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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 108415 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Marzo 31, 2008, 12:47:40 am »

2008-03-30 15:21

VELTRONI: SE PERDO HO IL DOVERE DI CONTINUARE ALLA GUIDA DEL PD


 ROMA - "Ho preso un impegno per fare un grande partito, il Pd, e continuerò ad assolvere l'impegno preso il 14 ottobre con tre milioni e mezzo di persone, lo farò fino a quando non potrà essere superato da una scadenza analoga, fino ad allora ho il dovere etico di continuare a guidare il Pd". Lo ha detto il leader dei Democratici, Walter Veltroni, replicando a chi gli chiedeva, durante una intervista a Sky tg24, che farà in caso di sconfitta del Partito Democratico alle elezioni. E' stato "un grosso rischio", ha aggiunto Veltroni, abbandonare i partiti più radicali in vista delle elezioni, ma penso fosse la cosa giusta.

"Il nostro è un modo nuovo di fare politica e campagna elettorale, rispetto alle parole d'odio invecchiate di quindici anni: si continua a ballare sul Titanic mentre il Paese avrebbe tutte le potenzialità per ripartire". Così il leader del Pd, Walter Veltroni, incontrando militanti e sostenitori in uno dei gazebi allestiti per il Democratic-Day. Spiegando il significato del ritorno in piazza dei gazebi delle primarie del 14 ottobre, Veltroni ha spiegato che servono "a dare l'ultima spinta" prima del voto, "con lo stesso spirito e la stessa novità del 14 ottobre".

"Non c'é nessuna possibilità che dopo il voto si crei un governo delle larghe intese". A ribadirlo è il segretario e candidato premier del Pd, Walter Veltroni, partecipando al D-Day in un gazebo a piazza Fiume. "Non esiste nessuna coalizione - ha detto con forza Veltroni - e non esiste nessun governo delle larghe intese, ma esiste la necessità di fare con le larghe intese le riforme istituzionali". Il leader del Pd ha di nuovo sottolineato il fatto che "chi vince, anche di un solo voto, governa", che quello delle larghe intese è un tema che "non esiste" come non c'é nessuna possibilità di "inciucio": "Ma le riforme - ha concluso - si fanno insieme".


AVVENIRE: TONI SCONCERTANTI
Il giornale dei vescovi esorta i candidati a concentrarsi sui temi reali e lancia un appello per "restringere l'area dell'astensione". "Non serve divagare, ideologizzare e gridare di più ", ammonisce il quotidiano. "Meglio cominciare una buona volta - sottolinea - a parlare chiaro". "Basti pensare - prosegue - che i temi forti sono quasi esclusivamente quelli legati, udite, udite, alla 'par condicio' e agli stucchevoli interrogativi intorno al duello tv tra i principali contendenti Silvio Berlusconi e Walter Veltroni". "Un paio di settimane fa - osserva 'Avvenire' - avevano provato a sollecitare da parte di tutti i candidati premier un'operazione trasparente che desse la possibilità a cittadini-elettori di rendersi conto di come si vorrebbe finanziare le detassazioni e gli aumenti pensionistici fatti balenare in programmi e comizi. Inutilmente"


BERLUSCONI: VINCEREMO, NO A LARGHE INTESE
"I sondaggi in nostro possesso ci danno un margine più che tranquillizzante anche al Senato: da 28 a 30 e più senatori. Quindi niente larghe intese, niente grande coalizione, niente di niente. Chi prende più voti, e più seggi, ha il dovere di governare". In una intervista al Quotidiano nazionale- Il Resto del Carlino, il leader del Pdl Silvio Berlusconi delinea gli scenari del dopo elezioni e rilancia i temi al centro della campagna elettorale
--- ALITALIA- "Il mio appello a tutti gli imprenditori ha già impedito la svendita d Air France, come voleva il Governo, che invece ha dovuto prendere atto che la trattativa con la compagnia francese non era l'unica possibile.
--- PENSIONI - La nostra proposta prevede un meccanismo di adeguamento al costo della vita per chi dispone di un reddito massimo di mille euro al mese, non certo, come è stato scritto in malafede, di portare il minimo a mille euro al mese, il che comporterebbe un costo per lo Stato di oltre 20 miliardi di euro. Veltroni invece ha promesso la luna ai pensionati, e tuttavia nel programma del Pd la parola pensioni non è neppure citata, forse perchè Veltroni è anche lui un pensionato, un baby pensionato della politica"
--- DUELLO IN TV CON VELTRONI - E' impossibile farlo, a causa della legge sulla par condicio, una legge che la sinistra s'inventò ai tempi di Scalfaro per impedirmi di apparire in tv. Quella legge è ancora in vigore perchè l'Udc non ci consentì di abolirla.
--- ECONOMIA - Faremo un piano casa per le giovani coppie; prevediamo sgravi fiscali per le aziende che assumono e meno tasse, così' faremo ripartire l'Italia.


VELTRONI: LA PARTITA E' APERTISSIMA, POSSIAMO VINCERE
"Una settimana fa avrei detto che la partita è aperta, adesso dico che la partita è più che mai aperta. Sono assolutamente ottimista. Sono loro che parlano di pareggio". Il leader del Pd Walter Veltroni, in una intervista all'Unità dal titolo "L'Italia vuole speranza e non paura", evoca gli ultimi giorni della campagna elettorale di due anni fa, e ne sottolinea le analogie, per quanto riguarda gli elettori indecisi. "Mi sono fatto portare i sondaggi del 2006 a 15 giorni dal voto. Erano proprio come adesso; secondo me, già allora, 15 giorni prima del voto, le cose non stavano come dicevano i sondaggi. Ora come ora posso dire che la situazione, a parti invertite, è molto migliore di allora; ci sono ottime possibilità di vittoria. ---. ALITALIA - Sulla vicenda la gente pensa:c'è una grande confusione, c'è una seria trattativa in corso e improvvisamente è arrivata una proposta strumentale e vaga. La vicenda Alitalia spiega la filosofia economica della Destra. I liberali non hanno niente da dire? --- IL DOPO ELEZIONI - Chi vince governa e se la situazione fosse di assoluto equilibrio, insieme si devono rapidamente approvare le riforme indispensabili. Se non c'è un sistema governabile, la colpa è della Destra. Anche Casini ha sbagliato. Se avesse rotto allora, invece di farsi mettere alla porta dopo, probabilmente oggi la situazione sarebbe diversa. --- SOGLIA DEL SUCCESSO - Il dibattito sulla soglia del successo, al di sotto della quale il gruppo dirigente andrebbe a casa è iniziato su qualche giornale ed è finito. Non ci sono soglie, ci sarà solo da registrare che c'è un partito nuovo, anzi la più grande forza riformista che la storia politica italiana avrà conosciuto ---




POLEMICA SU VOTO DISGIUNTO - Accordi con la sinistra radicale? Non so cosa parli Berlusconi --- MAFIA - La frase detta in Calabria ( mafia, camorra, 'ndrangheta facciano quello che vogliono ma non votino il Pd, NdR) aspetto che la dicano anche gli altri.

di Yasmin Inangiray

ROMA - Il confrontro televisivo tra Berlusconi e Veltroni continua ad essere uno dei temi 'caldi' della campagna elettorale. E se Veltroni si dice disponibile ad un faccia a faccia con il Cavaliere ("Avrei voluto discutere di tutto in un duello tv", dice il leader del Pd da Brescia) lo sfidante a distanza replica attribuendo la colpa del mancato faccia a faccia alla "divieto" imposto dalle norme della par condicio: "Una legge insulsa". Una spiegazione, quella di Berlusconi, che non convince affatto il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni: "Non c'é alcun divieto - controbatte il ministro del Pd - Berlusconi abbia almeno il coraggio di dire che ha paura". In assenza del piccolo schermo però il confronto tra i due prosegue a suon di dichiarazioni. Veltroni, pur senza mai nominare il leader del Pdl, critica infatti la scelta dell'ex premier di non partecipare alla trasmissione tv 'In mezz'orà: "E' un atto di poca responsabilità". A gettare benzina sul fuoco ci aveva pensato anche Enrico Mentana, annunciando la partecipazione nella puntata di Matrix dell' 11 aprile dei leader di Pd e Pdl. In realtà, l'ex direttore del Tg5, pur dicendosi pronto ad ospitare un confronto diretto, precisa che l'annuncio riguardava la presenza, nella stessa puntata di due interviste separate ai due candidati premier. Chi invece ha già deciso che non farà nessuna conferenza finale è il premier uscente Romano Prodi: la scelta è dettata da "una semplice ragione di coerenza". Il presidente del Consiglio ricorda infatti che due anni fa, quando il premier era Berlusconi "il Governo chiese di fare una conferenza, una trasmissione tv da parte del presidente del Consiglio. Io protestai - dice ancora Prodi - perché non mi sembrava coerente con la parità di condizioni. Stavolta mi sono trovato nella situazione opposta e già un mese fa dissi: non facciamola". Una scelta che incontra il plauso di Massimo D'Alema e Rosy Bindi mentre, per Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi la scelta del presidente del Consiglio è condizionata da Veltroni: "Si tratta di un atto politico - attacca Bonaiuti - Veltroni non vuole che proprio l'ultimo giorno prima delle elezioni Prodi ricordi con la sua faccia agli italiani quanto è stato disastroso il governo della sinistra". Convinto che Berlusconi debba affrontare Veltroni è il leader della Lega Nord Umberto Bossi che in un'intervista al Corriere non ha dubbi: il Cavaliere, dice "non dovrebbe rifiutare il confronto con Veltroni" perché aggiunge il Senatur "Berlusconi vincerebbe a mani basse. E' il più simpatico e quando va in televisione scherza e non parla di politica". La 'colpa' delle difficoltà nell'organizzare un duello tv è invece, secondo il senatore di Forza Italia Renato Schifani, da attribuire "ai limiti della legge sulla par condicio". Pronto al duello è il candidato premier dei socialisti Enrico Boselli: "In Italia abbiamo più reti televisive che candidati premier, quindi non vedo il problema: perché io non posso sostenere un confronto con Veltroni o con Berlusconi". Non si tira indietro nemmeno il candidato premier dell'Unione di Centro Pier Ferdinando Casini che pone però un unico paletto: " Il confronto in Tv lo farei con Berlusconi perché Veltroni è la brutta copia di Berlusconi e io alla copia preferisco l'originale". Chi non ha dubbi che il duello tv Berlusconi-Veltroni alla fine si farà è l'ex segretario dei Ds Piero Fassino: "Mi pare che in queste ore stiano maturando decisioni per definirne la data e l'ora", dice Fassino, che definisce il confronto tra i due "non solo auspicabile ma scontato".


VELTRONI 'CHIAMA' VOTO OPERAI: SERVE UN NUOVO PATTO SOCIALE


dell'inviata Chiara Scalise

BRESCIA - Walter Veltroni tenta un'altra impresa 'impossibile': andare alla riconquista della classe operaia. Ma non quella che fa fatica a mettere insieme il pranzo e la cena, bensì quella del Nord Est. Quella che fino a ieri aveva uno stipendio invidiabile ma che oggi, con la crisi che aleggia, stenta a arrivare alla quarta settimana, come riconosce il leader del Pd dal Palco della Conferenza operaia di Brescia. Ed è questa la ragione per cui, scandisce fra gli applausi, serve "un nuovo, grande patto sociale". Il partito democratico vuole tutto fuorché ancorarsi a vecchi schemi ma questo non toglie, spiega Veltroni, che la sua identità resti chiara: è il partito del lavoro. In un mondo, dove lavoratori sono tutti: i colletti blu ma anche, sottolinea, gli impiegati, gli artigiani e i piccoli imprenditori. Una conferenza operaia quindi dove non va in scena il conflitto di classe. Ad ascoltare ci sono i tre leader sindacali (Epifani, Bonanni e Angeletti si intrattengono anche una mezz'ora in privato con il segretario del Pd) ma chi si aspettava attacchi al mondo dei 'padroni' ha evidentemente sbagliato indirizzo: l'unico limite, che tutti devono avere a mente - non si stanca di ripetere Veltroni - è il diritto alla sicurezza.

