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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288580 volte)
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« Risposta #330 inserito:: Luglio 07, 2011, 09:44:20 am »

7/7/2011 - TACCUINO

Il Colle, il premier e il sorriso soddisfatto di Tremonti


MARCELLO SORGI

L’epilogo della dura battaglia combattuta in seno al governo, e tra Palazzo Chigi e il Quirinale, sulla «Salva-Fininvest» - poi ritirata da un Berlusconi deluso e sconfitto all' interno del suo partito e della sua maggioranza - sta in una firma e in un sorriso. La firma è quella che il Capo dello Stato alla fine ha messo sul decreto legge della manovra triennale, spiegando che ha potuto farlo solo dopo che il testo era stato ricondotto alla sua naturale materia economica e di bilancio, in altre parole dopo la rinuncia del premier alla contestatissima norma che avrebbe influito sul processo sul lodo Mondadori, condizionando gli effetti di una sentenza ormai prossima.

Il sorriso è quello che è tornato sulla bocca di Giulio Tremonti alla conferenza stampa convocata per illustrare le misure decise dal governo. Un Tremonti che s'è divertito a scherzare sulle voci di sue dimissioni che per settimane hanno accompagnato la lunga trattativa sulla manovra, e che formavano l'oggetto del desiderio di numerosi suoi colleghi ministri, che hanno dovuto accettare una nuova ondata di tagli, sia pure diluiti nel tempo. Tremonti ci teneva a sottolineare che all'uscita da tutto il tira e molla di questo mese i provvedimenti decisi sono quelli proposti dal suo ministero. Era come se dicesse: ci hanno fatto perdere tempo, ma hanno dovuto egualmente rendersi conto che non c'era altra strada da prendere.

Il messaggio era rivolto a Berlusconi, per tramite di Letta, presente alla conferenza stampa, e a cui non tanto velatamente il ministro dell'Economia ha passato davanti ai giornalisti la patata bollente della «SalvaFininvest». Ma anche, piuttosto esplicitamente, a Bossi, che ha tentato inutilmente di stringere con il premier la tenaglia mirata a sottomettere Tremonti. Pure in questo caso il messaggio politico rivolto al leader del Carroccio, che ha dovuto tener testa a un'offensiva interna alla Lega di Maroni contro la linea di politica economica rigorista, è di pensarci bene, prima di cambiare asse all'interno del centrodestra. Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa cosa lascia, ma non sa cosa trova.

Con queste premesse, la manovra approda in Parlamento in un clima pesante. Il monito del Capo dello Stato, indirizzato a tutti, è di svolgere seriamente un confronto parlamentare che per la materia a cui è dedicato, e per la condizione dell'Italia di paese sotto osservazione in Europa, non si svolge solo sotto i nostri occhi. Ma per come stanno le cose nel governo, nella maggioranza e nell'opposizione, non sarà facile che questa raccomandazione sia rispettata.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8950&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #331 inserito:: Luglio 08, 2011, 10:04:08 am »

8/7/2011 - TACCUINO

Per la manovra si annuncia un percorso a ostacoli in aula

MARCELLO SORGI


Sarà un'altra estate in cui la politica non andrà in vacanza. Dopo quella 2010 oberata dallo scontro Berlusconi- Fini sulla casa di Montecarlo, il cammino parlamentare della manovra da luglio ai primi d'agosto si preannuncia ogni giorno più difficile a causa del deterioramento, che continua, dei rapporti interni nel governo e nella maggioranza. In particolare per tre ragioni. La prima sono le rivelazioni connesse all'inchiesta per corruzione dell'ex capo della segreteria del ministro dell'Economia, Milanese, dimessosi precipitosamente un paio di settimane fa. Dai verbali della richiesta d'arresto resi pubblici emerge un quadro di corruzione e un andazzo molto disinvolto che delinea attorno a Tremonti in un periodo recente una serie di comportamenti inammissibili. Tangenti chieste e pagate, in soldi o in natura (auto di lusso, orologi d'oro, vacanze di lusso), la sensazione chiarissima, diffusa tra le carte, che Milanese approfittasse del suo ruolo in ogni modo. Trovandosi in questa fase il ministro al centro di tensioni per l'avvio della manovra, con Palazzo Chigi e con altri ministri che hanno dovuto subire una nuova serie di tagli, le novità emerse dalle indagini sul suo stretto collaboratore non saranno certo accolte bene al Quirinale, con cui finora Tremonti aveva tenuto buoni rapporti, riuscendo a rappresentarne nelle fasi più complicate un sicuro punto di riferimento, ne' aiuteranno il prosieguo della finanziaria alle Camere.

Berlusconi inoltre ieri è stato duro con Tremonti: ha accusato lui e la Lega (ma Calderoli e Bossi hanno smentito) di essere stati messi al corrente nei dettagli della norma «salva-Fininvest», che successivamente, per ragioni di convenienza politica, avevano disconosciuto. E ha lasciato intendere che potrebbe decidere di ripresentarla in Parlamento come disegno di legge autonomo, riaprendo così il contenzioso che era stato appena chiuso.

Il terzo motivo di appesantimento della situazione sono i rapporti tra i ministri, giunti al livello di guardia. Nella stessa giornata s'è avuta notizia di un'intervista in cui Galan prende le distanze dalla manovra spiegando che il centrodestra con questa politica economica rischia di perdere le elezioni, e di uno scambio non proprio di affettuosità tra Tremonti e Brunetta. In un fuori-onda registrato dai microfoni aperti delle tv durante la conferenza stampa di mercoledì il primo definiva il secondo «un cretino». Ma poi, non si sa come, hanno trovato modo di siglare una pace, quanto mai provvisoria.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8955&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #332 inserito:: Luglio 10, 2011, 04:03:31 pm »

10/7/2011

Un altro passo verso la fine

MARCELLO SORGI

Vent’anni sono un tempo lunghissimo. E sono le differenze che colpiscono nel caso Mondadori, scoppiato, o meglio riscoppiato dopo appunto un ventennio, a seguito della sentenza civile che ha condannato Silvio Berlusconi a pagare a Carlo De Benedetti 560 milioni di euro.

