WALTER VELTRONI ...

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POLITICA

Bersani e Letta ancora indecisi. Bindi boccia il ticket

Franceschini: "Se correranno altri sarà tutta salute"

Parisi: "Pronto a candidarmi se resta in corsa solo Veltroni"

Nuovo rinvio sulle regole per la Costituente

di GOFFREDO DE MARCHIS

 

ROMA - Qualcosa si muove, come aveva auspicato Rosy Bindi. Se Walter Veltroni dovesse restare l'unico candidato alla segreteria del Pd, per esempio, si presenterà anche Arturo Parisi. "Lo farei - spiega il ministro della Difesa all'Ansa - non per un astratto principio democraticistico, ma per la piega unanimistica e plebiscitaria che, come era prevedibile, ha preso la candidatura di Veltroni a causa della investitura da parte dei vertici dei partiti". I prodiani dunque rompono gli indugi. Hanno sostenuto il nome del sindaco di Roma fin dall'inizio, ma criticato il metodo. E i giorni successivi alla scesa in campo di Veltroni non li hanno affatto convinti. L'ombra dei partiti che si allunga sul candidato, il ticket deciso a tavolino Veltroni-Franceschini, il coro in favore del primo cittadino. E il ritiro di alcuni papabili.

Quella di Parisi non è solo una provocazione. È l'affermazione di un principio, la difesa di uno strumento come le primarie. E può diventare alla lunga una sollecitazione reale per antagonisti oggi ancora in attesa. Gli occhi sono puntati su Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. A loro guardano, per rendere la competizione più accesa, in molti e di diverse estrazioni. Diessini spiazzati, difensori delle regole e forse una parte di elettori del Nord se il sottosegretario a Palazzo Chigi ha cominciato un giro esplorativo proprio dal Veneto la scorsa settimana.

La Bindi ha ripetuto ieri all'assemblea federale della Margherita il suo pensiero: stima per Walter, però... "La scelta di un leader passa attraverso una competizione vera. Che è molto meglio di una ratifica", avverte. C'è poi la questione delle donne ("anche stavolta assenti", dice il ministro della Famiglia) e i dubbi sul ticket con Franceschini. Beppe Fioroni in realtà ha sposato la formula del vicario e ha elogiato la scelta del capogruppo ulivista.

I prodiani però insistono: la figura del vice non esiste in un regolamento che ancora va scritto. Così come va fatto il partito. Franceschini risponde alle critiche così, parlando alla Festa dell'Unità: "Se scenderanno in campo altri ticket, ben vengano. Sarà tutta salute per il Pd. Ma se c'è un consenso generalizzato per Veltroni, non mi scandalizzo". Chiaro il riferimento a Bersani-Letta. Sono questi gli elementi che i due dovranno mettere insieme nelle prossime ore o nei prossimi giorni. Da Franceschini è venuto anche un appello al rientro di Sinistra democratica: "Il Pd è la casa di tutti. C'è bisogno anche di loro".

La Bindi non ha sciolto la sua riserva. Ma come candidato probabile, dalla Margherita, viene indicato Letta. Molti suoi colleghi di partito sono convinti che alla fine il sottosegretario parteciperà alla gara. Anche se il suo rapporto con Veltroni è ottimo, anche se le possibilità di vittoria, per lui come per altri, sembrano davvero ridotte. Diverso il discorso di Bersani. Il ministro dello Sviluppo economico attende il discorso di domani al Lingotto. Vuole buttarsi solo se le due piattaforme saranno distinte, in alcuni punti fondamentali. Ha condiviso alcune linee contenute nel documento dei giovani diessini sul ricambio generazionale, sul rafforzamento dei poteri del premier, sull'avvio di una Terza repubblica. Avrebbe voluto partecipare alla loro assemblea mercoledì. Ma quell'assemblea è diventata una conferenza stampa convocata per oggi. Il documento infatti, hanno precisato i firmatari (tra cui Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Andrea Martella, Marco Filippeschi e Roberta Pinotti) è aperto a tutti, non sostiene alcun candidato. E Zingaretti ha scritto all'Unità, che aveva anticipato il testo mettendolo in relazione con Bersani, chiarendo: "Io sto con Veltroni". Quella che poteva essere una base di lavoro per la candidatura Bersani resta alla fine un programma a disposizione di tutti gli eventuali candidati, Veltroni compreso.

