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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288592 volte)
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« Risposta #360 inserito:: Settembre 14, 2011, 08:59:07 am »

14/9/2011 - TACCUINO

Ora è chiaro: il famoso salvacondotto giudiziario è impossibile da realizzare

MARCELLO SORGI

Prima ancora di sapere come andrà a finire - se cioè si arriverà veramente alla richiesta al Parlamento di accompagnamento coatto del premier da parte della Procura di Napoli - la piega presa dallo scontro tra i pm dell'inchiesta su Tarantini e Berlusconi è servita a chiarire, se ancora c'era qualche dubbio, che è del tutto impossibile il famoso salvacondotto giudiziario offerto al Cavaliere in cambio di un suo volontario passo indietro, per poi aprire la strada a un governo d'emergenza. E d'altra parte, fosse stato vero il contrario e uno qualsiasi dei leader dell'opposizione fosse stato in grado di garantire un arretramento dei magistrati, simmetrico a quello eventuale del presidente del consiglio, non si sarebbe più potuto dire che quella di Berlusconi per la persecuzione delle toghe rosse è un'ossessione e che i giudici si muovono in modo assolutamente indipendente di fronte a tangibili ipotesi di reato. Naturalmente il premier avrebbe tutto l'interesse adesso ad accettare una delle quattro date che gli sono state proposte per l'interrogatorio sulla presunta estorsione ai suoi danni da parte di Tarantini e Lavitola: ma è da vedere se lo farà. L'idea di politicizzare lo scontro portandolo, grazie all'iniziativa minacciata dal procuratore di Napoli Lepore, fino a un voto della Camera, sullo sfondo di un momento così drammatico per il Paese, potrebbe pure risultare attraente per il premier. E da questo punto di vista la Procura non deve aver valutato bene gli effetti della propria iniziativa.

Le inchieste aperte e il problema del rapporto tra giustizia e politica stanno rapidamente diventando purtroppo il fronte più pericoloso di questa tormentata conclusione di legislatura, senza che i guai economici peraltro accennino a placarsi. Il voto favorevole a Milanese, braccio destro di Tremonti, e contrario al suo arresto, deciso dalla Lega due mesi dopo essersi schierata a favore del carcere per Papa, l'altro deputato inquisito nell'inchiesta sulla P4, non suona solo come un favore fatto da Bossi all'amico Giulio. Ma anche come volontà, in questo quadro confuso, di evitare un nuovo trauma che potrebbe portare a una crisi di governo, e andare avanti così finché si può. Anche se non è chiaro dove. Difficilmente però il ministro dell'Economia, indebolito da questa vicenda più che dai continui assalti dei mercati, trarrà vantaggio dal salvataggio opaco del suo collaboratore. Sempre che il voto dell'aula, malgrado nelle posizioni ufficiali prevalga la contrarietà all'arresto, nei prossimi giorni non riservi sorprese.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9199
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« Risposta #361 inserito:: Settembre 15, 2011, 10:35:04 am »

15/9/2011

Il dovere di governare

MARCELLO SORGI

La crisi rivelatasi ogni giorno più difficile da sconfiggere anche ieri ha segnato un’altra giornata drammatica, con scene di guerriglia davanti alla Camera, in cui deputati sordi in gran parte alla gravità della situazione e scollati dalla realtà approvavano una manovra già quasi del tutto insufficiente. Ma invece di risposte, dalla classe dirigente stressata dalla febbre dei mercati che non danno tregua, affiora una sensazione di panico e immobilismo, senza neppure la capacità di confrontarsi con esperienza e analogie del passato.

A ben guardare, infatti, il dissesto nei conti dello Stato causato dal debito pubblico senza controllo si era manifestato già nel 1991 - ‘92, giusto vent’anni fa, determinando la terribile manovra del governo Amato, che portò a un prelievo diretto dai conti correnti bancari dei contribuenti. Di lì a poco il mix letale della corruzione crescente e della delegittimazione evidente della classe politica, a causa delle inchieste giudiziarie che investivano giorno dopo giorno leader, ministri in carica e interi gruppi dirigenti dei partiti, rese necessario una sorta di commissariamento dell’esecutivo, con l’avvento del governo tecnico guidato da Ciampi, e una forma di desovranizzazione del potere politico, passato sotto il controllo dell’Ue per riconquistare credibilità al Paese e guadagnarsi il biglietto d’ingresso nell’euro.

Tra allora ed oggi ci sono molti aspetti coincidenti che potrebbero far pensare alla possibilità di ripercorrere la via virtuosa e la serie di sacrifici che ci condussero fuori dai guai. Per cominciare, lo stato dei nostri conti è tale che s’è rivelato tuttora inadeguato qualsiasi intervento, compresa la quarta riscrittura della seconda manovra che la Camera ha approvato definitivamente ieri sera. Inoltre, senza voler generalizzare, o cedere a superficialità e qualunquismi, anche il livello della corruzione ha superato ogni limite: al di là del complicato contenzioso che ha al centro il presidente del Consiglio, ci sono in questo momento almeno tre inchieste che riguardano i vertici del centrodestra e due che puntano a quelli del centrosinistra, oltre a una miriade di indagini grandi e piccole negli enti locali, comuni, province e regioni, per non dire delle amministrazioni straordinarie, protezione civile, terremoti, calamità, e insomma iniziative urgenti che si trasformano in vergognose occasioni per accaparrarsi, troppo spesso illegalmente, fondi pubblici e appalti privilegiati. Per quanto l’azione della magistratura si riveli non sempre convincente e non goda più dello stesso sostegno di opinione pubblica su cui poteva contare vent’anni fa, quando i giudici di Mani pulite erano diventati gli idoli della gente comune, è impossibile credere - come Berlusconi dice e ripete tutti i giorni - che dietro ogni inchiesta ci sia un pregiudizio politico e un abuso di potere della magistratura.

