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Autore Discussione: LI SEGUIREMO DA LONTANO DEMOCRATICAMENTE … SENZA LA LORO ARROGANZA. “è meglio”!  (Letto 18115 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Giugno 03, 2018, 11:34:36 am »

Uno dei loro limiti che non sapranno superare è che: predicano di "divisione", non di evoluzione.

Invece il Mondo, in tutte le sue caratteristiche attuali, ha bisogno di "evoluzione"!

Evoluzione ed eliminazione delle differenze vitali e sociali, negli Ultimi, quindi delle guerre.

Evoluzione nel Capitalismo che sa' perfettamente di dover "evolvere" verso, un più "conveniente”, socialismo, democratico, sociale ed economico.

I dittatori per conto terzi non gli servono più, oggi c’è Internet e la gente conosce subito e, speriamo, “reagisce meglio”.

Le Rivoluzioni non si fanno più con le armi, ma con l'evoluzione positiva dall'interno della società. Lega e 5Stelle l'hanno dimostrato, in negativo e in brutta-copia.

Li seguiremo, da lontano, democraticamente … “è meglio”!

Noi dobbiamo stare tra la gente … “è meglio”.

ggiannig
« Ultima modifica: Luglio 28, 2018, 12:43:49 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 17, 2018, 08:58:20 pm »

Si sono inventati un Contratto (non votato dagli Italiani) adesso fanno a gara a chi "dissente di più dall'altro".

Speriamo che il voto consapevole e senza marchingegni elettorali fasulli, si possa svolgere a primavera 2019.

I Cittadini più conoscono meno errori commettono.

ciaooo 
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 17, 2018, 09:12:24 pm »

Razzisti, complottisti e calunniatori. Ecco il “dream team” dei nuovi Sottosegretari

Su 45 incarichi sono solo 6 le donne. Ma il problema non è solo nella rappresentanza di genere…

Nella lista dei 39 sottosegretari di Stato e dei 6 viceministri del nuovo governo ce n’è per tutti i gusti. I gusti peggiori. Da chi tifa perché l’Etna possa risolvere i problemi dell’Italia (tweet poi cancellato del nuovo Sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Vincenzo Santangelo) a chi, come la leghista Vannia Gava, sostiene che Calderoli avesse ragione quando paragonò l’allora ministra Kyenge ad un orango. D’Altronde, spiegava nel 2013 “”è innegabile” come “I tratti somatici di alcune popolazioni evochino da sempre sembianze animali se non peggio. […] È ora di finirla di puntare il dito contro i pochi che hanno il coraggio di dire quello che pensano tutti”.

Questi sono solo due assaggi del vasto menù gialloverde. Se Paolo Savona vi sembrava un feroce anti-euro, forse non avete presente Maurizio Fugatti, l’esponente del Carroccio – ora sottosegretario alla Salute – che nel 2012 ricordava con orgoglio come alla festa leghista di Avio si potesse “pagare cibo e bevande con le vecchie lire” o che ringraziava la Merkel per aver trasformato l’Europa “nel Quarto Reich”. Direte: beh, almeno non è all’Economia. Certo. Peccato, però, che là ci è finita Laura Castelli, una delle poche donne nominate da Conte (6 su 45 incarichi, alla faccia del governo del “cambiamento”). La Castelli è diventata famosa, tra le altre cose, per una surreale conversazione con Lilli Gruber a Ottoemezzo. Si parlava del referendum sull’Euro, ma sull’argomento la deputata non sembrava avere le idee chiare.

Un capitolo a parte poi andrebbe riservato al solo Carlo Sibilia, nuovo sottosegretario all’Interno. Le sue dichiarazioni sono una sorta di best of dell’assurdo. Non crede allo sbarco sulla luna, ha avuto dubbi complottisti sulla strage di Charlie Hebdo e si è scagliato contro la stampa che oscurava il Restitution Day, “l’evento politico più rivoluzionario dagli omicidi di Falcone e Borsellino”.

Vito Crimi, sottosegretario all’Editoria, si è contraddistinto per commenti non proprio eleganti nei confronti dei giornalisti che gli “stanno sul cazzo”. Mentre sul colloquio tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e la delegazione del Movimento al Quirinale, a cui si era aggiunto Beppe Grillo, aveva detto: “Napolitano è stato attento, non si è addormentato. Beppe è stato capace di tenerlo abbastanza sveglio”.

Il sottosegretario per l’Economia e le Finanzie, Massimo Bitonci è un veterano della Lega Nord e del suo pensiero. Tanto da ricoprire dal 2016 il ruolo di presidente della Liga Veneta, cioè il nucleo veneto fondativo del Carroccio. Sarà anche per questo che nei suoi discorsi c’è l’essenza stessa dell’approccio leghista al problema migratorio. In un intervento in aula del 14 gennaio 2014 disse: “Signora Presidente, onorevoli colleghi, la gente ormai ha paura ad uscire la sera e lei vuole favorire la negritudine come in Francia”.

Chiudiamo con l’insegnante di lettere, anche se la lista potrebbe continuare. Il pentastellato Gianluca Vacca, sottosegretario ai Beni culturali, si è contraddistinto per una certa avversione nei confronti del mondo del giornalismo. In occasione del ritorno in edicola del quotidiano l’Unità scrisse su Twitter: “L’Unità è tornata a infangare le edicole. Le discariche sono sature, non c’era bisogno di nuova spazzatura”.

Da - https://www.democratica.com/focus/sottosegretari-governo-conte/
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2018, 10:45:44 am »

Da oggi la «stretta» sulle imprese, a rischio subito 80mila contratti

Pubblicate le nuove norme.

Giro di vite esteso anche alla somministrazione Maresca: «Dopo i 12 mesi liberi le causali freneranno le stabilizzazioni»

ROMA

Prima vera spallata al Jobs act, con la riscrittura del decreto Poletti, che nel 2014 aveva liberalizzato i contratti a termine per tutti i 36 mesi di durata, e una iniziale scalfittura al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con l’incremento del 50% degli indennizzi monetari, minimo e massimo, in caso di licenziamento illegittimo, che dagli attuali 4 e 24 mensilità passano ora a 6 e 36 mensilità.

Con la pubblicazione ieri in Gazzetta ufficiale, 161, del decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, scatta, da oggi, la stretta sulle imprese. Il contratto a termine “libero” potrà essere sottoscritto fino a 12 mesi; dopo si ripristinano le causali, vale a dire le ragioni che giustificano il ricorso da parte del datore a un rapporto a tempo determinato. In questi casi, si potrà attivare un contratto a termine solo per due motivazioni, cioè per «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria; oppure per necessità «temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, o per esigenze sostitutive di altri lavoratori» (come nel caso, per esempio, di ferie o malattie). Non solo. La durata complessiva di un rapporto a termine scende da 36 a 24 mesi, sono ammesse quattro proroghe (finora, cinque), e «in occasione di ciascun rinnovo», anche in somministrazione, scatta un incremento contributivo di 0,5 punti percentuali, in aggiunta all’1,4% già previsto, dal 2012, dalla legge Fornero, e utilizzato per finanziare la Naspi (l’indennità di disoccupazione). Il giro di vite si estende pure al rapporto di impiego a tempo che lega agenzia per il lavoro privata (Apl) e lavoratore somministrato (lo staff leasing non viene invece toccato, come neppure, al momento, il contratto commerciale, tra risorsa e impresa utilizzatrice). La stretta si applica a tutti i contratti di nuova sottoscrizione, ma anche a quelli in corso, seppur limitatamente a proroghe e rinnovi.