La corsa dipende anche dalle regole per l'elezione dell'assemblea costituente. E dopo la riunione dei tre coordinatori Mario Barbi, Maurizio Migliavacca e Antonello Soro, ieri sera, si è andati a un nuovo rinvio sul punto principale: al candidato va collegata una sola lista o si possono collegare più liste? Parisi insiste: una sola lista. Che è il modo per evitare una divisione per correnti dentro la Costituente. Ma la soluzione ancora non c'è.

(26 giugno 2007) 
da repubblica.it

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Ds e Dl attestati al 23/25%.

Determinanti i «voti mobili»

Pd, l'«effetto Walter» vale il 10%

Consenso di astenuti e indecisi che però chiedono scelte nette dalla Tav alle tasse

 
Quale può essere l'apporto di Veltroni, al risultato elettorale del Pd? Al solito, va sottolineato che nessuno, tanto meno i sondaggi, può prevedere il futuro. Ma si possono fare alcune ipotesi, ricordando che da diversi anni le elezioni si vincono soprattutto in relazione a ciò che viene comunicato durante la campagna e — in misura minore — a ciò che si è effettivamente realizzato rispetto alle promesse del passato.

DS e Margherita ottengono oggi nel loro insieme il 24-26% delle intenzioni di voto, con un calo di circa l'1% rispetto a due mesi fa. Ma solo una parte (76%, anche in questo caso con un calo di circa il 2%) di costoro dichiara di «prendere in considerazione » il nuovo partito. Ne consegue che l'apporto da DS e Margherita al Pd sarebbe pari grossomodo al 18-20% dell'elettorato. Cui va aggiunto un 2% circa di elettori di altri partiti e una quota rilevante (attorno al 3% dell'elettorato con, in questo caso, un forte incremento da qualche settimana a questa parte) degli indecisi e degli astenuti, che mostrano, in questo periodo, una crescente e speranzosa attenzione per la nuova forza politica. È grazie a questi ultimi, dunque, che, malgrado le defezioni nel centrosinistra, il Pd riesce a mantenere i consensi attorno al 23-25%.

E l'effetto Veltroni? Il leader, come si sa, è molto popolare anche al di fuori del centrosinistra. Più di un italiano su cinque, pur non votando per un partito di governo, dichiara di apprezzarlo: molti tra questi sono indecisi e astenuti, che, come si è visto, fanno sempre più parte del mercato potenziale del Pd e che potrebbero decidersi a votarlo, proprio per la presenta del Sindaco di Roma. Inoltre, Veltroni è molto stimato anche nell'elettorato del centrosinistra che non sceglie oggi Ds o Margherita o che, pur votandoli, non è intenzionato a optare per il Pd. Nell'insieme, se costoro decidessero di seguire comunque Veltroni, dandogli la propria fiducia come leader del Pd, si otterrebbe un incremento del consenso al partito addirittura superiore al 10%.