Per il resto, afferma perentorio il candidato premier, via libera anche a 1000 imprese al giorno. E allora sventolano le bandiere, bianche e verdi, e molti si alzano in piedi. Veltroni lo dice chiaro e tondo: l'Italia ha una priorità, si chiama salari. "Aumentare gli stipendi, ma anche le pensioni - dice - è la vera emergenza nazionale". L'occasione è quella giusta per far sapere che ormai il disegno di legge sul compenso minimo è pronto. E se il Pd dovesse vincere sarà fra i primi provvedimenti approvati dal Consiglio dei ministri. Il messaggio che il leader del Pd vuole inviare è chiaramente di ottimismo: cambiare? Trasformare l'Italia in un Paese normale, dove il merito valga e dove l'ascensore sociale torni a funzionare? Non solo si può fare, ma lo "stiamo già facendo, e lo stiamo facendo - insiste Veltroni - tutti insieme". Sì perché se la partita delle elezioni è incerta, una sfida è già vinta: "Creare una grande forza riformista". Non solitaria, ma libera, spiega ancora Veltroni. Il che non vuol dire dimenticare che la competizione è aperta, né che rimontare resta una necessità. E così dal palco di Brescia il leader del Pd non risparmia fendenti al centrodestra: il Pdl è la "continuazione, stanca, di quanto abbiamo già visto nel 2001, nel 2002...fino alla primavera del 2006". E cosa hanno saputo fare? "Poco, niente": anzi dopo "l'eroica avventura dell'euro fatta da Prodi non hanno fatto l'unica cosa davvero necessaria: controllare che i prezzi non impazzissero".

E poi Alitalia, la politica estera tutta da rifare (hanno fatto "un'icona di Bush, unici nel panorama delle destre europee", afferma sarcastico): l'elenco degli errori è lungo. E allora scatta l'appello: "Gli operai sono persone concrete e sanno che l'esito delle elezioni dipenderà anche dal loro voto. E dal loro voto - conclude il candidato premier - dipende il loro futuro". La partita è ancora aperta, fa sapere poi in serata da Latina, e la vittoria sbandierata da Berlusconi sulla base dei sondaggi non è reale: "Quelli del 2006 - ricorda - davano l'Unione davanti di sei punti, ma non si sono realizzati". E il voto degli indecisi, avverte, si sta spostando verso il Pd.


BERLUSCONI A VELTRONI, SCHIZZINOSO SU CRIMINE MA DS NO

dell'inviato Marcello Campo

CATANZARO - "Peccato che 3 anni fa il suo partito non sia stato così schizzinoso...'". Così Silvio Berlusconi da Catanzaro risponde a brutto muso al leader del Pd, Walter Veltroni, che ieri, a Reggio Calabria, aveva detto che la 'ndrangheta non deve votare per il Pd. Nel teatro comunale, nel corso di una conferenza stampa piu' simile però a una manifestazione elettorale, Silvio Berlusconi attacca il centrosinistra, a partire dalla giunta calabrese e quella campana, sul fronte della lotta alla criminalità. "Io non posso che confermare cosa dissi nel '94 a Palermo: ogni nostro voto sara' usato per combattere la mafia. Nessuno è in grado di darci lezioni". Secondo il Cavaliere, infatti, dopo il voto del 13 e 14 aprile il centrodestra si impegnerà a cancellare "gli emblemi negativi", rappresentanti dalla giunta di Bassolino e di Loiero. La lotta alla criminalità organizzata, dice, passa anche dalla battaglia degli imprenditori contro il pizzo. E su questo punto un cronista chiede a Berlusconi il suo giudizio sul differente atteggiamento assunto dalla Confindustria siciliana, schierata a fianco di chi non paga, e quella calabrese che protesta contro l'inefficienza dello stato ricordando che loro "non possono essere avamposto della legalità". "Secondo me - risponde Berlusconi - hanno ragione tutti e due. Perché le imprese possano avere comportamenti coraggiosi é necessario che lo stato stia al loro fianco, cosa che finora non è accaduto". Sempre in polemica con la giunta calabrese, Berlusconi annuncia che se dovesse andare al governo valuterà l'ipotesi di un suo scioglimento, un'amministrazione che, ricorda: "é per due terzi formata da indagati o inquisiti". Dopo aver ribadito che la cordata italiana su Alitalia "é ormai nei fatti" e che "non è più affar suo ma la palla è nelle mani degli imprenditori", Berlusconi parla anche di duello tv: "Quello con Walter Veltroni è un confronto impossibile perché vietato dall'attuale par condicio, una legge insulsa. Se Veltroni concedesse a me tale possibilità, dovrei avere più di 100 confronti con candidati premier". Ma Berlusconi, sottolinea che certamente non teme Veltroni: "Figuriamoci se ho paura, con Veltroni sarebbe molto facile metterlo a terra. E' uno di parole, io di fatti". In un clima di grande calore c'é anche una giornalista di colore di una televisione locale estasiata dal Cavaliere: "Mi conceda di dirle che è bellissimo". "Cara signora - risponde il Cavaliere - riceverà un mio segno di ringraziamento". Berlusconi conferma di essere certo della vittoria: "Se tutti gli annunci di avvicinamento fatti da Veltroni - scherza - fossero veri a quest'ora il Pd sarebbe avanti 130 a 100". I sondaggi, dice più tardi dal palco del comizio di Cosenza, dicono che ha "la vittoria in tasca". E così può permettersi di scherzare sul suo avversario Veltroni: "Non trattatelo male, gli hanno affidato un compito impossibile". Sicuro della vittoria, però lancia un'allarme e lo rivolge soprattutto ai mass media: "In tantissimi - dice a Catanzaro - non conoscono gli effetti di questa legge elettorale. I media dovrebbero informare meglio su questo punto, altrimenti potremmo arrivare a risultati che non corrispondono alla reale volontà degli elettori". Al termine della conferenza stampa-iniziativa elettorale, Berlusconi esce dal teatro circondato da una grande folla che riempie la piazza e lo saluta con grida da stadio. Lui non si sottrae è microfono in mano, improvvisa l'ultimo comizio: "sono convinto che il 13 e 14 aprile l'Italia volterà pagina. In quel caso - conclude tra gli applausi - vi garantisco un'attenzione particolare ai problemi della Calabria, a partire dal ripristino della legalità e dalla riapertura dei cantieri per le strade, le infrastrutture e il ponte, chiusi dalla sinistra". La giornata elettorale, iniziata in Sicilia e proseguita in Calabria, sta per concludersi col comizio a Cosenza.


CASINI: SENZA PAR CONDICIO SAREMMO IN DITTATURA

ROMA - "Senza la par condicio oggi saremmo già virtualmente in una specie di dittatura della comunicazione politica". Lo dice Pierferdinando Casini in un'intervista sul nuovo numero del mensile free press Pocket. "Accettarne l'abolizione - prosegue - sarebbe stato il vero marchio d'infamia. Anche se sui limiti dell'applicazione di questa legge tutti gli italiani si sono fatti un'idea guardando ogni sera la tv e la sproporzione della presenza dei partiti maggiori. Ma questo non ci spaventa perché arriveremo agli italiani nonostante Rai e Mediaset". Dei salotti televisivi che parlano di politica Casini dice: "Io non mi lamento - dice - semplicemente, mi secca non avere il tempo o l'opportunità per articolare la mia proposta. Non vorrei insegnare il mestiere a nessuno, ma ho l'impressione che a volte i giornalisti sottovalutino l'intelligenza degli spettatori, così come certi politici sottovalutino quella degli elettori. Spesso - conclude - in tv si fa gossip politico invece di parlare delle cose serie e delle proposte per tirare fuori l'Italia dalle secche". 


da ansa.it
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« Risposta #121 inserito:: Aprile 01, 2008, 05:16:09 pm »

POLITICA LA LETTERA

L'Italia della realtà e quella della tv

di WALTER VELTRONI


CARO direttore, vedere l'Italia. Candidarsi a guidare un Paese implicava per me quest'obbligo e questa grande curiosità. Vedere l'Italia fa bene. Fa bene uscire dal racconto che la televisione ci regala ogni giorno e sul quale - ne ho raggiunto ormai la piena consapevolezza - tutto il dibattito pubblico si è riferito in maniera ossessiva e facile negli ultimi anni. Anche la politica.

Ho visitato più di ottanta province e alla fine del mio viaggio le avrò viste tutte. In Italia, l'Italia della televisione non c'è. C'è un Paese diverso. Un altro programma, migliore. I modelli, i valori, le parole, il linguaggio, non sono quelli che si ascoltano seduti sul divano di casa. La televisione non racconta e non rappresenta con verità quello che siamo.

È un mondo a parte ormai. Fatto di avatar che magari parlano anche italiano, ma che si muovono e interagiscono tra di loro in maniera totalmente innaturale. Reality e realtà non sono la stessa cosa, anzi spesso sono l'opposto. Persino l'innaturale bianco e nero della vecchia tv era più colorato e realistico dei nostri modernissimi e piatti - in tutti sensi - schermi al plasma. Ho cercato, da ministro delle attività culturali e da sindaco di Roma, di praticare un'idea semplice, persino ovvia. La cultura è l'unicità italiana. E la sua irripetibilità è una delle nostre più grandi ricchezze.

Le attività culturali fanno crescere bene i giovani, offrono loro occasioni belle di incontro, ne esaltano la creatività, li avvicinano alle grandi questioni del loro tempo e del futuro. Non dimentichiamoci che l'arte mette in scena il patrimonio delle nostre esperienze vitali, e rivela i nuovi e ancora segreti bisogni degli uomini. La cultura serve alla politica più di quanto la politica serve alla cultura. Nella spinta verso il cambiamento non si può fare a meno di spalancare spazi alle nuove idee, alle nuove arti, all'espressione della nostra contemporaneità, alle ragazze e ai ragazzi curiosi del mondo, e che vogliono raccontarsi con ogni forma di comunicazione.

Non va dimenticato che l'Italia è il regno dell'arte e della bellezza, splende di una cultura antica e nobilissima. Là dove i doni della storia, gli oggetti testamentari dei nostri antenati sono lasciati da parte o poco valorizzati, lo Stato ha il dovere di riportare vita. Gli stranieri che vengono da noi a bearsi delle antiche virtù italiane, devono guardare al nostro presente con lo stesso rispetto e ammirazione. Bisogna lavorare affinché alla cultura, proprio perché testimone vivente della nostra ricchezza artistica, non si faccia la carità, non sia un costo oneroso, ma una risorsa importante, un'opportunità di lavoro e una fonte di orgoglio e benessere per tutti i cittadini, persino una parte di quella strategia di crescita del Pil che è la mia priorità.

Attualmente i vari comparti della cultura e dell'arte, dal cinema alla musica, ai concerti, alla danza, agli spettacoli dal vivo, eccetera non possono agire con scioltezza e velocità perché sono incagliati nelle more di una burocrazia complicata, contraddittoria, farraginosa e frustrante. Molto si può risparmiare, ad esempio, semplificando la vita dei luoghi e delle imprese culturali, liberandoli dai piccoli e grandi ricatti amministrativi. Si dovrà agire affinché il pubblico dei musei, degli spettacoli e i lettori di libri tornino centrali nella politica delle istituzioni culturali, com'è avvenuto all'Auditorium di Roma, fiore all'occhiello della città e del paese.

Solo in questo modo si potrà puntare a una reale produttività della cultura. Così come bisognerà stabilire al più presto i profili professionali di chi vi lavora, affrancandoli da una insopportabile condizione precaria. E anche nell'ambito dei diritti d'autore i democratici vogliono affrontare la materia, considerando l'artista e il creativo lavoratori a tutti gli effetti, con i loro doveri e i loro diritti. E questo perché senza la loro opera non esisterebbero né arte né cultura.

In armonia con le politiche europee, l'Italia deve pensare a difendere e a costruire per il futuro la sua specifica identità. E se è vero che il processo di globalizzazione tende a farci tutti uguali, a valorizzare i grandi numeri e ad abbandonare a se stessi i piccoli (dove spesso c'è il meglio), è anche vero che offre opportunità nuove, che richiedono da parte nostra coraggio, apertura mentale, prontezza creativa e imprenditoriale. Al contrario di ciò che si pensa, il villaggio globale non ha un solo, megagalattico mercato, ma tanti banchi capaci di soddisfare i gusti più lontani e più diversi.

Certo, noi tutti, anche individualmente, sentiamo la necessità di custodire la nostra singolarità, la nostra unicità, la nostra personalità. La scuola, in proposito, non dovrebbe rendere i ragazzi tutti uguali, ma agire affinché emergano le differenze. La globalizzazione non è un mostro ringhiante, e anche se lo fosse sarebbe vile e sciocco non domarlo. La cultura è fondamentale proprio perché protegge l'integrità etica e spirituale degli esseri umani.

Diceva André Malraux che la cultura è ciò che ha fatto dell'uomo qualcosa di diverso da un accidente del cosmo. Soltanto con una visione ampia, non corporativa della cultura, si è più efficienti e si possono aprire spazi al nuovo, anche sul piano creativo. La coscienza di lavorare tutti per il medesimo scopo, al servizio non solo di noi stessi, ma della comunità e dei nostri figli, è una qualità intrinseca, necessaria a ogni civiltà evoluta.

