WALTER VELTRONI ...
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POLITICA
Berlusconi: "Dialogo con Veltroni ma senza l'estrema sinistra"
ROMA - E' "ancora presto", ma Silvio Berlusconi, ragionando sulla discesa in campo di Walter Veltroni alla guida del Partito democratico, disegna possibili scenari futuri. La premessa: "Con questa sinistra estrema non si può governare, blocca il Paese e tiene sotto ricatto il governo". E quindi è possibile, in futuro, una cooperazione con Veltroni senza l'apporto della sinistra radicale? "Vediamo - risponde l'ex premier parlando con un cronista dell'Agenzia Italia, durante una passeggiata per le vie di Roma - è presto. Vediamo come andranno le cose... Certo che è possibile, io non sono contro nessuno in particolare e, quindi, nemmeno contro Veltroni. Voglio solo il bene del Paese".
(27 giugno 2007)
da repubblica.it
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Intervista all'Espresso del ministro della Difesa Parisi: «Veltroni ci ha deluso»
Duro attacco al sindaco di Roma: «Si è assicurato l'appoggio delle macchine di partito. Siamo più indietro del punto di partenza»
ROMA - Non è piaciuto a Parisi il discorso di insediamento di Walter Veltroni. Tutt'altro. In un'intervista rilasciata all'Espresso, il ministro della Difesa ha attaccato duramente il sindaco di Roma, candidato alla segreteria del Pd: «Non è la prima volta che un candidato prescelto delude proprio quelli che lo hanno designato - ha detto -. Al momento però Veltroni ha deluso noi che gli avevamo affidato tutte le nostre speranze, nonostante tutto. Invece si è assicurato l'appoggio delle macchine di partito in quanto tali, di Fassino in quanto segretario dei Ds, e dei Popolari che hanno firmato la sua candidatura mettendogli come numero due Franceschini, da sempre il successore designato di Franco Marini».
CORREZIONI RADICALI - «Se non intervengono correzioni radicali - ha continuato Parisi - ho paura che la frittata sia fatta: resta solo un regolamento per l'elezione dell'assemblea costituente che certifichi e pesi le correnti. Siamo più indietro del punto di partenza. Rischiamo uno scenario municipale: un sindaco e tanti piccoli gruppuscoli personali. Con una piccola differenza: che a livello nazionale non c'è il sindaco, ma solo i gruppetti».
CANDIDATURA DI SERVIZIO - Parisi ha dunque ribadito la disponibilitá per «una candidatura di servizio, per realizzare il progetto. In assenza di candidati alternativi credibili, e penso innanzi tutto ai giovani, ai famosi giovani-giovani che ora dovrebbero scendere in campo per rappresentare idee alternative a questa dinamica, ho idea che sia costretto a candidarmi. Se nessun altro si fa avanti. Sempre che ce ne siano le condizioni e che si possa giocare ad armi pari: se il leader è giá deciso mi potete chiedere una candidatura di servizio, non la certificazione che sono un cretino! Chi parteciperebbe mai ad una gara della quale è stato giá proclamato il vincitore?»
28 giugno 2007
da corriere.it
Arlecchino:
Veltroni, il discorso Il nuovo puzzle delle citazioni
Il sindaco-leader ricorda De Gasperi e Olof Palme.
L'inchino a Biagi e D'Antona
Se sarà un po’ più rosso o un po’ più bianco, un po’ più aperto o un po’ più chiuso, un po’ più rock o un po’ più lento, si vedrà. Quel che è sicuro è che il nuovo Partito democratico, in questo Paese timoroso nei confronti di jettatori, menagrami e «schiattamuorti», nasce (evviva) senza fisime superstiziose. Manco il tempo che Walter Veltroni finisse il suo appassionato e fluviale discorso ed è infatti partita, sia pure nella versione inglese, una musica struggente: «Si è spenta già la luceee...».
Valla a trovare, una colonna sonora per una nuova forza politica che ha l’ambizione di essere insieme erede di De Gasperi e Togliatti, Rosselli e Parri e un mucchio di altri padri e madri, zii e prozie. «Mira il tuo popolo»? Figurarsi. «L’Internazionale?». Neanche. «Bandiera rossa»? Per carità! «Biancofiore / simbolo d’amore»? Manco a parlarne. Solo un uomo potrebbe scriverlo, il nuovo inno ecumenico: l’«ancora giovane Walter». Il quale, sfidando il torrido caldo sahariano della Sala Gialla del Lingotto, i rigagnoli di sudore nel colletto e le battute sulla definizione di Fassino («di tutti noi Veltroni è il più fresco»), ha riassunto in cento minuti di discorso la sintesi di quel che sarà, questo Pd.
