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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 289137 volte)
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« Risposta #480 inserito:: Maggio 24, 2012, 11:44:52 am »

23/5/2012 - TACCUINO

Il Professore prova a venire incontro

MARCELLO SORGI

La visita di Monti ai terremotati emiliani e il decreto con cui il governo ha sbloccato i primi venti-trenta miliardi di pagamenti arretrati della pubblica amministrazione alle imprese contrassegnano la svolta post-elezioni del presidente del consiglio e il tentativo di venire incontro, per quanto possibile, alle esigenze dei partiti della sua maggioranza, usciti alquanto ammaccati (soprattutto il Pdl), delusi (l’Udc) o solo apparentemente soddisfatti (il Pd) dalla tornata elettorale del 6 e del 20 maggio.

Monti ha perfettamente presente che il quadro politico interno è mutato e per il governo i dieci mesi da ora alle elezioni del 2013 non saranno facili. Di qui la disponibilità verso i terremotati (a Sant’Agostino in provincia di Ferrara, uno dei comuni più colpiti, il premier è stato accolto con una piccola contestazione e qualche fischio) e l’impegno a sospendere i pagamenti delle tasse nell’immediato per le popolazioni colpite, oltre a mettere a punto un piano di aiuti fino alla ricostruzione, che Monti si augura rapida, e che vorrebbe, al di là dei soccorsi più urgenti, che prendesse in considerazione i siti industriali colpiti, in modo da rimettere in moto una delle più fiorenti economie regionali del Paese.

Quanto al decreto per i pagamenti alle imprese, presentato insieme a Passera, ministro competente, Monti ha voluto inquadrarlo nelle iniziative per la crescita continuamente rivendicate dai partiti stanchi della politica di esclusivo rigore. Ma ha tenuto a chiarire che non si tratta del primo provvedimento mirato a quest’obiettivo, e inquadrarlo nei piani di un governo che mai si rassegnerà alla vecchia politica «idraulica» - questo l’aggettivo scelto per definirla e per rievocare il pompaggio inutile di soldi pubblici in un sistema che, se non viene ristrutturato, non è in grado di assicurare ripresa.

Monti ha poi visto ieri sera il leader del Pd Bersani, terzo a salire a Palazzo Chigi dopo Berlusconi e Alfano e Casini. All’ordine del giorno le questioni aperte in Parlamento, a cominciare dalla riforma del mercato del lavoro, per la quale il governo si augura ormai una rapida approvazione, e la legge anti-corruzione, sulla quale invece la maggioranza ha registrato una profonda rottura preelettorale. Monti e Bersani non si vedevano da prima dell’ultimo vertice europeo e del G8. La sensazione che il leader del Pd ha tratto dall’incontro è che, pur in assenza di impegni concreti, la Germania si trovi stretta tra gli Usa e il resto dei Paesi europei, Francia in testa, decisi ad aprire uno spiraglio nella morsa rigorista della Merkel.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10136
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« Risposta #481 inserito:: Maggio 27, 2012, 09:41:43 am »

24/5/2012 - TACCUINO

L'autocoscienza dell'ex premier paralizza il suo partito

MARCELLO SORGI

Di solito, la prima riunione di un partito dopo una sconfitta elettorale serve a circoscrivere i confini dell’insuccesso e a delineare un abbozzo di strategia per affrontare la crisi. Ma se il partito è quello di Berlusconi, il vertice convocato ieri a due giorni dal più disastroso risultato elettorale che il centrodestra abbia mai conseguito in diciott’anni di vita politica si trasforma, com’è accaduto, in una sorta di autocoscienza in pubblico del Fondatore.

Berlusconi al momento ci tiene a dire che non ha deciso cosa fare e che le voci di un suo ritorno in campo in prima linea sono destituite di fondamento. Un atteggiamento del genere ovviamente paralizza il Pdl (perfino le ennesime dimissioni dell’ex ministro e coordinatore Bondi sono state respinte), che, a dispetto di quanto hanno ripetuto in tv tutti gli esponenti di qualsiasi livello chiamati a commentare i risultati, dipende ancora in tutto e per tutto dal Cavaliere. Il quale, naturalmente, è molto meno indeciso di come lascia apparire, ma vuole aspettare prima di scegliere e comunicare la sua strategia.

Al momento, di sicuro c’è solo l’appoggio a Monti fino al 2013 e le elezioni a scadenza naturale. Ma Berlusconi sa benissimo che qualsiasi annuncio da parte sua in questo momento, o anche prima, sarebbe logorato dalla macchina impazzita del suo partito e dell’intero centrodestra. L’obiettivo di tentare di nuovo di riportare Casini nella coalizione dei moderati rimane, ma viene perseguito con meno convinzione, perché il Cavaliere non ha alcuna intenzione di mettersi da parte, come chiede l’Udc, e perché il leader centrista non risponderà mai prima di vedere l’esito della trattativa che s’è riaperta sulla legge elettorale. L’ipotesi di una discesa in campo di Montezemolo preoccupa meno Berlusconi perché, come ha spiegato, comunque si candiderebbe in campo moderato.

