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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 318093 volte)
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« Risposta #390 inserito:: Dicembre 05, 2012, 10:05:36 pm »

Le ragioni del diritto

di EUGENIO SCALFARI

La sentenza della Corte costituzionale sul ricorso del Capo dello Stato per il conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo è chiarissima e definisce l'intangibilità delle prerogative presidenziali. Le intercettazioni telefoniche (o con qualsiasi altro mezzo effettuate), sia pure indirettamente acquisite da una Procura (nel caso specifico da quella di Palermo) debbono essere immediatamente distrutte dal Gip su richiesta della stessa Procura che ne è venuta in possesso. La Procura in questione non ha titolo per dare alcun giudizio sul testo intercettato; deve semplicemente e immediatamente consegnare le intercettazioni al Gip affinché siano distrutte senza alcuna comunicazione alle parti e ai loro avvocati.

La Corte renderà pubbliche le sue motivazioni a gennaio ma il dispositivo si appoggia fin d'ora all'articolo 271 del codice di procedura penale (come a suo tempo avevamo già scritto su questo giornale) che dispone questo trattamento per gli avvocati e per tutti i casi analoghi che prevedano l'assoluta segretezza delle notizie connesse alla loro professione. E quindi, per logica deduzione, ai medici e ai sacerdoti su quanto apprendono in sede di confessione. Le prerogative del Capo dello Stato hanno la stessa natura e quindi lo stesso grado di protezione che non deriva soltanto dall'articolo 271 ma dalla stessa Costituzione.

Il Presidente della Repubblica può essere imputato soltanto per tradimento della Costituzione e attentato nei
confronti dello Stato. In quei casi, quando il Parlamento in
seduta comune ne chiede il deferimento alla Corte essa sospende le prerogative del Capo dello Stato e si trasforma in Alta Corte di giustizia iniziando il processo
che culminerà in una sentenza.

Il punto essenziale dell'odierno comunicato della Corte sta nel fatto che a suo avviso l'inammissibilità delle intercettazioni anche indirette e quindi la loro immediata distruzione non sono soltanto ricavabili dall'ordinamento costituzionale e giudiziario, ma da specifica normativa.

Il capo della Procura di Palermo, Messineo, e il procuratore aggiunto, Ingroia, avevano fino all'ultimo sostenuto che non esisteva alcuna norma specifica in materia; forse si poteva ricavare con una interpretazione dell'ordinamento, ma - spiegavano i procuratori in questione - non è compito dei magistrati inquirenti cimentarsi con interpretazioni ardue e comunque dubitabili. Per loro valeva dunque soltanto la norma che prevede per la distruzione di intercettazioni non rilevanti ai fini processuali in un'udienza davanti al Gip insieme alle parti interessate e ai loro avvocati. Il che ovviamente equivale a renderle pubbliche facendo diventare pleonastica la loro successiva distruzione.

Il comunicato della Corte stabilendo invece che una specifica norma esiste, spazza via il ragionamento della Procura di Palermo con un effetto ulteriore e definitivo: la sua sentenza si affianca e addirittura si sovrappone all'articolo 271 rendendone esplicita l'applicabilità anche al Capo dello Stato.

Fu dichiarato più volte dallo stesso Giorgio Napolitano che il suo ricorso alla Consulta non intaccava in nessuno modo il lavoro della Procura sull'inchiesta riguardante i rapporti eventuali tra lo Stato e la mafia siciliana. Infatti quel lavoro è già arrivato ad una prima conclusione con la richiesta di rinvio a giudizio di tredici imputati. Gli stessi Messineo e Ingroia hanno più volte e in varie sedi pubblicamente dichiarato che nessuna pressione e nessun impedimento al procedere della loro inchiesta è mai venuto dal Quirinale, il quale anzi ha sempre incoraggiato la magistratura a portare avanti il suo lavoro volto all'accertamento della verità su quel tema storicamente delicato e importante.

La richiesta di rinvio a giudizio è tuttora pendente dinanzi al Gup del tribunale di Palermo il quale, con correttezza professionale, ha deciso di attendere la sentenza della Consulta prima di prendere le sue decisioni. Non sappiamo se vorrà ulteriormente aspettare le motivazioni di quella sentenza, ma probabilmente sarebbe tempo sprecato. A lui interessava sapere se le intercettazioni in questione potevano avere un qualche interesse ai fini dell'inchiesta o di eventuali altri processi connessi. La risposta è arrivata e il Gup di Palermo
potrà ora procedere. Se troverà negli atti della Procura indizi e prove sufficienti il processo andrà avanti; se quegli indizi e prove non fossero decisivi potrà decidere l'archiviazione; se la competenza territoriale non fosse quella di Palermo potrà rinviare gli atti al tribunale di Caltanissetta.

E questo è tutto. Resta l'indebito clamore che alcune forze politiche e alcuni giornali hanno montato attorno a questi fatti lanciando accuse roventi, ripetute e immotivate contro il Capo dello Stato. Se fossero in buona fede sarebbe il momento di chiedere pubblicamente scusa per l'errore commesso, ma siamo certi che non lo faranno. Coglieranno anzi l'occasione per estendere l'accusa di faziosità e di servilismo alla Corte costituzionale imitando in questo modo l'esempio fornito da Silvio Berlusconi tutte le volte che attaccò la "Consulta comunista" per aver cassato alcune leggi "ad personam" proposte da lui o dal suo partito.

Quello compiuto da alcune forze politiche e mediatiche non è dunque un errore commesso in buona fede ma una consapevole quanto irresponsabile posizione faziosa ed eversiva che mira a disgregare lo Stato e le sue istituzioni. Sembra quasi un fascismo di sinistra.

(05 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/05/news/ragioni_diritto-48093988/?ref=HREA-1
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« Risposta #391 inserito:: Dicembre 07, 2012, 04:39:55 pm »

Opinioni

Viaggio dell'anima tra quaggiù e laggiù

di Eugenio Scalfari

(15 novembre 2012)

Il libro di David Grossman, "Caduto fuori dal tempo", scritto dopo la tragica morte del figlio durante uno dei tanti scontri delle truppe israeliane al confine con il Libano, è forse il più bello della sua opera letteraria. Non è un racconto, è pura poesia, il viaggio dell'anima tra due luoghi della fantasia, il "quaggiù" e il "laggiù". Può sembrare - e in alcune pagine è certamente questo il senso delle parole - che il "quaggiù" rappresenti la vita e il "laggiù" un oltremondo non identificato, dove la vita continua in forme sconosciute ma altrettanto reali. Ma a parte quelle rare pagine non è questa la vera essenza e il fascino che emana da quella prosa poetica e dalla sua intensità.

IL SENSO E' L'ANIMA VAGANTE in un viaggio nel mistero senza bussola, senza punti di riferimento, senza stelle. Un'anima né disperata né beata ma dolcemente triste, malinconica, solitaria. "Animula tremula" è la definizione che più si adatta alle voci narranti che sono molte ma tutte riconducibili a una sola persona. In questo contesto il "quaggiù" e il "laggiù" non sono così diversi tra loro come potrebbe lessicalmente apparire. Servono - così pare a me - a scandire il moto di quell'anima errabonda e forse il transito continuo da un barlume d'identità e di consapevolezza del sé all'abbandono nelle braccia di un caos di permanente smarrimento dalla penombra all'ombra. Il fascino del libro sta interamente nella sua capacità di suscitare in chi lo legge un'identificazione con quell'anima errabonda che non cerca la verità né il senso ultimo della sua esistenza. Ove mai l'avesse cercato prima di allora, un evento, un'irreparabile sventura le ha tolto il bisogno d'una motivazione. Quell'anima ha subìto un trauma definitivo, una mutilazione insostenibile che ha annullato il pensiero e quindi la ricerca del senso. In un mondo insensato non esistono più le forme, tutto è indistinto, tra l'esistere e il non esistere non ci sono confini, non c'è né vera vita né vera morte ma soltanto l'"essere" allo stato puro. L'"essere" è caotico per definizione, sostanza senza forma, impalpabile fluidità.

QUANDO NOI PENSIAMO al caos l'immagine che il pensiero ci porta è quella di una permanente tempesta cosmica, paurosa e al tempo stesso creativa, dalla quale emergono incessantemente le innumerevoli forme dell'esistente, ciascuna con le proprie leggi naturali, la propria evoluzione e infine il proprio disfacimento e il ritorno all'essere indistinto. Ma il caos in cui vaga l'animula descritta nel libro di Grossman non è creativo, ha perso la capacità di articolare nuove forme, nuovi mondi. Sta celebrando un lutto universale. Il figlio è morto, l'anima che celebra il lutto è quella del padre. Il figlio non tornerà più e insieme a lui è scomparso anche il logos. In principio era il logos, il verbo, dicono le Scritture in cui sia il figlio sia il padre credevano. Ma il verbo è scomparso insieme alla mente capace di pensarlo. Scomparsa è la mente del figlio e scompare quella del padre. L'"essere" permane ma il pensiero è fuggito per sempre e non tornerà più. E poiché l'uomo intanto esiste in quanto è in grado di pensare se stesso, ecco che è l'uomo a essere scomparso. Si potrebbe anche dire che questo libro sia una discesa agli Inferi. Inferi che non hanno nulla dell'Inferno dantesco, delle bolge e malebolge, dell'acqua cupa dello Stige, dei gironi dove viene inflitta la punizione eterna dei peccati. Quell'Inferno fa da specchio cupo al Paradiso splendente delle beatitudini. Le anime dei peccatori soffrono orribilmente seguendo la legge del contrappasso, ma esistono. Le loro anime sono vitali come e addirittura di più di quelle che assaporano nell'alto dei cieli la beatitudine d'essere immerse nella luce di Dio.

MA GLI INFERI DI GROSSMAN non sono un luogo di tormenti. Si intravede semmai una sorta di limbo, senza luce né buio. Ricorda la grande cantata di Rilke su "Orfeo. Euridice. Hermes" se c'è un precedente di altissima poesia al libro di Grossman, è quello. L'autore tuttavia non soltanto ha creato il suo libro ma nei sei anni trascorsi dal trauma subìto ha vissuto e operato, ha mantenuto e perfino accresciuto il suo impegno civile, politico, letterario. Ha insomma continuato a realizzare se stesso al punto di concepire il "quaggiù" e il "laggiù" che postulano poeticamente quell'"essere" che è dovunque e in nessun luogo, che non conosce luce né buio, che ha cessato di creare forme ed estenua quelle esistenti senza tuttavia cancellarle del tutto, ombre di un se stesso che giace non nella morte ma in un eterno e immemore riposo. Questa è l'arte e la sua forza.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/viaggio-dellanima-tra-quaggiu-e-laggiu/2195025/18
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« Risposta #392 inserito:: Dicembre 15, 2012, 04:47:40 pm »

Opinione

Cosa resta (comunque) dei prof

di Eugenio Scalfari

In Italia, per anni, hanno prevalso i politici che 'sapevano comunicare' e basta. Il che creava una classe dirigente non migliore dei cittadini. Con il governo uscente, questo meccanismo si è rotto

(06 dicembre 2012)

Tra i tanti talenti che distinguono le persone una dall'altra c'è anche quello della comunicazione; riguarda il rapporto che quella persona riesce ad instaurare con gli altri, a farsi intendere e possibilmente a convincerli ad accettare le sue proposte e a condividere le sue idee.

Il comunicatore è un estroverso e le due parole sono quasi sinonime, quasi ma non del tutto perché può anche essere un estroverso che non ha nulla da comunicare e cerca soltanto d'apparire simpatico. Il vero comunicatore invece, oltre che a riuscir simpatico, deve avere qualcosa da vendere perché il vero sinonimo è la parola venditore. Non importa che cosa venda: cose materiali o immateriali, idee oppure oggetti, informazioni oppure abitazioni, progetti oppure lingotti d'oro. Il comunicatore-venditore è una vocazione innata che spesso diventa una professione. Il giornalista, il capo d'un ufficio stampa, l'uomo politico, il romanziere, possono essere comunicatori-venditori. Se non lo sono falliranno nella loro professione.

COMUNICATORI SI NASCE ma anche si studia per capire alcune tecniche che riguardano soprattutto il tipo di persone alle quali i loro messaggi debbono indirizzarsi, l'abbigliamento da indossare, il linguaggio, le tecniche di approccio. Si chiama "marketing", una parola inglese ormai entrata nel lessico internazionale. Lo stato del marketing suggerisce le tecniche appropriate per conquistare la fiducia di quel pubblico senza il quale le parole del comunicatore sono spazzate via dal vento. Perfino il corteggiamento amoroso si avvale di queste tecniche, il "playboy" infatti è un mestiere. L'amore vero infatti è tutt'altra cosa.

Ma il campo più appropriato è la politica specie da quando si rivolge ad un pubblico di massa utilizzando le nuove tecnologie della radio, della televisione e della rete. Non sono molti i politici dotati di capacità comunicative e non sempre la loro è un buona politica, anzi non lo è quasi mai. La buona politica si dovrebbe giudicare dai fatti e dai risultati, ma i fatti e i risultati hanno bisogno d'un tempo lungo per essere percepiti. Le emozioni invece sono immediate anche se molto spesso producono cattiva politica.


PER I POLITICI che perseguono una visione del bene comune le loro capacità comunicative consistono nello spiegare con chiarezza i loro concreti programmi. Quanto tempo sarà necessario per realizzarli, quali sacrifici bisognerà sopportare e quale benessere ne deriverà. E poi, una volta fornite queste spiegazioni rivolte soprattutto alla razionalità del pubblico che le ascolta, lavorare lavorare lavorare per ottenere i risultati sperati e promessi.

Ma i comunicatori che si rivolgono agli istinti emozionali del loro pubblico promettono felicità immediate e facili da raggiungere. Sacrifici, nessuno, ci penserà il comunicatore a sopportarli, è cosa che riguarda soltanto lui, è fatica sua. La sola condizione per poterla sopportare e condurre a termine è che gli sia dato il potere per affrontare quella fatica. Il risultato di solito è pessimo o del tutto inesistente, ma gli illusi se ne accorgeranno molto più tardi. Nel frattempo il cattivo comunicatore avrà modificato le condizioni della società in peggio, avrà creato clientele compensate dai suoi benefici, stigmatizzerà gli avversari come nemici della patria.

Noi italiani siamo un popolo particolarmente emotivo. Naturalmente non siamo i soli, l'emotività è un aspetto del carattere diffuso dovunque ed esiste in ciascuno di noi. Quella che varia è la misura, dove si colloca la soglia al di qua della quale l'emotività è fisiologica e al di là diventa una malattia.

Gli italiani sono al limite di quella soglia e un comunicatore talentuoso che abbia interesse a fargliela varcare ci riesce facilmente. Infatti la nostra storia è costellata da politici di cortissima vista, disposti a seminare illusioni, a premiare clientele, a governare per l'arricchimento dei già forti e l'esclusione dei sempre deboli. Ne abbiamo avuta una collezione, si potrebbe definire l'album delle occasioni perdute e talvolta culminate in vere e proprie catastrofi nazionali.

Non è un caso che la disoccupazione, il cosiddetto esercito di riserva, abbia sempre oscillato nel nostro Paese attorno a 2-3 milioni di persone, in gran parte residenti nel Mezzogiorno e nelle campagne. Il mercato economico della piena occupazione si realizzò soltanto tra il 1958 e il 1965, preceduto e seguito da emigrazioni di massa.