Direte che una sintesi di un’ora e quaranta è assai poco sintetica. Difficile darvi torto. Giovanni XXIII riuscì ad aprire il Concilio Vaticano II con una prolusione di 37 minuti. La dichiarazione d’indipendenza americana richiese 1.374 parole. E il «Manifesto del partito comunista» 10.668: un migliaio in meno di quelle spese ieri dal sindaco di Roma per accettare la candidatura a guidare il nuovo partito. Ma lì, appunto, c’era da teorizzare uno schema solo. Qui, il nuovo leader doveva metterne insieme due, tre, quattro. Sorridere alla Chiesa e rivendicare la laicità dello Stato, riconoscere i valori del Family Day e ricordare i diritti dei gay, scuotere il grande popolo di sinistra intorno alla «lotta contro la precarietà» e rendere omaggio a Massimo D’Antona e Marco Biagi, a lungo bollati dalla sinistra, anche quella lontanissima dai fanatismi brigatisti, come uomini «oggettivamente» al servizio del libero mercato e quindi del «nemico».
A farla corta, il contesto si prestava a un aggiornamento dell’adagio del vecchio Ruggero Bauli il quale, a chi gli chiedeva quale fosse la ricetta del «Pandoro », rispondeva: «Un po’ più, un po’ meno, un po’ prima, un po’ dopo». I giudizi sprezzanti arrivati da destra (Margherita Boniver: «La platea si è scaldata solo sui concetti copiati da Berlusconi ») o da sinistra (Cesare Salvi: «Un discorso ideologicamente vecchio» e «blairista mentre Blair sta uscendo di scena») sono però frettolosi. E non vedono, nel lungo lungo discorso veltroniano, un tentativo che dovrebbe interessare sia la destra sia la sinistra radicale: quello di ridisegnare una sinistra moderna. Europea. «Moderata», come dice (un po’ schifato, lui) Franco Giordano. Interessata a trovare nuove parole d’ordine. A liberarsi di certi schemini vecchi e imbolsiti.
E qui Veltroni, al di là delle facili ironie sulle scelte «veltroniane» di schierare in prima fila suor Giuliana del Cottolengo o far tradurre in simultanea il suo discorso per i sordomuti (polically correct: audiolesi) e dedicare la prima citazione a De Gasperi riconoscendo «quanta strada è stata fatta» nel dopoguerra, ha detto davvero alcune cose che non piaceranno per niente a un pezzo di sinistra. Quella rissosa, attaccabrighe e convinta come era anni fa Fausto Bertinotti che «i governi migliori sono quelli terremotati» e sottoposti «a torsione ». La prima è stata, appunto, l’inchino non solo a D’Antona ma anche a Marco Biagi, con una bocciatura dell’idea di cancellare tout-court la legge che porta il suo nome come altre fatte dal Polo: «Non è possibile che tutto ciò che è stato fatto da chi c’era prima di te, se era dello schieramento avverso, sia sempre sbagliato».
La seconda, con un’implicita censura al manifesto rifondarolo che strillava «anche i ricchi piangano», è stata una citazione di Olof Palme: «La battaglia non è contro la ricchezza, ma contro la povertà». La terza la proposta, poco gradita ai duri e puri, di spalancare il mercato immobiliare tassando i canoni solo al 20%, almeno per chi affitta alle giovani coppie e agli studenti, «poi si vedrà ». La botta più dura, però, come dimostrerà la gelida assenza per ore e ore di repliche da parte dei leader confederali, è ai sindacati. Aggiunta a mano, fuori dal testo ufficiale scritto. Testuale: «Il sindacato non deve tutelare solo i pensionati o coloro che hanno già un posto di lavoro, ma deve saper tutelare anche i giovani che faticano ad entrare nel mondo del lavoro».