Di qui - ed è la terza trasparente analogia tra allora ed oggi - il ritorno al governo tecnico: come ipotesi, come estremo rimedio, come voce che corre di bocca in bocca e trova eco anche nei discorsi dei leader, non solo d’opposizione. Si dice: se Berlusconi fa un passo indietro, spontaneo o «spintaneo» che sia, tutto potrebbe cambiare e si potrebbe anche discutere con serenità del modo di assicurare una via d’uscita plausibile all’uomo che bene o male ha condizionato quasi vent’anni di vita pubblica, e s’è trasformato nel simbolo della Seconda Repubblica come Andreotti lo fu della Prima. Ma ad escludere una prospettiva del genere, è inutile nasconderselo, è proprio il Cavaliere, con la sua personalità e il suo modo di fare, che appunto non hanno precedenti nella politica italiana. Va detto poi che questa storia del salvacondotto non è mai stata praticabile e non lo è neppure adesso, a meno di voler dimostrare che i magistrati, invece di essere mossi da obblighi di legge, sono sensibili a ragioni di parte e concederebbero all’opposizione ciò che hanno sempre rifiutato al premier.

Non resta che sia lo stesso Berlusconi, proprio perché a nessun costo intende farsi da parte, a governare le difficoltà. Per paradossale che possa sembrare, è l’unica possibilità, anche se questo richiederebbe da parte sua un passo assolutamente diverso. Il Cavaliere, dunque, affronti senza ulteriori indugi se ne è capace i suoi guai giudiziari, a partire dalla testimonianza fin qui rifiutata alla Procura di Napoli, sapendo che la conclusione del suo calvario non è vicina e proprio per questo necessita di maggior pazienza e senso di responsabilità. Nel frattempo, dimostri che ha veramente a cuore il futuro del Paese uscendo dalle incertezze. Il compito è chiaro; la gravità di quel che sta accadendo non consente più rinvii. Oggi più che mai, governare vuol dire fare quel che si deve, e non ciò che si vuole. Nei prossimi giorni, è ormai chiaro, potrebbe rendersi necessaria una nuova manovra. L’accelerazione del debito pubblico, che ieri ha fatto un altro pericoloso passo verso la soglia dei duemila miliardi di euro, dev’essere fermata a qualsiasi costo. Sono in ballo misure eccezionali, che saranno efficaci solo se si riuscirà a prenderle senza il ridicolo balletto a cui è toccato assistere per tutta l’estate. Per chiudere la voragine, solo per fare qualche esempio, presto potrebbe essere necessario alienare una parte del patrimonio del Paese, o riaprire la ferita sanguinosa delle pensioni. Se dopo vent’anni di cabaret, troppo spesso degenerato in brutto spettacolo, Berlusconi sarà in grado di uscire dal suo scollamento e chiudere da statista, anche le analogie che ora gli giocano contro, a sorpresa, potrebbero risolversi a suo vantaggio.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9201
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« Risposta #362 inserito:: Settembre 17, 2011, 04:27:01 pm »

Quel macigno nei giorni della crisi

MARCELLO SORGI

Centomila intercettazioni, oltre un migliaio di pagine per descrivere il complicato intreccio di feste e favori promessi e mancati tra Arcore, Palazzo Grazioli e Villa Certosa, una trentina di ragazze, non tutte escort, non tutte disponibili, anche se tutte o quasi avvicinate con lo stesso miraggio della carriera in tv: dell'inchiesta di Bari, depositata ieri dai magistrati che l'hanno condotta, colpiscono, prima ancora dei dettagli, le cifre, la quantità di protagonisti, il giro vorticoso di viaggi ed appuntamenti messi insieme dal fantomatico "Giampi" Tarantini.

E non è che una, appena una delle inchieste che in questi giorni hanno al centro il premier. Nella sola Milano, sono ora diventati cinque - dopo la decisione del Gip di opporsi alla richiesta di proscioglimento per la famosa intercettazione di Fassino sulla scalata ad Antonveneta pubblicata sul "Giornale" chiedendo un nuovo rinvio a giudizio -, i processi contro il Cavaliere. Poi c'è il braccio di ferro aperto a Napoli tra la Procura che insiste a volerlo interrogare senza assistenza di legali, come parte lesa della presunta estorsione subita da Tarantini, e gli avvocati del presidente del consiglio che, pur di evitare che vada da solo, chiedono che sia considerato indagato per poter partecipare all'interrogatorio.

Nell'unico giorno di tregua tra la seconda manovra, approvata mercoledì alla Camera, e la terza che occorrerà quasi certamente mettere a punto nei prossimi giorni, forse perfino a partire da oggi, se le previsioni sul declassamento del debito italiano da parte di Moody's si riveleranno fondate, colpisce la portata del contenzioso giudiziario accumulato contro Berlusconi. L'insieme di cinque, sei, sette procedimenti da fronteggiare contemporaneamente è così impegnativo da assorbire molto tempo e molte energie. E in questo quadro è davvero difficile da accettare l'idea che, con un peso così grande sulle spalle, il premier possa mettersi serenamente a ragionare sul resto dei problemi del Paese e su una congiuntura negativa che non dà tregua.

A giorni alterni, come si vede, la crisi italiana mostra così entrambe le sue facce - economica e giudiziaria -, che si intrecciano e si sommano nella figura del premier. Berlusconi continua a dire a tutti che non si arrende e troverà il modo di venirne a capo. Sembra impossibile che possa riuscirci anche stavolta. Eppure, in queste condizioni, sarà un disastro se non ci riuscirà.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9209
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« Risposta #363 inserito:: Settembre 20, 2011, 05:42:02 pm »

20/9/2011 - TACCUINO

La via incerta tra Procure e referendum

MARCELLO SORGI

Sui due fronti aperti - economico finanziario e giudiziario - anche ieri il barometro ha fatto segnare tempesta, con conseguenze politiche facilmente immaginabili di ulteriore appesantimento del quadro politico. La domenica in cui il Pdl ha cercato di stringersi attorno a un Berlusconi acciaccato dagli sviluppi delle inchieste e dalle rivelazioni contenute nelle intercettazioni è stata rapidamente archiviata da un ennesimo lunedì nero, in cui Bersani è arrivato a paragonare queste giornate a quelle che precedettero il 25 luglio e la caduta di Mussolini, ammettendo tuttavia che è difficile pensare a un simile epilogo in un partito, come appunto il Pdl, di cui il presidente del consiglio continua ad essere il padre-padrone.