E NON E' UN CASO che uno degli strumenti per rendere meno pesante quel fenomeno sia stato - prima e dopo il breve periodo del miracolo - l'impiego negli uffici dello Stato e del parastato, creando una burocrazia pletorica e inefficiente. Non è infine un caso se la borghesia produttiva e "illuminata" sia stata scarsissima, protetta comunque da dazi e commesse pubbliche.

Se è vero che la nostra classe dirigente è stata nel complesso scadente, è altrettanto vero che ogni paese ha la classe dirigente che si merita.

Per questo il governo Monti ha rappresentato una positiva rottura col passato e le primarie del Pd una promessa di miglior futuro.

Un auspicabile governo che abbia una forte impronta di centrosinistra nel quadro di una continuità innovativa con quello attualmente in carica potrebbe finalmente costruire un paese dove una maggiore eguaglianza conviva con una responsabile libertà inaugurando una stagione che dia ai giovani occasioni e concrete speranze.

Questa è la scommessa che dovrebbe cominciare con le elezioni regionali del prossimo 10 febbraio e continuare con quelle politiche dell'aprile. Libertà, eguaglianza, Europa: questo è l'augurio col quale salutare l'anno che sta per concludersi.
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« Risposta #393 inserito:: Dicembre 16, 2012, 11:53:16 pm »

   
Speriamo che il premier non cada in tentazione

di EUGENIO SCALFARI


MARIO MONTI è stato tentato. Non è un santo, ma un buon cattolico sì, lo è. Conosce i precetti della Chiesa e li osserva e sa che i santi sfidano la tentazione per mettersi alla prova. Di solito resistono alle lusinghe del tentatore che è lo spirito della terra, cioè Lucifero o comunque si chiami l'angelo decaduto e diventato diavolo. Perfino Gesù sfidò il diavolo ritirandosi nel deserto per quaranta giorni. Ma per lui era facile sconfiggerlo: era il figlio di Dio o credeva di esserlo, perciò sconfisse il tentatore e tornò a predicare la salvezza delle anime.

Monti non si è ritirato nel deserto ma è stato invitato a Bruxelles al congresso del Partito popolare europeo. Non c'era il diavolo a Bruxelles ma i capi del Ppe e i primi ministri europei militanti in quel partito. E tutti - a cominciare da Angela Merkel - si sono congratulati con lui per la politica attuata in Italia e in Europa, l'hanno esortato a continuare l'opera sua anche dopo le elezioni politiche del prossimo febbraio. Non hanno detto esplicitamente con quale ruolo ma implicitamente glielo hanno fatto capire: guidare le forze politiche dei moderati, cattolici o non cattolici. I modi per conseguire quell'obiettivo e guidare anche il governo, questi riguardano lui altrimenti si tratterebbe di un'ingerenza che nessuno in Europa vuole compiere.

Monti si è riservato e farà conoscere le sue decisioni prima di Natale. Perciò nulla sappiamo su quanto deciderà, ci sta pensando. Se cadesse
in tentazione commetterebbe un peccato di ambizione. Ambizione legittima ma comunque un peccato. Massimo D'Alema lo ha pubblicamente diffidato: metterebbe in difficoltà il Pd, il partito che più degli altri lo ha lealmente appoggiato fin dall'inizio quando Berlusconi si dimise e il Pd avrebbe potuto chiedere che si andasse subito alle elezioni che probabilmente avrebbe vinto. Bersani respinse quella pur legittima tentazione nell'interesse dell'Italia. Bersani non è certo un santo e non credo neppure che sia un cattolico praticante, ma dette un contributo alle sorti d'un Paese in emergenza.

L'emergenza dura tuttora e il Pd ha dichiarato di mantenere tutti gli impegni che il governo Monti ha preso con l'Europa. Monti a sua volta ha confermato d'esser disponibile a contribuire al superamento dell'emergenza economica se sarà chiamato a farlo dal nuovo Parlamento e dal nuovo governo che uscirà dalle urne. Con quale ruolo non l'ha precisato.

Ieri però ha detto al nostro giornale una cosa della massima importanza: non starà mai più con Berlusconi malgrado adesso con una giravolta di grande maestria il Cavaliere si sia dichiarato montiano.

Le cose sono dunque a questo punto: Monti non starà mai più con Berlusconi; darà un contributo se richiesto. Perfetto, ma in quale ruolo? Se cederà alla tentazione il ruolo non può che essere quello di primo ministro; ma qui c'è di mezzo il popolo sovrano chiamato al voto e il presidente della Repubblica cui spetta la nomina del premier e dei ministri da lui proposti. Se dalle urne il Pd uscisse vincente, rafforzato nella vittoria dal premio previsto dalla legge che assegna al primo arrivato il 55 per cento dei seggi della Camera, la guida del governo spetterebbe a quel partito salvo il risultato raggiunto al Senato dove il premio scatta con un meccanismo del tutto diverso.

A quel punto la parola passerà al centro moderato, guidato o sponsorizzato da Monti; oppure con Monti in panchina "en réserve de la République", pronto a contribuire sia nell'un caso sia nell'altro.

* * *

Il centro, allo stato delle cose, è senza testa. È composto dall'Udc di Casini; in posizione più defilata dal gruppo di Fini. Sommati insieme, secondo gli ultimi sondaggi, arrivano all'8-9 per cento. Con Montezemolo e Riccardi possono aspirare al 12. Una lista guidata da Passera (o la medesima) potrebbe arrivare al 18 o forse al 20. Sponsorizzati da Monti fin forse al 25. Guidati direttamente da Monti addirittura al 30 o perfino sfondare al 35. A quel punto il risultato complessivo sarebbe sulle ginocchia di Giove ma la cosa certa è che se Monti scenderà in qualche modo in campo lo scontro politico ed elettorale si svolgerà tra il centro e la sinistra riformatrice con Berlusconi e i suoi relitti in posizione di arbitro e il Movimento 5 stelle altrettanto.

D'Alema ha certamente usato toni sconvenienti nei confronti di Monti, ma le ipotesi fin qui esposte corrispondono alla sostanza delle sue parole e configurano una situazione da incubo non per il Pd ma per il Paese. Se si vuole evitarla Monti deve restare in panchina oppure sponsorizzare insieme il centro e il centrosinistra. Questa sarebbe la soluzione ottimale.

* * *

Si dice: ma Vendola? Ma i popolari di Fioroni? Ma Renzi? Ma la sinistra radicale? Non credo che i problemi siano questi e semmai possono emergere nel solo caso d'uno scontro diretto tra centro e centrosinistra.

Si dice anche: l'agenda Monti va comunque rispettata, il resto sono solo chiacchiere. Vero. Personalmente, per quel che vale, l'ho scritto da sempre. Ma qual è l'agenda Monti? Lo sappiamo: rispettare gli impegni presi con l'Europa, in parte già attuati e in parte da attuare.

Quelli attuati riguardano il rigore dei conti pubblici; quelli da attuare riguardano il rilancio dello sviluppo, dell'occupazione e dell'equità sociale.

Bersani si è impegnato a rispettare i primi e ad attuare con equilibrio e gradualità i secondi. Da questo punto di vista l'agenda Bersani coincide con l'agenda Monti e con le richieste dell'Europa e anche con l'agenda del centro con qualche leggera variante. Ma esiste un terzo capitolo, determinante, ed è la costruzione dello Stato federale europeo.

Questo capitolo è al tempo stesso montiano, bersaniano, centrista. È dunque assolutamente chiaro che queste forze politiche debbono stare insieme. Non si esce dall'emergenza se non mantenendo il rigore e rilanciando sviluppo ed equità. E non si costruisce il futuro se non unificando l'Europa o almeno l'Eurozona.

Questi obiettivi sono al tempo stesso ambiziosi e necessari. In Europa hanno molti alleati. La Merkel è una di questi, specie quando avrà superato le elezioni e tanto più se dovrà allearsi con la socialdemocrazia. Mario Draghi è l'altro pilastro che opera efficacemente e fin dall'anno scorso in quella direzione. Obama ha lo stesso obiettivo che conviene all'America anche se deve scontrarsi con una forte opposizione delle grandi banche d'affari americane.

In Italia c'è un precedente che va ricordato. In un altro periodo d'emergenza nazionale, determinato dal terrorismo, la risposta politica della classe dirigente italiana fu l'alleanza tra Moro e Berlinguer. Moro fu rapito e ucciso dalle Br ma l'alleanza restò in piedi, anzi si rafforzò ancora di più, con Zaccagnini (e Pisanu) e Andreotti e Cossiga da un lato, e tutto il Pci compattamente dall'altro. Se lo ricordi Casini, se lo ricordi Vendola. Montezemolo se lo faccia raccontare.

C'era anche Paolo VI in quell'alleanza, naturalmente nei modi e nelle forme appropriate ad un Pontefice. Lo tengano ben presente Benedetto XVI, il cardinale Bagnasco e il vecchio, ma sempre combattivo cardinal Ruini. Non spetta a loro costruire o incoraggiare un partito; loro debbono perseguire la pace, anche quella politica.
Infine c'è un sostegno determinante per l'attuazione dell'agenda Italia, si chiama Giorgio Napolitano. Le elezioni anticipate hanno comportato qualche difficoltà attuativa ma hanno consentito un fondamentale vantaggio: il regolatore della partita, prima e dopo il responso delle urne, sarà il Quirinale. Noi l'abbiamo sempre sperato ed ora è finalmente accaduto. Per iniziativa di Monti e per decisione di Napolitano.

Tutto è dunque di buon auspicio e suggerisce di resistere alle tentazioni. "Unicuique suum" e "Non praevalebunt" diretto agli anti-europeisti e quindi anti-italiani. È questo che speriamo accada.

(16 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/16/news/speriamo_che_il_premier_non_cada_in_tentazione-48850195/?ref=HRER1-1
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« Risposta #394 inserito:: Dicembre 23, 2012, 06:12:17 pm »

Ecco il memorandum di Monti: "Qualcosa mi dice di non candidarmi.

Ma insieme va ricostruito il paese"

Il presidente del Consiglio alla vigilia della conferenza stampa di fine anno in cui proporrà la sua ricetta per il nuovo governo.

"Centro e Pd dovranno allearsi dopo il voto. Mai con Berlusconi, dobbiamo fare muro e limitare il riafflusso della destra populista"

di EUGENIO SCALFARI

   
HO INCONTRATO Monti nel suo studio di Palazzo Chigi. Erano le nove e mezza del mattino e lui m'aveva invitato a prendere insieme un caffè. È stato un caffè molto lungo perché sono uscito alle dieci e tre quarti. In quest'anno del suo governo l'avevo incontrato una sola volta a Bologna dove con Ezio Mauro lo intervistammo nel teatro della città.

Eppure ci conosciamo da molto tempo: nel 1950 io dirigevo l'ufficio estero della Banca Nazionale del Lavoro nella filiale di Milano guidata da suo padre. Diventai amico del Monti senior che di tanto in tanto mi invitava a cena a casa sua insieme ad altri collaboratori del suo staff. Monti junior aveva più o meno dieci anni, io ne avevo ventisette. Ma molti anni dopo, quando lavorava alla Bocconi di cui poi fu rettore, diventammo amici, ci incontravamo e ci telefonavamo spesso e quando veniva a Roma spesso ci vedevamo a "Repubblica".

Racconto queste cose per meglio inquadrare il nostro colloquio. Mentre scrivo queste righe non sappiamo ancora, né voi né io, che cosa dirà stamattina nella conferenza stampa con la quale si conclude la sua azione di governo. Annuncerà qualche cosa, ma che cosa? Nel pomeriggio di venerdì è andato al Quirinale a dimettersi dopo un breve Consiglio dei ministri che ha formalizzato le dimissioni del governo. Nel frattempo Camera e Senato avevano approvato la legge di stabilità finanziaria.

Non credo di commettere un'indiscrezione se racconto i passi principali del nostro colloquio. Due amici si scambiano opinioni sulla situazione politica mentre una legislatura finisce e un governo nato per gestire l'emergenza economica rassegna le dimissioni.

Siamo all'inizio d'una campagna elettorale decisiva per molti aspetti, non solo per l'Italia ma anche per l'Europa di cui l'Italia è un tassello essenziale. Forse le cose che ci siamo dette possono servire a chiarire alcune questioni. Del resto non ci sono segreti da rivelare ma soltanto una trasparenza utile ad orientarci.

* * *

Che cosa pensi di fare? gli ho chiesto quando ci siamo seduti uno di fronte all'altro. Non avevo più messo piede in quella stanza dai tempi dell'ultimo governo Amato, alla vigilia delle elezioni del 2001. "Parla tu e dimmi come vedi le cose" ha risposto.

Io le cose le vedo così. Anzitutto, quale che sia il risultato che uscirà dalle urne, Monti è una persona indispensabile per garantire l'Italia di fronte agli alleati europei e americani e lui ne è pienamente consapevole. Del resto l'ha già detto più volte. Ricordatelo. Hai detto: sarò disponibile a dare il mio contributo se chi ha titolo per farlo me lo chiederà. Ricordo bene? "Sì, ricordi bene, ho detto così".

Il titolo per farlo ce l'ha anzitutto il presidente della Repubblica. Napolitano avrebbe preferito che si votasse ad aprile alla scadenza naturale della legislatura o al più presto a marzo; in quel caso non sarebbe toccato a lui dare l'incarico al nuovo capo del governo, bensì al suo successore. Alfano però, sotto la spinta di Berlusconi, dichiarò che il suo partito considerava chiusa la partita e nel tempo che restava avrebbe votato solo i provvedimenti che approvava. Sugli altri si sarebbe astenuto anche se fosse stata posta la questione di fiducia e così fece fin dalla prima occasione. In Senato, tra l'altro, l'astensione equivale a voto contrario. Insomma volevano cuocerti a fuoco lento per altri tre mesi. La tua risposta è stata quella di preannunciare le tue dimissioni immediate, non appena fosse stato approvata la legge di stabilità finanziaria. Napolitano si è molto rammaricato ma non con te bensì col partito che aveva provocato una crisi inevitabile. Io personalmente sono contento che le cose siano andate in questo modo perché dà molta più sicurezza agli italiani che il risultato elettorale e la formazione di un nuovo governo siano gestiti da Napolitano.

"Questa è anche la mia opinione".

Aggiungo ancora una riflessione a questo proposito: il Porcellum è una legge vergognosa perché confisca la libertà degli elettori di scegliere i loro candidati al Parlamento, ma consente però di decidere qual è la maggioranza alla quale affidare il compito di governare. Nelle attuali condizioni una legge elettorale a base proporzionale avrebbe eletto un Parlamento ingovernabile.

"Su questo punto non sono d'accordo, ci sono già 20 liste in preparazione, ti pare poco?".

Alcune si coalizzeranno tra loro e la maggior parte sono liste di peso numerico assai scarso. Quelle che contano in questa partita a scacchi saranno quattro o al massimo cinque: le liste di Berlusconi, il Centro, il Centrosinistra, Grillo, la Lega. "Non sono pochi". Hai ragione, non è poco ma non sono venti.

"Come valuti Berlusconi?".