La relazione tecnica al Dl stima, da subito, un impatto negativo sull’occupazione: in base a dati forniti dal ministero del Lavoro, infatti, su circa due milioni di contratti a termine attivati l’anno (al netto di stagionali, agricoli e Pa) il 4%, pari a 80mila rapporti, supera la durata effettiva di 24 mesi, e pertanto, da oggi, si pone in contrasto con le nuove previsioni (il 10% di questi 80mila, cioè 8mila, addirittura si considera che perderanno il posto ogni anno, fino al 2028).

Il decreto Conte, che sarà incardinato ufficialmente nelle commissioni Lavoro e Bilancio della Camera lunedì, allunga anche i termini, da 120 a 180 giorni, per impugnare un contratto a tempo; e conferma l’esclusione dalle nuove regole dei rapporti a termine stipulati dalla pubblica amministrazione, ai quali, pertanto, continueranno ad applicarsi le attuali disposizioni («un’altra occasione persa per equiparare i due regimi, che restano così differenziati, anche sotto il profilo sanzionatorio», commenta Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Bologna).

L’ultima versione del provvedimento salva, invece, i contratti per attività stagionali, con l’inserimento di una modifica specifica: a loro non si applicheranno le causali, neppure per proroghe e rinnovi (in pratica, rimane tutto com’è).

Per gli esperti le nuove regole rischiano, concretamente, di disorientare le aziende, aprendo a incertezze applicative e la possibile ripresa di contenziosi (più che dimezzati con il decreto Poletti). «L’obiettivo di contrastare il precariato è condivisibile - afferma Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze -. Il giro di vite sulla somministrazione è però sbagliato perché si colpisce un istituto di flessibilità buona. Il ripristino poi delle causali non è la soluzione, visto che storicamente non hanno mai prodotto il risultato atteso». Gli effetti, purtroppo, saranno altri: «I lavoratori occupati a termine già da 12 mesi difficilmente verranno stabilizzati o riassunti a tempo determinato - spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Cosa lo impedisce? Proprio il ritorno delle causali».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Claudio Tucci

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180714&startpage=1&displaypages=2

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« Risposta #4 inserito:: Luglio 23, 2018, 01:52:38 pm »

Senza incentivi al lavoro stabile la «dignità» resterà un’illusione

Tra i diversi articolati del decreto dignità la parte dedicata al lavoro a termine è quella che sta suscitando le critiche più accese. La più diffusa è che, con ogni probabilità, le nuove regole non favoriranno la creazione di rapporti di lavoro duraturi ma produrranno l’effetto contrario, o in forma di aumento del lavoro nero, o di incentivo a pratiche elusive dello stesso decreto. Il provvedimento, infatti, non pare né culturalmente né tecnicamente attrezzato per intraprendere la «guerra» contro la precarietà, proclamata dal ministro Di Maio.
Non lo è culturalmente perché riflette l’atavica illusione, propria del tradizionale approccio garantista, che limiti e vincoli normativi alle decisioni di impresa, possano produrre i comportamenti ritenuti virtuosi dal legislatore. Gli studi di sociologia del diritto ci dicono, invece, che le norme intrusive, burocraticamente conformative di comportamenti, rischiano solo l’irrilevanza sociale e l’ineffettività giuridica in forma di prassi elusive.

Non lo è soprattutto tecnicamente perché il provvedimento non prevede alcuno strumento per incentivare contratti a termine lunghi e, soprattutto, la loro transizione verso il rapporto di lavoro stabile, tramite conversione. Anzi, nell'attuale stesura, il decreto favorisce i rapporti di lavoro a termine di durata inferiore all'anno. Ed è notoriamente in tale tipologia di rapporti che alligna la precarietà più eclatante e dura. Ricerche internazionali sulla precarietà ci dicono che non tutti i contratti e non tutti i rapporti di lavoro atipici generano gli stessi effetti di precarietà: tali ricerche considerano, per esempio, lo staff leasing e lo stesso contratto a termine lungo come rapporti se non stabili, meno precari di altri, il secondo soprattutto perché contiene alte probabilità di conversione.
Se si guarda alle regole introdotte per decreto, si evidenzia subito il paradosso di un provvedimento pensato per combattere la precarietà, ma che rischia, invece, di favorirla.

Basta, a comprovare tale conclusione, un semplice ragionamento di buon senso. Se nel corso di un rapporto fino a un anno, dovesse emergere l’esigenza di protrarlo oltre l’anno tale esigenza verrebbe penalizzata dal legislatore con un costo aggiuntivo. Come si dice tra gli addetti ai lavori, non viene rafforzato, anzi scoraggiato, il contratto psicologico.

Di più: coevamente si concretizza il rischio di stabilizzazione tranchant, imposta dal giudice; il meccanismo della causale non sancisce semplicemente l’abuso del contratto a termine, ma è anche uno strumento che aumenta il rischio, a carico dell’impresa, di conversione involontaria. Al contrario, l’impresa che volesse porre in essere strategie di utilizzo abusivo del contratto a termine, non avrebbe nulla da temere dalla legge: potrebbe far ruotare sulla medesima posizione di lavoro diversi lavoratori assunti con contratto a termine di durata inferiore all'anno anche di un solo giorno.
Una valutazione ragionevole degli interessi in gioco implicherebbe non di imporre ma di favorire la stabilizzazione dei rapporti a tempo determinato sul piano delle convenienze mediante un’incentivazione all’accettazione del rischio di investimento duraturo sulla risorsa umana con la quale il rapporto si è protratto oltre un termine congruo e durevole.
Una riforma del contratto a termine è opportuna. Ma la direzione della riforma dovrebbe essere di tutt'altro segno rispetto al decreto dignità.

Da qui la proposta. I contratti a termine brevi dovrebbero essere scoraggiati finanziariamente, più che con le causali: al di là dei contratti stagionali fino a un anno stabilmente reiterabili (per i quali i legislatore ha chiarito nell’ultima versione la sottrazione ad ogni vincolo di rinnovo), i contratti a termine brevi o brevissimi (di poche settimane o di pochi giorni), dovrebbero essere tendenzialmente sostituiti con il ripristino dei voucher che avevano dato buona prova soprattutto se dotati di meccanismi anti abuso: tracciabilità, attivazione del voucher prima della prestazione e maggiori ispezioni e controlli. I voucher, meno pesanti burocraticamente (non implicano il costo della busta paga), si sono rivelati più funzionali nel venir incontro alla domanda di lavori occasionali come alternativa al lavoro nero e sono senz’atro preferibili ai rapporti a termine brevi e brevissimi (anche nella forma a chiamata), comunque più costosi anche burocraticamente.

I contratti a termine lunghi oltre l’anno andrebbero invece promossi finanziariamente, al contrario di quel che prevede il decreto dignità, con incentivi economici progressivi in proporzione all’aumento della durata e con un super bonus specifico in termini di abbattimento del cuneo fiscale (interno alla regolazione del contratto a termine) in caso di conversione a tempo indeterminato. Il bonus/abbattimento/cuneo, in tal caso, dovrebbe essere permanente (e non temporaneo come negli schemi di incentivazione occupazionale generalisti) proprio per favorire e premiare il reciproco affidamento dei contraenti (il contratto psicologico) e lo stimolo potrebbe allargarsi anche a specifici investimenti formativi (rendendo meno generica l’attuale disposizione sulla formazione dei lavoratori a termine). Per esempio la stabilizzazione del bonus fiscale, con abbattimento durevole del cuneo potrebbe scattare dopo il primo anno di conversione a tempo indeterminato, con eventuale restituzione parziale o totale del finanziamento se il rapporto dovesse interrompersi entro l’anno dalla conversione.
Si tratta di uno schema di regolazione (ad affidamento crescente) del contratto a termine che tende a premiare e non a punire; che mira a corroborare e a favorire, quasi maieuticamente, l’elemento fiduciario e collaborativo nel rapporto di lavoro nella fase di industria 4.0.