Nel Pdl c’è chi dice che al dunque sono Pierferdi e Luca le due carte coperte del Cav. Altri sostengono che vuole ricavare da un attento studio dei sondaggi e delle loro variazioni, man mano che la scadenza elettorale si avvicina, l’ipotesi di mettere in campo più liste, riunite in una sorta di federazione, per limitare i danni dell’astensionismo e sfruttare al meglio il voto utile. Altri ancora che non vede l’ora di liberarsi del Pdl e della sua burocrazia, a cui attribuisce buona parte dei motivi della sconfitta. Ma chi lo conosce davvero sa che, malgrado tutto quel che ha detto e ripetuto ieri, Berlusconi sta solo cercando uno spiraglio per rimettersi in gioco personalmente.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10142
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« Risposta #482 inserito:: Maggio 27, 2012, 09:42:23 am »

25/5/2012 - TACCUINO

La riduzione dei finanziamenti non ferma l'insofferenza

MARCELLO SORGI

Nel giorno in cui il Tribunale del riesame ribadisce la richiesta di arresto per il tesoriere della Margherita Lusi, accusato di aver sottratto a scopo personale 23 milioni di euro di finanziamento pubblico destinato al partito, la Camera approva finalmente in prima lettura la riforma dei rimborsi elettorali. Alla fine, la decisione presa con uno striminzito voto di 291 deputati, la maggioranza più risicata che si sia manifestata da quando esiste il governo Monti, è di dimezzare i rimborsi, anche se un complicato meccanismo previsto tra le righe della legge prevede che ulteriori contributi dello Stato possano aggiungersi ad eventuali aiuti privati ai partiti.

Se la Camera fosse riuscita a licenziare il testo prima dei ballottaggi, il taglio dei rimborsi avrebbe potuto influire sui risultati del voto? Difficile dirlo. La sensazione è che al punto in cui è giunta l'insofferenza degli elettori aggravata dalle lungaggini a cui la riforma ha dovuto sottostare, con una lunga vigilia di settimane e di mesi in cui si oscillava tra il taglio di un terzo e quello totale -, difficilmente il dimezzamento dei fondi pubblici basterà a far rientrare l'ira di un'opinione pubblica sconcertata dagli scandali della Margherita e della Lega e dall'incapacità dei partiti di trovare rimedi seri alla corruzione. Infatti, anche la legge proposta dalla ministra di Giustizia Severino ha avuto un iter parlamentare molto tormentato ed è ancora lontana dal varo definitivo.

Inoltre i partiti che hanno votato contro la legge in Parlamento, a cominciare dall'Idv di Di Pietro, continuano una campagna tesa a dimostrare che si tratti di una finta riforma, nè più nè meno come sta facendo Grillo da tempo sulla rete. I cittadini hanno così cominciato a prendere confidenza con le cifre assolute del finanziamento statale, che restano enormi. In dieci anni il sostegno ai partiti è passato da cento miliardi delle vecchie lire a quasi mille: si è in pratica decuplicato! Il dimezzamento non fa che portare i miliardi da mille a cinquecento. Ma non esiste in Italia una categoria, pubblica o privata, che abbia potuto vedere i propri proventi moltiplicati per cinque volte nell'ultimo decennio. Anzi, a partire dallo scorso novembre, la necessaria strategia anticrisi del governo ha reso indispensabili tagli agli stipendi e alle pensioni, oltre ad aver allungato la vita lavorativa. Una ragione di più, per la gente, per giudicare il testo uscito ieri da Montecitorio una piccola riforma, lontana da quel che s'aspettava.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10147
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« Risposta #483 inserito:: Maggio 29, 2012, 11:08:24 am »

29/5/2012 - TACCUINO

Caso Catricalà, Monti detta la linea e urta il centrodestra

MARCELLO SORGI

Seppure rientrato e chiuso anche formalmente con un comunicato di Monti, il «caso Catricalà» e le dimissioni minacciate e ritirate del sottosegretario alla Presidenza del consiglio per dissensi su due delicate questioni all'ordine del giorno sono serviti al premier a chiarire quale a suo giudizio dev'essere il funzionamento del governo e quale il reale equilibrio dei poteri.

Catricalà, ma non solo lui, si era infatti sbilanciato sia sull'ipotesi, poi rientrata, della discarica da collocare nei pressi di Villa Adriana, sia sul progetto, rivelato da «Repubblica», di riforma del Csm, che avrebbe spostato sui laici, cioè sui politici, a discapito dei magistrati togati, la responsabilità dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei giudici. In entrambi i casi Monti s'è pronunciato contro e di qui è nato il rammarico del sottosegretario, che s'era spinto in direzione opposta e per questo ha sfiorato le dimissioni.

Non va dimenticato infatti che la scelta di Catricalà come sottosegretario alla presidenza - incarico che nel precedente esecutivo, quando era Gianni Letta a ricoprirlo, era considerato il più importante dopo quello dello stesso presidente del consiglio - era avvenuta al momento della nascita del governo dopo la rinuncia a inserire nella lista due ministri forti come lo stesso Letta e Giuliano Amato, che avrebbero dovuto assicurare il collegamento politico tra i due principali partiti della maggioranza e una compagine formata quasi interamente da tecnici estranei. Il centrodestra allora aveva insistito per aver Catricalà a Palazzo Chigi anche per marcare una qualche forma di continuità tra il governo uscente e quello entrante.

È esattamente questo aspetto che Monti, con il suo comunicato di ieri, ha voluto ridimensionare. Il chiarimento è rivolto all'interno, laddove precisa che Catricalà può ovviamente essere incaricato di istruire alcune pratiche prima che approdino in consiglio dei ministri, dato che gode della piena fiducia del premier, ma la decisione sulle stesse spetta sempre al Presidente del consiglio. E ancora - ciò che è più significativo -, all'esterno, per far capire a chi pensava, grazie a rapporti pregressi, di poter contare sul successore di Letta, per esaminare e accelerare la soluzione di questioni aperte, che appunto non è così. Oltre a non togliere l'amaro dalla bocca di Catricalà, il comunicato montiano non avrà dunque fatto molto piacere allo stato maggiore di Berlusconi.


da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10160
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« Risposta #484 inserito:: Maggio 31, 2012, 04:27:13 pm »

30/5/2012 - TACCUINO

La rete e l'onda emotiva

MARCELLO SORGI

Aperta da un intervento di Cecilia Strada di "Emergency", con un hashtag, #no2giugno, subito sommerso da una valanga di interventi sulla rete, la polemica contro la parata militare di sabato i cui preparativi sono ormai alle ultime battute, e per destinarne i costi agli aiuti ai terremotati, s'è trasformata in un test molto interessante del panico che Internet è in grado di generare tra i politici, almeno tra quelli che si sentono più minacciati da Grillo, dopo i risultati delle ultime amministrative.

