LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LEGA & 5STELLE - Il CONTRATTO dopo il 4 marzo 2018. => Discussione aperta da: Arlecchino - Giugno 03, 2018, 11:34:36 am



Titolo: LI SEGUIREMO DA LONTANO DEMOCRATICAMENTE … SENZA LA LORO ARROGANZA. “è meglio”!
Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2018, 11:34:36 am
Uno dei loro limiti che non sapranno superare è che: predicano di "divisione", non di evoluzione.

Invece il Mondo, in tutte le sue caratteristiche attuali, ha bisogno di "evoluzione"!

Evoluzione ed eliminazione delle differenze vitali e sociali, negli Ultimi, quindi delle guerre.

Evoluzione nel Capitalismo che sa' perfettamente di dover "evolvere" verso, un più "conveniente”, socialismo, democratico, sociale ed economico.

I dittatori per conto terzi non gli servono più, oggi c’è Internet e la gente conosce subito e, speriamo, “reagisce meglio”.

Le Rivoluzioni non si fanno più con le armi, ma con l'evoluzione positiva dall'interno della società. Lega e 5Stelle l'hanno dimostrato, in negativo e in brutta-copia.

Li seguiremo, da lontano, democraticamente … “è meglio”!

Noi dobbiamo stare tra la gente … “è meglio”.

ggiannig


Titolo: Li seguiremo, da lontano, democraticamente … “è meglio”!
Inserito da: Arlecchino - Giugno 17, 2018, 08:58:20 pm
Si sono inventati un Contratto (non votato dagli Italiani) adesso fanno a gara a chi "dissente di più dall'altro".

Speriamo che il voto consapevole e senza marchingegni elettorali fasulli, si possa svolgere a primavera 2019.

I Cittadini più conoscono meno errori commettono.

ciaooo 


Titolo: Razzisti, complottisti e calunniatori. Ecco il “dream team” dei nuovi ...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 17, 2018, 09:12:24 pm
Razzisti, complottisti e calunniatori. Ecco il “dream team” dei nuovi Sottosegretari

Su 45 incarichi sono solo 6 le donne. Ma il problema non è solo nella rappresentanza di genere…

Nella lista dei 39 sottosegretari di Stato e dei 6 viceministri del nuovo governo ce n’è per tutti i gusti. I gusti peggiori. Da chi tifa perché l’Etna possa risolvere i problemi dell’Italia (tweet poi cancellato del nuovo Sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, Vincenzo Santangelo) a chi, come la leghista Vannia Gava, sostiene che Calderoli avesse ragione quando paragonò l’allora ministra Kyenge ad un orango. D’Altronde, spiegava nel 2013 “”è innegabile” come “I tratti somatici di alcune popolazioni evochino da sempre sembianze animali se non peggio. […] È ora di finirla di puntare il dito contro i pochi che hanno il coraggio di dire quello che pensano tutti”.

Questi sono solo due assaggi del vasto menù gialloverde. Se Paolo Savona vi sembrava un feroce anti-euro, forse non avete presente Maurizio Fugatti, l’esponente del Carroccio – ora sottosegretario alla Salute – che nel 2012 ricordava con orgoglio come alla festa leghista di Avio si potesse “pagare cibo e bevande con le vecchie lire” o che ringraziava la Merkel per aver trasformato l’Europa “nel Quarto Reich”. Direte: beh, almeno non è all’Economia. Certo. Peccato, però, che là ci è finita Laura Castelli, una delle poche donne nominate da Conte (6 su 45 incarichi, alla faccia del governo del “cambiamento”). La Castelli è diventata famosa, tra le altre cose, per una surreale conversazione con Lilli Gruber a Ottoemezzo. Si parlava del referendum sull’Euro, ma sull’argomento la deputata non sembrava avere le idee chiare.

Un capitolo a parte poi andrebbe riservato al solo Carlo Sibilia, nuovo sottosegretario all’Interno. Le sue dichiarazioni sono una sorta di best of dell’assurdo. Non crede allo sbarco sulla luna, ha avuto dubbi complottisti sulla strage di Charlie Hebdo e si è scagliato contro la stampa che oscurava il Restitution Day, “l’evento politico più rivoluzionario dagli omicidi di Falcone e Borsellino”.

Vito Crimi, sottosegretario all’Editoria, si è contraddistinto per commenti non proprio eleganti nei confronti dei giornalisti che gli “stanno sul cazzo”. Mentre sul colloquio tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e la delegazione del Movimento al Quirinale, a cui si era aggiunto Beppe Grillo, aveva detto: “Napolitano è stato attento, non si è addormentato. Beppe è stato capace di tenerlo abbastanza sveglio”.

Il sottosegretario per l’Economia e le Finanzie, Massimo Bitonci è un veterano della Lega Nord e del suo pensiero. Tanto da ricoprire dal 2016 il ruolo di presidente della Liga Veneta, cioè il nucleo veneto fondativo del Carroccio. Sarà anche per questo che nei suoi discorsi c’è l’essenza stessa dell’approccio leghista al problema migratorio. In un intervento in aula del 14 gennaio 2014 disse: “Signora Presidente, onorevoli colleghi, la gente ormai ha paura ad uscire la sera e lei vuole favorire la negritudine come in Francia”.

Chiudiamo con l’insegnante di lettere, anche se la lista potrebbe continuare. Il pentastellato Gianluca Vacca, sottosegretario ai Beni culturali, si è contraddistinto per una certa avversione nei confronti del mondo del giornalismo. In occasione del ritorno in edicola del quotidiano l’Unità scrisse su Twitter: “L’Unità è tornata a infangare le edicole. Le discariche sono sature, non c’era bisogno di nuova spazzatura”.

Da - https://www.democratica.com/focus/sottosegretari-governo-conte/


Titolo: Claudio TUCCI La «stretta» sulle imprese, a rischio subito 80mila contratti ...
Inserito da: Arlecchino - Luglio 16, 2018, 10:45:44 am
Da oggi la «stretta» sulle imprese, a rischio subito 80mila contratti

Pubblicate le nuove norme.

Giro di vite esteso anche alla somministrazione Maresca: «Dopo i 12 mesi liberi le causali freneranno le stabilizzazioni»

ROMA

Prima vera spallata al Jobs act, con la riscrittura del decreto Poletti, che nel 2014 aveva liberalizzato i contratti a termine per tutti i 36 mesi di durata, e una iniziale scalfittura al nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con l’incremento del 50% degli indennizzi monetari, minimo e massimo, in caso di licenziamento illegittimo, che dagli attuali 4 e 24 mensilità passano ora a 6 e 36 mensilità.

Con la pubblicazione ieri in Gazzetta ufficiale, 161, del decreto legge 12 luglio 2018, n. 87, scatta, da oggi, la stretta sulle imprese. Il contratto a termine “libero” potrà essere sottoscritto fino a 12 mesi; dopo si ripristinano le causali, vale a dire le ragioni che giustificano il ricorso da parte del datore a un rapporto a tempo determinato. In questi casi, si potrà attivare un contratto a termine solo per due motivazioni, cioè per «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria; oppure per necessità «temporanee e oggettive, estranee all’attività ordinaria, o per esigenze sostitutive di altri lavoratori» (come nel caso, per esempio, di ferie o malattie). Non solo. La durata complessiva di un rapporto a termine scende da 36 a 24 mesi, sono ammesse quattro proroghe (finora, cinque), e «in occasione di ciascun rinnovo», anche in somministrazione, scatta un incremento contributivo di 0,5 punti percentuali, in aggiunta all’1,4% già previsto, dal 2012, dalla legge Fornero, e utilizzato per finanziare la Naspi (l’indennità di disoccupazione). Il giro di vite si estende pure al rapporto di impiego a tempo che lega agenzia per il lavoro privata (Apl) e lavoratore somministrato (lo staff leasing non viene invece toccato, come neppure, al momento, il contratto commerciale, tra risorsa e impresa utilizzatrice). La stretta si applica a tutti i contratti di nuova sottoscrizione, ma anche a quelli in corso, seppur limitatamente a proroghe e rinnovi.

La relazione tecnica al Dl stima, da subito, un impatto negativo sull’occupazione: in base a dati forniti dal ministero del Lavoro, infatti, su circa due milioni di contratti a termine attivati l’anno (al netto di stagionali, agricoli e Pa) il 4%, pari a 80mila rapporti, supera la durata effettiva di 24 mesi, e pertanto, da oggi, si pone in contrasto con le nuove previsioni (il 10% di questi 80mila, cioè 8mila, addirittura si considera che perderanno il posto ogni anno, fino al 2028).

Il decreto Conte, che sarà incardinato ufficialmente nelle commissioni Lavoro e Bilancio della Camera lunedì, allunga anche i termini, da 120 a 180 giorni, per impugnare un contratto a tempo; e conferma l’esclusione dalle nuove regole dei rapporti a termine stipulati dalla pubblica amministrazione, ai quali, pertanto, continueranno ad applicarsi le attuali disposizioni («un’altra occasione persa per equiparare i due regimi, che restano così differenziati, anche sotto il profilo sanzionatorio», commenta Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Bologna).

L’ultima versione del provvedimento salva, invece, i contratti per attività stagionali, con l’inserimento di una modifica specifica: a loro non si applicheranno le causali, neppure per proroghe e rinnovi (in pratica, rimane tutto com’è).

Per gli esperti le nuove regole rischiano, concretamente, di disorientare le aziende, aprendo a incertezze applicative e la possibile ripresa di contenziosi (più che dimezzati con il decreto Poletti). «L’obiettivo di contrastare il precariato è condivisibile - afferma Riccardo Del Punta, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Firenze -. Il giro di vite sulla somministrazione è però sbagliato perché si colpisce un istituto di flessibilità buona. Il ripristino poi delle causali non è la soluzione, visto che storicamente non hanno mai prodotto il risultato atteso». Gli effetti, purtroppo, saranno altri: «I lavoratori occupati a termine già da 12 mesi difficilmente verranno stabilizzati o riassunti a tempo determinato - spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma -. Cosa lo impedisce? Proprio il ritorno delle causali».

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Claudio Tucci

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180714&startpage=1&displaypages=2



Titolo: Bruno Caruso Senza incentivi al lavoro stabile la «dignità» resterà un’illusione
Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 01:52:38 pm
Senza incentivi al lavoro stabile la «dignità» resterà un’illusione

Tra i diversi articolati del decreto dignità la parte dedicata al lavoro a termine è quella che sta suscitando le critiche più accese. La più diffusa è che, con ogni probabilità, le nuove regole non favoriranno la creazione di rapporti di lavoro duraturi ma produrranno l’effetto contrario, o in forma di aumento del lavoro nero, o di incentivo a pratiche elusive dello stesso decreto. Il provvedimento, infatti, non pare né culturalmente né tecnicamente attrezzato per intraprendere la «guerra» contro la precarietà, proclamata dal ministro Di Maio.
Non lo è culturalmente perché riflette l’atavica illusione, propria del tradizionale approccio garantista, che limiti e vincoli normativi alle decisioni di impresa, possano produrre i comportamenti ritenuti virtuosi dal legislatore. Gli studi di sociologia del diritto ci dicono, invece, che le norme intrusive, burocraticamente conformative di comportamenti, rischiano solo l’irrilevanza sociale e l’ineffettività giuridica in forma di prassi elusive.

Non lo è soprattutto tecnicamente perché il provvedimento non prevede alcuno strumento per incentivare contratti a termine lunghi e, soprattutto, la loro transizione verso il rapporto di lavoro stabile, tramite conversione. Anzi, nell'attuale stesura, il decreto favorisce i rapporti di lavoro a termine di durata inferiore all'anno. Ed è notoriamente in tale tipologia di rapporti che alligna la precarietà più eclatante e dura. Ricerche internazionali sulla precarietà ci dicono che non tutti i contratti e non tutti i rapporti di lavoro atipici generano gli stessi effetti di precarietà: tali ricerche considerano, per esempio, lo staff leasing e lo stesso contratto a termine lungo come rapporti se non stabili, meno precari di altri, il secondo soprattutto perché contiene alte probabilità di conversione.
Se si guarda alle regole introdotte per decreto, si evidenzia subito il paradosso di un provvedimento pensato per combattere la precarietà, ma che rischia, invece, di favorirla.

Basta, a comprovare tale conclusione, un semplice ragionamento di buon senso. Se nel corso di un rapporto fino a un anno, dovesse emergere l’esigenza di protrarlo oltre l’anno tale esigenza verrebbe penalizzata dal legislatore con un costo aggiuntivo. Come si dice tra gli addetti ai lavori, non viene rafforzato, anzi scoraggiato, il contratto psicologico.

Di più: coevamente si concretizza il rischio di stabilizzazione tranchant, imposta dal giudice; il meccanismo della causale non sancisce semplicemente l’abuso del contratto a termine, ma è anche uno strumento che aumenta il rischio, a carico dell’impresa, di conversione involontaria. Al contrario, l’impresa che volesse porre in essere strategie di utilizzo abusivo del contratto a termine, non avrebbe nulla da temere dalla legge: potrebbe far ruotare sulla medesima posizione di lavoro diversi lavoratori assunti con contratto a termine di durata inferiore all'anno anche di un solo giorno.
Una valutazione ragionevole degli interessi in gioco implicherebbe non di imporre ma di favorire la stabilizzazione dei rapporti a tempo determinato sul piano delle convenienze mediante un’incentivazione all’accettazione del rischio di investimento duraturo sulla risorsa umana con la quale il rapporto si è protratto oltre un termine congruo e durevole.
Una riforma del contratto a termine è opportuna. Ma la direzione della riforma dovrebbe essere di tutt'altro segno rispetto al decreto dignità.

Da qui la proposta. I contratti a termine brevi dovrebbero essere scoraggiati finanziariamente, più che con le causali: al di là dei contratti stagionali fino a un anno stabilmente reiterabili (per i quali i legislatore ha chiarito nell’ultima versione la sottrazione ad ogni vincolo di rinnovo), i contratti a termine brevi o brevissimi (di poche settimane o di pochi giorni), dovrebbero essere tendenzialmente sostituiti con il ripristino dei voucher che avevano dato buona prova soprattutto se dotati di meccanismi anti abuso: tracciabilità, attivazione del voucher prima della prestazione e maggiori ispezioni e controlli. I voucher, meno pesanti burocraticamente (non implicano il costo della busta paga), si sono rivelati più funzionali nel venir incontro alla domanda di lavori occasionali come alternativa al lavoro nero e sono senz’atro preferibili ai rapporti a termine brevi e brevissimi (anche nella forma a chiamata), comunque più costosi anche burocraticamente.

I contratti a termine lunghi oltre l’anno andrebbero invece promossi finanziariamente, al contrario di quel che prevede il decreto dignità, con incentivi economici progressivi in proporzione all’aumento della durata e con un super bonus specifico in termini di abbattimento del cuneo fiscale (interno alla regolazione del contratto a termine) in caso di conversione a tempo indeterminato. Il bonus/abbattimento/cuneo, in tal caso, dovrebbe essere permanente (e non temporaneo come negli schemi di incentivazione occupazionale generalisti) proprio per favorire e premiare il reciproco affidamento dei contraenti (il contratto psicologico) e lo stimolo potrebbe allargarsi anche a specifici investimenti formativi (rendendo meno generica l’attuale disposizione sulla formazione dei lavoratori a termine). Per esempio la stabilizzazione del bonus fiscale, con abbattimento durevole del cuneo potrebbe scattare dopo il primo anno di conversione a tempo indeterminato, con eventuale restituzione parziale o totale del finanziamento se il rapporto dovesse interrompersi entro l’anno dalla conversione.
Si tratta di uno schema di regolazione (ad affidamento crescente) del contratto a termine che tende a premiare e non a punire; che mira a corroborare e a favorire, quasi maieuticamente, l’elemento fiduciario e collaborativo nel rapporto di lavoro nella fase di industria 4.0.

Ordinario di Diritto del lavoro alla
Università di Catania e alla Luiss di Roma

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Bruno Caruso

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Titolo: Boeri: ottimistici 8mila posti persi È scontro aperto con il governo
Inserito da: Arlecchino - Luglio 23, 2018, 02:01:36 pm
Boeri: ottimistici 8mila posti persi È scontro aperto con il governo
Decreto lavoro.