Più forte di quanto molti pensino. Il suo vecchio elettorato l'aveva lasciato e preferiva astenersi, ma ora che è tornato in scena e farà campagna contro di te che sei accusato d'aver imposto sacrifici insopportabili sulle spalle dei "soliti noti" cioè delle fasce sociali deboli e del ceto medio, i suoi ex elettori in gran parte lo voteranno ancora. Aggiungi la sua propaganda contro i comunisti e vedrai che i suoi voti aumenteranno un bel po'.

"Per la sesta volta? Dopo aver visto quali danni ha fatto all'economia italiana e alla credibilità del paese?".
Il nostro, caro Mario, è un paese molto emotivo e di memoria assai corta. Ed è anche un paese con molti furbi. Il populismo c'è dovunque ma da noi più che altrove. I furbi scambiano il voto con qualche favore chiesto e ricevuto, i gonzi credono alle promesse che non saranno mai mantenute e si scordano d'esser già stati per cinque volte gabbati.

"A quanto valuti i berlusconiani?"

Al 20 per cento e forse anche di più. "Anch'io faccio analoghe valutazioni. Questo è uno dei motivi per i quali bisogna rafforzare il Centro: fare muro e limitare il riafflusso alla destra populista".

Ma tu quanto valuti il Centro, quello attuale, Casini, Fini, Montezemolo con il tuo ministro Riccardi? "Conosco i sondaggi. Così com'è, lo stimano tra il 9 e il 12 per cento". Così com'è vale a dire senza di te.
"Esattamente, senza di me". Loro però diranno che in ogni caso vogliono te a capo del nuovo governo. "Questo nessuno glielo può impedire". A te fa piacere? "Beh, sì, mi fa piacere". E se tu ti metti alla loro testa, quanto vali tu come moltiplicatore? "Questo non lo so. Vedo che i sondaggi su di me mi danno intorno al 40 per cento; alcuni anche di più".

Secondo me meriti di più, hai salvato il paese dal baratro in cui stava precipitando e gli hai ridato una credibilità che avevamo perso da tempo. Ma tieni conto che più del 60 per cento preferisce che tu non partecipi alla campagna elettorale. Ma c'è un ultimissimo sondaggio: se ti metterai alla testa del Centro, la loro quota aumenterà del 6 per cento. Dal 10 al 16. "Tu pensi che accadrebbe così?". Parliamo di sondaggi, valgono quel che valgono. Se il Centro facesse blocco con Berlusconi, arriverebbe almeno al 30 per cento se non di più.

"Sai bene che non lo farò mai". Certo che lo so. Però si dice che alcuni parlamentari del Pdl vorrebbero transitare in liste da te guidate. "Alcune persone per bene, sì, vorrebbero venire al Centro e io non sarei contrario". Mi viene in mente il nome di Pisanu, ma lì finisce l'elenco. "Ce n'è qualcun altro". Bada, non vanno oltre le dita d'una mano ma comunque la questione non è la transumanza dei parlamentari bensì il consenso degli elettori. Il Centro di Casini esiste ormai da molto tempo, quello di Fini da due anni, ma non hanno mai decollato. Casini oscilla tra il 6 e il 7, Fini con il 2. Non si muovono da lì.

"Perché sono politici fin da ragazzi e la gente non sopporta più i politici professionali. Si parla ormai di esperti e di società civile. È questo che non fa decollare il Centro, cioè i partiti che lo rappresentano e che non sono populisti. Questo è un loro pregio ma non porta voti. Un movimento della società civile forse li porterebbe".

Montezemolo, secondo te, rappresenta la società civile?

"Rappresenta in qualche modo le imprese. Riccardi è il fondatore di Sant'Egidio...". E rappresenta la Chiesa. Anche tu sei cattolico, ma non rappresenti la Chiesa. Io non credo che la religione si debba occupare di politica e di partiti. Purtroppo vedo che se ne occupa ma non credo sia sopportabile. Carlo Azeglio Ciampi è cattolico ma ha rappresentato il laicismo dello Stato. Lo stesso fece Scalfaro che era cattolicissimo ma laicissimo. Napolitano poi è tutt'altra cosa.

"Anch'io sono laico nel senso che tu intendi". Lo so e per questo dico che una lista imbottita di persone pur degnissime che fanno parte di Comunione e Liberazione o di Opus Dei, o di Acli o di altre analoghe associazioni del tipo delle cooperative bianche e dei coltivatori diretti cattolici, non è società civile ma Chiesa militante. Allora il piano cambia, si rifà la Dc.

"Nessuno di noi pensa questo e io non mi propongo un obiettivo del genere". Di te sono certo, di altri tuoi compagni di viaggio sono assai meno convinto. Può darsi che io abbia un pregiudizio su questo argomento, come sai sono laico e non credente. Ma ammiravo e frequentavo il cardinal Martini che non godeva di gran favore nella Chiesa di Bertone. Quanto alla Dc, c'era una forte sinistra nella Dc di allora. Non vedo una sinistra nell'eventuale Dc che nascesse oggi.

"Senti, sono stato a Melfi l'altro giorno...". Posso dirti che stare in una fabbrica da cui era esclusa la Cgil non ti giova? "Mi ha provocato molti attacchi, lo so, ma quel cortile era pieno di operai, migliaia di operai. Non credo che fosse una claque, erano lavoratori che vedevano tornare il lavoro. Per questo applaudivano. Mi sono commosso a vederli e ad ascoltarli". Capisco. Ma fuori dai cancelli ce n'erano altri di operai, che non sono stati fatti entrare. Questo non va bene, non ti pare?

"Infatti mi è dispiaciuto, ma non spettava a me di aprire i cancelli". Mi permetterai di dire che forse dovevi farne cenno nel tuo discorso. Comunque torniamo a te. Hai deciso? Lo dirai domenica nella conferenza stampa?

"Ecco il punto. Domenica farò un bilancio consuntivo dei miei 400 giorni di governo, come ho ereditato una situazione fallimentare e come la lascio oggi. Elencherò gli impegni presi con l'Europa e già adottati, e gli impegni non ancora attuati ma già previsti".

L'agenda Monti insomma. "Sì, gli impegni che ci hanno ridato credibilità e che non possono essere smantellati senza ripiombare nel precipizio che abbiamo evitato". Quello che Grillo contesta e i berlusconiani rimettono in discussione.

"Purtroppo li contestano anche la Camusso e Vendola. Questa è una forte differenza tra il Centro e il Pd".

Per quanto riguarda la Camusso, hai ragione, secondo me però è un personaggio con la quale bisognerebbe aprire un discorso serio.

"Tu l'hai fatto e scritto quando la mettesti di fronte alla politica riformista di Luciano Lama". Sì, lei mi rispose a male parole e soprattutto disse che la situazione di oggi è molto diversa da quella di allora. In questo però aveva ragione.

"Comunque la Cgil vuole smantellare l'agenda degli impegni con l'Europa. Questo è un obiettivo impensabile".

Bersani però ha riconfermato che il Pd rispetterà tutti gli impegni presi ed è andato a dichiararlo a Bruxelles l'altro giorno. L'aveva già detto ripetutamente nei dibattiti nelle primarie. Del resto io ricordo che tra gli impegni presi da te e dall'Europa c'erano anche equità e sviluppo. Il Pd ritiene che anche questi sono impegni da rispettare ma ancora evanescenti. Quanto a Vendola hai torto. Te lo dico perché tu ne tenga conto. Vendola vuole trasformare il welfare perché quello attuale  -  è lui che lo dice  -  non tiene conto della realtà, dei contratti nuovi e innumerevoli, della società invecchiata. Insomma della modernità. Mette al primo posto la necessità di investire nella scuola, prima di ogni altro obiettivo secondo lui c'è quello: scuola, università, ricerca. Gli ho chiesto, in un incontro di pochi giorni fa, chi sono i suoi punti di riferimento, le persone rappresentative dei valori in cui crede e questa è stata la risposta: Gramsci e Gobetti. Mi ha sorpreso. Gli chiesto: e i fratelli Rosselli? Ha risposto: certo anche loro e il liberalsocialismo. Gli ho detto: ma da quanto tempo la pensi così? Ha riposto: da quando ho cominciato ad amministrare la Puglia, una delle regioni più grandi d'Italia e più moderne.

"Sarà così e ne sarei contento, ma per ora non parla in questo modo. Camusso, Vendola e molti altri nel Pd vogliono e dicono di voler smantellare quello che è stato fatto. Io sono del parere di Ichino che del resto è uno dei più fedeli a quel partito e credo nell'onestà intellettuale di Bersani".

Torniamo alla tua conferenza stampa. Gli impegni che hai effettuato e quelli che dovranno essere realizzati. E poi?

"Poi leggerò un messaggio, un memorandum, forse è meglio chiamarlo così, rivolto al Paese". Non anche alle forze politiche? "Al Paese, alla pubblica opinione e alle forze sociali e politiche".

E che cosa dirai?

"Proporrò un programma che a mio avviso dovrebbe essere attuato fin dall'inizio, nei primi cento giorni del nuovo governo". E cioè? "Una legge aggiuntiva contro la corruzione; quella varata poche settimane fa è stata di fatto concordata con la cosiddetta "strana maggioranza", ma è manchevole, consapevolmente manchevole di alcuni punti importanti. Bisogna completarla. Altrettanto bisogna fare con le liberalizzazioni. Bisogna rendere più penetrante l'azione antitrust in favore della libera concorrenza. Portare a termine l'impegno di abolizione delle Province. Cambiare la legge elettorale basandola sui collegi. Dimezzare il numero dei parlamentari. Portare avanti al riforma fiscale. Difendere fino in fondo la riforma delle pensioni. Cambiare il welfare e creare un sistema generale di ammortizzatori sociali. E soprattutto investire nelle scuole superiori, nell'università e nella ricerca".

Ci sono molti punti comuni con il Pd. "Certo". Tu pensi ad un'alleanza post elettorale?

"La considero indispensabile. Dobbiamo ricostruire la pubblica amministrazione e costruire lo Stato dell'Europa federale. Ti sembrano compiti che possano essere portati avanti da un solo partito? Ci vuole una grande alleanza perché si tratta di una vera e propria rivoluzione".

Ma poi che altro dirai? Ti proponi come portabandiera e leader del Centro?

"Non lo so ancora. Ma dentro di me qualcosa mi dice di no. Chi si impegna nelle elezioni lo fa per vincere. Poi ci si può anche metter d'accordo ma alcune ferite possono essere inflitte da una parte e dall'altra. Io non voglio che questo accada tra due forze che poi dovranno necessariamente stare insieme".

E allora?

"Allora ci dormo sopra. So che Napolitano preferirebbe che io, pur incoraggiando la parte politica a me più congeniale, restassi in panchina. Vedrò. La notte porta consiglio. Intanto Buon Natale".

Ci siamo dati la mano e mi ha accompagnato fino all'ascensore. Davanti ai commessi e ad alcuni suoi collaboratori mi ha abbracciato. Sobrio in privato, affettuoso in pubblico. Avrà certo le sue ragioni. A me ha fatto molto piacere.


(23 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #395 inserito:: Dicembre 28, 2012, 04:23:12 pm »

Opinione

Che cosa vuol dire questione morale

di Eugenio Scalfari

Enrico Berlinguer l'aveva spiegato bene già nel 1981: non è solo un problema di onestà della classe dirigente, bisogna difendere le istituzioni dalla partitocrazia che le ha invase. Un obiettivo ancora attuale

(27 dicembre 2012)

La settimana scorsa ero a Bologna per presentare la raccolta dei miei scritti giornalistici e letterari nella collana dei Meridiani.
Le sale della Biblioteca del Comune ospitano un milione di volumi. Le decorazioni di quelle sale non hanno paragone, danno la percezione fisica che le radici del nostro Paese affondano in larga parte in quella terra, dove si respira al tempo stesso un'aria di solide tradizioni e di audaci innovazioni.

Nel corso del dibattito mi sono state poste molte domande sui temi che il mio Meridiano può stimolare sulla filosofia, sull'arte, sul linguaggio e anche sulla politica. Temevo che l'interesse per la politica, mai come in questi giorni di attualità, finisse col mettere ai margini i temi di letteratura e di filosofia; invece non è stato così. La sola domanda politica ha riguardato la mia intervista con Enrico Berlinguer del 1981 sulla questione morale. Che cosa intendeva dire il leader del Pci parlando di questione morale? E il suo pensiero di trent'anni fa è ancora attuale?

BERLINGUER CHIARI SUBITO che la questione morale non riguardava i tanti casi di disonestà e illegalità anche allora commessi nei partiti, nel mondo delle imprese e nella classe dirigente considerata nel suo complesso. Quei casi ci sono sempre stati in Italia e in tutti i paesi del mondo. Sono reati deprecabili, accadono in tutte le epoche e in tutti i regimi, debbono essere denunciati e perseguiti, ma non è questa la questione morale cui si riferì Berlinguer. Lui la definiva invece «l'occupazione delle istituzioni da parte dei partiti».

I partiti, compreso lo stesso Pci a livello locale ma tutti gli altri anche a livello nazionale, stavano deformando la democrazia italiana.
Le istituzioni sono – dovrebbero essere – depositarie dell'interesse generale dello Stato, mentre i partiti sostengono ciascuno la propria visione del bene comune e su quella base chiedono il consenso dei cittadini. I partiti cioè debbono essere strumenti di comunicazione tra il popolo degli elettori e le istituzioni, dunque tra la società, i ceti sociali e le categorie professionali che la compongono, i loro legittimi interessi dei quali reclamano la tutela, e le istituzioni che rappresentano lo Stato e la comunità nel suo insieme. La società esprime interessi del presente, le istituzioni debbono avere invece una visione più lunga che guarda anche al futuro dei figli e dei nipoti.

Questa è la differenza che richiede una mediazione costante tra presente e futuro, garantita dall'autonomia delle istituzioni.
Se i partiti le occupano questo equilibrio si rompe, la democrazia si deforma e il populismo invade lo Stato. «E' dunque necessario – disse Berlinguer in quell'intervista – difendere le istituzioni dalla partitocrazia che le ha invase».

PURTROPPO IL PROBLEMA è più che mai attuale perché l'autonomia delle istituzioni non è stata ancora recuperata, anzi la loro occupazione ha raggiunto il culmine durante il ventennio berlusconiano. A guardar bene, i due settennati dei Presidenti della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano si sono svolti all'insegna di questo tema e qualche passo avanti nella giusta direzione è stato compiuto.
L'esperienza del governo Monti, dettata soprattutto dall'emergenza della crisi economica, ha però avuto anche questo significato: il recupero dell'autonomia istituzionale, dello stato di diritto, della separazione dei poteri; la Corte costituzionale come sede suprema, il Capo dello Stato come garante.

Le prossime elezioni ci diranno qual è la visione del bene comune preferita dalla maggioranza degli elettori e sarà quella visione a esprimere il nuovo governo, sempre avendo presente che governo, Parlamento, magistratura, sono autonome istituzioni. I passi avanti compiuti su questa strada dovranno essere preservati e portati ancora più avanti. La questione morale è questa, non è ancora stata risolta, non è alle nostre spalle ma dinanzi a noi.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/che-cosa-vuol-dire-questione-morale/2196927/18
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« Risposta #396 inserito:: Dicembre 30, 2012, 05:11:34 pm »

Per favore Professore non rifaccia la Dc

di EUGENIO SCALFARI


È CAMBIATO in appena una settimana. Domenica scorsa, davanti ad un'affollata platea della Federazione della stampa, Mario Monti aveva parlato da uomo di Stato tracciando le linee maestre d'un programma (o agenda che dir si voglia) per completare l'uscita dall'emergenza e proiettare il Paese verso il futuro dell'Italia e dell'Europa. Aveva ripetuto un punto di fondo che già conoscevo e avevo scritto riferendo una conversazione avuta con lui il giorno prima: "Dobbiamo riformare la pubblica amministrazione per adeguarla alla società globale e dobbiamo costruire lo Stato federale europeo. Si tratta di compiti estremamente impegnativi, pieni di futuro e di speranze e per condurli a termine è necessaria una grande alleanza di forze sociali e politiche che accettino questo programma".

