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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 289091 volte)
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« Risposta #510 inserito:: Agosto 16, 2012, 07:09:17 pm »

13/6/2012 - TACCUINO

Tutti a consulto da Monti l'Italia ha di nuovo la febbre alta

MARCELLO SORGI

L’Italia ha di nuovo la febbre alta. E Mario Monti ha sentito il bisogno di richiamare ancora una volta i partiti a un maggior senso di responsabilità, senza il quale il governo dei tecnici non potrebbe proseguire. La convocazione a Palazzo Chigi dei tre segretari della maggioranza è arrivata in serata, dopo una giornata in cui alla forte tensione sui mercati, con spread altissimo e banche in grave sofferenza, si sommavano le solite contese interne, con il governo di nuovo bloccato alla Camera sulla legge anticorruzione e uno scontro aperto tra Fornero e Inps sulla valutazione ufficiale dell’istituto - contestata dal ministro - del numero degli esodati determinati dalla riforma delle pensioni, che avrebbe toccato quota 390 mila. Ad appesantire il clima, fin dal mattino, erano state le parole “inappropriate”, come le ha gelidamente definite Monti, del ministro delle finanze austriaco Maria Fekter, secondo la quale, dopo la Spagna, anche l’Italia sarebbe pronta a chiedere aiuti, per far fronte a una situazione non più gestibile con i propri mezzi. Malgrado le rassicurazioni del presidente del consiglio, l’uscita della Fekter era parsa il segnale della gravità dell’attacco della speculazione nei confronti del nostro Paese, destinata a protrarsi per settimane, lungo l’estate.

Monti reagiva ufficialmente con una durezza mai vista prima, e a Palazzo Chigi si confermava che il risentimento verso l’infelice battuta della Fekter, che è stata smentita anche con una nota dell’Eurogruppo, era molto forte. Che la crisi dell’Eurozona resti molto grave lo ha confermato pure il Fondo monetario internazionale, sottolineando come il destino della moneta unica si deciderà entro i prossimi tre mesi. In questa cornice il nuovo martedì nero vissuto dal governo in Parlamento sulla legge anticorruzione ha aggiunto ulteriori difficoltà, spingendo il presidente del consiglio a convocare un vertice a tre della sua maggioranza come non si vedevano ormai da prima delle elezioni amministrative. L’impossibilità, per la ministra Severino, di trovare un compromesso sul testo dell’anticorruzione dopo mesi di trattative, porterà infatti oggi alla Camera a un triplo voto di fiducia, stigmatizzato in aula da Fini per il lungo e inutile rinvio chiesto in precedenza. Ma al Senato, come ha lasciato intendere Cicchitto, il centrodestra si aspetta una riscrittura del testo a cui per ora darà la fiducia solo per evitare la crisi, ma bloccandone l’approvazione definitiva. Di rinvio in rinvio, anche la riforma del mercato del lavoro rischia di non essere varata prima
dell’estate; e tutto il pacchetto istituzionale, con la novità del semipresidenzialismo introdotta a sorpresa dal Pdl, ha ancor di più deteriorato i rapporti tra i partiti, portandoli a uno stallo generale. Affrontare la tempesta sui mercati di cui ieri si sono fatte sentire solo le prime raffiche, in queste condizioni, è molto difficile per il governo. E Monti ha detto chiaro ad Alfano, Bersani e Casini che così non si può andare avanti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10224
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« Risposta #511 inserito:: Agosto 29, 2012, 04:52:14 pm »

29/8/2012 - TACCUINO

In campagna elettorale senza la data delle elezioni

MARCELLO SORGI

Alla fine di un’estate in cui quasi non è andata in vacanza, la politica italiana alla ripresa si presenta con un nuovo paradosso: la campagna elettorale è cominciata prima ancora di sapere se e quando saranno le elezioni. A luglio, dai colloqui tra i leader dei partiti e il presidente Napolitano, a cui spetta costituzionalmente la decisione finale sullo scioglimento (anticipato o no) delle Camere, era trapelata la sensazione che ci sarebbe stato uno sforzo comune, almeno dei partiti della maggioranza, per arrivare all’accordo sulla legge elettorale. Solo dopo l’approvazione della quale, ipotizzare un anticipo delle urne sarebbe stato possibile. Calendario alla mano, il termine oltre il quale lo scioglimento sarebbe diventato impraticabile era il 20 settembre, per votare l’11 e 12 novembre. Poi, non essendo realistico, anche in caso d’intesa, arrivare al varo del nuovo sistema elettorale entro quella data, s’è parlato di un ulteriore slittamento al 10 ottobre, che avrebbe comportato una chiamata alle urne entro l’inizio di dicembre. Ora che l’intesa si allontana (a parole ogni giorno è buono, anche oggi, ma poi si va sempre al rinvio), a meno di non voler ipotizzare elezioni a Natale - per altro, nelle previsioni, il più triste e austero di questo inizio di secolo - anche lo scioglimento delle Camere sta sfumando.

Ma non la campagna elettorale, che infuria, a destra come a sinistra, come se l’appuntamento con gli elettori fosse alle porte. Chi dice che è a causa del voto siciliano del 28 ottobre, anche se per la verità di tutto si sente parlare, tranne che di Sicilia. Chi sostiene che è colpa di Berlusconi, indeciso fino all’ultimo sul momento buono per tornare in campo. Chi accusa i sondaggisti, sempre pronti a consigliare di alzare la voce per muovere le cifre delle tabelle delle previsioni. Fatto sta che la situazione è bloccata, ma tutti si comportano «come se».