A parte il leader del Movimento 5 stelle, che l'ha prevedibilmente subito sposata, parlando di terremoto annunciato e richiamando in servizio il sedicente sismologo Giampaolo Giuliani, famoso perché sosteneva di aver previsto anche il terremoto dell' Aquila, uno dopo l'altro Di Pietro, Vendola, Ferrero, i Verdi, la Lega, e a sorpresa, su Twitter, anche il sindaco di Roma Alemanno, che poi però quasi subito ha fatto una più meditata mezza marcia indietro, si sono subito allineati al #no2giugno che impazzava sulla rete, insieme con una valutazione dei costi recuperabili della parata vicina ai tre milioni di euro. Cifra immediatamente smentita dal governo, che ha spiegato come la massima parte dei finanziamenti previsti per la parata siano già stati effettivamente spesi, e dunque non siano più recuperabili.

Per avere la prova che l'improvvisa - e diffusa, all' opposizione - levata di scudi anti-parata era spinta soprattutto dalla lettura dei messaggi sui social networks bastava confrontare le dichiarazioni dei leader con i testi, praticamente identici, della rete. Così per un pomeriggio - in modo, va detto, assai approssimativo - la maggior parte dell'opposizione ha tentato l'aggancio del popolo Internet e del suo guru più importante, Beppe Grillo, che solo due settimane fa aveva messo seriamente in crisi i titolari abituali del voto di protesta.

E' toccato al Presidente Napolitano, anche nella sua qualità di capo delle Forze Armate, frenare l'ondata emotiva anti-2 giugno e confermare, sia pure in versione ridotta, la parata, che ha tra l'altro il compito di onorare le numerose vittime italiane nelle missioni internazionali di pace, e sarà dedicata alla solidarietà verso i terremotati e agli interventi concreti dell'esercito nelle operazioni di soccorso. Anche Monti è subito intervenuto per annunciare oggi al consiglio dei ministri provvedimenti adeguati alla gravità dei danni provocati dal terremoto e aiuti alle popolazioni colpite.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10164
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« Risposta #485 inserito:: Giugno 05, 2012, 07:01:21 pm »

5/6/2012 - BERSANI STOPPA FASSINA

Tensioni Pd sul voto anticipato

MARCELLO SORGI

Ma se la politica dell’emergenza continua a non dare risultati, non sarebbe meglio anticipare la finanziaria e andare ad elezioni in autunno? Per averlo detto, dando voce a un largo partito trasversale presente in Parlamento, il responsabile economico del Pd Stefano Fassina è stato sepolto dalle polemiche e tacitato con una nota ufficiale del portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia. La posizione ufficiale del partito resta dunque quella del sostegno al governo fino al 2013.

E tuttavia, Fassina, uno dei giovani dirigenti portati in segreteria dal segretario Pd, non ha affatto proposto di far cadere Monti in un’imboscata. Diversamente, ha cercato di aprire una discussione sull’inutilità di tenere in vita il governo tecnico guidato da Monti in condizioni di semiparalisi, come in pratica sta avvenendo dall’inizio dell’anno, e come dimostra il fatto che una riforma importante come quella del mercato del lavoro abbia impiegato più di cinque mesi per ottenere il primo sì del Senato. E solo adesso sia arrivata alla Camera, da dove probabilmente, in caso di modifiche già annunciate dai partiti di maggioranza e di opposizione, dovrà tornare a Palazzo Madama. Per inciso, ieri i due ministri interessati, la Fornero e Patroni Griffi (il secondo ha la delega per il pubblico impiego), hanno reso esplicito il dissenso che covano da tempo sulla necessità (per la Fornero) che anche i dipendenti pubblici si adeguino alla nuova disciplina dei licenziamenti e sull’impossibilità (per Patroni Griffi) che questo accada. Ma il lavoro è solo uno degli scogli su cui il governo è da tempo arenato in Parlamento. Basti pensare alle norme anticorruzione, alle intercettazioni, alla responsabilità civile dei magistrati, alle nomine nelle authorities, alla Rai. Sono solo alcuni esempi. Per non parlare del voto sul trattato internazionale del Fiscal Compact che rischia già di slittare all’autunno.

Contro Fassina, le reazioni più dure sono venute dall’interno del Pd, soprattutto dalla componente veltroniana e da quella popolare, che con Gentiloni è arrivata a paragonarlo a Brunetta e Santanchè nel centrodestra. Ma al di là della controversa materia elettorale, nelle file del Pd s’intuiva un certo timore che la nuova generazione bersaniana prema per il voto anche per arrivare al dunque della formazione delle liste, da rinnovare radicalmente, per far fronte all’ondata di antipolitica. La preoccupazione di non poter godere delle deroghe che hanno consentito fino al 2008 a molti della vecchia guardia di aggirare la regola del limite di tre legislature era percepibile in alcune di quelle reazioni. A sorpresa, Fassina ha invece trovato appoggio da Sandro Bondi, il più eretico dei coordinatori del Pdl: a patto, sostiene Bondi, di anticipare il voto con un’intesa bipartisan che preluda a un governo di larghe intese anche per la prossima legislatura.