Oggi "l'impresa" culturale ha urgente bisogno di sveltezza e semplificazione burocratica, di leggi non conflittuali e di un'accorta politica di defiscalizzazione. L'obiettivo è tenere la cultura il più lontano possibile dalle ingerenze dei partiti. E la politica deve sapere che la ricchezza di un paese non si misura soltanto dal Pil. Si può essere desolatamente poveri anche con le tasche piene di soldi. C'è stato qualcuno, nel passato, che quando veniva minacciato dalla spada, rispondeva con l'arma dell'arte. Come dire che con la bellezza si possono anche vincere le guerre. Anzi, non farle proprio.



(30 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #122 inserito:: Aprile 01, 2008, 10:21:46 pm »

L'acqua è un bene di tutti

Veltroni scrive a Padre Zanotelli


 Caro Alex,

nella tua lettera ricordi la visita che ti feci, ormai quasi dieci anni fa, a Korogocho. Ricordi le parole e gli sguardi che ci siamo scambiati e l’impegno che presi con te, ma soprattutto con me stesso: non dimenticare. E come avrei potuto dimenticarmi dell’immane sofferenza che mi hai aiutato a toccare con mano? Come tu ben sai, perché altre volte ci siamo incontrati in questi anni, da quel momento, da quel primo viaggio, ho portato la mia allora breve ma intensa esperienza nel continente africano al centro del mio impegno politico.

Da Sindaco, nei sette bellissimi anni in cui ho amministrato Roma, credo di aver fatto sì che la città sia stata, e sia considerata, un punto di riferimento per coloro che hanno a cuore le sorti dell’Africa e dei popoli poveri del mondo. La lotta alla povertà e alla fame è divenuto uno dei principali tratti dell’identità di Roma, del suo concreto modo di essere e di agire. E questo impegno è stato riconosciuto non solo dalle altre città e dalla Campagna per gli Obiettivi del Millennio, ma anche dalle tante associazioni di volontariato e di cooperazione, dai tanti volontari laici e cattolici che animano, per fortuna, la società civile romana. In Africa abbiamo portato centinaia di ragazzi delle scuole romane ad inaugurare scuole e pozzi d’acqua costruiti con i fondi da loro raccolti. Li abbiamo portati dove tu mi hai mostrato l’abisso della povertà, nelle discariche, per rendersi conto di come ragazzi come loro sono costretti a vivere. A tentare di farlo.

E come ho portato nella mia esperienza di Sindaco l’urgenza di richiamare l’attenzione della politica italiana sul dramma della povertà nel mondo, così oggi, caro Alex, da segretario del Partito democratico considero
questo impegno la priorità del nostro Paese nel mondo.

L’ho ribadito anche lo scorso 16 febbraio, quando ho presentato il programma del Partito democratico per il futuro dell’Italia e ho detto – cito quasi testualmente – che faremmo un torto alla nostra civiltà, oltre che al futuro stesso dell’umanità, se non assumessimo in modo più stringente e vincolante su di noi il compito, il dovere, di lottare contro la povertà e la fame e per il raggiungimento degli altri Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Ripeto ancora ciò che dissi quel giorno: non è più solo una questione di risorse da destinare agli aiuti allo sviluppo, anche se fa male constatare che l’Italia è ferma allo 0,20 per cento del Pil, e che solo Grecia e Stati Uniti fanno meno di noi; è anche una questione di qualità e di efficacia, di come gli aiuti vengono impiegati, ed è anche per questo nella prossima legislatura dovremo provvedere una sollecita approvazione della legge di riforma della cooperazione.

E’ un impegno che dobbiamo a quei milioni di italiani – volontari, missionari, associazioni, Ong – che si spendono per migliorare le condizioni di vita nei paesi in via di sviluppo. E’ un impegno che ribadisco volentieri direttamente con te, ascoltando il tuo appello in occasione della giornata mondiale dell’acqua. L’acqua è un bene comune fondamentale il cui accesso, come anche la qualità, devono essere garantiti a tutti. In molte, troppe aree del mondo, questo significa una politica pubblica di costruzione delle infrastrutture che portino l’acqua a tutta la popolazione. In Europa, nei nostri Paesi, significa garantire a tutti un servizio di qualità, che risponda a standard precisi. Questa è la vera condizione irrinunciabile, ed è una condizione che può essere garantita solo da aziende di gestione che siano vere aziende industriali. Solo aziende industriali, che possono poi avere un assetto proprietario pubblico o privato o misto, sono realmente capaci di raggiungere sufficienti economie di scala o di scopo. Solo così potranno essere garantiti a tutti servizi pubblici al massimo livello della qualità, al minimo costo di produzione e con la più ampia trasparenza dei meccanismi di determinazione delle tariffe.

Non ovunque ci sono le stesse domande, e non ovunque, per fortuna, esse hanno la stessa drammaticità. Ma quel che deve valere per tutti, nei paesi più poveri come nel ricco Occidente, è il diritto all’accesso e alla qualità dell’acqua.


Walter Veltroni
wwww.partitodemocratico.it
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« Risposta #123 inserito:: Aprile 02, 2008, 03:02:55 pm »

POLITICA

Il Cavaliere si presenta in studio con tecnici di fiducia.

E per Veltroni quattro assistenti

Accordi ferrei per evitare l'incontro degli sfidanti nei corridoi della Rai

Il duello mancato tra Walter e Silvio per i leader una staffetta a distanza

di CONCITA DE GREGORIO

 
Uno dopo l'altro anziché uno davanti all'altro. Una staffetta senza passaggio di testimone, neppure un incrocio di sguardi. Di più, nella nostra tv, non si può avere: Berlusconi non vuole il faccia a faccia con Veltroni perciò i due marciano in fila indiana, uno alla volta, prima uno poi l'altro senza pausa pubblicitaria. Nello studio tv una scena surreale, mai vista prima probabilmente su nessuno schermo del globo.

Le telecamere inquadrano Berlusconi che esce dalla porta sul retro mentre Veltroni entra da quella davanti, i quattro giornalisti chiamati a intervistarli restano seduti ai loro posti così come Giuliana Del Bufalo direttore di Rai Parlamento nella sua giacchetta rossa intonata al tavolo. Sembra una seduta di laurea, senza applausi però. "Sembra il dentista", si innervosisce Berlusconi scontento fin dal principio per via della polemica del giorno, quella che lo oppone al Quirinale: "Sono sempre i giornalisti a strumentalizzare", si lamenta con gli intervistatori un attimo prima di iniziare: "Anche sulle donne ero stato così attento, l'altro giorno, a dire che sono domine e padrone della casa".

Perseguitato dalla stampa nemica, ecco come si sente Berlusconi, e poi circondato da istituzioni ostili: "Confermo, non è un'opinione è la realtà: sono tutte a sinistra". Inoltre un dettaglio tecnico per lui non secondario: "Chi va in onda dopo di me avrà il vantaggio di avermi già ascoltato". Alla stessa ora su altro canale va in onda Roma-Manchester, circostanza che potrebbe minimizzare la portata della contesa. Niente affatto invece.

Nervosissimo lo staff di Berlusconi presidia il territorio di Saxa Rubra fin dalle otto, ci sono accordi ferrei per non fare incontrare i leader e per tenere lontana la stampa non-Rai, la palazzina B dove si svolge la trasmissione in diretta è trasformata in una specie di Città proibita alla quale si accede solo fino a mezz'ora prima e su visita guidata, accompagnati e controllati da alti funzionari.

Una troupe di Ballarò gira gli esterni. David Sassoli e Maurizio Mannoni si affacciano dalle rispettive stanze scendono a vedere che succede. Tutto il paese Rai esce nei vialetti. Si vedranno? Si parleranno? Non è mai successo in campagna elettorale: sarà oggi?

Escluso, non è oggi. Veltroni non ha manifestato il desiderio di intrattenersi con Berlusconi, verrà dunque fatto accomodare qui dove ora c'è un maggiordomo in livrea che prepara le pizzette e poi fatto salire al primo piano dalla scala di destra. Berlusconi non ha fatto sapere di volersi fermare a stringere la mano a Veltroni perciò l'auto lo raccoglierà subito fuori dall'uscita secondaria. Nessuno dei due ha bisogno di trucco. Berlusconi arriva già truccato da casa, non si fida di mani ignote né di luci non devote. Ecco difatti l'ispettore dei faretti, già operatore Mediaset oggi alto collaboratore del leader.

Ecco il regista al seguito quello che firmò negli anni d'oro Colpo Grosso. Ecco il fotografo personale del leader che si presenta declinando le generalità: Anticoli Livio. Causa traffico partita arriva con un filo di ritardo persino il Suv Chevrolet con vetri oscurati e sei body guard con auricolare a bordo che apre la strada alla berlina del leader del Popolo delle libertà.

Cinque minuti alle nove, si comincia. Berlusconi ha un tappeto di capelli compatti che gli disegnano sul cranio una sagoma come quella di Diabolik ed ha cambiato cravatta. Non è più quella a pois degli ultimi dieci anni, questa è azzurro acceso quasi viola con disegni cachemire rossi, devono avergli detto che è più giovanile.

Tuttavia il taglio della giacca l'impostazione oratoria, i lunghi monologhi e i sorrisi forzati ne denunciano ciò che anche Veltroni fra poco non mancherà di ricordare: l'età, lo stile da imprenditore anni Cinquanta quello che dice con orrore "la sinistra è radicata nell'ortodossia marxista" e poi si rivolge a Bonaiuti, suo sottoposto già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, spazientendosi davanti ai microfoni aperti: "Ma dov'è Bonauti quando serve deve sempre andare al bagno".

Nel merito rilevante solo il passaggio sui precari, che secondo Berlusconi in Italia non esistono: sono appena il 12 per cento e quasi tutti (per l'esattezza l'80 per cento del 12) destinati ad essere assunti a tempo indeterminato. "I giovani siano imprenditori di se stessi", fine della questione. Unica notizia politica: le porte aperte a Casini ove mai decidesse di tornare. Lo scambio di accuse ascoltato fin qui esi vede che era per gioco. Veltroni arriva che Berlusconi sta già parlando da un quarto d'ora. Lo accompagnano in quattro: Roscani, Verini, Coldagelli e Martino.

Al loft c'è una squadra che sta seguendo la trasmissione, pronta ad intervenire in caso di bisogno di notizie o suggerimenti. Non mangia pizzette, non passa al trucco, sale al primo piano a guardare la tv. Ha una giacca più chiara e una cravatta più scura del suo avversario. I bottoni della camicia slacciati. Se Berlusconi esce stizzito dicendo sembra di essere dal dentista avanti il prossimo anche lui entra con una battuta, "ciao Giuliana, come mi devi chiamare? Come vuoi, anche eccellenza".

È disinvolto, parla a bassa voce, guarda in camera. Dice che i precari esistono, che l'immondizia a Napoli non è un problema di ieri e l'Alitalia neppure. Parla di talenti, di semplicità e di una Bocconi al sud per fare una gioventù migliore. E' contento, quando esce. "Per me vinciamo, ma vinciamo perché abbiamo un lavoro da fare e io mi fido degli italiani. Davvero: mi fido di loro. La cosa peggiore che può capitare a questo paese è di continuare cosi".

(2 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #124 inserito:: Aprile 02, 2008, 03:04:12 pm »

Verso il voto

Leader in tv, mestizia da par condicio

Duelli a distanza inutili.

Sembra davvero di essere in uno studio dentistico

 
 
Nel duello televisivo a distanza, chi ha vinto fra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni? Ma c'è una domanda ancora più importante: servono questi duelli a spostare voti? Francamente ho qualche dubbio. Come ormai è appurato, la tv incide solo sugli indecisi. I convinti si convincono sempre di più quando appare il loro leader. Berlusconi ha usato un tipo di comunicazione poco consona agli indecisi, i quali hanno soprattutto bisogno di sognare. È stato sul generico (contro il «voto inutile», i punti del Pil, il suo status di «fungibile»), ha attaccato il governo Prodi, la sinistra, l'avversario (Veltroni è stato gratificato di «illusionista» ma anche di «buon comunicatore»), nelle risposte ai giornalisti («domandatori» li ha definiti) è sempre sceso in particolari tecnici, tipo lista della spesa. Veltroni si è presentato dando del tu a tutti: «Ciao Marcello (Sorgi), ciao Gianni (Riotta), ciao Mauro (Mazza), ciao Stefano (Folli), ciao Giuliana (Del Bufalo)». Dimostrando un eccesso di contiguità con persone che dovrebbero invece tenerlo d'occhio. Ha sapientemente drammatizzato la precarietà dei giovani, non ha irriso l'avversario (senza mai nominarlo), ha parlato di valori, di rinnovamento, non ha rinunciato al «ma anche», ha proclamato una lotta alla mafia.