Ferma restando la sfida alla Procura di Napoli, davanti alla quale continua a rifiutarsi di comparire senza la garanzia dei suoi legali, Berlusconi è andato ieri a Milano all'udienza del processo Mills. Anche da lì, cattive notizie: pur essendo il procedimento praticamente condannato alla prescrizione a gennaio, il tribunale ha tagliato la lista dei testi per accorciare i tempi e rendere così possibile la condanna del premier per corruzione almeno in primo grado.

Tutti gli occhi sono puntati alla votazione di giovedì sulla richiesta di arresto per il deputato Marco Milanese. Sulla carta, dopo che la Lega s'è dichiarata contraria al carcere, il braccio destro di Tremonti dovrebbe sfangarla, ma se il voto, su richiesta delle opposizioni sarà segreto, è possibile, com'è accaduto a luglio per Alfonso Papa, che nell'urna un gruppo di deputati leghisti capovolga le previsioni. Con conseguenze - anche se Tremonti ha già fatto sapere che non si dimetterebbe - assai più difficili da gestire di quest'estate.

Berlusconi continua dunque a navigare a vista e a cercare di resistere finché può ad ogni ipotesi di farsi da parte. La pressione su di lui cresce di giorno in giorno e non a caso, nei discorsi domenicali di Bossi e Alfano in difesa dell'attuale maggioranza, qualcuno, all'interno del gruppo dirigente del Pdl, ha creduto di avvertire un accentuarsi dei toni elettorali. Come se l'ipotesi di uno scioglimento anticipato delle Camere, magari incoraggiato dalla necessità di rinviare il referendum elettorale, resti in forte evidenza, se non verranno giorni migliori per il centrodestra.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9221
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« Risposta #364 inserito:: Settembre 26, 2011, 09:34:03 am »

23/9/2011

Il governo regge l'Italia no

MARCELLO SORGI

La notizia del giorno è che il governo regge, seppure a malapena, ma il Paese non regge più. Basta solo confrontare, ancora una volta, ciò che ieri accadeva dentro e fuori il Palazzo, per capire fino a che punto è arrivato lo scollamento.

La Camera, per soli sei voti, e con un complicato intreccio di franchi tiratori, ha evitato l’arresto a uno dei deputati più impresentabili: quel Milanese, già braccio destro di Tremonti, che passava la vita a lucrare, grazie al suo incarico, su favori grandi e piccoli, si faceva regalare barche e auto di lusso, nonché la casa alle spalle di Montecitorio che aveva riservato al suo principale. Inoltre, sull’assenza del responsabile dell’Economia (in missione a Washington al Fondo monetario internazionale), a una votazione che lo riguardava così da vicino, è nato subito un caso: Berlusconi lo ha definito «ministro immorale», parlandone come di un disertore. Ma se c’era un problema di moralità, come mai il governo ha preteso di evitare l’arresto proprio a chi era accusato di averla violata?

E questa non è stata l’unica incongruenza della giornata. Mentre si votava a Montecitorio, la Borsa di Milano precipitava, anche a causa del declassamento di sette importanti banche italiane da parte di Standard & Poor’s, finendo come fanalino di coda dei mercati in sofferenza. Lo spread tra i titoli di Stato e quelli tedeschi nuovamente superava l’allarmante quota dei quattrocento punti. E nelle stesse ore il governo, rivedendo stime precedenti, fissava le previsioni di crescita dell’Italia per i prossimi tre anni sempre al di sotto di un punto percentuale, tra 0,6 e 0,9.

Ma di tutto ciò Berlusconi non sembrava particolarmente turbato: i suoi unici motivi di rammarico restavano Tremonti (anche se il ministro era a Washington a difendere la credibilità dell’Italia), e quei maledetti «soli» sei voti di scarto che gli avevano abbassato la media delle ultime performances parlamentari. D’altra parte, un esempio del metro di misura con cui il presidente del Consiglio valuta la gravità della situazione s’era avuto proprio qualche giorno fa, in occasione del down-grade del debito dell’Italia, quando il Cavaliere aveva accusato, ricevendone una replica secca e circostanziata, la stessa Standard & Poor’s di aver agito per ragioni politiche ed essersi basata solo sulla lettura dei giornali.

L’approssimazione e la superficialità con cui il premier continua a rapportarsi ai drammatici sviluppi della crisi sono inspiegabili, in un uomo che ha un passato da imprenditore e dovrebbe conoscere i fondamentali dell’economia nazionale. Ma tant’è. Se le banche italiane sono in difficoltà e cominciano a chiudere i rubinetti del credito, come ormai lamentano gran parte delle imprese, grandi, medie e piccole, e se la Confindustria lancia un allarme dopo l’altro, spiegando che la situazione non è più sostenibile, la risposta del governo non può essere che l’economia non c’entra e si tratta di un attacco politico mirato a far fuori il presidente del Consiglio. E neppure che è pronto un piano per rimettere tutto a posto. Piuttosto

che il piano, dopo quattro o cinque manovre insufficienti negli ultimi mesi, occorrono scelte immediate e precise, tre o quattro cose, non lunghi e inutili elenchi: tagli decisi, non il maquillage praticato finora, alla spesa pubblica e a quella per le pensioni; un altro pezzo importante di patrimonio nazionale messo in vendita per rianimare i mercati; semplificazioni e leggi innovative per attirare gli investimenti.

Ma al contrario, il timore è che il governo venga fuori con un altro libro dei sogni, grandi riforme costituzionali per le quali non c’è più tempo, alla fine della legislatura, lavori pubblici e infrastrutture che partono, o ripartono, sulla carta, mentre cresce il numero dei disoccupati. L’altro rischio concreto è che il Parlamento sia di nuovo ingorgato da leggi ad personam, invocate per aprire uno squarcio nella rete dei processi in cui il Cavaliere è imputato: questa sì, l’unica sua vera preoccupazione, che da mesi lo assorbe completamente e gli impedisce di dedicarsi ad altro.