La potenzialità, dunque c'è ed è relativamente estesa. Ma si tratta di trasformarla in realtà: tramutare le intenzioni di voto in consensi «veri». Per farlo efficacemente Veltroni dovrà, tra l'altro: - apparire «giovane» e innovativo. E' vero infatti che nei sondaggi è il più gettonato tra i leader del centrosinistra, ma è vero anche che i suoi consensi provengono in misura relativamente maggiore dai più anziani. Il Sindaco di Roma deve conquistare le nuove generazioni.
- evitare di essere considerato mera espressione dei partiti, di sembrare il prodotto delle scelte delle burocrazie. Al riguardo, sono in molti a ricordargli che, nella vicina Francia, né Royal né Sarkozy sono stati designati «automaticamente» dai loro partiti, anzi. Da questo punto di vista, a Veltroni conviene la immediata realizzazione di vere primarie competitive e non di plebisciti.
- assumere posizioni concrete sulle diverse questioni. È questa in particolare la richiesta dell'elettorato «mobile». Un segmento di votanti molto importante. Oggi in misura ancora maggiore, con l'incremento di chi afferma la disponibilità a votare a destra come a sinistra, basandosi principalmente sulle argomentazioni — e, seppure inconsapevolmente — sull'immagine dei diversi candidati. Nel complesso, tra un quinto e un sesto degli italiani (il 14,4%) si dichiara oggi «potenzialmente mobile» da una coalizione all' altra.

Proprio costoro si accontentano sempre meno di mere posizioni di principio o di generico «buonismo», ma dichiarano di voler conoscere sin d'ora cosa intende fare il futuro leader del PD sulla Tav, sulle tasse, sulle pensioni, ecc.. I «potenzialmente mobili» costituiscono il vero mercato da conquistare. Anche — specialmente — da parte di Veltroni e del nuovo partito che si appresta a dirigere.

Renato Mannheimer
26 giugno 2007
 
da corriere.it

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Marta Vincenzi: «Nel ticket avrei voluto una donna»

Maria Zegarelli


Su «Walter» nessuna esitazione, sulla definizione «ticket» qualche riserva ce l’ha. Marta Vincenzi, neosindaco di Genova, oggi sarà al Lingotto e farà il tifo per il primo, per ora solitario, candidato alla guida del Partito democratico.

Sindaco, partiamo da qui, dal ticket Veltroni-Franceschini. Cosa non la convince?
«Non amo tanto questa storia dei ticket, preferirei modi diversi per dar vita alla necessità di tenere insieme l’esistente. Perché mettersi in due e non in gruppo? E perché non considerare l’ipotesi una donna nel ticket? Sia chiaro: Franceschini è un politico di alto profilo, ma una vera innovazione duale sarebbe stata la presenza di una donna. Il termine ticket sa ancora di due forze politiche che si uniscono, mentre l’obiettivo del Pd è quello di andare oltre e puntare al nuovo. L’unica possibilità che abbiamo per far passare un messaggio forte di innovazione è quella di proporre ipotesi di leadership che non ricalcano la situazione dei due partiti che si fanno forza tra di loro per evitare di perdere ancora pezzi».

Però, da quando si è fatto il nome di Veltroni c’è stato il fuggi-fuggi tra gli altri possibili candidati...
«Questo è un problema che bisognerà affrontare. Ritengo che in questo momento la figura di Veltroni sia quella giusta per rilanciare il Pd: quando è venuto a Genova per chiudere la campagna elettorale nella mezz’ora in cui ha parlato al pubblico ha riconosciuto che ormai siamo quasi afasici nel riconoscere i bisogni veri delle persone. E lui è alle persone che si è rivolto, senza usare perifrasi o lanciarsi in discorsi di fantapolitica. Credo davvero che oggi possa farci fare il salto di cui c’è bisogno. Detto questo, considero negativo il fatto che nessuno si confronti con questa candidatura. Forse è il risultato di una impostazione del percorso che non condivido».

Parla dell’elezione del segretario?
«Mi riferisco alle primarie che sono uno strumento nato per scegliere il candidato premier e non il segretario di un partito. È giusto che i cittadini vadano a esprimersi, perché nasce un partito nuovo, ma non capisco perché dobbiamo chiamarle primarie».