Anche Monti, che, prima di riprendere la serie di impegni europei mirati a mettere in pratica le decisioni del vertice di giugno, a partire dal fondo salva-spread, ha messo molta carne al fuoco dell’agenda del suo governo. Si direbbe che il presidente del Consiglio scommetta sul fatto che i partiti alla fine sceglieranno la scadenza naturale della legislatura, o rotoleranno lo stesso verso la primavera grazie alla loro incapacità. E di conseguenza, provi a riempire il vuoto dei prossimi mesi con una serie di nuovi provvedimenti (economici e non solo, si veda il ritorno del pacchetto giustizia già accantonato prima dell’estate). Che in queste condizioni, però, non avranno vita facile in Parlamento.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10471
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« Risposta #512 inserito:: Settembre 01, 2012, 11:18:17 am »

30/8/2012 - TACCUINO

Un Berlusconi indeciso rischia di far saltare l'accordo sul voto

MARCELLO SORGI

Annunciato da giorni e giorni, il nulla di fatto sulla legge elettorale è stato confermato ieri in Senato. Lo stallo non fa registrare né passi avanti né passi indietro, non serve che ci sia accordo sui due terzi del testo, se poi il terzo che manca contiene le innovazioni più pesanti, la quantità del premio di maggioranza, la scelta delle preferenze, la percentuale dei collegi rispetto alle liste bloccate.

La smentita a più voci diramata da Berlusconi sulle voci che martedì sera lo davano pronto all’accordo (o alla rottura, secondo altre indiscrezioni) per andare subito alle elezioni, come spesso accade contiene insieme una verità e una bugia. La verità è che, diversamente da quel che dicono alcuni dei suoi, che sparino che all’ultimo momento rinunci a ricandidarsi, togliendo l’ingombro della pregiudiziale sul suo nome e aprendo la strada ad alleanze di centrodestra più facili, Berlusconi ha sempre detto che preferirebbe una corsa breve a una corsa lunga. Da quando, dopo il disastro delle amministrative di maggio, un sondaggio della fida Ghisleri le rivelò che il suo nome ha ancora molte potenzialità di recupero, il Cavaliere ai suoi ha sempre detto che più tempo passa e più il Pdl, e con lui il centrodestra, andranno in disfacimento. Tanto vale accorciare i tempi: o la va o la spacca.

Ma è sul nuovo sistema elettorale che i suoi interlocutori non riescono a cavargli una parola chiara. Berlusconi si sveglia al mattino dicendo che alla fine, se restano il Porcellum e le coalizioni obbligate per ottenere il premio di maggioranza, l’unico che può rimettere insieme il centrodestra è lui. Ma al pomeriggio comincia a rimuginare sul peso di una sconfitta annunciata, con il Porcellum, da tutti i sondaggi e sulla possibilità di attenuarla con un sistema proporzionale grazie al quale nessuno vincerebbe e nessuno perderebbe davvero. Ma prima di dar via libera a uno dei compromessi che Quagliariello e Violante o Verdini e Migliavacca hanno messo a punto, Berlusconi chiede sempre: c’è proprio bisogno di fare un accordo? Non sarebbe meglio una prova di forza al Senato, dove Pdl e Lega hanno ancora la maggioranza e l’Udc, grazie alle preferenze, potrebbe convergere in tutto o in parte nelle votazioni, e poi trattare sulla base di un testo approvato in metà del Parlamento? Berlusconi non dà ascolto a chi gli fa osservare che di fronte a una nuova forzatura, come quella, inutile, sul semipresidenzialismo, il Pd chiuderebbe qualsiasi canale di comunicazione. E di questo passo, settimana dopo settimana, all’accordo sulla legge elettorale forse non si arriverà mai.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10475
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« Risposta #513 inserito:: Settembre 01, 2012, 11:27:30 am »

31/8/2012 - TACCUINO

Sicilia, una serie di colpi di scena ora il Pdl rischia di arrivare terzo

MARCELLO SORGI

Considerata da molti la prova generale di quel che accadrà di qui a poco alle elezioni politiche, l’intricatissima vicenda siciliana riserva ogni giorno un colpo di scena.

A destra si è partiti dalla candidatura, sostenuta da Berlusconi che però ha subito ritirato il sostegno per la rivolta dei pdl siciliani, del leader di Grande Sud Gianfranco Miccichè. Il quale puntava a ricostituire l’unità del centrodestra con la quale realizzò il famoso 61 a zero nelle politiche del 2001, ma una volta perso l’appoggio del suo ex partito ha fatto un passo indietro. E ha candidato al suo posto Nello Musumeci, della Destra di Storace, che ha ritrovato subito a suo favore il Pdl. Miccichè allora, pur di non ritrovarsi a fianco di quelli che, a dispetto perfino di Berlusconi, avevano tradito la sua candidatura, ha rifatto un passo avanti e s’è ricandidato. Stavolta con l’appoggio di Lombardo e di Fini, che in nome della vicinanza terzopolista punta a convincere anche Casini, attualmente schierato con Crocetta, candidato di Pd e Udc. Ricapitolando, a destra ci sono due candidati: uno, Musumeci, berlusconiano ma non del partito di Berlusconi; e l’altro, Miccichè, sostenuto da tutti i nemici di Berlusconi.

A sinistra invece al momento i candidati sono due (oltre a Crocetta, Fava, sostenuto da Vendola), ma presto diventeranno quattro, dato che Grillo e Orlando ne metteranno in lista altri due, contrapposti tra loro. Ricapitolando di nuovo: Crocetta, che era il favorito, e che da omosessuale dichiarato aveva stupito tutti con la sua promessa di astinenza sessuale in caso di vittoria, se dovrà dividere l’elettorato di centrosinistra con altri tre concorrenti, vedrà drasticamente calare le sue chanches di elezione alla presidenza della Regione. In questo caso le possibilità di un ulteriore rimescolamento (c’è tempo, il termine per le liste scade il 28 settembre) aumentano. E crescono le probabilità di un ripensamento, per esempio, di Casini, che nell’isola ha un consistente pacchetto di voti e s’era schierato subito per Crocetta forse un po’ prematuramente. Il suo obiettivo infatti è di sconfiggere Berlusconi in sede locale, per poi ribatterlo sul piano nazionale: ma nel quadro attuale sarebbe più a portata di mano appoggiando Crocetta o Miccichè? Questo il dilemma, non il solo. Anche Berlusconi aveva detto ai suoi: mi candido di nuovo a premier solo se vinciamo in Sicilia. Il Pdl invece, complice la rivolta dei dirigenti locali (se non incoraggiata, certo non ostacolata dal siciliano Alfano), adesso rischia di arrivare terzo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10478
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« Risposta #514 inserito:: Settembre 04, 2012, 05:03:23 pm »

4/9/2012 - TACCUINO

Tutti ad aspettare che il Cavaliere batta un colpo

MARCELLO SORGI

Il vertice del Pdl convocato per domani da Berlusconi servirà certamente ad affrontare le molte questioni aperte della ripresa, dal pacchetto anticorruzione alla legge elettorale, al confronto riaperto dal governo con le parti sociali per stimolare la crescita nei prossimi mesi.