Berlusconi ripete tutti i giorni che resisterà fino all’ultimo. Finché lo sostiene una maggioranza, per quanto malconcia, è suo diritto. Ma se vuol restare a Palazzo Chigi a qualsiasi costo, è suo dovere decidersi a governare.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9231
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« Risposta #365 inserito:: Settembre 27, 2011, 11:26:27 am »

27/9/2011

Parole dure che chiedono il passo indietro

MARCELLO SORGI

Invocata da giorni dall’interno del mondo cattolico e da laici autorevoli, la condanna da parte dei vescovi italiani dello stile di vita di Berlusconi, e dei danni che procura all’Italia sul piano internazionale, è arrivata ieri con la dura prolusione del presidente della Cei, cardinale Bagnasco, ai suoi vescovi.

Va detto: la vicenda interminabile delle escort e delle feste erotiche del premier era già stata oggetto di condanne delle gerarchie e di un generale raffreddamento di rapporti tra il governo e l’episcopato, cominciato anche prima, fin dall’incidente della cancellazione della cerimonia della Perdonanza del 28 agosto 2009. Che nelle intenzioni doveva sancire una sorta di rappacificazione tra il Cavaliere e la Chiesa turbata dal «caso Boffo» (l’attacco da parte del «Giornale» della famiglia Berlusconi che portò alle dimissioni del direttore di «Avvenire») e finì invece per diventare l’occasione di una rottura, poi aggravatasi per tutto quello che venne fuori dopo.

Per questo, ci sarà anche stavolta chi dirà che non c’è niente di nuovo, che le critiche dei vescovi sono in qualche modo obbligate, che Bagnasco non a caso le ha inserite nel suo discorso tra svariati motivi di rammarico sulla situazione italiana.

Dall’«attonito sbigottimento» per la crisi economica «vasta e devastante», all’emergere di una «modernità liquida in cui tutto rischia di disperdersi» e di una «questione morale» che si allarga e generalizza, all’evasione fiscale che in un momento come questo costituisce un esempio di immoralità.

Ma la verità è che per la prima volta, nei due anni in cui sono emersi gli aspetti scandalosi della vita privata di Berlusconi, Bagnasco ha voluto mettere in chiaro che, seppure i risultati delle inchieste sono tutti da confermare e sono stati ottenuti dalla magistratura con un uso smodato di strumenti di indagine (le famose centomila intercettazioni dell’inchiesta di Bari), «la responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che non mancano».

In altre parole, è inutile che Berlusconi continui a invocare a sua discolpa le manovre politiche e la persecuzione giudiziaria di cui si dichiara vittima: «I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà» - annota il cardinale. Concludendo pesantemente che «ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune».

Parole dure, che chiedono un passo indietro del premier. Toni da sentenza definitiva, determinati - il testo lo lascia intuire tra le righe - dalle numerose sollecitazioni venute in questi giorni dalla stampa cattolica e dalle singole parrocchie: di fronte alle quali la Chiesa non può che ricordare, ribadendolo, quante volte in passato avesse già denunciato la mancanza di sobrietà nella vita pubblica, chiedendo «orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale».

Con una premessa del genere, è probabile che il prosieguo del dibattito dei vescovi al consiglio permanente della Cei darà altre occasioni per far lievitare il disagio espresso in apertura dal cardinale presidente. Ma è difficile che Berlusconi cerchi o trovi il modo per riflettere, ed eventualmente rispondere, alle pesanti critiche che lo chiamano in causa. Chiuso com’è nella convinzione di essere al centro di un complotto che punta a disarcionarlo, il Cavaliere, benché una descrizione dettagliata delle sue feste sia emersa nelle intercettazioni dalla sua stessa voce e da battute inequivocabili, continuerà a negare la realtà, rifiutandosi di prendere in considerazione anche i consigli di persone a lui vicine che gli chiedono di scusarsi pubblicamente.

E tuttavia le conseguenze dell’uscita dei vescovi non riguardano solo lui. Da questo punto di vista sarà interessante vedere nei prossimi giorni che effetto faranno le critiche della Cei sui numerosi esponenti cattolici del centrodestra, che su questi argomenti, finora, o sono rimasti zitti, o hanno preferito parlare d’altro.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9247
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« Risposta #366 inserito:: Settembre 28, 2011, 09:53:27 am »

28/9/2011 - TACCUINO

Tregua fragile

La strada resta ancora accidentata

MARCELLO SORGI

Per varie ragioni, il compromesso siglato ieri a Palazzo Grazioli tra Berlusconi e Tremonti, dopo l'ultima lite per l'assenza del ministro alla votazione sul suo ex-braccio destro Milanese, si presenta piuttosto fragile. Ciascuno dei contendenti fa un passo indietro, il premier rinuncia alla cabina di regia che suonava come un'esautorazione del responsabile dell'Economia, ma quest'ultimo accetta di condividere le decisioni e le riunioni più importanti con i colleghi di governo, e soprattutto con Gianni Letta, che farà la spola tra Palazzo Chigi e gli uffici che furono di Quintino Sella. Non è proprio un commissariamento, ma poco ci manca. Tremonti lo ha accettato perché non aveva altra scelta e perché ancora una volta, in suo favore, proprio quando l'asse con il Carroccio sembrava incrinato, ha funzionato l'amicizia con Bossi, che con poche parole e con il realismo dei vecchi politici ha fatto capire al Cavaliere che era l'unica strada.

Nella cena più allargata che è seguita a Palazzo Grazioli, in pratica un vertice di maggioranza, il cosiddetto pacchetto sviluppo di cui si parla da giorni, e che dovrebbe essere varato dal prossimo Consiglio dei ministri, ha finalmente quasi visto la luce. Non è certo una gran cosa: si tratta di sbloccare i lavori pubblici già deliberati e bloccati dalle solite ragnatele burocratiche e definire l'insieme delle semplificazioni, improvvidamente anticipate lunedì da Brunetta, con l'aggiunta della nota gaffe sull'abolizione del certificato antimafia per gli appaltatori. Che davvero, grazie a queste misure, l'Italia possa ricominciare a crescere, non ci crede nessuno. Ma intanto, è meglio di niente.