Il presidente Inps: Di Maio ha perso il contatto con la terra.
Irritazione di Palazzo Chigi: toni inaccettabili. Salvini: se vuole fare politica si candidi

Roma

Le stime Inps sull’impatto negativo del Dl dignità possono apparire «addirittura ottimistiche» se si considerano anche delle restrizioni stabilite per i lavori in somministrazione (la pausa tra un contratto e l’altro), l’introduzione delle causali sui contratti a termine oltre i 12 mesi e gli incrementi dei contributi Naspi previsti ad ogni proroga. Lo ha spiegato ieri in audizione alla Camera il presidente Tito Boeri, dopo aver difeso a spada tratta le analisi tecniche dell’Istituto e dopo aver offerto una ricostruzione puntuale della previsione degli 8mila disoccupati in più sollecitata in mattinata anche dal Servizio Bilancio di Montecitorio e che da una settimana sono al centro della polemica politica, dopo che il ministro del Lavoro e vicepremier, Luigi Di Maio, aveva denunciato la presenza di una «manina» che avrebbe inserito quel dato nella Relazione tecnica quando il Dl era ormai in via di promulgazione. «L’Inps ha condotto le stime su dati quasi interamente forniti dal ministero del Lavoro e ha avuto due giorni a disposizione per effettuarle» ha affermato Boeri, dopo aver ricordato che proprio il Lavoro aveva chiesto una quantificazione del minor gettito contributivo derivate dalla prevista contrazione del lavoro a termine. Insomma, chi ha scritto materialmente il decreto ne aveva già ipotizzato un impatto negativo e aveva chiesto a Inps la quantificazione.
L’ipotesi di 8mila mancati rinnovi è basata su un calcolo tra due scenari prudenziali (a normativa vigente e variata) che prende le mosse dalle probabilità di disoccupazione al termine dei contratti che si sono verificate negli ultimi anni. Un esercizio svolto dal Coordinamento statistico-attuariale Inps in totale indipendenza - ha rimarcato a più riprese Boeri - e che non considera gli effetti derivanti dalla reintroduzione delle causali. Tenendo conto anche di questa variabile la platea dei lavoratori a rischio sale: «considerando che la percentuale di soggetti con durata del contratto effettiva compresa tra 13 e 24 mesi è circa il 7% (140.000 lavoratori) - ha spiegato Boeri- tale platea potrebbe avere problemi di rinnovo in relazione alle causali che potenzialmente potrebbero generare periodi di disoccupazione». Inps naturalmente effettuerà un monitoraggio stretto sull’impatto del decreto. Ma sia la teoria della domanda di lavoro (applicabile al caso italiano dato l’alta disoccupazione) sia le analisi degli effetti di provvedimenti che hanno in passato imposto alle imprese di interrompere contratti di lavoro in essere - ha affermato Boeri - «convergono nell’indicare effetti negativi sull’occupazione almeno nel breve periodo».
Nelle considerazioni finali dell’audizione, Boeri s’è riservato lo spazio per rispondere agli attacchi personali subiti negli ultimi giorni, soprattutto dal ministro dell’Interno. «Ciò che non posso neanche prendere in considerazione - ha detto - sono le richieste di dimissioni on line e le minacce da parte di chi dovrebbe presiedere alla mia sicurezza personale». Immediata la reazione di Matteo Salvini: «Minacce a Boeri? Ma quando mai. Se vuole fare politica con la sinistra che l’ha nominato si candidi».
Boeri ha spiegato che la Relazione tecnica non esprime una sua «personale opposizione al decreto». E ha ricordato quando in passato aveva chiesto di modificare il Dl Poletti. Il presidente dell’Inps ha aggiunto di considerare giusto l’obiettivo del Dl dignità: «Può essere difeso anche a rischio di un modesto effetto negativo iniziale». Mentre quel che va in tutti i modi evitato è il ripristino della “causale” sui rinnovi e l’aumento dei disincentivi sulle assunzioni stabili. Bisogna fare i conti con la realtà - ha concluso - che, spesso, «ci impone delle scelte fra avere più di una cosa desiderata e meno di un’altra in qualche modo auspicabile». Ma sostenere che le Relazioni tecniche esprimono un giudizio politico significa «perdere sempre più contatto con la crosta terrestre, mettersi in orbite lontane dal nostro pianeta». In serata da palazzo Chigi fonti vicine al premier hanno parlato di «toni inaccettabili e di espressioni fuori luogo». Secondo le stesse fonti i toni sarebbero ancor più gravi proprio perché arrivano da una figura che dovrebbe mantenere un profilo squisitamente tecnico.

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Davide Colombo

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Titolo: Giovanni Maria Flick: "Preoccupato per le parole di Casaleggio. Dopo il ...
Inserito da: Arlecchino - Luglio 24, 2018, 12:17:53 pm
POLITICA
23/07/2018 18:51 CEST | Aggiornato 2 ore fa

Giovanni Maria Flick: "Preoccupato per le parole di Casaleggio. Dopo il Parlamento supereremo anche la Costituzione?"

Il presidente emerito della Consulta interviene sull'intervista del presidente della Casaleggio Associati e di Rousseau


By Stefano Baldolini


"Casaleggio mi lascia un po' perplesso". Parla da "uomo di legge e soprattutto di Costituzione" il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick per dare una valutazione complessiva dell'intervista di Davide Casaleggio a La Verità in cui si preconizza, superata la democrazia rappresentativa, pur "tra qualche lustro" anche il superamento del Parlamento.

"Sono perplesso", continua Flick, "perché non ci trovo nessuna traccia di una cultura costituzionale che evidentemente viene ritenuta inutile, perché altrimenti sarebbe stata presente. Rimosso il Parlamento, si passerà alla Costituzione. Come non ci trovo nulla che parli del dubbio, del confronto, solo affermazioni assiomatiche, come quella per cui 'ben vengano i più puri che epurano i meno puri'". E' proprio il mancato rapporto tra il dubbio e la certezza che mi fa paura, perché la mancanza di dubbio, di confronto è sempre figlia dell'autoritarismo.

Dobbiamo essere preoccupati che il presidente dell'associazione che di fatto controlla il partito di maggioranza relativa abbia questa visione del futuro della nostra democrazia?
Sono decisamente preoccupato. C'era qualcuno che voleva fare dell'aula un 'bivacco di manipoli', ora c'è chi la vuole chiudere. Mi auguro non possa avvenire. La prima intenzione l'ha smentita la storia, la seconda, vedremo e speriamo.

Non è d'accordo nemmeno quando Casaleggio sostiene che "oggi grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività. Il superamento della democrazia rappresentativa è quindi inevitabile"?
Guardi, Casaleggio giustamente parla del potere delle idee. Ma io citerei anche Giovanni Falcone, "le idee camminano sulle gambe degli uomini". Mi pare difficile radunare 60 milioni di gambe e tirarne fuori le idee. Piuttosto, si rischia di incentivare la prevalenza di certe idee su altre. Per questo sono rimasto perplesso di fronte all'istituzione di un ministero per la democrazia diretta.

Arriviamo alla frase che ha fatto sobbalzare un po' tutti, quel "Tra qualche lustro faremo a meno pure del Parlamento", cosa ne pensa?

Che il Parlamento abbia tanti problemi lo sappiamo tutti, e Casaleggio ha tutti i diritti di ricordarcelo. Che però si arrivi anche a escludere la funzione di controllo - che, bontà sua, almeno per ora gli riconosce - senza specificare chi assolverà a questa funzione è assai grave. Chi controllerà? I 60 milioni di cittadini? Rousseau? Prendiamo una questione importantissima come l'immigrazione. Quando Casaleggio dice che "quello che conta è la percezione quotidiana dei singoli cittadini", cosa vuole esprimere esattamente? Il singolo, da solo, affacciato alla sua finestra, non può che vedere un pezzetto della realtà. Si può ridurre ogni fenomeno e ogni scelta alla valutazione del singolo? Mi sembra un'esasperazione del - per altri versi giusto - Not In My Backyard.

Non crede alla funzione della Rete nel processo democratico?
La Rete è espressione tipica della globalizzazione, una logica di virtualità e di profitto che abolisce il rapporto con la memoria e con lo spazio e che trasforma tutto in un gigantesco mercato senza contraddittorio, che invece è fondamentale nella formazione delle regole del vivere comune. Va ricordato poi che la globalizzazione ricerca il profitto, e qui mi viene da citare l'episodio del Vitello d'oro della Bibbia. Ebbene, siamo passati dal Vitello d'oro all"'Algoritmo d'oro". Con che risultati poi? I risultati ce li dà l'algoritmo e chi lo ha impostato e ciò senza tener conto del pericolo che deriva dalla moda e dalla sempre crescente diffusione delle fake news; mi sembra proprio che si stia seguendo la tendenza a trasformare il cittadino in consumatore.

Dietro all'idea della massima partecipazione c'è dunque in realtà un proposito di stortura autoritaria?
C'è il tentativo di mettere ordine e di gestire molteplici forme di malcontento con il rischio di costruire ed esaltare un'unità fittizia tra milioni e milioni di sensazioni di protesta. Il risultato sarà una parcellizzazione della realtà in chiave solo negativa senza alcuna indicazione su chi dovrebbe accorpare questo fiume di proteste e di malcontenti. D'altra parte in tutta l'intervista non ci sono parole chiare e coraggiose per risolvere le questioni. L'art.1 - e tutta la Costituzione - restano validi perché si opera una sintesi tra prospettiva personalistica e prospettiva solidaristica. Una delle conseguenze della visione di Casaleggio sarà invece la rimozione del secondo comma dell'Art.1: "La sovranità appartiene al popolo. E basta" tagliando via "le forme e i limiti" in cui essa si esercita secondo la Costituzione. Rimosso il Parlamento, sarà la volta della Costituzione. E rimarremo un po' sguarniti nel rapporto tra Stato e singoli cittadini, oggi garantiti proprio dai giudici e dalle leggi.

Di fatto però il Parlamento non funziona già più. L'uso eccessivo dei decreti legge per esempio e la sussunzione da parte dell'esecutivo della funzione legiferante...

Non c'è dubbio, però rimane una speranza che si possa farlo tornare a lavorare. In parte l'ultimo referendum era un tentativo in questo senso, fallito anche per la molteplicità dei contenuti riuniti in un unico quesito e incomprensibili: peccato mortale quest'ultimo per il referendum che è l'emblema della democrazia rappresentativa. Questa è una regola fondamentale della democrazia diretta, di cui parla Casaleggio: per farla funzionare occorre che la domanda venga compresa. È vero, oggi chi fa le leggi è il governo, com'è accaduto sull'articolo 18 e sulla riforma carceraria, che sta naufragando per volontà della nuova maggioranza. Ma il fatto che un meccanismo non funzioni, è sufficiente per eliminarlo o richiede piuttosto che lo si aggiusti?

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Stefano Baldolini Ufficio centrale, L'HuffPost

Da - L'HuffPost ·


Titolo: Di Maio al Veneto, si valuti il Dl Dignità dopo le modifiche
Inserito da: Arlecchino - Luglio 25, 2018, 05:02:22 pm
Di Maio al Veneto, si valuti il Dl Dignità dopo le modifiche

Garavaglia, 'governo risponderà agli industriali con i fatti'

Redazione ANSA
ROMA
25 luglio 2018 15:28

La Lega risponderà alle critiche degli imprenditori veneti 'coi fatti'. Lo assicura il viceministro dell'Economia in quota Lega, Massimo Garavaglia, che replica ai giornalisti che gli chiedono se il partito intenda raccogliere le sollecitazioni contro il provvedimento arrivate dagli industriali del Nord Est. 'Vedremo quando arriveremo all'articolo 1'.

Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio chiarisce che il decreto Dignità "non è stato ancora approvato. Stiamo apportando delle modiche, bisogna considerarlo alla fine del ciclo parlamentare. E, invece, si sta criticando il decreto che non è stato ancora modificato".

Gli imprenditori veneti si schierano contro il decreto Dignità del Governo, evidenziando tutti i rischi su occupazione e ripresa. "Il decreto dignità, se confermato nella sua impostazione, è destinato a incidere in maniera pesantemente negativa sull'occupazione e sulle imprese. Le rigidità che esso introduce avranno il solo effetto di far perdere le occasioni di lavoro che un'economia sia pure in fragile ripresa sta creando". È l'analisi che il presidente e il vice presidente vicario di Assindustria VenetoCentro, Massimo Finco e Maria Cristina Piovesana, hanno tracciato oggi nel doppio incontro sul tema svoltosi tra Treviso e Padova. Appuntamenti ai quali hanno preso parte oltre 600 imprenditori del Nordest e responsabili delle risorse umane. Secondo i vertici dei Assindustria VenetoCentro, "il rischio è di azzerare una tendenza virtuosa che solo in Veneto ha visto nel primo trimestre 2018 un saldo positivo di 53.200 nuovi posti di lavoro e la crescita dei contratti a tempo indeterminato (29.500, +26%), specie per effetto della transizione dai contratti a termine". 

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2018/07/25/di-maio-al-veneto-si-valuti-il-dl-dignita-dopo-le-modifiche-_839e363c-67f0-41d4-97ab-5f248fff6184.html


Titolo: Fintan O’Toole The Irish Times Stanno testando il fascismo e non ce ne ...
Inserito da: Arlecchino - Agosto 01, 2018, 05:11:00 pm
Stanno testando il fascismo e non ce ne rendiamo conto

16 LUGLIO 2018

BY RICOSTRUIRESTATOEPARTITI

 “Per capire cosa sta succedendo nel mondo in questo momento, dobbiamo riflettere su due cose. Una è che siamo in una fase di test. L’altra è che ciò che viene testato è il fascismo – una parola che dovrebbe essere usata con attenzione, ma dalla quale non bisogna sfuggire quando è così chiaramente all’orizzonte. Dimenticate il “post-fascismo” – quello che stiamo vivendo è il proto-fascismo.

Di Fintan O’Toole* – The Irish Times

È facile liquidare Donald Trump come un ignorante, non da ultimo perché lo è. Ma di una cosa ha una comprensione acuta: i test di marketing. Si è creato nelle pagine dei pettegolezzi dei tabloid di New York, dove la celebrità viene prodotta con storie oltraggiose che in seguito puoi confermare o negare, a seconda di come reagisce la gente. E si è ricreato nella realtà TV, in cui le trame possono essere regolate in base alle valutazioni. Dì qualcosa sui media, nega di averlo detto, aggiustalo, ripeti.

Il fascismo non risorge improvvisamente, in una democrazia. Non è facile convincere la gente a rinunciare alle proprie idee di libertà e civiltà. Bisogna fare delle prove che, se ben fatte, servono a due scopi. Fanno abituare la gente a qualcosa da cui potrebbe inizialmente rifuggire; e permettono di perfezionare e calibrare. Questo è ciò che sta accadendo ora e saremmo dei pazzi a non volerlo vedere.
Uno degli strumenti fondamentali del fascismo sono i brogli elettorali – li abbiamo visti all’opera nelle elezioni di Trump, nel referendum sulla Brexit e (con meno successo) nelle elezioni presidenziali francesi. Un altro è la costruzione di identità tribali, la divisione della società in polarità reciprocamente esclusive.

Il fascismo non ha bisogno di una maggioranza – di solito arriva al potere con circa il 40% di supporto e poi usa il controllo e l’intimidazione per consolidare quel potere. Quindi non importa se la maggior parte della gente ti odia, a patto che il 40% ti supporti in modo fanatico. Anche questo è già stato sperimentato.

E naturalmente il fascismo ha bisogno di una macchina di propaganda così efficace da creare, per i suoi seguaci, un universo di “fatti alternativi”, impenetrabili alle realtà indesiderate. Ancora una volta, i test per questa tecnica sono in fase avanzata.

Quando hai fatto tutto questo, c’è ancora un passo successivo cruciale, di solito il più difficile di tutti. Devi indebolire i confini morali, portare le persone all’accettazione di atti di estrema crudeltà. Come i segugi, le persone devono annusare il sangue. Gli si deve istillare il gusto per la ferocia.

Il fascismo fa questo costruendo un senso di minaccia, che si fa provenire da un gruppo esterno, meglio se già disprezzato. Ciò consente ai membri di quel gruppo di essere disumanizzati. Una volta raggiunto questo obiettivo, puoi gradualmente alzare la posta, passando per tutti gli stadi, dalla rottura delle finestre fino allo sterminio.

È questo prossimo passo che viene testato oggi sul mercato. Viene fatto in Italia dal leader di estrema destra e ministro per l’interno Matteo Salvini. Come la prenderebbe la gente se respingessimo le barche dei rifugiati? Diciamo che vogliamo registrare tutti i Rom e vediamo quali pulsante preme il pubblico. Ed è stato testato da Trump: vediamo come reagiscono i miei fan ai bambini che piangono nelle gabbie.

Mi chiedo come reagirà Rupert Murdoch.

Vedere, come hanno fatto la maggior parte dei commentatori, la traumatizzazione deliberata dei bambini messicani come “errore” da parte di Trump è un’ingenuità colpevole. È un periodo di prova – e la sperimentazione è stata un enorme successo. La scorsa settimana Trump ha affermato che gli immigrati “infestano” gli Stati Uniti: è un test di marketing per vedere se i suoi fan sono pronti per il prossimo passo nel linguaggio, che è ovviamente “parassiti”.

E la diffusione di immagini di bambini piccoli trascinati via dai loro genitori è una prova per vedere se queste parole possono essere sopportate anche come suoni e immagini. È stato un esperimento – è finito (ma solo in parte) perché i risultati sono stati ottenuti.

E i risultati sono abbastanza soddisfacenti. Ci sono buone notizie su due fronti. In primo luogo, Rupert Murdoch ne è felice: i suoi commentatori di Fox News si sono superati in crudeltà barbariche: facendo rumori animali alla menzione di un figlio con la sindrome di Down, descrivendo i bambini che piangevano come attori. Non si sono fermati di fronte a nessuna bassezza, anche i bambini di colore migranti sono bugiardi. Quei singhiozzi di angoscia sono tipici del comportamento manipolativo degli estranei che arrivano da noi per infestarci – non dovremmo forse temere una razza della quale persino i bambini possono essere così subdoli?

Secondo, ai fan più accaniti il test è piaciuto da morire: il 58% dei repubblicani è a favore di questa brutalità. I punteggi di approvazione complessivi di Trump sono saliti ormai fino al 42,5%.

Questo è molto incoraggiante per l’agenda proto-fascista. Il processo di emarginazione nel mondo democratico è iniziato. I muscoli di cui le macchine della propaganda hanno bisogno per difendere l’indifendibile vengono flessi. Milioni e milioni di europei e americani stanno imparando a pensare l’impensabile.