Ordinario di Diritto del lavoro alla
Università di Catania e alla Luiss di Roma

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bruno Caruso

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180720&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 23, 2018, 02:01:36 pm »

Boeri: ottimistici 8mila posti persi È scontro aperto con il governo
Decreto lavoro.

Il presidente Inps: Di Maio ha perso il contatto con la terra.
Irritazione di Palazzo Chigi: toni inaccettabili. Salvini: se vuole fare politica si candidi

Roma

Le stime Inps sull’impatto negativo del Dl dignità possono apparire «addirittura ottimistiche» se si considerano anche delle restrizioni stabilite per i lavori in somministrazione (la pausa tra un contratto e l’altro), l’introduzione delle causali sui contratti a termine oltre i 12 mesi e gli incrementi dei contributi Naspi previsti ad ogni proroga. Lo ha spiegato ieri in audizione alla Camera il presidente Tito Boeri, dopo aver difeso a spada tratta le analisi tecniche dell’Istituto e dopo aver offerto una ricostruzione puntuale della previsione degli 8mila disoccupati in più sollecitata in mattinata anche dal Servizio Bilancio di Montecitorio e che da una settimana sono al centro della polemica politica, dopo che il ministro del Lavoro e vicepremier, Luigi Di Maio, aveva denunciato la presenza di una «manina» che avrebbe inserito quel dato nella Relazione tecnica quando il Dl era ormai in via di promulgazione. «L’Inps ha condotto le stime su dati quasi interamente forniti dal ministero del Lavoro e ha avuto due giorni a disposizione per effettuarle» ha affermato Boeri, dopo aver ricordato che proprio il Lavoro aveva chiesto una quantificazione del minor gettito contributivo derivate dalla prevista contrazione del lavoro a termine. Insomma, chi ha scritto materialmente il decreto ne aveva già ipotizzato un impatto negativo e aveva chiesto a Inps la quantificazione.
L’ipotesi di 8mila mancati rinnovi è basata su un calcolo tra due scenari prudenziali (a normativa vigente e variata) che prende le mosse dalle probabilità di disoccupazione al termine dei contratti che si sono verificate negli ultimi anni. Un esercizio svolto dal Coordinamento statistico-attuariale Inps in totale indipendenza - ha rimarcato a più riprese Boeri - e che non considera gli effetti derivanti dalla reintroduzione delle causali. Tenendo conto anche di questa variabile la platea dei lavoratori a rischio sale: «considerando che la percentuale di soggetti con durata del contratto effettiva compresa tra 13 e 24 mesi è circa il 7% (140.000 lavoratori) - ha spiegato Boeri- tale platea potrebbe avere problemi di rinnovo in relazione alle causali che potenzialmente potrebbero generare periodi di disoccupazione». Inps naturalmente effettuerà un monitoraggio stretto sull’impatto del decreto. Ma sia la teoria della domanda di lavoro (applicabile al caso italiano dato l’alta disoccupazione) sia le analisi degli effetti di provvedimenti che hanno in passato imposto alle imprese di interrompere contratti di lavoro in essere - ha affermato Boeri - «convergono nell’indicare effetti negativi sull’occupazione almeno nel breve periodo».
Nelle considerazioni finali dell’audizione, Boeri s’è riservato lo spazio per rispondere agli attacchi personali subiti negli ultimi giorni, soprattutto dal ministro dell’Interno. «Ciò che non posso neanche prendere in considerazione - ha detto - sono le richieste di dimissioni on line e le minacce da parte di chi dovrebbe presiedere alla mia sicurezza personale». Immediata la reazione di Matteo Salvini: «Minacce a Boeri? Ma quando mai. Se vuole fare politica con la sinistra che l’ha nominato si candidi».
Boeri ha spiegato che la Relazione tecnica non esprime una sua «personale opposizione al decreto». E ha ricordato quando in passato aveva chiesto di modificare il Dl Poletti. Il presidente dell’Inps ha aggiunto di considerare giusto l’obiettivo del Dl dignità: «Può essere difeso anche a rischio di un modesto effetto negativo iniziale». Mentre quel che va in tutti i modi evitato è il ripristino della “causale” sui rinnovi e l’aumento dei disincentivi sulle assunzioni stabili. Bisogna fare i conti con la realtà - ha concluso - che, spesso, «ci impone delle scelte fra avere più di una cosa desiderata e meno di un’altra in qualche modo auspicabile». Ma sostenere che le Relazioni tecniche esprimono un giudizio politico significa «perdere sempre più contatto con la crosta terrestre, mettersi in orbite lontane dal nostro pianeta». In serata da palazzo Chigi fonti vicine al premier hanno parlato di «toni inaccettabili e di espressioni fuori luogo». Secondo le stesse fonti i toni sarebbero ancor più gravi proprio perché arrivano da una figura che dovrebbe mantenere un profilo squisitamente tecnico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Davide Colombo

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« Risposta #6 inserito:: Luglio 24, 2018, 12:17:53 pm »

POLITICA
23/07/2018 18:51 CEST | Aggiornato 2 ore fa

Giovanni Maria Flick: "Preoccupato per le parole di Casaleggio. Dopo il Parlamento supereremo anche la Costituzione?"

Il presidente emerito della Consulta interviene sull'intervista del presidente della Casaleggio Associati e di Rousseau


By Stefano Baldolini


"Casaleggio mi lascia un po' perplesso". Parla da "uomo di legge e soprattutto di Costituzione" il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick per dare una valutazione complessiva dell'intervista di Davide Casaleggio a La Verità in cui si preconizza, superata la democrazia rappresentativa, pur "tra qualche lustro" anche il superamento del Parlamento.

"Sono perplesso", continua Flick, "perché non ci trovo nessuna traccia di una cultura costituzionale che evidentemente viene ritenuta inutile, perché altrimenti sarebbe stata presente. Rimosso il Parlamento, si passerà alla Costituzione. Come non ci trovo nulla che parli del dubbio, del confronto, solo affermazioni assiomatiche, come quella per cui 'ben vengano i più puri che epurano i meno puri'". E' proprio il mancato rapporto tra il dubbio e la certezza che mi fa paura, perché la mancanza di dubbio, di confronto è sempre figlia dell'autoritarismo.

Dobbiamo essere preoccupati che il presidente dell'associazione che di fatto controlla il partito di maggioranza relativa abbia questa visione del futuro della nostra democrazia?
Sono decisamente preoccupato. C'era qualcuno che voleva fare dell'aula un 'bivacco di manipoli', ora c'è chi la vuole chiudere. Mi auguro non possa avvenire. La prima intenzione l'ha smentita la storia, la seconda, vedremo e speriamo.