E via così. Contro i «signornò»: «Non si può dire no all’alta velocità se poi l’alternativa è il traffico che inquina. Non si può dire di no al ciclo di smaltimento dei rifiuti moderno ed ecologicamente compatibile e lasciare che l’unica alternativa siano discariche a cielo aperto ed aria irrespirabile e nociva». Contro i demagoghi: «Non è con gli odi di classe che si sconfigge l’evasione. Occorre bandire ogni atteggiamento classista, considerando ugualmente esecrabili un imprenditore che evade le tasse e un dipendente pubblico che percepisce lo stipendio e non lavora». Contro i costi eccessivi della politica: «Chi critica sprechi e irrazionalità e chiede alla politica sobrietà e rigore, non coltiva l’antipolitica, dice qualcosa di giusto. La politica deve essere sobria ». Contro chi vuole la politica dello scontro: «Basta. Dobbiamo farla finita con lo scontro feroce e con i veleni, con le polemiche che diventano insulto». E via così.
A proposito: Berlusconi? Sette anni fa, proprio qui, al Lingotto, dopo aver tentato inutilmente di scaldare i cuori con Lumumba, i boat-people, la fame nel mondo, i fratelli Cervi e la sedia elettrica, era riuscito a strappare un diluvio di applausi attaccando il Cavaliere. Stavolta no: mai nominato. E l’Africa? Non aveva detto che «dopo 50 anni la vita va reimpostata » e che dopo aver lasciato il Campidoglio voleva dedicarsi «alla questione dell’Africa »? C’è tempo, c’è tempo...
Gian Antonio Stella
28 giugno 2007
da corriere.it
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Veltroni: «L'aumento dell'età è una cosa obiettiva»
Bertinotti: «Alzare l'età pensionabile avrebbe un impatto sociale intollerabile»
Il presidente della Camera ha anche voluto sottolineare la sua «fiducia e solidarietà totale» al segretario del Prc Giordano
ROMA - Sul tema dell' età pensionabile Fausto Bertinotti, non ha cambiato idea e condivide pienamente la posizione portata avanti dall'attuale gruppo dirigente di Rifondazione comunista. Il portavoce del presidente della Camera, Fabio Rosati, a proposito del titolo apparso su un quotidiano, che segnalava una disponibilità di Bertinotti in favore dell'aumento dell'età pensionabile, rileva: «non c'è nulla di più lontano dalla realtà». Rosati conferma anche la «fiducia e solidarietà totale» del presidente della Camera nei confronti del segretario del Prc, Franco Giordano, e del gruppo dirigente del partito.
IMPATTO SOCIALE INTOLLERABILE - «Bertinotti - conclude Rosati - in tema di pensioni e di un eventuale aumento dell'età pensionabile ha sempre ritenuto che ciò avrebbe un impatto di intollerabilità sociale. Su questo punto il presidente della Camera si è espresso chiaramente a più riprese, tanto che non c'è bisogno di ulteriori spiegazioni».
VELTRONI: «L'AUMENTO DELL'ETA' E' UNA COSA OBIETTIVA» - Sullo stesso tema toccato da Bertinotti Walter Veltroni ha invece detto che «l’aumento dell’età pensionabile è una cosa obiettiva». Veltroni, durante la registrazione di Tv7, ha sottolineato che «c’è uno squilibrio molto forte nel sistema pensionistico. Una quantità di risorse ingenti che vengono spese vanno spostate sulla lotta alla precarietà». Secondo Veltroni infatti «al netto dei lavori usuranti la prospettiva di vita si è allungata, è un fatto matematico, perciò si può allungare il periodo di lavoro».
29 giugno 2007
da corriere.it
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Veltroni e il comunista
Alfredo Reichlin
La novità e l'importanza di ciò che è avvenuto con la discesa in campo di Walter Veltroni consiste essenzialmente - mi pare - nel fatto che la costruzione di un partito davvero nuovo (cioè diverso da quelli attuali) ha compiuto un passo avanti serio. Non siamo più alla sommatoria di vecchi ceti politici. Veltroni ha cominciato a definire la fisionomia del nuovo partito. Una forza che si candida a governare una società moderna molto complessa e frammentata come quella italiana uscendo dai vecchi schemi dentro e indicando le condizioni possibili perché questo paese possa ricominciare a «stare insieme». Non c'entrano niente i buoni sentimenti. C'entra la consapevolezza di quali sfide stanno davanti alla nostra patria, e quindi, della necessità di un nuovo patto di cittadinanza.