Berlusconi continua a dire che la svolta della crisi è dietro l'angolo a tutti i suoi interlocutori, rassicurandoli anche sulla sua situazione personale. La quale, al contrario, continua ad essere appesantita dall'aggravarsi dei guai giudiziari. La sentenza del tribunale del riesame di Napoli che ha scarcerato Tarantini e la moglie ha creato le premesse per una nuova imputazione del premier, con l'accusa di aver cercato di ottenere coperture al limite della falsa testimonianza dall'imprenditore barese organizzatore del giro delle escort. Il processo di Milano per il caso Mills in cui Berlusconi è accusato di corruzione viaggia più speditamente verso la sentenza. Oggi si vota la sfiducia individuale verso il ministro Romano per le accuse di mafia. Il centrodestra non si aspetta sorprese, ma sulla strada accidentata del governo ogni giorno continua ad avere le sue pene.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9253
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« Risposta #367 inserito:: Settembre 29, 2011, 04:59:52 pm »

29/9/2011 - TACCUINO

La doppia promessa del Cavaliere

MARCELLO SORGI

C'è una sola spiegazione per l’ennesima lite su Bankitalia, che ha inutilmente tenuto in sospeso per molte ore il Quirinale, Palazzo Chigi, il ministero dell’Economia, oltre naturalmente al vertice di via Nazionale.

Berlusconi ha promesso martedì a Tremonti che avrebbe fatto nominare Grilli, il direttore generale del Tesoro suo candidato, anche se aveva già lasciato intendere al Presidente della Repubblica la sua preferenza per il candidato interno della Banca. E bastava ieri affacciarsi a uno dei capannelli di parlamentari in attesa di votare il salvataggio del ministro Romano per sentirselo raccontare: senza alcuna meraviglia, quel che è peggio. Va da sé che un organo nevralgico come la Banca d’Italia, che sta per fornire all’Europa il presidente della Bce, avrebbe meritato una diversa attenzione. E che il muro contro muro che ha portato all’ultimo rinvio non faciliterà certo la soluzione del problema.

Si diceva da giorni che la lettera del presidente del consiglio con l’indicazione del nome di Saccomanni fosse pronta per essere spedita in via Nazionale, cui spetta dare il proprio parere prima che il Capo dello Stato firmi il decreto di nomina. Il colpo di scena è avvenuto in mattinata, quando l’attesa lettera non è arrivata a Bankitalia e s’è capito che qualcosa doveva essere cambiato il giorno prima, nell’incontro faccia a faccia tra Berlusconi e Tremonti. Di qui l’allarme di Draghi, governatore uscente e prossimo alla partenza per Francoforte, che s’è subito recato a Palazzo Chigi e al Quirinale. E la corrispondente reazione di Tremonti, anche lui in visita dal premier. Intanto Bossi, spalleggiando il ministro dell’Economia, si esprimeva pubblicamente a favore di Grilli.

Tutto questo movimento preannuncia l’esplosione, ormai vicina, del conflitto Tremonti-Draghi. Al di là del rapporto deteriorato con il premier, il ministro non gli ha perdonato, quest’estate, di essersi messo nelle mani del governatore sollecitando la famosa lettera della Bce che ha dato il via alla manovra estiva, perché da quel momento in poi s’è sentito commissariato. Il governatore, da parte sua, non ritiene di poter assolvere bene il suo compito in Bce senza avere in Bankitalia un punto di riferimento fidato. Nella Prima Repubblica una contesa del genere si sarebbe risolta allargando la rosa dei candidati e trovando al suo interno un terzo nome. Altri tempi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9259
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« Risposta #368 inserito:: Settembre 30, 2011, 03:42:35 pm »

30/9/2011 - TACCUINO

Il documento di Bagnasco e la mossa Pd

MARCELLO SORGI

Si può leggere la sconfitta subita alla Camera dal governo sull'ordine del giorno del Pd destinato a spostare sulle scuole pubbliche una parte dei fondi dell'8 per mille in vari modi. All'indomani del salvataggio del ministro Romano e del respingimento della mozione di sfiducia, è la prova che governo e maggioranza ormai reggono solo nelle votazioni palesi.

Nelle ultime due settimane le occasioni in cui il centrodestra è stato battuto si sono moltiplicate e la sensazione di scollamento è aumentata. Si può ancora osservare che nel clima di fine legislatura che s'è diffuso, dopo il raggiungimento delle cinquecentomila firme per i referendum elettorali che rendono più probabile lo scioglimento delle Camere a primavera, solo i parlamentari che ritengono di avere qualche probabilità di essere ripresentati frequentano il Parlamento nelle sedute normali.

Ma c'è un'altra spiegazione possibile, legata al contenuto del documento messo in votazione ieri e mirato a limitare il sostegno statale alle scuole cattoliche. L'iniziativa del Pd cade infatti a pochi giorni dall'intervento del presidente dei vescovi italiani Bagnasco e dal suo appello ai cattolici a riunirsi in un nuovo movimento.

Le conseguenze di questo appello sono più preoccupanti per il maggior partito del centrosinistra, all'interno del quale i cattolici manifestano da tempo il loro disagio, che non per il centrodestra, che pur essendo penalizzato dalla condanna dei «comportamenti licenziosi» di Berlusconi, ha nel post-democristiano Alfano un interlocutore qualificato per cercare di riallacciare il dialogo con le Gerarchie. Questa è almeno l'interpretazione corrente, e sufficiente a motivare la mossa del Pd.