Ma all’interno del partito, non è un mistero, la domanda che tutti si fanno è ancora una volta sulle vere intenzioni di Berlusconi. Da mesi ormai il Cavaliere tiene tutti appesi all’ipotesi della sua ricandidatura: ma in mancanza di una conferma cresce la fibrillazione interna del centrodestra. Inoltre, nel Pdl, una volta l’ultima parola spettava sempre a Berlusconi. Ora invece appena prende una decisione si alza subito un pezzo del partito a contestarla, e spesso a costringerlo a far marcia indietro. L’ultimo caso riguarda il sindaco di Roma Alemanno: che ci sia stata o no (e naturalmente è stato smentito) una telefonata tra l’ex premier e il primo cittadino della Capitale, per convincerlo a rinunciare a una ricandidatura al Campidoglio dall’esito molto incerto, non è poi molto importante. Sondaggi alla mano, il bis di Alemanno, dopo una gestione insoddisfacente e costellata di scivolate, dalle assunzioni clientelari all’emergenza neve, non sta in piedi. E che Berlusconi si preoccupi di perdere il sindaco della Capitale, non è un mistero. Ma la reazione di Alemanno (una foto sul web seduto sulla poltrona di spalle, esageratamente copiata da quella con cui Obama ha replicato a Clint Eastwood dopo la convention repubblicana), fino a qualche mese fa, quando ancora Berlusconi era in sella, di sicuro sarebbe stata più prudente.

Più o meno alla stessa maniera è andata in Sicilia: Berlusconi aveva dato via libera a Miccichè come candidato del centrodestra, e i dirigenti siciliani del Pdl lo hanno affossato, incuranti della parola del Cavaliere. Lo stop and go ripetuto non giova certo al carisma del leader. E se Berlusconi non riesce in tempi brevi a riprendere il controllo della situazione, le divisioni nel Pdl sono destinate ad accentuarsi, insieme a spinte centrifughe che potrebbero vedere pezzi interi del partito spostarsi verso altre sponde, in vista delle elezioni. La spaccatura tra ex-Forza Italia ed ex-An negli ultimi tempi si è approfondita e La Russa ammette che nel caso in cui arrivi una nuova legge elettorale proporzionale la destra potrebbe essere tentata di presentarsi da sola. Ma anche all’interno dei berlusconiani la corrente moderata degli ex ministri e quella radicale incarnata dalla Santanchè sono sempre più lontane. Ognuno per conto proprio e tutti insieme si aspettano che domani Silvio batta un colpo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10489
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« Risposta #515 inserito:: Settembre 05, 2012, 03:38:22 pm »

5/9/2012 - TACCUINO

Il tormentone delle elezioni e le convulsioni dei partiti

MARCELLO SORGI

Le elezioni anticipate, si sa, sono un trauma, anche se a volte necessario. Ma peggio ancora è il parlarne per mesi come se fossero l’unico sbocco possibile e poi rinunciarci perchè, come tutto in politica, vanno costruite ed è necessario un accordo per ottenerle.

Adesso che dopo mesi di dibattito è scontato che al voto si andrà nella prossima primavera, al massimo con un piccolo anticipo dello scioglimento delle Camere, per evitare, in tempi in cui la crisi non consente vuoti di potere, l’ingorgo istituzionale tra le elezioni politiche e la fine del settennato del Presidente della Repubblica, le prime conseguenze stanno venendo allo scoperto proprio in questi primi giorni dell’incerta ripresa autunnale.

La trattativa sulla legge elettorale è bloccata. Sembrava a un passo dal risultato quando si parlava ancora di scioglimento anticipato delle Camere entro settembre, ma adesso è tornata in alto mare. Il centrodestra, con Quagliariello, uno degli sherpa che aveva condotto la prima fase del negoziato, accusa il centrosinistra di aver cambiato idea perchè stretto tra l’anima ulivista del Pd (Prodi) che preme per salvare il maggioritario, e le pressioni del possibile futuro alleato di governo Casini a favore di un sistema proporzionale, in cui l’alleanza di governo e il leader chiamato a guidarla si decidano dopo, e non prima, del voto. Il centrosinistra replica sostenendo che sono le indecisioni di Berlusconi sull’eventualità di tornare in pista per Palazzo Chigi a rendere impossibile l’intesa.