Un patto «inclusivo» non solo tra generazioni e interessi diversi ma tale da far fronte a quella sorta di «secessione silenziosa» del Nord dal Mezzogiorno che si finge di non vedere. Veltroni non si è nascosto affatto la gravità della crisi e la drammaticità dei problemi irrisolti. È in risposta ad essi che ha delineato una idea del futuro del paese che non è astratto perché è sorretta dalle costruzione di una nuova soggettività politica e culturale: quel tipo di forza che qualcuno di noi si era azzardato (da tempo) a chiamare «un partito nazionale».
Perchè così - e solo così - si giustifica la nascita di un nuovo partito all'interno del quale la sinistra non cancelli la sua grande storia. Una forza nuova per una situazione storica nuova. Così come accadde, del resto, con la nascita dei partiti operai al passaggio dall'agricoltura all'industria oppure come si rispose al tramonto dell'età liberale e all'avvento della società di massa: da sinistra con Roosevelt e la socialdemocrazia e da destra con un partito totalitario di massa.
Insomma, io penso questo. E qui sta la ragione del mio giudizio così positivo su ciò che è avvenuto a Torino. Ma è proprio questo evento, proprio per il suo essere così carico di nuovi sviluppi e nuove aspettative, che non chiude ma apre nuove riflessioni. Esso chiama le culture politiche (a cominciare da quella da cui vengo) a confrontarsi non solo con le persone ma con la sostanza della crisi italiana, che è non solo economica e sociale ma si configura ormai come crisi della democrazia repubblicana. C'è, infatti, una ragione se la costruzione di un partito democratico è una impresa così difficile e niente affatto moderata. La ragione è che si scontra con forze molto potenti. Pietro Scoppola ha ragione quando ci invita a chiederci se (cito) «nella storia del paese non ci siano motivi profondi di resistenza se non di incompatibilità rispetto al progetto del partito democratico». E risponde che la formula dei «riformismi che si incontrano» è superficiale perché non dà conto del problema di fondo, tuttora irrisolto, che è la sostanziale incompiutezza (cito ancora) «del processo fondativo della democrazia nel nostro paese. Perché l'amara novità è questa: quel processo, del quale sono state poste le promesse con la Costituzione, non è stato compiuto né a livello etico, né a livello di cittadinanza; né a livello istituzionale». È evidente. Qui sta la missione del partito democratico. Una missione difficile sia per le ragioni accennate e che stanno dentro la storia italiana, ma che è resa più difficile per l'impatto che il processo reale della globalizzazione sta avendo su un sistema politico debole come quello italiano. È di questo che si parla troppo poco. E io continuo a stupirmi quando leggo che anche uomini di grande intelligenza sostengono che il problema del partito democratico consiste essenzialmente nella scelta tra i fautori del mercato (il filone liberal) e i fautori del vecchio intervento statale (il filone socialdemocratico). Ma dove vivono?
È perfino ovvio e in sé non è affatto un male, (anzi, in sé, è un portato del progresso) il fatto che nel mondo globale lo Stato ha perso la sovranità assoluta e che quindi non è più il solo garante della vita sociale politica e culturale di un popolo-nazione. Ma il grande problema è che questo vuoto non è stato riempito. E non è stato riempito non perché i politici si intromettono troppo nelle «logiche» di mercato ma perché lo Stato ha perso anche il monopolio della politica. Non è poco. Significa che non è più lui il garante della sovranità popolare cioè dei diritti uguali di cittadinanza. E ciò perché sono entrati sulla scena (come sappiamo) altri poteri molto potenti, non solo economici e finanziari, ma anche scientifici, mediatici, culturali. Io non apprezzo affatto, e tanto meno giustifico le derive oligarchiche e autoreferenziali della politica, ma credo che dopotutto sta anche qui la ragione della sua crisi così profonda. Più la politica conta meno nel senso che non è in grado di prendere le «grandi decisioni», quelle che riguardano il destino della «polis», più la politica si attacca al sottopotere e al sottogoverno. E così la democrazia si svuota e aumenta il distacco dalla gente. E si crea quel circolo vizioso per cui a una elites auto referenziale e poco rappresentativa si contrappone una società che si frantuma e si ribella al comando politico.