Una cifra che il Cavaliere dovrà versare nelle casse della Cir come risarcimento del modo illecito con cui si assicurò, dopo aver corrotto un giudice che lo aveva favorito sul piano giudiziario, la maggior casa editrice italiana.

Vent’anni fa si trattava di una grossa vicenda economica - la contesa senza esclusione di colpi, tra due imprenditori avversari, attorno a una società che controllava, tra l’altro, uno dei principali quotidiani italiani - nella quale alla fine di un’interminabile controversia giudiziaria la politica poté entrare dall’alto, con il tradizionale ruolo di mediatrice, il volto impassibile di Andreotti e il sorriso sornione di Ciarrapico, allora uno dei manutengoli del divo Giulio, che siglò materialmente la tregua e il patto di divisione dell’azienda tra i due contendenti.

Ieri invece il dispositivo della sentenza era stato appena reso noto, che già centrodestra e centrosinistra si alzavano, in difesa o contro Berlusconi, trasformando l’epilogo fuori tempo massimo della lunga battaglia sulla Mondadori in nuova occasione di scontro. Con la differenza che nel frattempo uno dei due protagonisti è diventato premier, ha lasciato che gli anni passassero senza mai voler affrontare il problema del conflitto tra i suoi interessi personali e familiari e il suo ruolo pubblico, e quando s’è trovato platealmente di fronte alle conseguenze dello stesso conflitto, non ha trovato di meglio che buttarla in politica, pur sapendo che questo non gli servirà a bloccare, né a limitare, i duri effetti della decisione dei giudici.

Berlusconi fin dalla vigilia della sentenza, che s’annunciava nefasta per lui, ha voluto dare la sensazione che la magistratura civile, che considera avversa come e forse più di quella penale da cui si sente perseguitato, stavolta aveva scelto lo strumento della rovina economica per farlo fuori. Intendiamoci: il mezzo miliardo e più di euro che De Benedetti, già domattina, per tramite di una banca, potrebbe ritirare dalle casse della Fininvest - in forza di una fideiussione concordata dopo la condanna di primo grado - è una cifra che fa spavento. Mal contati, sono mille miliardi delle vecchie lire. Ma non è, come il Cavaliere vuol far credere, e come la figlia Marina, presidente della Mondadori, ha ripetuto, un colpo tale da portare l’azienda di famiglia al fallimento. Inoltre Berlusconi ha a disposizione ancora un grado di giudizio, e se la Cassazione dovesse capovolgere il verdetto, la somma potrebbe anche tornare indietro. Perché allora padre e figlia, con il coro politico di un centrodestra ormai quasi completamente appiattito sugli interessi familiari della casa di Arcore, hanno scelto di drammatizzare?

Per una ragione chiarissima: essere colpito nei soldi è per Berlusconi la più inaccettabile delle pene, un danno materiale e insieme d’immagine, uno sfregio al mito, ormai calante, dell’uomo del fare che ha costruito la sua fortuna sul proprio talento e sui suoi sogni. Se infatti si viene a scoprire che ben altre sono le fondamenta di quel patrimonio, la sua stella potrebbe declinare anche più rapidamente di quanto sta avvenendo da mesi. Questo spiega perché il Cavaliere si sia preoccupato maggiormente di questo aspetto, che non della patente di «corruttore» che la sentenza dei giudici di Milano gli ha cucito addosso la prima volta nero su bianco. Un giudizio terribile, per un leader che si propone di restare alla guida dell’Italia per altri due anni. Ma sul quale, sorprendentemente, il premier sorvola.

Berlusconi ha fatto così un altro passo verso la fine della sua parabola, che giorno dopo giorno sembra avvicinarsi inesorabilmente. Forse dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sull’opportunità di aspettarne a qualsiasi costo la conclusione. Dopo una settimana in cui la richiesta di arresto di uno stretto collaboratore di Tremonti ha fatto traballare per un’intera giornata l’incerto equilibrio economico del Paese, sono imprevedibili le conseguenze della sentenza civile di secondo grado (pronunciata non a caso a mercati chiusi) in cui il premier, al sodo, è stato condannato per corruzione. Ma non porteranno certo nulla di buono.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8960&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #333 inserito:: Luglio 17, 2011, 09:36:41 am »

13/7/2011

La paura che ha smosso il Cavaliere

MARCELLO SORGI

Lo avrà fatto controvoglia, in extremis, tirato per i denti. Ma lo ha fatto, e questo è l’importante. Dopo giorni di silenzio ostentato anche di fronte alle più autorevoli sollecitazioni, Silvio Berlusconi, alla fine, con un comunicato di poche righe ha detto la verità, a se stesso prima che agli italiani: la crisi che stiamo attraversando è terribile. Il Paese rischia, anche se non lo merita, di ridursi come Grecia e Spagna. La fiducia che i vertici dell’Europa ci accordano, convinti come sono che ne verremo a capo, richiede il massimo di coesione e di senso di responsabilità.

Precedute da quelle di Giulio Tremonti, che aveva anticipato il suo ritorno da Bruxelles a metà di una mattinata drammatica, in cui ondate di vendite in blocco dei titoli di Stato italiani avevano fatto temere il peggio, le parole di Berlusconi sono servite a consolidare una svolta che già l’intervento del ministro dell’Economia aveva imposto, annunciando la rapida e preliminare chiusura del bilancio, come prova di serietà e come reazione alla speculazione accanitasi sull’Italia già da venerdì. La Borsa ha potuto così tirare un sospiro di sollievo, anche se non tutti i timori sono fugati.

Quel che resta da capire è perché Berlusconi abbia atteso tutto questo tempo, mentre la tempesta infuriava, ben sapendo che in frangenti del genere il compito del nocchiero è muoversi al più presto possibile, per mettere la nave in condizione di navigare, reggendo la forza del mare ingrossato, e per evitare il naufragio. Il premier invece ha aspettato l’ultimo momento, ed ha agito senza nascondere minimamente il proprio disappunto per tutto ciò che in sua assenza, o in mancanza di sue iniziative, era accaduto attorno a lui. Si è mosso solo quando gli è apparso chiaro che, insieme con quella sua personale, era in gioco la credibilità dell’Italia in Europa, e che il prolungarsi della sua inerzia rischiava di travolgere insieme il governo e il Paese.

