmente giudico soltanto formale e non sostanziale poiché non tiene conto della realtà. Naturalmente questa mia affermazione va dimostrata.

Gli elettori il giorno del voto hanno davanti a loro la lista dei candidati dei vari partiti. Qualche nome lo conoscono perché sono rappresentanti di quei partiti, ma la maggior parte di quei nomi è sconosciuta. Se comunque hanno scelto il partito per cui votano condividendone il programma o addirittura l’ideologia, votano quel partito e anche il nome di uno dei candidati. Ma chi ha scelto quei candidati?

Dipende dalla dimensione dei singoli partiti. Se sono di molto piccole dimensioni la scelta viene fatta dai leader e dai suoi consiglieri. Così avvenne quando Fini e poco dopo Casini decisero di abbandonare Berlusconi e così avvenne allo stesso Berlusconi che non ha mai avuto un partito. Forza Italia non fu mai un partito ma un gruppo di funzionari della società di pubblicità dello stesso Berlusconi. Così avvenne anche per Vendola e per i radicali di Pannella. Ma se il partito è di ampie dimensioni, come la Dc, il Partito socialista e quello comunista, la scelta avveniva nel Comitato centrale. Il Congresso, una volta terminato, si scioglieva dopo avere appunto eletto il Comitato centrale. Era questo il solo organo governante di quel partito, che eleggeva la direzione che a sua volta eleggeva il segretario.

Ho già fatto un elenco di nomi che guidarono quei partiti e quindi non mi ripeterò. Ricordo soltanto che mettendo insieme il Comitato centrale, i sindaci delle maggiori città ed i loro più stretti collaboratori, si trattava al massimo di un migliaio di persone. Il ponte di comando era quello, che decideva la linea del partito, i candidati e i capilista nelle elezioni amministrative e in quelle politiche.

Un migliaio di persone cioè indicavano i loro rappresentanti in Parlamento il quale rappresentava e tuttora rappresenta i milioni di cittadini che li hanno votati. Non è un’oligarchia di pochissimi che determinano la partecipazione di moltissimi i quali nel loro insieme rappresentano la sovranità del popolo e quindi il Demos che chiamano democrazia?

È sempre stato così, nella civiltà antica, medievale, moderna. L’alternativa è la dittatura.

Oligarchia democratica o dittatura: questa è stata, è e sarà il sistema politico dell’Occidente. Nelle altre parti del mondo la dittatura è la normalità con rare eccezioni di Paesi a struttura federale come l’India e l’Indonesia.

Per quanto mi riguarda non ho altro da aggiungere a quanto qui ho scritto. Se Zagrebelsky vorrà prendere atto o contestare queste mie conclusioni siamo ben lieti di leggerlo.

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09 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/10/09/news/in_democrazia_sono_pochi_al_volante_e_molti_i_passeggeri-149380234/?ref=fbpr
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« Risposta #643 inserito:: Ottobre 15, 2016, 07:26:14 pm »

Perché difendo l'oligarchia

Di EUGENIO SCALFARI
13 ottobre 2016

SONO alquanto deluso dalle risposte che Gustavo Zagrebelsky ha dato ai miei duplici interventi sul rapporto tra oligarchia, democrazia e dittatura o tirannide che dir si voglia. Si tratta al tempo stesso di sostanza e di parole che la esprimono. Nel dibattito che c'è tra noi le parole talvolta coincidono, la sostanza no. Che l'oligarchia sia il governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io.

Che l'oligarchia abbia in mente una sua visione del bene comune è inevitabile. Lo diceva persino Giuseppe Mazzini che infatti quando fondò la Giovane Italia aveva in mente l'educazione dei giovani e li preparava ad essere gruppi d'assalto per sollevare le plebi contadine. In quegli assalti morivano quasi tutti; quello che si immolò con altri trecento fu Pisacane: "Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti". Quella era l'oligarchia mazziniana: aveva in mente la nazione italiana e la Repubblica invece della monarchia.

