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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228993 volte)
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« Risposta #330 inserito:: Maggio 30, 2016, 06:09:10 pm »

Mattarella: in Bosnia rischio foreign fighter
Il Capo dello Stato a Sarajevo: abbandonare i Balcani al loro destino è un pericolo anche per la Ue

LAPRESSE
30/05/2016

Ugo Magri
Inviato a Sarajevo

L’Europa distratta non si era accorta, dodici mesi fa, che attraverso la «rotta balcanica» stava per riversarsi una grande ondata migratoria. Allo stesso modo le cancellerie europee fingono oggi di non vedere le serie questioni insolute nei Balcani, da cui possono derivare rischi per la sicurezza di tutti. Incominciando dal terrorismo islamico. L’Italia fa in qualche modo eccezione. Con la sua presenza ieri e sabato a Sarajevo, quale invitato d’onore per il vertice annuale dei Paesi del Gruppo Brdo-Brioni, Sergio Mattarella è alla terza missione nell’area, per molti aspetti la più importante. Perché nell’incontro con la presidenza bosniaca si è parlato a fondo di «foreign fighter». E nel summit concluso ieri l’Italia è stata considerata alla stregua di un alleato ma anche per certi versi un arbitro autorevole. 

Groviglio di tensioni 
Basti dire che il macedone Ivanov, rappresentante di un Paese dal nome contestato (per la diplomazia si chiama Fyrom), ha chiesto a Mattarella di premere sul greco Tsipras perché pure lui partecipi al prossimo vertice tra 12 mesi in Macedonia, così da rasserenare un poco le relazioni con Atene. Più volte durante il vertice gli sguardi si sono indirizzati a Mattarella come possibile mediatore. Per esempio, durante un «franco» confronto tra la croata Grabar-Kitarovic e il serbo Nikolic sui crimini della guerra di vent’anni fa. A un certo punto il padrone di casa, Itzebegovic, ha raccomandato a tutti di moderarsi nel linguaggio soprattutto una volta tornati nei rispettivi Paesi, per non eccitare i risentimenti ancora vivi. Proprio con Itzebegovic, Mattarella aveva parlato di terrorismo. Perché dalla Bosnia Erzegovina partono a frotte i «foreign fighter» che ingrossano le file dell’Isis. Il presidente bosniaco non lo nega affatto. Ma insiste che la gran parte della popolazione musulmana nei Balcani è fermamente ostile al terrorismo. Mette in guardia contro le ingiustizie sociali poiché «pure quelle» a suo parere creano condizioni favorevoli all’estremismo. In quanto chi non ha nulla da attendersi nella vita diventa più facile preda di quanti lo rendono partecipe di qualche presunto «grande disegno».

È convinzione di Mattarella che abbandonare questi Paesi a se stessi, senza offrire una prospettiva europea concreta, potrebbe soltanto aggravare i problemi loro (e nostri). Sul fronte migratorio, il Capo dello Stato continua a rivendicare risposte globali perché considera «singolarmente ingenuo» chi pensa di «dirottare altrove» il flusso dei disperati. «Questi bambini, queste donne, questi uomini cercano semplicemente una esistenza migliore, come farebbe ciascuno di noi nelle stesse condizioni», guai a dimostrarsi sordi. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/05/30/esteri/mattarella-in-bosnia-rischio-foreign-fighter-ZFpsOVjAIvcewQGe16hbON/pagina.html

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« Risposta #331 inserito:: Giugno 09, 2016, 11:33:08 am »

Sulle riforme renziane un imbroglio di date

09/06/2016
Ugo Magri
Roma

Da abile comunicatore qual è, Renzi ci sta facendo credere che l’ultima parola spetterà al popolo, nel referendum di ottobre. E c’è del vero, ci mancherebbe. Non solo voteremo la nuova Costituzione ma, indirettamente, ci pronunceremo pure sulla legge elettorale dal momento che le due riforme vanno a braccetto, l’«Italicum» può funzionare solo se si cancella il Senato (altrimenti avremmo due sistemi elettorali diversi per ciascun ramo del Parlamento, come dire il caos). Renzi per giunta ci mette su un bel carico, confermando che se venisse battuto se ne andrebbe un attimo dopo. Per cui al caos istituzionale si sommerebbe pure quello politico. 