E se quei migranti fossero annegati nel mare? Che cosa succede se quei bambini rimangano traumatizzati per tutta la vita? Hanno già, nella loro mente, varcato i confini della moralità. Sono, come Macbeth, “yet but young in deed“. I test andranno avanti, i risultati analizzati, i metodi perfezionati, i messaggi affinati. E poi verranno le azioni.

Proteggiamo la nostra libertà con tutto il potere delle nostre democrazie e continuiamo ad essere coraggiosi, per tutto ciò che dovremo affrontare “.

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Da - http://ricostruirestatoepartiti.altervista.org/stanno-testando-il-fascismo-e-non-ce-ne-rendiamo-conto/


Titolo: Scontro sulla prescrizione Bongiorno-Bonafede
Inserito da: Arlecchino - Novembre 04, 2018, 06:39:21 pm
    Scontro sulla prescrizione Bongiorno-Bonafede

Il ministro della PA: 'Stop alla prescrizione è una bomba nucleare sui processi'. La replica del Guardasigilli: 'L'unica bomba è la rabbia dei cittadini'

Redazione ANSA
03 novembre 2018

    Bongiorno: 'Turnover al 100% per gli statali'

Lo stop alla prescrizione come "bomba nucleare sul processo". Il reddito di cittadinanza da dare "alle imprese e non ai cittadini". Suona un nuovo campanello d'allarme in casa M5s, per le parole della Lega. Prima il ministro Giulia Bongiorno, poi il sottosegretario Armando Siri frenano su due cavalli di battaglia pentastellati. E, secondo la lettura M5s, minacciano così di violare il contratto di governo: vorrebbe dire, sottolineano, far saltare l'esecutivo.

E' Giulia Bongiorno, ministro leghista della P.a., ad aprire le ostilità: "La sospensione della prescrizione" al primo grado di giudizio "è una bomba nucleare sul processo. Sono molto preoccupata". Il riferimento è all'emendamento alla legge anticorruzione presentato dal M5s, che fa discutere da giorni la maggioranza. "Bongiorno sbaglia - replica il Guardasigilli Alfonso Bonafede - la bomba atomica che rischia di esplodere è la rabbia dei cittadini di fronte all'impunità". E a più voci dal M5s ricordano che non solo la riforma della prescrizione è nel contratto di governo ma lo stesso Salvini l'aveva auspicata davanti alle vittime della strage di Viareggio. Fonti leghiste spiegano che in realtà la linea è più morbida di quello che le parole di Bongiorno lascerebbero intendere: lei stessa dice che un "accordo" su come riformare la prescrizione, senza fermarla del tutto, si troverà. Per lunedì è in programma una riunione tra i parlamentari di M5s e Lega per trovare una soluzione. Ma la situazione nella maggioranza è tutt'altro che sotto controllo, ammettono fonti di entrambi i partiti. Tra le cose da fare Salvini cita legittima difesa (è in seconda lettura alla Camera), stop sbarchi (il decreto sicurezza, su cui c'è la fronda M5s, in settimana è in Aula al Senato), reddito "di reinserimento al lavoro" e riforma della Fornero con quota 100. Ma tra i nodi c'è quello enorme della Tav e ancora tante nomine in stand by (Consob, Antitrust, servizi, direzioni di rete Rai).

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Da - http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/11/03/bongiorno-stop-della-prescrizione-e-bomba-nucleare-sui-processi-_3d26a2a2-0e21-42e9-8b7c-f5561cd4afce.html


Titolo: Vogliono vendere il patrimonio degli Italiani per pagarsi la campagna elettorale
Inserito da: Arlecchino - Novembre 15, 2018, 12:30:51 pm
Manovra, Roma alla Ue: “Incasseremo 18 miliardi in un anno da privatizzazioni. Concedeteci 3,6 miliardi di flessibilità”

Il governo gialloverde invia a Bruxelles un nuovo Documento programmatico di bilancio, ma lascia invariate le stime sulla crescita e sul deficit.

Le uniche novità sono la scommessa di riuscire a recuperare 1 punto di PIL vendendo partecipazioni statali e la richiesta di non conteggiare nel disavanzo le spese per interventi contro il dissesto idrogeologico e per una manutenzione straordinaria di viadotti, ponti e gallerie

Di F. Q. | 14 novembre 2018
   
Nessuna marcia indietro sul deficit, tranne una rassicurazione sul fatto che in caso di superamento del 2,4% del pil il Tesoro assumerà “iniziative correttive” non meglio specificate. Nessun ripensamento sulla previsione di crescita per il 2019, che resta all’1,5% nonostante il rallentamento dell’economia nel terzo trimestre di quest’anno e le stime più basse delle istituzioni italiane e internazionali. Il governo gialloverde, nel nuovo Documento programmatico di bilancio inviato martedì notte alla Commissione europea dopo la bocciatura arrivata il 23 ottobre, tiene il punto su numeri che aprono ora la strada a una procedura di infrazione per deficit eccessivo per violazione della regola del debito. Perché continua a ritenere “prioritaria l’esigenza di rilanciare le prospettive di crescita”, “di affrontare le difficoltà sociali indotte dall’andamento negativo dell’economia” (con il reddito di cittadinanza) e di “attenuare le rigidità e i vincoli introdotti nel sistema pensionistico” (con la quota 100), ed è convinto che la strada giusta sia fare più deficit.

Le uniche modifiche appaiono quasi provocatorie, da parte di un Paese che ha rivendicato di non aver rispettato il Patto di stabilità: la richiesta di 3,6 miliardi di flessibilità per interventi contro il dissesto idrogeologico e per la “messa in sicurezza dalla rete di collegamenti” e, sul fronte del debito, la scommessa di ridurlo con un piano di vendita di partecipazioni statali e privatizzazioni da 18 miliardi (l’1% del pil) nel solo 2019. Senza dettagli su quali sono i gruppi pubblici di cui si intendono cedere quote.

Nell’ultimo decennio, per fare un confronto, dalle dismissioni sono arrivati non più di 1,2 miliardi l’anno. E nella nota di aggiornamento del Def gli incassi dalle dismissioni erano indicati allo 0,3% del pil l’anno (5,4 miliardi) comprendendo anche la possibile revisione del sistema delle concessioni, oltre a 640 milioni nel 2019 e 600 milioni nel 2020 attesi dalla vendita di immobili pubblici. Negli ultimi anni la Corte dei conti ha sottolineato che il contributo delle dimissioni alla riduzione del debito pubblico è certamente necessario ma “difficilmente potrà risultare determinante nel breve-medio periodo”. In ogni caso questi maggiori introiti, secondo il governo, tenuto conto anche “del loro impatto anche in termini di minori emissioni di debito sul mercato e quindi minori interessi”, dovrebbero consentire di ridurre il debito/pil di 0,3 punti quest’anno, 1,7 nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,4 nel 2021. Il rapporto scenderebbe così dal 131,2 per cento del 2017 al 126% nel 2021, calando al 129,2 nel 2019 e al 127,3 nel 2020. Nella precedente versione del Dpb il debito/pil era dato, nel 2021, al 126,7 per cento dal 130,9 del 2019 e 130% del 2020.

Quanto alle spese eccezionali, il ministro dell’Economia Giovanni Tria nella lettera alla Ue spiega che “per il prossimo triennio” saranno “pari a circa lo 0,2% del Pil”, circa 3,6 miliardi. Tali risorse “saranno dedicate a un piano straordinario di interventi tesi a contrastare il dissesto idrogeologico e, per il solo 2019, anche a misure eccezionali volte alla messa in sicurezza della rete di collegamenti italiana. Le vittime e i danni ingenti conseguenti agli eventi alluvionali che hanno interessato l’Italia fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre sono testimonianza di un territorio ancora troppo esposto al dissesto idrogeologico”. In più “per il solo 2019” un miliardo sarà dedicato alla rete viaria dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.

Tria ricorda poi che la manovra è stata “costruita sulla base del quadro tendenziale, e non tiene conto della crescita programmata”, una “impostazione prudenziale” che “introduce un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”. Traduzione: il livello del deficit/pil è calcolato su un pil 2019 in crescita solo dello 0,9%, il dato tendenziale appunto. Se invece il tasso aumenterà di quanto spera il governo (1,5%) ci sarà un impatto positivo che contribuirà a ridurre quel valore, anche come effetto dell’aumento degli introiti fiscali che si accompagna a una maggior crescita.

Solo in coda alla lettera compare la rassicurazione che “il governo conferma l’impegno a mantenere i saldi di finanza pubblica entro la misura indicata nel documento di programmazione, rispettando le autorizzazioni parlamentari. In particolare, il livello del deficit al 2,4% del Pil per il 2019 sarà considerato un limite invalicabile “. Si ricorda poi che “la normativa nazionale prevede una serie di presidi che obbligano il governo a riferire tempestivamente alle Camere qualora si determinino scostamenti rispetto agli obiettivi, assegnando, tra l’altro, al ministero dell’Economia e delle finanze il compito di assicurare il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica”. Tria dunque dovrà “a verificare che l’attuazione delle leggi” e in particolare delle misure bandiera di Lega e M5s “avvenga in modo da non recare pregiudizio al conseguimento degli obiettivi concordati e ad assumere tempestivamente, in caso di deviazione, le conseguenti iniziative correttive nel rispetto dei principi costituzionali”.


di F. Q. | 14 novembre 2018

da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/14/manovra-roma-alla-ue-incasseremo-18-miliardi-in-un-anno-da-privatizzazioni-concedeteci-36-miliardi-di-flessibilita/4763790/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2018-11-14


Titolo: Tav, l’ultimatum di Bruxelles «Tempi rispettati o risorse a rischio»
Inserito da: Arlecchino - Novembre 18, 2018, 11:24:30 pm
GRANDI OPERE
Tav, l’ultimatum di Bruxelles «Tempi rispettati o risorse a rischio»

Nuove polemiche tra gli industriali e il ministro Toninelli

Foietta: bandi entro dicembre altrimenti sarà impossibile fare i lavori

Torino
Un’opera importante non solo per Italia e Francia, ma anche per l’Europa. Da completare «nei tempi». Questa volta a intervenire sulla Tav è un portavoce della Commissione europea. E lo fa dopo l’incontro tra il ministro Danilo Toninelli e l’omologa francese Borne, lunedì scorso. Il tema resta in primo piano: il Governo ha preso tempo per completare l’analisi Costi-Benefici, ma l’Europa ricorda che «se ci sono ritardi nella realizzazione degli interventi, questi possono essere soggetti a una riduzione dei fondi europei previsti». Il riferimento è agli 813 milioni stanziati dall’Ue e destinati, come ricorda Paolo Foietta, commissario di Governo per l’Alta Velocità, «a finanziare lavori per circa due miliardi di spesa totale entro fine 2019». Il fattore tempo è un fattore chiave in questa vicenda: «se non si faranno i bandi a dicembre – dice Foietta – non ci sarà il tempo materiale di fare i lavori, con il rischio di perdere queste risorse». Foietta ha presentato a Torino il Quaderno 11 dell’Osservatorio, documento conclusivo del mandato del Commissaruio di Governo inviato al presidente del Consiglio e al ministro dei Trasporti.
Intanto a Torino resta aperto il fronte a favore del collegamento tra Italia e Francia. Dopo il no delle organizzatrici della manifestazione di sabato scorso in piazza Castello, anche le categorie economiche, i professionisti e i sindacati che hanno sostenuto la mobilitazione hanno deciso di non accettare l’invito della sindaca Chiara Appendino. «L’unica sede di confronto nella quale discutere di Tav sulla base di dati certi e incontrovertibili è quella del governo» scrivono in una nota congiunta. Il vicepremier Luigi Di Maio, d’altronde, ha ribadito di voler incontrare la delegazione, dunque una convocazione formale al Mise potrebbe essere una questione di ore.
In serata è arrivata la risposta del ministro Danilo Toninelli agli imprenditori piemontesi, in visita ieri al cantiere Tav in Francia. «Il ministro Toninelli dovrebbe vergognarsi: venga a vedere i cantieri e la smetta di dire che la Tav è una galleria che non c’è» aveva detto il presidente di Confindustria Piemonte, Fabio Ravanelli. «Nessuna vergogna sul Tav ma, anzi, mi sento orgoglioso per lo sforzo che sto facendo per usare con attenzione i danari pubblici, rispetto a un’opera che dopo decenni di discussioni non ha ancora visto scavare un centimetro del tunnel di base. A vergognarsi dovrebbero essere quelli che negano questo». In realtà in questi anni si è scavato per realizzare i tunnel geognostici: una parte di queste opere sono destinate a diventare le gallerie di sicurezza, mentre lo scavo in corso a Saint Martin de La Porte, in asse con il futuro tunnel di base, rappresenta di fatto la prima tranche di scavi per la galleria della Torino-Lione. La sintesi nelle parole di Dario Gallina, a capo degli industriali di Torino: «sono stati già scavati 25 dei 162 km, di questi oltre 5 appartengono al tunnel di base».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Filomena Greco

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20181115&startpage=1&displaypages=2


Titolo: PIERFRANCO PELLIZZETTI - Rocco Casalino, prototipo di una nuova Italia
Inserito da: Arlecchino - Novembre 18, 2018, 11:26:15 pm
PIERFRANCO PELLIZZETTI - Rocco Casalino, prototipo di una nuova Italia

Credo interessi poco se Rocco Casalino, il Rupert Everett delle Murge, nella sua sprezzante tirata anti vecchi e down stesse praticando un gioco di ruolo o – come è presumibile – un imbarazzante coming-out sui personali disgusti da arrampicatore sociale. Il fatto è che in altri tempi, forse un po’ ipocriti ma certo più educati, tali giudizi non erano neppure pensabili. Dunque, il sintomo di una mutazione antropologica avvenuta nell'italica specie umana, evidenziata in maniera clamorosa dall'apparizione di questi ragazzotti in carriera che ritengono la tracotanza il sostitutivo aggiornato del garbo, i riti mondani delle loro tribù il massimo della distinzione omologante; con le loro divise strizzate, pantaloni a tubo di stufa e calzature rigorosamente nere già di prima mattina, in cui la tonalità antracite del completo di prammatica tradisce la variazione fighetta del look bancario.

Secondo il canone “l’abito FA il monaco”, proprio della sociologia della “vita quotidiana come rappresentazione”, vale la pena di analizzare in dettaglio le caratteristiche di questa fauna che ha trovato il proprio habitat nei Palazzi del potere; oltrepassandone le forme ostentate alla ricerca della mentalità retrostante. Il sistema di pensiero proprio di questi nuovi “monaci” della religione postdemocratica.

A)  Vaffare le forme: se il primo tratto distintivo dello sgomitante è quello di occupare la scena ad ogni costo, ogni ostacolo frapposto tra lui e l’obiettivo va calpestato senza alcun riguardo; vuoi si tratti di mere smancerie oppure di preziose regole di civiltà.

L’effetto compiaciuto “elefante nella cristalleria”, per cui si minacciano impeachment a casaccio o si svillaneggia la stampa, si promettono azioni punitive contro funzionari dello Stato non ossequienti (vedi quanto sussurra il Casalino ai suoi assistiti).

B)  Praticare la post-verità: la lezione al ribasso del marketing applicato alla politica è stata appresa, così come il principio per cui se ripeti una balla un numero consistente di volte questa finisce per risultare verità. Sicché lo spread cresce perché lo manovra Soros e il reddito di cittadinanza elimina la povertà, nonostante sia solo un sussidio alla disoccupazione. Magari confondere la non condanna della sindaco Raggi come smentita di aver mentito (vedi le recenti performances di Di Maio).

C) Calpestare l’indipendenza: secondo l’esempio di chi in passato massacrava i non allineati nel comune capitolino, seppure risultassero gli unici PD non coinvolti nello scandalo Roma-capitale, tipo Ignazio Marino (vedi il maestro in autogol Orfini).

D) Alzare i toni: se gridi “Andreotti assolto” spingendo i decibel a livelli assordanti finisce che la gente si convince; e non si accorge di essere stata presa per i fondelli (vedi la principessa del Foro, già nera e oggi verdognola, Giulia Bongiorno).

E) Ricercare la benevolenza dei potenti: l’ansia da cooptazione che affligge il/i parvenu sconsiglia di perseguire azioni che potrebbero scontentare chi sta in alto. Magari richiedendo l’ICI pregressa al Vaticano (vedi tutti gli ultimi premier e vice).

F) “Prima la mia tribù”: per cui il programma di governo avrà lo scopo di operare trasferimenti alle proprie clientele elettorali spiegando che queste politiche clientelari daranno l’avvio a un nuovo New Deal. Da cui favori sotto forma di detassazioni per i padroncini che finanziano la propria compagine e mantenendo in vita norme sulla prescrizione per chi ne ha bisogno, da Rixi a Siri (vedi le furbate di Salvini).

G) Sostenere che si può uscire dalle politiche di austerity solo sfracellandosi contro Bruxelles, quando la Spagna di Pedro Sanchez e Pablo Iglesias lo sta programmando senza clamori, semplicemente perseguendo quanto questo governo non intende fare: trovare le risorse non nei nuovi deficit ma nella tassazione dei redditi più elevati. E destinando fondi allo sviluppo, non ai favori agli amici.