E poi l'agenda delle cose concrete da fare: completare la legge contro la corruzione, portare avanti le liberalizzazioni, ripristinare il reato di falso in bilancio, varare una legge che risolva il conflitto d'interesse. E soprattutto, mantenere gli impegni assunti con l'Europa, stabilizzare il rigore dei conti pubblici e avviare la seconda parte di quegli impegni, la crescita economica, il lavoro, l'equità, il taglio delle spese correnti, l'alleggerimento delle imposte sul lavoro e sulle imprese, la produttività e la competitività, l'abolizione delle Province, il ruolo delle donne, il tasso demografico. "Fate più bambini" aveva concluso.

Quanto a lui, avrebbe atteso di vedere quali forze sociali e politiche avessero fatto propria la sua agenda.

Se gli avessero chiesto di dare il suo contributo alla realizzazione di quel programma, era pronto ad assumerne la responsabilità. Un bellissimo discorso, di chi opera nel presente guardando al futuro, all'insegna di uno slogan che era molto più di uno spot: il cambiamento contro la conservazione.

Ma appena due giorni dopo aveva già iniziato colloqui riservati con l'associazione di Montezemolo e con i centristi di Casini e di Fini, avendo come consiglieri i suoi ministri Riccardi e Passera; poi aveva incontrato il giuslavorista Ichino in rapido transito dal Pd alla montiana coalizione centrista; i dissidenti del Pdl guidati da Mauro, mentre cresceva il numero dei ministri del suo governo interessati a proseguire con lui l'esperienza iniziata un anno fa.

Intanto fioccavano gli "endorsement" da quasi tutte le cancellerie europee e americane ed uno decisivo da ogni punto di vista del Vaticano, proveniente dai cardinali Bertone e Bagnasco e dall'"Osservatore Romano". La Chiesa, o almeno la sua gerarchia, lo vorrebbe alla guida dell'Italia per i prossimi cinque anni.

Quindi centrismo e una spolverata cattolica. Era salito in politica domenica ma già da martedì stava scendendo per mettersi alla testa di una parte. Si era alzato dalla panchina dove, secondo l'opinione del Capo dello Stato, avrebbe dovuto restare fino a dopo le elezioni, pronto a dare soltanto allora, a chi glielo chiedesse avendone acquisito il titolo elettorale, il contributo della sua competenza e della sua autorevolezza.

Invece non è stato così. Restano naturalmente da definire ancora parecchie questioni: "Per l'agenda Monti" oppure "Per Monti" o addirittura "Monti presidente"? Su questi punti si discute ancora ma si tratta di dettagli. Intanto il commissario Bondi che finora si era dedicato con efficacia alla revisione della "spending review" si sarebbe impegnato al controllo delle nuove candidature per quanto riguarda i redditi, il patrimonio e gli eventuali conflitti di interesse.

Con il fronte berlusconiano la rottura politica è stata completa e definitiva. Questo è un fatto certamente positivo. Bersani è definito invece affidabile ma la Camusso e Vendola sono considerati più o meno bolscevichi. Casini e Fini sono appendici interessanti ma ovviamente subalterne, aderiscono ma è lui a dettare le condizioni. Benissimo il Vaticano purché senza ingerenze. Ovviamente. Del resto il Vaticano non ne ha mai fatte, neppure ai tempi di Fanfani, di Moro, di Andreotti. Ha sempre e soltanto suggerito su questioni concrete e specifiche. La prassi è sempre stata la buona accoglienza del suggerimento. Con Berlusconi poi non ci fu nemmeno bisogno di suggerire: lui giocava d'anticipo. Gli bastava un monosillabo o addirittura un mugolio, tradotto da Gianni Letta. Perciò adesso si sente tradito e forse tra poco si dichiarerà anticlericale.

Da venerdì scorso comunque Mario Monti è a capo della coalizione centrista. La panchina è vuota, perfino i palazzi del governo sono semivuoti, eppure nei 60 giorni che mancano alle elezioni ce ne sarebbero di cose da fare, di provvedimenti già approvati ma privi di regolamentazione, di pratiche da portare avanti, per quanto mi risulta in ufficio c'è rimasto soltanto Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale. Lui ha idee di sinistra, quella buona per capirci, non quella di Ingroia dove si parla solo della rivoluzione guidata dalle Procure e dell'agenda di Marco Travaglio.

Perfino il commissario Bondi ha smesso di occuparsi di "spending review" per il nuovo compito sulla formazione delle liste. Lo fa nel tempo libero o in quello d'ufficio? Ecco una domanda alla quale si vorrebbe una risposta.

* * * *

Sono andato a controllare l'agenda Bersani. Sì, c'è anche un'agenda Bersani che senza strepito è da tempo disponibile a chi vuole conoscere i programmi dei partiti.
Ce ne sono pochi in giro di partiti che non siano proprietà d'una sola persona. Anzi non ce ne è nessuno tranne il Pd. Dispiace, ma questa è la pura realtà.

L'agenda Bersani dice questo:
1. Mantenere gli impegni presi con l'Europa in tema di rigore dei conti pubblici e di pareggio del bilancio.
2. Tagliare la spesa corrente negli sprechi ma anche nelle destinazioni non prioritarie.
3. Destinare il denaro recuperato per diminuire il cuneo fiscale e le imposte sui lavoratori e sulle imprese.
4. Aumentare la lotta all'evasione e la tracciabilità necessaria.
5. Completare la legge sulla corruzione (il testo è già stato presentato in Parlamento).
6. Ripristinare il falso in bilancio.
7. Varare una legge sui conflitti di interesse e sull'ineleggibilità.
8. Adempiere agli obblighi assunti con l'Europa anche per quanto riguarda equità, occupazione, sviluppo, ancora fermi al palo.
9. Destinare le risorse disponibili alla scuola e alla ricerca, come proposto dal bolscevico Nichi Vendola e già realizzato in Francia da Hollande (che però bolscevico non è).
10. Cambiare il welfare esistente e non più idoneo con un welfare moderno e comprensivo di salario sociale minimo per i disoccupati.
11. Tagliare drasticamente i costi della politica, le Province, la burocrazia delle Regioni, privilegiando i Comuni e avviando i lavori pubblici territoriali finanziandoli con i fondi derivanti dal ricavato dell'Imu.
12. Diminuire il numero dei parlamentari come si doveva fare in questa legislatura e non si fece per l'opposizione del Pdl.
13. Rifare la legge elettorale basandola su collegi uninominali a doppio turno.

* * * *

Tra l'agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d'ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l'agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l'attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti.

Conclusione: non esiste né un'agenda Bersani né un agenda Monti. Esiste un'agenda Italia che dovrebbe essere valida per tutte le forze responsabili e democratiche. Non è certo l'agenda di Berlusconi, né di Grillo, né della Lega, né di Ingroia.

L'agenda Italia - è utile ricordarlo - è un tassello dell'agenda Europa ed è realizzabile soltanto nel quadro di un'Europa federata che tutti dobbiamo avere a cuore e costruire. Chi voterà l'agenda Italia può affidarne la guida a forze liberal-moderate o a forze liberal-socialiste. Vinca il migliore ma nomini vicepresidente del Consiglio Roberto Benigni con delega alla Costituzione. Scrivetelo nelle vostre agende, sarebbe una magnifica innovazione.

Una nuova Democrazia cristiana no, per favore. Noi vecchi (parlo per la mia generazione) abbiamo già dato. Quanto ai giovani, non è più l'epoca delle Madonne pellegrine.

Post scriptum. I professori Giavazzi e Alesina, delle cui conoscenze economiche ho una riluttante stima, hanno scritto venerdì scorso sul "Corriere della Sera" che il solo modo per tagliare quanto è necessario la spesa corrente dello Stato è il restringimento delle sfere di competenza dello Stato medesimo. Ordine pubblico, giustizia, difesa, scuola (in parte), assistenza ai vecchi e agli ammalati poveri. Solo restringendo il perimetro pubblico e parapubblico diminuirà la spesa. L'obiettivo è 40 miliardi. Come reimpiegarli si vedrà dopo.

Queste proposte (ultrabocconiane) si dice siano ben viste anche da Mario Draghi. Io non ci credo ma non ho notizie in proposito.

Si tratta di vecchi temi del liberismo classico; del resto i proponenti lo sanno benissimo, sono esperti di storia economica. Si tratta di rimettere indietro le sfere dell'orologio risalendo all'epoca gloriosa di Cobden e della lega di Manchester, quando si abolì il dazio sul grano per favorire la nascita dell'industria tessile. Di mezzo ci sono stati quasi duecento anni di storia del capitalismo e della democrazia. Ma meritano comunque considerazione. Anche Berlusconi diceva e dice "Meno stato, più mercato". Poi ha fatto il contrario.

Ma venendo al serio: da trent'anni il grosso delle imprese italiane ha destinato i profitti o a dividendo per gli azionisti o per investimenti finanziari e speculativi. Pochissimo a investimenti nelle aziende per modernizzarne l'offerta e allargare la base occupazionale. Se si vuol restringere la base operativa dello Stato occorre come preliminare che gli imprenditori tornino ad investire nelle aziende, altrimenti non ci sarà più manifattura né nell'industria né in agricoltura. Torneremo ai pascoli. Credetemi, non è un obiettivo degno di due bocconiani.

(30 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/30/news/professore_non_rifaccia_la_dc-49658957/?ref=HREA-1
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« Risposta #397 inserito:: Gennaio 06, 2013, 06:38:49 pm »

Perché Monti mi ha deluso

di EUGENIO SCALFARI


SCRISSI domenica scorsa che esistono varie "agende" sulle quali confrontarsi e varie personalità che le hanno formulate e che concentreranno su di esse  -  cioè sugli obiettivi programmatici  -  le rispettive campagne elettorali per ottenere il consenso dei cittadini.

Confrontai anche le due agende principali, quella di Mario Monti e quella di Bersani, cioè del Pd e dei suoi alleati. Monti ha detto venerdì scorso nella trasmissione "Otto e mezzo" che non accetterebbe mai di partecipare come ministro ad un governo del quale non condividesse il 98 per cento della linea politica.

I due programmi, il suo e quello di Bersani, nelle parti principali coincidono. Entrambi si dichiarano pronti a mantenere gli impegni presi con l'Europa per quanto riguarda il rigore dei conti pubblici, l'equità, la crescita economica. Questi impegni Monti li ha indicati fin dall'inizio ma non è riuscito a realizzarli tutti dovendo dare la priorità al rigore in poche settimane per evitare il crollo dell'economia italiana e il default del debito pubblico che incombevano nel novembre del 2011 quando fu chiamato dal Capo dello Stato alla guida del governo. Perciò di equità se ne è vista pochissima, di crescita non si è visto nulla, ma nell'agenda ci sono, sia in quella di Monti sia in quella di Bersani.

C'è anche in tutte e due una nuova e molto più
incisiva legge sulla corruzione, l'estensione altrettanto incisiva delle liberalizzazioni, una radicale revisione delle strutture burocratiche dello Stato a cominciare dalle Province e dalle Regioni.

E poi c'è  -  più importante di tutto  -  un'ulteriore diminuzione della spesa corrente e delle evasioni fiscali per realizzare nuove risorse da destinare alla riduzione della pressione fiscale in favore dei lavoratori, delle imprese e delle famiglie nonché di un sistema moderno dello Stato sociale.

Infine entrambi i programmi, del centro e del centrosinistra, prevedono una migliore redistribuzione territoriale e sociale del reddito e un contributo efficace alla costruzione dello Stato federale europeo attraverso graduali cessioni di sovranità nazionale.

Esaminati questi due programmi si direbbe trattarsi del medesimo documento nelle sue linee fondamentali, tanto che dal canto mio scrissi che essi ben potevano esser chiamati "agenda Italia" per l'attuazione della quale un'alleanza pre o post elettorale tra il centro e il centrosinistra risultava opportuna data l'importanza ed anche la difficoltà di realizzare le finalità condivise.

Naturalmente permane una differenza tra i protagonisti, le forze politiche da essi guidate e i ceti sociali di riferimento.

Prima di passare all'esame di questi aspetti tutt'altro che trascurabili voglio però ricordare il messaggio con il quale la sera del 31 dicembre Giorgio Napolitano ha salutato gli italiani. È stato soprattutto un messaggio sociale. L'equità, i giovani, l'occupazione, il Mezzogiorno, l'Europa, il senso di responsabilità di ciascuno e di tutti, il rispetto dei diritti, il costo della cattiva politica, il rinnovamento della struttura burocratica: questo è stato il senso del messaggio. Vogliamo dire che esiste anche un'agenda Napolitano?

Sì, esiste. Non indica gli strumenti ma evoca un sentimento, un valore, un modo di pensare e di comportarsi. Costituisce la premessa essenziale dell'agenda Italia, lo spirito con il quale dovrà essere realizzata, la passione e la fedeltà alle due patrie delle quali siamo cittadini, la patria Italia e la patria Europa.

Chi andrà al Quirinale nel prossimo maggio erediterà un lascito di altissimo livello. Auguriamoci che il nuovo Parlamento sappia scegliere un successore capace di far propria quell'eredità. Non sarà una facile scelta.

* * *

Mario Monti, in appena un anno, ha salvato l'Italia dal peggio in cui stava precipitando ed ha recuperato al Paese la credibilità internazionale che da tanti anni aveva perduto.

La nascita del suo governo fu dovuta a varie circostanze e a vari protagonisti che è opportuno ricordare. Anzitutto al voto con il quale la Camera dei deputati bocciando il rendiconto di bilancio mandò in minoranza il governo Berlusconi. Uscì da quel voto una nuova maggioranza formata dal Pd, dall'Udc e da Fini. Su questa svolta parlamentare, sull'aggravarsi della situazione economica, sulla totale caduta della credibilità del governo e sulla lettera di commissariamento indirizzata a Berlusconi dalla Banca centrale europea il Cavaliere dette le dimissioni e Napolitano, dopo averlo nominato senatore a vita, incaricò Monti di formare un nuovo governo.

In quel frangente il Partito democratico avrebbe potuto chiedere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni. Il Pdl era allo stato comatoso, il Terzo polo valeva al massimo il 6 per cento, Grillo ancora non esisteva o quasi. Il Pd avrebbe stravinto ma sciogliere il Parlamento in quelle condizioni avrebbe spalancato le porte all'assalto dei mercati e il debito italiano sarebbe stato preda d'una vera e propria macelleria speculativa. Prevalse il senso di responsabilità di Bersani e del gruppo dirigente del Partito democratico.