In realtà il documento dei vescovi si presta anche ad altre letture. Nel testo, il punto centrale rimane la crisi della politica e la sua evidente incapacità di gestire le trasformazioni della società. Il mancato riferimento ai cosiddetti «valori non negoziabili» (famiglia, vita, procreazione artificiale), ai quali finora il centrodestra s'è mostrato più sensibile, delinea, non una rinuncia, ma la volontà di affrontare una discussione senza pregiudiziali con tutti. Anche con il centrosinistra, se riuscirà a temperare al suo interno le posizioni più radicali in materia. Non è la sola novità. La sensazione infatti è che per questa strada la Chiesa proponga per la guida del prossimo governo un cattolico, e chieda ai partiti che si preparano a fare le primarie di tenerne conto quando si tratterà di designare i candidati.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9263
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« Risposta #369 inserito:: Ottobre 06, 2011, 04:55:19 pm »

5/10/2011 - TACCUINO

Forte desiderio di urne tra i dirigenti Pdl meno nella base

MARCELLO SORGI

Nulla a volte è più rivelatore della «voce dal sen fuggita». E questa di Tremonti sulla Spagna che sta messa meglio dell'Italia, perché s'è tolta il dente delle elezioni anticipate e ha rimesso la posta in gioco, è veramente indicativa dei pensieri che passano per una delle menti più oberate dai fantasmi della crisi. Il desiderio dello scioglimento delle Camere è di certo più presente nel gruppo dirigente del Pdl, che non nella base parlamentare del centrodestra, conservatrice e riottosa a una nuova campagna elettorale anche perché molti sanno di dover perdere il posto di deputato o senatore. Invece tra i capi grandi e piccoli del partito del Cavaliere si fanno due ragionamenti, che portano entrambi a preferire le elezioni al referendum. Primo: se Berlusconi si candida e perde, risolve per sempre il problema della successione. Sarà difficile che la sinistra possa governare da sola a lungo, e presto o tardi si tornerà a votare e il centrodestra rinnovato potrà tornare a vincere. Secondo: se Berlusconi alla fine decide davvero di farsi da parte, il centrodestra, benchè abbacchiato, potrebbe addirittura farcela a questo giro.

Quasi impossibile è considerata la scommessa di una riforma elettorale fatta in fretta per evitare il referendum. E alto il rischio di rassegnarsi alle urne referendarie, perchè ricucire dopo con la Lega sarebbe veramente difficile. Una libera uscita data oggi al Carroccio, che presentandosi da solo ritiene di poter ricostruire il logorato rapporto con il proprio elettorato, non sarebbe poi la fine del mondo. Perchè per molti nel Pdl le probabili elezioni del 2012 potrebbero somigliare a quelle del "pareggio" del 2006. Naturalmente nessuno sa cosa pensi al riguardo Berlusconi, che a tutti sembra ancora non aver deciso.

Circola voce di una nuova approfondita serie di sondaggi che il premier avrebbe ordinato per testare una variegata serie di opportunità, dal cambio del nome del Pdl, alla creazione di un nuovo simbolo senza l'indicazione del nome di Berlusconi, al definitivo lancio del delfino Alfano. Ma la scelta è di là da venire e questo aumenta il nervosismo interno. La sensazione è che il leader aspetti per capire se la crisi economica possa evolvere verso una qualche stabilizzazione. Il solito eterno ottimismo berlusconiano. Ma qui appunto si fermano tutti i calcoli che si agitano nel tormentato partito del presidente.

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« Risposta #370 inserito:: Ottobre 07, 2011, 05:02:14 pm »

7/10/2011 - TACCUINO

Lo sfilacciamento della maggioranza e il pessimismo di Bossi

MARCELLO SORGI

Berlusconi lo ammette: fare le nozze con i fichi secchi è difficile. E questo, al momento, pare sia lo stato dell'arte del famigerato decreto sviluppo, che continua a slittare di settimana in settimana e neppure questa vedrà la luce. Il lungo vertice a Palazzo Grazioli ieri ha prodotto un ennesimo rinvio, adesso sarà il ministro Romani a cercare di coordinare il lavoro preparatorio. Segno che continua la resistenza di Tremonti, seppure Berlusconi si ostina a negare che esista il dissenso del ministro dell'Economia, e la previsione del governo adesso è di mettere a punto il decreto entro il 20 ottobre. Lo sfilacciamento della maggioranza d'altra parte non consente di mettere molta carne al fuoco, e almeno per tutta la prossima settimana la Camera sarà occupata dall'esame della legge sulle intercettazioni, con un'opposizione ai limiti dell'ostruzionismo dopo la rottura di mercoledì.

A parte le battute di Berlusconi sui fichi secchi, ieri ha fatto molto discutere il pessimismo di Bossi sulla possibilità di arrivare in queste condizioni al 2013: il leader leghista s'è limitato a una constatazione ovvia del deterioramento del quadro politico e dell' aggravamento della situazione economica. Ma il malessere della Lega cresce giorno dopo giorno ed è chiaro che il Senatur sta valutando fino a che punto il Carroccio possa pagare il prezzo di un sostegno al governo che diventa sempre più gravoso.

Anche l'accenno del Presidente Napolitano al governo di tregua guidato da Pella nel '53 ha sollevato molta attenzione. Il Capo dello Stato parlava a Biella, e il suo riferimento al capo di quello che fu chiamato dalla Dc "governo amico", per sottolinearne la distanza da una piena rappresentanza partitica, era un omaggio a un illustre biellese. Pella tra l'altro restò in carica solo pochi mesi, prima di essere abbattuto dal suo partito, dopo le elezioni che avevano chiuso la fase del centrismo senza creare un nuovo equilibrio. Ma di questi tempi, anche una citazione storica può scaldare una classe politica che vive coi nervi a fior di pelle.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9294
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« Risposta #371 inserito:: Ottobre 10, 2011, 04:44:18 pm »

10/10/2011

Siamo tutti prigionieri del Cavaliere

MARCELLO SORGI

Incredibile quanto si vuole, la situazione è questa: a diciott’anni dalla scomparsa della Dc, le sorti del governo, ogni giorno di più, dipendono da un gruppetto di democristiani, che vorrebbero democristianizzare Berlusconi.