Per la stessa ragione intanto nel Pd sono entrate in discussione anche le primarie. A chiederle, paradossalmente, sono ormai solo Bersani e Renzi. Il segretario le vuole per ricavarne la definitiva investitura a candidato premier. Il sindaco di Firenze per ridisegnare la mappa del potere interno, e soprattutto dell’ala centrale del partito. Da cui invece, al contrario, si levano le voci più dure contro le primarie: Bindi, Marini, Fioroni, Franceschini si appellano allo statuto, che prevede che il segretario sia automaticamente schierato nella corsa elettorale, anche perchè sarebbero i più direttamente danneggiati da un eventuale successo di Renzi. Il quale, se davvero riuscisse a coagulare un quarto degli elettori delle primarie sul suo nome, il giorno dopo potrebbe sedersi al tavolo delle candidature rivendicando un’uguale percentuale di candidati per la Camera e il Senato. E preparandosi, nella nuova legislatura, a esercitare il ruolo di ago della bilancia della nuova maggioranza, che i sondaggi continuano a dare per scontata.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10493
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« Risposta #516 inserito:: Settembre 06, 2012, 04:22:21 pm »

6/9/2012 - TACCUINO

Discesa in campo, all'ex premier conviene prendere tempo

MARCELLO SORGI

Ma l’autunno giudiziario di Berlusconi influirà e come sulla sua decisione di tornare in campo? Cominciato ieri con il lungo interrogatorio da testimone, senza assistenza di avvocati, davanti al procuratore capo di Palermo Messineo e all’aggiunto Ingroia, che stanno nuovamente indagando su Dell’Utri accusandolo di aver estorto al suo capo 40 milioni di euro, il calvario dell’ex premier si annuncia assai pesante. Entro novembre è prevista la sentenza del processo di Milano sul caso Ruby e in caso di condanna per concussione e prostituzione minorile il Cavaliere si troverebbe in una situazione oltremodo pesante.

Berlusconi ai suoi continua a spiegare che per prendere una decisione ha bisogno di sapere con che tipo di legge si andrà a votare, e non a caso ieri sera dal vertice del Pdl è uscito un nuovo invito a trovare l’intesa per cancellare il Porcellum. Ma la sensazione è che ci sia ancora molta tattica, e che il centrodestra segua molto da vicino le difficoltà emerse nel Pd per l’offensiva di Renzi. Bersani, pur sotto assedio anche da parte del suo gruppo dirigente, messo sotto accusa dal leader della «rottamazione», ha confermato le primarie, che invece molti al vertice del Pd preferirebbero evitare. Il centrodestra scommette sulla vittoria del sindaco di Firenze, al momento tutta da vedere, perché, come ha detto Casini, porterebbe all’implosione del fronte avversario, con la conseguenza, possibile, di una scissione all’interno dei Democrat.
Ma renderebbe molto difficile per il centrodestra correre con un leader ultrasettantenne contro un avversario di 37 anni.

Chi è vicino a Berlusconi sostiene che la pressione dei magistrati lo spinge verso il ritorno in campo. Si tratterebbe di un ritorno di fiamma della campagna che a fasi alterne ha già condotto contro i giudici, senza ricavarne gradi frutti elettorali. Lo scontro più duro avvenne nel 2011, durante la corsa per il Comune di Milano, quando Berlusconi entrava e usciva dal Palazzo di giustizia tra due ali di manifestanti pro e contro. Anche la Moratti, che correva per la riconferma a sindaco, provò a usare argomenti giudiziari contro il suo avversario Pisapia, ma uscì sconfitta. Non a caso un’intera ala del Pdl gli ex-ministri riuniti nella corrente moderata - raccomandano prudenza a Berlusconi. La rinuncia alle elezioni anticipate apre fino a febbraio un periodo in cui il quadro politico potrebbe subire cambiamenti. La concorrenza all’interno del centrodestra potrebbe crescere con l’entrata in scena dei movimenti di Montezemolo e di Giannino. All’orizzonte non c’è molto tempo. Ma ci sono per tutti molte ragioni per aspettare a vedere.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10496
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« Risposta #517 inserito:: Settembre 08, 2012, 09:59:05 pm »

7/9/2012 - TACCUINO

Dal Pdl pressioni sul Cavaliere per andare al voto anticipato

MARCELLO SORGI

Nel Pdl cresce la pressione per convincere Berlusconi a tentare nuovamente la strada delle elezioni anticipate. A premere sono soprattutto gli ex- An, convinti che votare con il Porcellum rappresenti il danno minore e che l’attesa fino a primavera darebbe libero sfogo alle spinte centrifughe nel centrodestra, e fiato ai concorrenti che si preparano, come Montezemolo e Oscar Giannino. I calcoli che gli ex-finiani fanno tra di loro sono molto semplici: stando ai sondaggi, il Pdl con l’attuale legge può arrivare si e no a centoventi deputati, trentatrentacinque dei quali andrebbero alla componente di destra. A questo punto la scelta è se restare insieme o separarsi: ma sul punto non c’è accordo. Il coordinatore La Russa e il vicecapogruppo Corsaro sono per la separazione, convinti che la struttura sopravvissuta dell’ex-partito finiano possa aggiudicarsi sul territorio un risultato migliore di quel che otterrebbe per concessione dal Cavaliere. Mentre Gasparri e Matteoli, convinti che il calo del centrodestra nei sondaggi sia il prezzo pagato - e non più pagabile ancora per molto - del sostegno del Pdl al governo Monti, preferirebbero convincere Berlusconi a staccare la spina e a gettarsi in campagna elettorale per cercare di recuperare.

A tutti quanti Berlusconi ha fatto capire di essere pronto a tornare in campo, ma di voler scegliere il momento più opportuno per l’annuncio. Subito, ovviamente, a partire dalla prossima festa giovanile del partito, se la prospettiva dello scioglimento anticipato delle Camere dovesse riaprirsi. Se invece i tempi si allungano, il Cavaliere vuole aspettare che il quadro sia chiaro.

All’interno del Pdl, le probabilità che si possa davvero arrivare a varare la nuova legge elettorale sono considerate esigue. La tattica scelta è quella di provare un blitz al Senato, dove il centrodestra con la Lega ha ancora la maggioranza, per cercare di ricostruire l’asse con il Carroccio e solleticare Casini con un’apertura alle preferenze. Non perchè Berlusconi si faccia illusioni sull’ex-alleato Pierferdi, che in privato giudica ormai stabilmente collegato a Bersani, ma perchè ritiene che all’interno della pattuglia dei senatori centristi sia forte la tentazione di schierarsi con una riforma di impianto proporzionale.