Mario Monti ha cominciato la sua campagna elettorale con molta aggressività. È normale per una forza politica nuova che si batte per vincere.
Ma l'azione di governo di cui porta legittimamente il vanto fu resa possibile dal Pd e il ricordo di quest'antecedente rappresenta un'omissione ingenerosa da parte di chi, utilizzando quel disco verde, si mise e mise il Paese sulla giusta strada.

* * *

Due domeniche fa pubblicammo su queste pagine una mia lunga conversazione con l'amico Mario Monti. Ci siamo conosciuti mezzo secolo fa, non era quindi un'intervista tra un giornalista e un capo di governo ma un incontro tra vecchi amici che resi pubblico senza preavvisarlo e me ne scusai a fatto compiuto. Del resto avevo riferito esattamente quanto ci eravamo detti e lui stesso lo riconobbe.

Sennonché a pochi giorni anzi a poche ore di distanza le sue scelte cambiarono: da uomo "super partes", come lo stesso Presidente della Repubblica avrebbe gradito, è diventato uomo di parte inalberando un'agenda più che accettabile ma nelle parti qualificanti identica o analoga a quella del partito con il quale compete affermando quel suo programma come il solo capace di condurre l'emergenza al suo termine e prospettare nuovi orizzonti per il futuro.

Purtroppo Monti ha cominciato la campagna elettorale con la promessa di diminuire le imposte personali sui redditi minimi. Non mi pare abbia indicato la copertura di questa promessa ma soprattutto ha dimenticato che nel prossimo luglio scatterà l'aumento di un punto dell'Iva, un'imposta regressiva quant'altre mai che colpirà soprattutto i redditi dei più deboli. Se ci sarà spazio per diminuire le tasse è proprio dall'Iva che bisognerebbe cominciare.

Ma non è per questo "dettaglio" che il nuovo Monti mi ha deluso. Parlo in prima persona perché per un anno sono stato tra i suoi più motivati sostenitori. Mi ha deluso e mi preoccupa molto perché la sua azione avrà come risultato inevitabile quella di rendere ingovernabile il nuovo Parlamento gettando il Paese (e l'Europa) nel caos. Vi sembra un'affermazione azzardata? È facile spiegare che purtroppo non lo è affatto ed ecco la spiegazione.

1. Pensare che le liste di Monti superino tutte le altre è estremamente illusionistico. Nei sondaggi effettuati in questi giorni è all'ultimo posto. Se gli va bene supererà Grillo; se gli va benissimo supererà Berlusconi. Per superare il centrosinistra ci vorrebbe un miracolo.
È vero che il Vaticano è con lui, ma non credo che basti.

2. È tuttavia possibile che al Senato nessun partito abbia la maggioranza. Gianluigi Pellegrino ha spiegato ieri la vergogna dell'attuale legge elettorale specialmente per il Senato.

3. Superare quest'eventualità in teoria non è difficile, basterebbe un'alleanza tra centrosinistra e centro, cioè tra uno schieramento che avrebbe la maggioranza assoluta alla Camera e un altro schieramento (il centro) che non ha la maggioranza al Senato ma può renderla possibile.

4. A quali condizioni? Monti e Casini l'hanno già detto: vogliono la presidenza del Consiglio, vogliono un governo che sia il loro governo anche nell'eventualità che il centrosinistra abbia raggiunto nel complesso un consenso doppio a quello da loro ottenuto.
E gli elettori? E il popolo sovrano?

5. Risultato: o il Pd accetta di pagare il pedaggio ad un nuovo Ghino di Tacco o la legislatura diventerebbe ingovernabile con le conseguenze che ciò comporterebbe sui mercati e in Europa.

Ho più volte indicato a Monti l'esempio di Carlo Azeglio Ciampi che, dopo aver risollevato il Paese da una gravissima crisi economica ed aver modificato la legge elettorale, si ritirò dopo un anno di governo a vita privata e ritornò poi a dare il suo contributo al bene pubblico come ministro del Tesoro di Romano Prodi con il quale fece la più grande delle riforme del secolo portando l'Italia nella moneta comune europea.
Ma potrei aggiungere l'esempio di Giuliano Amato che da presidente del Consiglio cedette d'accordo con il Presidente della Repubblica la sua carica a Ciampi dopo essersi assunto la responsabilità d'una manovra economica di proporzioni inusitate nonché la svalutazione necessaria della lira e poi, quando ne fu richiesto, fu di nuovo ministro dell'Interno, delle Riforme o tornò alla sua vita di studi e di cultura.

La classe politica ha i suoi gravi difetti ma anche qualche virtù.

C'è un ultimo punto che mi preme chiarire. Cambiamento, riforme, conservazione: questi secondo Monti sono gli spartiacque tra le forze politiche in campo. Detto così è molto vago. Riforme? Quali? Quelle che propone Monti le propone anche Bersani. Alcune sono state fatte e il Pd le ha votate in Parlamento.

Cambiamento. Quale? Robespierre cambiò la Costituzione ereditata dagli Stati generali dell'Ottantanove. Naturalmente cambiò a suo modo.
Il Direttorio che venne dopo cambiò all'incontrario. Poi arrivò Napoleone e cambiò anche lui. Per dire: la storia cambia di continuo e procede a balzelloni, non c'è un disegno divino ma la forza dei fatti e delle idee. Renzi, tanto per fare un esempio, voleva un cambiamento nel suo partito e c'è riuscito anche se ha perso le primarie. Poi ha mantenuto la parola data, non come Ichino. A me, quando faceva il rottamatore, mi sembrò troppo semplicista e rozzo nel pensare e nel dire. Adesso m'è diventato simpatico perché anch'io cambio.

Anche tu, caro Mario, sei cambiato. Mi piaci molto per quello che hai fatto e che eri, mi preoccupi per quello che sei ora e riesci perfino a spaventarmi per quello che potresti fare se, non vincendo il piatto, lo vorrai comunque tutto per te.

(06 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/06/news/perch_monti_mi_ha_deluso-49977594/?ref=HRER1-1
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« Risposta #398 inserito:: Gennaio 13, 2013, 11:55:27 pm »

Buffalo Bill, Toro Seduto e l'arbitro al Quirinale

di EUGENIO SCALFARI


C'ERA una grande attesa per l'incontro televisivo di Berlusconi con Santoro. Due nemici di vecchia data (ma con una riconciliazione di due anni di Santoro a Mediaset), due "showmen" di provato talento, due venditori di bubbole che rimontano in ogni occasione il vecchio film in cui Totò vende la Fontana di Trevi a Peppino De Filippo. Dove li trovate due personaggi come loro?

Il guaio, il terribile guaio per l'Italia, è stato che uno di loro ha guidato la politica del nostro paese per vent'anni riducendolo come l'ha ridotto. Purtroppo è accaduto spesso nella storia italiana, a partire da Cola di Rienzo, passando poi per i vari Masanielli toccando il culmine con Mussolini che ci rivendette l'Impero che tornava dopo venti secoli sui colli fatali di Roma. Il Cavaliere è stato più modesto: ha impedito che i comunisti conquistassero il potere in Italia quando non c'erano già più nemmeno in Russia. E vive ancora rivendendoci questa patacca.

Ora si discute quanto beneficio il Cavaliere abbia tratto dalla corrida contro Santoro e Travaglio. Due tori contro un matador. Chi ha vinto e chi ha perso? E quanto sono aumentati nei sondaggi i voti di Silvio? "Manco mezzo" ha scritto Giuliano Ferrara. Dall'uno al tre per cento hanno risposto alcuni sondaggisti.

Comunque un vantaggio l'hanno realizzato tutti e due, anzi tutti e quattro: Silvio, Michele, Marco e La7.

Il primo è stato sdoganato ed ora è di nuovo in battaglia, gli altri tre hanno incassato un'audience di 9 milioni di ascolto, come una puntata del festival di Sanremo o una partita di finale dei Mondiali di calcio. Ma non è stata una corrida, anche se la trasmissione era cominciata con le note della Carmen.

Il commento più bello l'ho letto su Repubblica di venerdì e l'ha scritto Francesco Merlo: "Si sono legittimati a vicenda come gli anziani Buffalo Bill e Toro Seduto che in un famoso film di Altman ripropongono il combattimento del Selvaggio West ma sotto il tendone del circo quando ormai molte lune hanno logorato il Grande Spirito e i malinconici compari hanno esaurito i proiettili l'uno e le frecce l'altro".

Alla fine, dopo un'ora soporifica, hanno anche finto di litigare; Berlusconi ha inventato una "gag" degna di Stanlio e Ollio pulendo col fazzoletto la sedia dove s'era seduto Travaglio; Santoro gli ha poi fatto un "assist" prezioso facendo apparire in video un'imprenditrice bergamasca che invocava il ritorno alla lira per poter pagare i suoi debiti alle banche. Berlusconi ha raccolto la palla e l'ha spedita in rete concordando con la signora sulla intollerabilità dei sacrifici ma correggendone la terapia: non tornare alla lira ma imporre all'Europa una politica keynesiana. "Perciò votatemi, solo io potrò ottenere questo piegando la volontà della Merkel, ma debbo avere tutti i voti, un potere assoluto e una Repubblica presidenziale".

Una sola regia ha guidato lo spettacolo e le regole di ingaggio concordate: erano due populismi che s'incontravano e si sorreggevano a vicenda, uno di estrema destra, l'altro di estrema sinistra. Due populismi con la stessa patacca da rifilare a chi li segue con innocente e credulona ingenuità.

* * *

Non sono certo i soli i populismi di Berlusconi e di Santoro-Travaglio. C'è Grillo che vuole sbaraccare partiti e istituzioni instaurando una Repubblica referendaria e uscendo dall'euro e dall'Europa; c'è Ingroia che apre a Grillo ma intanto recluta i suoi dissidenti nella sua lista, si allea con Di Pietro e propone una Repubblica guidata dai magistrati; c'è la Lega che vuole la secessione della multiregione Lombardia-Veneto-Piemonte, che trattenga sul territorio tutte le imposte pagate dai residenti più la quota pro capite degli interessi che ci costa il debito pubblico.

A quanto può arrivare il consenso che uscirà dalle urne a queste varie forme di demagogia che si vale, ciascuna, di imbonitori ben collaudati? All'ingrosso io darei almeno il 40 per cento nel loro complesso. Marciano separati ma colpiscono insieme. Dunque la minaccia è forte.

Non hanno programmi salvo quello di mandare all'aria tutte le strutture esistenti, la democrazia rappresentativa, lo Stato di diritto fondato sulla separazione dei poteri, la Corte Costituzionale, la moneta comune, l'Europa, le imposte che debbono essere ridotte al minimo. E ovviamente la politica e i partiti.

Il mito che aleggia su questo variopinto calderone dove il bollore ha raggiunto il massimo nell'imminenza delle elezioni è la società civile.

Non si sa che cosa rappresentino queste due parole e quale sia il nuovo che esse esprimono e il vecchio che condannano. La società civile non si identifica con una specifica classe sociale, non è la classe operaia, non è il terzo stato, non è la borghesia, non è la nobiltà e non è il proletariato. Direi che sono due parole sinonime di altre due e cioè popolo sovrano, sinonimo a sua volta di un'unica parola, demos, democrazia. Dov'è dunque la novità?

Forse la novità consiste nell'abolizione dell'aggettivo "delegato". Il più coerente da questo punto di vista è il grillismo che prevede i referendum come unici strumenti di governo e i funzionari incaricati di amministrare l'azienda pubblica come impiegati guidati da capi "pro tempore" in carica per pochi mesi a rotazione. Una sorta di condominio al posto dello Stato, cioè come l'esperienza insegna il peggio del peggio.

Se questa è la società civile ipotizzata dall'antipolitica, la storia ci racconta di tutte le volte che una situazione del genere si realizzò: sboccarono sempre nella dittatura o nei casi migliori nell'oligarchia o nella tecnostruttura, tutte soluzioni che degradano il popolo sovrano al rango di gregge. La storia non fa eccezioni, è sempre stato così.

* * *

Se le varie formazioni antipolitiche e populiste avranno come credo un consenso complessivo attorno al 40 per cento dei voti espressi, ne rimane il 60 per le formazioni politiche che si propongono obiettivi di cambiamento e di modernizzazione per rinnovare le istituzioni senza distruggerle, anzi per accrescerne l'efficienza e la moralità, dove l'efficienza significa produrre maggiori risultati a costi minori e la moralità significa superare il "particulare" mirando al bene comune, all'interesse generale e non solo per l'immediato presente ma per il tempo lungo dei figli e dei nipoti.

In questo spazio si muovono sia il partito democratico sia la formazione che finora si era sempre definita come Centro ma questa volta assume come indicazione elettorale il nome di Mario Monti non più nella sua veste di tecnico chiamato per fronteggiare un'emergenza che aveva bisogno dell'appoggio di tutte le forze politiche, ma per impegnarsi e "salire in politica". Con un suo programma. Con civettuola modestia quel programma è stato chiamato "agenda". Si è aperta a questo punto una discussione se il contenuto di quel programma fosse simile al programma dell'altra forza politica in campo e cioè il Pd, il solo in tutto il panorama attuale che sia un vero partito e non si vergogni di dirlo, anzi lo rivendichi con orgoglio.

Personalmente ho sostenuto che i due programmi sono molto simili nelle loro linee maestre. Altri osservatori hanno affermato il contrario. Bersani si è rimesso al giudizio della pubblica opinione sostenendo tuttavia che ad elezioni avvenute il suo obiettivo sarà quello di allearsi con i montiani. Monti invece resta stretto all'unicità della sua "agenda", sostiene che non esiste più un problema di destra e di sinistra ma solo di riformismo e rinvia a dopo le elezioni il tema delle alleanze.

Spenderò poche parole sulla diversità o le analogie dei due programmi di Monti e di Bersani. Tutti e due hanno manifestato la ferma intenzione di rispettare gli impegni presi con l'Europa; tutti e due - nei limiti di quegli impegni - hanno prospettato la necessità e l'urgenza di accrescere il tasso di equità, cioè di giustizia sociale, spesso trascurato se non addirittura schiacciato dall'emergenza; tutti e due mettono al primo posto la ripresa degli investimenti, dell'occupazione, del welfare e la diminuzione delle diseguaglianze sociali e geografiche; tutti e due vogliono un'Europa più federale e una Banca centrale equiparata a quelle esistenti in tutti gli Stati sovrani.

Non sto raccontando favole, ma riferisco i programmi e gli obiettivi dichiarati ripetutamente e pubblicamente dai leader di quelle due formazioni e dai loro alleati, a cominciare da Vendola, che Monti e il Corriere della Sera continuano a descrivere come un pericoloso bolscevico ignorando volutamente le affermazioni da lui ripetute ormai infinite volte a terminare con la trasmissione "Otto e mezzo" di tre giorni fa nel corso della quale Gianfranco Fini anch'egli presente in quell'occasione ne ha preso finalmente atto.

Le linee maestre sono dunque analoghe, la sensibilità sociale del Pd è certamente più marcata di quella dei montiani. Infatti Monti si muove nell'ambito del Partito popolare europeo, Bersani in quello del Partito socialista.
Dov'è dunque  -  se c'è  -  la vera differenza tra questi due soggetti politici?

* * *

Purtroppo questa differenza c'è ed è molto rilevante, anzi addirittura preoccupante ed emerge ormai dalle esplicite dichiarazioni di Monti e di Casini.