Non è d'accordo nemmeno quando Casaleggio sostiene che "oggi grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività. Il superamento della democrazia rappresentativa è quindi inevitabile"?
Guardi, Casaleggio giustamente parla del potere delle idee. Ma io citerei anche Giovanni Falcone, "le idee camminano sulle gambe degli uomini". Mi pare difficile radunare 60 milioni di gambe e tirarne fuori le idee. Piuttosto, si rischia di incentivare la prevalenza di certe idee su altre. Per questo sono rimasto perplesso di fronte all'istituzione di un ministero per la democrazia diretta.

Arriviamo alla frase che ha fatto sobbalzare un po' tutti, quel "Tra qualche lustro faremo a meno pure del Parlamento", cosa ne pensa?

Che il Parlamento abbia tanti problemi lo sappiamo tutti, e Casaleggio ha tutti i diritti di ricordarcelo. Che però si arrivi anche a escludere la funzione di controllo - che, bontà sua, almeno per ora gli riconosce - senza specificare chi assolverà a questa funzione è assai grave. Chi controllerà? I 60 milioni di cittadini? Rousseau? Prendiamo una questione importantissima come l'immigrazione. Quando Casaleggio dice che "quello che conta è la percezione quotidiana dei singoli cittadini", cosa vuole esprimere esattamente? Il singolo, da solo, affacciato alla sua finestra, non può che vedere un pezzetto della realtà. Si può ridurre ogni fenomeno e ogni scelta alla valutazione del singolo? Mi sembra un'esasperazione del - per altri versi giusto - Not In My Backyard.

Non crede alla funzione della Rete nel processo democratico?
La Rete è espressione tipica della globalizzazione, una logica di virtualità e di profitto che abolisce il rapporto con la memoria e con lo spazio e che trasforma tutto in un gigantesco mercato senza contraddittorio, che invece è fondamentale nella formazione delle regole del vivere comune. Va ricordato poi che la globalizzazione ricerca il profitto, e qui mi viene da citare l'episodio del Vitello d'oro della Bibbia. Ebbene, siamo passati dal Vitello d'oro all"'Algoritmo d'oro". Con che risultati poi? I risultati ce li dà l'algoritmo e chi lo ha impostato e ciò senza tener conto del pericolo che deriva dalla moda e dalla sempre crescente diffusione delle fake news; mi sembra proprio che si stia seguendo la tendenza a trasformare il cittadino in consumatore.

Dietro all'idea della massima partecipazione c'è dunque in realtà un proposito di stortura autoritaria?
C'è il tentativo di mettere ordine e di gestire molteplici forme di malcontento con il rischio di costruire ed esaltare un'unità fittizia tra milioni e milioni di sensazioni di protesta. Il risultato sarà una parcellizzazione della realtà in chiave solo negativa senza alcuna indicazione su chi dovrebbe accorpare questo fiume di proteste e di malcontenti. D'altra parte in tutta l'intervista non ci sono parole chiare e coraggiose per risolvere le questioni. L'art.1 - e tutta la Costituzione - restano validi perché si opera una sintesi tra prospettiva personalistica e prospettiva solidaristica. Una delle conseguenze della visione di Casaleggio sarà invece la rimozione del secondo comma dell'Art.1: "La sovranità appartiene al popolo. E basta" tagliando via "le forme e i limiti" in cui essa si esercita secondo la Costituzione. Rimosso il Parlamento, sarà la volta della Costituzione. E rimarremo un po' sguarniti nel rapporto tra Stato e singoli cittadini, oggi garantiti proprio dai giudici e dalle leggi.

Di fatto però il Parlamento non funziona già più. L'uso eccessivo dei decreti legge per esempio e la sussunzione da parte dell'esecutivo della funzione legiferante...

Non c'è dubbio, però rimane una speranza che si possa farlo tornare a lavorare. In parte l'ultimo referendum era un tentativo in questo senso, fallito anche per la molteplicità dei contenuti riuniti in un unico quesito e incomprensibili: peccato mortale quest'ultimo per il referendum che è l'emblema della democrazia rappresentativa. Questa è una regola fondamentale della democrazia diretta, di cui parla Casaleggio: per farla funzionare occorre che la domanda venga compresa. È vero, oggi chi fa le leggi è il governo, com'è accaduto sull'articolo 18 e sulla riforma carceraria, che sta naufragando per volontà della nuova maggioranza. Ma il fatto che un meccanismo non funzioni, è sufficiente per eliminarlo o richiede piuttosto che lo si aggiusti?

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Stefano Baldolini Ufficio centrale, L'HuffPost

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« Risposta #7 inserito:: Luglio 25, 2018, 05:02:22 pm »

Di Maio al Veneto, si valuti il Dl Dignità dopo le modifiche

Garavaglia, 'governo risponderà agli industriali con i fatti'

Redazione ANSA
ROMA
25 luglio 2018 15:28

La Lega risponderà alle critiche degli imprenditori veneti 'coi fatti'. Lo assicura il viceministro dell'Economia in quota Lega, Massimo Garavaglia, che replica ai giornalisti che gli chiedono se il partito intenda raccogliere le sollecitazioni contro il provvedimento arrivate dagli industriali del Nord Est. 'Vedremo quando arriveremo all'articolo 1'.

Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio chiarisce che il decreto Dignità "non è stato ancora approvato. Stiamo apportando delle modiche, bisogna considerarlo alla fine del ciclo parlamentare. E, invece, si sta criticando il decreto che non è stato ancora modificato".

Gli imprenditori veneti si schierano contro il decreto Dignità del Governo, evidenziando tutti i rischi su occupazione e ripresa. "Il decreto dignità, se confermato nella sua impostazione, è destinato a incidere in maniera pesantemente negativa sull'occupazione e sulle imprese. Le rigidità che esso introduce avranno il solo effetto di far perdere le occasioni di lavoro che un'economia sia pure in fragile ripresa sta creando". È l'analisi che il presidente e il vice presidente vicario di Assindustria VenetoCentro, Massimo Finco e Maria Cristina Piovesana, hanno tracciato oggi nel doppio incontro sul tema svoltosi tra Treviso e Padova. Appuntamenti ai quali hanno preso parte oltre 600 imprenditori del Nordest e responsabili delle risorse umane. Secondo i vertici dei Assindustria VenetoCentro, "il rischio è di azzerare una tendenza virtuosa che solo in Veneto ha visto nel primo trimestre 2018 un saldo positivo di 53.200 nuovi posti di lavoro e la crescita dei contratti a tempo indeterminato (29.500, +26%), specie per effetto della transizione dai contratti a termine". 

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2018/07/25/di-maio-al-veneto-si-valuti-il-dl-dignita-dopo-le-modifiche-_839e363c-67f0-41d4-97ab-5f248fff6184.html
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« Risposta #8 inserito:: Agosto 01, 2018, 05:11:00 pm »

Stanno testando il fascismo e non ce ne rendiamo conto

16 LUGLIO 2018

BY RICOSTRUIRESTATOEPARTITI

 “Per capire cosa sta succedendo nel mondo in questo momento, dobbiamo riflettere su due cose. Una è che siamo in una fase di test. L’altra è che ciò che viene testato è il fascismo – una parola che dovrebbe essere usata con attenzione, ma dalla quale non bisogna sfuggire quando è così chiaramente all’orizzonte. Dimenticate il “post-fascismo” – quello che stiamo vivendo è il proto-fascismo.