Va detto: è stato certamente un errore o un’imprudenza parlare di scioglimento anticipato delle Camere alla vigilia di un vertice europeo come quello convocato a Roma da Monti, con Merkel e Hollande, e mentre a ritmo affannoso continuano i tentativi dei leader dell’Unione per cercare di arginare la crisi dell’euro, che sembra giunta al suo giro finale.

Ma dire di no alle elezioni anticipate per continuare a non fare niente, tenendo il governo bloccato, è un errore altrettanto grande.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10193
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« Risposta #486 inserito:: Giugno 06, 2012, 05:03:06 pm »

6/6/2012 - TACCUINO

Nuove spine per il vertice con la Merkel

MARCELLO SORGI

Troppe tasse, impulsi recessivi, corruzione ancora presente specie nel settore della Sanità, rischio di avvitamento dei conti dello Stato, se non si porrà un deciso rimedio al più presto. Dopo quello del Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, è arrivato anche il monito a due voci del presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino e dell'alto magistrato, Luigi Mazzillo, che ha coordinato le sezioni riunite, incaricate di stilare il rapporto sulla finanza pubblica. Il quadro che ne è uscito, pur riconoscendo che le misure di contenimento adottate fin qui dal governo funzionano, è impietoso e allarmato. E non avrà certo rallegrato Monti, intento in una serie ininterrotta di contatti con i leaders europei, in vista dell'incontro del 22 giugno con Merkel e Hollande a Roma e del vertice di fine mese, da cui dovrebbe uscire una risposta definitiva sulla volontà e la capacità dell'Unione di convincere la Merkel ad abbandonare le sue resistenze e a collaborare per affrontare la crisi dell'eurozona che rischia di sfuggire al controllo.

I dati forniti dalla Corte dei conti sono drammatici: il sistema italiano sconta ancora un'evasione di oltre 46 miliardi di Iva e avrebbe bisogno di sgravi fiscali quasi pari per uscire dalla recessione. Il "rischio di avvitamento", segnalato senza mezzi termini, nasce dal fatto che l'aumento delle tasse deciso dal governo, per cercare di mantenere gli impegni assunti con l'Europa, non ha finora portato, com'era auspicabile, un aumento del gettito. E ha invece determinato un calo del pil che rende ancora più squilibrati i conti italiani. Giampaolino e Mazzillo consigliano di ricorrere in tempi brevi a ulteriori vendite di patrimonio pubblico (che il governo fin qui ha preferito evitare, nella convinzione che con i mercati in difficoltà si tratterebbe piuttosto di svendite) e una forte riduzione della spesa pubblica, cosa che, malgrado la nomina del supercommissario ad hoc, Enrico Bondi, al momento ha obiettivi abbastanza limitati. Duro anche il richiamo sulla Sanità: senza una riorganizzazione e un'effettiva trasparenza, la corruzione non sarà mai sconfitta.

Dall'opposizione Lega e Idv brindano alla nuova denuncia dell'eccesso di carico fiscale, mentre Pd e Pdl sono più prudenti. E dal governo l'unico commento è quello del ministro responsabile della spending review, Piero Giarda, che ricorda come al momento all'ordine del giorno ci sia un ulteriore rialzo dell'Iva da ottobre. Il tono di Giarda lascia capire che sarebbe un miracolo, per come stanno andando le cose, riuscire ad evitarlo, lasciando dunque intatta la pressione fiscale senza doverla ulteriormente inasprire.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10197
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« Risposta #487 inserito:: Giugno 07, 2012, 10:39:13 pm »

7/6/2012 - TACCUINO

Verso il rinvio delle ambizioni riformatrici

MARCELLO SORGI


Malgrado gli sforzi fatti dal Pdl, dopo l’accoglienza tiepida alla prima conferenza stampa con Berlusconi, la proposta del semipresidenzialismo, depositata al Senato sotto forma di emendamenti che ridisegnano la figura del Capo dello Stato, non ha del tutto fugato le riserve emerse finora sulla svolta berlusconiana. Diranno i tecnici e i costituzionalisti, che ieri le hanno riservato commenti più o meno critici, se si tratta di una riforma praticabile in meno di un anno, o se i necessari aggiustamenti finiranno a bloccarne il lungo iter parlamentare, che necessita di quattro votazioni a distanza non inferiore di tre mesi del medesimo testo.

Lo stesso segretario del Pdl Angelino Alfano ha ammesso che l’iniziativa del suo partito varrà, sia nel caso in cui si arrivi alla riforma, sia come bandiera della prossima campagna elettorale, nella quale, ha spiegato, di fronte a un «no» pregiudiziale del Pd, il centrodestra avrà buon gioco ad additare agli elettori chi ha avuto un atteggiamento conservatore e contrario alla possibilità di un effettivo cambiamento dell’assetto costituzionale del Paese.

Ma rispetto alla prima presentazione, con accanto un Berlusconi non troppo convinto dell’appeal politico della Grande riforma, Alfano ieri ha introdotto tre novità, mirate a favorire un vero confronto sulla materia: la prima è che anche nel caso in cui il semipresidenzialismo alla francese non passi, il Pdl non ostacolerà le altre proposte di riforma costituzionale su cui era stato raggiunto un accordo in commissione al Senato. Si tratta del potenziamento dei poteri del premier, della differenziazione dei compiti delle Camere e della riduzione del numero dei parlamentari. La seconda è un’offerta diretta al Pd: il Pdl è disposto a prendere in considerazione anche una legge elettorale a due turni per eleggere il Parlamento. La terza è l’impegno che Berlusconi non sarà automaticamente candidato al Quirinale: il Pdl sceglierà con le primarie.