Giudizio della Consulta 
In realtà, l’ultimissima parola non sarà affatto la nostra. Perché subito dopo il pronunciamento popolare ci sarà quello della Consulta. Che studierà gli aspetti più controversi della legge elettorale e su quelli formulerà un giudizio definitivo. A essere pignoli, la Corte costituzionale si pronuncerà non una ma due volte nel varco di poche settimane. La prima il 4 ottobre sul ricorso sollevato tre mesi fa dal Tribunale di Messina, che ha contestato ben sei profili-chiave dell’«Italicum». Secondo qualche giurista di provata fede renziana, il ricorso di Messina verrà bocciato per motivi strettamente procedurali, essendo stato presentato quando la legge non era ancora diventata operativa (lo sarà dal primo luglio prossimo), insomma con eccessivo anticipo. Ma pure nel caso in cui andasse davvero così, e il ricorso fosse dichiarato inammissibile, ci sarebbe subito dopo un secondo pronunciamento della Corte. Stavolta non sul ricorso di qualche Tribunale, bensì su espressa previsione della nuova Costituzione. Dove al comma 11 dell’articolo 39 (Norme attuative) sta scritto che per sollecitare un giudizio della Corte sulla legge elettorale basteranno le firme di un terzo dei senatori o di un quarto dei deputati. Raccoglierle, specie alla Camera, sarà quanto di più facile specie se i Cinquestelle saranno d’accordo. La Corte avrà 30 giorni di tempo per rivoltare l’«Italicum» come un calzino, e decidere se tutto è ok. A quel punto silenzio e rullo di tamburi che precede gli esercizi di alta acrobazia.

Punto di domanda 
Insomma: fino al verdetto della Consulta, sulla riforma elettorale penderà un grande, gigantesco punto di domanda. Perché i 14 giudici costituzionali (dovrebbero essere 15 come una squadra di rugby, ma il successore di Mattarella deve ancora essere eletto) vanno considerati altrettante monadi. Riservatissime, silenziose, diffidenti, gelose ciascuna della propria competenza. Non c’è un solo giudice disposto a lasciarsi indottrinare da qualche collega più esperto quale potrebbe essere per esempio Amato (che tra l’altro ben si guarda dal dare suggerimenti non richiesti).
Riassumendo: ai primi di ottobre, probabilmente il 2, ci pronunceremo nel referendum più decisivo degli ultimi 70 anni. Ma due giorni dopo la Consulta dirà la sua una prima volta. E comunque si pronuncerà una seconda entro la metà di novembre con un verdetto su cui Renzi potrà solo incrociare le dita. 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/06/09/italia/politica/sulle-riforme-renziane-un-imbroglio-di-date-vQ5EgT3DmJAzzWDD6Khr3K/pagina.html
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« Risposta #332 inserito:: Giugno 17, 2016, 08:00:20 am »

Referendum tutti contro Renzi

08/06/2016
Ugo Magri

Visto attraverso gli occhiali del referendum costituzionale di ottobre, questo voto per i sindaci non promette nulla di buono. Perché domenica scorsa quasi due terzi del corpo elettorale hanno premiato i partiti del «no», dalla Lega a Forza Italia a M5S, mentre quelli favorevoli (Pd e relativi «cespugli») sono rimasti sotto il 40 per cento. Se l’Italia fosse ancora quella di trent’anni fa, quando le masse seguivano pedissequamente la volontà dei rispettivi partiti, dovremmo prepararci a un autunno di veri sconquassi: bocciatura al referendum della riforma Boschi e conseguente caos sulla legge elettorale, aggravato dalla crisi politica che le dimissioni del premier renderebbero inevitabili. Faremmo bene ad allacciarci da subito le cinture.

Si può obiettare che no, fortunatamente non è più come una volta, ormai la gente è matura e sa scegliere di testa propria. 

Dunque sarebbe sbagliato prevedere l’esito del referendum in base alla semplice somma algebrica dei partiti a favore e contro. Inoltre, ecco l’altra obiezione, un conto sono queste Comunali, dove in gioco è il futuro delle città; altra cosa sarà il giudizio sulla nuova Costituzione, che chiamerà in causa la fine del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari, oltre al rapporto tra Stato-Regioni. Mescolare due piani così diversi tra loro sarebbe come confondere le mele con le pere. 

Eppure, fatti i necessari distinguo, rimane la sensazione che il voto di domenica non sia di ottimo auspicio per il «sì». In quanto tradisce un’insofferenza magari fisiologica, però presente un po’ dappertutto, a Napoli e a Bologna, a Roma e a Milano. Fotografa un clima di stanchezza che non aiuta chi ha l’onere di governare. Al confronto con le Europee 2014, quando il Pd aveva grandi praterie politiche davanti a sé, stavolta non è stata (non sarà nemmeno ai ballottaggi) una cavalcata solitaria del premier, il quale ha avuto l’onestà di riconoscerlo pubblicamente. Viceversa, la ventata populista mette le ali alla Raggi e rende competitiva la sua collega Appendino. Perfino il centrodestra dà cenni di risveglio, perlomeno là dove si presenta unito come a Milano. Non è merito di Berlusconi o Salvini, i quali anzi hanno fatto di tutto per perdere; dipende semmai dal contesto generale, dal «mood» collettivo un po’ più favorevole a chi rema contro.