Del resto tre secoli prima lo stesso Machiavelli dedicò il Principe a Lorenzo de' Medici affinché prendesse la guida per risollevare le plebi e farne un popolo. Un altro esempio porta il nome di Mirabeau che agli Stati generali di Francia riuscì a trasformare il Terzo Stato in un'assemblea costituente che rendesse il potere assoluto del re soggetto alla Costituzione.

Zagrebelsky è più giovane di me e forse non sa che l'oligarchia del partito comunista abitava in case molto povere; addirittura le lampadine appese al soffitto non avevano neppure una traccia di paralume, erano appese ad un filo e pendevano in quel modo. Io entrai in molte di quelle case e le ricordo bene: quella di Pajetta, quella di Longo, ed anche quella di Pietro Nenni che era il segretario del partito socialista, ed anche quella di Sandro Pertini. Potere ma con una visione del bene comune molto precisa, in parte ideologica ma soprattutto politica.

Identificare i pochi con i ricchi che ottengono il comando per favorire i propri interessi è un evidente errore. Talvolta può accadere, ai tempi d'oggi sono molti i potenti ricchi arruolati dai partiti e spesso anche membri del Parlamento e del governo. È il cosiddetto malaffare. La loro presenza in Parlamento - che Gustavo vede come il vero organo di rappresentanza della democrazia e il suo pilastro - è una prova che è un pilastro assai traballante, tanto più quando qualcuno di questi potenti e ricchi che fa la politica nel proprio interesse viene indagato dalla magistratura. La commissione delle immunità in questi casi concede l'immunità a tutti ed in più votando all'unanimità. Naturalmente negli ultimi anni il livello del malaffare è aumentato dovunque: è aumentato il livello del benessere ma con esso purtroppo anche quello del malaffare ma il fatto che il Parlamento sia secondo Gustavo il luogo principale dove deve risiedere la democrazia dimostra semmai che sono aumentati insieme al livello delle comodità della vita anche i ricchi e il declino etico. Io infatti non sostengo che l'oligarchia è per definizione il governo dei migliori; sostengo che è il governo dei pochi ma è la sola forma d'un governo democratico.

Zagrebelsky pensa che i pochi sono i ricchi e i potenti. Ricchi non necessariamente, potenti certamente e su questo è tutto. Le alternative sono la democrazia referendaria della quale ho già scritto l'impossibilità di governare; oppure la dittatura. Gustavo è d'accordo sul primo tema ma non sul secondo: la dittatura secondo lui è la forma estrema dell'oligarchia, con il passare degli eventi sia del passato remoto sia di quello prossimo. Ma questa asserzione sulla base della storia non è affatto vera.

L'Impero romano cominciò con Cesare Ottaviano, poi seguito dal termine Augusto, ma era ancora una struttura, quella da lui costruita, che lasciava un certo spazio al Senato. Il vero imperatore fu Tiberio. Lui comandava e il suo comando veniva eseguito. I tribuni diventarono cariche militari, i prefetti governavano le regioni che componevano l'Impero ma non erano altro che amministratori e Pilato ne è un esempio. Adriano, della famiglia Antoniniana, fu un altro imperatore che comandava da solo e senza alcun consigliere. Traiano è ancora di più un capo assoluto. L'Impero durò quasi cinquecento anni e consiglieri non ne ebbe mai. Si potrebbe dire che il giovane Nerone ebbe Seneca (solo Seneca) come educatore e la madre, assai autoritaria anche lei; talmente autoritaria che alla fine Nerone se ne stancò e la fece uccidere. Per cinquecento anni la struttura imperiale non fece nessun cambiamento salvo uno: la divisione tra Oriente e Occidente.

In tempi più ravvicinati le monarchie erano chiamate assolute. Il cosiddetto Re Sole, non a caso, sosteneva che lo Stato era lui. Al massimo fu in qualche modo orientato dalle sue amanti. E poi gli Asburgo d'Austria e di Spagna, i duchi di Borgogna, i Re di Spagna, di Francia, di Inghilterra, di Scozia, di Svezia. Gli zar di Russia. Napoleone. Dove sta in questi esempi l'oligarchia? Quelle dittature erano oligarchiche? Assolutamente no. Napoleone ascoltava solo Talleyrand in politica estera e basta.