Berlusconi è stato misurato (non si è mai abbandonato all'affronto folcloristico), è sembrato abbastanza disteso, quasi fosse già investito da doveri istituzionali. Come nel caso del salvataggio di Alitalia. Si è congedato con una battuta felice: «Avanti il prossimo, sembra di essere dal dentista».

 
Veltroni si è smarcato da Berlusconi ricordando anche la differenza di età, ha invocato una netta discontinuità con il passato. Impossibile sapere ora quale pubblico abbia seguito le due conferenze stampa ma l'impressione è che qualche voto in più di Berlusconi l'abbia portato a casa. Ma in tv vige una regola ferrea, così riassumibile: all'umiliata location corrisponde un umiliato interprete, cui corrisponde un umiliato spettatore. Mi spiego: la conferenza stampa della Tribuna elettorale, diretta da Giuliana Del Bufalo, era immersa in un'atmosfera di mestizia, di ufficiosità, la perfetta rappresentazione della par condicio. Che è un capitolo umiliante dell'informazione tv; segno di immaturità delle istituzioni. Per non saper essere leali, ci facciamo del male. Era triste la «casalinga» Del Bufalo, erano tristi i quattro moschettieri e i due candidati, eravamo tristi noi tutti. Sembrava di essere in uno studio dentistico.

Aldo Grasso
02 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #125 inserito:: Aprile 03, 2008, 05:35:30 pm »

LETTERA del candidato del pd Walter Veltroni

«Nelle città va cercato sempre il Bello»

«Il coraggio di demolire il brutto delle nostre città»

 

Caro Adriano, mi ha fatto molto piacere leggere sul tuo blog ciò che hai scritto sul mio impegno in queste settimane di dura campagna elettorale.
Le tue amichevoli parole mi incoraggiano.

E hanno un valore doppiamente importante, perché espresse da un artista che amo e stimo da sempre, ma soprattutto perché vengono da un cittadino speciale, noto per la sincerità, da tutti riconosciuta, del suo amore per il nostro paese. Il tuo accorato appello politico ha il dono di una passione civile autentica, che viene da lontano. È dal tempo della Via Gluck che canti (con straordinario spirito premonitore), insieme alla bellezza e all’allegria di stare insieme e amare, la rabbia di vedere le nostre magnifiche città imbruttirsi e imbruttirci di conseguenza. Hai ragione, l’ambiente che ci sta intorno decide del nostro stato d’animo, del nostro umore, della nostra pacificazione col mondo. E se stiamo bene dove viviamo, amiamo di più le cose, e le difendiamo.

Quando il fondale del quadro è brutto, risultiamo brutti anche noi. Nella mia campagna elettorale, con spirito francamente provocatorio, non mi sono fatto scrupoli a pronunciare mille volte la parola «bellezza». Come si fa a non riferirsi alla bellezza quando parliamo dell’Italia, del suo popolo geniale e laborioso, dei suoi splendori artistici e naturali, del suo futuro. Ti dirò di più Adriano, è proprio in nome di questi valori che, nel mio «viaggio in Italia», vedo riaccendersi gli animi, delusi da tanta politica sbagliata, fatta di rimandi, patteggiamenti e ricatti. Ogni giorno tocco con mano il desiderio di rinascita di tutti gli italiani. O ce la facciamo adesso, o mai più. Il paese aspetta un segnale nuovo e forte dalla politica: l’Italia vera è più bella di quella che vediamo tutti i giorni in televisione. Crediamo in lei. Rinascerà.

Non possiamo più permetterci di lasciare che il brutto dilaghi e infesti il verde e il bello del paese. Bisogna costantemente ed esclusivamente cercare il bello che non è e non può essere solo quello che il passato e la storia ci hanno consegnato, ma anche quello della migliore contemporaneità: la grande urbanistica, la migliore architettura. Il nostro territorio è tanto bello da poter essere occupato solo da cose belle. Al principio della quantità che ci ha accompagnato per troppo tempo bisogna accompagnare quello della qualità. L’abusivismo dovrà essere considerato un grave delitto contro la comunità, e bisognerà operare affinché vengano abbattuti i cosiddetti «ecomostri» (condivido con te l’apprezzamento per l’opera di Rutelli), che piagano e scempiano la bellezza di cui tu parli. Indietro non si può tornare, ma si possono razionalizzare opportunamente i centri abitati, tenere sotto costante controllo, sul territorio, ogni intervento edilizio. Sarebbe bene destinare quartieri circoscritti della città allo sviluppo in verticale di alloggi e uffici, alla costruzione di grattacieli che possono essere, oltre che funzionali, molto belli, come quelli di Manhattan e di Shanghai.

Così com’è giusto, nelle aree urbane venute su senza nessuna estetica e con spirito brutalmente speculativo, buttare giù e rifare a dimensione umana, pensando a tanti giovani in cerca d’alloggio, di un focolare per la famiglia. Potrebbe anche essere un sano investimento, come giustamente suggerisci. Sono convinto che si possono fare molte più cose di quelle che pensiamo, dobbiamo semplicemente, ma realmente, crederci. Ce la possiamo fare: grazie per la spinta che ci dai. Lo sai meglio di me, tutto dipende da ciò che succederà a mezzanotte e tre. Lasciati abbracciare.

Walter Veltroni
03 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #126 inserito:: Aprile 09, 2008, 08:54:05 pm »

POLITICA

Ottimismo del leader per la rimonta del Pd in regioni come Lazio e Liguria dopo la lettera aperta con cui ha voluto prendere di mira la Lega e Bossi

E Walter punta ai voti di An "È il tallone d'Achille del Pdl"

Domani comizio a Milano, venerdì appuntamento finale a Roma con molti testimonial

Oggi a Napoli ci sarà Venditti, a Bologna sul palco Prodi e il sindaco di Parigi Delanoe

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - "Il voto della Lega è solido, impossibile da scalfire. Ma il Popolo delle libertà è molto più vulnerabile". Con la sua lettera aperta, Walter Veltroni ha voluto prendere di mira la Lega e le "sparate" di Bossi, ma avendo altri bersagli in mente. Innanzitutto gli indecisi da stanare nei giorni finali, marcando la differenza di stile e di sostanza dal Cavaliere. Cominciando dal Lazio, dalla Liguria e dal Sud. Nelle due regioni in bilico il Partito democratico, per la prima volta da molte settimane, si sente più vicino alla meta nei dati del Senato. Con il suo richiamo alla lealtà repubblicana, all'inno, alla Costituzione, il candidato premier del Pd perciò ha voluto cavalcare subito l'onda emotiva cercando di consolidare questo segnale positivo.

Da un po', anche da prima della dichiarazione di Bossi sui fucili, Veltroni ha individuato negli elettori di Alleanza nazionale il tallone d'Achille del polo berlusconiano. A loro sono rivolti i richiami "alla vita, l'identità e le istituzioni del Paese" contenuti nel messaggio di ieri. E anche le parole forti usate dal candidato del Pd sulla legalità. Per Gianfranco Fini l'ex sindaco di Roma "delira" se pensa di conquistare voti di An. Ma Veltroni si gioca anche una seconda opzione, un second best, oltre all'ipotesi complicata di fare breccia nei cuori dei cittadini vicini al partito di Via della Scrofa: spostare quei voti nel blocco dell'astensionismo facendo perdere consensi al Pdl. In questo caso se qualcuno rimane a casa ai Democratici fa piacere.

L'altra ipotesi è che una parte degli elettori di destra si sposti verso il partito di Francesco Storace, una strategia che vale soprattutto per il Lazio. Dalla regione della Capitale, secondo gli esperti del Pd, arrivano sensazioni positive con la tendenza di un leggerissimo vantaggio sia al Senato sia alla Camera. Il Lazio elegge la quota importante di 27 senatori, distribuiti così: 15 a chi vince e 12 a chi perde. Se qualcuno tra la Destra, Sinistra arcobaleno e Udc superasse il tetto e se il Pd vincesse, il Pdl perderebbe seggi a Palazzo Madama, dove il Partito democratico gioca la partita del sostanziale stallo, del pareggio, di una situazione difficilmente governabile. Nei comizi a Veltroni è sfuggito il retropensiero sui risultati elettorali: "Se anche vincesse Berlusconi, il suo margine sarà irrisorio. Possono durare un anno e mezzo, al massimo due poi si torna a votare". Con una Lega forte, numeri risicati a Palazzo Madama, il referendum elettorale tra un anno, Veltroni immagina per Berlusconi una fine simile a quella di Romano Prodi.

Il Lazio, nel 2006, fu vinto dal centrodestra. Se s'invertisse la tendenza potrebbe essere compensata la sconfitta data per certa del Pd in Campania, dove due anni fa il centrosinistra strappo la maggioranza e dove si eleggono 30 senatori (17 vanno ai vincenti e 13 ai perdenti). Difficilissimo invece, sempre secondi fonti del loft, il recupero in Calabria mentre altre due regioni in bilico, Marche e Abruzzo, sono oggi più vicine al Pd.

Veltroni torna stamattina a Roma dal tour delle province. Sul tavolo di Piazza Sant'Anastasia troverà l'ultimo sondaggio riservato, quelli con i dati più aggiornati. Sempre stamattina, numeri alla mano, riunirà lo stato maggiore del Pd, con i fedelissimi Walter Verini e Goffredo Bettini, il vice segretario Dario Franceschini. Il segretario continua a seminare ottimismo: "Possiamo vincere. Ormai siamo lì, a un passo". Il vertice servirà anche a definire le mosse degli ultime tre giorni di campagna elettorale. I nomi di peso della squadra, Veltroni li farà negli appuntamenti televisivi, a Porta a porta o a Matrix. Saranno due-tre personalità esterne alla politica. Veltroni studia anche i personaggi da "usare" come testimonial nelle quattro piazze scelte per la chiusura. A Napoli ci sarà Antonello Venditti, dopo il no di Pino Daniele, artista davvero in grado di spostare voti in Campania e di riempire Piazza del Plebiscito, cercato sia dal segretario sia da Massimo D'Alema. Oggi Veltroni controllerà anche la lista dei personaggi per venerdì quando chiuderà a Piazza del Popolo. Saranno parecchi, l'idea è di trasformare l'appuntamento finale in un happening. E di spostare definitivamente il baricentro del Lazio.

(9 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #127 inserito:: Aprile 12, 2008, 11:02:21 am »

LA GIORNATA DI WALTER

A caccia di indecisi con Benigni: ma basta dialogo

Il pranzo in una famiglia romana, lo show con il premio oscar e l'ultimo comizio: «Totti? E' stato offeso»

La giornata di Walter



ROMA — «Rustyn no, lui non ci può stare! ». «Perché papà, anche lui fa parte della famiglia!». «E se poi morde Veltroni? Se salta addosso a Benigni?». Rustyn, erede di Ross morto l'anno scorso, cui la famiglia Cappelli ha dedicato una fondazione per aiutare gli altri cani del quartiere Tiburtino, si è comportato bene. I Cappelli — papà pensionato, madre casalinga, figlia avvocato — sono l'ultima famiglia visitata da Veltroni in 50 giorni. Il primo a entrare è Benigni: «Avete un indeciso qui? Lei è indecisa signora? Fatemi vedere un indeciso! Voglio vederlo, toccarlo, chiedergli: come fai a essere indeciso tra Veltroni e Berlusconi? So' così diversi! Comunque veniamo da casa sua, siamo stati in via del Plebiscito a trovarlo... Io Berlusconi l'ho conosciuto, come tutti quelli che fanno spettacolo, e come tutti quelli che fanno un altro genere di attività...».

Sull'«eroe Mangano condannato per mafia» Veltroni insisterà per tutta la giornata. Benigni è scatenato: «Ieri al Colosseo il Cavaliere è arrivato con un'ora di ritardo e ha mandato avanti Fini, a scaldare la platea; Fini con Berlusconi come Mino Reitano con i Beatles... E ora un brindisi: ai brogli della sinistra! Viva il voto di scambio! Quanto vale un voto signora? Ecco qui dieci euro!». Si fa serio, Benigni, solo quando parla di Giuliano Ferrara. «Potrei dire che le uova che mi voleva tirare gli si sono ritorte contro. Ma la sua era una farsa; i contestatori di Bologna facevano sul serio. È una cosa gravissima, perché dopo le uova si fa presto a passare al primo, al secondo, al conto; e magari al filo spinato. Non è retorica citare Voltaire. Ognuno deve poter parlare, la violenza politica va fermata».