È difficile tuttavia dire che fine faranno le riforme dopo la novità introdotta dal Pdl. A giudicare dalle perplessità espresse dal presidente del Senato Schifani, che s’era impegnato personalmente sulla fase costituente, non molte. E a sentire i commenti a mezza voce dei corridoi di Palazzo Madama, l’esito più probabile della sessione sarà un ennesimo rinvio, e dunque una nuova sepoltura, almeno per questa legislatura, delle ambizioni riformatrici dei ricostituenti della Seconda Repubblica.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10202
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« Risposta #488 inserito:: Giugno 12, 2012, 11:38:01 pm »

12/6/2012 - TACCUINO

Maggioranza senza accordo nella settimana decisiva

MARCELLO SORGI

Il piano di aiuti per le banche spagnole non ha avuto l'effetto sperato e il quadro generale si è particolarmente appesantito per l'Italia, dove ieri lo spread è tornato a superare quota 470, e dove l'Istat ha confermato che il Paese continua a restare in recessione, con un ulteriore calo del pil dello 0,8. Nè ha giovato la comunicazione, sempre ieri, fonte Inps, che il numero degli esodati, fin qui incerto, tanto che il governo ha provveduto per decreto a sistemarne i primi 65 mila, è arrivato a 390 mila. Si tratta di previsioni, è bene dirlo, che non riguardano solo quest'anno, ma sono egualmente destinate a pesare sui conti pubblici. A giudizio del Wall Street Journal, l'Italia a questo punto rischia davvero di subire l'effetto contagio da parte della Spagna.

E' in questa cornice che il governo si accinge ad affrontare in settimana in Parlamento una serie di questioni delicate e finora irrisolte.
In estrema sintesi, si potrebbe dire che nella maggioranza non c'è accordo su nulla. Non sulla legge anticorruzione, per cominciare, che il Pd si dichiara pronto a votare nel testo uscito dalla commissione e che la ministra Severino vorrebbe far approvare sulla base di un maxiemendamento su cui ha annunciato per oggi la richiesta di un voto di fiducia. Il braccio di ferro è con il Pdl, scontento fin qui di tutte le formulazioni uscite da votazioni in cui spesso è andato sotto rispetto a maggioranze occasionali in cui il Pd ha votato con l'Idv.

Non vanno meglio le cose sulla Rai, dopo le nomine proposte da Monti e contestate, per ragioni diverse, dai partiti. Stamane il presidente della commissione di vigilanza Zavoli riunirà l'ufficio di presidenza per verificare se esistono le condizioni per eleggere i sette membri del consiglio d'amministrazione della tv di Stato che devono essere votati in Parlamento. Ma il Pdl contesta a Monti il diritto di designare, oltre al presidente e al rappresentante del ministro del Tesoro, anche il direttore generale. Bersani ha confermato che non intende avanzare candidature nè partecipare a votazioni sui consiglieri, a meno che il governo non proceda a un'effettiva riforma della governance della Rai.

Ma all'interno del Pd dissente l'ex ministro dell'Istruzione Fioroni, che chiede a Monti di indicare anche i nomi mancanti, che i partiti dovrebbero impegnarsi a votare per uscire dall'empasse. Proposta condivisa da Casini e osteggiata dal Pdl, mentre Di Pietro, provocatoriamente, chiede addirittura che prima di essere messa ai voti, la presidente designata Anna Maria Tarantola, attuale numero tre di Bankitalia, si presenti in commissione per dimostrare la sua competenza televisiva.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10220
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« Risposta #489 inserito:: Giugno 15, 2012, 11:54:07 pm »

14/6/2012 - TACCUINO

Il Professore e una giornata finalmente senza strappi

MARCELLO SORGI

Dopo tanti momenti difficili, ieri è stata finalmente una buona giornata per Monti e il governo. Compatibilmente con il quadro generale ancora molto difficile, gli effetti del vertice improvviso convocato martedi sera a Palazzo Chigi con i tre segretari della maggioranza Alfano, Bersani e Casini si sono visti: il presidente del consiglio ha incassato tre voti di fiducia alla Camera sulla legge anticorruzione e, prima di partire per Berlino (dove ha ricevuto dal ministro degli esteri tedesco Wolfang Schauble apprezzamenti per il lavoro svolto fin qui e il prestigioso premio per la “leadership responsabile”), dal banco del governo ha voluto dare la sua valutazione sull’effettivo stato di salute dell’Italia. Dunque, stiamo messi meglio di sei mesi fa e non siamo affatto nelle stesse condizioni della Spagna, costretta la scorsa settimana a chiedere aiuti all’Unione europea per salvare le sue banche. Il cammino resta in salita, il quadro dell’eurozona rimane preoccupante, ma Monti confida nelle prospettive del prossimo vertice europeo, per allentare le resistenze finora insormontabili della Germania ad aprire qualche spiraglio nella politica di rigore. Nell’attesa, proprio da Berlino, sollecitato in conferenza stampa da una domanda sulle dimensioni enormi (duemila miliardi di euro) del debito pubblico italiano, Monti ha annunciato che presto per ridimensionarlo il governo potrebbe presentare un piano di alienazione parziale del patrimonio dello Stato.