Ma voglio aggiungere un caso che può sembrare particolare e infatti lo è ma è estremamente significativo: quello del Papa cattolico e dei vescovi. Non so quale sia il numero dei vescovi, certamente molte migliaia, compreso il Papa che è vescovo di Roma. Ma se paragoniamo le migliaia di vescovi alle centinaia di milioni di fedeli siamo di fronte in questo caso ad una oligarchia religiosa. Tanto più se aggiungiamo ai vescovi i cardinali che ammontano a un centinaio o poco più. Il Papa con cardinali e vescovi, nunzi apostolici e sacerdoti addetti a specifici compiti e dicasteri rappresentano un caso tipico di oligarchia. Un'oligarchia che si riunisce molto spesso nei Sinodi dove i pareri, sia pure nel quadro d'una religione che crede nel Dio assoluto trascendente, sono molto diversi e suscitano spesso controversie molto aspre. Il compito del Papa è proprio quello di cercare e trovare una mediazione che almeno per un periodo sia condivisa da tutti. In sostanza la Chiesa cattolica è sinodale. Potremmo anche chiamare i comitati centrali dei partiti con la parola Sinodo: significano in due diversi casi lo stesso fenomeno oligarchico.

Ora mi fermo e non parlerò più di questo tema. Viviamo tempi dove la politica è molto agitata e merita molta più attenzione che definire con le parole e con il pensiero se si chiami oligarchia la sola forma di democrazia che conosciamo.

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13 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/10/13/news/perche_difendo_l_oligarchia-149655377/?ref=HRER2-1

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« Risposta #644 inserito:: Ottobre 17, 2016, 11:12:39 am »

Ma Renzi è un vantaggio o un danno per l'Europa e per l'Italia?
Un nuovo segretario non porterebbe danni al partito. Un nuovo capo di governo forse sì, soprattutto a livello europeo

Di EUGENIO SCALFARI
16 ottobre 2016

HO AVUTO un colloquio telefonico con Matteo Renzi un'ora prima della riunione della direzione del Pd e nel pomeriggio dello stesso giorno, a riunione già avvenuta, un colloquio con Gianni Cuperlo, uno dei dem dissidenti più rappresentativo di quel gruppo finora orientato a votar No. Sono gli strumenti del mio mestiere e posso dunque raccontarne il contenuto.

I dissidenti tentano di ottenere una modifica sostanziale del referendum e soprattutto della legge elettorale. Renzi si è reso conto che questo è anche il suo interesse anzi è soprattutto il suo, perché nel caso di un accordo il Sì probabilmente avrebbe la prevalenza sul No e questo è fondamentale per lui. Se vincesse il No la sua carriera politica sarebbe finita, questo è certo, sia come presidente del Consiglio sia come segretario del partito.

Sarebbe un danno o un vantaggio per l'Italia? La risposta a questa domanda non rientra nei ferri del mio mestiere, è un giudizio personale d'un cittadino che con la politica ha una certa familiarità, perciò dico questo: un nuovo segretario non porterebbe alcun danno al partito; un nuovo capo di governo probabilmente sì, soprattutto a livello europeo. Che io sappia c'è in Italia un solo personaggio che può degnamente rappresentarci in Europa: Enrico Letta. Il guaio è che è alquanto difficile che Letta ottenga una maggioranza dei voti in Parlamento: la vittoria del No metterebbe profondamente in movimento l'intero schieramento politico: la Destra, il Centrodestra, la Sinistra, i Cinquestelle, i populisti antieuropei.