Per chi ha ancora memoria della Balena bianca, la domenica di ieri ha avuto uno strano effetto déjà-vu: riuniti a Saint-Vincent, grosso modo nello stesso periodo e nello stesso luogo in cui si riunivano sempre i seguaci della corrente di Donat-Cattin, i nuovi Dc hanno cercato in tutti i modi di convincere il democristianissimo e contrarissimo segretario del Pdl Alfano che il Cavaliere deve trovare il coraggio di dimettersi, aprire la crisi, e magari ricandidarsi alla guida di un Berlusconi-bis per il fine legislatura. Che poi le probabilità per il premier di succedere a se stesso siano minime e le possibilità di aprire un negoziato sui posti e sul programma inesistenti, i Dc non lo danno per inteso.

Per loro infatti la crisi non sarebbe che una delle tante, decine e decine, vissute ai bei tempi della Prima Repubblica. E che alla fine Berlusconi possa essere sostituito da un altro presidente del Consiglio, la logica conseguenza di una normale alternanza e del rispetto della Costituzione.

Con quest’obiettivo, da giorni, il governatore della Lombardia Formigoni e gli ex-ministri Scajola e Pisanu, per citare i più attivi, rilasciano interviste a tutto spiano per illustrare il loro programma: ai primi posti, la cancellazione del cuore della manovra economica d’agosto, quei tagli agli enti locali e ai ministeri che, seppure insufficienti, costituiscono almeno un tentativo di adesione alle richieste sollecitate e inviateci dalla Banca centrale europea. E in prospettiva, una perfetta restaurazione dei metodi e delle regole di venti, trenta e quarant’anni fa, a cominciare dalla legge elettorale proporzionale che dovrebbe restituire ai partiti (agli attuali partiti!), togliendolo ai cittadini, il diritto di scegliersi i governi.

Ora, intendiamoci, se non fossimo di questi tempi, con l’Italia in bilico su un destino che i pessimisti, le cui file continuano ad infoltirsi, preconizzano simile a quello della Grecia, anche l’idea di una restaurazione non dovrebbe essere respinta pregiudizialmente. Che la Prima Repubblica, pur versando da tempo in una crisi senza rimedio, sia finita più per intervento della magistratura che non per effetto della sua malattia, è un fatto. E altrettanto che la Seconda, a quasi due decenni dalla cosiddetta «rivoluzione italiana», sia rimasta un’incompiuta, a causa, o per colpa, in gran parte di Berlusconi, ma anche dei governi di centrosinistra, che hanno perso per strada la spinta propulsiva per realizzare le riforme. Esiste ovviamente la necessità di riprendere il cammino virtuoso della modernizzazione. Ma ad essere sinceri, va detto, non è questo il momento.

A diciotto mesi dalla fine della legislatura e nel bel mezzo di un’emergenza di dimensioni mondiali, quel che ci si aspetta dal governo è di affrontare i problemi che abbiamo di fronte con urgenza, senza divagare né tergiversare. Sincerità per sincerità, non è detto che l’ultralogorato governo in carica possa farcela. Ma è assai più improbabile che possa riuscirci un nuovo governo che nascerebbe ammesso che il parto sia possibile sulla base del pensionamento forzato del premier e di una maggioranza raccogliticcia almeno quanto quella attuale.

Per questo, conoscendo la caratteristica prudenza e ambiguità dei democristiani, al fondo non si capisce a cosa puntino le loro manovre. Finora l’unico effetto è di ricordarci, dimostrandocelo fino all’asfissia, che siamo - e purtroppo restiamo - prigionieri di Berlusconi.
E se riusciranno davvero a far cadere il governo, di portarci alle elezioni in un clima, se possibile, ancora più confuso.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9302
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« Risposta #372 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:22:00 am »

12/10/2011

Non è stato soltanto un infortunio

MARCELLO SORGI

Malgrado i ripetuti tentativi di Berlusconi e del Pdl di minimizzare la bocciatura ricevuta ieri dalla Camera, la gravità di quanto è accaduto è evidente. Per il governo, l'approvazione ogni anno del rendiconto e del bilancio dello Stato non è una facoltà: è un obbligo preciso, stabilito dall'articolo 81 della Costituzione.

Non a caso nei due precedenti riaffiorati dalle memorie parlamentari, i presidenti del Consiglio che incorsero in simili incidenti - Andreotti e Goria - si dimisero senza indugi.

Berlusconi invece, pur visibilmente contrariato dall'accaduto (lo si è visto in tv lasciare l'aula di Montecitorio guardando gelido Tremonti e brandendo i fogli dei tabulati delle assenze), ha subito fatto sapere che intende ripresentarsi e chiedere la fiducia. Per dimostrare, come ha fatto altre volte, che solo di un infortunio s'è trattato, e non di un segnale politico dal profondo della pancia del centrodestra.

La giornata politica, in effetti, sembrava indirizzata in tutt'altra direzione. Un pranzo pacificatore a Palazzo Grazioli tra il Cavaliere e l'ex ministro Scajola sembrava aver sancito la tregua tra il premier e il capo della più temuta pattuglia di dissidenti del Pdl. La Camera e il Transatlantico erano affollati; ai banchi del governo, come nelle occasioni importanti, sedevano il presidente del Consiglio e i ministri, i cui voti sono indispensabili, data l'esiguità della maggioranza. La quale maggioranza, a dispetto delle previsioni, s'è liquefatta con ben 25 voti mancanti, 17 del Pdl tra cui quelli del ministro dell'Economia, pur presente, e del reduce dalla colazione pacificatrice Scajola; di 7 dei Responsabili tra cui l'uomo-simbolo Scilipoti e l'aspirante ministro Pionati; più Bossi che non è arrivato in tempo a inserire la scheda nella postazione per la votazione elettronica.