Il riavvicinamento tra il Cavaliere e Maroni è un altro dei motivi di inquietudine per gli ex-An, che non si fidano e vorrebbero chiudere i giochi al più presto, anche a costo di togliere l’appoggio a Monti. Una prospettiva che divide anche i berlusconiani, con Brunetta e Santanchè favorevoli alla rottura e gli ex ministri dell’ala moderata contrari.

DA - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10501
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« Risposta #518 inserito:: Settembre 10, 2012, 08:37:36 pm »

9/9/2012

Casini, così nasce il partito del "bis"

Le mosse di Casini e l'appoggio della Marcegaglia

MARCELLO SORGI

Con la prontezza che tutti gli riconoscono, Pierferdinando Casini ha fatto la sua mossa.
Quello che, prima di tutti gli altri, ha presentato a Chianciano, luogo di antiche nostalgie democristiane, è il partito del Monti-bis. Come altrimenti può essere definito un partito che, nel simbolo, rinuncia al nome del suo leader per aprirsi a nuove componenti, e al momento della sua fondazione vede arrivare metà dei ministri dell’attuale governo?

Un conto è dire le cose, un’altra metterle in pratica. Dopo aver ripetuto per mesi che per l’Italia, anche dopo le prossime elezioni, non c’è altra prospettiva che lasciare la guida del Paese a SuperMario, l’unico in grado di portarci fuori dalla crisi, il leader centrista s’è alzato dalla sua poltrona e ha fatto seguire alle parole i fatti. E al di là delle effettive intenzioni di ciascuno di candidarsi con lui alle prossime elezioni, la fila degli «esterni», ministri e non, che si sono presentati, aderendo al suo invito, sta a significare che «la cosa» esiste.

Infatti l’ex-presidente di Confindustria Marcegaglia, il segretario della Cisl Bonanni, il presidente delle Acli (schierate fino a poco fa a sinistra) Olivero, il portavoce del Forum di Todi Forlani, il ministro Riccardi (presente anche come capo della Comunità Sant’Egidio, un altro pezzo importante di mondo cattolico), i suoi colleghi Passera, Ornaghi, Catania e Patroni Griffi, oltre all’ex ministro dell’Interno Pisanu e al presidente della Camera (e fondatore di Futuro e libertà) Fini, non si sarebbero mossi tutti insieme se non avessero voluto far capire che il loro posto, la loro collocazione politica, non può essere, né con il centrodestra, né con il centrosinistra. Ma appunto al centro.

Ora, che in questa fase non ci sia una corsa a mettersi con Berlusconi, è scontato. L’annuncio del ritorno in campo del Cavaliere come candidato premier ha semmai convinto i più incerti dei suoi alleati a prendere il largo. E in Sicilia, in vista delle prossime regionali, s’è addirittura formata dentro il centrodestra una coalizione di antiberlusconiani.

Ma che proprio nel momento in cui il Pd è considerato nei sondaggi il più accreditato vincitore delle prossime elezioni, e mentre Bersani ragiona sulla composizione del suo probabile prossimo governo, i membri di quello attuale si spostino da un’altra parte, rappresenta un fatto politico importante. E lo è altrettanto che una parte consistente del mondo cattolico, da cui è venuta negli ultimi mesi la rivendicazione di una nuova classe dirigente, invece di rafforzare la componente cattolica del centrosinistra, scelga il centro. Va ancora aggiunto che la Marcegaglia, come ex-presidente degli industriali, porta a questo composito schieramento l’appoggio di un mondo produttivo, magari non tutto, finora tiepido nel complesso verso la politica.

Potrà ben dire, Casini, di aver portato a casa un risultato superiore alle sue aspettative. Il sostegno senza riserve da lui dato all’esecutivo tecnico e il lavoro sottotraccia compiuto nell’ultimo anno hanno convinto un arco di forze più largo delle sue stesse ambizioni. Occorrerà vedere, però, se la mutazione genetica centrista troverà nella società civile e sul piano elettorale un appeal uguale a quello che ha dimostrato dal punto di vista mediatico. La novità ha molti aspetti positivi, ma vanno messe in conto alcune evidenti criticità.

La prima è che fare il partito del Monti-bis senza Monti è un problema. Va da sé che il presidente del Consiglio tecnico non può schierarsi politicamente in alcun modo: per questo SuperMario, a chi glielo chiede, continua a ripetere che il suo tempo sta esaurendosi e comincia ad assaporare l’idea di andare in vacanza. Che invece al contrario debba restare al suo posto non è escluso; ed è auspicabile, per come stanno andando le cose. Ma le condizioni politiche della sua permanenza, dovranno essere i partiti a crearle. Finora Casini è il solo che si sia mosso in questa direzione.

Quanto ai ministri tecnici presenti a Chianciano, che tutti già immaginano come capilista del partito nascituro, va ricordato, come ha spiegato Passera, che nessuno di loro potrebbe scendere in campo mentre è al governo. Se lo volesse, dovrebbe dimettersi per tempo. E le dimissioni di un gruppetto di ministri per motivi elettorali non sarebbero certo un toccasana per il governo tecnico. Nel fuoco di una campagna elettorale già cominciata, verrebbero tirati in mezzo. E ci sarebbe anche chi potrebbe accusarli di aver fatto una scelta di convenienza.

Le possibilità di successo di un partito centrista, cattolico-liberale, disposto a collaborare con sinistra e destra, ma senza rinunciare alle proprie convinzioni e al proprio programma, sono inoltre legate all’avvento di una legge elettorale proporzionale, di cui si parla da mesi ma che al momento non esiste. Una legge che chiuda, come Casini ha fatto in anticipo, la stagione dei partiti personali, dei candidati-premier con il nome sulla scheda e sul simbolo, e dei governi scelti dagli elettori, cancellando per sempre le coalizioni rissose degli ultimi anni e riportando in Parlamento, alla trattativa tra i partiti, dopo e non prima del voto, la scelta di chi deve governare. Se questa legge si farà - Casini, paradossalmente, ha più possibilità di realizzarla con il suo atavico avversario Berlusconi, che non con il suo potenziale alleato Bersani - il nuovo centro potrà decollare. Altrimenti sarà più difficile che ci riesca.