Pierfranco Pellizzetti

(15 novembre 2018)

Da - http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=26189


Titolo: Stop all'asta sul marchio Old Wild West Pesa l’ipotesi delle chiusure domenicali
Inserito da: Arlecchino - Novembre 18, 2018, 11:39:17 pm
FINANZA E MERCATI 15 Novembre 2018 Il Sole 24 Ore
INVESTITORI? ESTERI

Stop all’asta sul marchio Old Wild West Pesa l’ipotesi delle chiusure domenicali
L’azionista Bc Partners decide di fermare la vendita Troppa incertezza sull’Italia
Non ci saranno le offerte, previste per il 20 novembre, da parte di Permira e Onex

MILANO
Viene congelata la cessione della catena di ristoranti Cigierre, il gruppo che comprende noti marchi come Old Wild West, Cantina Mariachi, Arabian Kebab, Wiener Haus, Shi's e Kukkuma Cafè e, infine, Temakinho.
Il fondo internazionale Bc Partners, azionista di controllo dell’azienda, ha infatti deciso di interrompere il processo di vendita che era in corso da qualche mese. Le offerte finali per il gruppo sarebbero dovute arrivare il 20 novembre.
In corsa, come potenziali acquirenti, c’erano ancora i private equity esteri Permira e Onex Capital. Tuttavia tra la fine e l’inizio di questa settimana è stata presa la decisione di non proseguire nell’operazione e quindi di stopparla.
Per quale motivo? La mancata vendita di Cigierre, azienda di grandi dimensioni visto che ha una valutazione di circa 750 milioni di euro, è il termometro dei timori degli investitori esteri, in questo caso i grandi private equity, per la situazione congiunturale in Italia e, nello specifico, per gli effetti ancora non calcolabili del paventato provvedimento sulle chiusure domenicali dei centri commerciali, ormai diventato un cavallo di battaglia del vice-premier Luigi Di Maio.
Secondo alcune fonti interpellate, la vendita sarebbe infatti stata messa in pausa per il momento perché l'attuale situazione macroeconomica in Italia è considerata eccessivamente incerta e anche la potenziale nuova regolamentazione che costringe le chiusure domenicali dei centri commerciali potrebbe avere un impatto sul settore, visto che Cigierre è presente con una parte dei suoi ristoranti in questi spazi.
BC Partners aveva ricevuto manifestazioni di interesse non sollecitate già nei mesi scorsi e ha iniziato a valutare la possibile cessione in largo anticipo sui tempi, considerando che resta in genere investita per 4-5 anni sugli asset in portafoglio. L'interesse di potenziali acquirenti è nato dalla forte crescita registrata da Cigierre in questi tre anni durante i quali il gruppo ha raddoppiato l'Ebitda e incrementato i ricavi, cresciuti di quasi il 30% solo nell'ultimo anno. Bc Partners ha portato avanti nel triennio una strategia multiformato aggiungendo brand diversi e complementari tra loro l’ultimo dei quali, Temakinho, proprio nei giorni scorsi.
Oggi il gruppo è la prima catena di ristoranti in Italia ed è ragionevole ritenere che Bc Partners continuerà a investire per sostenerne l’ulteriore sviluppo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Carlo Festa

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20181115&startpage=1&displaypages=2


Titolo: Perché Salvini e Di Maio pensano ora a ridurre il numero dei parlamentari
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 18, 2018, 11:02:00 pm
Perché Salvini e Di Maio pensano ora a ridurre il numero dei parlamentari

L’idea è nel contratto di governo e potrebbe contribuire a recuperare consenso tra i delusi da Quota 100 e reddito di cittadinanza

Di NICOLA GRAZIANI 18 dicembre 2018,09:26

RIFORME COSTITUZIONALI
La cosa dovrebbe avvenire alla ripresa, dopo la fine delle vacanze natalizie e, soprattutto, chiuso almeno per il momento il capitolo della legge di bilancio. A rilanciare l’idea (un primo lancio risale allo scorso settembre, proprio nel momento in cui diveniva più caldo il confronto-scontro con l’Europa) uno dei due vicepremier, Luigi Di Maio.

Ma l’altro vicepremier, Matteo Salvini, ha ripreso prontamente l’idea. Tanto prontamente da far pensare ad un’azione concordata.

Insomma, il governo gialloverde ha intenzione di presentare alle Camere un progetto di riforma costituzionale per ridurre drasticamente il numero dei parlamentari. Deputati e senatori, ha detto per primo il capo politico del M5S, saranno chiamati ad un taglio spontanei degli scranni, e da 945 che sono ora (lo stabilisce la Costituzione, e questo spiega il rango della riforma e le procedure con doppia lettura che saranno necessarie) si autoridurranno.

I numeri sono ancora da stabilire
Di quanto? Il contratto che è alla base dell’alleanza di governo parla chiaro: diventeranno “400 deputati e 200 senatori”. Questo, si legge nel documento sottoscritto lo scorso maggio, renderà “più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare il principio supremo della rappresentanza”.

Di Maio, parlando l’altro giorno a Lavarone, ha confermato la cifra, preannunciando: “taglieremo 345 parlamentari dal plenum della Camera e del Senato”. Ma Salvini, che in quel momento era ad un appuntamento della Lega, si è spinto più in là: “entro il 2019 verrà varata la riforma costituzionale per dimezzare il numero dei parlamentari”. A conti fatti, sarebbe una sforbiciata ancora più pesante, perché si tratterebbe di arrivare a circa 472 parlamentari, e non 600 come previsto dal contratto di governo e dallo stesso Di Maio.

In più resta da chiarire un punto: cosa fare dei senatori di diritto e di quelli di nomina? Fanno parte della prima categoria gli ex Presidenti della Repubblica (al momento il solo Giorgio Napolitano), mentre la questione dei senatori a vita è più complessa. La Costituzione dice che il Presidente della Repubblica ne può nominare fino a cinque (e qui si pare la questione se sia ogni singolo presidente a poterlo fare, o l’istituzione in quanto tale). Al momento il destino dei senatori non passati per le urne elettorali non è ancora segnato.

Ad ogni modo, potrebbe rivelarsi faccenda di importanza secondaria di fronte ad altre questioni.

Un precedente pericoloso
La prima è tutta politica, e qualcuno l’ha sollevata non senza malizia. Anche Matteo Renzi, è stato osservato, avviò le riforme costituzionali all’apice della gloria e ne finì vittima, accoltellato da un referendum. Lui, addirittura, voleva l’abolizione del Senato intero, senza se e senza ma.

La seconda sono i tempi. Salvini ha parlato esplicitamente di approvazione “entro la fine del 2019”. Un anno esatto, insomma.  Che però per una riforma costituzionale non è poi molto (ci vogliono quattro sì incrociati allo stesso testo di Camera e Senato). Allora occorre sbrigarsi: presentare il progetto di riforma al massimo alla fine di gennaio e avviare il confronto.

Riduzione numero parlamentari m5s lega
 
Un'arma di distrazione di massa?
E qui si potrebbe dare anche una seconda lettura dell’uscita quasi in contemporanea di Salvini e Di Maio. Questa: a primavera, e nella successiva campagna elettorale per le europee, l’attenzione generale potrebbe finire per essere focalizzata dalla questione del numero dei parlamentari, facendo passare in second’ordine ogni eventuale nuovo scontro con l’Ue e anche la applicazione depotenziata, rispetto alle attese, di riforme come Quota 100 e reddito di cittadinanza. In più l’alleanza di governo potrebbe rilanciarsi agli occhi dei non pochi delusi proprio dal risultato del confronto con Bruxelles.

Altro discorso il problema dei numeri con cui si arriverebbe all’approvazione della riforma. Non è impossibile immaginare che non verranno raggiunti i due terzi dei parlamentari consenzienti, cifra essenziale per mettere la nuova norma al riparo da un referendum confermativo (come era quello di Renzi, e mal gliene incolse). Una prospettiva cui Di Maio guarda in queste ore ostentando sicurezza. “Se lo vogliono, andremo anche il referendum. Voglio vedere quanti voteranno contro il taglio”.

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Da - https://www.agi.it/politica/riduzione_numero_parlamentari_m5s_lega-4750354/news/2018-12-18/


Titolo: Conte lancia il rimpasto ma poi frena ...
Inserito da: Admin - Dicembre 29, 2018, 05:04:11 pm
POLITICA 29 Dicembre 2018 Il Sole 24 Ore

IL BILANCIO DEL PREMIER

«Ora verifica sul contratto di governo» Conte lancia il rimpasto ma poi frena
«Non partecipo alla campagna elettorale, tra cinque anni lascio»

La difesa di Di Maio: «È stato messo in croce per una misura di equità»

Il principale obiettivo era lanciare un messaggio rassicurante a chi, lontano dal tradizionale appuntamento di fine anno con la stampa, lo ascoltava. E così, mentre alla Camera andava in scena la bagarre sulla manovra e i pensionati denunciavano il taglio delle indicizzazioni, Giuseppe Conte rilanciava le prospettive sulla crescita («sarà più robusta dell’1%») e le misure bandiera della legge di Bilancio («reddito di cittadinanza e quota 100 partiranno a marzo»), plaudendo alla riuscita dell’«amalgama perfetta» del governo «gialloverde». Ma nonostante l’impegno, è emerso chiaramente che con l’approvazione della manovra si apre per l’esecutivo una fase nuova, dagli esiti non prevedibili. Conte, infatti, conferma che il contratto di governo sarà sottoposto a un «tagliando» e non esclude neppure un «rimpasto». Certo, la rivisitazione dell’accordo è per «migliorarlo» e la sostituzione di ministri è solo - come si affretta a precisare Palazzo Chigi - un’ipotesi remota. Ma le parole del premier non vanno sottovalutate.
L’“avvocato del popolo” difende a spada tratta la «crociata» di Di Maio sul reddito di cittadinanza, confermando che l’importo dell’assegno potrà essere in parte utilizzato per favorire le assunzioni perché «non vogliamo le persone stese sul divano». Nega che ci sia un aumento della pressione fiscale perché a pagare di più «saranno banche e assicurazioni» e anticipa che a breve partirà per un viaggio in Italia per rassicurare gli imprenditori delusi dalla manovra. Dice anche che non parteciperà alla campagna elettorale per le europee. Ma Conte è consapevole che il calo nei sondaggi del M5s e l’avanzata della Lega sono una miscela esplosiva per il suo governo. Il premier indossa volentieri i panni del pompiere. Sa che per durare deve evitare il moltiplicarsi dei focolai. Per questo, mentre difende Salvini da chi accusa «ingiustamente» il suo partito di voler favorire gli evasori, annuncia che sulla Tav la decisione slitta («arriverà entro le europee»). Perché solo così si evita il cortocircuito. Di Maio non può permettersi di perdere, dopo aver già dovuto mollare sul Tap, Terzo valico (e Ilva). Ma lo stesso vale per Salvini. In Piemonte a maggio si vota e rinunciare alla Tav sarebbe pericoloso per la Lega. L’unica via d’uscita è il rinvio. E non vale solo per la Tav.

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Barbara Fiammeri
Da ilsole24ore


Titolo: Gli attuali governanti “caricati come orologi” ma verso un target di gnoccoloni.
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 01, 2019, 04:37:35 pm
Gli addetti nelle tecniche di Marketing sanno, per studio o per esperienza operativa sul campo, che le armi da approntare per “soddisfare” le aspettative del “consumatore”, vanno studiate e monitorate facendo riferimento ad un preciso target di persone o clienti da convincere all'acquisto o al consumo di un “bene”.

Stupisce che gli attuali governanti siano stati “caricati come orologi” ma verso un target di elettori di così modesto livello, che non saranno credibili neppure quando cominceranno a prendere decisioni più lucide e capaci di buone prospettive.

Stupisce ancor più che per contrastare le giuste critiche, sollevate da più settori, a causa del loro modo di agire e ai contenuti farlocchi (improduttivi e costosi) dei loro provvedimenti, utilizzino un linguaggio e argomenti ancora orientati alla parte più “gnoccolona” del paese.

Se non alzano il valore della loro immagine e dei loro modi di agire nel “governare il popolo”, finiranno per inimicarsi tutti i Cittadini che “gnoccoloni” non sono (cioè la maggioranza degli Italiani).

ciaooo
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P.S.: gnoccolone
Gnoccolóne s. m. (f. -a) [accr. di gnocco], fam. – Persona non troppo perspicace, semplice e credulona: es. quel tuo amico è proprio uno gnoccolone.

Da – treccani.it


Titolo: Da Savona ministro allo spread, fino al ritorno della schiavitù: un anno di ...
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 04, 2019, 09:07:31 pm
Da Savona ministro allo spread, fino al ritorno della schiavitù: un anno di Econopoly

 Scritto da Alberto Annicchiarico il 31 Dicembre 2018

I MAGNIFICI SETTE

La Manovra del Popolo è stata finalmente approvata e i suoi effetti si faranno ovviamente sentire nei prossimi mesi e anni. Non siamo ottimisti sul fatto che possano essere positivi. Ma perlomeno il Governo del Cambiamento potrà essere giudicato su numeri (non “numeretti”, ricordate? “Per noi vengono prima i contenuti dei numeretti, prima viene la riforma delle pensioni, il reddito di cittadinanza, poi si pensa ai numeri”, citando Salvini). Intanto, per dire, mia madre 79enne aveva capito dal tam tam gialloverde che le pensioni sarebbero aumentate. E invece ha scoperto di essere fra i ricchi che si vedranno congelare la rivalutazione degli assegni sopra la cospicua cifra di 1.522 euro. Una mossa che si sarebbe potuta aspettare da un qualsiasi governo Monti, per nominarne uno brutto e cattivo a caso.

E ancora, sempre la mia mamma aveva capito che le tasse sarebbero state abbassate. Flat tax per tutti, avevano proclamato in campagna elettorale. Alla fine non è stato così. Per evitare il commissariamento di Bruxelles, mantenendo (seppure ridimensionate) le promesse su età di pensionamento (con la famosa quota 100) e reddito di cittadinanza, quelli che non badano ai “numeretti” hanno dovuto aumentare, perfino, la pressione fiscale. Lo ha certificato l’Ufficio parlamentare di bilancio.

Potrei andare avanti, potrei polemizzare sulle previsioni sballate di crescita, ma non lo faccio, perché ci sono sedi più appropriate. Si leggano, al proposito, i molti approfondimenti in materia sul Sole 24 Ore: per dire, quello sulle sette flat tax – ehi, ma non dovrebbe essere una sola, per definizione? – che finiranno per picconare l’Irpef, e quindi impoveriranno lo Stato e noi tutti.

Qui ci limiteremo a ricordare che per Econopoly è stato un anno intenso. I lettori lo hanno certificato con la loro attenzione. Guarda caso, ma neppure tanto, il post nettamente più letto (471mila click) lo ha firmato Beniamino Piccone e ha riguardato un ministro di questo Governo e l’opportunità o meno che occupasse la poltrona dell’Economia. Il post è stato scritto mentre era in corso la formazione dell’Esecutivo.

Perché il professor Paolo Savona è inadatto a fare il ministro
“Nella vita – ha scritto Piccone – per incarichi ministeriali non conta solo la competenza, deve pesare anche il carattere e l’atteggiamento verso gli altri. Chi si sente Dio in terra e cerca la fedeltà negli allievi e non la competenza, non merita di ricoprire la carica di ministro”.

Al posto di Savona al MEF è poi andato il professor Tria, uomo stimato da Savona. Vedremo nelle prossime settimane (e mesi, se non saranno confermate le indiscrezioni di stampa su possibili dimissioni) quanto la scelta sia stata azzeccata.

Ma procediamo. In seconda posizione, fra i primi dieci post più letti, uno scritto di Francesco Mercadante, contributor di Econopoly che non molti giorni fa è stato oggetto di un feroce attacco (sui social network) volto a screditarlo agli occhi dei lettori. Un attacco personale invece che una confutazione nel merito delle tesi esposte. Ne è stato protagonista il presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi. E con lui molti dei suoi follower su Twitter. Non vogliamo dare benzina ulteriore alla polemica. Basti aggiungere che suscitare l’ira di una parte interessata, spesso, nel giornalismo e in generale nella pubblicistica è prova di avere svolto con scrupolo il proprio lavoro. Ma ecco il post secondo classificato:

Spread, chi lo manovra? Facciamo un po’ di chiarezza
Terza piazza per un post del think tank di giovani economisti e professionisti Tortuga. Anche in questo caso un profilo personale, utile a fare capire a chi è stato affidato, nella compagine di Governo, l’onere di amministrare la scuola.

Scuola, ecco cosa vuol dire la nomina di Marco Bussetti al MIUR
Avevano ragione, i ragazzi di Tortuga, visto che nella Manovra, come testimoniato anche da questo nostro post, sono andati in scena tagli di una certa entità. A riprova del fatto che “la scuola è (davvero, ndr) uno dei grandi assenti nel rivoluzionario piano giallo-verde”.

Ed ecco gli altri sette post più letti dell’anno su Econopoly:

I 9 mesi che aspettano l’Italia: tappe e scenari della crisi possibile di Alessandro Magnoli Bocchi

Ronaldo alla Juventus è un’operazione che sta in piedi? Facciamo due conti di Leonardo Dorini

Il messaggio di Marchionne: studiare e osare quello che per altri non è possibile di Corrado Griffa

Sei un proprietario immobiliare? Benvenuto tra i nuovi poveri di Andrea Guarise

Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna? di Enrico Verga

I capi servono ancora. Ma devono liberarsi dai loro demoni di Luca Foresti

Reddito di cittadinanza, smettiamola di giocare di Francesco Bruno

Buona lettura e rilettura con Econopoly. E soprattutto, Buon 2019!