Questo approssimativo elenco dei colpevoli basta già ad escludere una congiura, non foss'altro perché i congiurati solitamente agiscono nell'ombra, e, dato che il governo è andato sotto soltanto per un voto, sarebbe bastato che uno solo di quelli che erano lì per lavorare, e hanno preferito fare altro, si fosse ricordato di fare il proprio dovere. Ma il fatto che non si sia trattato di un agguato, di una manovra, di un qualsiasi, anche irrazionale, disegno politico, com'erano appunto quelli dei franchi tiratori democristiani che riuscivano a far dimettere capi di governo del calibro di Andreotti, non è affatto una consolazione. O almeno non dovrebbe esserlo, né diventarlo. In questo senso, davvero non si capisce come possa Berlusconi ridimensionare l'accaduto e annunciare «d'intesa con il Capo dello Stato», prima ancora di andare al Quirinale per consultarlo, che ripresenterà il testo bocciato e lo farà approvare con la fiducia. Magari ci riuscirà pure, sempre che Napolitano non consigli un chiarimento parlamentare più approfondito. Ma un governo che non riesce ad andare avanti nel normale iter dei lavori parlamentari, e deve continuamente ricorrere al voto palese per convincere i parlamentari a rigare diritto, non va molto lontano.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9312
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« Risposta #373 inserito:: Ottobre 13, 2011, 05:42:25 pm »

13/10/2011 - TACCUINO



MARCELLO SORGI

L’Aventino dell'opposizione e l'intervento di Berlusconi pronunciato davanti a una Camera per metà deserta segneranno oggi il punto più basso della legislatura, dopo la bocciatura del governo sul rendiconto di martedì e il caos che ne è seguito per tutta la giornata di ieri. Il rifiuto del premier di prendere atto della gravità dell'accaduto e seguire la prassi adoperata dai suoi predecessori di presentarsi dimissionario al Quirinale ha determinato una battaglia procedurale e politica di inaudita durezza. Il centrodestra è prima stato messo in minoranza nella giunta del regolamento che ha considerato «chiuso» l'iter del provvedimento bocciato, bloccando la manovra del governo che tendeva a ripresentarlo subito al voto dell'aula. I capigruppo dell'opposizione hanno poi chiesto al presidente della Camera di recarsi al Quirinale e informare il Capo dello Stato dello sconcerto seguito alle mancate dimissioni dell'esecutivo.

Napolitano, che aveva diramato in mattinata una prima nota in cui chiedeva a Berlusconi di adoperarsi per trovare uno sbocco condivisibile all'incidente del giorno prima, quando Fini è salito al Quirinale, s'è trovato di fronte alla richiesta delle opposizioni di un suo diretto intervento sul premier, che, va detto, a parte le difficoltà di metterlo in atto, non avrebbe sortito alcun effetto, viste le resistenze del Cavaliere. Di qui una seconda nota del Capo dello Stato, che ringraziando Fini per la sua missione si limitava a prendere atto del malessere manifestato da centrosinistra e Terzo polo e invitava nuovamente governo e Parlamento a cercare una soluzione.

Difficilmente tuttavia questa soluzione nascerà da un accordo. Berlusconi infatti è deciso a portare a casa una nuova fiducia entro domani, se possibile con una maggioranza a numeri accresciuti. Il nuovo voto sul rendiconto, a suo giudizio, dovrebbe venire poi di conseguenza. Ma è proprio su questo punto che l'opposizione non intende fare sconti. È prevedibile che a conclusione del primo giro di dibattito e dopo il voto di fiducia la questione torni al giudizio del Capo dello Stato. Con l'aria irrespirabile di queste ultime settimane, Napolitano potrebbe trovarsi presto a decidere anche sulla conclusione anticipata della legislatura.

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« Risposta #374 inserito:: Ottobre 14, 2011, 05:22:39 pm »

14/10/2011 - TACCUINO

Le rassicurazioni del premier non cancellano l'incertezza

MARCELLO SORGI

Rispetto alla confusione del giorno prima, non ha portato grandi novità il breve discorso di Berlusconi alla Camera, anzi a mezza Camera, dato che le opposizioni, con l'eccezione dei cinque deputati radicali, avevano scelto di non partecipare ai lavori per protestare contro le mancate dimissioni del governo. Il Cavaliere ha ribattuto che la mancata approvazione del rendiconto non è stato altro che un infortunio, spiacevole quanto si vuole (ed infatti s'è scusato dell’accaduto), ma al quale non intende dare soverchia importanza politica. Il governo ha chiesto la fiducia e la otterrà oggi grazie anche al fatto che la gran parte dei dissidenti del centrodestra ha confermato che la darà, salvo poi dire che si tratterà di una fiducia a tempo, in attesa di vedere se le loro richieste saranno accontentate. Confermata anche l'intenzione di andare avanti fino al 2013 con il programma di riforme già esposto inutilmente altre volte.

Mai come oggi tuttavia il quadro rassicurante fornito dal premier cozza con la realtà di una crisi economica insistente e di una crisi politica latente. Berlusconi ha parlato con al fianco Bossi che non la finiva di sbadigliare. Nel consiglio dei ministri che ha preceduto il dibattito alla Camera c'è stato un nuovo scontro tra i ministri Tremonti e Romani sulla destinazione dei fondi ricavati dall’asta delle frequenze per i telefonini di quarta generazione: non è certo un buon viatico per le trattative sul prossimo decreto sviluppo, di cui Romani, a dispetto di Tremonti, è stato incaricato direttamente dal premier. La Bce ha ribadito ieri che i paesi europei a rischio, tra cui l'Italia, di cui ha sottolineato l'andamento sofferto e il doppio declassamento subito dalle agenzie di rating, devono prepararsi all' eventualità di manovre aggiuntive. La Borsa ha fermato la sua ripresa ed è tornata a scendere.

L'Aventino dell’opposizione s'è consumato a beneficio delle telecamere: e in effetti, le immagini dell’aula mezza vuota della Camera hanno fatto rapidamente il giro delle principali edizioni dei Tg. Ma i leader del centrosinistra e del Terzo polo sono rimasti in silenzio solo tra i muri di Montecitorio, affollandosi invece davanti alle telecamere per attaccare duramente Berlusconi e il centrodestra. La soluzione all' incidente di martedì sarà trovata ripresentando, previo esame della Corte dei conti, il rendiconto al Senato, e solo successivamente alla Camera. Ma la situazione resta molto tesa e a rischio, e difficilmente i prossimi giorni porteranno un chiarimento.

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