«È così Roberto — interviene Veltroni —, l'aggressione a Ferrara è stata la pagina peggiore della campagna. Non c'erano solo le uova, c'erano le sedie e le bottiglie. C'era l'odio. L'altra sera ho visto la puntata sul terrorismo de La storia siamo noi. Quanto odio politico c'è nella storia italiana, ragazzi del Sud ammazzati in nome dell'ideologia, il barista di Torino ucciso perché accusato di aver chiamato la polizia, che tra l'altro non era neppure vero... Ma l'odio politico in questa campagna elettorale non si è visto solo a Bologna. A destra vedo livore, bile, insulti, malumore».

Veltroni usa un argomento per lui inconsueto, quello delle due Italie, o meglio delle due idee del Paese: «La loro è un'Italia novecentesca. L'Italia del passato. L'Italia raccontata in questi anni dalla tv: perché i tg Mediaset sono squilibrati, ma il danno peggiore che fa certa tv è il genocidio dei valori. Un'Italia tetra, cupa, nera, rabbiosa. Egoista, bulimica, rancorosa. Sono tornati a insultare i nostri elettori. Ma io rispetto chi non vota per me.

Dobbiamo amare tutti gli italiani. Mi sono rivolto agli elettori di An, che soffrono nel veder rinnegare il tricolore e l'inno, e anche agli elettori della Lega, che vogliono come me il federalismo e lo Stato leggero ». Dice Veltroni che «l'atmosfera di dialogo e di confronto di inizio campagna si è dissolta». Berlusconi ora è diventato Lui: «È tornato a chiamarmi stalinista. Proprio Lui, che è grande amico di Putin. Per questo dico che chi prende un voto in più governa. E vale anche per il Senato: i seggi sono 315, quindi dispari». Il pareggio è impossibile. «Ci sarà chi avrà un seggio in più. Credo sinceramente che una possibilità di vincere ci sia». A Veltroni la storia della Fondazione dedicata al cane Ross è piaciuta molto: «Roberto, iscriviamoci». «Domani, quando tornerò qui con Alemanno». Il problema è il bicchiere di spumante, gliene allungano tre e lui li passa ad altri: Veltroni è astemio, i Cappelli insistono. Il viaggio elettorale, le visite alle famiglie sono servite anche «a definire l'identità del nuovo partito ». È un'identità ancora di sinistra, o non più? «È un'identità democratica. Le culture di provenienza si sono mescolate. Nelle piazze non ho visto una sola bandiera che non fosse del Pd».

Telefona Radioradio, voce dei tifosi romanisti, per un'intervista. L'altro leitmotiv della giornata è Totti. «Io non mi sono mai permesso di insultare i giocatori del Milan, quando si schieravano in politica. Invece Totti è stato offeso. Un ragazzo meraviglioso, che quando veniva chiamato a realizzare l'ultimo desiderio di un bambino malato è sempre venuto e senza telecamere, che ha staccato un assegno da centinaia di migliaia di euro per gli anziani di Roma. Perché offenderlo? In questi due mesi ho sempre avuto i giornalisti alle calcagna, una volta sono andato a fare pipì, mi sono girato e li ho trovati dietro la porta, ma nessuno mi ha sentito pronunciare un insulto o dire una cosa che dovessi smentire due ore dopo. Rivendico anche le cose per cui mi hanno criticato: il richiamo a Obama, il "si può fare". Quella di Massimo (D'Alema, ndr) era una battuta, che è stata strumentalizzata». Sul palco del comizio finale Benigni non c'è, ma pare comunque di essere a Cinecittà: la Ferilli, Virzì, Antonello Fassari, i classici Rosi Scola Scarpati; Isabella Ferrari, Zeudi Araya, Proietti, Moni Ovadia, la Me-lato, la Morante, Ozpetek, gli inevitabili Silvio Orlando, Monica Guerritore, Margherita Buy; Sandra Ceccarelli, la Archibugi, a sorpresa Pippo Baudo applauditissimo; le Sandrelli madre e figlia, l'intera famiglia Comencini. Tutti sfilano a baciarlo.

Non c'è la nomenklatura del partito, ci sono Vittoria la figlia piccola al primo voto, la moglie Flavia che canta l'inno di Mameli sottobraccio a Marianna Madia, e sotto i reporter della campagna che il discorso lo sanno a memoria — «Ora dice quella del lattaio di Bologna che si alza alle 4 del mattino», «Ora dice quella della vecchietta sarda centenaria » — ma, quando sentono leggere la lettera della sedicenne che prima di morire scrive ai genitori del paese che vorrebbe, ci ricascano sempre a piangere.

Aldo Cazzullo
12 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #128 inserito:: Aprile 13, 2008, 04:26:46 pm »

Dobbiamo crederci

Walter Veltroni


Vedere l’Italia. Ammirarne tutta insieme la straordinaria bellezza. Toccarne con mano i problemi. Ascoltarli dalle parole degli italiani. E sentirli sempre accompagnati, nel loro racconto, dal rifiuto della rassegnazione, dalla speranza, dalla voglia di fare.

Candidarsi a guidare un Paese non è detto che consenta automaticamente di far questo. Bisogna volerlo fare. Si deve scegliere di staccarsi dalle rappresentazioni usate nel dibattito pubblico, spesso di comodo, spesso provenienti dai talk-show televisivi e per questo molto accreditate da un certo circuito politico. Si deve aver voglia, invece, di star dentro la realtà, di ascoltare il “respiro” del Paese, di indagarne e sentirne l’anima. Si deve coltivare un’altra idea della politica, fatta di valori, di concretezza, di condivisione, di partecipazione.

Io ho voluto fare così. Ho scelto un viaggio nell’Italia vera, in tutte le sue centodieci province, nella loro diversità, nella loro ricchezza, nella loro storia e nella loro identità di oggi.

È stata un’esperienza indimenticabile, un privilegio unico, di cui voglio davvero ringraziare le centinaia e centinaia di migliaia di persone che hanno riempito ogni giorno all’inverosimile piazze, teatri, luoghi di lavoro. È successo così in ogni angolo del Paese, in ogni occasione, e davvero ad ogni ora, pensando all’iniziativa che abbiamo fatto a mezzanotte, qualche giorno fa, a Conversano.

In questi cinquanta giorni, poco più, ho visto facce di ogni tipo, ho incrociato sguardi assorti e sorrisi allegri, ho stretto mani forti e ruvide segnate dal duro lavoro di ogni giorno e letto parole di chi del suo sapere non sa ancora bene cosa fare, oppure lo sa ma non trova le giuste opportunità. Ho avvertito esigenze diverse da un posto all’altro, ho ascoltato domande diverse a seconda dell’età, ho sentito porle in tanti accenti e dialetti.

Ma non sono le differenze che in questo viaggio mi hanno colpito. Non date retta a quei politici che da quindici anni hanno come principale pensiero quello di trarre vantaggio dalle divisioni, quello di alimentare un clima di contrapposizione e persino di odio, mettendo gli uni contro gli altri, non esitando a lanciare proposte diverse, e se è per questo anche a stringere alleanze diverse, in base agli interlocutori che hanno di fronte e al luogo in cui si trovano in quel momento. Operai contro imprenditori, immigrati contro italiani, laici contro cattolici, Nord contro Sud.

Non date retta, non prestate fede ai messaggi di questo tipo. Non sono veri, non corrispondono alla realtà. Quel che davvero mi ha colpito, girando in lungo e in largo per il Paese, è stato vedere quanto sono simili le speranze e le preoccupazioni degli italiani. Quanto si assomigliano i problemi. Quanti sono i sogni che ci accomunano.

E non c’è differenza geografica, culturale o sociale che tenga: in ognuna delle centodieci tappe del viaggio io ho sentito che tutti, davvero tutti coloro che erano lì in quel momento c’erano perché credevano in ciò che il nostro Paese può essere.

L’Italia può cambiare, si può chiudere una stagione troppo lunga e aprirne finalmente una nuova.

Guardate, nella nostra storia è stato sempre così: le cose più importanti sono successe quando si è trattato di affrontare le prove più difficili, quando il tempo e le circostanze non lasciavano spazio all’attesa, al rinvio, all’immobilismo.

È la storia che lo ha sempre dimostrato: quando gli italiani credono in qualcosa, qualcosa accade.

È stato così quando dei ragazzi ebbero il coraggio e la moralità di fare quella scelta che avrebbe cambiato la loro vita e quella dell’Italia. Scelsero la Resistenza, scelsero di unire le loro idee e i loro colori in un solo ideale di libertà e in una sola bandiera: il tricolore.

Quando gli italiani credono in qualcosa, qualcosa accade. È stata la creatività, la forza di volontà, la voglia di rischiare e di fare, che ha permesso alla generazione uscita dal dopoguerra di ricostruire l’Italia. Una classe dirigente vera, capace, fatta di uomini e donne consapevoli del fatto che al di sopra di ogni interesse di parte c’erano, come sempre ci sono, gli interessi nazionali. Mentre si confrontavano, anche duramente, nelle prime elezioni libere dopo più di vent’anni, scrissero la Costituzione. E gli italiani vi si riconobbero, si ritrovarono uniti, per la prima volta davvero consapevolmente.

Quando gli italiani sentono che è il momento, sanno unirsi, sanno fare sacrifici, sanno riconoscere il valore della posta in gioco. Le istituzioni democratiche, nelle piazze di tutto il Paese e nei luoghi di lavoro, le hanno difese loro, mentre l’attacco del terrorismo, trent’anni fa, si faceva più forte e minaccioso. È stato il popolo italiano, in quel momento, a dire nel modo più netto che nessuno avrebbe mai potuto toccare, in nome di teorie aberranti e fuori dal tempo, la libertà e la democrazia di questo Paese.

Noi, che siamo ormai ben dentro un nuovo secolo, che viviamo un tempo nuovo, verso queste generazioni abbiamo un debito. Ma abbiamo anche un modo per saldarlo, che non è solo rivolgere loro un grazie, cosa che facciamo e continueremo sempre a fare. No, il modo migliore è fare per i nostri figli quel che i nostri nonni e i nostri padri hanno saputo fare per noi.

Il modo migliore è cambiare l’Italia, è voltare pagina e cominciare a farlo. Ora ci siamo. Siamo davvero arrivati al momento. Se gli italiani, e io sono ottimista, sono certo sarà così, diranno basta alla vecchia politica, se diranno basta al cinismo, all’odio e alle divisioni, e avranno voglia di credere in ciò che è possibile, che si può fare, allora vinceremo, vinceremo queste elezioni, cambieremo il corso della storia, e lunedì sera diremo “l’abbiamo fatto”, e il vero viaggio sarà davvero cominciato.

Pubblicato il: 13.04.08
Modificato il: 13.04.08 alle ore 11.56   
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« Risposta #129 inserito:: Aprile 26, 2008, 09:52:24 am »

Il giorno di tutti

Walter Veltroni


Uno tra i più seri e importanti storici italiani, in un suo articolo di qualche giorno fa, ha immaginato la cronaca di questa giornata riportata in una ipotetica Storia d’Italia nel XXI secolo pubblicata tra dieci anni. «Il 25 aprile 2008 si celebrò solennemente in Italia ­ così il racconto del libro ­ il sessantatreesimo anniversario della liberazione e il ritorno della democrazia. Alla cerimonia nella capitale erano presenti, con il Presidente della Repubblica, numerosi esponenti politici: Romano Prodi, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Umberto Bossi e Walter Veltroni, ciascuno con una coccarda tricolore sul petto. Ovunque gli italiani festeggiarono l’evento con un inno corale di fedeltà allo Stato nazionale e alla democrazia nata dalla Resistenza».

Che una pagina del genere nessuno potrà mai leggerla, perché oggi questo non accadrà, è purtroppo una cosa evidente. Il problema, però, resta tutto. Resta il fatto che come italiani fatichiamo da sempre a riconoscere la nostra storia, a ritrovarci in una vicenda collettiva, persino a identificarci tutti insieme in simboli come l’inno o la bandiera, che per altri popoli sono naturalmente comuni.

Resta la questione di un incontro, quello tra memoria e politica, che in questo nostro Paese proprio non riesce a celebrarsi senza che le ossessioni ideologiche del secolo scorso continuino, invece, ad avere la meglio sul saldarsi di una vera coscienza nazionale comune. E così succede, appunto, che una data come il 25 aprile, che dovrebbe unire tutti gli italiani ed essere patrimonio condiviso, come avviene per il 14 luglio in Francia o il 4 luglio negli Stati Uniti, venga invece fatta oggetto di polemiche che definire piccole e contingenti è sin troppo generoso.