Poiché i montiani non possono aspirare realisticamente a scavalcare la forza elettorale del centrosinistra, l'obiettivo che si propongono è quello di rendere impossibile una maggioranza al Senato, favoriti da una legge elettorale che rende possibile quest'ipotesi. Identico obiettivo per le stesse ragioni si propongono Berlusconi e la Lega.

È un obiettivo più che legittimo: chi partecipa a una competizione elettorale si propone di vincere dove può e come può. Nel caso dei montiani tuttavia c'è una postilla estremamente inquietante: se al Senato sarà necessaria un'alleanza tra il centrosinistra e i montiani, questi ultimi pretenderanno un governo guidato da Monti e strutturato a sua immagine e somiglianza.

Da un lato un partito che avrebbe la maggioranza dei voti e dei seggi alla Camera, dall'altro una lista con un numero di senatori appena sufficienti a fare maggioranza insieme al centrosinistra a condizione però di prendere tutto il piatto della partita. Alternativa: legislatura ingovernabile e necessità di nuove elezioni, con quali ripercussioni in Europa e sui mercati lascio ai lettori di immaginare.

Questo è il punto. Può darsi che, ad elezioni avvenute, i montiani si ravvedano. Voglio sperarlo ed escludo che possano proporre la medesima soluzione a un Berlusconi che sarebbe sicuramente molto più arrendevole alle loro richieste. Ma non andrà così anche perché c'è, per fortuna dell'Italia, un arbitro al Quirinale

(13 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #399 inserito:: Gennaio 18, 2013, 12:30:16 am »

Opinioni

Quando la colpa tormenta l'anima

di Eugenio Scalfari

Succede se nasce il conflitto tra l'amore per se stessi e quello per gli altri. È la sola vera fatica del vivere, che agita il nostro inconscio e turba la mente e il cuore. Ma la sofferenza ti fa anche crescere e dà senso alla nostra piccola vita

(03 gennaio 2013)

Nel periodo delle festività tra il Natale e l'Epifania si parla di tante e varie cose: i regali, i sacrifici quest'anno particolarmente intensi, la speranza d'un futuro migliore. Ma soprattutto si parla dell'anima.

Sulla questione dell'anima le opinioni sono molteplici. Malte Laurids Brigge, un personaggio di un libro di Rilke che rappresenta uno dei testi più alti della modernità, in una pagina dei suoi "Quaderni" racconta d'una bottega dove si può andare a prendere un viso o a cambiare quello vecchio con uno nuovo. Anche la durata dei visi è diversa, scrive Malte; alcuni durano per tutta la vita, altri si consumano in poche ore o in pochi giorni e bisogna sostituirli.

Io so che esiste un luogo dove si va a prendere l'anima. L'anima però non è come il viso. A volte si esprime attraverso il viso ma è comunque un'altra cosa. L'anima è un'essenza, invecchia molto più lentamente del corpo, le sue virtù e i suoi vizi resistono. Alcuni esperti che hanno studiato il problema sostengono addirittura che sono immodificabili. Lascio da parte altri esperti che ne proclamano l'immortalità. Le prove non ci sono, né a favore né contro, ma la gente se ne consola e ci crede.

RESTA IL FATTO CHE L'ANIMA C'E'. O te la dà il Creatore toccando il tuo dito con il suo, oppure vai a scegliertela in quella bottega dove sai di trovarla. A me sembra plausibile optare per la libera scelta della quale tu solo sei responsabile.

Quando avviene questa scelta è questione controversa, ma la maggior parte delle persone la fa coincidere con gli anni dell'adolescenza, quando ti comincia ad esser chiaro chi sei, ad avere un'immagine di te. Magari è l'immagine che gli occhi degli altri ti hanno appiccicato addosso oppure quella che lo specchio ti rimanda ogni volta che ci guardi dentro. La questione mi sembra facile da risolvere: arrivato in quel luogo un commesso che forse è un angelo ti accompagna in una stanza dove vari campioni di anime sono esposti e tu la scegli dopo averli soppesati con lo sguardo e con le dita.

SI PU?’ TOCCARE L'ANIMA con le dita? Io quell'anima l'ho toccata perché sentivo che era la mia e me la sono portata a casa ed è rimasta con me, dentro di me. Come sia entrata dentro non lo so, ma so che è accaduto. Non è come i visi di Malte. I visi si vedono, l'anima, una volta che te la sei scelta, ti entra dentro e non la vedi più ma è lei il tuo pensiero, la tua coscienza, i tuoi desideri. L'anima sei tu e non c'è più alcuna differenza tra te e lei. Kant deve averlo scritto da qualche parte ed io debbo averlo letto. Da molti anni comunque penso che l'anima mia sia la "cosa in me", il mio noumeno che nessuno può conoscere all'infuori di me. A volte mi sorge il dubbio che neppure io possa più conoscerla.

Allora, come dicevo, è semplice: ti scegli un'anima e te la porti a casa. Ma perché scegli proprio quella, qual è il criterio che ti guida? In realtà scegliere l'anima significa prender coscienza di sé. Ma esiste anche il sentimento della colpa, la colpa esistenziale, per il fatto stesso che vivendo occupi un posto che nessun altro potrà occupare finché tu viva; e poi oltre alla colpa esistenziale o peccato originale che dir si voglia esistono colpe specifiche e assai concrete.

La colpa tormenta l'anima ogni qualvolta nasce il conflitto tra l'amore per se stessi e quello per gli altri. Questa è la sola vera fatica del vivere, che agita il nostro inconscio e turba la mente e il cuore quando emerge a livello della coscienza. Ma la sofferenza ti fa anche crescere e dà senso alla nostra piccola vita.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quando-la-colpa-tormenta-lanima/2197519/18
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« Risposta #400 inserito:: Gennaio 20, 2013, 10:51:18 pm »

L'araba fenice della società civile

di EUGENIO SCALFARI

Alcuni commentatori lamentano che i protagonisti della campagna elettorale parlino poco o niente di economia e concentrano la loro attenzione soprattutto sulla politica.

A me non pare che sia così, si parla  -  e molto  -  di tasse, di disoccupazione, di precariato per giovani e anziani, di sgravi fiscali, di rilancio della domanda, di disuguaglianze. Ed anche, ovviamente, di politica e di visioni diverse e contrapposte del bene comune.

Sarebbe ben strano che si tacesse di politica. Un'economia senza politica non esiste. Non esiste senza legalità, non esiste senza un richiamo costante alla moralità dei comportamenti pubblici, non esiste senza criteri di scelta dei candidati al Parlamento, cioè di coloro che vengono proposti come delegati a rappresentare il popolo sovrano nel grande consesso dove ha la sua sede il potere legislativo.

Da questo punto di vista una decisione rimarchevole è stata presa nei giorni scorsi. Il Pd ha cancellato dalle sue liste tre candidati (due in Sicilia e uno a Napoli) investigati dalla magistratura privandosi con questo atto di molte migliaia di voti che quei candidati avevano ottenuto nelle primarie in due regioni-chiave per ottenere al Senato la maggioranza dei seggi. La moralità ha avuto la meglio sui calcoli di convenienza; è un elemento di merito che il direttore del "Fatto Quotidiano", Padellaro, ha riconosciuto al Pd, mentre il suo vicedirettore, Travaglio, nella stessa pagina dileggiava e insultava Bersani che si sarebbe arreso alle tesi di quel giornale.

Ieri il vertice del Pdl - pare anche Berlusconi, spinto da alcuni sondaggi interni -, ha tentato di compiere la stessa scelta escludendo tutti i candidati indagati e alcuni addirittura colpiti da sentenze di primo grado, a cominciare da Dell'Utri e Cosentino. Nel partito si è scatenata la rivolta degli inquisiti, spalleggiati dai loro accoliti. Si annuncia una guerra breve e sanguinosa. Dell'Utri sa tutto di Berlusconi e ha voglia e necessità di parlare. Il Pdl propone che sia lui a decidere di ritirarsi; escluderlo contro il suo parere potrebbe avere conseguenze letali. Il popolo sovrano rischia dunque d'esser rappresentato ancora da Dell'Utri, esperto bibliografo, co-fondatore di Forza Italia e sotto processo per rapporti di lunga durata con le famiglie mafiose Bontate e Graviano.

In un paese serio questi fatti sarebbero di per sé sufficienti per un giudizio complessivo su quel partito. Qui invece non accade. Perché?

                                                                  * * *

Questa domanda ci riporta a discutere della società civile. È un tema che abbiamo già toccato parecchie volte ma che vale la pena d'esser ripreso poiché ha particolare importanza.

I vizi, i difetti, l'immoralità allignano in tutti i paesi e in tutti ceti, ma da noi hanno un'intensità particolare che deriva da un atteggiamento di generale disprezzo verso le istituzioni e verso lo Stato che tutte le contiene.
Lo Stato è considerato un corpo estraneo o addirittura nemico, che taglieggia i cittadini, impone immotivati sacrifici e fornisce pessimi servizi. Chi lo rappresenta viene odiato oppure  -  se se ne ha la possibilità  -  corrotto da persone della società civile che sarebbe la sede di tutte le virtù.

La scarsa efficienza e il tasso di corruzione di chi giudica le istituzioni è sicuramente più elevato che altrove, ma purtroppo non si limita alla sfera del potere pubblico: ha gli stessi vizi anche in quella parte della società civile dalla quale emerge la classe dirigente economica. Ogni paese ha la classe dirigente che si merita poiché quest'ultima non spunta dal cielo ma ha le sue radici nella terra che amministra.

Constatare questa situazione non significa dare un giudizio morale sugli italiani ma comporta un giudizio storico. Fu anticipato, quel giudizio, da Machiavelli e da Guicciardini che fecero nei primi anni del Cinquecento un'analisi accurata ed anche rattristata e memorabile della società in cui vivevano.

Machiavelli arrivò alla conclusione che per creare lo Stato italiano ci volesse un Principe che con ogni mezzo, anche il più violento e immorale, unificasse un paese altrimenti ingovernabile. Guicciardini aborriva la violenza e constatò anche lui che il paese era ingovernabile perché ogni cittadino badava soltanto al suo "particulare" interesse e disprezzava quello pubblico e le regole che la convivenza sociale inevitabilmente comporta.
Questi giudizi sono purtroppo ancora attuali anche se la democrazia è ormai diffusa in tutto l'Occidente. Quell'indifferenza alla "res publica" che Guicciardini descrisse perdura purtroppo tuttora anche perché lo Stato italiano nacque soltanto 150 anni fa, quando in tutta Europa gli Stati si erano formati tre o quattro secoli prima. Perciò la nostra indifferenza alla vita pubblica, la nostra scelta del "particulare", il tasso di corruzione, di evasione fiscale, d'illegalità, il nostro disprezzo per le regole, la nostra disponibilità alla demagogia, sono un derivato della nostra storia. "Francia o Spagna purché se magna" è un proverbio che sintetizza quattro secoli di servitù a potenze straniere e a Signorie servili e corrotte.

Siamo molto migliorati da allora, ma gli altri paesi sono assai più avanti e in tempi di società globale questo distacco si vede, si sente, si soffre.

                                                                      * * *

E parliamo di economia, dove questi confronti si scaricano in tempi di crisi profonde e diffuse.
I "media" negli ultimi giorni hanno dato un'immagine di nuovo pessimistica dopo un intervallo di barlumi speranzosi: la recessione non cala anzi aumenta, i capitali scappano, il Pil diminuisce, la disoccupazione aumenta, il governo tecnico ha sbagliato tutto. E perfino  -  forse  -  si stava meglio quando si stava peggio, "Silvio consule". Infatti (così parrebbe) i sondaggi danno il Cavaliere in rimonta. È proprio così? Direi di no.
Quanto ai sondaggi, i più recenti danno sempre il centrosinistra a dieci punti sopra il Pdl-Lega e il Veneto addirittura con una Lega al 15 anziché al 25 per cento.

Il governatore della Banca d'Italia stima il Pil del 2012 al meno 2 per cento (finora le previsioni Istat parlavano del meno 3 o anche peggio) e nel 2013 al meno 0,7; ma nella seconda metà dell'anno a più 0,1. Nel 2014 più 1. La risalita è lenta ma dovrebbe avere un (timido) inizio tra sei mesi. Così pure la vendita di beni durevoli e la loro produzione.

Quanto ai capitali Visco dichiara che non c'è stata fuga dall'Italia, anzi c'è un afflusso come testimoniano le aste di questi ultimi mesi sia dei Bot sia dei Btp a 5, 10 e 15 anni di scadenza.

Il credito invece ancora non riparte anche perché molte aziende medie e piccole sono in grave sofferenza. A questo proposito Bersani ha proposto un credito d'imposta (l'aveva istituito Prodi e lo abolì Tremonti) per tutte le assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato. Ha inoltre proposto l'abolizione dell'Imu per tutti quelli che pagano fino a 500 euro d'imposta e soprattutto ha proposto l'immediato pagamento di quei 70 miliardi di debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese fornitrici. I soldi in gran parte sono già stanziati ma Regioni e Comuni non li hanno e la Tesoreria generale resiste. Il ministro Passera, almeno per 30 miliardi, aveva trovato la copertura ma la Ragioneria oppose un rifiuto. Questa questione va risolta e i pagamenti vanno fatti nell'immediato, ogni ulteriore indugio sarebbe vergognoso. Monti è ancora il premier credibile, si impegni su questo punto che è più importante della campagna elettorale ed è ora di sua esclusiva pertinenza.

Due parole sulle famose tasse e sulla altrettanto famosa "spending review". Le tasse purtroppo erano assolutamente necessarie in quell'ormai lontano novembre del 2011: l'Italia era sull'orlo del fallimento e non c'erano alternative. Non tutte quelle attuate sono a regime, ci andranno nei prossimi mesi ed il loro morso sarà ancor più doloroso. Perciò ci vogliono correttivi e soprattutto ci vogliono investimenti redditizi e le risorse che essi richiederanno siano considerate un elemento di politica anticongiunturale imposto dalla situazione e quindi accettato dall'Europa come i trattati prevedono.

Quanto al taglio delle spese, esso è certamente opportuno per quanto riguarda gli sprechi, ma per il resto ci vuole una prudenza estrema: un corpo obeso deve sottoporsi a una dieta molto rigorosa e perfino a qualche intervento di chirurgia estetica sul grasso sovrabbondante e deformante; ma in un corpo scheletrito non si taglia il grasso ma le ossa e cioè un'operazione mortale o una mutilazione permanente.

Tutto il resto è chiacchiera. Pensi ogni partito a dare il meglio di sé avendo di mira soltanto l'interesse del paese.

(20 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/20/news/l_araba_fenice_della_societ_civile-50905837/?ref=HRER1-1
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« Risposta #401 inserito:: Gennaio 25, 2013, 11:07:41 pm »

Opinioni

Quando la colpa tormenta l'anima

di Eugenio Scalfari

Succede se nasce il conflitto tra l'amore per se stessi e quello per gli altri. È la sola vera fatica del vivere, che agita il nostro inconscio e turba la mente e il cuore. Ma la sofferenza ti fa anche crescere e dà senso alla nostra piccola vita

(03 gennaio 2013)

Nel periodo delle festività tra il Natale e l'Epifania si parla di tante e varie cose: i regali, i sacrifici quest'anno particolarmente intensi, la speranza d'un futuro migliore. Ma soprattutto si parla dell'anima.