Un errore di valutazione, più che un rischio calcolato. Che gli ha fatto temere, sbagliando, che dietro le pressioni che venivano dal Quirinale, rivolte al contempo al governo e all’opposizione, si celasse il tentativo di aprire la strada a un governo d’emergenza che lo avrebbe estromesso da Palazzo Chigi. Che qualcosa in questo senso sia avvenuto, in modo del tutto indipendente dall’attività del Capo dello Stato, e con la conseguenza di rallentarla, è possibile.

Lo fa pensare, tra l’altro, il richiamo a sorpresa di Romano Prodi, che essendo per esperienza più attrezzato a cogliere la gravità del momento nello scenario europeo, se n’è uscito con un appello a tutti, a cominciare dal centrosinistra, a mettere da parte ogni ipotesi bislacca di «governissimo» e cercare le convergenze necessarie - ma ognuno nel proprio ruolo, governo, maggioranza e Banca d’Italia -, per reagire alle speculazioni nel modo più efficace.

La manovra sarà così varata entro venerdì, o al più tardi entro domenica. Non ci saranno confusioni tra maggioranza e opposizioni. Bersani, Casini e Di Pietro garantiscono solo i tempi dell’approvazione, rinunciano all’ostruzionismo, ma voteranno contro misure che giudicano sbagliate. E il centrodestra s’impegna a ridurre al suo interno trattative ed emendamenti, per accelerare al massimo l’approvazione. La turbolenza dei mercati, a questo punto, dovrebbe allentarsi, anche se è chiaro che occorrerà stare all’erta per tutta l’estate.

Con la sua «supplenza», com’è stata definita nei lunghi giorni del silenzio berlusconiano, ma soprattutto con la flemma e la testardaggine che tutti gli riconoscono, Napolitano, grazie all’appoggio che Tremonti non gli ha fatto mancare, è il vero vincitore di questa tornata. Ma anche Berlusconi, in conclusione, ha dato prova di responsabilità. Gira molto male per il presidente del Consiglio, sul fronte personale e familiare e su quello politico. Se Dio non voglia la situazione dovesse tornare a complicarsi, o aggravarsi di nuovo oltre misura, di gente disposta a scommettere sulla durata del governo se ne troverebbe davvero poca. E tuttavia il Cavaliere ha dimostrato di aver capito - cosa di cui gli va dato atto - che in un momento come questo non poteva tirarsi indietro.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8976
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« Risposta #334 inserito:: Luglio 19, 2011, 06:33:52 pm »

19/7/2011

Ma il premier deve dire cosa vuol fare

MARCELLO SORGI

Le voci che premono per un nuovo governo, di fronte a tutto quel che sta accadendo, si moltiplicano. E non si tratta solo di interventi interessati o ovvi, come sono appunto quelli dell’opposizione, ma anche di qualificati osservatori esterni.

Malgrado gli sforzi fatti negli ultimi giorni, è evidente che l’attuale esecutivo di centrodestra rischia di non farcela, di fronte alla tempesta che ha investito il Paese, e neppure di riuscire a risolvere i suoi aggravati problemi interni. Ma come ha fatto anche ieri sera al Quirinale, Silvio Berlusconi non vuole minimamente prendere in considerazione l’ipotesi di passare la mano e favorire un assetto più adeguato alle necessità del momento. Poiché in Parlamento la sua maggioranza si consolida ad ogni votazione (e questa, per inciso, è la sua previsione anche per i due incerti passaggi delle richieste di autorizzazione all’arresto dei due deputati Papa e Milanese, coinvolti nelle più gravi inchieste giudiziarie in corso), il presidente del Consiglio ritiene che sia, non solo suo dovere, ma suo preciso diritto andare avanti, ed è convinto di riuscire a superare le difficoltà.

Che sia un diritto, non ci piove. I governi, si sa, cadono quando non hanno più l’appoggio del Parlamento. Ma è altrettanto sicuro che tra i doveri di chi guida un Paese ci sia anche quello di dimostrare una speciale sensibilità, non limitata al conteggio matematico - e burocratico dei numeri delle singole votazioni. Se davvero è sicuro, come dice, di essere in grado di salvare l’Italia dal disastro - e in cui anche ieri i mercati hanno mostrato purtroppo di volerla trascinare - Berlusconi dovrebbe dire seriamente come vuol fare. Specie ora che la credibilità dei suoi annunci ad effetto sembra esaurita per sempre.

Proviamo a fare tre esempi, cominciando, ovviamente dall’allarme per la crisi finanziaria, che non accenna a placarsi. Rispetto a una manovra che si sta purtroppo rivelando insufficiente, Berlusconi ha avuto due atteggiamenti. Nella settimana che ha preceduto il «miracolo», per usare le parole del Capo dello Stato, dell’approvazione in cinque giorni delle misure del governo, ha detto chiaramente che non condivideva la linea scelta da Tremonti, che avrebbe sicuramente portato il centrodestra a una nuova sconfitta elettorale. In quella successiva, della discussione parlamentare, ha taciuto platealmente, ostentando un silenzio che non prometteva nulla di buono. Ma adesso che dai mercati continua a spirare un forte vento contrario, cosa intende fare il premier? E’ o no consapevole che potrebbe richiedersi da un momento all’altro un’altra stretta, e forse un anticipo delle iniziative rinviate al 2013-14? E se lo è, perché non lo dice? Sarebbe molto significativo se Berlusconi, finora scettico sulla necessità del rigore, dimostrasse che, proprio perché sa bene cosa bisogna fare, è pronto a farlo in prima persona.