Siamo ormai abituati, anche se faremmo bene a non esserlo mai: ogni anno, puntualmente, ci sono esponenti politici che chiedono di abolire la ricorrenza del 25 aprile o che pur ricoprendo incarichi istituzionali preferiscono disertare appuntamenti ufficiali e cerimonie pubbliche. Senza salire fino ai gradini più alti la scala delle responsabilità politiche, cosa che pure si potrebbe facilmente fare, ricordo bene le parole con cui un autorevole dirigente di Alleanza Nazionale annunciò che avrebbe disertato la manifestazione per celebrare a Milano il sessantesimo anniversario della Liberazione. “Ho di meglio da fare”, disse, aggiungendo poi: “Del resto non è mica un obbligo. La libertà e la democrazia consentono di fare queste scelte”.

Ecco, questa l’unica cosa esatta detta quel giorno da quell’esponente della destra italiana. Oggi la libertà e la democrazia consentono di prendere anche decisioni sbagliate, consentono di presentare anche disegni di legge gravi, come quello sulla qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio nelle file della Repubblica Sociale Italiana. Ma se è così, sarebbe bene allora non dimenticare mai da dove arrivano, questa libertà e questa democrazia. E grazie a chi. È qualcosa che dobbiamo ai ragazzi che scelsero di rischiare la propria vita per l’Italia, che dobbiamo ai partigiani di ogni colore, a chi lottò per un’Europa democratica, civile e solidale. Non lo dobbiamo certo a chi era dall’altra parte, a chi stava a fianco della Germania hitleriana che massacrava i nostri soldati a Cefalonia, a chi scelse di difendere i principi antidemocratici e antisemiti contenuti nella Carta di Verona, a chi collaborò a rappresaglie ed eccidi, a chi condivise la tremenda responsabilità di quanto avvenne nel Ghetto di Roma, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema.

Furono gli uni, e non gli altri, a riportare libertà e democrazia in un Paese che da più di vent’anni le aveva perse, smarrite nel buio della dittatura. Perché sia detto per inciso e con chiarezza: per fare i conti fino in fondo con il fascismo non basta individuare la data del 1938 e condannare la vergogna, l’infamia assoluta, delle leggi razziali. Da quel momento il regime diede il suo orribile contributo alla Shoah, allo sterminio del popolo ebraico, ma il crimine nei confronti di tutti gli italiani, del loro diritto a dire quel che pensavano, a riunirsi ed associarsi liberamente, a stampare quel che volevano senza finire in carcere o al confino, era stato compiuto ben prima. È una verità storica che non può essere negata, che non può essere affogata nel mare di una generica indifferenza. È giusto guardare alle vicende che sono alla base delle istituzioni repubblicane con uno sguardo aperto e sereno, sgombro dalle vecchie ideologie, dai pregiudizi che a volte hanno reso più difficile la comprensione delle cose.

“Deideologizzare” il passato, riconoscere ad esempio la memoria dei vinti, rispettare le morti di ogni parte di quella che fu anche una guerra civile, fatta da italiani contro altri italiani, va bene, è anzi doveroso. Ma sbaglia chi pensa che questo possa significare fine di ogni distinzione o una sorta di oblio della memoria. Non si può in alcun modo equiparare Salò e la Resistenza, il fascismo e l’antifascismo. La Resistenza e l’antifascismo sono un valore, sono un irrinunciabile patrimonio etico ed “esistenziale”, sono il luogo e il momento in cui la Repubblica, le nostre istituzioni, affondano le loro radici. La nostra identità, la nostra unità nazionale, nascono lì, in quel tempo. Da quella spinta verso la libertà e la democrazia nacque la Repubblica.

Grazie a quel sentimento di comune appartenenza, a quello spirito di concordia, a un senso delle istituzioni più forte delle rispettive ragioni, fu scritta la nostra Costituzione, furono sanciti i principi grazie ai quali l’Italia è cresciuta e oggi è un grande Paese. Per quanto ci riguarda, la Resistenza, i valori che l’hanno animata e sostenuta, sono patrimonio fondamentale del Partito democratico, fanno parte della nostra cultura, del nostro modo di essere e di intendere la politica. Tra gli impegni che sentiamo di avere c’è, per questo, contribuire a sottrarre il 25 aprile dalle intemperie della politica e far sì che un domani non lontano una “Storia del XXI secolo” possa davvero raccontare che si tratta, insieme al 2 giugno, della data simbolo dell’unità degli italiani. Di un giorno da festeggiare. Tutti, senza riserve e con convinzione, perché è il giorno in cui si ricorda la nascita dell’Italia libera e democratica.


Pubblicato il: 25.04.08
Modificato il: 25.04.08 alle ore 8.12   
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« Risposta #130 inserito:: Aprile 26, 2008, 05:19:41 pm »

Veltroni: «Sfregiano la democrazia. Ora dobbiamo rafforzare il Pd»

Bruno Miserendino


Lettura dei giornali di buon mattino, interviste, manifestazione, telefonate. Insomma lavoro tanto, riposo poco. Siccome gli esami non finiscono mai e domani ci sono ballottaggi importanti, il 25 aprile Walter Veltroni lo passa così. Con qualche differenza da Berlusconi, che ci tiene a rimarcare: «In una data come questa, che per gli italiani significa il ritorno della libertà, il futuro premier non solo snobba la ricorrenza, come ha sempre fatto, ma non trova di meglio che incontrare Ciarrapico, uno che il fascismo non l’ha mai rinnegato. Francamente lo considero uno sfregio, spero che anche per molti elettori e alleati di Berlusconi questo sia il momento di cominciare a dire qualche parola».

Magari si illude. Però Veltroni, nonostante tutto, è pieno di energie e ha voglia di lanciare un messaggio, anche all’interno del partito: «Non si torna indietro. Strategia, scelte programmatiche e linguaggio sono giusti, però adesso dobbiamo farlo, il Pd. Bisogna valorizzare i giovani, stare dove sta la gente e fare una gigantesca battaglia culturale». Veltroni ironizza sulla «scoperta della Lega», sogna una televisione che rompa la cappa del pensiero unico che già si sta diffondendo nel paese, e avverte la Destra: «Deve scegliere che linguaggio usare. Se è quello di Fini, siamo sulla strada sbagliata».

Segretario, che Pd vede dopo queste elezioni?
«Inizio con qualche dato. Il primo è che abbiamo un partito riformista del 34%, che in Italia non c’è mai stato. Si è superato il muro dei 12 milioni di voti, con un incremento che è stato al Senato di 1 milione e 800mila voti, a fronte di un decremento del Pdl di 800mila».

La percentuale del Pdl è la somma di An e Fi del 2006, solo che hanno votato meno persone...
«Ma noi aumentiamo e loro diminuiscono. Abbiamo avuto un voto molto importante nelle principali città del nord, nelle grandi aree urbane, al nord e al centro. A Roma abbiamo avuto il 41% dei voti. Il Pd è diventato al nord il primo partito in moltissime città, e rimango sorpreso quando sento fare i raffronti col 2006».

Perché?
«Per il Pd il raffronto va fatto nel 2007, ossia qualche mese dopo l’inizio dell’esperienza di governo del centrosinistra. Purtroppo questa esperienza è iniziata con 100 persone nell’esecutivo, l’indulto, e una legge finanziaria pesante. È proseguita con una crisi di governo a metà, con una instabilità permanente. Sono andato a vedermi i dati delle provinciali del 2007, abbiamo incrementi che vanno dal 10 al 15%. Nel 2007 i sondaggi quotavano il Pd al 24%, noi abbiamo recuperato 10 punti percentuali e, cosa importante, l’abbiamo fatto in un clima politico molto negativo, segnato da una crisi di rapporto tra vecchio centrosinistra e società italiana e segnato da qualcosa che bisogna indagare a fondo e che riguarda non solo l’Italia ma tutta l’Europa. Ieri (giovedì, ndr) c’era qui Tony Blair e ci siamo ricordati di quando iniziammo l’esperienza del nuovo Labour e dell’Ulivo. In Europa i socialisti erano in quasi tutti i governi, adesso sono rimasti sette, dei quali due in grandi coalizioni, Germania e Austria. Nel nord Europa non ci sono più esecutivi socialdemocratici, in Olanda ci sono forze di destra che emergono, in Francia non si è più vinto dopo Mitterrand, l’unica eccezione è la Spagna, grazie a Zapatero. C’è in Europa una crisi sociale molto grave che in Italia si combina agli effetti devastanti prodotti da quella che chiamerei la mutazione dello spirito pubblico di questo paese, che dura da vent’anni. Pensiamo al problema della sicurezza, quella personale ma anche sociale. Quella attuale per vasti strati è una condizione segnata dall’insicurezza, compresa quella di chi vede trasformare il proprio contesto sociale urbano dall’arrivo dell’immigrato, dell’altro, che viene vissuto come pericolo. Su questo ha trovato forza la campagna della Lega. Tutta l’Europa vive lo stesso fenomeno, per l’Italia c’è una difficoltà in più, che non possiamo ignorare: dal ’45 il centrosinistra non ha mai vinto le elezioni».

Nel senso che non è mai stato maggioranza nel paese...
«Nella storia italiana non c’è mai stata una prevalenza numerica di un centrosinistra riformista, questo è il problema che noi abbiamo cominciato ad affrontare, dando all’Italia per la prima volta quel che non ha mai avuto, ossia un grande partito riformista. In realtà, nonostante la sconfitta nella sfida per il governo, da queste elezioni esce confermata l’ispirazione strategica del Pd».

Invece sembra che qualcuno inizi a metterla in discussione...
«Vediamo. Primo, l’andare da soli ha pagato. Se avessi dovuto ascoltare tutti gli iperprudenti che mi consigliavano di ripresentarmi con la vecchia coalizione, adesso noi saremmo un mucchietto di cenere. Basta vedere il dato della sinistra arcobaleno per capire quale rottura di relazione c’è tra il vecchio centrosinistra e il paese. E quando vedo qualcuno che trasforma le bandiere del Partito democratico in bandiere rosse penso che va nella direzione sbagliata. Non è quella la soluzione. L’ultima cosa da fare è pensare che il futuro sia il ritorno al passato. Invece il futuro è nel proseguire questa grande sfida. Il nostro non è un partito di sinistra camuffato, ma una grande realtà del centrosinistra che va valorizzata. La scelta di fondo è quella giusta. Secondo, anche le scelte programmatiche sono giuste. In 4 mesi abbiamo rivoluzionato il linguaggio del centrosinistra italiano, pensiamo ai temi delle infrastrutture, del fisco, della semplificazione burocratica, della sicurezza. L’ho chiamata la rivoluzione dolce, e per fortuna l’abbiamo fatta, altrimenti avremmo pagato un prezzo altissimo. Quando qualcuno dice che dobbiamo scegliere tra Colaninno e i lavoratori, dice la cosa più sbagliata del mondo. Quella scelta di vecchia identità non funzionerà mai. I Ds due anni fa al Senato avevano il 16 per cento. Vogliamo tornare lì? No, le scelte sono giuste, ma adesso dobbiamo fare il partito».

Ossia entrare in contatto con l’Italia profonda.
«Significa fare un partito moderno. I partiti moderni non sono né leggeri né pesanti, questa discussione è cominciata fuori da noi, e ci ha investito anche grazie a una certa fragilità culturale che ci accompagna. I partiti sono dove sta la gente, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, su internet, nelle professioni. Serve, semplicemente, un moderno partito di massa».

Non mi dica il modello Berlusconi, o della Lega...
«Per carità. Adesso una delle grandi scoperte di opinionisti, televisioni e giornali, è il modello organizzativo della Lega. C’è da sorridere. È lo stesso di due anni fa, non è cambiato, solo che i voti gli sono arrivati per la rottura del rapporto tra centrosinistra e paese. La Lega è un fenomeno complesso ma non si può cambiare il giudizio a seconda di quanti voti prende».

Ma secondo lei che cos’è il Carroccio?
«È l’impasto di molte cose diverse. C’è la spinta a liberarsi di lacci e lacciuoli che è il tratto positivo, e poi ci sono gli elementi di cultura individualista, corporativa, particolarista che sono pericolosi e devono essere contrastati. Ricordo che noi al nord siamo andati bene perché abbiamo cominciato a parlare il linguaggio di chi vuole lavorare e produrre, liberandosi da tutto quello che impedisce di crescere. Io sono più preoccupato del voto del sud, perché il vero problema noi l’abbiamo avuto lì, dove il Pdl ha intercettato lo stesso tipo di pulsione che ha intercettato la Lega ma senza pagare il prezzo della sua presenza. La realtà è che la gente ragiona sulla base di un approccio poco politicista».

Però i giornali abbondano di rampogne e di suggerimenti nei suoi confronti. Ad esempio “il Riformista”...
«Liberiamoci dai condizionamenti dei giornali che vengono letti prevalentemente da quelli che fanno politica. Il Riformista, peraltro di proprietà di un parlamentare eletto dal Pdl, vende 2000 copie e fa la spiega a noi che abbiamo preso 12 milioni di voti. Mi verrebbe da dire: per prima cosa pensa a vendere di più tu... ».