Di Fintan O’Toole* – The Irish Times

È facile liquidare Donald Trump come un ignorante, non da ultimo perché lo è. Ma di una cosa ha una comprensione acuta: i test di marketing. Si è creato nelle pagine dei pettegolezzi dei tabloid di New York, dove la celebrità viene prodotta con storie oltraggiose che in seguito puoi confermare o negare, a seconda di come reagisce la gente. E si è ricreato nella realtà TV, in cui le trame possono essere regolate in base alle valutazioni. Dì qualcosa sui media, nega di averlo detto, aggiustalo, ripeti.

Il fascismo non risorge improvvisamente, in una democrazia. Non è facile convincere la gente a rinunciare alle proprie idee di libertà e civiltà. Bisogna fare delle prove che, se ben fatte, servono a due scopi. Fanno abituare la gente a qualcosa da cui potrebbe inizialmente rifuggire; e permettono di perfezionare e calibrare. Questo è ciò che sta accadendo ora e saremmo dei pazzi a non volerlo vedere.
Uno degli strumenti fondamentali del fascismo sono i brogli elettorali – li abbiamo visti all’opera nelle elezioni di Trump, nel referendum sulla Brexit e (con meno successo) nelle elezioni presidenziali francesi. Un altro è la costruzione di identità tribali, la divisione della società in polarità reciprocamente esclusive.

Il fascismo non ha bisogno di una maggioranza – di solito arriva al potere con circa il 40% di supporto e poi usa il controllo e l’intimidazione per consolidare quel potere. Quindi non importa se la maggior parte della gente ti odia, a patto che il 40% ti supporti in modo fanatico. Anche questo è già stato sperimentato.

E naturalmente il fascismo ha bisogno di una macchina di propaganda così efficace da creare, per i suoi seguaci, un universo di “fatti alternativi”, impenetrabili alle realtà indesiderate. Ancora una volta, i test per questa tecnica sono in fase avanzata.

Quando hai fatto tutto questo, c’è ancora un passo successivo cruciale, di solito il più difficile di tutti. Devi indebolire i confini morali, portare le persone all’accettazione di atti di estrema crudeltà. Come i segugi, le persone devono annusare il sangue. Gli si deve istillare il gusto per la ferocia.

Il fascismo fa questo costruendo un senso di minaccia, che si fa provenire da un gruppo esterno, meglio se già disprezzato. Ciò consente ai membri di quel gruppo di essere disumanizzati. Una volta raggiunto questo obiettivo, puoi gradualmente alzare la posta, passando per tutti gli stadi, dalla rottura delle finestre fino allo sterminio.

È questo prossimo passo che viene testato oggi sul mercato. Viene fatto in Italia dal leader di estrema destra e ministro per l’interno Matteo Salvini. Come la prenderebbe la gente se respingessimo le barche dei rifugiati? Diciamo che vogliamo registrare tutti i Rom e vediamo quali pulsante preme il pubblico. Ed è stato testato da Trump: vediamo come reagiscono i miei fan ai bambini che piangono nelle gabbie.

Mi chiedo come reagirà Rupert Murdoch.

Vedere, come hanno fatto la maggior parte dei commentatori, la traumatizzazione deliberata dei bambini messicani come “errore” da parte di Trump è un’ingenuità colpevole. È un periodo di prova – e la sperimentazione è stata un enorme successo. La scorsa settimana Trump ha affermato che gli immigrati “infestano” gli Stati Uniti: è un test di marketing per vedere se i suoi fan sono pronti per il prossimo passo nel linguaggio, che è ovviamente “parassiti”.

E la diffusione di immagini di bambini piccoli trascinati via dai loro genitori è una prova per vedere se queste parole possono essere sopportate anche come suoni e immagini. È stato un esperimento – è finito (ma solo in parte) perché i risultati sono stati ottenuti.

E i risultati sono abbastanza soddisfacenti. Ci sono buone notizie su due fronti. In primo luogo, Rupert Murdoch ne è felice: i suoi commentatori di Fox News si sono superati in crudeltà barbariche: facendo rumori animali alla menzione di un figlio con la sindrome di Down, descrivendo i bambini che piangevano come attori. Non si sono fermati di fronte a nessuna bassezza, anche i bambini di colore migranti sono bugiardi. Quei singhiozzi di angoscia sono tipici del comportamento manipolativo degli estranei che arrivano da noi per infestarci – non dovremmo forse temere una razza della quale persino i bambini possono essere così subdoli?

Secondo, ai fan più accaniti il test è piaciuto da morire: il 58% dei repubblicani è a favore di questa brutalità. I punteggi di approvazione complessivi di Trump sono saliti ormai fino al 42,5%.

Questo è molto incoraggiante per l’agenda proto-fascista. Il processo di emarginazione nel mondo democratico è iniziato. I muscoli di cui le macchine della propaganda hanno bisogno per difendere l’indifendibile vengono flessi. Milioni e milioni di europei e americani stanno imparando a pensare l’impensabile.

E se quei migranti fossero annegati nel mare? Che cosa succede se quei bambini rimangano traumatizzati per tutta la vita? Hanno già, nella loro mente, varcato i confini della moralità. Sono, come Macbeth, “yet but young in deed“. I test andranno avanti, i risultati analizzati, i metodi perfezionati, i messaggi affinati. E poi verranno le azioni.

Proteggiamo la nostra libertà con tutto il potere delle nostre democrazie e continuiamo ad essere coraggiosi, per tutto ciò che dovremo affrontare “.

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Da - http://ricostruirestatoepartiti.altervista.org/stanno-testando-il-fascismo-e-non-ce-ne-rendiamo-conto/
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 04, 2018, 06:39:21 pm »

    Scontro sulla prescrizione Bongiorno-Bonafede

Il ministro della PA: 'Stop alla prescrizione è una bomba nucleare sui processi'. La replica del Guardasigilli: 'L'unica bomba è la rabbia dei cittadini'

Redazione ANSA
03 novembre 2018

    Bongiorno: 'Turnover al 100% per gli statali'

Lo stop alla prescrizione come "bomba nucleare sul processo". Il reddito di cittadinanza da dare "alle imprese e non ai cittadini". Suona un nuovo campanello d'allarme in casa M5s, per le parole della Lega. Prima il ministro Giulia Bongiorno, poi il sottosegretario Armando Siri frenano su due cavalli di battaglia pentastellati. E, secondo la lettura M5s, minacciano così di violare il contratto di governo: vorrebbe dire, sottolineano, far saltare l'esecutivo.

E' Giulia Bongiorno, ministro leghista della P.a., ad aprire le ostilità: "La sospensione della prescrizione" al primo grado di giudizio "è una bomba nucleare sul processo. Sono molto preoccupata". Il riferimento è all'emendamento alla legge anticorruzione presentato dal M5s, che fa discutere da giorni la maggioranza. "Bongiorno sbaglia - replica il Guardasigilli Alfonso Bonafede - la bomba atomica che rischia di esplodere è la rabbia dei cittadini di fronte all'impunità". E a più voci dal M5s ricordano che non solo la riforma della prescrizione è nel contratto di governo ma lo stesso Salvini l'aveva auspicata davanti alle vittime della strage di Viareggio. Fonti leghiste spiegano che in realtà la linea è più morbida di quello che le parole di Bongiorno lascerebbero intendere: lei stessa dice che un "accordo" su come riformare la prescrizione, senza fermarla del tutto, si troverà. Per lunedì è in programma una riunione tra i parlamentari di M5s e Lega per trovare una soluzione. Ma la situazione nella maggioranza è tutt'altro che sotto controllo, ammettono fonti di entrambi i partiti. Tra le cose da fare Salvini cita legittima difesa (è in seconda lettura alla Camera), stop sbarchi (il decreto sicurezza, su cui c'è la fronda M5s, in settimana è in Aula al Senato), reddito "di reinserimento al lavoro" e riforma della Fornero con quota 100. Ma tra i nodi c'è quello enorme della Tav e ancora tante nomine in stand by (Consob, Antitrust, servizi, direzioni di rete Rai).