Arriviamo al discorso che Veltroni farà al Lingotto. Cosa si aspetta?
«Mi aspetto che scaldi cuori e intelligenze, che parli agli uni e alle altre. C’è una grande voglia di cominciare a pensare che questa proposta di Pd possa davvero cambiare qualcosa, ma anche una grande reticenza ad attaccarsi a una speranza che si teme possa realizzarsi. Veltroni dovrà usare i toni giusti per riconoscere la forza di cambiamento che vogliamo dare e dia credibilità. Deve fare in modo che le persone si convincano a partecipare a questo processo e non ad assistere soltanto. Concretezza e sogno, per sintetizzare. E consapevolezza del fatto che è dai territori che bisogna ripartire perché le contraddizioni e le difficoltà della politica sono le stesse che si riscontrano,d a parte della gente, nell’ organizzazione delle città. Si devono diversificare le risposte a seconda delle aree del nostro Paese».

Cacciari ha definito la sua una “adesione condizionata” alle risposte che arriveranno alla questione settentrionale. Lei è sulla stessa linea?
«Faccio parte della partita di sindaci che lavorerà a una proposta per il Nord da sottoporre al leader del Pd, ma la mia non è una adesione condizionata, sono convinta che Veltroni sia la persona giusta. Mi aspetto, naturalmente, che Walter possa far proprio il contributo di riflessione che da questa parte del Paese arriverà al Pd».

Pubblicato il: 27.06.07
Modificato il: 27.06.07 alle ore 8.58   
© l'Unità.

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Sergio Chiamparino: «Doveva candidarsi Ora, segnali forti»
Maria Zegarelli


Sergio Chiamparino si dice tranquillo alla vigilia del discorso di Walter Veltroni al Lingotto. «Sono certo che dopo quello che dirà l’adesione di Cacciari non sarà più condizionata».

Veltroni ha scelto la sua città, un segnale di attenzione vero la “questione settentrionale”?
«Walter mi ha detto di aver scelto questa città dopo aver letto una mia intervista il cui titolo diceva “la missione del Pd è parlare al Nord”. È evidente che la sua scelta è un segnale forte di volontà di dialogo, ma credo che Torino sia anche una città che per il suo passato, il suo presente e per i grandi personaggi che vanta- da Gramsci, a Bobbio, dai “santi sociali” al cardinale Pellegrino”- rappresenta la cultura che dovrebbe fare da base del Pd. Qui la sinistra dagli anni Novanta in poi ha innovato e ha contribuito alla nascita dell’Ulivo prima e del Pd oggi. I problemi che nascono al Nord sono spesso quelli che poi esplodono nel resto del Paese, anche se qui hanno una forma più esasperata perché è l’area obbligata a stare di più nella globalità, sia dal punto di vista dei processi di competizione sia da quelli di inclusione».

Pensa a una lista del Nord a sostegno del candidato?
«Non solo. Penso - e sono sicuro di interpretare il pensiero di Cacciari, con il quale ho parlato poco fa, ma anche di molti altri - che l’apparentamento e il sostegno a Veltroni nell’ambito di un quadro comune di valori e indirizzo vadano garantiti partendo da una piattaforma politica e programmatica che tenga conto delle realtà e delle criticità delle nostre città».

La sua collega Marta Vincenzi si dice perplessa sulla formula del ticket. Lei che ne dice?
«Le persone che compongono il ticket sono di grande qualità personali e politiche. Le perplessità possono esserci circa l’idea. Forse il rischio che paventa Vincenzi c’è, ma ci sarebbe stato in ogni caso. L’unico modo perché la costruzione dell’Assemblea costituente non prefiguri la sommatoria Ds- Margherita è quella di consentire una forte articolazione delle liste a sostegno dei candidati».

C’è chi dice che una candidatura così forte possa svuotare di senso le primarie...
«Credo che si sarebbero svuotate di contenuti se la persona che l’opinione pubblica identifica più direttamente con il Pd fosse stata a guardare in disparte. La decisione presa cambia il senso delle primarie, se non ci fosse stata la candidatura di Veltroni avrebbero espresso una leadership dell’Assemblea costituente ma non del partito. Se Veltroni non si fosse candidato gli stessi elettori si sarebbero chiesti perché tenere fuori colui che secondo i sondaggi gode di ampio consenso. Chi non si riconoscerà nella piattaforma programmatica e politica di Veltroni sarà libero di mettersi in gara».