Ma se Letta non vince non vedo francamente un terzo nome. Non a caso i poteri forti in Europa stanno solidarizzando con Renzi, sia pure dopo i profondi contrasti degli ultimi mesi. Il Partito socialista europeo (Pse) si è schierato l'altro ieri all'unanimità per il Sì al referendum italiano e non a caso Obama dedicherà il suo ultimo pranzo ufficiale alla Casa Bianca a Renzi che porterà con sé un gruppo di italiani rappresentativi in vari campi della nostra società civile e Obama farà altrettanto. Non politici, ma esponenti dell'economia, dello sport, dello spettacolo. È certamente un appoggio politico ad un Renzi pericolante e quindi bisognoso di appoggi internazionali. Dell'Occidente e non di Putin, come accade a molti movimenti populisti, xenofobi, antieuropei e in Europa contrari anche alla moneta comune. Donald Trump è l'esempio più clamoroso, ma perfino Grillo guarda a Mosca con molta più simpatia di quanto non guardi ad Obama e non parliamo del capo della Lega e perfino di Berlusconi che di Putin è amico personale e per personalissime ragioni. Ora riprendo i miei strumenti giornalistici per raccontare i colloqui telefonici dei quali ho già fatto cenno all'inizio.
***

Renzi desiderava un parere sui modi per riportare compattezza nella classe dirigente del Pd e quindi sull'intero partito. Se questo avverrà - ha detto - sarà più probabile la vittoria del Sì e anche, se comunque vincesse il No, un Pd compatto resterebbe la più forte minoranza del Parlamento con tutto ciò che ne consegue.

La mia risposta, credo oggettiva, è stata di mettere l'accento sulla legge elettorale che a mio avviso va profondamente cambiata per evitare un ballottaggio che oggi in un sistema non più bipolare ma tripolare, darebbe probabilmente forti chance di vittoria ai Cinquestelle e comunque, così come è fatta, darebbe allo stesso Renzi poteri maggiori di quelli che già possiede. Insomma l'autoritarismo diventerebbe non più un pericolo ma una realtà fortemente sgradita alla maggioranza degli italiani, comunque la pensino politicamente.

Naturalmente (dicesse verità o bugie) Renzi ha negato di avere un potere forte oggi entro i limiti della Costituzione e di proponimenti di ottenere la nostra fiducia. Lui ha capito - mi ha detto - che deve modificare la legge elettorale vigente e quindi è disposto a spostare il suo impegno politico fin da subito, tant'è che per questo motivo un'ora dopo sarebbe stato esaminato l'Italicum con la dissidenza del partito per studiare un cambiamento sostanziale e soddisfacente per tutti, con tre limiti però: 1. Pubblicamente, e cioè in Parlamento. Verrà deliberato che l'Italicum sarà modificato ma il contenuto specifico sarà reso noto e discusso dopo il voto referendario del 4 dicembre e dopo la sentenza della Corte costituzionale che entro dicembre sarà resa nota. 2. Il premio di maggioranza non si tocca, salvo quello che dirà in proposito la sentenza della Corte. 3. Il ballottaggio non si tocca neppure quello. Su tutto il resto lui terrà nel massimo conto le proposte dei dissidenti. E ne ha anticipata una (che è stata già resa pubblica): i senatori del nuovo Senato previsto dal referendum saranno eletti direttamente dal popolo e non dai consigli regionali.

A questo punto ha rinnovato la domanda che già mi aveva posto ed io ho risposto: doveva abolire le preferenze che l'Italicum prevede per l'elezione dei capilista e che sono la fonte di potere del lobbismo, perfino mafioso. La risposta è stata subito positiva e l'annuncerò (ha detto) quanto prima. Poi dovrà far svolgere le elezioni soltanto in collegi uninominali a largo e non a piccolo spazio territoriale. Il premio di maggioranza deve essere abolito. Quanto al ballottaggio, andrebbe abolito anch'esso ma se proprio insiste su questo punto allora può svolgersi tra i primi due partiti risultati dall'esito del voto nei collegi, contrattando alleanze con altri partiti e presentandosi al ballottaggio con liste apparentate. Questa è un'antica proposta dei socialisti guidati all'epoca da Pietro Nenni, De Martino e Riccardo Lombardi. A me sembra valida anche oggi se proprio il ballottaggio non deve essere abbandonato.