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/11/03/bongiorno-stop-della-prescrizione-e-bomba-nucleare-sui-processi-_3d26a2a2-0e21-42e9-8b7c-f5561cd4afce.html
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« Risposta #10 inserito:: Novembre 15, 2018, 12:30:51 pm »

Manovra, Roma alla Ue: “Incasseremo 18 miliardi in un anno da privatizzazioni. Concedeteci 3,6 miliardi di flessibilità”

Il governo gialloverde invia a Bruxelles un nuovo Documento programmatico di bilancio, ma lascia invariate le stime sulla crescita e sul deficit.

Le uniche novità sono la scommessa di riuscire a recuperare 1 punto di PIL vendendo partecipazioni statali e la richiesta di non conteggiare nel disavanzo le spese per interventi contro il dissesto idrogeologico e per una manutenzione straordinaria di viadotti, ponti e gallerie

Di F. Q. | 14 novembre 2018
   
Nessuna marcia indietro sul deficit, tranne una rassicurazione sul fatto che in caso di superamento del 2,4% del pil il Tesoro assumerà “iniziative correttive” non meglio specificate. Nessun ripensamento sulla previsione di crescita per il 2019, che resta all’1,5% nonostante il rallentamento dell’economia nel terzo trimestre di quest’anno e le stime più basse delle istituzioni italiane e internazionali. Il governo gialloverde, nel nuovo Documento programmatico di bilancio inviato martedì notte alla Commissione europea dopo la bocciatura arrivata il 23 ottobre, tiene il punto su numeri che aprono ora la strada a una procedura di infrazione per deficit eccessivo per violazione della regola del debito. Perché continua a ritenere “prioritaria l’esigenza di rilanciare le prospettive di crescita”, “di affrontare le difficoltà sociali indotte dall’andamento negativo dell’economia” (con il reddito di cittadinanza) e di “attenuare le rigidità e i vincoli introdotti nel sistema pensionistico” (con la quota 100), ed è convinto che la strada giusta sia fare più deficit.

Le uniche modifiche appaiono quasi provocatorie, da parte di un Paese che ha rivendicato di non aver rispettato il Patto di stabilità: la richiesta di 3,6 miliardi di flessibilità per interventi contro il dissesto idrogeologico e per la “messa in sicurezza dalla rete di collegamenti” e, sul fronte del debito, la scommessa di ridurlo con un piano di vendita di partecipazioni statali e privatizzazioni da 18 miliardi (l’1% del pil) nel solo 2019. Senza dettagli su quali sono i gruppi pubblici di cui si intendono cedere quote.

Nell’ultimo decennio, per fare un confronto, dalle dismissioni sono arrivati non più di 1,2 miliardi l’anno. E nella nota di aggiornamento del Def gli incassi dalle dismissioni erano indicati allo 0,3% del pil l’anno (5,4 miliardi) comprendendo anche la possibile revisione del sistema delle concessioni, oltre a 640 milioni nel 2019 e 600 milioni nel 2020 attesi dalla vendita di immobili pubblici. Negli ultimi anni la Corte dei conti ha sottolineato che il contributo delle dimissioni alla riduzione del debito pubblico è certamente necessario ma “difficilmente potrà risultare determinante nel breve-medio periodo”. In ogni caso questi maggiori introiti, secondo il governo, tenuto conto anche “del loro impatto anche in termini di minori emissioni di debito sul mercato e quindi minori interessi”, dovrebbero consentire di ridurre il debito/pil di 0,3 punti quest’anno, 1,7 nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,4 nel 2021. Il rapporto scenderebbe così dal 131,2 per cento del 2017 al 126% nel 2021, calando al 129,2 nel 2019 e al 127,3 nel 2020. Nella precedente versione del Dpb il debito/pil era dato, nel 2021, al 126,7 per cento dal 130,9 del 2019 e 130% del 2020.

Quanto alle spese eccezionali, il ministro dell’Economia Giovanni Tria nella lettera alla Ue spiega che “per il prossimo triennio” saranno “pari a circa lo 0,2% del Pil”, circa 3,6 miliardi. Tali risorse “saranno dedicate a un piano straordinario di interventi tesi a contrastare il dissesto idrogeologico e, per il solo 2019, anche a misure eccezionali volte alla messa in sicurezza della rete di collegamenti italiana. Le vittime e i danni ingenti conseguenti agli eventi alluvionali che hanno interessato l’Italia fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre sono testimonianza di un territorio ancora troppo esposto al dissesto idrogeologico”. In più “per il solo 2019” un miliardo sarà dedicato alla rete viaria dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.

Tria ricorda poi che la manovra è stata “costruita sulla base del quadro tendenziale, e non tiene conto della crescita programmata”, una “impostazione prudenziale” che “introduce un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”. Traduzione: il livello del deficit/pil è calcolato su un pil 2019 in crescita solo dello 0,9%, il dato tendenziale appunto. Se invece il tasso aumenterà di quanto spera il governo (1,5%) ci sarà un impatto positivo che contribuirà a ridurre quel valore, anche come effetto dell’aumento degli introiti fiscali che si accompagna a una maggior crescita.

Solo in coda alla lettera compare la rassicurazione che “il governo conferma l’impegno a mantenere i saldi di finanza pubblica entro la misura indicata nel documento di programmazione, rispettando le autorizzazioni parlamentari. In particolare, il livello del deficit al 2,4% del Pil per il 2019 sarà considerato un limite invalicabile “. Si ricorda poi che “la normativa nazionale prevede una serie di presidi che obbligano il governo a riferire tempestivamente alle Camere qualora si determinino scostamenti rispetto agli obiettivi, assegnando, tra l’altro, al ministero dell’Economia e delle finanze il compito di assicurare il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica”. Tria dunque dovrà “a verificare che l’attuazione delle leggi” e in particolare delle misure bandiera di Lega e M5s “avvenga in modo da non recare pregiudizio al conseguimento degli obiettivi concordati e ad assumere tempestivamente, in caso di deviazione, le conseguenti iniziative correttive nel rispetto dei principi costituzionali”.


di F. Q. | 14 novembre 2018

da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/14/manovra-roma-alla-ue-incasseremo-18-miliardi-in-un-anno-da-privatizzazioni-concedeteci-36-miliardi-di-flessibilita/4763790/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2018-11-14
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« Risposta #11 inserito:: Novembre 18, 2018, 11:24:30 pm »

GRANDI OPERE
Tav, l’ultimatum di Bruxelles «Tempi rispettati o risorse a rischio»