Twitter @albe_

Da - http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/12/31/savona-ministro-spread-econopoly/?uuid=96_mK8Nt7IR


Titolo: Sabrina Zocco - Anpi può anche chiedere ai sindaci prodighi per lo sbarco ...
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 08, 2019, 11:35:01 pm
Sabrina Zocco

Sabrina Zocco Anpi può anche chiedere ai sindaci prodighi per lo sbarco dei profughi di attuare la costituzione sempre, là dove parla di esproprio di case per assegnarle agli italiani che hanno perso lavoro, togliendoli dalla strada, e anche di promuovere lavoro, che è il diritto primo su cui la ns Repubblica è fondata, derogando dal mantenimento del patto di stabilità impostoci da chi ci ha tolto la sovranità nazionale e da chi glielo ha permesso senza chiederci il permesso, visto che il popolo è sovrano. Altrimenti il rischio di chiedere applicazione parziale dei principi costituzionali ovvero solo per alcune categorie, in.qs caso i profughi, è quello che questa mobilitazione sia strumentalizzata da taluni per farsi la campagna elettorale in vista delle europee. E qs è inammissibile specie perché di mezzo ci sono vite di esseri umani in fuga da guerre e fame, spesso alimentate con la vendita di armi o la concessione di porti aeroporti, mezzi e uomini della Repubblica in violazione dell'art 11 della ns Costituzione, oltre che i principi e valori della ns Costituzione che è il patto sociale su.cui si.fonda la Repubblica e che deve essere da tutti rispettato e onorato, compresi quanti nelle istituzioni.vi. giurano fedeltà. Diversamente si tratta di traditori.
Da – Fb del 6 gennaio 2019


Titolo: Clausole «Italexit», polizze contro gli effetti nefasti del populismo
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 24, 2019, 06:19:02 pm
Clausole «Italexit», polizze contro gli effetti nefasti del populismo

   Di Paolo Bricco 05 luglio 2018

Alcune buone ragioni per interessarsi a quello che succede nella riservatezza e nel silenzio degli studi legali di Milano e di Londra. A questo punto, le chiacchiere stanno a zero. Sei molto liquido, compri una società in euro e, all'improvviso, ritrovi il suo valore espresso in lire. Una ipotesi brutta. Non hai soldi tuoi per fare una operazione, ti indebiti per dieci anni in euro e, poi, ti ritrova a dovere rimborsare il debito sempre in euro, quando intorno a te è tornata a circolare la lira. Una ipotesi altrettanto brutta.

Nella commedia – drammatica - della rivolta contro le élite due protagonisti assoluti sono i banchieri e gli investitori. Chi presta i soldi e chi acquista le aziende – o parti del loro capitale – per poi rivenderle dopo alcuni anni. Questi protagonisti agiscono in una quadro geopolitico che è segnato dalla debolezza della politica novecentesca democratico liberale e dalla traumatica rimodulazione dall'ordine economico fissato dal Washington Consensus e dall'ingresso della Cina nel Wto. Questi protagonisti, però, non sono soltanto degli ingranaggi della meccanica di lungo periodo della Storia. Questi protagonisti – astraendoli dai giudizi di merito, dalle parodizzazioni malevole o dalle difese di ufficio – sono soprattutto degli operatori economici razionali che vogliono guadagnare più soldi possibili e che devono ridurre al massimo i rischi.

    Mercati e affari legali 04 luglio 2018

Nei contratti spunta la clausola-Italexit
Questa semplice considerazione vale sia per chi fornisce capitali – le banche – sia per chi acquista quote di capitale, come i fondi di private equity. Andando al succo delle cose, il fatto che negli studi degli avvocati di Milano e di Londra nei contratti di finanziamento e nei memorandum of understanding preliminari alle acquisizioni si discuta sempre più la clausola che regola la dinamica dell'affare – chi ci guadagna e chi ci perde – se l'Italia dovesse uscire dall'euro ha un significato preciso: l'ipotesi di una uscita dalla moneta unica è tutt'altro che caduta nel dimenticatoio. La Lega e i Cinque Stelle hanno fatto una campagna elettorale di grande successo cavalcando questa opzione politica e dialogando con quella piccola ma non insignificante parte dell'establishment che ha sempre creduto che, così fatta, la struttura dell'euro non funziona.

Nelle prime settimane hanno schiacciato l'acceleratore e lavorato di frizione su molti temi. Non hanno però mai nascosto il loro profilo naturalmente radicale su alcune questioni. L'Unione europea. E la moneta unica. È vero. Lo hanno temperato. Hanno più volte manifestato e dichiarato pragmatismo. Ma non si sono mai nascosti dietro l'ipocrisia del realismo politico. Per esempio il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha usato, in una intervista al Corriere della Sera di mercoledì 4 luglio, il sostantivo “populismo” senza alcuna pruderie e senza infigimenti. E il populismo è il propellente di ogni impulso e progetto contro l'euro. La natura delle cose è quella. E chi oggi deve rischiare i suoi soldi ha colto la radicalità delle intenzioni e ha iniziato a posizionarsi in maniera tale da non rimanere senza ombrello se, all'improvviso, il tempo dovesse cambiare.

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Da - https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-07-04/clausole-italexit-polizze-contro-effetti-nefasti-populismo--203615.shtml?uuid=AEK6ECHF&fromSearch
   


Titolo: La polemica sul franco Cfa, spiegata dall'inizio
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 24, 2019, 06:24:43 pm
La polemica sul franco Cfa, spiegata dall'inizio
Di Maio e Di Battista accusano la Francia di neocolonialismo. Parigi convoca l'ambasciatrice d'Italia.
Le comunità africane in Italia sostengono la tesi del M5s, anche se il numero di migranti da quelle aree è piuttosto basso. Ma cos'è il franco Cfa?

21 gennaio 2019, 18:40

Le frasi di Di Mio e Di Battista sulla Francia che sfrutta l’Africa e ne frena la crescita anche grazie alla moneta coloniale, il franco delle Colonie francesi d’Africa (CFA) sono diventate un caso diplomatico. Il governo francese ha convocato l’ambasciatrice d’Italia Teresa Castaldo al ministero degli Esteri per avere chiarimenti.
Le accuse di Di Maio alla Francia
Tutto è cominciato ieri, quando il vicepremier ha accusato Parigi di “impoverire l’Africa”, aggravando la crisi migratoria: "Se vogliamo continuare a parlare degli effetti continuiamo con la retorica dei morti in mare che ovviamente sono una tragedia e hanno tutto il mio cordoglio, ma dobbiamo parlare delle cause perché se oggi c'è gente che parte è perché alcuni Paesi europei con in testa la Francia non hanno mai smesso di colonizzare l'Africa". E ancora: “La Ue dovrebbe sanzionare la Francia e tutti quei paesi che come la Francia stanno impoverendo l'Africa e stanno facendo partire quelle persone", aveva aggiunto il capo politico dei 5 stelle.

L'eco di Di Battista, e il post sul Blog delle Stelle
Parole che hanno trovato eco nell’intervista data da Alessandro Di Battista a Che tempo che fa, ribadite poi in un post sul Blog delle stelle: “Attualmente la Francia, nei pressi di Lione, stampa la moneta utilizzata in 14 paesi africani, quasi tutti paesi della zona subsahariana. I quali - prosegue l'esponente M5s - non soltanto utilizzano una moneta stampata dalla Francia, ma per mantenere il tasso fisso, prima con il Franco francese e oggi con l'Euro, sono costretti a versare circa il 50% dei loro denari in un conto corrente gestito dal Tesoro francese. Conto corrente con il quale - dice ancora Di Battista - viene finanziata una piccola parte del debito pubblico francese, ovvero circa lo 0,5%".

La Francia, per Di Battista, tramite il controllo geopolitico di un’area dove vivono 200 milioni di persone “che utilizzano banconote e monete stampate in Francia, gestisce la sovranità di interi paesi impedendo la loro legittima indipendenza, la loro sovranità monetaria, fiscale, valutaria e la possibilità di fare politiche espansive”. E ha concluso: “Fino a quando non si 'strapperà’ questa banconota, che in realtà - accusa - è una manetta nei confronti dei popoli africani, noi potremo continuare a parlare a lungo di porti aperti o porti chiusi, ma le persone continueranno a scappare, a morire in mare, a cercare altre rotte e a provare a venire in Europa”.

Le parole di Di Battista hanno trovato ampia eco mediatica, hanno suscitato l’ira delle opposizioni che hanno accusato i due leader di irresponsabilità politica nei confronti di Parigi, ma hanno ottenuto il sostegno da parte del fondatore dell’Unione delle comunità africane in Italia Otto Bitjoka, che ha sottolineato in un post come occorra "costruire un nuovo paradigma sulla questione immigrazione africana nera in Italia. Dobbiamo realizzare le condizioni di un confronto dialettico partendo dalle cause e non gli effetti". E tra le cause, annovera la moneta stigmatizzata da Di Maio e Di Battista.

Cos'è e come funziona il franco CFA?
Ma cos’è il franco CFA? Il franco CFA, ha spiegato all’Agi Marco Magnani, professore di Monetary and Financial Economics alla Luiss di Roma, rientra in un "accordo tra la Francia e 14 Paesi africani, siglato diversi decenni fa e rimasto in vigore anche dopo l'indipendenza delle colonie. E' un'intesa che le parti coinvolte possono tranquillamente smontare, nel senso che non e' un'imposizione”.

Non una imposizione quindi, spiega Magnani, perché “I governi africani interessati, qualora volessero uscire da questo accordo, per utilizzare ognuno una loro moneta, oppure utilizzare una moneta comune che non sia garantita dal Tesoro francese, lo possono sempre fare".

Le critiche verso questa moneta si sono sollevate negli ultimi anni sia da sinistra che da ambienti sovranisti e di destra. “Certo - aggiunge - immagino che qualcuno potrebbe avere difficoltà a comprendere come mai esponenti del governo italiano esprimano in modo così spinto opinioni su questo tema, a partire dal problema dell'immigrazione, che dunque coinvolgerebbe anche l'Europa. Direi che sono collegamenti molto stiracchiati”.

Perché quindi parlare oggi dei presunti danni causati da questa moneta? “Potrebbe venire il sospetto che”, spiega Magnani, “trovandoci alla vigilia di elezioni europee, i politici si pronuncino su questo per motivi di posizionamento. Questa potrebbe essere una spiegazione. L'altra possibilità potrebbe essere che il M5s, legittimamente, per contrapporsi alla Lega su un tema come quello sull'immigrazione, che i sondaggi ci dicono faccia guadagnare voti, stia cercando un suo angolo originale di posizionamento".

Il numero reale di persone che da queste aree arrivano in Italia
Ma se il dibattito sul franco CFA e le sue conseguenze è aperto, in queste ore qualcuno ha provato a fare chiarezza su quanti migranti arrivino in Italia da queste aree. David Carretta su Twitter ha citato i dati del ministero dell’Interno e Frontex per smentire che ci sia alcuna correlazione tra le partenze dall’area CFA e gli arrivi sulle coste italiane.

Nell’elenco dei paesi da cui sono arrivati i migranti in Italia, al primo posto c’è la Tunisia, poi l’Eritrea, che è un’ex colonia Italiana, e ancora l’Iraq, il Sudane, il Pakistan, la Nigeria, e l’Algeria. Il primo dei paesi che hanno come moneta il franco CFA è la Costa d’Avorio: in totale su 23.370 arrivati in Italia nel 2018, circa 2.000 vengono da questi Paesi.

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Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it.
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Da - https://www.agi.it/politica/italia_francia_moneta_franco_cfa-4877832/news/2019-01-21/


Titolo: Il calo degli sbarchi in Italia e i porti chiusi voluti da Salvini
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 24, 2019, 06:33:02 pm
Il calo degli sbarchi in Italia e i porti chiusi voluti da Salvini

Le storie del 2018.
Il fenomeno dell'immigrazione ha perso, numeri alla mano, i contorni dell'emergenza.
Calano anche i fondi, e l'Italia adotta la linea dura. La nostra selezione dei fatti principali del 2018

Di STEFANO BARRICELLI
31 dicembre 2018, 07:33

Dal calo degli sbarchi alla chiusura dei porti italiani passando per la riscrittura del sistema di accoglienza e il decreto sicurezza. Nel 2018 il fenomeno dell'immigrazione ha perso - numeri alla mano - i contorni dell'emergenza ma è rimasto al centro delle polemiche e del dibattito politico.

Dopo il picco di arrivi registrato nel giugno dell'anno scorso (12mila in quarantotto ore), il cambio di linea deciso dal Viminale - con al timone prima Marco Minniti e poi Matteo Salvini - ha determinato una riduzione dell'80%, dai 119 mila del 2017 ai poco più di 23 mila di quest'anno.

Ad essere praticamente azzerato è stato il flusso dalla Libia, ma i trafficanti di esseri umani sono stati pronti a riaprire le vecchie rotte per Spagna e Grecia, che sono tornate a superarci. Risultato, il numero complessivo di quanti tentano il "viaggio della speranza" resta alto e i morti nelle acque del Mediterraneo anche quest'anno sono stati oltre 2.200, in proporzione di più rispetto al passato: non a caso tra le foto simbolo non può non esserci quella della camerunense Josefa, l'unica sopravvissuta ad un naufragio avvenuto in luglio, salvata in extremis dai volontari della Proactiva Open Arms.

In Italia la linea dura imposta da Salvini si è incarnata in almeno due storie da prima pagina, quella - in giugno - di nave Aquarius, accolta in Spagna dopo una lunga odissea in mare con i 629 migranti recuperati al largo della Libia e quella - in agosto - di nave Diciotti, rimasta ormeggiata nel porto di Catania per cinque giorni prima di poter sbarcare 137 tra uomini, donne e bambini in fuga da fame e guerre: un "braccio di ferro", quest'ultimo, costato al vicepremier anche le accuse di sequestro di persona, abuso d'ufficio e arresto illegale (per le quali poi a fine ottobre la procura di Catania formulerà richiesta di archiviazione).

Non la prima, e nemmeno l'unica volta, del resto, in cui di migranti negli ultimi mesi si è occupata la magistratura: il sindaco di Riace, Domenico Lucano, papà di un 'modello' di accoglienza conosciuto in tutto il mondo, è finito ai domiciliari - poi revocati - con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina mentre Medici senza frontiere si è vista sequestrare Aquarius per presunte irregolarità nello smaltimento dei rifiuti di bordo.

Il nuovo governo M5s-Lega ha chiesto sin dai primi giorni del suo insediamento un maggior coinvolgimento dell'Europa, la modifica delle regole di ingaggio di EunavForMed e l'avvio della revisione del Regolamento di Dublino ma il sostanziale stallo di Bruxelles si è tradotto in un'accelerazione degli interventi sul piano interno, con il nuovo disciplinare sull'accoglienza improntato alla filosofia "più controlli meno sprechi" e il decreto approvato definitivamente un mese fa.

Se in passato si spendevano in media fino a 35 euro per immigrato al giorno, nei nuovi bandi è prevista una spesa non superiore ai 26, in alcuni casi ridotta fino a 19 euro: cifre che, secondo gli operatori, rischiano di incidere in modo pesante su quantità e qualità dei servizi e mettono a rischio la sopravvivenza dei centri più piccoli.

Con il decreto sicurezza e immigrazione, invece, è stato abrogato il permesso di soggiorno umanitario, viene ampliato il range dei reati che comportano il diniego alla protezione internazionale, si prevede l'allontanamento del richiedente asilo che commette crimini gravi. E ancora: esclusione del gratuito patrocinio per evitare "ricorsi temerari", prolungamento da 90 a 180 giorni del trattenimento nei Cpr, accesso al circuito Sprar solo per i titolari di protezione internazionale e i minori stranieri non accompagnati.

Un complesso di norme che, secondo gli esperti dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, lungi dal risolvere i problemi entro dicembre 2020 farà crescere il numero degli irregolari di "almeno 140 mila unità".
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Da - https://www.agi.it/cronaca/migranti_italia_salvini-4781759/news/2018-12-31/


Titolo: Corte dei Conti: "In Italia infrastrutture inadeguate, pesano sulla vita dei ...
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 17, 2019, 10:57:28 pm
Corte dei Conti: "In Italia infrastrutture inadeguate, pesano sulla vita dei cittadini"

Il procuratore generale Alberto Avoli: "Mancati investimenti fanno crescere gap tra Italia e altri Paesi Ue".

Preoccupazione per i conti pubblici: "I prossimi non saranno anni facili"

15 Febbraio 2019

MILANO -  "Il nostro Paese non dispone di un patrimonio infrastrutturale adeguato al suo sistema economico e produttivo". È quanto ha messo in evidenza procuratore generale della Corte dei Conti Alberto Avoli spiegando che questa inadeguatezza si riflette anche sulla qualità di vita dei cittadini in termini di trasporti, viabilità, rifiuti e manutenzione del territorio. Inoltre, ha rilevato Avoli, "la mancanza di congrui investimenti rischia di accrescere ulteriormente il gap" tra Italia e altri Paesi con un peggioramento non solo in termini di competitività ma anche di condizioni sociali della comunità.