Il secondo dossier aperto è quello del rilancio del governo, del rimpasto o del rinnovamento della compagine, e in sostanza dell’immagine di un esecutivo divenuto per certi versi impresentabile. Come dimostrano i due prossimi appuntamenti parlamentari che riguardano i due maggiori imputati delle inchieste sulla P4 e sulla corruzione nelle nomine pubbliche, il grosso del problema è concentrato nel Pdl. Il cui nuovo segretario Alfano, ministro di Giustizia in carica, ancorché dimissionario, ha annunciato di voler trasformare in «partito degli onesti», ammettendo che molti di quelli che vi militano, e ricoprono responsabilità importanti, tali non sono. Sono passate tre settimane da quando Alfano ha preso questo impegno, nel giorno della sua nomina. E Berlusconi, in proposito, cosa intende fare? Dovendo nominare al suo posto, per lasciarlo libero di dedicarsi pienamente al lavoro di segretario, un nuovo ministro Guardasigilli, forse potrebbe cogliere questa occasione, per dare un segnale inequivocabile: indicando una personalità il più possibile autonoma da un partito ancora da bonificare, e soprattutto evitando scelte che diano il senso di compromessi inaccettabili in questo frangente.

Infine l’agenda del governo. Saggezza suggerirebbe di concentrarsi su pochi obiettivi che realisticamente possano essere realizzati nei pochi mesi che restano della legislatura. E’ un fatto che dei famosi cinque punti lanciati con grande enfasi ormai quasi un anno fa, tolta l’Istruzione, gli altri giacciono arenati, quando non dimenticati. Per approvare grandi riforme, che richiedono leggi costituzionali, non c’è più tempo. Anche perché occorrerebbe discuterne, e in qualche caso condividerle, con l’opposizione, che non può essere chiamata al senso di responsabilità quando serve, com’è accaduto fino a tre giorni fa, e per il resto essere trattata con logica usa e getta. Già basterebbe vedere Berlusconi impegnato a favorire, con la stessa celerità usata per la manovra, un drastico taglio dei privilegi tuttora garantiti al governo, in attesa che il Parlamento faccia lo stesso. Questa sì, materia di sogno.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8994
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« Risposta #335 inserito:: Luglio 20, 2011, 09:59:37 am »

20/7/2011 - TACCUINO

Il premier aggrappato a Scilipoti

MARCELLO SORGI

Il pasticcio in cui ieri il governo è andato a cacciarsi, durante la discussione parlamentare del decreto sui rifiuti di Napoli, non è certo di buon auspicio per la prossima votazione sulla richiesta di arresto del deputato Alfonso Papa, il braccio destro di Luigi Bisignani coinvolto nell' inchiesta sulla P4. Ancora una volta a bloccare il governo è stata la Lega, contraria alla norma che avrebbe dovuto consentire l'invio dei rifiuti in eccedenza fuori dalla Campania anche senza il consenso delle regioni. Per tener duro sul punto che la monnezza del Sud non deve andare al Nord, il Carroccio, prima ha fatto un po' di melina, e poi, quando era troppo tardi per far sì che il decreto fosse rinviato in commissione, ha visto soccombere la maggioranza in una votazione in cui appunto è stato deciso di proseguire la discussione in aula.

Ma se sui rifiuti una soluzione in qualche modo si troverà, accontentando la Lega magari in altri campi e in altre trattative aperte, come quella sul rimpasto di governo che dovrebbe vedere un leghista approdare al ministero delle Politiche comunitarie lasciato libero da Ronchi, sul caso Papa un'intesa di maggioranza è più difficile. Bossi ha oscillato parecchio nei giorni scorsi e i suoi tentativi di convincere la base del partito a non rischiare la crisi di governo sull'arresto di uno dei tanti deputati inquisiti non hanno sortito buon esito. Metà del Carroccio, con il ministro dell'Interno Maroni che probabilmente non parteciperà al voto, sarebbe per l'arresto, o almeno per non condividere la responsabilità del salvataggio di Papa. Berlusconi s'è detto convinto di riuscire a convincere il Senatur a non spaccare nuovamente la maggioranza, ma la sensazione è che almeno su questo terreno Bossi non sia in grado di imporre forzature.

Toccherà probabilmente ai Responsabili tirar fuori dai guai il premier, chiedendo, come ha già fatto intendere Scilipoti, il voto segreto. All'ombra del quale, Berlusconi spera di prevalere compensando i voti della Lega che mancheranno con quelli del largo partito trasversale degli inquisiti, che si allarga da destra a sinistra. Votazione con suspence, quindi. E in caso di arresto negato per Papa, prevedibile scambio di accuse tra governo e opposizione.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9000
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« Risposta #336 inserito:: Luglio 21, 2011, 05:55:18 pm »

21/7/2011 - TACCUINO

Un altro passo deciso verso l'eutanasia del Berlusconismo

MARCELLO SORGI

L’eutanasia della legislatura, cominciata il 14 dicembre con la rottura del centrodestra e la nascita della maggioranza spuria con i Responsabili, ha subito una decisiva spinta in avanti con il voto che alla Camera ha aperto le porte del carcere per il deputato Papa, coinvolto nell'inchiesta sulla P4, mentre il Senato si esprimeva in modo opposto sulla richiesta di arresto del senatore Tedesco, accusato di corruzione nella sanità pugliese di cui era stato a lungo assessore.

Nelle due votazioni sono stati sconfitti insieme Berlusconi e Bersani. Il primo s'era presentato alla Camera sicuro o quasi che alla fine Papa si sarebbe salvato all'ombra del voto segreto e con l'aiuto silenzioso del largo partito trasversale degli inquisiti e del corporativismo parlamentare che da 27 anni rifiutava di consegnare un proprio membro alle manette. Il secondo aveva chiesto al Pd di schierarsi in tutti e due i casi per l'arresto - e a Tedesco di chiederlo in prima persona - proprio per evitare dubbi di scambi sotterranei con il centrodestra, e tra Camera e Senato, su un terreno così delicato. I risultati delle votazioni hanno smentito insieme il capo del governo e quello dell'opposizione.

E al di là di trattative segrete che al Senato hanno dato l'esito sperato e alla Camera no, centrale nelle due Camere è stato il ruolo della Lega. Una Lega che, assente Bossi, ufficialmente schierato per l'arresto, e capitanata dal ministro dell'Interno Maroni, ha articolato i propri voti in modo da trasmettere insieme la sensazione di un distacco ormai definitivo dal governo e della disponibilità a una soluzione ponte che archivi la legislatura e il ventennio berlusconiano.