Su questo malumore le opposizioni proveranno a far leva in ottobre. Punteranno sui sentimenti negativi, nella speranza che il ritorno dalle vacanze li moltiplichi per mille. La loro propaganda potrebbe dimostrarsi al dunque più efficace della narrazione renziana, avviata con largo anticipo. Ecco perché il voto di domenica allunga parecchie ombre sul verdetto di ottobre. Ed ecco come mai i fautori del «sì» non possono stare sereni.

Ma c’è uno strano paradosso che potrebbe scombinare ogni calcolo. Il paradosso si riassume in una semplice domanda: se Renzi si va indebolendo per effetto del contesto generale, e se questa sua debolezza rimette in corsa gli avversari, quale vantaggio possono avere le opposizioni a impantanare il sistema? Cosa ci guadagnerebbero a bocciare una riforma che permetterà a chi vince di governare per 5 anni senza pasticci e senza «inciuci»? Tanto Grillo quanto Berlusconi sono davanti a un bivio: possono puntare al pareggio mettendo la mina referendaria sotto la futura Costituzione; o mostrare fiducia in se stessi e tentare di vincere l’intera posta, accettando le nuove regole del gioco. Qualche piccolo segnale fa ritenere che una riflessione sia in corso, specie tra i Cinquestelle. O almeno tra quanti, di loro, provano a guardare lontano.

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« Risposta #333 inserito:: Giugno 26, 2016, 12:08:07 pm »

Il referendum di ottobre può essere la nostra Brexit: le due opzioni di Renzi

25/06/2016
Ugo Magri

Il referendum costituzionale di ottobre può diventare la nostra Brexit. Nel senso che il popolo sovrano sarà chiamato a pronunciarsi in un colpo solo sulla nuova Costituzione, sulla legge elettorale che da essa dipende e sul governo della Repubblica che, se il «sì» perde, se ne va a casa. Alla luce di quanto è accaduto nel Regno Unito, Renzi ha due strade molto diverse, anzi opposte, dinanzi a sé.

Appuntamento col caos 

La prima strada è quella di far leva sullo tsunami di paure e allarme che il voto britannico ha causato. Della serie: cari italiani, attenti a non ripetere lo stesso sconquasso anche da noi. Dunque, Renzi può caricare l’appuntamento referendario di significati apocalittici, insistendo a personalizzarlo, a renderlo sempre più uno spartiacque tra la stabilità e il caos: «Après mois le déluge», aveva già detto qualcun altro prima di lui.

Strada numero due: sdrammatizzare 

L’altra via consiste nel tirarsene fuori, nel lasciar fare, nel togliere il proprio volto (e quello di Maria Elena Boschi) dalla campagna referendaria. Spersonalizzando al massimo grado. Affidando le chiavi del «si» a un Comitato composto da personaggi autorevoli, universalmente stimati e capaci di comunicare in tivù. Soprattutto, lasciando che gli elettori giudichino la riforma senza strattonarli con drammatizzazioni e minacce di Armageddon.

Il rischio del «domatore» 

Su quale strada imboccare, il premier non ha bisogno di consigli. Però Brexit una cosa insegna a tutti, e forse anche a Matteo: la «tigre» del voto popolare non si fa cavalcare. Per quanto abile sia, il «domatore» rischia di essere sbranato. Può capitare perfino che il popolo sovrano, per ribellarsi a quella che vive come una scelta obbligata, decida di votare ontro i propri interessi. Nel Regno Unito probabilmente è successo. Chiedere per informazioni a Cameron, lui ne sa qualcosa.


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« Risposta #334 inserito:: Giugno 26, 2016, 12:26:41 pm »

Referendum tutti contro Renzi

08/06/2016
Ugo Magri

Visto attraverso gli occhiali del referendum costituzionale di ottobre, questo voto per i sindaci non promette nulla di buono. Perché domenica scorsa quasi due terzi del corpo elettorale hanno premiato i partiti del «no», dalla Lega a Forza Italia a M5S, mentre quelli favorevoli (Pd e relativi «cespugli») sono rimasti sotto il 40 per cento. Se l’Italia fosse ancora quella di trent’anni fa, quando le masse seguivano pedissequamente la volontà dei rispettivi partiti, dovremmo prepararci a un autunno di veri sconquassi: bocciatura al referendum della riforma Boschi e conseguente caos sulla legge elettorale, aggravato dalla crisi politica che le dimissioni del premier renderebbero inevitabili. Faremmo bene ad allacciarci da subito le cinture.