Nuove polemiche tra gli industriali e il ministro Toninelli

Foietta: bandi entro dicembre altrimenti sarà impossibile fare i lavori

Torino
Un’opera importante non solo per Italia e Francia, ma anche per l’Europa. Da completare «nei tempi». Questa volta a intervenire sulla Tav è un portavoce della Commissione europea. E lo fa dopo l’incontro tra il ministro Danilo Toninelli e l’omologa francese Borne, lunedì scorso. Il tema resta in primo piano: il Governo ha preso tempo per completare l’analisi Costi-Benefici, ma l’Europa ricorda che «se ci sono ritardi nella realizzazione degli interventi, questi possono essere soggetti a una riduzione dei fondi europei previsti». Il riferimento è agli 813 milioni stanziati dall’Ue e destinati, come ricorda Paolo Foietta, commissario di Governo per l’Alta Velocità, «a finanziare lavori per circa due miliardi di spesa totale entro fine 2019». Il fattore tempo è un fattore chiave in questa vicenda: «se non si faranno i bandi a dicembre – dice Foietta – non ci sarà il tempo materiale di fare i lavori, con il rischio di perdere queste risorse». Foietta ha presentato a Torino il Quaderno 11 dell’Osservatorio, documento conclusivo del mandato del Commissaruio di Governo inviato al presidente del Consiglio e al ministro dei Trasporti.
Intanto a Torino resta aperto il fronte a favore del collegamento tra Italia e Francia. Dopo il no delle organizzatrici della manifestazione di sabato scorso in piazza Castello, anche le categorie economiche, i professionisti e i sindacati che hanno sostenuto la mobilitazione hanno deciso di non accettare l’invito della sindaca Chiara Appendino. «L’unica sede di confronto nella quale discutere di Tav sulla base di dati certi e incontrovertibili è quella del governo» scrivono in una nota congiunta. Il vicepremier Luigi Di Maio, d’altronde, ha ribadito di voler incontrare la delegazione, dunque una convocazione formale al Mise potrebbe essere una questione di ore.
In serata è arrivata la risposta del ministro Danilo Toninelli agli imprenditori piemontesi, in visita ieri al cantiere Tav in Francia. «Il ministro Toninelli dovrebbe vergognarsi: venga a vedere i cantieri e la smetta di dire che la Tav è una galleria che non c’è» aveva detto il presidente di Confindustria Piemonte, Fabio Ravanelli. «Nessuna vergogna sul Tav ma, anzi, mi sento orgoglioso per lo sforzo che sto facendo per usare con attenzione i danari pubblici, rispetto a un’opera che dopo decenni di discussioni non ha ancora visto scavare un centimetro del tunnel di base. A vergognarsi dovrebbero essere quelli che negano questo». In realtà in questi anni si è scavato per realizzare i tunnel geognostici: una parte di queste opere sono destinate a diventare le gallerie di sicurezza, mentre lo scavo in corso a Saint Martin de La Porte, in asse con il futuro tunnel di base, rappresenta di fatto la prima tranche di scavi per la galleria della Torino-Lione. La sintesi nelle parole di Dario Gallina, a capo degli industriali di Torino: «sono stati già scavati 25 dei 162 km, di questi oltre 5 appartengono al tunnel di base».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Filomena Greco

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20181115&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #12 inserito:: Novembre 18, 2018, 11:26:15 pm »

PIERFRANCO PELLIZZETTI - Rocco Casalino, prototipo di una nuova Italia

Credo interessi poco se Rocco Casalino, il Rupert Everett delle Murge, nella sua sprezzante tirata anti vecchi e down stesse praticando un gioco di ruolo o – come è presumibile – un imbarazzante coming-out sui personali disgusti da arrampicatore sociale. Il fatto è che in altri tempi, forse un po’ ipocriti ma certo più educati, tali giudizi non erano neppure pensabili. Dunque, il sintomo di una mutazione antropologica avvenuta nell'italica specie umana, evidenziata in maniera clamorosa dall'apparizione di questi ragazzotti in carriera che ritengono la tracotanza il sostitutivo aggiornato del garbo, i riti mondani delle loro tribù il massimo della distinzione omologante; con le loro divise strizzate, pantaloni a tubo di stufa e calzature rigorosamente nere già di prima mattina, in cui la tonalità antracite del completo di prammatica tradisce la variazione fighetta del look bancario.

Secondo il canone “l’abito FA il monaco”, proprio della sociologia della “vita quotidiana come rappresentazione”, vale la pena di analizzare in dettaglio le caratteristiche di questa fauna che ha trovato il proprio habitat nei Palazzi del potere; oltrepassandone le forme ostentate alla ricerca della mentalità retrostante. Il sistema di pensiero proprio di questi nuovi “monaci” della religione postdemocratica.

A)  Vaffare le forme: se il primo tratto distintivo dello sgomitante è quello di occupare la scena ad ogni costo, ogni ostacolo frapposto tra lui e l’obiettivo va calpestato senza alcun riguardo; vuoi si tratti di mere smancerie oppure di preziose regole di civiltà.

L’effetto compiaciuto “elefante nella cristalleria”, per cui si minacciano impeachment a casaccio o si svillaneggia la stampa, si promettono azioni punitive contro funzionari dello Stato non ossequienti (vedi quanto sussurra il Casalino ai suoi assistiti).

B)  Praticare la post-verità: la lezione al ribasso del marketing applicato alla politica è stata appresa, così come il principio per cui se ripeti una balla un numero consistente di volte questa finisce per risultare verità. Sicché lo spread cresce perché lo manovra Soros e il reddito di cittadinanza elimina la povertà, nonostante sia solo un sussidio alla disoccupazione. Magari confondere la non condanna della sindaco Raggi come smentita di aver mentito (vedi le recenti performances di Di Maio).

C) Calpestare l’indipendenza: secondo l’esempio di chi in passato massacrava i non allineati nel comune capitolino, seppure risultassero gli unici PD non coinvolti nello scandalo Roma-capitale, tipo Ignazio Marino (vedi il maestro in autogol Orfini).

D) Alzare i toni: se gridi “Andreotti assolto” spingendo i decibel a livelli assordanti finisce che la gente si convince; e non si accorge di essere stata presa per i fondelli (vedi la principessa del Foro, già nera e oggi verdognola, Giulia Bongiorno).

E) Ricercare la benevolenza dei potenti: l’ansia da cooptazione che affligge il/i parvenu sconsiglia di perseguire azioni che potrebbero scontentare chi sta in alto. Magari richiedendo l’ICI pregressa al Vaticano (vedi tutti gli ultimi premier e vice).

F) “Prima la mia tribù”: per cui il programma di governo avrà lo scopo di operare trasferimenti alle proprie clientele elettorali spiegando che queste politiche clientelari daranno l’avvio a un nuovo New Deal. Da cui favori sotto forma di detassazioni per i padroncini che finanziano la propria compagine e mantenendo in vita norme sulla prescrizione per chi ne ha bisogno, da Rixi a Siri (vedi le furbate di Salvini).

G) Sostenere che si può uscire dalle politiche di austerity solo sfracellandosi contro Bruxelles, quando la Spagna di Pedro Sanchez e Pablo Iglesias lo sta programmando senza clamori, semplicemente perseguendo quanto questo governo non intende fare: trovare le risorse non nei nuovi deficit ma nella tassazione dei redditi più elevati. E destinando fondi allo sviluppo, non ai favori agli amici.