Sulla questione dell'anima le opinioni sono molteplici. Malte Laurids Brigge, un personaggio di un libro di Rilke che rappresenta uno dei testi più alti della modernità, in una pagina dei suoi "Quaderni" racconta d'una bottega dove si può andare a prendere un viso o a cambiare quello vecchio con uno nuovo. Anche la durata dei visi è diversa, scrive Malte; alcuni durano per tutta la vita, altri si consumano in poche ore o in pochi giorni e bisogna sostituirli.

Io so che esiste un luogo dove si va a prendere l'anima. L'anima però non è come il viso. A volte si esprime attraverso il viso ma è comunque un'altra cosa. L'anima è un'essenza, invecchia molto più lentamente del corpo, le sue virtù e i suoi vizi resistono. Alcuni esperti che hanno studiato il problema sostengono addirittura che sono immodificabili. Lascio da parte altri esperti che ne proclamano l'immortalità. Le prove non ci sono, né a favore né contro, ma la gente se ne consola e ci crede.

RESTA IL FATTO CHE L'ANIMA C'E'. O te la dà il Creatore toccando il tuo dito con il suo, oppure vai a scegliertela in quella bottega dove sai di trovarla. A me sembra plausibile optare per la libera scelta della quale tu solo sei responsabile.

Quando avviene questa scelta è questione controversa, ma la maggior parte delle persone la fa coincidere con gli anni dell'adolescenza, quando ti comincia ad esser chiaro chi sei, ad avere un'immagine di te. Magari è l'immagine che gli occhi degli altri ti hanno appiccicato addosso oppure quella che lo specchio ti rimanda ogni volta che ci guardi dentro. La questione mi sembra facile da risolvere: arrivato in quel luogo un commesso che forse è un angelo ti accompagna in una stanza dove vari campioni di anime sono esposti e tu la scegli dopo averli soppesati con lo sguardo e con le dita.

SI PU?’ TOCCARE L'ANIMA con le dita? Io quell'anima l'ho toccata perché sentivo che era la mia e me la sono portata a casa ed è rimasta con me, dentro di me. Come sia entrata dentro non lo so, ma so che è accaduto. Non è come i visi di Malte. I visi si vedono, l'anima, una volta che te la sei scelta, ti entra dentro e non la vedi più ma è lei il tuo pensiero, la tua coscienza, i tuoi desideri. L'anima sei tu e non c'è più alcuna differenza tra te e lei. Kant deve averlo scritto da qualche parte ed io debbo averlo letto. Da molti anni comunque penso che l'anima mia sia la "cosa in me", il mio noumeno che nessuno può conoscere all'infuori di me. A volte mi sorge il dubbio che neppure io possa più conoscerla.

Allora, come dicevo, è semplice: ti scegli un'anima e te la porti a casa. Ma perché scegli proprio quella, qual è il criterio che ti guida? In realtà scegliere l'anima significa prender coscienza di sé. Ma esiste anche il sentimento della colpa, la colpa esistenziale, per il fatto stesso che vivendo occupi un posto che nessun altro potrà occupare finché tu viva; e poi oltre alla colpa esistenziale o peccato originale che dir si voglia esistono colpe specifiche e assai concrete.

La colpa tormenta l'anima ogni qualvolta nasce il conflitto tra l'amore per se stessi e quello per gli altri. Questa è la sola vera fatica del vivere, che agita il nostro inconscio e turba la mente e il cuore quando emerge a livello della coscienza. Ma la sofferenza ti fa anche crescere e dà senso alla nostra piccola vita.

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« Risposta #402 inserito:: Gennaio 27, 2013, 06:02:52 pm »

La panna montata e lo scandalo di Siena

di EUGENIO SCALFARI
 
   
LA CAMPAGNA elettorale cui stiamo assistendo, in attesa di esercitare il nostro diritto al voto come cittadini attivi, è una delle più terremotate della storia repubblicana: populismi di varia natura che hanno come unico obiettivo l'abbattimento totale delle istituzioni; agende futuribili che si prefiggono traguardi di crescita ambiziosi, ma sorvolano sui mezzi con cui recuperare le necessarie risorse; resurrezioni di personaggi che sembravano ormai politicamente spenti e che si ripropongono alla ribalta confidando nella corta memoria degli italiani; una legge elettorale che "porcata" fu chiamata dal suo autore e "porcata" rimane. Ma come se tutto ciò non bastasse, a turbare ulteriormente il clima elettorale scoppia lo scandalo Monte dei Paschi e diventa inevitabilmente dominante in una scena già così movimentata. Non starò a ripercorrerne la storia, da una settimana è al centro dell'attenzione ed è stata raccontata e variamente commentata per quanto finora era possibile; ma non tutti i fatti sono noti e la Procura di Siena sta indagando e salvaguarda scrupolosamente il segreto istruttorio su una materia così incandescente.

Le linee essenziali della vicenda sono tuttavia evidenti: un gruppo di mascalzoni si impadronì della fondazione e della banca, si dedicò ad operazioni arrischiate di finanza speculativa, falsificò i bilanci, occultò le perdite e probabilmente lucrò tangenti e altrettante ne distribuì.

I poteri di vigilanza fecero quanto era in loro potere scontrandosi con i suddetti mascalzoni i quali avevano nascosto i documenti compromettenti per rendere più difficile l'accertamento della verità.
 Ora finalmente la situazione è più chiara, la banca è stata affidata a mani sicure, i mascalzoni hanno un nome, la magistratura è all'opera; 150 dirigenti dei settori più compromessi sono stati licenziati, l'assemblea degli azionisti si è riunita, ha votato all'unanimità un aumento di capitale ed ha chiesto alla Banca d'Italia di erogare il prestito denominato Monti-Bond che sarà utilizzato per l'aumento di capitale insieme alla sottoscrizione degli azionisti. Il titolo quotato in Borsa, che nei primi tre giorni dello scandalo aveva complessivamente perso il 21 per cento, è risalito venerdì dell'11 per cento.
 La banca non è a rischio di fallimento e i depositi del pubblico sono al sicuro. Restano da individuare con esattezza gli errori, gli eventuali reati e le responsabilità, ma resta soprattutto da rivedere il problema delle fondazioni bancarie in genere e di quella di Siena in particolare.
 Nel frattempo il tema Monte dei Paschi ha deflagrato come una bomba nella campagna elettorale; la destra con i suoi giornali e le sue televisioni lo usa come una clava contro i "comunisti" del Pd e anche Monti lo utilizza con molta spregiudicatezza; il Pd lo ritorce con altrettanta energia; i populisti se ne avvalgono come uno strumento contundente.
 Tutto ciò è sotto gli occhi della pubblica opinione e c'è poco da aggiungere salvo che dietro questo assordante clamore alcuni punti non sono stati ancora chiariti. Si tratta di punti essenziali ed è su di essi che vogliamo oggi concentrare l'attenzione.

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La prima questione riguarda gli effetti che lo scandalo Monte dei Paschi determina nell'opinione pubblica internazionale. C'è molta perplessità tra gli osservatori qualificati, banchieri, operatori, giornali qualificati. Si riteneva che il sistema bancario italiano fosse il più solido e quello che meglio aveva tenuto nelle agitate acque della crisi iniziata quattro anni fa col fallimento della Lehman Brothers, ma la vicenda Monte dei Paschi  -  gonfiata oltre la realtà dalle zuffe elettorali  -  ha intaccato la fiducia che ci era stata accordata. Speriamo che le dichiarazioni della Banca d'Italia e la pulizia in corso da parte dei nuovi dirigenti di Monte dei Paschi dissipino le perplessità degli investitori esteri e dei mercati. Lo vedremo domani. Certo non ha ben disposto il fatto che proprio quel Mussari che è all'origine dello scandalo senese sia stato eletto un anno fa alla guida dell'Associazione delle Banche italiane (Abi) dopo esser stato estromesso dalla presidenza di Monte dei Paschi. I banchieri che lo hanno eletto non sapevano nulla di quanto era accaduto a Siena? Erano ciechi e sordi oppure non davano gran peso a così gravi errori e agli eventuali reati che ne sarebbero conseguiti?

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La seconda questione che va chiarita riguarda la fondazione che controlla il Monte dei Paschi. Unica tra tutte le fondazioni italiane essa nomina la quasi totalità del consiglio d'amministrazione della banca. E qui bisogna fare un passo indietro. Sulle fondazioni bancarie ci sono state due leggi, una fatta da Giuliano Amato nel 1990 e l'altra da Ciampi quando era ministro dell'Economia nel governo Prodi. Poi, nel 2003, una sentenza della Corte Costituzionale. Il tema principale delle leggi e della sentenza riguardava i compiti e i poteri delle fondazioni e l'assetto definitivo della proprietà delle banche. Ciampi mirava alla privatizzazione; nella sua visione le fondazioni rappresentavano un ponte in attesa che il mercato registrasse un interesse ad intervenire. Nel frattempo le fondazioni avrebbero dovuto rappresentare la presenza territoriale e professionale nella dirigenza delle banche, lasciando adeguato spazio ad altri azionisti privati.

Nel 2001 tuttavia questo criterio fu modificato da Tremonti, appena arrivato alla guida del Tesoro. Nella legge finanziaria di quell'anno fu stabilito che gli Enti locali avevano diritto di nominare tutti i dirigenti delle fondazioni. Si trattava di fatto di una pubblicizzazione delle fondazioni e quindi delle banche da esse controllate, del tutto opposto ai criteri di privatizzazione della legge Ciampi. La reazione degli interessati fu il ricorso alla Consulta la quale bocciò le disposizioni di Tremonti ripristinando i criteri della legge Ciampi. Ma perché Tremonti aveva scelto un criterio che dava tutto il potere agli Enti locali? Probabilmente glielo aveva chiesto la Lega ma su questo tema il "superministro" è sempre stato coerente: il potere pubblico deve essere determinante nella politica bancaria e quindi nella proprietà degli istituti e nelle fondazioni. Per questo rifiutò sempre le richieste della Banca d'Italia (allora presieduta da Mario Draghi) di poter revocare gli amministratori delle banche quando si dimostrassero responsabili di illegalità particolarmente gravi. Si oppose altresì ad aumentare i poteri di vigilanza dell'Istituto centrale. Infine creò i Tremonti-bond, cioè prestiti alle banche che avessero bisogno di liquidità, convertibili in azioni e quindi all'ingresso diretto dello Stato.Tremonti, non a caso, è oggi uno dei protagonisti nella strumentalizzazione di questo scandalo. Il suo obiettivo è evidente e risulta dalle sue più recenti dichiarazioni: vuole coinvolgere Draghi nelle vicende Monte dei Paschi. In che modo?

La vicenda ebbe inizio con l'acquisto dell'Antonveneta da parte di Mussari (Monte dei Paschi). L'operazione doveva essere autorizzata dalla Banca d'Italia non tanto nel merito quanto nella capacità patrimoniale dell'istituto richiedente. Era l'autunno del 2007, non era ancora scoppiata la bolla immobiliare americana, i mercati erano tranquilli, Monte dei Paschi era la terza banca italiana ed aveva tutti i requisiti per estendere la sua influenza, ma Draghi per maggior prudenza condizionò l'autorizzazione ad un aumento di capitale, Mussari accettò, Monte dei Paschi fece l'aumento di capitale sottoscritto in massima parte dalla fondazione e l'operazione fu fatta. Il prezzo era alto? Certo, ma Mussari si aspettava che Antonveneta fruttasse un profitto annuo di 700 milioni con il quale in breve tempo Monte Paschi sarebbe rientrata da un investimento di quelle dimensioni. Comunque non spettava alla Banca d'Italia dare opinioni e tantomeno prescrizioni sul prezzo. Avanzo a questo punto una mia personale opinione: Tremonti ha un conto in sospeso con Draghi; il suo obiettivo oggi è di coinvolgerlo nella vicenda Monte dei Paschi. Farà il possibile per realizzare quell'obiettivo che è non solo infondato ma recherebbe gravissimo danno all'Europa e all'Italia. Spero di sbagliarmi e sarò lieto di poterlo constatare.

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Si pone tuttavia una terza e nient'affatto marginale questione che riguarda Mario Monti. Nelle campagne elettorali bisognerebbe evitare, come nella boxe, i colpi sotto la cintura, tanto più tra forze politiche destinate ad allearsi in un prossimo futuro. Ma Monti di colpi sotto la cintura ha cominciato a darne: giovedì scorso ha detto che la vicenda Monte dei Paschi riguarda direttamente il Pd. Contemporaneamente ha detto che il suo "movimento" farebbe volentieri alleanza post-elettorale con il Pdl purché epurato dalla presenza di Berlusconi. È evidente l'obiettivo: scomporre e ricomporre la vecchia "strana maggioranza" da lui presieduta dal novembre del 2011 fino al febbraio 2013. Bersani sì ma senza Vendola; Alfano sì ma senza Berlusconi e Monti federatore di moderati e riformisti. La vicenda Monte dei Paschi, purché fatta montare come la panna, aiuta; quanto a Berlusconi, lui è disposto a tutto purché gli si dia un salvacondotto giudiziario ed economico. E chi glielo negherà? Monti no di certo, Casini meno ancora perché vuole la presidenza del Senato e poi, chissà...
 

(27 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/01/27/news/la_panna_montata_e_lo_scandalo_di_siena_segue_a_pagina_23-51371980/
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« Risposta #403 inserito:: Febbraio 03, 2013, 11:46:05 am »

Se il cavallo del Cavaliere vince la corsa elettorale


di EUGENIO SCALFARI

C'E' UNA domanda che mi pongo e che propongo ai cittadini che voteranno (e anche a quelli che finora non hanno intenzione di votare o sono ancora indecisi per chi votare): che cosa accadrebbe in Italia se il Partito democratico non vincesse le elezioni? Né alla Camera né al Senato?

Finora nessuno ha fatto questa domanda e nessuno ovviamente ha dato una risposta. Bersani ha fatto appello al cosiddetto voto di necessità, ma limitatamente ad alcune Regioni il cui esito elettorale può essere determinante per il Senato. Ma il tema è più generale. Se l'è posto soltanto Alfredo Reichlin in un articolo lo scorso venerdì sull'"Unità", nel quale si è chiesto che cosa accadrebbe se non ci fosse una visione del bene comune come quella proposta dal Pd.

La logica della democrazia parlamentare ci dice che si vota per il meno peggio; votare per il meglio, cioè per il partito con il quale ci si identifica al cento per cento, è pertanto impossibile: ciascuno ha una sua visione del bene comune. Dunque si vota per il meno peggio, partito movimento o lista elettorale che sia, il cui programma e i cui rappresentanti siano i meno lontani dal nostro modo di pensare. Del resto di Winston Churchill restò celebre la battuta che "la democrazia è il peggiore dei sistemi politici ma uno migliore non è stato ancora inventato".

Allora ripeto: che cosa avverrebbe se il Pd fosse scavalcato da un altro partito? E quale?
Gli inseguitori sono quattro, ma di essi solo uno insegue per vincere in tutte e due le Camere: quello di Berlusconi con i suoi alleati, Lega Grande Sud, Destra, Fratelli d'Italia.

Gli altri non hanno speranze per la Camera, ma possono creare una situazione di ingovernabilità al Senato e quindi una paralisi parlamentare con tutte le conseguenze del caso: la lista civica di Monti con i suoi alleati e Ingroia.