Se questa analisi è corretta anche quei miei amici che rappresentano il filone «liberal» dovrebbero cominciare a pensare che la vecchia dicotomia tra Stato e mercato non ha più il significato di una volta. La socialdemocrazia non c'entra. È del tutto evidente (come è stato detto e stradetto) che lo squilibrio crescente tra il «cosmopolitismo» dell'economia e il «localismo» della politica ha travolto le basi del vecchio compromesso socialdemocratico. Ed è anche vero che il neo-liberismo non solo ha vinto, ha stravinto ed è diventato da anni la ideologia dominante. Ma posso cominciare a chiedermi se le cose, le cose del mondo nuovo, lo strapotere della finanza mondiale, il sommarsi di ingiustizie abissali con la formazione di una nuova oligarchia straricca, posso cominciare a ragionare senza tabù anche sul rapporto tra mercato e sfera pubblica e sociale? Attenzione, non sul mercato come strumento essenziale dello scambio economico, evidentemente, ma come pretesa di essere il presupposto di ogni sistema sociale e di rappresentare la risposta ai bisogni di senso, di nuove ragioni dello stare insieme a fronte del venir meno delle vecchie appartenenze Veltroni ha ragione nel sottolineare la necessità di creare nuove risorse se vogliamo produrre servizi e capitali sociale (la vera povertà italiana). E queste risorse non le produce lo Stato. Per cui diventa sacrosanto tutto il discorso contro le rendite, i parassitismi, i protezionismi, ecc. E quello sulle liberalizzazioni. Ma Veltroni ha collocato queste affermazioni in un quadro molto più ampio e molto più moderno. Ha reso evidente che se la crescita non si accompagna alla creazione di nuove istituzioni (politiche, sociali, nuove relazioni sociali, capitale sociale) capaci di consentire a una società di individui di diventare cittadini, persone, cioè non solo consumatori ma creatori di se stessi, capaci di esprimere nuove capacità, noi non riusciremo mai a evitare le nuove emarginazione e le nuove miserie. Così la società si disgrega. I dati sull'apprendimento scolastico al Nord e al Sud sono impressionanti. Non è questione di soldi. I soldi ci sono. Mancano fattori sociali e culturali (le cose che fanno diversa l'Emilia dalla Calabria) che non possiamo affidare alle sole logiche di mercato.
Spero che si capirà il senso di queste mie osservazioni. Esse nascono dall'assillo di chi da tempo è dominato dalla necessità di uscire da vecchie visioni, e pensa che il problema di una nuova politica economica è creare un circolo virtuoso tra crescita e coesione sociale, tra politica ed economia. Abbiamo bisogno di un nuovo pensiero e una rivoluzione culturale. E torna in me, vecchio comunista italiano, il senso profondo della eresia gramsciana, l'idea della rivoluzione italiana intesa prima di tutto come rivoluzione intellettuale e morale. Io sogno un nuovo partito il quale faccia leva con più decisione di quanto non abbia fatto la vecchia sinistra classista sul fatto che l'avvento della cosiddetta economia post-industriale e della società dell'informazione richiede e, al tempo stesso, esalta risorse di tipo nuovo, non solo materiali: risorse umane, saper fare, cultura, creatività, senza di che la tecnologia non serve a niente; risorse organizzative senza di che è impossibile gestire sistemi complessi; risorse ambientali e relative alla qualità sociale; e quindi - di conseguenza - beni cosiddetti «relazionali», cioè rapporti sociali e istituzioni capaci di produrre fiducia, cooperazione tra pubblico e privato. Insomma un nuovo ethos civile, essendo questo il solo modo per dare ai «poveri» la possibilità di non essere messi ai margini. Far emergere, in alternativa alla ricetta neo-liberista, l'altra possibilità insita nel post-industriale, e cioè il fatto che una nuova coesione sociale può diventare lo strumento più efficace per competere.
Forse non è una grande scoperta. Ma a me sembra il solo modo per la sinistra di dare un fondamento strategico alla sua iniziativa, intendendo la strategia come la capacità di spostare i rapporti di forza e di intervenire dentro i processi reali, volgendo a proprio vantaggio la dinamica oggettiva dei cambiamenti che si producono. Abbiamo bisogno di una nuova analisi politica per capire se nella realtà effettuale, e non nei nostri desideri, sono aperte delle contraddizioni e delle linee di conflitto sulle quali si possa innestare una grande iniziativa politica.
Pubblicato il: 03.07.07
Modificato il: 03.07.07 alle ore 9.03
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