Questa strategia ormai chiara del Carroccio costringerà in breve Berlusconi a un rapido riaggiustamento del tiro. L'idea di sopravvivere a qualsiasi costo non è più realistica se si tratta farsi rosolare al ritmo delle ultime settimane. L'appoggio dei Responsabili su cui tanto aveva puntato il premier s'è rivelato ancora una volta insufficiente. La controprova che tutti i giochi ormai si muovono alle sue spalle del Cavaliere la avrà nel prossimo voto sulla richiesta d'arresto per il fino a pochi giorni fa stretto collaboratore del ministro dell'Economia Milanese, inquisito con l'accusa di aver messo su un traffico di nomine comperate e vendute. Se come molti si aspettano la Lega troverà il modo di salvarlo, approfittando nuovamente del voto segreto, sarà come se dicesse che al posto di Berlusconi, ormai cotto, vuol mandare Tremonti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9004
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« Risposta #337 inserito:: Luglio 22, 2011, 04:18:29 pm »

22/7/2011 - TACCUINO

Il Cavaliere deciso a non mollare

MARCELLO SORGI

La telefonata di Maroni a Berlusconi, dopo il voto di mercoledì alla Camera che ha portato il deputato Papa nel carcere napoletano di Poggioreale, fa parte delle inevitabili, quanto tipiche, ipocrisie della politica, ma conferma che non ci saranno conseguenze immediate, malgrado la rottura plateale tra Lega e Pdl.

Formalmente, infatti, il Carroccio aveva dichiarato che si sarebbe schierato per l'arresto, anche se il discorso in aula del capogruppo Reguzzoni aveva sottolineato la via d'uscita della libertà di coscienza, lasciata ai parlamentari leghisti mercoledì per consentire il salvataggio nell'urna del parlamentare inquisito.

Ma le ragioni vere per cui, a meno di sorprese sempre possibili in un'estate in cui l'Italia resta esposta alla pesante tempesta finanziaria mondiale, Berlusconi continuerà a resistere, sono due. La prima è che non c'è una vera spaccatura tra Bossi e Maroni sul da farsi. Anche il gioco delle parti usato in quest' ultima circostanza, con Bossi che prometteva di dire una cosa e farne un'altra, e Maroni che sorvegliava i parlamentari in aula al momento del voto, fa parte della stessa strategia, che prevede che non sia la Lega ad aprire la crisi, ma rimanga pronta ad approfittarne sapendo che può arrivare da un momento all' altro. La Lega continuerà insomma a stare contemporaneamente al governo e all'opposizione, e Berlusconi, non avendo alternative e nutrendo timori su un possibile voto anticipato, non potrà far altro che adattarsi, pur sapendo che adattandosi continuerà a consumarsi.

La seconda ragione, che in realtà è la prima in ordine di importanza, è che Berlusconi, tolto quel che dice o fa capire da tempo in ogni occasione pubblica o privata, non ha alcuna intenzione di farsi da parte. E ritiene, giustamente dal suo punto di vista, che lo scudo ammaccato, ma pur sempre scudo, di Palazzo Chigi, sia indispensabile per lui nel momento in cui l'assedio della magistratura si fa più stringente.

Da questo punto di vista, discutibile ma realistico com'è sempre il modo di guardare le cose del Cavaliere, Berlusconi valuta che il guaio più grosso che gli sia capitato negli ultimi tempi è la sentenza che lo costringe a pagare i famosi 560 milioni di euro a De Benedetti e che rivela, a suo giudizio, la volontà dei magistrati di colpirlo anche sul piano civile e finanziario oltre che su quello penale. Di qui, al di là di una comprensibile disillusione per come gli vanno le cose, la testarda, sempre più testarda, volontà del Cavaliere di tener duro.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9008
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« Risposta #338 inserito:: Luglio 26, 2011, 11:16:59 am »

26/7/2011 - TACCUINO

Il mal comune di governo e opposizione

MARCELLO SORGI

I molti guai di governo e maggioranza hanno avuto un effetto anestetico, se non proprio ridimensionatore, sui contemporanei problemi dell’opposizione, alle prese con un periodo assai negativo dopo la boccata d’aria delle amministrative e dei referendum. Limitiamoci ad analizzare i più importanti.

Nel Pd si allarga a macchia d’olio una questione morale che ha i suoi epicentri nei casi Tedesco e Penati. Salvato, il primo, dopo aver chiesto al Senato di autorizzare il proprio arresto, da un voto obliquo e contrario alla posizione ufficiale del partito di cui i senatori democratici hanno avuto in parte responsabilità, e che ha aperto nel partito una resa dei conti guidata dalla presidente del Pd Rosy Bindi contro lo stesso Tedesco, a cui ha chiesto invano di dimettersi per farsi arrestare. Il secondo, già capo della segreteria di Bersani, è invece circondato da una strana forma di solidarietà interna, malgrado la gravità delle accuse nei suoi confronti (le ultime: tangenti al ritmo di venti-trenta milioni di lire al mese), del tutto assente verso Tedesco.

In analoghe difficoltà versa il secondo pezzo di opposizione, il mai decollato Terzo polo di Casini, Fini e Rutelli. Oggetto di corteggiamento da parte del nuovo segretario del Pdl Alfano, il leader dell’Udc conferma, ma piuttosto stancamente, la linea del governo istituzionale. Quello del Fli, spingendosi in avanti, e rinnegando la propria tradizionale posizione anti-leghista, arriva a dire che appoggerebbe un governo Maroni. Con il risultato che il ministro dell’Interno, per evitare sospetti di intelligenza con l’avversario, ha reagito negativamente confermando l’alleanza con Berlusconi fino al 2013. E il Pd fa sapere che sarebbe indisponibile. Mentre i suoi due principali partners cercano in qualche modo di rientrare nel centrodestra, sia pure in un impossibile centrodestra deberlusconizzato, Rutelli prudentemente tace.

Prima d’ora l’inevitabile consunzione di un governo e di una maggioranza avevano sempre favorito, con Berlusconi e prima anche con Prodi, il rafforzamento dell’opposizione e la costruzione di una coalizione alternativa in grado di subentrare a quella in carica e prevedibilmente battuta alle successive elezioni. Invece è la prima volta, negli anni della Seconda Repubblica, che centrodestra e centrosinistra procedono parallelamente nel loro declino, senza che si intraveda una via d’uscita, lasciando che i loro problemi politici si avvitino in una crisi di sistema, che ci riporta indietro di vent’anni.