Il procuratore ha messo anche in guardia sulla fase delicata per le finanze pubbliche che sta per aprirsi. "Il 2019 e gli anni successivi si presentano non facili per il governo dei conti pubblici", ha detto spiegando che il "ripiegamento" dell'economia internazionale rende "più stringenti i margini delle azioni di riequilibrio del disavanzo e del debito". "In sede programmatica, - ha aggiunto - gli spazi per garantire un percorso di seppur lenta riduzione del debito appaiono molto contenuti, ponendo il Paese in un crinale particolarmente stretto".

Avoli si è soffermato anche su una delle misure bandiera dell'ultima legge di Bilancio, quota 100.  "Le recenti disposizioni in materia previdenziale suscitano notevoli preoccupazioni circa le ricadute sulla organizzazione degli uffici per i vuoti negli organici che presumibilmente si apriranno copiosi nel breve termine". A proposito della misura che consente di anticipare il pensionamento ha spiegato che "tali vuoti tuttavia costituiscono un'occasione unica da non perdere per promuovere il ricambio generazionale nei quadri pubblici con l'immissione in ruolo di risorse portatrici di professionalità specifiche e maggiormente aperte all'innovazione".

Corte dei conti infrastrutture
© Riproduzione riservata
15 Febbraio 2019

Da - https://www.repubblica.it/economia/2019/02/15/news/corte_dei_conti_infrastrutture-219193986/?atier_id=00&ch_id=sfbk&fbclid=IwAR2n8MZ9mormTr0XQbGFNFmkyN_up46fYHP6gdIRXHcdDFuWRb8faS9NDtM&g_id=0&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr&src_id=8001


Titolo: La Ponti & C. conosce bene l'alternativa alla Tav (e non passa per l'Italia)
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 20, 2019, 11:13:02 pm
La Ponti & C. conosce bene l'alternativa alla Tav (e non passa per l'Italia)

La società Trt, presieduta dal professore che ha curato il dossier costi-benefici voluto dal ministro Danilo Toninelli, studia da anni il traffico transalpino perché lavora per la federazione svizzera

Di Alberto Brambilla
13 Febbraio 2019 alle 08:59

La Ponti & C. conosce bene l'alternativa alla Tav (e non passa per l'Italia)

Roma. L’analisi dei costi e dei benefici per continuare a realizzare la ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione pubblicata dal ministero dei Trasporti e redatta da una commissione di guidata dall’economista Marco Ponti, sconsiglia all’Italia di proseguire l’opera. E quindi di non completare il corridoio ferroviario mediterraneo, ovvero una linea ferroviaria con standard unici che va dalla frontiera con l’Ucraina alla Spagna e che, se bloccata in Italia, non raggiungerebbe mai nemmeno la Francia (foto sotto).

Se la valutazione voluta e fatta propria dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Danilo Toninelli – esponente del Movimento 5 stelle, partito storicamente contrario alla Tav Torino-Lione – dovesse tradursi in uno stop unilaterale da parte italiana il paese si troverebbe tagliato fuori dalla rete transnazionale di cui l’Unione europea sta cercando di dotarsi tramite finanziamenti cospicui.

Un risultato probabile della conservazione dello status quo sarebbe quello di favorire i paesi dell’arco alpino che non vedrebbero ridurre i flussi del traffico merci e avrebbero necessità di potenziare le loro infrastrutture.

Il trasporto commerciale nell’arco alpino è un tema che Ponti e la sua squadra conosce bene. Ponti è stato professore di Economia e Pianificazione dei Trasporti al Politecnico di Milano e, mentre lavora a titolo gratuito per il governo, è presidente della società Trt Trasporti e Territorio che svolge attività di consulenza per enti locali e società private ed è specializzata nella valutazione economica dei sistemi e delle politiche di trasporto, cioè le analisi costi-benefici. È dal 2016 che la Trt studia il sistema dei flussi del traffico merci transalpino da Ventimiglia a Wechsel, un passo interno all'Austria (foto sopra). Da allora a oggi la società ha infatti, tra i suoi clienti, un organismo congiunto dell’Ufficio federale del trasporto svizzero e della direzione generale mobilità e trasporti della Commissione europea, il Cross Alpine freight transport (Caft), per il quale collabora, come consulente, al progetto Alpine Traffic Observatory (Osservatorio transalpino) con la finalità di collezionare dati e informazioni da rendere disponibili al Comitato di trasporto terrestre Europa-Svizzera (i dettagli sono pubblicati sul sito aziendale della Trt nella sezione “servizi”). Francia, Svizzera e Austria hanno iniziato a collaborare all’Osservatorio dal 1994.

Per la società di Ponti hanno lavorato o lavorano alcuni membri del gruppo di lavoro del ministero dei Trasporti. Riccardo Parolin è fondatore della Trt con Ponti. L’ingegner Alfredo Drufuca è stato membro del cda e responsabile per l’ingegneria dei trasporti di Trt. Il professore del Politecnico di Milano Paolo Beria ha collaborato con Trt ed è attualmente ricercatore nella Bridge Research di cui Ponti è fondatore. Anche Francesco Ramella, professore dell’Università di Torino e ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni nonché collaboratore del Foglio, è ricercatore presso la stessa società di analisi con sede a Milano.     

Alla redazione del rapporto annuale 2016 dell’Osservatorio euro-elvetico, pubblicato sul sito dell’Ufficio dei trasporti svizzero, hanno collaborato per Trt Enrico Pastori e Giancarlo Bertalero (attualmente non più in organico, stando al sito aziendale). Nel rapporto annuale si evidenzia l’impatto sui volumi di traffico delle “restrizioni sull'infrastruttura ferroviaria” che inducono a ipotizzare che “i volumi di trasporto per ferrovia in Svizzera saranno piuttosto al ribasso” in futuro. Non ci sono consigli di policy ma si sottintende un potenziamento infrastrutturale.

Un punto, quest’ultimo, chiarito da un articolo pubblicato sul sito specializzato in traffici commerciali Ship2Shore in merito ai risultati del 2017 pubblicati dall'Osservatorio transalpino nel quale si sottolinea come “la prevalenza del trasporto stradale ed effetti dell’inefficienza di parte della rete ferroviaria esistente sono dati di fatto che i rapporti Caft  evidenziano sui quali dovrebbe riflettere chi continua a sostenere che gli investimenti nelle infrastrutture primarie di trasporto non sono necessari”.

I rapporti Caft (foto sotto) sono quelli per cui la Trt di Ponti raccoglie dati e informazioni. La sua squadra al ministero dei Trasporti, però, non arriva alle stesse conclusioni quando si tratta di consigliare il governo italiano.

  Alberto Brambilla
Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.

Essendo stato per più di 30 ricercatore presso l'Enea, mi permetto di ricordare che l'ente negli anni passati fu spesso coinvolto come consulente tecnico per esprimere i suoi pro e contro sui sistemi di trasporto alternativi. Ricordo che allora era la Fiat il primo e più acerrimo nemico dello sviluppo della ferrovia perché ovviamente vedeva ledere i suoi interessi quale produttore di auto e camion. Gli argomenti principali dei sostenitori della ferrovia erano principalmente basati sull'inquinamento prodotto dal trasporto di gomma, problema ambientale che non mi sembra oggi superato. Ora va bene che ognuno di noi esprima la propria opinione pro e contro la Tav, che fino a prova contraria è meno inquinante degli autocarri che verrebbe a sostituire, ma far prevalere in un'analisi costi benefici il mancato introito di pedaggi stradali, basati su ipotesi di traffico da qui a 30 -40 anni, tanto è l'orizzonte temporale per un'analisi costi benefici, mi sembra veramente demagogico.

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Rispondigiantrombetta
13 Febbraio 2019 - 10:10

Complimenti grati, caro Brambilla. Forse sarebbe il caso che Il Foglio si facesse promotore dell’affidamento di uno studio su costi e benefici dell’introduzione del cosiddetto reddito di cittadinanza e della quota 100 per le pensioni. Mi permetto di suggerire che tale studio potrebbe utilmente essere affidato all’Istituto Bruno Leoni, che magari anche lei conosce.

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Rispondiguido.valota
13 Febbraio 2019 - 09:09

Gli altri, sempre gli altri. Colpa degli altri, i soldi degli altri, M5$ è ossessionato dagli altri. Anche i conflitti di interesse sono sempre quelli degli altri.

Da - https://www.ilfoglio.it/economia/2019/02/13/news/la-ponti-c-conosce-bene-l-alternativa-alla-tav-e-non-passa-per-l-italia-237736/?fbclid=IwAR18Npzfy0bIPsU162865P4SR3KAwI7kEoM-Z2o2FW_yNnlg4u-aFZllR50


Titolo: La Pasqua social di Matteo Salvini: preghiere per lo Sri Lanka, polenta e ...
Inserito da: Arlecchino - Aprile 28, 2019, 12:19:28 pm
La Pasqua social di Matteo Salvini: preghiere per lo Sri Lanka, polenta e una foto col mitra

In una foto pubblicata su Facebook dal suo responsabile della comunicazione Luca Morisi, il vicepremier impugna un mitragliatore: “Siamo armati e dotati di elmetto”.

La reazione di Saviano: “Va denunciato per istigazione a delinquere”

Pubblicato il 21/04/2019 - Ultima modifica il 21/04/2019 alle ore 17:37

BRUNO RUFFILLI

La macchina della propaganda leghista non si ferma mai, neppure a Pasqua. Così Matteo Salvini posta su Facebook nell’ordine: un augurio a “tutti gli uomini e donne in divisa, orgoglio italiano nel mondo”, con video, poi un bel disegno colorato dal figlio di sei anni, quindi una foto di una Madonna caduta dall’altare di una chiesa di Colombo. “La preghiera, mia, del governo e di tutti gli Italiani, per i morti innocenti massacrati dai terroristi in SriLanka” è il commento del vicepremier.

E ancora: una foto con asinello, incontrato durante la “biciclettata” prima di pranzo, quindi un mezzobusto sorridente e un po’ photoshoppato dove dichiara di non mollare di un centimetro (forse, ma è un rebus figurato e nell’immagine si vede un metro per sarti). Alle 15:30, in una foto dalla costruzione assai ardita, il faccione del Ministro dell’Interno è pericolosamente vicino a un torrente di polenta (“È tempo di polentaaaaa”). Segue video con il pubblico incontrato a Perugia qualche giorno fa.

Insomma, una giornata normale da social network di un divo della politica spettacolo, con 3,5 milioni di like. Meno normale è invece la foto che appare sulla pagina Facebook di Luca Morisi, spin doctor del leader della Lega, dove Matteo Salvini ha in mano un mitra. Morisi scrive questo post: “Vi siete accorti che fanno di tutto per gettare fango sulla Lega? Si avvicinano le Europee e se ne inventeranno di ogni per fermare il Capitano. Ma noi siamo armati e dotati di elmetto! Avanti tutta, Buona Pasqua!”.

Le reazioni politiche
Sul social network le condivisioni si moltiplicano, anche se i commenti non sono molti, e nessuno che segnali la benché minima incongruenza tra il mitra e la giornata di Pasqua. Per non dire del fatto che l’immagine - con ogni probabilità non di questi giorni - ritrae il Ministro dell’Interno maneggiare un’arma pericolosa in quello che è evidentemente un luogo pubblico. Se la base leghista apprezza, le critiche arrivano dai politici: “Un consigliere del ministro dell’interno non si può permettere di scrivere sui social `noi siamo armati´, postando una foto su Facebook con Salvini con un mitragliatore in mano. Ha lanciato un messaggio minaccioso, pericoloso, istigatore di possibili future violenze”, a afferma Nicola Fratoianni de La Sinistra. “Questo Paese non può permettersi un personaggio simile al Viminale. Non basta che cancelli il post - conclude Fratoianni- Venga subito allontanato”. E il segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli si domanda: “Ma un metalmeccanico, con i soldi pubblici, deve pagare lo stipendio di Luca Morisi?

Ancora: “Salvini prenda le distanze dal post che il suo social media manager ha pubblicato. Lo faccia immediatamente e con chiarezza. Il ministro dell’interno non può permettere che oggi si istighi alla violenza, specie sui social. Non c’è nessuna guerra in corso contro la lega, né bisogno di armarsi con mitra ed elmetto”, dichiara Pina Picierno, europarlamentare del Pd. “Salvini lo spieghi a Morisi. La politica è fatta anche e sopratutto di critiche. È la democrazia ed è ora che anche gli amici del ministro che evidentemente non hanno chiaro il loro ruolo istituzionale, seppur pagati con soldi pubblici, inizino a portare rispetto verso i cittadini di questo Paese”. “Morisi si vergogni - continua Picierno - e chieda scusa. Più che armarsi di elmetto consiglio vivamente di armarsi di cervello”. E la vicesegretaria del Pd, Paola De Micheli, commenta: “La tragedia di un uomo ridicolo che avverte di aver fallito. Ipocrisie per nascondere che in Italia non c’è più lavoro”, dice.

Ironico Massimiliano Smeriglio, candidato alle elezioni europee nelle liste del Pd: “Matteo Salvini con quel mitra in mano sembra il sergente delle Sturmtruppen. Se non fosse il ministro dell’Interno della Repubblica Italiana sarebbe solo un’immagine ridicola e patetica e non un’inaccettabile provocazione nel giorno, già funestato dall’attentato in Sri Lanka, in cui gli italiani cercano pace e serenità familiare”.

Il commento di Roberto Saviano
Molto diretto Roberto Saviano, sempre su Facebook: “Questo signore, pagato con i nostri soldi, è quello che suggerisce al Ministro Della Mala Vita i suoi rutti sui social. Oggi, con questo post, Morisi decide di minacciare l’opposizione al MinistroDellaMalaVita con un’immagine che lascia poco all’immaginazione: Salvini armato e con dietro uomini in divisa. Messaggio chiaro per chiunque lo critichi. Messaggio eloquente e agghiacciante. Luca Morisi è una persona pericolosa, ma di questo pericolo dovrebbe occuparsi il suo datore di lavoro. Difficilmente lo farà”. Lo scrittore prosegue: “Ma noi, Morisi non abbiamo paura. Un giorno lei risponderà del male che sta seminando. Nel frattempo spero che qualcuno la cacci via e la processi per istigazione a delinquere, reato procedibile d’ufficio e che quindi ognuno di noi può denunciare. Vi invito a farlo”.

“Un post grave, inaccettabile e disgustoso, che va portato all’attenzione dei magistrati. Ha ragione Roberto Saviano: Luca Morisi, lo spin doctor di Salvini, incita alla violenza verso gli avversari politici mostrando sui social la foto del ministro dell’Interno armato, con tanto di affermazione in cui sostiene che loro sono ’armati’ contro gli attacchi. Ci sono davvero i presupposti per il reato di istigazione a delinquere”. Lo dichiara Beatrice Brignone, segretaria di Possibile e candidata di Europa Verde nella circoscrizione Centro alle prossime Europee.

“Se questo è il livello della propaganda - aggiunge Brignone - c’è davvero da preoccuparsi dello stato di salute della democrazia. La campagna elettorale deve avere dei limiti di buonsenso, proprio quello a cui finge spesso di appellarsi il ministro dell’Interno. Con un sussulto spero che Salvini possa prendere le distanze dal gesto del suo collaboratore. Ma temo che questa assunzione di responsabilità non arriverà mai”.

D’altra parte, se volessimo mettere da parte considerazioni etiche e di opportunità, il lavoro di Morisi è esattamente questo: far sì che non passi giorno senza che si parli di Matteo Salvini. E anche oggi ci è riuscito.
Licenza Creative Commons

https://www.lastampa.it/2019/04/21/italia/la-pasqua-social-di-matteo-salvini-preghiere-per-lo-sri-lanka-polenta-e-una-foto-col-mitra-lBiwKDt3fV9DeW8Q6xXApO/pagina.html


Titolo: Lo Stato maggiore della Difesa: "2 giugno festa di tutti. Ci dissociamo da ...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2019, 01:58:26 pm
POLITICA
01/06/2019 15:18 CEST | Aggiornato 17 ore fa

Lo Stato maggiore della Difesa: "2 giugno festa di tutti. Ci dissociamo da polemiche"

E sulla questione interviene anche padre Zanotelli, che gli ex generali che diserteranno l'evento dice: "Non si sentano sminuiti, ascoltino la Costituzione"

HuffPost
Alla vigilia della festa della Repubblica continuano le polemiche sulla partecipazione alla storica parata delle Forze Armate. La tradizionale manifestazione che si svolge in via dei Fori imperiali a Roma sarà disertata da alcuni ex generali. Un gesto, quello di Vincenzo Camporini, Leonardo Tricarico e Mario Arpino, motivato dal disaccordo con la politica che il governo pone in essere nei confronti delle Forze Armate. Lo Stato maggiore della Difesa, però, prova a placare il polverone e si tiene a distanza dalle esternazioni dei tre ex generali: “Lo Stato Maggiore della Difesa si dissocia da ogni polemica o presa di posizione personale che possa minare la coesione politico-istituzionale necessaria per il regolare svolgimento dei compiti propri delle Forze Armate”, si legge in una nota.

Il documento continua: “Il 2 giugno deve essere un giorno di festa. Anche quest’anno la rivista, con il tema dell’inclusione scelto dal Ministro della Difesa, vuole testimoniare come questa giornata rappresenti la festa di tutti, militari e civili che fanno parte delle componenti attive dello Stato, accomunati dagli stessi intenti e valori”.