Alla fine il problema del nuovo partito, fondato alla vigilia di un appuntamento delicato come quello del 2013, resta quello di quanti voti riuscirà a conquistare. Di questi tempi, l’idea di costruire un’altra Dc, a cui il progetto è chiaramente ispirato, forse è fin troppo ambiziosa. Ma se il centro non cresce e resta ai livelli degli ultimi anni, la premiata capacità politica di Casini potrebbe non bastare. E anche le buone idee di Chianciano restare nel libro dei sogni.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10506
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« Risposta #519 inserito:: Settembre 11, 2012, 10:13:31 pm »

11/9/2012 - TACCUINO

È la Marcegaglia a dividere Montezemolo e Casini

MARCELLO SORGI

Celebrato sulla rete a colpi di blog, lo scontro al centro tra Montezemolo e Casini non è una vera lite. Gli antichi legami e la condivisione di un percorso che ha visto l’ex-presidente di Confindustria e il leader dell’Udc allontanarsi parallelamente da Berlusconi non si interromperanno per una polemica, tra l’altro mitigata dai toni morbidi della risposta casiniana, molto diversi da quelli dell’attacco della montezemoliana “Italia futura”.

Ma al di là delle accuse sulla debolezza del programma uscito dalla tre giorni di Chianciano e sull’insufficienza della parola d’ordine del Monti-bis, la vera questione che divide Montezemolo da Casini è l’arruolamento di Emma Marcegaglia, la presidente, fino al maggio scorso, degli industriali italiani, giunta al vertice di Confindustria nel 2008 con l’avallo del suo predecessore, anche se i rapporti pubblici tra i due si erano successivamente deteriorati. Va detto che la presidenza della Marcegaglia - a differenza di quella di Montezemolo segnata da successo e da provvedimenti governativi che andavano in direzione delle aspettative degli imprenditori -, ha attraversato uno dei periodi più difficili dell’organizzazione, con difficoltà progressive di interlocuzione con la politica industriale di Palazzo Chigi, crescita di peso, al vertice dell’organizzazione, delle grandi imprese pubbliche, e l’uscita finale della Fiat, pochi mesi prima della conclusione del mandato della presidente.

L’idea che adesso la Marcegaglia annunci a sorpresa il suo ingresso in politica (seppure non ancora la sua candidatura in Parlamento), a fianco dell’Udc, non dev’essere risultata gradita a Montezemolo, che da anni ormai ha messo in piedi un raffinato gioco di attese, conferme e smentite sulla sua discesa in campo, con il risultato di tenere sempre viva l’attenzione su “Italia Futura” e riservarsi all’ultimo, per coglierne sapientemente il maggior vantaggio possibile, la trattativa su candidature ed eventuali alleanze.

Al punto che molti tra osservatori e concorrenti mettevano in conto che alla fine Casini e Montezemolo avrebbero trovato il modo di collegarsi e presentarsi insieme. Il sostegno a Monti e la piena condivisione del suo programma di risanamento anche per la prossima legislatura dell’Udc potevano integrarsi con le tesi sostenute sulla rete dal think-tank montezemoliano. Sembravano insomma andar bene uno per l’altro. Prima che a dividerli, anche se non è detto definitivamente, arrivasse la Marcegaglia e la disputa tra i due ex-presidenti di viale dell’Astronomia.

DA - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10514
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« Risposta #520 inserito:: Settembre 12, 2012, 04:05:55 pm »

12/9/2012 - TACCUINO

Un doppio intoppo incrina l'asse centro-sinistra

MARCELLO SORGI

E’ inutile nasconderlo: l’asse tra Casini e Bersani, che fino al giorno prima sembrava solido, ha subito un colpo dopo le conclusioni di domenica del convegno dei centristi a Chianciano. Il doppio annuncio dell’Udc, a favore di un Monti-bis dopo il voto e di una legge elettorale riformata a colpi di votazioni parlamentari, anche in mancanza di un accordo preventivo, ha molto raffreddato i rapporti tra i due partiti. Oltre al «no» di Bersani, la prospettiva di far proseguire Monti dopo le elezioni del 2013 almeno fino a quando la crisi non potrà dirsi veramente superata, ha trovato la netta opposizione del Pdl. I due maggiori partiti si preparano a una campagna elettorale bipolare e di dura contrapposizione, per mobilitare fino in fondo i rispettivi elettorati, in cui si annidano forti strati di opposizione al governo dei tecnici e alla formula della larga coalizione. Di qui la loro parallela contrarietà alla proposta Casini, che tuttavia non si potrà escludere in caso di un risultato elettorale che non assegni una vittoria chiara ad uno degli schieramenti.

Ma è sulla legge elettorale che le conclusioni di Chianciano potrebbero riservare le maggiori sorprese. Berlusconi al suo rientro dal Kenya avrebbe intenzione di cercare di rimettere insieme la vecchia maggioranza di centrodestra sull’ipotesi di una riforma proporzionale, con le preferenze, che potrebbe risultare interessante anche per l’Udc. Bersani lo ha capito e già ieri ha messo le mani avanti, non per chiudere alla trattativa, ma per invocare una legge che «garantisca la governabilità». Il modello del Pd prevede un forte premio di maggioranza alla coalizione o al partito vincente (cosa che né Pdl, nè Lega e Udc vorrebbero concedere) e un meccanismo che consenta di conoscere le alleanze e i candidati alla guida del governo prima e non dopo il voto. E’ chiaro che se Berlusconi, Maroni e Casini vanno insieme in direzione di un sistema tedesco, più proporzionale e meno maggioritario, trovare un accordo per riformare il Porcellum sarebbe molto difficile. Per Bersani crescerebbe il rischio di isolamento e di rottura con il quasi alleato Casini. Il quale, a sua volta, difficilmente potrebbe schierarsi a fianco del Pdl che sta per rimettere in corsa Berlusconi. Così sarà da vedere, al di là degli spostamenti tattici degli ultimi giorni, fino a che punto ognuno dei giocatori in campo è disposto a forzare: una riforma elettorale approvata a dispetto di uno dei tre partiti dell’attuale larga maggioranza terremotorerebbe infatti il fragile equilibrio su cui si regge il governo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10518
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« Risposta #521 inserito:: Settembre 13, 2012, 03:37:06 pm »