Torniamo al partito. Questo voto favorisce la crescita di una nuova classe dirigente o tutto torna alle vecchie logiche dei partiti di origine?
«Io voglio un partito che stia dentro la società e che vada avanti nel rinnovamento. C’è una nuova generazione di dirigenti del Pd, persone che hanno 40 anni e che devono assumere responsabilità di primo livello. Penso al ruolo fondamentale che devono avere i segretari regionali in una struttura federale. Ci sono energie enormi, che non possono essere soffocate da un gruppo dirigente indisponibile a questa operazione di allargamento e rinnovamento. Radicamento nella società significa anche gruppi dirigenti selezionati sulla base di una relazione con la vita reale dei cittadini. Quindi meno gruppi di potere, meno presunzione, meno auto-referenzialità e più capacità di esprimere la ricchezza della vita. Un partito deve avere organismi dirigenti forti, autorevoli e rappresentativi. Dobbiamo essere in grado di approfondire l’analisi sulla società italiana, anche in relazione a quello che sta succedendo in Europa. Ci tengo a questo raffronto con la dimensione europea perché i problemi con cui facciamo i conti sono legati alle profonde mutazioni sociali di un continente che sta invecchiando. Un partito nuovo deve avere un sistema di studi, di fondazioni, come Italiani Europei, la Nes, Astrid, serve una rete di centri di ricerca che allarghi e arricchisca l’elaborazione del pensiero critico del Pd. Ci vuole una grande battaglia culturale».

La cosa più difficile, in Italia.
«Sono stufo di un certo atteggiamento remissivo nei confronti di uno spirito del tempo che sta giustiziando i valori e lo spirito pubblico di questo paese. Ho chiesto a molti colleghi stranieri cosa sarebbe successo se nel loro paese un candidato avesse eletto a eroe un mafioso. Mi hanno risposto dicendo che sarebbe una cosa incompatibile con qualsiasi carica pubblica. In Italia invece questo è possibile».

Anzi, fa aumentare i voti...
«In Italia si va affermando una autentica dilapidazione del valore della solidarietà e del rispetto degli individui. Noi abbiamo bisogno di una grande battaglia culturale in cui anche il mondo cattolico deve fare la sua parte: la volgarizzazione della società, la spietata individualizzazione, il genocidio di ogni idea di regola e di spirito pubblico non è da considerare meno delle grandi questioni etiche, perché ci possono essere grandi attenzioni al tema della vita, però poi quelli che vivono si trovano una società senza valori, disumanizzata, dove le regole sono scritte dai rapporti di forza individuali e di categoria. Con rischi per la stessa convivenza».

Bisogna avere strumenti potenti.
«Bisognerà cercare di entrare anche nel settore televisivo con strumenti nuovi, e nel mondo di internet. Faccio un esempio. Noi faremo il governo ombra che sarà una grande struttura di proposta e di critica, in rapporto coi gruppi parlamentari. La mia idea è che a fianco di ogni ministro lavorino i capigruppo delle commissioni parlamentari e questi parlamentari dovranno essere le forze migliori del Pd. Ma siccome prevedo che nei prossimi mesi la televisione pubblica e privata sarà sotto una cappa di uniformante pensiero unico, servirà dell’altro. Faccio una previsione: spariranno dai telegiornali tutte le notizie di cronaca nera, l’allarme sicurezza sparirà, come accadde dal 2001 al 2006 quando l’allarme cessò pur essendo aumentati i reati. Se ne è riparlato quando i reati sono diminuiti, anzi si è fatta campagna elettorale su quel tema con tutte le bocche da fuoco disponibili. Ecco perché credo che accanto al governo ombra servirà una struttura di informazione televisiva ombra che tutte le mattine possa raccontare tutto ciò che è stato censurato, tagliato, negato. È così che si fa in una democrazia. Si rispetta, si propone, però si controlla».

Chi saranno i capigruppo di Camera e Senato?
«La mia opinione è che nella scelta non ci può essere altro che la volontà dei gruppi parlamentari. Quello che decideranno per me va bene, lo dico sinceramente. Però non posso accettare che a una persona come Anna Finocchiaro, che ha fatto una battaglia di grande coraggio, non le si riconosca il merito e la riconoscenza per averla fatta. Se lei e Antonello Soro intendono essere candidati io sono perché i gruppi esprimano la loro opinione su questa possibilità di conferma. Questa è una strada, poi nel 2009 dopo le europee si può rivedere la scelta. Se invece c’è l’idea di andare a una soluzione diversa, si verifichi quali sono le possibilità. I nomi di cui si parla a me vanno tutti bene. L’importante è che a decidere siano i gruppi parlamentari nella loro piena autonomia. Ci sarà da fare per tutti in uno spirito unitario e di responsabilità collettiva. Ci sono i capigruppo, le cariche parlamentari, il governo ombra e un gruppo dirigente che si dedichi a radicare il partito nel nord e nel sud, quindi spazio per l’impegno pieno di tutte le risorse di cui il partito dispone».

Domani ci saranno i ballottaggi. Se a Roma Rutelli dovesse perdere tante questioni si ingarbuglieranno...
«Rutelli deve vincere, per Roma e per il paese. Il dato del Pd nella capitale è molto alto, ma è chiaro che votare 15 giorni dopo la vittoria di Berlusconi non è facile. Dipende da quanta gente si recherà alle urne».

I giornali della destra dicono che se perde la sua leadership risulterà indebolita...
«Sarebbe stato vero se fossi stato candidato sindaco. Ma diciamo le cose come stanno. C’era qualcuno che pensava di vincere le elezioni prima che iniziasse la campagna elettorale? Il clima è cambiato negli ultimi due mesi, grazie alla rimonta del Pd. Bisogna ripartire da qui, senza strutture leaderistiche, con tante personalità di generazioni diverse che lavorino insieme, quali che sia il risultato di Roma. Se dovessimo perdere, per risalire l’onda serve più determinazione, non meno».

A proposito di Roma. La campagna della Destra è stata particolarmente dura, Fini non ha lesinato gli insulti. Vede possibilità di dialogo con questa maggioranza?
«Il fatto che Fini abbia definito una salma Rutelli e che bisogna fargli una pernacchia quando parla, e pensare che può sedere sullo scranno su cui sono stati seduti Pertini, Iotti, Scalfaro, sono due cose incompatibili».

E quindi?
«La Destra deve decidere: se vuole usare un linguaggio da scontro frontale non può pensare di trovare un’opposizione che non reagisce. Se invece vuole avere un atteggiamento di dialogo, ci troverà fermi ma dialoganti».

Forse hanno capito che al paese piace il linguaggio dello scontro. Berlusconi ha detto che l’ha rimandata in Africa e che rimanderà Rutelli sul motorino.
«Non rispondo alle battute da bar. La realtà è che loro cavalcano un linguaggio e un clima che c’è nel paese. Una ragione in più per impostare anche una grande battaglia culturale, oltre che politica. Il Pd deve servire a questo. Perché anche dall’opposizione riuscirà a fare un grande servizio al paese contrastando le politiche del governo e preparandosi alle prossime sfide per la guida del Paese».

Pubblicato il: 26.04.08
Modificato il: 26.04.08 alle ore 14.25   
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« Risposta #131 inserito:: Aprile 28, 2008, 09:57:02 pm »

Centrosinistra anno zero. Veltroni: sconfitta pesante


Nei giorni scorsi ci avevano pensato in molti, forse senza crederci fino in fondo. Ora, mentre i militanti di An coronano la loro lunga marcia con la presa del Campidoglio, sembra esserci solo un profondo smarrimento. Ha vinto Alemanno. Ma per il centrosinistra, la sconfitta di Roma non rappresenta solo l’addio al governo della Capitale, un modello esportato con orgoglio nel resto d’Italia, base dell’ascesa di Veltroni alla guida del Partito Democratico. È la fine di una stagione, l’anno zero, un punto di non ritorno. Dalla vittoria di Rutelli nel 1993, alla sconfitta di Rutelli nel 2008 si chiude un ciclo. Nella stessa città dove il centrosinistra, due anni fa, vinceva con oltre il 60%. Cosa è successo?

Walter Veltroni non si nasconde. Perdere nella città dove è stato sindaco fino a meno di tre mesi fa, rappresenta «una sconfitta molto grave, molto pesante, che io non posso non sentire con particolare acutezza e amarezza personale e politica». Il leader del Pd annuncia «fin dalle prossime ore una analisi seria e approfondita», ma già mette in evidenza due dati: lo scostamento (al ribasso) fra il voto alle Politiche e il voto alle Amministrative per il centrosinistra e l’effetto del «vento politico che spira nel paese in particolare sul tema della sicurezza».

Ma il primo cui tocca tracciare un bilancio è proprio il perdente, Francesco Rutelli. Poche parole per dire che «oggi è una sconfitta e un'amarezza grande», per rivendicare che «abbiamo energie importanti nel Pd e nel centrosinistra romano», e trovare la «fiducia che questo centrosinistra, con le risorse che ha, sappia guardare al proprio futuro».

Motivo della sconfitta, anche per Rutelli, la «ventata di destra riassunta nel tema della sicurezza. Ci sono state molte strumentalizzazioni anche pesanti, ma bisogna riflettere sui limiti della sinistra» per quanto riguarda «queste vicende». Restano, però, da «analizzare i dati», per «comprendere i circa centomila elettori del centrosinistra che si sono astenuti nel ballottaggio, forse anche come contraccolpo dei risultati delle elezioni politiche, e tutti quegli elettori che hanno votato Zingaretti e Alemanno».

Grande amarezza, ma anche toni polemici nei confronti del Pd, dagli esponenti della Sinistra Arcobaleno. Per l’ex segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano, «il risultato per Roma è drammatico e ci preoccupa per il futuro della città. La responsabilità è comune e quindi è anche mia, ma è evidente che una grande responsabilità va alla strategia del Pd e a Veltroni. La semplificazione del quadro politico esaltata da tutti è servita solamente all'affermazione delle destre». Per il verde Angelo Bonelli, «ora è necessario comprendere le ragioni della sconfitta elettorale, avviando un dialogo tra sinistra, Verdi e Pd per una riflessione comune su questo punto». Durissimo il socialista Franco Grillino: «A Roma, in due elezioni contemporanee, il laico Zingaretti vince, il clericale Rutelli perde malamente. Come ho avuto modo di dire lungo tutta la campagna elettorale, quella di Rutelli è stata una candidatura sbagliata, frutto dell'arroganza di un Pd incapace di esprimere quel rinnovamento che a parole doveva essere la sua politica».

Unico ad uscire dal coro è il solo vincente della giornata, il nuovo presidente della Provincia Nicola Zingaretti: «Domani commenteremo i dati - afferma - oggi è la giornata dei festeggiamenti». Ma intanto ricorda che «in Regione 4 province su 5 sono governate dal centro sinistra». Dunque nessun «senso di accerchiamento. Noi difenderemo gli interessi generali di questa provincia e se tutti difendono Roma le cose andranno bene».

Pubblicato il: 28.04.08
Modificato il: 28.04.08 alle ore 20.44   
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« Risposta #132 inserito:: Aprile 29, 2008, 05:29:03 pm »

POLITICA

Ora il segretario rischia il processo. Il candidato sconfitto: la città era insoddisfatta

Bersani attacca: sembra il partito di Bibì e Bibò.

Franceschini: meglio portare la croce

E al loft parte la resa dei conti Walter: "Ma io non mollo"

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - "Che dobbiamo fare? Bisogna andare avanti. Certo, una cosa si può dire: Rutelli a Roma non ha sfondato... ". Nelle parole di Walter Veltroni, che sono quasi un sospiro, c'è tutto lo sconforto per una sconfitta che gli si ritorcerà contro, eccome, e un'analisi che assomiglia a una prima vera resa dei conti dentro il Partito democratico. Dunque, la Capitale è andata alla destra perché il candidato sindaco del Pd, cioè Rutelli, non ha tirato, ha perso voti per strada, ha creduto di poter fare "come Al Gore che declintonizzò la sua campagna", ragiona il segretario del loft, facendo, guardacaso, la stessa brutta fine.

Ma Veltroni ha avvertito il colpo delle elezioni romane, lo ha accusato, sicuramente anche lui si sente un po' nell'angolo se ammette che "il modello Roma (vale a dire il suo, ndr) ha mostrato qualche crepa". Sì, adesso il confronto tra i Democratici, rinviato all'indomani del 14 aprile, andrà fatto. Seriamente. "Parteciperanno tutti, però... ", ripete come una minaccia Veltroni. "Anche quelli hanno avuto risultati straordinari al Sud - sibila sarcastico il segretario - . Vedo il dato di Foggia, per esempio... ". Il riferimento è a Massimo D'Alema, alla sua Puglia, alla provincia storicamente rossa finita anch'essa tra le braccia dei berlusconiani.