Grillo è un caso a parte. Potrebbe arrivare terzo e perfino secondo ma è molto difficile pensare che divenga primo. E poi i grillini in Parlamento subiranno inevitabilmente una radicale trasformazione; il Parlamento è la sede d'un potere costituzionale, quello legislativo. Voteranno contro tutte le leggi? Vorranno abolire tutte quelle esistenti? Il Movimento "5 stelle" è un'incognita, il suo bacino elettorale è quello degli indecisi che attualmente viaggiano attorno al 10 per cento. La pesca di Grillo si svolge in quel bacino, ma non è il solo. Nel migliore dei casi potrebbe arrivare al 20 per cento e sarebbe un successo enorme ma comunque non sufficiente a dargli la vittoria.

Superare il 20 per cento e magari arrivare al 25 è anche il traguardo vagheggiato da Monti. Ma il solo che può oltrepassare quel traguardo è Berlusconi. È lui l'inseguitore del Pd e dunque che succederebbe se l'inseguitore raggiungesse e superasse l'inseguito?

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Se questo dovesse accadere crollerebbe in misura catastrofica la credibilità europea e internazionale del nostro Paese; i mercati si scatenerebbero e lo "spread" tornerebbe alle stelle. L'ipotesi di un Berlusconi vincente che riuscisse a "domare" Angela Merkel, cioè la Germania, è puro infantilismo. Accadrebbe però che la Lega conquisterebbe un potere decisivo e spaccherebbe con le sue proposte il Paese in due. Qualora la Germania non si accucciasse ai piedi del redivivo, il Cavaliere ha già previsto ed ha pubblicamente dichiarato che la lira come ritorsione uscirebbe dall'euro. Forse coloro che abboccando alla demagogia berlusconiana pensano che prima o poi l'asino volerà, non hanno ben chiaro che cosa significa il ritorno alla moneta nazionale: le banche americane e la speculazione giocherebbero a palla con la liretta, roba da emigrazione forzata, ma se il Pd non vincerà è esattamente questo che accadrà.
Ci sono altre alternative?

Di Grillo abbiamo già detto; tra l'altro sostiene più o meno le stesse corbellerie di Berlusconi. Ma gli altri partiti potrebbero allearsi con il redivivo vincitore? Monti per esempio? Monti ha governato un anno con la "strana maggioranza" che comprendeva anche il Pdl. Vero è che in quell'anno Berlusconi era praticamente scomparso, oggi viceversa è tornato in scena. Quanto a Monti, ha già dichiarato di essere disposto a ripetere l'esperienza dell'anno scorso sempre che il Cavaliere torni a fare il morto. Ma se il Cavaliere fosse il vincente delle elezioni possiamo star certi che il morto non vorrà tornare a farlo. Oppure potrebbe anche cedere a Monti la presidenza, perché no? Invierebbe a controllarlo il suo cameriere Angelino. Quanto a lui chiederebbe ed otterrebbe un salvacondotto onorifico. E il Pd? Ruota di scorta benvenuta, ma senza Vendola per rompere definitivamente con la propria genealogia politica che - come lo stesso Monti ha affermato - comincia con la nascita del Pci a Livorno nel 1921. Comunisti senza soluzione di continuità, partito vecchio come tutti gli altri salvo la lista civica montiana. E salvo Ingroia, Monti se l'era dimenticato. Anche Ingroia è nuovo di zecca e infatti anche lui non sopporta il vecchio Partito comunista camuffato da riformista e anche lui, da sponda opposta, lavora affinché il Pd affondi.
Noi comunque riteniamo che il centrosinistra vincerà alla Camera perché il "Porcellum", che è una porcata per quanto riguarda la scelta dei candidati e il meccanismo d'attribuzione del premio al Senato, assicura la governabilità alla Camera.

Per il Senato il discorso è diverso, ma lì non c'è soltanto Monti, c'è anche Casini e non è affatto detto che sia in tutto e per tutto allineato con Monti. Probabilmente, se il Pd vincerà alla Camera ma il Senato fosse senza maggioranza, Casini l'alleanza con Bersani la farebbe e la governabilità sarebbe assicurata, gli impegni con l'Europa mantenuti, la politica economica europea e italiana orientate verso la crescita. Ecco perché il centrosinistra deve vincere. Personalmente sono liberale e non sono nato nel 1921 ma dalla morte di Ugo La Malfa in poi ho votato sempre a sinistra per un partito riformista. Ce n'è uno solo in Italia, riformista e democratico, con attenzione ai deboli, ai giovani, alle donne, al Mezzogiorno e alla laicità dello Stato. Quando Monti ha parlato del Pci come del progenitore del Pd ho visto che accanto a lui c'era il ministro Riccardi della Comunità di Sant'Egidio che approvava annuendo con la testa; evidentemente pensava ai tempi beati della Dc e non mi è affatto piaciuto. Dovrebbe ricordare - Riccardi - che Moro fece l'accordo con Berlinguer per governare il Paese in un momento di gravi difficoltà e per questo ci rimise pure la vita. Nichi Vendola, me lo lasci dire il buon Riccardi, il Berlinguer di allora lo tratterebbe come un figlioccio un po' più moderato di quanto lui non fosse.

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Si parlerà ancora a lungo dello scandalo Monte dei Paschi, entrato di prepotenza nella campagna elettorale. Ma è un tema che con la politica c'entra soltanto incidentalmente. Il vero tema non è politico, riguarda piuttosto la struttura del sistema bancario, la vertiginosa moltiplicazione dei titoli derivati, le fondazioni e il loro assetto proprietario, i sistemi di vigilanza.

L'articolo di Luciano Gallino pubblicato ieri sul nostro giornale è molto chiaro in proposito: "La banca di Siena ha messo in pratica un modello di affari identico a quello di tutte le banche europee ed è un modello dissennato che sta all'origine della crisi economica in corso dal 2007 e ha portato al dissesto molte decine di banche in quasi tutti i paesi del nostro continente e negli Stati Uniti".

Questo modello va dunque riformato radicalmente in alcuni suoi punti nevralgici che sono i seguenti:
1. Occorre separare (come era stabilito nella nostra legge bancaria del 1936) le banche di credito ordinario dalle banche di affari e di lungo finanziamento. Le prime debbono raccogliere depositi e utilizzarli per finanziare le imprese; il loro capitale deve essere investito soltanto in obbligazioni emesse dallo Stato o da esso garantite.
2. La proprietà delle banche di credito ordinario deve essere affidata ad una pluralità di soci nessuno dei quali possa detenerne il controllo: fondazioni, fondi pensione, enti non-profit (leggi Amato e Ciampi).
3. La vigilanza sulle banche affidata alla Banca centrale, deve avere poteri più penetranti di quelli attuali. In particolare debbono avere il potere di revoca degli amministratori la cui condotta e le cui operazioni presentino aspetti rischiosi per la stabilità della banca ad essi affidata.

La Banca d'Italia, allora guidata da Mario Draghi, chiese più volte al governo che i suoi poteri di vigilanza fossero rafforzati e chiese in particolare di poter revocare gli amministratori. Oggi la vigilanza può solo ricorrere alla "moral suasion" che non è un potere ma una semplice raccomandazione. Analoghe richieste furono fatte dal Fondo monetario internazionale, anch'esso preoccupato per gli scarsi poteri della vigilanza della Banca d'Italia. Il governo, nella persona del superministro Tremonti, rifiutò. Sarebbe molto opportuno che su questo punto la Banca d'Italia fornisse alla magistratura e alla Corte dei Conti la documentazione delle sue richieste e la risposta negativa del ministro competente.

Il Presidente della Repubblica è giustamente preoccupato di quanto è accaduto, reclama chiarezza, confida nella magistratura e difende la Banca d'Italia dalle critiche faziose che le vengono rivolte. Ha segnalato anche, e giustamente, possibili "cortocircuiti" tra organi di informazione e autorità giudiziarie, che possano influire negativamente sui depositanti e sul mercato. Occorre tuttavia distinguere tra organi di informazione che ricercano la verità come è loro compito deontologico e istituzionale; possono talvolta incorrere in qualche errore come a tutti può capitare nell'effettuare il loro lavoro. Altra cosa invece avviene quando l'organo di informazione fabbrica notizie inesistenti e le diffonde per influire sui mercati e sulla politica. Queste sono macchine del fango e il cortocircuito che provocano non è occasionale ma consapevole e voluto.

Per rafforzare il risanamento del Monte dei Paschi sarebbe anche molto opportuno a nostro avviso che il ministro dell'Economia nominasse due consiglieri d'amministrazione della banca in occasione del prestito dei Monti-bond. La presenza provvisoria dello Stato nel capitale della banca è garanzia dell'opera di pulizia in corso dopo lo "tsunami" di Mussari e dei suoi accoliti.
Quanto alla fondazione senese, è evidente che debba fortemente diminuire la sua presenza azionaria nella banca. Lo faccia al più presto e discenda al 20 per cento, meglio meno che più.

Post scriptum. Ieri ed oggi il nostro giornale è presente a Torino come lo fu l'anno scorso a Bologna, con manifestazioni intitolate "la Repubblica delle Idee": dibattiti, prolusioni, interviste su temi di perdurante attualità. I torinesi hanno affollato le nostre iniziative con un interesse ed una simpatia dell'intera città.

Invio a tutti i colleghi ed amici e al direttore Ezio Mauro i miei più affettuosi auguri e li invio anche ai cittadini di Torino. Nel lontano 1968 fui deputato in quel collegio, indipendente nelle liste del Partito socialista. Amo molto quella città e faccio voti affinché il lavoro, lo sviluppo economico e culturale abbiano la meglio sulla attuale stasi.
 
Torino fu la culla del nostro Risorgimento e uno dei principali centri di crescita e di solidarietà sociale e nazionale. Questa è la sua vocazione che anche in tempi difficili non è mai stata abbandonata.

(03 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/02/03/news/scalfari_berlusconi-51831873/?ref=HRER1-1
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« Risposta #404 inserito:: Febbraio 09, 2013, 10:55:51 am »

Opinione

Anche Gesù era un narcisista

di Eugenio Scalfari

L'amore di sé viene spesso demonizzato. Invece è indispensabile per vivere con fiducia, per progettare il futuro e ricordare il passato. E alcuni grandi uomini della storia ne sono la prova

(07 febbraio 2013)

La letteratura di marca freudiana ha come personaggio principale delle sue analisi terapeutiche la figura mitologica di Narciso. Anche le grandi opere narrative ne fanno quasi sempre la figura centrale; pensate al Julien Sorel del "Rosso e Nero" di Stendhal, pensate alla "Recherche" proustiana e in tempi a noi più vicini ai personaggi in gran parte autobiografici dei romanzi di Roth e di Saul Bellow.

Ma il primo che teorizzò il dominio sull'anima umana dell'amore di sé fu il duca de La Rochefoucauld nelle sue Massime. Lo chiamava "amour propre" distinguendolo dall' "amour pour les autres" e ne enumerava i pregi e i difetti.

GLI ANALISTI FREUDIANI tendono invece a identificarlo in un disturbo psichico e hanno orientato la loro terapia a farlo emergere a livello della coscienza sperando che la consapevolezza del narcisismo nel soggetto analizzato riesca a limitarne i danni se non addirittura a eliminarlo. Questa posizione è comprensibile poiché chi si rivolge alla terapia psicoanalitica è normalmente una persona disturbata e spesso il disturbo che lo affligge è proprio il narcisismo che ha oltrepassato la soglia fisiologica diventando patologia. Si aggiunga che gran parte delle persone non sa o comunque nega risolutamente che la sua psiche sia affetta di narcisismo; nel linguaggio corrente quella parola ha un senso peggiorativo perché è sinonimo di egoismo e le persone non ammettono mai di essere egoiste, cioè di privilegiare l'io all'amore per gli altri. Su questo tema insomma quasi nessuno dice la verità salvo che sul lettino dell'analista.

L'argomento è diventato di stretta attualità da quando la pubblicistica ha scoperto che le società moderne hanno l'egoismo come caratteristica principale. In realtà hanno scoperto l'acqua calda: tutte le persone, tutte le società, tutte le corporazioni, tutte le nazioni, insomma tutti i soggetti individuali o collettivi sono egoisti, privilegiano su tutti gli altri l'amore di sé quale che sia la loro condizione sociale, sicché Narciso è la figura mitologica fondamentale, la vera e propria icona da sempre, da quando la scimmia si sollevò da terra su due gambe e il suo cervello cominciò a pensare e il suo linguaggio a pronunciare la parola "io". Non a caso l'assunto principale della filosofia di Nietzsche si esprime con la frase che ciascun individuo è il centro del mondo. Non si ritiene ma realmente è il centro del mondo poiché non può guardare il mondo, cioè tutte le cose e le persone che lo circondano, se non dal proprio punto di vista. Perciò è lui il centro e tutto il resto non è che una circonferenza o se volete la sua periferia.

HO LETTO NEI GIORNI SCORSI sulle pagine culturali di "Repubblica" un interessante articolo di Massimo Recalcati che ha proprio Narciso come tema portante. Sostiene l'importanza di guardarsi allo specchio (ma naturalmente in senso metaforico): solo guardandosi allo specchio ci si vede e ci si innamora di sé. Narciso infatti si guardava nelle acque di un lago e si innamorò a tal punto di quella sua figura che alla fine cadde nel lago e morì.

Mi par di capire che Recalcati consideri negativamente l'innamoramento di sé. Se questo è il suo pensiero e il suo giudizio, debbo dire che sbaglia e di grosso: ciascuno di noi vive in propria compagnia ventiquattr'ore su ventiquattro e guai se non amasse se stesso. La sua vita diventerebbe un inferno e non durerebbe a lungo. Chi vive a disagio con se stesso e si disistima cade quasi sempre in stati di depressione che sovente si trasformano in psicopatia e talvolta inducono al suicidio.

LA FIDUCIA IN SE' e quindi l' "amour propre" è un requisito fondamentale e deriva direttamente dall'istinto di sopravvivenza che è il fondamento di tutti gli esseri viventi, dagli animali ai vegetali. L'amore di sé e la fiducia che ne deriva sono la condizione necessaria per vivere e sopravvivere, per progettare il futuro, per ricordare il passato e celebrarlo. Il primo racconto che fonda la letteratura occidentale è l'Iliade e che cos'altro è quel poema se non l'epica degli eroi? E che cosa sono gli eroi se non dei narcisi che si specchiano nelle proprie imprese, nelle proprie vittorie, nel proprio coraggio? Narciso tuttavia non è un dio, non ha un seggio in Olimpo. Nel politeismo ellenico non esiste un dio Narciso come non esiste in nessun'altra religione. Salvo una: quella che ha come punto di riferimento essenziale anzi esclusivo Gesù Cristo figlio di Dio, che assume natura umana per assicurare la salvezza delle creature.

Il miracolo che Cristo dovrebbe compiere sarebbe quello di abolire l'egoismo. In realtà si tratta d'un tragitto amoroso al termine del quale ci sarà l'amore di tutto il mondo cristiano per Cristo Salvatore. Non suoni blasfemo se dico che Gesù di Nazareth figlio dell'uomo fu un caso stupefacente e, questo sì, miracoloso di narcisismo ottenuto attraverso il suo sacrificio e l'immenso amore che tutti i cristiani indirizzarono e indirizzano verso la sua figura.

 
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