Sul tema interviene anche uno storico pacifista, padre Alex Zanotelli: “Voglio ricordare ai generali del gran rifiuto che il 2 giugno è la festa della Repubblica, non quella delle Forze armate”. Padre Alex Zanotelli definisce “pretestuosa” la protesta.

” È grave che adesso i generali si sentano sminuiti o altro. Le Forze armate devono ascoltare la Costituzione che dice che l’Italia ripudia la guerra”, continua, interpellato dall’AdnKronos.

Per il missionario l’esecutivo non pone in essere politiche pacifiste, anzi, lui è convinto del contrario. “Magari fossimo davanti ad un governo pacifista - osserva padre Zanotelli -. Il problema però è un altro perché questo governo è assolutamente andato avanti ad armare a più non posso. È appena stata varata una nave militare a Trieste che costa un miliardo e trecento milioni. Non vedo un minimo di pacifismo in questo governo. Va detto che ci sono due anime nel governo: Salvini e la Lega, legatissimi alle armi. Poi il M5S che prima parlava di Stato contro le armi e ora non fa nulla. Chi governa però ora è Salvini, non Di Maio. Dunque di che si lamentano i generali? Magari ci fosse un pò di pacifismo, io vedo invece che si va avanti sulle armi, anche su quelle leggere, di cui si parla pochissimo”.

Da - https://www.huffingtonpost.it/entry/zanotelli-ai-generali-che-disertano-la-parata-il-2-giungo-e-la-festa-della-repubblica-non-delle-forze-armate_it_5cf27838e4b0e346ce7eda27?ncid=other_facebook_eucluwzme5k&utm_campaign=share_facebook&fbclid=IwAR1LqFeJt92PF65490hexQIeYM-pzNwpD8ZAOxvlRmPVEWwO9Q-RllmYy8A


Titolo: E tutti sono concordi su un dato: nulla sarà più come prima
Inserito da: Arlecchino - Giugno 03, 2019, 02:00:04 pm
Cosa dicono i giornali del trionfo della Lega e del crollo di M5s

I quotidiani analizzano il voto alle Europee che premia Salvini e punisce Di Maio.

E tutti sono concordi su un dato: nulla sarà più come prima

Di ALBERTO FERRIGOLO 27 maggio 2019, 06:54

C’è l’Europa ma c’è anche l’Italia. E i titoli delle prime pagine dei quotidiani sono tutti dedicati al fattore interno, al quadro nazionale. Ai partiti e di riflesso al governo. “La Lega vola, il Pd supera il M5S” fotografa e sintetizza il Corriere della Sera. “Governo addio” titola, lapidario, Il Giornale. “Comanda Salvini. Crollo 5 Stelle col soprasso del Pd” entra nel merito, tra cause ed effetto, il Fatto Quotidiano. “Salvini sfonda, Di Maio affonda” ironizza Libero evidenziando nell’occhiello il dato essenziale: “Lega primo partito d’Italia”. “Ombre nere” scrive a caratteri cubitali la Repubblica. “Amen” chiude il manifesto sull’immagine di un Matteo Salvini a mani giunte. E del resto, da quasi tutte le prime pagine l’immagine del leader del Carroccio campeggia mentre ribacia il rosario, in alternativa a quella in cui invece è ritratto mentre esibisce un cartello con su scritto: “1 partito in Italia. Grazie”.

I dati caratterizzanti di questo voto europeo dai forti riflessi interni, nazionali e anche “nazionalisti” è che di fatto l’Europa non si astiene, va a votare anche in maniera più consistente e partecipata e così sale l’affluenza e pure la frammentazione del Parlamento che perde di fatto la sua vecchia maggioranza data dall’asse Ppe-Socialdemocratici. Volano i Verdi e crescono i Liberali mentre il voto spagnolo al Psoe frena la discesa dei socialisti.

Ma le destre vincono in Italia, Francia e Ungheria. Quindi l’incoronato è Salvini, che svetta sopra il 30%, 34 secondo le edizioni online, Forza Italia scende sotto il 10 per cento, i 5Stelle crollano al 18 a vantaggio del Pd che sale al 22. Ma i dati sono ancora parziali, spesso hanno fonti diverse e in qualche caso si confondono ancora tra proiezioni ed exit poll.

Comunque tendenza è in qualche misura segnata. E se guardiamo al dato eminentemente nazionale, “L’Europa ci consegna un’Italia più salviniana e meno grillina; ma forse meno populista e sovranista del previsto, nonostante il grande successo della Lega. E una maggioranza che, con i rapporti di forza invertiti, si profila più fragile. Con lo spoglio quasi terminato non è chiaro se le due formazioni dell’esecutivo raggiungeranno insieme più del 50 per cento” sintetizza sulla prima pagina del Corriere l’editorialista Massimo Franco. Ma è Salvini a esultare e dettare anche la nova agenda di governo, dove d’ora in poi dovranno prevalere i Sì sui No. E l’indirizzo è chiaro. Questo porterà anche a un riequilibrio dei rapporti di forza dentro al governo?

La Lega oltre il 34%, M5s si ferma al 16,9 e il Pd sfiora il 23%. Come sono andate le Europee
Alla domanda risponde sin dal titolo il commento di Stefano Folli su la Repubblica, “Il governo ribaltato”, e dove si può leggere che “ci si attendeva che le elezioni cambiassero la geografia politica italiana, sullo sfondo di un’Europa in subbuglio, e così è stato. Come si dice in questi casi, nulla sarà più come prima. La vittoria della Lega ben oltre il 30 per cento, unita al crollo del M5S crea un distacco di circa 12 punti tra i due partiti della coalizione. Non è la sola novità, ma è la più esplosiva, considerate le conseguenze sulla stabilità del governo Conte”. E il paradosso di queste elezioni “è che rinasce dalle ceneri la vecchia coalizione tra Carroccio, Forza Italia e FdI. Una formula che negli ultimi anni sembrava estinta” scrive Claudio Tito nel commento “Il Capitano al bivio”.

Su La Stampa, versione cartacea, Marcello Sorgi dichiara “Salvini il grande vincitori delle elezioni europee in Italia” ma si chiede anche il perché allora “in molti dei primissimi commenti della notte elettorale, specialmente televisiva, “s’è affacciata la versione di un risultato non così soddisfacente per Salvini, del ‘poteva fare di più’, o ‘si aspettava di più’, ‘puntava al 40 per cento, come Renzi’, e così via, in aperta contraddizione con la soddisfazione espressa legittimamente dal vincitore?”.

Che, peraltro, “ha quintuplicato i voti della Lega rispetto alle stesse consultazioni del 2014, quasi raddoppiato rispetto all’anno scorso, ulteriormente ridimensionato l’ex leader del centrodestra Berlusconi, e trovato un potenziale e più consistente alleato nella Meloni e i suoi Fratelli d’Italia, dati a rischio di finire segati dallo sbarramento del 4 per cento e invece abbondantemente al di sopra” dopo aver “capovolto i rapporti di forza con l’alleato avversario Di Maio, che si lecca le ferite di un terzo dei consensi perduti”.

 Salvini Lega europee
La risposta di Sorgi è. “Un po’ perché, si sa, l’invidia è dura a morire, e sebbene amato dai suoi elettori, Salvini è sempre stato inviso a gran parte dell’establishment, quello istituzionale con il quale, a differenza di Di Maio che lo ha fatto a intermittenza, non ha mai o quasi mai cercato un rapporto, e quello della sua stessa parte politica, per non dire di un pezzo importante del partito nordista, espressione delle radici della vecchia Lega e dubbioso sull’espansione a livello nazionale di quella nuova”.

Ciò che fa scrivere ad Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, che “più o meno, è andata com’era stato anticipato dai sondaggi pre elezione e le urne confermano per l’ennesima volta che l’unica maggioranza politica e non artificiale possibile in Italia è quella del vecchio centrodestra, sia pure con la non trascurabile novità, e conferma, di una guida leghista. Lo sconfitto principe è Luigi Di Maio, il professorino che annunciò dal balcone di avere cancellato la povertà e che annunciò un boom economico per il 2019 lascia sul campo in un solo anno oltre quattro milioni di voti. Matteo Salvini ne deve prendere atto, perché non sta in piedi che quello che nel Paese reale è oggi il terzo partito - i Cinque Stelle - sia l’azionista di maggioranza in Parlamento e nel Paese”.

E infatti, Libero Quotidiano titola così l’editoriale firmato da Vittorio Feltri, ultrà salviniano: “Segnale clamoroso: Matteo ora deve passare all’incasso”. “La Lega è potente perché tiene fede agli impegni. Alleata del M5S e talvolta costretta a piegarsi ai capricci terroni di Di Maio, è riuscita comunque a tenere la schiena diritta e a non cedere su alcuni punti fondamentali, per esempio la immigrazione incontrollata e la legittima difesa, e ciò non è poco. Mentre i pentastellati col loro reddito di cittadinanza da straccioni e altre bischerate, come la abolizione della prescrizione, si sono rivelati personaggetti abili solo nell’arrampicarsi sugli specchi” è il cuore del suo pensiero.

E adesso per il governo cominciano i guai. Tanto che Alessandro Campi, sul Messaggero, sottolinea che con pesi così ribaltati, la rotta nel governo si fa complicata. Tanto che il quotidiano della capitale dedica un pagina a “Ora come cambia l’agenda” dell’esecutivo dalla Tav, visto che dalle urne è arrivata una spinta “al via libera”, tanto più che al vertice della Regione Piemonte si è imposto Cirio, candidato di Forza Italia, sul governatore del centrosinistra uscente Chiamparino che non raggiunge il 40 per cento dei consensi, nonostante la linea pro-Tav; quindi sulla manovra, dove si va verso lo scambio tra flat tax e cuneo fiscale; oppure sulla sicurezza, dove è pronto l’ok al decreto bis sui migranti; e poi c’è il Sud in cui la freddezza dei 5Stelle frena l’autonomia mentre Roma diventa un fronte trasversale per affossare la Giunta pentastellata. Infine la giustizia, con l’urgenza di cambiare il processo.

Sul Governo Conte, Marco Travaglio su Il Fatto, scrive che “non aveva alternative ieri e ne ha ancor meno oggi. In questa legislatura. Forse Salvini e la Meloni speravano di spartirsi le spoglie del fu Caimano: crescono entrambi ma FI sopravvive, sia pur dimagritissima, oltre ogni aspettativa, viste le condizioni del leader e del partito. Quindi delle due l’una: o Salvini fa saltare il banco e si presenta con la Meloni (da soli, supererebbero il fatidico 40% del Rosatellum); o lascia Conte dov’è e pretende un rimpasto e un nuovo Contratto per contare di più, almeno fino a dopo la finanziaria per evitare un nuovo boom dello spread. Sull'altro fronte, i suoi avversari devono guardarsi dall'accelerare la crisi e il voto subito. Sperare che Salvini si logori. E cercare intese parlamentari su leggi utili e popolari, per costruire un'alternativa. Sempre più difficile, sempre più doverosa”.

Ma per Il Foglio, nella sua edizione largamente preconfezionata del lunedì, Salvini viene presentato da Pietrangelo Buttafuoco come il “Sovranista senza sovranità”. Cioè come “un padrone della scena, che non cessa di essere se stesso passando da un’idea all’altra”. Ovvero, “si adatta all’Italia ma ancora non si sa se l’Italia si sta adattando a lui”. Il voto di ieri sembrerebbe smentirlo.
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Da - https://www.agi.it/politica/europee_lega_m5s_giornali-5548816/news/2019-05-27/


Titolo: M5S, le case degli uomini di Casaleggio pagate coi fondi pubblici del Senato
Inserito da: Arlecchino - Giugno 11, 2019, 11:27:40 pm
POLEMICHE

M5S, le case degli uomini di Casaleggio pagate coi fondi pubblici del Senato
I Cinque Stelle hanno speso 160 mila euro per gli appartamenti dello staff comunicazione, 40 mila dei quali per il solo alloggio di Rocco Casalino, l’ex del Grande fratello. Anche se la normativa prevede che i soldi siano usati per “scopi istituzionali”

DI PAOLO FANTAUZZI
10 marzo 2015

M5S, le case degli uomini di Casaleggio pagate coi fondi pubblici del Senato
Contro gli affitti d’oro di Montecitorio il Movimento cinque stelle ha condotto una delle sue più popolari battaglie. Al motto di “Basta milioni spesi per gli uffici parlamentari, anche gli onorevoli devono fare la loro parte” (e stringersi se necessario), la Camera ha alla fine rescisso parte dei contratti di locazione sottoscritti con la società Milano 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini. Non a caso il deputato Riccardo Fraccaro, protagonista della “campagna” in Ufficio di presidenza, l’ha definita «una delle più grandi vittorie politiche del Movimento».

Solo che nel loro piccolo anche i grillini, che rivendicano orgogliosamente la loro diversità e morigeratezza, rischiano di impantanarsi proprio su una vicenda immobiliare. Dall’inizio della legislatura, ha ricostruito l’Espresso, al Senato hanno speso infatti 160 mila euro per pagare l’affitto di casa ai dipendenti della comunicazione, la cinghia di trasmissione tra lo staff della Casaleggio associati a Milano e il gruppo parlamentare di Palazzo Madama. Un manipolo di fedelissimi (qualcuno è arrivato a Roma direttamente dalla srl del guru), scelti "su designazione di Beppe Grillo" come recita il codice di comportamento degli eletti e che si è accasato in una delle più belle zone di Roma, compresa fra il Pantheon e via Giulia.

DI CASA IN CASA
L’affittuario più noto è il coordinatore dello staff Rocco Casalino, divenuto celebre come inquilino di un’altra casa: quella del Grande Fratello (all'interno della quale, in tempi pre-Movimento, si dichiarava convinto sostenitore di Rifondazione comunista). Quando a fine 2012 provò a candidarsi per le elezioni regionali in Lombardia, ai militanti che lo criticavano sul blog per il suo passato televisivo rammentò la dura infanzia in Germania, in un piccolo appartamento dove il padre "per risparmiare non accendeva mai i riscaldamenti".

Tempi quanto mai lontani, fortunatamente: dall’estate del 2013 l’ex gieffino ha trovato insieme a un collega il suo buen ritiro al quinto piano di un bellissimo palazzo secentesco in via di Torre Argentina, fatto costruire da una nobile casata viterbese e da due secoli di proprietà di una storica famiglia romana. Una stupenda casa a due passi dal Pantheon: per le sue due camere, il salone e i due bagni il gruppo parlamentare ha speso finora 40 mila euro di affitto.

Altri 50 mila euro, invece, sono andati per la pigione di un grande appartamento abitato fino allo scorso autunno da altri tre dipendenti. Compreso - a quanto risulta a l’Espresso - il fedelissimo Nik il Nero, il camionista-videomaker divenuto celebre per i suoi editoriali politici girati nella cabina del suo tir . Anche in questo caso, un’abitazione assai blasonata: è infatti del conte Emo Capodilista, che - ironia della sorte - essendo fra i proprietari di Palazzo Grazioli, è anche padrone di casa di Silvio Berlusconi .

Prima di lasciare Roma per Bruxelles, invece, il precedente capo della comunicazione Claudio Messora viveva in un grazioso monolocale dietro piazza Navona, anche questo all'interno di uno splendido palazzo nobiliare: 1.600 euro al mese per un quinto piano con angolo cottura. In tutto, circa 26 mila euro di affitto. Andati a un altro proprietario dal sangue blu: una nobildonna appartenente alla famiglia dei marchesi di Sambuci, sposata col discendente di una famiglia di conti partenopei di antico lignaggio.

FONDI PUBBLICI, ALLOGGIO PRIVATO
Solo nel 2014, ha ricostruito l’Espresso, il Movimento cinque stelle ha speso 100 mila euro per le case dei dipendenti della comunicazione. Ai quali vanno aggiunti altri 52 mila nel 2013, 8 mila di agenzia e altri 5 mila di utenze domestiche. Totale: 165 mila circa. Forse troppo per gli stessi grillini, visto che negli ultimi mesi è andata in scena una “spending review” che dovrebbe consentire loro di spendere meno per l’anno in corso: alla fine dell’anno scorso le case affittate erano cinque, i dipendenti che ci vivevano erano sei, e costavano 6.291 euro al mese.

Ma se l’attenzione che i Cinque stelle riservano ai loro dipendenti è lodevole, il problema è che si tratta di fondi pubblici. Il Senato infatti eroga ai gruppi parlamentari una somma in base alla loro consistenza (2,5 milioni l’anno nel caso del M5S) ma i contributi, recita il regolamento all’articolo 16 , “sono destinati esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all'attività parlamentare e alle attività politiche ad essa connesse (…) nonché alle spese per il funzionamento dei loro organi e delle loro strutture, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici del personale”.

Insomma, in teoria il denaro non potrebbe essere utilizzato per stipulare contratti di locazione a uso abitativo ma solo per pagare gli stipendi dei dipendenti. Se poi il Movimento ritenesse la casa un benefit indispensabile, potrebbe sempre aggiungere un extra in busta paga. Come accade alla Camera, dove per alcuni dipendenti è previsto un rimborso a piè di lista per l’affitto (peraltro sottoposto a tassazione). E che l’alloggio non rientri nelle fattispecie previste sembra confermarlo indirettamente il fatto che l’anno scorso questa spesa è stata inserita sotto la voce “godimento di beni terzi”. «Era quella che ci si avvicinava di più» spiega a l’Espresso il senatore Giuseppe Vacciano, ex tesoriere del gruppo: «E comunque quella dell’affitto è una clausola prevista nel contratto come fringe benefit, penso ci sia poco da fare…».