Pierfranco Pellizzetti

(15 novembre 2018)

Da - http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=26189
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« Risposta #13 inserito:: Novembre 18, 2018, 11:39:17 pm »

FINANZA E MERCATI 15 Novembre 2018 Il Sole 24 Ore
INVESTITORI? ESTERI

Stop all’asta sul marchio Old Wild West Pesa l’ipotesi delle chiusure domenicali
L’azionista Bc Partners decide di fermare la vendita Troppa incertezza sull’Italia
Non ci saranno le offerte, previste per il 20 novembre, da parte di Permira e Onex

MILANO
Viene congelata la cessione della catena di ristoranti Cigierre, il gruppo che comprende noti marchi come Old Wild West, Cantina Mariachi, Arabian Kebab, Wiener Haus, Shi's e Kukkuma Cafè e, infine, Temakinho.
Il fondo internazionale Bc Partners, azionista di controllo dell’azienda, ha infatti deciso di interrompere il processo di vendita che era in corso da qualche mese. Le offerte finali per il gruppo sarebbero dovute arrivare il 20 novembre.
In corsa, come potenziali acquirenti, c’erano ancora i private equity esteri Permira e Onex Capital. Tuttavia tra la fine e l’inizio di questa settimana è stata presa la decisione di non proseguire nell’operazione e quindi di stopparla.
Per quale motivo? La mancata vendita di Cigierre, azienda di grandi dimensioni visto che ha una valutazione di circa 750 milioni di euro, è il termometro dei timori degli investitori esteri, in questo caso i grandi private equity, per la situazione congiunturale in Italia e, nello specifico, per gli effetti ancora non calcolabili del paventato provvedimento sulle chiusure domenicali dei centri commerciali, ormai diventato un cavallo di battaglia del vice-premier Luigi Di Maio.
Secondo alcune fonti interpellate, la vendita sarebbe infatti stata messa in pausa per il momento perché l'attuale situazione macroeconomica in Italia è considerata eccessivamente incerta e anche la potenziale nuova regolamentazione che costringe le chiusure domenicali dei centri commerciali potrebbe avere un impatto sul settore, visto che Cigierre è presente con una parte dei suoi ristoranti in questi spazi.
BC Partners aveva ricevuto manifestazioni di interesse non sollecitate già nei mesi scorsi e ha iniziato a valutare la possibile cessione in largo anticipo sui tempi, considerando che resta in genere investita per 4-5 anni sugli asset in portafoglio. L'interesse di potenziali acquirenti è nato dalla forte crescita registrata da Cigierre in questi tre anni durante i quali il gruppo ha raddoppiato l'Ebitda e incrementato i ricavi, cresciuti di quasi il 30% solo nell'ultimo anno. Bc Partners ha portato avanti nel triennio una strategia multiformato aggiungendo brand diversi e complementari tra loro l’ultimo dei quali, Temakinho, proprio nei giorni scorsi.
Oggi il gruppo è la prima catena di ristoranti in Italia ed è ragionevole ritenere che Bc Partners continuerà a investire per sostenerne l’ulteriore sviluppo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Festa

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20181115&startpage=1&displaypages=2
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« Risposta #14 inserito:: Dicembre 18, 2018, 11:02:00 pm »

Perché Salvini e Di Maio pensano ora a ridurre il numero dei parlamentari

L’idea è nel contratto di governo e potrebbe contribuire a recuperare consenso tra i delusi da Quota 100 e reddito di cittadinanza

Di NICOLA GRAZIANI 18 dicembre 2018,09:26

RIFORME COSTITUZIONALI
La cosa dovrebbe avvenire alla ripresa, dopo la fine delle vacanze natalizie e, soprattutto, chiuso almeno per il momento il capitolo della legge di bilancio. A rilanciare l’idea (un primo lancio risale allo scorso settembre, proprio nel momento in cui diveniva più caldo il confronto-scontro con l’Europa) uno dei due vicepremier, Luigi Di Maio.

Ma l’altro vicepremier, Matteo Salvini, ha ripreso prontamente l’idea. Tanto prontamente da far pensare ad un’azione concordata.

Insomma, il governo gialloverde ha intenzione di presentare alle Camere un progetto di riforma costituzionale per ridurre drasticamente il numero dei parlamentari. Deputati e senatori, ha detto per primo il capo politico del M5S, saranno chiamati ad un taglio spontanei degli scranni, e da 945 che sono ora (lo stabilisce la Costituzione, e questo spiega il rango della riforma e le procedure con doppia lettura che saranno necessarie) si autoridurranno.

I numeri sono ancora da stabilire
Di quanto? Il contratto che è alla base dell’alleanza di governo parla chiaro: diventeranno “400 deputati e 200 senatori”. Questo, si legge nel documento sottoscritto lo scorso maggio, renderà “più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare il principio supremo della rappresentanza”.

Di Maio, parlando l’altro giorno a Lavarone, ha confermato la cifra, preannunciando: “taglieremo 345 parlamentari dal plenum della Camera e del Senato”. Ma Salvini, che in quel momento era ad un appuntamento della Lega, si è spinto più in là: “entro il 2019 verrà varata la riforma costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari”. A conti fatti, sarebbe una sforbiciata ancora più pesante, perché si tratterebbe di arrivare a circa 472 parlamentari, e non 600 come previsto dal contratto di governo e dallo stesso Di Maio.

In più resta da chiarire un punto: cosa fare dei senatori di diritto e di quelli di nomina? Fanno parte della prima categoria gli ex Presidenti della Repubblica (al momento il solo Giorgio Napolitano), mentre la questione dei senatori a vita è più complessa. La Costituzione dice che il Presidente della Repubblica ne può nominare fino a cinque (e qui si pare la questione se sia ogni singolo presidente a poterlo fare, o l’istituzione in quanto tale). Al momento il destino dei senatori non passati per le urne elettorali non è ancora segnato.

Ad ogni modo, potrebbe rivelarsi faccenda di importanza secondaria di fronte ad altre questioni.

Un precedente pericoloso
La prima è tutta politica, e qualcuno l’ha sollevata non senza malizia. Anche Matteo Renzi, è stato osservato, avviò le riforme costituzionali all’apice della gloria e ne finì vittima, accoltellato da un referendum. Lui, addirittura, voleva l’abolizione del Senato intero, senza se e senza ma.

La seconda sono i tempi. Salvini ha parlato esplicitamente di approvazione “entro la fine del 2019”. Un anno esatto, insomma.  Che però per una riforma costituzionale non è poi molto (ci vogliono quattro sì incrociati allo stesso testo di Camera e Senato). Allora occorre sbrigarsi: presentare il progetto di riforma al massimo alla fine di gennaio e avviare il confronto.

Riduzione numero parlamentari m5s lega
 
Un'arma di distrazione di massa?
E qui si potrebbe dare anche una seconda lettura dell’uscita quasi in contemporanea di Salvini e Di Maio. Questa: a primavera, e nella successiva campagna elettorale per le europee, l’attenzione generale potrebbe finire per essere focalizzata dalla questione del numero dei parlamentari, facendo passare in second’ordine ogni eventuale nuovo scontro con l’Ue e anche la applicazione depotenziata, rispetto alle attese, di riforme come Quota 100 e reddito di cittadinanza. In più l’alleanza di governo potrebbe rilanciarsi agli occhi dei non pochi delusi proprio dal risultato del confronto con Bruxelles.

Altro discorso il problema dei numeri con cui si arriverebbe all’approvazione della riforma. Non è impossibile immaginare che non verranno raggiunti i due terzi dei parlamentari consenzienti, cifra essenziale per mettere la nuova norma al riparo da un referendum confermativo (come era quello di Renzi, e mal gliene incolse). Una prospettiva cui Di Maio guarda in queste ore ostentando sicurezza. “Se lo vogliono, andremo anche il referendum. Voglio vedere quanti voteranno contro il taglio”.

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

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