Seppure i discorsi di Alfano, Bersani e Casini in aula a Montecitorio sono stati rassicuranti, nessuna delle pesanti questioni aperte sul cammino del governo può tuttavia dirsi risolta: sulla legge anticorruzione, restano riserve fortissime del Pdl, a cui s’è aggiunta ieri la contrarietà del Fli alla norma che solo nel 2018 farebbe scattare la non candidabilità dei condannati per corruzione. Sul problema degli esodati c’è stato un nuovo scontro tra Fornero e Camusso, oltre a una mozione di sfiducia contro il ministro del lavoro presentata dalla Lega. La riforma del mercato del lavoro, portata ad esempio nel suo intervento da Monti a Berlino, non fa passi avanti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10228
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« Risposta #490 inserito:: Giugno 19, 2012, 11:19:55 pm »

19/6/2012 - TACCUINO

Con il turno unico rischiamo di ritrovarci come la Grecia

MARCELLO SORGI

Oltre a stabilizzare, per quanto possibile, il paesi dell’eurozona in vista del vertice del 28, i risultati delle elezioni in Grecia (e in diverso modo anche quelli francesi) spingono a riflettere anche sul presente e sul futuro prossimo dell’Italia. In Grecia infatti, dopo aver vinto con poco più di un terzo dei voti, il leader del centrodestra Antoni Samaras si accinge a formare un governo con i socialisti, usciti molto ridimensionati dalle urne, e se possibile con i partiti minori, lasciando all’opposizione la sinistra radicale, giunta seconda con un quarto dei voti. Ma i partiti che dovrebbero allearsi con Samaras - che solo in coalizione con i socialisti avrebbe la maggioranza di 162 seggi su 300, e con gli altri toccherebbe i 200 non lo danno affatto per scontato. Chiedono che anche la sinistra estrema sia associata al governo, per condividere le responsabilità dei sacrifici che dovranno essere imposti ai cittadini greci. Il leader della sinistra, Tsipras, naturalmente non ci pensa proprio.

Un quadro del genere, capovolto, ma con la costante della sinistra che resiste al peso delle scelte impopolari, e con la necessità di associare il centrodestra, potrebbe crearsi alle prossime elezioni anche in Italia, specie se la tendenza che da mesi i sondaggi preannunciano, dando un Pd in vantaggio rispetto al Pdl, dovesse portare il centrosinistra a vincere, ma a non essere pienamente in grado di far accettare ai suoi alleati (in particolare a Vendola) il peso delle decisioni anticrisi che anche il prossimo governo dovrà continuare a prendere. Di qui a prevedere che la guida del governo possa restare affidata a Monti, e che anche la maggioranza che lo sorreggerà non sarà troppo diversa da quella attuale, il passo è breve.

La lezione francese invece è diversa ed è sempre legata al sistema a doppio turno che, dopo aver determinato il passaggio da Sarkozy a Hollande, ha assegnato ai socialisti una larga maggioranza all’Assemblea nazionale, neutralizzando l’ondata di protesta del primo turno e riducendo a due, dicasi due, i parlamentari eletti del Front national di Marine Le Pen. Vale per i nostri leader che si sono dati tre (ormai due) settimane per cambiare la legge elettorale. Magari (tutti se lo augurano) non finiremo come La Grecia.

Ma se la nuova legge che dovrebbe sostituire il Porcellum sarà ancora a turno unico, molto probabilmente non avremo un governo politico come quello francese.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10244
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« Risposta #491 inserito:: Giugno 20, 2012, 11:15:08 pm »

20/6/2012 - TACCUINO

Il governo e la corsa contro il tempo verso il vertice Ue

MARCELLO SORGI

L'esito interlocutorio del G20 in Messico e la decisione finale di non approfondire il confronto tra il presidente degli Stati Uniti Obama e i leader europei in un vertice dedicato alla crisi dell’eurozona hanno convinto Monti a dichiarare aperto il conto alla rovescia di qui al 28 giugno, per cercare di imporre una svolta al destino dell’Unione. In dieci giorni si decide tutto. E le premesse continuano a non essere buone, a giudicare almeno dalla freddezza con cui la Merkel ha accolto le richieste del premier incaricato greco Samaras per un allungamento dei tempi dei sacrifici richiesti al suo paese. Una dilazione concessa ad Atene, d’altra parte, aprirebbe la strada a un esame delle richieste degli altri partner, che premono perché gli interventi e gli investimenti in favore della crescita vengano in qualche modo svincolati dai limiti ultrarigidi delle strategie anticrisi, allargando i margini di manovra dei singoli governi.

Ieri il ministro Corrado Passera ha ripetuto che si sta cercando in ogni modo di evitare l’ulteriore rialzo di due punti dell’Iva previsto ad ottobre, ma che proprio per questo non c’è da aspettarsi a breve una riduzione del carico fiscale.

Monti, si sa, intenderebbe arrivare al 28 con la riforma del lavoro approvata definitivamente in Parlamento, ciò che farebbe conquistare dei punti all’Italia agli occhi di Bruxelles. E a questo scopo ieri la ministra Elsa Fornero si è sottoposta a un tour de force in Parlamento. Prima alla Camera, dove ha affrontato la questione degli esodati, quantificando il numero di quelli in attesa di soluzione in 55 mila e criticando, ma senza nominarlo, l’Inps che era arrivato a parlare di 390 mila. Fornero ha insistito sul fatto che il governo non intendeva minimamente trascurare il problema, ma occuparsene al momento opportuno. Con il decreto che aveva già regolarizzato i primi 65mila esodati, infatti, era stata trovata la soluzione fino a tutto il 2013. Con i successivi 55mila sarà coperto anche il 2014. Fornero intendeva così venire incontro alle richieste del Pd, che con Franceschini aveva spiegato che considera la questione esodati pregiudiziale all’approvazione della riforma del lavoro. Ma non è detto che anche con questi interventi la riforma riesca a passare in tempo: Maurizio Gasparri al Senato ha avvertito la ministra Fornero che il Pdl ha intenzione di prendersi tutto il tempo necessario prima di votarla.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10248
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« Risposta #492 inserito:: Giugno 21, 2012, 06:43:10 pm »

21/6/2012 - TACCUINO

Pietra tombale sulla riforma della giustizia

MARCELLO SORGI

Per quanto scontato, il “sì” del Senato all’arresto del tesoriere della Margherita Lusi rappresenta la pietra tombale su qualsiasi speranza di trovare un compromesso sulla giustizia. Anzi, in qualche modo, è la diretta conseguenza del voto di fiducia con cui la legge anticorruzione è passata alla Camera. Anche a costo di scontare una pattuglia di dissidenti, Gasparri ha spiegato che il centrodestra non aveva alcuna intenzione di entrare in una resa dei conti interna al centrosinistra e per questo non avrebbe partecipato al voto.