Quel clima da resa dei conti risuona anche nei commenti dello sconfitto. Ragionamenti ribaltati, frecciate dirette all'ex sindaco di Roma. "Pensare di risolvere tutto dando la colpa a me è ingiusto e sbagliato - reagisce il vicepremier -. Ho pagato la grande insoddisfazione per la Roma di Veltroni. E io purtroppo non ho potuto criticare nessuno, come ha fatto il Pd con Prodi nel voto nazionale". All'ira di Rutelli contribuisce, non poco, il dato del successo di Nicola Zingaretti alla Provincia che coincide con la sua sconfitta. Il voto disgiunto alimenta sospetti, dietrologie. "Se non volevano Francesco - ragiona il fedelissimo del perdente Roberto Giachetti - i romani se ne andavano al mare. Non votavano per Alemanno al Comune e per il candidato Pd alla Provincia". Il dubbio, esplicito tra i rutelliani, è che una fetta di diessini (dalemiani per essere più precisi) abbia voluto mandare un segnale non a Rutelli, ma a Veltroni. Sono voci dal sen fuggite, commenti cosiddetti a caldo, figli della delusione assoluta. Ma quest'atmosfera sembra davvero il preludio a un processo globale dentro il Partito democratico che avrà come principale imputato il segretario.

Pierluigi Bersani, riferendosi alla battaglia sui capigruppo del Pd, ha parlato fuori dai denti, nel "caminetto" della mattina, di "un partito di Bibì e Bibò. Dove le decisioni vengono prese dall'alto. Finiremo per scegliere a Roma anche gli incarichi della sezione di Brisighella". Un attacco chirurgico. Anche se la consultazione per la scelta dei presidenti di deputati e senatori va nella direzione indicata da Veltroni, con la conferma di Soro e Finocchiaro, la partita può riaprirsi. Diventando la chiave di un "commissariamento" della leadership veltroniana. Bersani avverte: "Continuo a chiedere il rafforzamento del Pd, come ho sempre fatto. E parlerò chiaramente alla prima assemblea del gruppo". Dopo il risultato di Roma D'Alema tace, ma i boatos segnalano suoi uomini già pronti a incunearsi nelle maglie di un partito onestamente in stallo, diviso, lacerato, piegato dall'uno-due elettorale. Rilanciano perciò la candidatura di Bersani alla Camera e di Rutelli, proprio lo sconfitto di Roma, a capogruppo di Palazzo Madama. Sarebbero due nomi con il dente avvelenato nei confronti della segreteria.

A maggior ragione dopo il voto della Capitale, i dirigenti di area popolare insistono sul mancato sfondamento al centro. E non è un mistero che Beppe Fioroni voglia soffiare il posto di coordinatore a Goffredo Bettini, regista della politica romana, oggi indebolito. Lo stesso Bettini però è intenzionato a resistere: "Dobbiamo mantenere la calma, altrimenti il Pd va allo sfascio". Sfascio significa scenari cupi, ma di cui si avvertono segnali un po' dappertutto. L'allarme lo lancia Marco Follini: "Ora occorre discutere dell'identità del Pd. Se è un partito di sinistra, anche socialdemocratico, beh la scommessa non mi riguarda più. Se invece capisce le sue difficoltà, unisce davvero le varie culture del Paese e dice no a Di Pietro, Grillo e i radicali, possiamo cambiare la strategia e andare avanti". La parola d'ordine di Dario Franceschini va nel solco del resistere, resistere: "Meglio portare la croce e tenere botta che uscire tra gli applausi. E ricordiamoci cosa successe al Ppi quando si dimise Martinazzoli. Sparì". I centristi non vogliono abbandonare la barca che anche loro hanno costruito, cioè provocare una clamorosa scissione, ma invocano un mutamento di rotta.

Sono messaggi chiari a Veltroni, "requisitorie" che forse non ne chiedono la testa, ma una sterzata decisa, un cambio di linea, sì. "Non bisogna arroccarsi, il risultato è troppo pesante", ammonisce Enrico Letta. Che alla domanda su un eventuale richiesta di congresso straordinario risponde: "Non lo so". Effettivamente la data del 2009 appare a molti troppo distante. "Così non ci arriviamo nemmeno al prossimo anno, il Pd muore prima", è il grido di dolore di alcuni dalemiani. "È stato bombardato il quartier generale", ammette Follini. Il ricorso al congresso straordinario potrebbe essere la mossa dello stesso Veltroni, "ma la sola parola congresso evoca brutti ricordi, le tessere, le conte". Intanto ha fissato i primi luoghi di incontro (o scontro): 12 maggio la direzione, primi di giugno l'assemblea nazionale. E si prepara alla sfida: "L'analisi riguarderà me e tutti gli altri. Porteremo i dati di Roma, del Nord, del Centro e del Sud. Così vediamo chi ha sfondato e chi no".


(29 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #133 inserito:: Aprile 30, 2008, 07:15:12 pm »


 Non si torna indietro


“Abbiamo fatto una scelta coraggiosa e di innovazione per la quale paghiamo anche dei prezzi, ma non torneremo indietro”. Con queste parole il segretario del PD alter Veltroni ha sintetizzato l'esito dell'ufficio politico tenutosi a Montecitorio. “Il partito – ha aggiunto Veltroni – è nato solo sei mesi fa, ha ereditato una situazione difficile e ha raggiunto in poco tempo una dimensione europea. Ci dobbiamo ora preparare per le prossime scadenze elettorali per dare un'alternativa agli elettori”.

Il leader democratico torna sull'esito delle elezioni amministrative del 27 e 28 aprile e in particolare sulla sconfitta di Francesco Rutelli a Roma. “Un dato grave e pesante – ha riconosciuto – però anche molto più complicato i quel che è apparso nelle prime ore. Abbiamo vinto in altre città, come Udine, Vicenza, Ivrea. E' un risultato importante perchè conferma che il voto del Nord è stato anche diverso da quello che sembrava all'inizio, tutto spostato sul centrodestra”.

Un voto che, comunque, non potrà non comportare una riflessione profonda all'interno del PD. Veltroni non si tira indietro. “C'è bisogno di leggere più in profondità la società italiana, l'ondata di destra, guardare alle mutazioni sociali e radicare in profondità il partito, in pochi mesi era difficile farlo ma ora si deve fare”. Un discorso strutturato, una discussione aperta e approfondita.

“Abbiamo deciso di avviare una discussione nel partito, tra i circoli. Discuteremo le modalità con cui fare questa discussione, ci sono varie ipotesi, ci siamo presi una pausa di riflessione e lunedì riunirò i segretari regionali”. La volontà, comunque, è chiara: “Consentire a tutti di dire la propria opinione, non solo agli organismi dirigenti. Un dibattito molto vasto. E' il momento di fondare il PD non solo attraverso il rinnovamento programmatico”. A chi gli chiede se sia possibile l'anticipazione del congresso, Veltroni risponde: “Statutariamente è previsto entro il 2009, può darsi che la scadenza sia quella o un'altra, ne discuteremo ma ci sono varie forme per fare una discussione collettiva oltre al congresso”.

Una cosa è certa: non c'è in atto alcuna resa dei conti all'interno del PD e Veltroni tiene a precisarlo, così come a sottolineare che nessuno nel partito abbia messo in discussione la sua leadership. “Non so se con questo posso rassicurare o rattristare, ma il PD è nato sei mesi fa. Abbiamo fatto un grandissimo lavoro che ha trovato consenso tra la nostra gente. Abbiamo fatto una scelta di coraggio e innovazione. La cosa peggiore, quando si ha coraggio, sarebbe tornare indietro”.

Quanto al ruolo del PD in Parlamento, Veltroni ha tenuto a ribadire la disponibilità della futura opposizione per affrontare le riforme istituzionali di cui necessita il Paese. Cosa che però non sembra ancora essere stata recepita dalla coalizione di destra. “Una legislatura costituente sarebbe dovuta partire con un atteggiamento costituente, ad esempio di fronte all'elezione dei presidenti di Camera e Senato. E invece è mancato persino un minimo di discussione”.

Veltroni ha ricordato che il PD, in caso di vittoria, “aveva affermato che, avrebbe proposto all'opposizione la presidenza di uno dei due rami del Parlamento. Dal centrodestra, invece, non si è voluto fare niente di tutto questo, non si è voluta avviare alcuna discussione sulle candidature di Camera e Senato e non si vuole fare nessun discorso neanche sulla nomina del commissario all'Unione Europea”.

Il leader del PD ha sottolineato infine che “per adesso, non ci sono segni di una politica di dialogo. Il carattere costituente di questa legislatura – ha spiegato – non può dipendere soltanto dalla nostra assoluta disponibilità, che abbiamo sempre assicurato, a convergere intorno a riforme istituzionali che diano al Paese più stabilità, più velocità e più trasparenza. Ci vuole anche la volontà politica di chi ha vinto le elezioni. E questa, finora, non si è registrata”.

dal sito PD
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« Risposta #134 inserito:: Aprile 30, 2008, 11:04:16 pm »

Veltroni: «Sì al dialogo ma solo sulle riforme»


«Cercheremo sul terreno delle riforme istituzionali di cui l'Italia ha bisogno, un dialogo con la maggioranza, mentre faremo una opposizione rigorosa e di merito al governo che si annuncia». Lo dichiara il segretario del Pd Walter Veltroni in una nota, nella quale si complimenta per l'elezione di Anna Finocchiaro e Antonello Soro a Capigruppo di Camera e Senato.
«I gruppi parlamentari - sottolinea il leader del Pd - avranno anche un ruolo fondamentale nel lavoro con il governo ombra nell'articolazione delle nostre proposte, nella puntuale individuazione dei problemi e nella capacità di dialogo con le esigenze che vengono dal Paese e a cui intendiamo dare voce e risposta».

Intanto continua nel gruppo dirigente del Partito democratico la discussione sul dopo-voto e sulla proposta lanciata da Veltroni di una possibile anticipazione del congresso a ottobre.

Una proposta che convince il ministro della Difesa uscente Arturo Parisi. Secondo Parisi il discorso fatto l'altro giorno da Veltroni ai parlamentari «introducendo per la prima volta la categoria della sconfitta all'interno del dibattito politico» deve essere riconosciuto anche come atto di coraggio.
E così, prosegue si porrebbe il problema «come previsto nello statuto, di rimettere il proprio mandato chiedendo un rinnovo di fiducia ma tuttavia sottoponendolo a un voto dell'assemblea costituente, del congresso e poi degli elettori nel più ampio formato qual è quello delle primarie».
Parisi ammette che «al momento sembra che l'opposizione pressochè unanime a questa proposta abbia concluso la vicenda» ma per quanto lo riguarda Parisi si augura «che il segretario voglia riproporre la sua proposta nel coordinamento e non la limiti al solo caminetto».

Per Marina Sereni, intervistata da Omnibus su La7, tutte le voci di complotto interno al Pd ai danni del segretario non sono altro che «palle spaziali». E così pure una resa dei conti verso Rutelli per la perdita del Campidoglio. «Non credo- dice la Sereni- che il risultato di Roma si possa leggere in termini di complotto, non c'è una resa dei conti all'interno del quadro dirigente del Pd ». La Sereni sottolinea che la differenza di voti fra provincia e comune è un dato che deve essere indagato. Sarebbe però ingiusto addossarne tutte le colpe al candidato sindaco. Anche se, ammette, «forse riproporre a distanza di anni una personalità, anche se aveva fatto bene il sindaco, è stato percepito come una ristrettezza della nostra classe dirigente a disposizione della città».

Anche Piero Fassino, intervistato da l'Espresso, promette «una discussione vera e libera su quanto è accaduto nel voto. Senza essere nè sbrigativi nè consolatori». Ma, avverte, una cosa è certa: dalla scelta del Pd non si torna indietro. La discussione è appena iniziata e proseguirà «sapendo che non ci sono rese di conti da fare, non ci sono capi da cambiare. Quando abbiamo scelto Walter Veltroni, non abbiamo investito su una persona che guidasse una campagna elettorale ma su un leader che potesse guidare il partito sia in caso di vittoria che di sconfitta».

Massimo Cacciari appoggia in pieno la proposta di Walter Veltroni di anticipare il congresso purché non venga letta come «una messa in discussione, nemmeno di Veltroni ma addirittura dell'impostazione che il segretario ha dato al Partito Democratico» perché questo «sarebbe una follia totale». E sulla scelta del presidente al posto di Romano Prodi, Cacciari si schiera per Franco Marini.


Pubblicato il: 30.04.08
Modificato il: 30.04.08 alle ore 18.14   
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