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« Risposta #339 inserito:: Luglio 27, 2011, 11:02:32 am »

27/7/2011

Le diverse sensibilità istituzionali

MARCELLO SORGI

C’era da aspettarselo, l’intervento di Napolitano e la richiesta di chiarimenti sullo spostamento dei ministeri al Nord. Almeno dalla scorsa settimana, quando Berlusconi era salito al Colle per discutere di rimpasto e sostituzione del ministro di Giustizia, senza fare alcun accenno alla programmata iniziativa leghista. Qui viene allo scoperto la diversa sensibilità formale del Capo dello Stato e di quello del governo. Per Berlusconi, infatti, il trasloco è solo uno dei tanti capricci di Bossi, e neppure dei più importanti, pensando al calvario che il Senatùr ha inflitto al governo in questa inquieta stagione di declino.

Per Napolitano, invece, trovarsi una bella mattina con quattro ministri che, sia pure senza riuscire a trattenere i sorrisi per il ridicolo, inaugurano i loro ministeri a Monza, è del tutto inaccettabile. Specie se questo comporta l’emissione di decreti che devono passare per la scrivania del Presidente della Repubblica.

In realtà la mossa dei ministeri è solo l’ultima iniziativa di propaganda di un partito che si sente minacciato sul proprio territorio e che non sa più a che santo votarsi.

Siccome, appunto, l’anno prossimo si vota a Monza e le probabilità che il sindaco leghista Marco Mariani possa essere riconfermato sono davvero poche, ecco, per rafforzarlo, la messa in scena del trasferimento dei ministeri. Alla quale tuttavia non si sono sottratti due ministri del Pdl come Tremonti e Brambilla: si può immaginare la sorpresa di Napolitano nel vedere il titolare dell’Economia, negli stessi giorni in cui va e viene da Bruxelles per puntellare l’affidabilità economica dell’Italia, prendere parte a una commedia in cui tra l’altro era costretto a consegnare a Bossi un mazzetto di banconote, ufficialmente per pagare a spese proprie il costo del trasferimento degli uffici. A ciò si aggiunga che per quanto sia stato annunciato che le nuove sedi ministeriali non comporteranno costi aggiuntivi per il bilancio dello Stato, è già stato ampiamente dimostrato, nella pratica, come questo sia impossibile. Delle due l’una: o una volta aperti gli uffici di Monza al solo scopo di farli filmare dalle telecamere, li si richiude; oppure, se davvero si vuol renderli operativi, com’è inevitabile dal momento che il pubblico prima o poi vi affluirà, sarà inevitabile dotarli di strumenti di lavoro e di personale. Con nuove spese nel momento meno adatto, visto che è appena stata varata una manovra di tagli e di riduzione dei costi dell’apparato statale.

Meglio sarebbe stato sicuramente per Pdl e Lega interrogarsi sulle responsabilità del suddetto sindaco Mariani per l’insoddisfazione ormai evidente della popolazione monzese, che, solo per fare un esempio, ha visto il proprio primo cittadino difendere il tradizionale Gran Premio di Formula Uno dall’ipotesi di uno spostamento a Roma dicendo che era pronto ad allearsi con Al Qaeda e disposto a far saltare il Colosseo sulla testa dei romani. Una sorta di caricatura dell’originale bossiano. Che adesso, per rimediare alle stranezze di questo sindaco, il centrodestra pensi di trasferire i ministeri a Monza, Napolitano, buona parte dei cittadini monzesi, e forse non solo loro, non riescono a convincersene.

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« Risposta #340 inserito:: Luglio 28, 2011, 05:27:55 pm »

28/7/2011 - TACCUINO

Alfano e i rischi di una strategia tutta Dc

MARCELLO SORGI

L’annuncio delle dimissioni da ministro. E, prima ancora, l’adunata dei capicorrente, dei ministri e degli uomini eminenti delle istituzioni, con stile e metodo che ricordano la vecchia Dc. Ma Angelino Alfano, da ieri a tutti gli effetti segretario del Pdl, sa benissimo che la vecchia scuola scudocrociata può servire, ma non basta. I tempi sono cambiati.

Le ultime elezioni amministrative hanno liberato nuovamente un vento di antipolitica, che se dovesse durare o rafforzarsi, soffierebbe forte contro il partitone berlusconiano, che non ha più niente della natura movimentista impressagli dal suo fondatore.

Da allora in poi, Berlusconi è tornato al governo, ma alla fine della sua seconda legislatura a Palazzo Chigi la sua spinta propulsiva sembra ormai esaurita. Il primo problema per Alfano è: quanto vale, quanto può valere un Pdl che si presenti alle elezioni senza il Cavaliere, o ammesso che ci si possa pensare dato che nessuno ci crede, con un Cavaliere formato padre nobile? E quale dovrebbe essere il volto rinnovato del partito? Più moderato? Più centrista, come si dovrebbe ricavare dalla lezione delle ultime amministrative, che hanno vista sconfitta la linea radicale dell’attacco ai magistrati e della demonizzazione degli avversari?

Le prime mosse di Alfano, compreso l’atteggiamento tenuto ieri durante la conferenza stampa ai corrispondenti stranieri, lasciano pensare a questo. Ma che una forma partito più classica e più simile al modello Prima Repubblica della Dc possa bastare a riempire il vuoto che si aprirebbe, se veramente Berlusconi si facesse da parte, non è detto. Servirebbe, forse, a riavvicinare gli alleati separati Udc e Fli, anche se è improbabile che il Terzo polo rinunci a presentarsi da solo alle prossime elezioni, rendendo impossibile qualsiasi maggioranza al Senato, e riservandosi di trattare dopo con quelli che inevitabilmente sarebbero vincitori dimezzati. Inoltre non risolverebbe il problema di un appeal elettorale molto appannato e di un’immagine del Pdl schiacciata sulla politica professionale e su una classe dirigente che comincia ad assomigliare troppo all’odiata Casta.