Malgrado le evidenti responsabilità di Lusi, confermate dal vaglio di sette diversi magistrati e in qualche modo riconosciute anche dall’interessato, che le ha ammesse proprio per cercare fino all’ultimo di evitare il carcere, la vicenda dell’uso improprio del finanziamento pubblico da parte della Margherita - è evidente non si chiude qui, e il processo potrebbe riservare sorprese.

Il clima e i toni adoperati nel dibattito di ieri - complessivamente mediocri, a tratti minacciosi -, però non consentiranno a breve di riprendere il confronto sulla giustizia, già in forti difficoltà dopo il voto della scorsa settimana alla Camera. I due maggiori partiti della maggioranza sono infatti attestati su una serie di pregiudiziali contrapposte che non consentono in alcun modo di andare avanti: alla Camera il Pdl insiste per approvare rapidamente il testo sulle intercettazioni che il centrosinistra, in gran parte, ma anche il Fli, qualificano come “legge bavaglio”, e se approvata secondo i desiderata berlusconiani si risolverebbe in una drastica limitazione del diritto di cronaca.

Al Senato il Pd non è disponibile a fare concessioni all’ammorbidimento del testo dell’anticorruzione chiesto dal Pdl, che insiste anche su una formulazione della responsabilità civile dei magistrati inaccettabile per il centrosinistra. In queste condizioni, più che cercare una mediazione, la ministra Severino, per portare a casa le sue riforme, dovrebbe fare un miracolo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10252
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« Risposta #493 inserito:: Giugno 24, 2012, 09:08:14 am »

22/6/2012

La solitudine del Colle

MARCELLO SORGI

Con un’improvvisa drammatizzazione del caso che da giorni ha lambito il Quirinale, ieri è stato il Presidente Napolitano in persona a prendere la parola sulla «trattativa» tra Stato e mafia, per spiegare che non ha nulla da nascondere né da temere.

Trovandosi alla festa della Guardia di Finanza, i giornalisti che avevano circondato il Capo dello Stato si aspettavano che volesse parlare di evasione fiscale, che era un po’ il tema del giorno. Il Presidente invece ha reagito duramente a quella che ha definito «una campagna di insinuazioni e sospetti di alcuni giornali» e alle paginate di verbali di intercettazioni telefoniche tra il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Mancino è sotto inchiesta da parte della procura di Palermo con l’accusa di aver mentito sulla trattativa che nel 1993, all’ombra del Viminale, il generale dei Carabinieri Mario Mori, cioè l’uomo che pochi mesi prima aveva arrestato il capo dei capi di Cosa nostra Totò Riina, avrebbe intessuto con Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo mafioso e in affari con la grande mafia siciliana. Lo scambio tra un ammorbidimento del regime di carcere duro per i boss - che fu deciso dall’ex ministro di Giustizia Conso - e uno stop alla strategia stragista che aveva insanguinato l’Italia per due anni, da Capaci a Roma, Firenze e Milano, sarebbe stato, secondo l’inchiesta, il primo passo di un inconfessabile negoziato.

L’ex ministro dell’Interno si è sempre protestato innocente, e Napolitano entra nella vicenda perché è intervenuto, per tramite dei suoi collaboratori, a favore di un chiarimento tra le diverse procure siciliane, che hanno punti di vista differenti sull’inchiesta e sui suoi possibili imputati. Dopo un fallito approccio di D’Ambrosio con il capo della Superprocura Antimafia Piero Grasso, il 4 aprile il segretario generale della Presidenza Donato Marra ha scritto all’allora procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito. Per aver preso questa iniziativa - e per averlo fatto in piena trasparenza, tanto che ha reso noto il testo della lettera inviata ad Esposito -, Napolitano è da giorni sulla graticola. E pertanto ieri s’è deciso a reagire personalmente, ribadendo con orgoglio di essersi mosso nell’ambito delle proprie prerogative e nel pieno rispetto delle leggi.

Ma al di là del caso e dei molti conti aperti - non tutti chiari, e neppure tutti recenti, dato che la storia comincia quasi vent’anni fa c’è un aspetto del caso ancora del tutto inesplorato. E cioè che questa specie di impeachment mancato, con le reazioni o le mancate reazioni che ha provocato, è un esempio illuminante di cosa sta per diventare, o è già diventata, la politica in tempi di antipolitica. Sul campo, infatti, a muovere l’assedio al Quirinale, sono Grillo e Di Pietro, indipendentemente e per ragioni diverse. Per Grillo, uscito vincitore dalle ultime elezioni amministrative e accreditato di una crescita spropositata nei sondaggi, è la prima occasione per vendicarsi, dopo una campagna elettorale in cui, tra gli altri, aveva preso di mira anche il Colle, ricevendo in cambio dal Presidente il monito a non comportarsi da «demagogo». E quanto a Di Pietro, che con Napolitano ha sempre avuto pubblici cattivi rapporti, è una sorta di avvertimento inviato, via Colle, a Bersani e al Pd, che platealmente lo hanno appena scaricato, e si preparano, nelle prossime elezioni, a tenerlo fuori dalla coalizione, dopo quattro anni di turbolenta alleanza politica e un’amicizia che durava dai tempi di Mani pulite. Va da sé che se il centrosinistra facesse marcia indietro e riaccogliesse tra le sue file Italia dei Valori, anche Di Pietro potrebbe mutare atteggiamento. Ma se Bersani continua a fare l’offeso, il leader di Idv insisterà a tenere la mira puntata sul Quirinale.