Quali argomenti secondo lei sono prioritari?
«Oggi la politica trasmette molto più l’idea di quello che ha dietro rispetto a quello che ha davanti. Per questo il Pd deve presentare un momento di forte innovazione di tutta la politica italiana e se questo è vero le stesse categorie di destra e sinistra, così come sono declinate oggi, vanno profondamente riviste. C’è bisogno di rimotivare il campo intero della sinistra a partire dalle questioni generali, ma non si può più attingere al vecchio armamentario ideologico: bisogna puntare sull’innovazione e su una grande attenzione a una politica che sia insieme partecipazione e decisione».

Pubblicato il: 27.06.07
Modificato il: 27.06.07 alle ore 8.59   
© l'Unità.

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POLITICA
IL PERSONAGGIO

La parabola del "buonismo"
di FILIPPO CECCARELLI

 
POLITICA, sentimenti e degenerazioni sentimentali, ormai. Potere e benevolenza, conflitto e premura, strategia e morbidezza. Nella giornata in cui il centrosinistra ritrova finalmente un leader, dopo mesi e mesi di vane zuffe varrà la pena di chiedersi come è possibile che Walter Veltroni, preteso buonista per eccellenza, e comunque accreditato fondatore del buonismo, sia riuscito nella straordinaria impresa di fare fuori tutti gli altri senza nemmeno sporcarsi le mani.

"Oddio - ha esclamato Sabrina Ferilli - ancora con questa storia del buonismo!". E tuttavia per una volta converrà accantonare il pur legittimo fastidio dell'attrice, che oltretutto con Veltroni ha un bel debito di riconoscenza, avendola egli difesa, freschissimo sindaco, dagli strali del priore della chiesa di Santa Sabina, sopra il Circo Massimo, allorché la Ferillona volle spogliarsi davanti a 500 mila tifosi che festeggiavano il terzo scudetto della Roma.

E già questo singolare patrocinio, se si vuole, sposta parecchio in là l'orizzonte del buonismo. Categoria politica ormai abbastanza antica, come si intuisce da uno strillo di copertina dell'Espresso, "Buonismo, malattia infantile del centrosinistra", comparsa sotto il faccione del futuro leader del Partito democratico nel febbraio del 1995. Non solo, ma già una decina di anni orsono la parola è entrata nel Lessico Universale della Treccani come: "Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversari".

Così autorevolmente certificata, si può aggiungere che tale definizione si adatta abbastanza bene al suo indiscusso fondatore. Il quale una volta, a Rieti, appena sceso dall'automobile fu accolto da alcuni giovani militanti di Alleanza nazionale con una pioggia di mutande, si spera - ma non è sicuro - pulite. Un paio di queste mutande lo centrarono in pieno volto. Chi ha assistito alla scena giura che il sorriso di Veltroni fu mite, aperto, indulgente e perfino divertito.

Più o meno la stessa grace under pressure, grazia sotto pressione con cui si rivolse a un operatore di Striscia la notizia che aveva preso a tallonarlo da giorni: "Senta - gli disse il sindaco - a questo punto credo proprio che io e lei dovremo sposarci".
L'agiografia veltroniana, d'altra parte, si configura come un genere giornalistico particolarmente contagioso che arriva a lambire addirittura Il Secolo d'Italia (letto, s'immagina, dai lanciatori di slip). Ma il personaggio è obiettivamente garbato. Di più, è una persona decisamente piacevole. Ma la politica, come diceva De Mita, è la politica; e quindi vive anche - e mai come oggi - di seduzioni e rappresentazioni che travalicano la sfera privata dei suoi protagonisti.