Così, superati gli obblighi di rassicurazione dell’insediamento alla segreteria, Angelino è atteso all’« esame società»: quello che il Cavaliere ha sempre superato, anche nei momenti difficili, con la brillantezza e le capacità che perfino gli avversari gli riconoscono. E che Alfano dovrà affrontare senza la sua tutela, ed anzi prendendo il più possibile le distanze dal fondatore.

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« Risposta #341 inserito:: Luglio 29, 2011, 05:56:25 pm »

29/7/2011 - TACCUINO

Il Senatur condannato ad andare avanti

MARCELLO SORGI

L’imbarazzo è evidente. Di Bossi in primo luogo e poi di tutto il governo, dato che la lettera del Capo dello Stato, di cui ieri è stato reso noto il testo, è lunga e circostanziata e muove una serie di rilievi costituzionali inoppugnabili al trasferimento dei ministeri al Nord. Ma il Senatur non avrebbe mai pensato di dover affrontare sul serio un problema che per lui serio non è mai stato. Occorre sempre ricordarsi che tipo è Bossi, uno che nella sua lunga, ormai, carriera politica, ne ha dette e fatte di ogni tipo e non s’è mai preoccupato delle conseguenze delle sue sparate.

Per uno che quindici anni fa metteva in scena la secessione, con la cerimonia, poi ripetuta ogni anno, dell’ampolla e del dio Po, la distinzione tra propaganda e politica intesa sul serio non esiste. L’idea che un giorno o l’altro sarebbe venuto il momento di rendere conto di tutte le balle messe in circolazione non l’ha mai presa in considerazione, anche perché - e in questo, ma solo in questo, non si può dargli torto - gran parte dei politici frequentati o con cui si è alleato Bossi, in molte occasioni, quanto a montare il fumo con la manovella gli davano delle piste.

Ci sono paradossalmente prese in giro più serie di questa dei ministeri al Nord, di cui Bossi teme le conseguenze. A cominciare dal federalismo e dallo slogan platealmente tradito, dei «soldi del Nord che devono restare al Nord», quando ormai sono i sindaci leghisti a dire che Tremonti gli ha svuotato le casse. Aspettarsi quindi che il leader del Carroccio faccia un passo indietro o si applichi a rispondere ai rilievi del Colle, purtroppo non è realistico. Ciò rende per Berlusconi e Letta, che anche ieri nel secondo consecutivo incontro con Napolitano in occasione del giuramento dei nuovi ministri si sono impegnati a replicare formalmente alla lettera del Presidente, più arduo stavolta trovare la quadra, per usare proprio la terminologia bossiana. Il Senatur, di toccare i nuovi uffici di Monza, non ha alcuna intenzione. Di litigare con Napolitano neppure, ma sta ancora chiedendosi perché il Quirinale abbia voluto creare un caso politico su una vicenda puramente inventata, com’è appunto quella del trasloco dei ministeri. Si tratta di due concezioni della politica e della vita pubblica manifestamente inconciliabili. In mezzo alle quali, al momento, è stretto Berlusconi, che ieri ha sperato di cavarsela facendo pubblica raccomandazione ai ministri di evitare ulteriori traslochi. Ma non sembra che Napolitano possa accontentarsi solo di questo.

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« Risposta #342 inserito:: Agosto 02, 2011, 11:48:40 am »

2/8/2011 - TACCUINO

Una mossa per arrivare all'autunno

MARCELLO SORGI


Di fronte al nuovo lunedì nero della Borsa - la peggiore, quella italiana, in un quadro di difficoltà mondiale che neppure l’accordo Usa sul debito è riuscito ad arginare - Berlusconi ha rotto gli indugi e ha deciso di presentarsi in Parlamento mercoledì e di incontrare l’indomani le parti sociali, che lo avevano sollecitato la scorsa settimana con un documento molto duro e mirato a sottolineare l’inadeguatezza del governo alla gravità della situazione.

Con un orizzonte nero come quello di questi giorni, il premier non potrà certo fare miracoli, né parlarne, come faceva ai bei tempi.
Ma la decisione di intervenire alle Camere, che ha sorpreso molti nel suo partito e ha contraddetto alcuni dei suoi più stretti collaboratori, che gli consigliavano prudenza, ha invece una logica precisa. A Berlusconi non è sfuggito che sia l’iniziativa delle parti sociali, Confindustria e sindacati in testa, sia quella della Lega, che per bocca di Calderoli ha proposto di rinunciare alle vacanze e mettere su una sorta di campus aperto alle opposizioni per studiare soluzioni per il Paese, avevano il chiaro obiettivo di spingere per un altro governo. D’emergenza, tecnico o istituzionale, non è questo il problema, dato che la scelta toccherebbe al Capo dello Stato.
Più dichiaratamente le parti sociali, e un po’ meno il Carroccio (che tuttavia, da un esecutivo del genere non vorrebbe a nessun costo restare escluso) si erano mossi nella prospettiva che la crisi economica nel corso dell’estate non potrà che peggiorare, e che in autunno un Berlusconi già cotto a puntino alla fine dovrà arrendersi.

Va detto che questo è l’esatto contrario di quel che il medesimo Berlusconi ha in testa. Il Cavaliere ha accolto molto negativamente il documento delle parti sociali e le mosse dell’opposizione. S’è chiesto: ma come, proprio nei giorni in cui Tremonti, cioè il massimo responsabile della situazione economica italiana, rischia di precipitare negli abissi a causa dei suoi traffici personali, tutti ancora una volta vengono addosso a me?

E, superata la rabbia per l’ultimo attacco che considera ancora una volta pregiudiziale, il premier ha deciso così di reagire. Qualsiasi cosa dirà mercoledì in Parlamento e giovedì alle parti sociali, il senso dei suoi prossimi interventi si può dunque anticipare già oggi: se pensate davvero di farmi fuori così, scordatevelo. In autunno, al massimo, se proprio volete un segno di cambiamento, vi darò la testa di Tremonti.

