Calenda: “Con Berlino e Parigi ripensiamo il ruolo della Ue”
Il ministro per lo Sviluppo economico: così com’è l’Europa non tiene. E sul caso Tim dice: “Ci sono gli estremi per usare la Golden Power”
I Grandi a Torino. Si apre oggi a Venaria, alle porte di Torino, il G7 del mondo dell’industria e della tecnologia. Molti i temi in agenda fra cui il ruolo delle nuove tecnologie
Pubblicato il 25/09/2017
MARCO ZATTERIN
Nel mezzo della discussione con Carlo Calenda su cosa sia lecito attendersi dal triplice G7 industriale e tecnologico che si apre oggi a Torino arrivano gli esiti del voto in Germania. Vince Merkel, indebolita, come previsto. «Questo può essere il mandato più europeista della cancelliera che ha contribuito a tenere in piedi l’Europa ma non è riuscita a vincere le resistenze interne e lanciare un’agenda di crescita e sviluppo, commenta a caldo il ministro per lo Sviluppo economico - ed è un’occasione straordinaria: insieme con tedeschi, francesi e spagnoli dobbiamo impegnarci a ragionare sui contorni di un’Europa che, così com’è, non tiene nel lungo periodo».
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Non solo. Con Berlino e Parigi si deve discutere insieme e far fronte anche davanti agli Usa per evitare i rischi insiti nella nuova rivoluzione industriale. Un esempio? «Gli standard - risponde rapido -: devono essere aperti».
Ministro, cosa c’è sul tavolo del «vertice 4.0» torinese?
«Ci sono i temi etici e le implicazioni sul lavoro sollevati dallo sviluppo delle nuove tecnologie e dall’impatto atteso sull’economia globale. Dobbiamo ragionare su sfide e opportunità legati a intelligenza artificiale, standard e cyber sicurezza. I sette paesi democratici più forti devono trovare una posizione comune».
Qual è il risultato minimo accettabile?
«Una forte dichiarazione congiunta che cominci a definire i limiti e il percorso di sviluppo dell’intelligenza artificiale. Con criteri che noi vogliamo stringenti, perché l’innovazione è una opportunità, ma anche un rischio. Lo stesso sulla cyber sicurezza, bisogna scambiare le migliori esperienze in seno al G7, anche per far fronte agli attacchi che spesso hanno come obiettivo le democrazie avanzate. Bisogna poi discutere di standard, su chi li fissa e li gestisce. Non si può accettare che un dato gruppo produca un macchinario che dialoga solo con un certo software, perché così si limita l’accesso al mercato in particolare per le Pmi».
Cosa intende per intervento sull’etica della rivoluzione industriale?
«Quello che il governo Gentiloni ha già cominciato a fare con il secondo capitolo di Impresa 4.0. Si tratta di impegnarsi perché si possano riqualificare le competenze che sono divenute obsolete per una parte dei lavoratori. Il tema sarà al centro della politica industriale italiana ed europea nei prossimi anni. La partita delle competenze e della formazione va giocata in attacco anche per sconfiggere quel rifiuto della modernità che vediamo emergere ovunque nelle nostre società, dai vaccini alla sindrome “Nimby”».
È stato un parto difficile, questo del G7 torinese.
«Surreale, per quanto riguarda le polemiche sulla città. Soprattutto perché a me interessa il contenuto del vertice e non dove si tengono i pranzi e le colazioni. Sono riunioni di lavoro con obiettivi difficili e temi controversi. Certo è che, quando abbiamo scelto Torino, pensavamo fosse la scelta perfetta per celebrare il cammino industriale di questa città. Spiace che si siano dovuti cambiare i programmi».
C’è paura di disordini.
«I “contro G7”, se pacifici e focalizzati sui contenuti, sono benvenuti. Anzi, sono fondamentali per allargare il dibattito. Quando la protesta ostenta la ghigliottina, diventa un ridicolo atto adolescenziale che si commenta da solo».
Serve un patto con Francia e Germania per dare più forza all’Ue in questo dominio?
«Ce l’abbiamo già. Angela Merkel ha accolto l’idea italiana di organizzare i summit a tre con Italia e Francia per ragionare sul rinascimento industriale Ue. Occorre un equilibrio per la nuova industrializzazione. Però il tema vero è il confronto con gli americani, per vedere se sono sulla nostra linea o vogliono davvero far regolare tutto dal mercato».
A proposito di francesi. È la settimana di Stx. Come va?
«Stiamo lavorando. Ci sono premesse per raggiungere un’intesa che dovrà tenere conto sia delle preoccupazioni dei francesi sull’export del “know how” che delle nostre che riguardano la necessità di avere un controllo effettivo per far funzionare il gruppo».
Il 51% di Stx all’Italia è intoccabile?
«Lo è».
Il ramo militare e civile vanno insieme o a tappe separate?
«Se c’è un accordo sui cantieri, si può far partire un ragionamento che conduca in tempi piuttosto serrati a un’intesa paritetica fra Fincantieri e Naval Group. Vogliamo un’alleanza europea molto importante, ma fatta con tutte le garanzie. Per questo nelle scorse settimane abbiamo lavorato insieme con ministri Pinotti e Padoan per coordinare la posizione dei vari attori italiani».
Quanto è legato a Telecom, il caso Stx?
«In alcun modo. Molto semplicemente l’Italia vuole che un investitore che viene da noi, ed è benvenuto, rispetti le regole. Nel caso di Vivendi-Tim era previsto l’obbligo di notifica e Vivendi non l’ha fatto. Noi non siamo un Paese aperto a scorrerie o che possa essere trattato con leggerezza».
Detta così, sembra che lei stia invitando a utilizzare la Golden Power per Tim.
«La valutazione spetta al comitato competente. Tuttavia io credo che ci siano gli estremi».
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