E qui, prima di concludere, occorre guardare al comportamento degli altri partiti. Da Berlusconi, che tra l’altro è coinvolto nell’inchiesta palermitana ed è fin troppo impegnato a cercare di salvare se stesso dai suoi guai giudiziari, non c’era molto da aspettarsi. E quanto a Bersani o Casini, non è che non difendano il Presidente: ci mancherebbe. Ma lo fanno con una timidezza che tradisce il timore che le campagne dell’antipolitica abbiano ormai irrimediabilmente fatto breccia in un’opinione pubblica trattata alla stregua di una tifoseria da stadio. A questo siamo. Si vorrebbe non crederci, ma è così: poiché schierarsi con le istituzioni si sta rivelando elettoralmente e propagandisticamente poco conveniente, pur di non correre il rischio dell’impopolarità, Napolitano, in pratica, viene lasciato solo a difendersi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10255
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« Risposta #494 inserito:: Luglio 06, 2012, 10:55:16 am »

5/7/2012

Tv e partiti la malattia inguaribile

MARCELLO SORGI

Ai partiti toccategli tutto - il governo, il sottogoverno, la politica, perfino i rimborsi elettorali - ma non la Rai. Più che una novità, è una legge non scritta del nostro Parlamento. Ma che dalla mancata elezione del nuovo consiglio d’amministrazione da parte della commissione di vigilanza si potesse arrivare, nientemeno, allo scontro tra i Presidenti delle Camere e a una conseguente crisi istituzionale, no: questo ancora non s’era visto.

Ricapitolando, da tre mesi, cioè da quando è scaduto il vecchio consiglio, in forza della legge Gasparri sette dei nove membri del cda Rai devono essere nominati con la procedura del voto in Vigilanza. Gli altri due, sempre come prescrive la legge, sono stati indicati per tempo dal governo, in realtà direttamente da Monti, che ha scelto la vicedirettrice della Banca d’Italia Anna Maria Tarantola come presidente e l’alto funzionario ministeriale Marco Pinto come rappresentante del Tesoro.

Oltre al prossimo direttore generale, Luigi Gubitosi, manager di provata esperienza, formatosi in Fiat e poi alla guida della compagnia telefonica Wind. Benché la salute dell’ente televisivo di Stato sia considerata preoccupante, Tarantola, Pinto e Gubitosi aspettano di insediarsi da quasi un mese. Il ritardo nelle procedure che riguardano gli altri consiglieri è dovuto al fatto che la commissione pone in votazione candidati scelti dai partiti, e tra i partiti soprattutto il Pdl non è riuscito a trovare un accordo interno per eleggere i suoi consiglieri.

Di qui i due tentativi andati a vuoto martedì sera, quando prima un finto errore su una scheda e poi un franco tiratore hanno portato al rinvio, con tutto quel che ne è seguito. Per il centrodestra, che nel consiglio uscente aveva la maggioranza e contava sul direttore generale, era già difficile rassegnarsi a perdere le due posizioni, a causa del cambio di governo e delle scelte di Monti. Ma passare dai quattro consiglieri previsti (una minoranza tutto sommato qualificata) a tre, era del tutto inaccettabile. Nella confusione delle due votazioni andate a vuoto, infatti, era uscito a sorpresa un nome votato a dispetto da Italia dei Valori, Fli e qualche parlamentare in prestito del centrosinistra: Flavia Nardelli, la quale, conosciutissima da tutti quelli che per lavoro o per studio frequentano l’Istituto Sturzo, sarebbe stata - sia detto per inciso - un’ottima consigliera d’amministrazione della Rai.

Ma l’altolà del Pdl - in spregio a una libera manifestazione di volontà parlamentare - non s’è limitato alla richiesta di annullamento del voto. Individuato il franco tiratore nel senatore Paolo Amato, che non aveva fatto mistero di non volersi piegare alle indicazioni del suo partito, il capogruppo pidiellino Gasparri ne ha preteso la sostituzione con il più fidato Pasquale Viespoli. E l’ha subito ottenuta dal Presidente del Senato Schifani, ciò che ha sollevato le proteste del presidente della Camera Fini, che ha fatto parlare per qualche ora di un possibile commissariamento della Rai da parte del governo, ma che oggi dovrebbe portare a una nuova votazione in cui molto probabilmente tutte le caselle della lottizzazione partitica torneranno al proprio posto.

Malgrado ciò, non si fosse arrivati allo scontro tra la seconda e la terza carica dello Stato, sarebbe stato un caso grave, ma purtroppo ordinario, visto come vanno le cose. In fondo, già all’inizio della legislatura, la Vigilanza era rimasta inchiodata per quasi un anno prima di riuscire ad eleggere il proprio presidente e successivamente quello della Rai. Malauguratamente, senza nulla togliere alla buona fede di Monti e all’indiscusso prestigio dei suoi candidati, l’irredimibilità politico-partitica della Rai non è ormai solo un dato di fatto; è un aspetto talmente connaturato all’azienda, che tutti i tentativi di combatterla, di cancellarla o anche solo di riformarla, finora sono sempre falliti. Resta solo da sperare che Monti, e per suo tramite Tarantola, Pinto e Gubitosi, stavolta ci riescano: e fargli molti auguri. Soprattutto a Tarantola, che per diventare presidente ha bisogno dei due terzi della commissione di vigilanza: ben 27 voti, cinque o sei volte di più di quelli che non sono bastati a Flavia Nardelli per diventare consigliere contro il diktat dei partiti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10298
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