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« Risposta #343 inserito:: Agosto 03, 2011, 04:22:15 pm »

3/8/2011 - TACCUINO

La coalizione e il timore di un collasso

MARCELLO SORGI

La vigilia dell’intervento del presidente del consiglio alle Camere ha coinciso con un’altra giornata di sofferenza dell’Italia sui mercati, che ha portato la pressione sui titoli pubblici ormai oltre il livello di guardia. Non c’è ancora, è bene precisarlo, la convinzione che il Paese possa collassare, anzi i segnali che vengono dall’Europa dicono il contrario, anche se i dati sullo spread dei titoli ci avvicinano pericolosamente alla Spagna. Ma in un momento di forte speculazione l’Italia paga il prezzo di una persistente instabilità politica, determinata anche da fattori incommensurabili come il cattivo stato di relazioni interne della coalizione.

In altre parole: se il presidente del consiglio e il ministro dell’Economia - fatto segno peraltro per la prima volta di un duro giudizio del Financial Times - continuano ad avere rapporti tali che il primo decide di presentarsi in Parlamento senza avvertire il secondo e senza condividere minimamente il senso del suo intervento, che avrà un effetto cruciale sulle valutazioni dei mercati sull’Italia, il risultato di tutto ciò, fin dalla vigilia, è quel che è accaduto ieri. Rispetto a cui il richiamo che il Capo dello Stato, esplicitamente preoccupato, ha ribadito ieri - dopo un incontro, il secondo in pochi giorni, con il Governatore della Banca d’Italia -, rivolto sia alla maggioranza che all’opposizione, e la lunga riunione del comitato per la stabilità che Tremonti ha convocato al suo ministero erano chiaramente mirate a convincere gli osservatori esterni che la situazione, malgrado tutto, sia sotto controllo.

Ma naturalmente l’eventuale recupero di credibilità italiana resta legato soprattutto a quel che Berlusconi dirà oggi nel discorso in Parlamento. Un appuntamento a cui il premier arriva in condizioni tutt’altro che buone: con la Lega, timorosa di un nuovo giro di vite in materia di rigore, che minaccia addirittura di non presentarsi o di assicurare solo una rappresentanza simbolica. E l'opposizione, incurante degli appelli del Quirinale, che insiste perché Berlusconi passi la mano, o si rassegni, come ha fatto Zapatero, ad andare ad elezioni anticipate. Ma Berlusconi non ci pensa affatto.

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« Risposta #344 inserito:: Agosto 04, 2011, 09:50:52 am »

4/8/2011

Un copione all'ennesima replica

MARCELLO SORGI

Per unanime riconoscimento, il dibattito di ieri in Parlamento è stato una delusione. Chi si aspettava una risposta alla preoccupante, quotidiana, evoluzione della crisi non l'ha certo trovata. Così come nessuno ha visto quello scatto in avanti di Berlusconi, che tutti, a cominciare dai suoi più stretti collaboratori, ritenevano necessario. Purtroppo la ragione di questo passaggio inutile, se non proprio controproducente, è chiara: il Cavaliere è arrivato alla Camera per rispondere, non sul che fare, ma sul chi.

Dopo giorni e giorni in cui si vagheggiava di un premier ormai travolto dal vento impetuoso dei mercati finanziari, Berlusconi ha detto a tutti senza mezzi termini che non intende farsi da parte, né aprire a qualsiasi ipotesi di governo diverso dal suo.

Spalleggiato da Angelino Alfano, che parlava per la prima volta da segretario del Pdl, da cui tuttavia affiorano riserve sempre più forti sulla resistenza del leader, Berlusconi ha potuto così ripetere, parola più parola meno, la sua risaputa analisi all’acqua di rose della crisi. Una crisi americana, giapponese, mondiale, di cui a suo giudizio l’Italia fa le spese come altri e non peggio di altri, in attesa che si dispieghino gli effetti della manovra appena varata e pienamente condivisa dalle autorità europee. Per inciso, sarà la terza o quarta replica di un copione a cui Berlusconi, malgrado i consigli responsabili di esperti che meglio di lui sanno leggere i numeri inquietanti della congiuntura, non intende apportare alcun cambiamento, nel timore di giocarsi il consenso - quel poco che gli rimane - di un’opinione pubblica che prima o poi verrà nuovamente chiamata a votare.

Si dirà che è prova di incoscienza far finta di niente o quasi, davanti a quel che sta accadendo e in presenza di un estremo appello del Capo dello Stato al senso di responsabilità e all’indicazione di nuove misure - diffuso tra l’altro, da Napolitano, dopo due incontri consecutivi con il Governatore della Banca d’Italia. Oppure, che almeno un elemento di chiarezza, dal dibattito di ieri, è sortito: siccome Berlusconi non è affatto rassegnato a fare quel «passo indietro» in cambio del quale l’opposizione sarebbe disposta a fare un «passo avanti», sulla strada delle scelte dolorose invocate dagli osservatori più qualificati per fermare l’avvitamento dell’Italia sui mercati, bisognerà prendere atto che il Paese si salva - se davvero si salverà - con Berlusconi, e non senza di lui o con quel che potrebbe venire dopo di lui.

D’altra parte, anche se si tratta di un ragionamento puramente formale, che non tiene nel dovuto conto la realtà, in punta di principio non c’è nulla, se non il voto contrario del Parlamento, che obblighi il governo a dimettersi. E non è neppure una prepotenza il fatto che Berlusconi voglia avvalersi fino in fondo di questo, senza mostrare sensibilità per l’aggravarsi del quadro economico del Paese. E’ un suo diritto. Al dunque, il problema vero non sta nella sua insistenza ad andare avanti, ma nel non dire cosa vuol fare. Non lo dice, per altro, non perché non lo sappia, ma al contrario perché sa benissimo che ogni minimo spostamento da una manovra concordata tra mille difficoltà, e già contestata nella sua applicazione, aprirebbe una crepa forse insanabile nella fragile maggioranza che l’ha votata appena due settimane fa.

Stanno essenzialmente in questo, sia la debolezza del Cavaliere che i mercati percepiscono chiaramente, allontanando giorno dopo giorno i propri investimenti da noi, sia la profondità dell’abisso a cui anche ieri il Paese s’è avvicinato. Se stamane all’apertura le Borse gettano ancora più giù l’Italia, o Berlusconi dice cosa vuol fare per salvarla, o rischia di portarla al naufragio insieme a lui.

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