Naturalmente la coalizione può essere fatta con la sinistra che è fuori dal Pd e/o con un centrodestra di moderati del tipo rappresentato da Alfano e da Parisi. La risposta di Renzi è stata che avrebbe molto riflettuto su questi suggerimenti alcuni dei quali (il voto soltanto nei collegi) avrebbe comunque accettato. Nel pomeriggio ho parlato con Cuperlo e gli ho raccontato il colloquio con Renzi. Cuperlo mi ha detto che su quelle ipotesi avevano ampiamente discusso con Renzi e Cuperlo aveva pensato ed esposto proposte molto simili alle mie. La conclusione, certamente positiva, era stata di nominare un comitato del Pd composto da cinque membri, due dei quali dei dissidenti, che avrebbe proposto e poi sottoposto a voto della direzione le conclusioni. Quel documento sarà presentato in Parlamento e le modifiche all'Italicum portate al voto della Camera nel prossimo gennaio. A me sembra un esito positivo per il Paese, sempre che le cose vadano così.

Una sola parola sulla presenza della Nato a Riga e nei Paesi baltici, alla quale parteciperà anche un contingente italiano. Lo scopo della Nato è di rassicurare quelle nazioni dell'Est spaventate dalle eventuali mire espansionistiche russe, ma anche convincere il Cremlino ad una maggiore prudenza e moderazione alla Siria di Assad e ad Aleppo in particolare. Questa presenza militare italiana è stata criticata da tutte le forze politiche di opposizione e invece appoggiata da tutto il Pd. Personalmente penso che si tratti d'una presenza italiana pienamente legittima e prevista dallo statuto della Nato che a suo tempo il nostro Parlamento ha accettato.

***

Farò una brevissima aggiunta su un tema molto importante di carattere fiscale, sul quale già due volte mi sono intrattenuto su queste pagine. Si tratta di un taglio ragguardevole del cuneo fiscale sui contributi dei lavoratori e degli imprenditori all'Inps, al quale potrebbero aggregarsi anche molte categorie con propri enti assistenziali come per esempio l'Inpgi dei giornalisti. La mia proposta iniziale era un taglio di cinquanta punti ma poi ho ridotto la proposta da cinquanta a trenta che, debbo dire, è comunque importante come effetto sull'economia nazionale (l'avrebbe perfino ridotta al 25). Da molti lettori mi è stato chiesto a quanto ammontano questi tagli in cifre assolute e dopo alcune ricerche eccole.

Il taglio dei contributi di trenta punti ammonta in cifre assolute a 80-90 miliardi annui. Poiché l'Inps dovrebbe fornire alle imprese e ai loro dipendenti gli stessi servizi, l'ammontare del taglio contributivo sarebbe addossato allo Stato e cioè a carico dei contribuenti fiscalizzando l'importo e partendo da una cifra minima di 120 mila dichiarati. I contribuenti al di sopra dei 120 mila euro dichiarano in tutto un reddito di 58 miliardi. In questi termini la fiscalizzazione diventa impossibile.

Lo Stato dovrebbe trovare un'altra fonte di entrate che coprano la cifra di 80 miliardi. Sarebbe ampiamente sufficiente una cifra di 60 miliardi che riduce la fiscalizzazione a 20 miliardi e quindi ampiamente accettabile, ma potrebbe ancora essere ridotta se la cifra trovata dallo Stato fosse di 70 miliardi anziché di 60.
La fonte è chiara: il reddito nero che è stato valutato
a 200 miliardi e anche di più. Poi ci sono anche spese improduttive che possono essere tagliate e in qualche modo trasferite verso questa operazione. È una operazione altamente salutare per il rilancio dell'economia italiana attraverso un aumento dei consumi e degli investimenti.

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16 ottobre 2016

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