RISCHIO RESTITUZIONE
Nel 2014 il rendiconto del M5S ha superato il controllo di conformità ma la società di revisione (la Bdo) ha rammentato nella sua relazione come “la verifica dell’inerenza delle spese documentate agli scopi istituzionali per i quali i contributi sono erogati ai gruppi parlamentari è demandata al Collegio dei questori ed esula dalla nostra attività”.

Le cose adesso potrebbero cambiare e sul prossimo rendiconto rischia di abbattersi la censura dei tre senatori chiamati a controllare i bilanci dei gruppi (una è la grillina Laura Bottici), che pure lo scorso anno non hanno sollevato obiezioni. «Di recente c’è stata una segnalazione su questo aspetto e, se fosse confermata, siamo intenzionati a chiedere chiarimenti espliciti e approfondimenti» dice a l’Espresso il senatore-questore Lucio Malan. "Il rischio, nel caso le motivazioni addotte dal Movimento cinque stelle non venissero accolte, è che al gruppo siano decurtati i soldi spesi finora per i contratti di locazione".

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Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2015/03/09/news/m5s-la-casa-agli-uomini-di-casaleggio-la-paga-il-senato-con-i-fondi-pubblici-1.202982?fbclid=IwAR23a_XaABYKLJ7FVEJBt7py8wCNyOqvsM1lqc_FqgqkQH9KUOOizJhEQP8


Titolo: Decreto sicurezza, ora i mafiosi potranno ricomprarsi i beni confiscati
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2019, 11:44:03 pm
Decreto sicurezza, ora i mafiosi potranno ricomprarsi i beni confiscati

Politica | 12 Novembre 2018

 Marco Brando
Giornalista e scrittore

È sufficiente fare la voce grossa con i migranti, trasformati in un’emergenza che non c’è e in un capro espiatorio, e fingere che non esistano altri problemi per la sicurezza degli italiani. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini – leader della Lega di ultradestra e (vice)premier – è riuscito a fare approvare anche dai pentastellati il suo Decreto sicurezza: il Senato gli ha già dato ragione; presto toccherà alla Camera, pare il 23 novembre. Intanto Salvini con quel decreto ha fatto scomparire per magia un’emergenza vera, quella rappresentata dalle mafie italiane. Eppure queste possono contare, ogni anno, su circa 150 miliardi di ricavi e, a fronte di poco più di 35 miliardi di costi, su utili per oltre 100 miliardi. Roba da fare invidia ai colossi europei dell’energia.

Andiamo per punti. Prima di tutto, Salvini nel decreto non si occupa delle cosche, perché evidentemente non ritiene che minaccino la sicurezza. D’altra parte, da qualche anno, i mafiosi non fanno stragi, sanno come votare, cercano di passare inosservati. Quindi non ci rendono “insicuri”. Pertanto – siccome un decreto legge si fa quando ci sono i presupposti di necessità e urgenza – non citare i boss significa considerarli un problema secondario. Al contrario, chi vive nei territori in cui questi incombono è ben consapevole del fatto che sono al lavoro, eccome. Silenziosamente le mafie riciclano – corrompendo chi è necessario corrompere – centinaia e centinaia di milioni nel cuore delle città d’Italia e d’Europa: acquistano ristoranti, negozi, hotel, palazzi, farmacie, imprese. Indisturbate o quasi, nonostante alcune inchieste e processi in corso nel Nord della Penisola, un tempo caro alla vecchia Lega, mostrino quanto siano in forma pure a quelle latitudini.

Però, nel decreto Salvini introduce una novità: la possibilità di vendere anche a privati i beni confiscati ai clan. Secondo Enzo Ciconte – fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose, docente universitario di Storia della criminalità organizzata – è “un segnale molto pericoloso”. Spiega: “Chi conosce le dinamiche mafiose sa bene che mettere in vendita questi beni significa offrire su un piatto d’argento la possibilità ai mafiosi di riacquistarli. Se ciò avvenisse – e con molta probabilità avverrà – lo Stato ne risulterebbe sconfitto perché i mafiosi potrebbero dire ai paesani: avete visto? Noi siamo più forti dello Stato. E questa è una verità incontrovertibile. Qualche speculatore potrebbe comprarsi grosse fette di questo patrimonio, magari utilizzando ditte e imprese ‘partecipate’ dal capitale mafioso”.

Il rischio è stato segnalato anche da Libera, cartello di associazioni contro le mafie fondato da don Luigi Ciotti, in un comunicato scritto subito dopo all’approvazione da parte del Senato: “La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni. Insomma, un vero regalo alle mafie e ai corrotti”. Gli enti del terzo settore (che perseguono senza finalità di lucro finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale) e il mondo dell’associazionismo da settimane criticano la “liberalizzazione “. Anche perché il terzo settore pare il vero bersaglio (neppure tanto velatamente) del capo della Lega.

Antonio Maria Mira, giornalista esperto di mafia e antimafia, sempre su Avvenire ricorda che il boss Francesco Inzerillo nel 2008 diceva: “Cosa più brutta del sequestro dei beni non c’è”. Quel sequestro è uno strumento nato nel 1982 grazie a Pio La Torre (segretario del Pci siciliano pagò con la vita: è stato assassinato dalla mafia nel 1982, insieme all’autista Rosario Di Salvo); fu rafforzato nel 1996 dalla legge 109, che prevedeva l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Oggi coinvolge quasi ottocento associazioni (tra cui Libera), cooperative sociali, diocesi, parrocchie, gruppi scout. Ed ecco spuntare il sedicente Decreto Sicurezza, che riprende una proposta avanzata nel 2008 dal ministro leghista dell’Interno Roberto Maroni (governo Berlusconi IV). Le proteste allora la bloccarono. Però (che strano) l’ha ritirata fuori Salvini.

Scrive Mira: “C’è la concreta preoccupazione che i beni messi all’asta non solo siano venduti a prezzi svalutati (chi in certe zone avrà il coraggio di partecipare all’asta per la villa del boss locale?), ma che l’acquisto possa essere realizzato da professionisti, imprenditori, faccendieri, che agiscono formalmente nella legalità, ma in realtà operano per il riciclaggio del denaro sporco (…) Alcune inchieste giudiziarie hanno smascherato i tentativi delle mafie di reimpossessarsi dei beni confiscati (…) Per i mafiosi perdere i beni è una perdita di credibilità, di autorità, di controllo del territorio. Soprattutto se poi vengono utilizzati a fini sociali, dando lavoro pulito ed educando i giovani alla legalità”.

Tuttavia al ministro Salvini che cosa importa? A lui basta fare credere che la sicurezza si tutela esibendo i canini contro i migranti e i rom ed evocando ogni giorno le ruspe. Magari anche facendo dimenticare che la Lega – dall’inchiesta sui fondi pubblici scomparsi agli ultimi successi elettorali – dovrebbe qualche spiegazione. Qualcosa Salvini ne saprà, visto che è stato eletto senatore, con oltre 15mila voti, proprio nella provincia di Reggio Calabria: è uno dei posti in cui la ’ndrangheta qualche preoccupazione la dà ancora.

Politica | 12 Novembre 2018

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/11/12/decreto-sicurezza-ora-i-mafiosi-potranno-ricomprarsi-i-beni-confiscati/4757697/?fbclid=IwAR2Ns84IA6ePOljqY1iPZQQ-LwmC_Nq0zIX8waI1PfjVXCFOtTzOHl-yM_g


Titolo: Rimpasto e caso Garavaglia. Cosa c'è sul tavolo della Lega
Inserito da: Arlecchino - Giugno 18, 2019, 10:25:19 am
Rimpasto e caso Garavaglia. Cosa c'è sul tavolo della Lega
C'è la casella delle politiche comunitarie da riempire ma calano le quotazioni di Borghi e Bagnai. E presto potrebbe scoppiare il caso del viceministro leghista dell'Economia, che rischia una condanna

   Di GIOVANNI LAMBERTI 11 giugno 2019, 22:38
"Alberto Bagnai e Claudio Borghi vogliono restare a fare i presidenti di commissione, non ambiscono ad altro". In questi giorni i 'big' della Lega vengono accostati a poltrone di governo ma qualificate fonti parlamentari del partito di via Bellerio smontano le ipotesi circolate in questi giorni. È vero che c'è la casella delle Politiche comunitarie da riempire ma l'operazione rimpasto è in stand by.

Dalla Lega ribadiscono che non è un tema all'ordine del giorno. Il presidente della Commissione Finanze del Senato non dovrebbe rientrare nella partita mentre risalgono le quotazioni del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, che potrebbe però anche essere 'dirottato' a Bruxelles nel ruolo di commissario Europeo. Nella rosa dei nomi c'è sempre anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti: "Faccio quello che serve, la mia storia è questa qua. Io non sono quello che comanda: quello che mi chiedono, faccio", ha detto il diretto interessato.

Bagnai? "Non sono stati avanzati nomi e al momento non commento il Fantacalcio. L'unica certezza - ha osservato Salvini - è che a breve si vada a riempire la casellina del ministero delle Politiche comunitarie, visto che sta nascendo la nuova Europa, non è questione di ore, ma il nome arriverà alla fine di un percorso che condivideremo con presidente del Consiglio e il vicepresidente Di Maio".

Garavaglia potrebbe non finire come Siri e Rixi
Ma nel governo potrebbe scoppiare una nuova grana, qualora dovesse essere condannato il viceministro Massimo Garavaglia nel mirino della Corte dei conti per la vendita di Palazzo Beretta a Milano, quando era assessore lombardo all'Economia. Chi ha sentito l'esponente della Lega riferisce della sua preoccupazione per la sentenza attesa per giovedì in tarda mattinata.

Per il momento la linea del Movimento 5 stelle è stata sempre la stessa: sia su Armando Siri che su Edoardo Rixi i pentastellati - a partire da Luigi Di Maio - sono stati netti nel chiedere le loro dimissioni. Ma Garavaglia occupa una casella delicata al ministero dell'Economia. Chiedere un suo passo indietro potrebbe mettere il governo di nuovo in fibrillazione, ecco perché c'è chi nel partito di via Bellerio ipotizza un atteggiamento più morbido del Movimento.

Commissariamento per le leghe regionali?
Venerdì intanto Salvini ha convocato il Consiglio federale. In origine la riunione avrebbe dovuto tenersi per lunedì scorso. All'ordine del giorno l'approvazione del bilancio del 2018 e l'analisi dell'esito delle europee e delle amministrative. È naturale che i big della Lega discuteranno anche come preparare sia le prossime battaglie - a partire dalle regionali emiliano-romagnole in programma in autunno - sia la manifestazione di Pontida, a settembre. Ma nella riunione il segretario del partito di via Bellerio potrebbe cominciare a discutere anche della nuova struttura della Lega, con le ipotesi di commissariamento delle 'Leghe regionali, già emerse in passato, e dare il via al tesseramento del 2019.

"Ci sarà una sorta di fusione tra la Lega nord e 'Lega Salvini premier", sottolinea una fonte parlamentare. Dovrebbe ripartire a breve la nuova fase del tesseramento e occorrerà - spiegano le stesse fonti - anche dare un segnale di discontinuità rispetto alla vecchia gestione, pure per evitare eventuali nuove fibrillazioni. In ballo anche l'ipotesi di una nomina - anche di questo si era vociferato nei giorni scorsi - del coordinatore dei Giovani della Lega Crippa a vice segretario federale.

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Da -https://www.agi.it/blog-italia/punto-politico/rimpasto_lega_borghi_bagnai-5639331/post/2019-06-11/


Titolo: SE saranno capaci di una RIFORMA FISCALE coraggiosa li avremo addosso per ...
Inserito da: Admin - Giugno 25, 2019, 05:15:39 pm
USA
Soros e altri 17 miliardari: «Adesso fate pagare più tasse ai ricchi»
Di Angelo Mincuzzi
24 Giugno 2019

Questa volta non sono i reduci di “Occupy Wall Street” a sguainare la sciabola e a chiedere più tasse per i ricchi e più uguaglianza per tutti. No, questa volta la richiesta arriva da un insolito club di miliardari che vede schierati il finanziere George Soros e suo figlio Alexander, uno dei creatori di Facebook, il 35enne Chris Hughes, i fondatori del fondo d'investimento Blue Haven Initiative, Liesel Pritzker Simmons e Ian Simmons, e Abigail Disney, regista ed ereditiera della famiglia di Walt Disney.

GUARDA IL VIDEO / “Tassateci” appello miliardari americani a candidati dem
Con una lettera pubblicata sul web e rivolta a tutti i candidati alle elezioni presidenziali Usa del 2020, diciotto ultraricchi appartenenti a 11 famiglie dal pedigree ormai americano (più un anonimo) chiedono ai politici che si contenderanno la Casa Bianca di aumentare, per favore, le loro tasse.
In nome dell'etica, del patriottismo e del sogno americano i 18 firmatari della lettera chiedono l'istituzione di una tassa sulla ricchezza che colpisca lo 0,1% più benestante del paese, cioè quella parte degli Stati Uniti che custodisce - scrivono i miliardari - la stessa ricchezza posseduta dal 90% degli americani.

GUARDA IL VIDEO / Più tasse ai ricchi, la prima battaglia di Ocasio-Cortez
I “diciotto” si schierano al fianco di un progetto della senatrice democratica del Massachusetts Elizabeth Warren, che ha proposto una tassa sulla ricchezza delle 75mila famiglie più facoltose del paese. Si tratterebbe - scrivono i “diciotto” nella lettera - di tassare con un 2% aggiuntivo gli asset posseduti oltre il valore di 50 milioni di dollari e con una ulteriore imposta addizionale dell'1% sopra il valore di un miliardo di dollari.

«Se possedete 49,9 milioni di dollari - spiegano i firmatari - non pagherete questa tassa. Si stima che l'imposta potrà generare circa 3mila miliardi di introiti fiscali in dieci anni». I fondi, nelle intenzioni dei firmatari, dovrebbero andare a finanziare l'innovazione, le energie rinnovabili per limitare il climate change, potrebbero essere destinati a finanziare borse di studio per gli studenti, infrastrutture per modernizzare il paese, rendere migliore la sanità e ridurre le imposte per i meno abbienti.

GUARDA IL VIDEO / Bill Gates contro Trump, «più tasse per ricchi come me»
Non è la prima volta che dall’élite degli Stati uniti si levano proteste per l'aumento delle diseguaglianze fiscali. Gli stessi firmatari della lettera ricordano che in passato il miliardario Warren Buffet, fondatore Berkshire Hathaway, rimarcò il fatto di essere tassato meno della sua segretaria.

Nel 2019 - sostengono oggi i 18 miliardari - lo 0,1% più ricco degli Stati Uniti pagherà il 3,2% della sua ricchezza in tasse mentre il rimanente 99% degli americani verserà il 7,2% delle proprie. Ecco perché «il prossimo dollaro delle nuove entrate fiscali dovrebbe provenire dalla parte più economicamente fortunata, non dagli americani a reddito medio e a reddito inferiore», dichiarano nella lettera.

Ma non basta. I diciotto ultraricchi affermano anche che una misura del genere sarebbe utile per almeno sei ragioni. Le elencano punto per punto e sottolineano che un'imposta che finanzi gli investimenti pubblici innovativi e tecnologici avrebbe l'effetto di aumentare la produttività del paese sul lungo termine. Darebbe quindi un vantaggio competitivo all'America.

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Ma avrebbe anche un effetto più “politico” riducendo le diseguaglianze che minano la democrazia e favoriscono la concentrazione del potere nelle mani di pochi plutocrati. I “diciotto” invocano il patriottismo e si appellano al sogno americano che, dicono, verrebbe rafforzato da una misura del genere.

«Divisione e insoddisfazione - scrivono - sono esacerbate dalla disuguaglianza, che porta a livelli alti la sfiducia nelle istituzioni democratiche. Questa è una delle ragioni per cui non consideriamo una tassa sulla ricchezza come un sacrificio da parte nostra: crediamo che istituire un’imposta porterebbe alla stabilità politica, sociale ed economica. Una tassa sulla ricchezza è patriottica».
La proposta dei diciotto ultraricchi è suffragata da un recente rapporto della Federal Reserve secondo la quale negli ultimi 30 anni l'1% più ricco degli Stati Uniti ha visto le proprie fortune crescere complessivamente di 21mila miliardi di dollari mentre il 50% inferiore ha perso 900 miliardi di dollari. Cifre che dimostrano un pericoloso allargamento della forbice sociale.
Secondo la Fed nel 1989 l'1% più facoltoso possedeva il 20,7% della ricchezza del paese, il 50 inferiore ne possedeva il 7,4%. Trent'anni dopo, nel primo trimestre del 2019, l'1% possiede il 27,7 delle ricchezze totali, il 50% inferiore il 5,8%. Nel 1989, inoltre, i più ricchi del paese investivano in azioni e fondi comuni solo il 16,7 della loro ricchezza: oggi questa percentuale è salita al 38,2%. «Quelli di noi che firmano questa lettera possiedono insolite fortune - scrivono i diciotto -, ma ognuno di noi vuole vivere in un'America che risolva le più grandi sfide del nostro futuro».

Chi l'avrebbe mai detto che gli indignati di Zuccotti Park avrebbero trovato degli adepti così importanti otto anni dopo le manifestazioni di “Occupy Wall Street”. Ma meglio tardi che mai.

Da ilsole240re.com