13/9/2012 - TACCUINO

Le lusinghe dei centristi e i paletti del Professore

MARCELLO SORGI

Mario Monti ha accolto molto bene la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha dato il via libera, seppure condizionato, all’Esm, il fondo salvaSpread nato nel vertice europeo di giugno proprio su proposta italiana, e subito dopo bloccato dal ricorso ai giudici della Corte, che adesso finalmente potrà diventare operativo già a partire dal prossimo ottobre. Ma alla soddisfazione per la buona notizia il presidente del Consiglio, in un’intervista al «Washington Post», accompagna la cautela per il quadro congiunturale della crisi che non accenna a migliorare e la preoccupazione per le prospettive italiane. Il timore di Monti è che gli sforzi fatti fin qui possano essere vanificati nel 2013 se il prossimo governo deciderà di allentare la linea economica di rigore sostenuta fin qui, magari per accontentare promesse elettorali fatte in vista delle elezioni.

Monti spiega che per completare il piano di riforme necessarie per ridare competitività all’Italia, e metterla in condizione di uscire dalle difficoltà in cui ancora si trova, occorreranno almeno cinque anni. E conferma che considererà concluso il suo impegno alla guida del governo alla scadenza del voto. Se ne ricava che non ha alcuna intenzione di lasciarsi tentare dalle lusinghe degli ultimi giorni: dopo la conclusione del convegno di Chianciano dell’Udc, favorevole a un Monti-bis anche per la prossima legislatura, anche all’interno del Pdl circolano voci secondo cui Berlusconi, se alla fine deciderà di non candidarsi a Palazzo Chigi, potrebbe proporre anche lui una prosecuzione dell’attuale governo. Una prospettiva alla quale il Pd resta contrario, malgrado le polemiche nate con Vendola a causa del referendum promosso dalla sinistra radicale contro la riforma dell’articolo 18, e gli ostacoli a cui va incontro, sia la trattativa sulla legge elettorale, sia l’ipotesi, che sembrava realistica fino a una settimana fa, dell’accordo con Casini per un governo di moderati e progressisti.

Prudentemente, di fronte alla confusione crescente degli ultimi giorni, Monti continua ad osservare tutto ciò con distacco. In questo senso l’intervista al «Washington Post», in cui esclude di avere un futuro politico, introduce un ulteriore paletto, facendo intendere che l’unica prospettiva che il premier potrebbe prendere in considerazione, ove fosse necessario, sarebbe quella della prosecuzione del governo tecnico: per completare il programma di risanamento che la scadenza elettorale rischia di interrompere e di lasciare incompiuto.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10523
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« Risposta #522 inserito:: Settembre 26, 2012, 02:24:49 pm »

26/9/2012 - TACCUINO

La sensazione di una nuova frana che alimenta l'antipolitica

MARCELLO SORGI

Nel giorno in cui l’Onu approva una risoluzione a favore della lotta alla corruzione, Napolitano interviene contro «malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili e vergognose»: il riferimento allo scandalo della regione Lazio che ha portato lunedì sera la Polverini alle dimissioni è evidente, e il Capo dello Stato spera di scuotere i partiti dallo stallo che ha finora impedito di affrontare seriamente il problema dei finanziamenti pubblici a partiti e gruppi consiliari.

Ma al di là di promesse e impegni generici (da Berlusconi a Bersani, ieri in tanti sono intervenuti per cercare di parare le conseguenze di quel che è accaduto), ancora niente di concreto si muove. In realtà cresce il timore che dalle inchieste aperte in varie regioni possano uscire storie simili a quelle del Lazio, e non a caso il leader del Pd ha proposto ieri di imporre per legge trasparenza e certificazione dei bilanci regionali. Dalla Lombardia all’Emilia, a Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, emergono situazioni a rischio. Mentre Berlusconi e Alfano prendevano tempo, convocando i coordinatori locali del Pdl, ieri Daniela Santanchè ha chiesto apertamente le dimissioni di Formigoni. L’inchiesta di Napoli intanto rivela versamenti di centinaia di migliaia di euro ai gruppi consiliari. E da Palermo arriva la notizia che il governatore Lombardo ha potuto disporre di oltre trecentomila euro di dotazione personale senza obbligo di rendiconto.

La sensazione di una frana alle porte è ormai diffusa. E la possibilità che nel giro di poche settimane una sorta di «Regionopoli» possa abbattersi a livello nazionale, a pochi mesi dalle elezioni politiche, tiene i partiti in uno stato d’ansia e in attesa di conseguenze imprevedibili. Ieri a Washington il ministro degli esteri Terzi ha sottolineato i rischi d’immagine di un paese come l’Italia, nel momento in cui la lotta alla corruzione diventa un impegno condiviso a livello globale.

Ma non sarà facile raggiungere un accordo in Parlamento su una materia così delicata. Napolitano ha ammonito i partiti: non lamentatevi dell’antipolitica, se non siete in grado di ridare credibilità alla politica. Eppure, gli sforzi fatti finora dal ministro di giustizia Severino non hanno raggiunto risultati. Toccherà a Monti, al ritorno dagli Usa, valutare se premere ancora in questa direzione e se promuovere un’iniziativa del governo sui meccanismi di spesa delle Regioni. Lo aveva fatto per la Sicilia, portando Lombardo alle dimissioni. Adesso deve decidere se c’è spazio per un generale taglio dei costi anticorruzione.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10571
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« Risposta #523 inserito:: Settembre 27, 2012, 02:33:03 pm »

Editoriali

27/09/2012 - taccuino

I tagli decisi non bastano a fermare l’antipolitica

Marcello Sorgi

L’ipotesi delle dimissioni di Renata Polverini era stata testata in anticipo dai maggiori istituti di sondaggi italiani, con risultati che oscillavano tra il settanta e l’ottanta per cento a favore della decisione della presidente di lasciare. Le indagini di opinione si svolgevano, in pratica, mentre il consiglio regionale del Lazio tentava maldestramente la via del salvataggio, alla quale la stessa Polverini si era adattata, almeno in un primo momento. Cosa abbia determinato l’accelerazione che ha fatto precipitare tutto lunedì sera, è chiaro. I partiti, dati alla mano, avevano dovuto prendere atto dell’impossibilità di proseguire: così è partita la corsa alle dimissioni.