Per cui Veltroni, che pure teorizza "la forza dei piccoli gesti", certamente ne compie a iosa: e perciò rinuncia alla scorta, cede il palco riservato dell'Opera agli studenti del Conservatorio, converte i regali di compleanno nell'acquisto di un videoproiettore per i minori incarcerati. Un giorno, non lontano dalla moschea, ha visto un ragazzo che abbandonava per terra una bottiglia di birra: e allora il sindaco ha fatto fermare la macchina, è sceso, ha avvicinato il giovane facendogli raccogliere la bottiglia per deporla in un cestino.

E comunque: non è il tratto personale in discussione. Molto più interessante, semmai, è indagare sul trionfo del preteso buonismo veltroniano su una scena pubblica sempre più connotata da cattiverie, maleducazioni e volgarità.

Da questo punto di vista il "modello Roma", dove un asilo nido è stato ribattezzato "Coccole & Co", dice molto più di quello che gli analisti sociali freddamente classificano come "politiche simboliche". Un vero e proprio "pozzo di San Patricio", parafrasando il titolo del più buonista dei romanzi veltroniani: lapidi e targhe mirate; intitolazione di vie e parchi in segno di riconciliazione; ricerca di "eroi" e sensibilità al dolore dei personaggi della cronaca (premiazioni, case trovate, funerali pagati); permessi retribuiti ai dipendenti comunali che facciano volontariato; impegno personale del sindaco nei confronti di vecchi, bambini, disabili, esuli. Poi sì, certo, si esagera pure - e ai romani, che i loro problemi continuano sempre ad averceli, non è che siano tanto disposti ad esultare all'unisono con il loro sindaco per l'insperato ritrovamento del cane "Fiocco". Ma pazienza.

Lo stesso Veltroni è intervenuto più volte sul suo stesso buonismo. L'ha fatto, c'è anche da dire, con appuntita sottigliezza lasciando com'è ovvia da parte Peter Pan e San Francesco, due fra i suoi più gettonati ispiratori, ma La Rochefoucauld ("Gli sciocchi non hanno la stoffa per essere buoni") e addirittura Machiavelli che scrive: "Però che a un popolo licenzioso e tumultuoso gli può da un uomo buono esser parlato, e facilmente può esser ridotto nella via buona".

Si tratta in effetti di un'antica risorsa del comando, nella sua accezione tenue, mite, soffice, e però spesso anche mascherata, alla Forlani, per intendersi, non a caso fiabescamente soprannominato "Il Coniglio Mannaro". Eppure, nel corso del tempo, Veltroni non ha mai troppo apprezzato di essere definito come buonista: "Visto che ho la temperatura bassa - ha spiegato una volta - mi rodo il fegato e domino la rabbia. Ma non vorrei che la gentilezza fosse scambiata per qualche cos'altro". E già: "Dal buono al fesso - ha integrato la moglie Flavia, pure consultata sull'argomento - ci vuole un attimo". C'è da dire che quest'attimo venne bruciato da Berlusconi nell'ormai remoto 1995: "Veltroni è un coglione" gli scappò detto in un piano-bar di Cernobbio. Poi rettificò, i giornalisti avevano sentito male. La rettifica che lo aspetta nei prossimi mesi rischia comunque di essere per lui più complicata.

Più scabroso è la dinamica interrelazionale, se così si può dire, con l'antagonista storico di Veltroni, e cioè D'Alema. Perché il buonismo nasce anche in chiaroscuro, in controluce, in controtendenza e in alternativa a un supposto - e anche in quel caso abbastanza documentabile - "cattivismo" dell'attuale ministro degli Esteri. Ha detto Walter diversi anni fa: "Massimo ha una forma di comunicazione molto dura, molto severa, un po' sprezzante nei confronti degli altri, e questo non aiuta". Decisamente no, a giudicare da come sta per finire il torneo per la guida del Partito democratico. Anche se poi, ed è sempre Veltroni a parlare, "scavando, probabilmente si scoprirebbe che io non sono poi così buono". Probabilmente. Per quanto intima, la politica resta sempre un po' ambigua.

(27 giugno 2007) 

da repubblica.ot

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