Allo stesso modo sono nati i tagli che la Conferenza delle Regioni ha deciso ieri e che sono stati presentati in serata al Presidente Napolitano. Secondo il verdetto dei sondaggisti infatti, nessuno dei membri uscenti del consiglio regionale del Lazio dovrebbe essere ripresentato alle prossime elezioni. Anche se l’opinione pubblica riconosce le responsabilità di “Francone” e “Franchino”, i due ex capigruppo del Pdl che si son fatti la guerra lasciando emergere la rete di sprechi, privilegi e ruberie che ha fatto scoppiare lo scandalo, la convinzione che tutti i consiglieri - com’era in effetti - godessero di privilegi ingiustificati è molto forte nell’opinione pubblica. Di qui la necessità, o di un repulisti generale, o di un’immediata approvazione di nuove regole che cancellino la situazione precedente.

È quel che la Conferenza delle Regioni ha cercato di fare. Come dimostra il fatto che anche il principale responsabile dello scandalo, il “Francone” di Anagni, andrà in pensione a 50 anni con 4000 euro al mese, il quadro che la vicenda laziale ha disvelato è inaccettabile. Nelle Regioni erano (e sono ancora) in vigore trattamenti da casta anche peggiori di quelli che la Camera e il Senato avevano dovuto ridurre nei mesi scorsi, per far fronte all’ondata di antipolitica esplosa nelle ultime elezioni amministrative. I tagli operati ieri dalla Conferenza ne hanno intaccato solo una parte, e non è escluso si arrivi a un nuovo giro di vite nelle prossime settimane, quando Monti potrebbe decidere di intervenire. 

Tra Polverini e il Pd ieri c’è stata una dura polemica perchè la presidente, dopo averle annunciata, non ha ancora materialmente presentato la lettera di dimissioni, e ha riunito la giunta per fare alcune nomine nella Sanità. La data delle elezioni regionali, novembre o primavera, in accoppiata con le politiche, dipende da quella lettera, che ieri il ministro dell’Interno Cancellieri ha sollecitato.

da - http://lastampa.it/2012/09/27/cultura/opinioni/editoriali/i-tagli-decisi-non-bastano-a-fermare-l-antipolitica-4ixg1FJ5RolbpZGhm9aMVP/index.html
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« Risposta #524 inserito:: Settembre 30, 2012, 02:08:00 am »

Editoriali

28/09/2012 - taccuino

Messaggi ai mercati reazioni all’italiana

Marcello Sorgi

Ma cosa avrà mai detto di tanto importante Mario Monti, da mandare in fibrillazione tutta la politica italiana? La domanda che bisognerebbe farsi è questa, prima di entrare nel merito dell’inattesa apertura con cui il presidente del consiglio ha dichiarato la sua disponibilità a restare a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura.

Monti infatti parlava in America, e non è un mistero che tutti gli interlocutori con cui ha parlato, in una missione ricca di appuntamenti importanti, gli hanno chiesto cosa succederà in Italia dopo le elezioni del 2013. E dopo aver detto che non pensa affatto a candidarsi o a entrare in campagna elettorale, Monti non poteva escludere, a certe condizioni, e se fosse ancora necessario, di mantenere la guida del governo fino al completamento dell’azione di risanamento economico. È esattamente quel che all’estero volevano sentirsi dire.

Monti per primo tuttavia è consapevole delle difficoltà a cui va incontro una prospettiva del genere. Le due reazioni simmetriche di Berlusconi e Bersani, che hanno ripetuto che saranno i risultati elettorali a decidere chi dovrà governare in Italia, stanno a significare che i due leader non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi fin d’ora a un prolungamento del governo tecnico, o a una sua riedizione in versione mista, con l’inserimento anche di ministri politici.

Bersani d’altra parte è impegnato nella campagna per le primarie da cui si aspetta la designazione a candidato premier del centrosinistra: non poteva dire nulla di diverso. E quanto a Berlusconi, il suo ritorno in campo alla presentazione del libro dell’ex-ministro Renato Brunetta, è servito, se non a dare una risposta alla domanda se il Cavaliere alla fine scenderà in campo o no, almeno a capire di che tenore sarà la sua campagna elettorale, in qualsiasi veste si troverà a farla: no ai vincoli di un’eurozona che così com’è, a suo giudizio, «è un imbroglio».
No all’Imu. No a Equitalia. È con questi argomenti che il centrodestra condurrà la sua campagna, mentre continua ad opporsi in Parlamento a una rapida approvazione della legge anticorruzione.

Se continua così, a Monti non basterà ripetere che il suo governo potrebbe continuare anche dopo il voto. E gli osservatori stranieri che premono per sapere in che direzione andrà l’Italia il prossimo anno, i loro dubbi dovranno tenerseli ancora per un bel po’. Ieri il clima sui mercati europei ha continuato a restare pesante, con spread in risalita, anche dopo l’approvazione da parte del governo spagnolo di una nuova manovra da quaranta miliardi, seguita da durissime manifestazioni di protesta.

da - http://lastampa.it/2012/09/28/cultura/opinioni/editoriali/messaggi-ai-mercati-reazioni-all-italiana-evwiWmQalaFJHycgiUHl1K/index.html
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