Si può obiettare che no, fortunatamente non è più come una volta, ormai la gente è matura e sa scegliere di testa propria. 

Dunque sarebbe sbagliato prevedere l’esito del referendum in base alla semplice somma algebrica dei partiti a favore e contro. Inoltre, ecco l’altra obiezione, un conto sono queste Comunali, dove in gioco è il futuro delle città; altra cosa sarà il giudizio sulla nuova Costituzione, che chiamerà in causa la fine del bicameralismo e la riduzione dei parlamentari, oltre al rapporto tra Stato-Regioni. Mescolare due piani così diversi tra loro sarebbe come confondere le mele con le pere. 

Eppure, fatti i necessari distinguo, rimane la sensazione che il voto di domenica non sia di ottimo auspicio per il «sì». In quanto tradisce un’insofferenza magari fisiologica, però presente un po’ dappertutto, a Napoli e a Bologna, a Roma e a Milano. Fotografa un clima di stanchezza che non aiuta chi ha l’onere di governare. Al confronto con le Europee 2014, quando il Pd aveva grandi praterie politiche davanti a sé, stavolta non è stata (non sarà nemmeno ai ballottaggi) una cavalcata solitaria del premier, il quale ha avuto l’onestà di riconoscerlo pubblicamente. Viceversa, la ventata populista mette le ali alla Raggi e rende competitiva la sua collega Appendino. Perfino il centrodestra dà cenni di risveglio, perlomeno là dove si presenta unito come a Milano. Non è merito di Berlusconi o Salvini, i quali anzi hanno fatto di tutto per perdere; dipende semmai dal contesto generale, dal «mood» collettivo un po’ più favorevole a chi rema contro.

Su questo malumore le opposizioni proveranno a far leva in ottobre. Punteranno sui sentimenti negativi, nella speranza che il ritorno dalle vacanze li moltiplichi per mille. La loro propaganda potrebbe dimostrarsi al dunque più efficace della narrazione renziana, avviata con largo anticipo. Ecco perché il voto di domenica allunga parecchie ombre sul verdetto di ottobre. Ed ecco come mai i fautori del «sì» non possono stare sereni.

Ma c’è uno strano paradosso che potrebbe scombinare ogni calcolo. Il paradosso si riassume in una semplice domanda: se Renzi si va indebolendo per effetto del contesto generale, e se questa sua debolezza rimette in corsa gli avversari, quale vantaggio possono avere le opposizioni a impantanare il sistema? Cosa ci guadagnerebbero a bocciare una riforma che permetterà a chi vince di governare per 5 anni senza pasticci e senza «inciuci»? Tanto Grillo quanto Berlusconi sono davanti a un bivio: possono puntare al pareggio mettendo la mina referendaria sotto la futura Costituzione; o mostrare fiducia in se stessi e tentare di vincere l’intera posta, accettando le nuove regole del gioco. Qualche piccolo segnale fa ritenere che una riflessione sia in corso, specie tra i Cinquestelle. O almeno tra quanti, di loro, provano a guardare lontano.

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« Risposta #335 inserito:: Luglio 04, 2016, 12:47:43 pm »


Renzi a mani nude, solo contro tutti

04/07/2016
Ugo Magri

Dopo giorni di inutile nevrosi, in cui sembrava che Renzi fosse disposto a cambiare la legge elettorale, perlomeno lui così aveva lasciato intendere, e dunque si erano scatenate tutte le più ardite supposizioni sul perché di questa mossa, compresa quella secondo cui Renzi voleva tendere la mano a Berlusconi per ottenerne in cambio un atteggiamento più morbido sul referendum, dopo tutto questo agitarsi della politica sembra adesso che no, in realtà il premier non intenda affatto riaprire il capitolo dell’«Italicum». Per cui non si profilano «inciuci» col Cavaliere che a sua volta, va detto, non pare intenzionato a farne (un Nazareno gli è stato già sufficiente).

Allo stesso modo, il caldo africano ha disperso tutte le fumisterie circa un ipotetico rinvio del referendum, di cui in verità non si è mai capito bene il come, il quando, ma soprattutto il perché. Non è che rinviando di qualche settimana l’appuntamento Renzi poteva sperare in un cambio di umore collettivo, in un trend improvvisamente più favorevole alle ragioni del «si». Sono giochetti destinati a lasciare il tempo che trovano.

Secondo quanto lo stesso Renzi ha detto ieri, intervistato da Maria Latella, voteremo verso metà ottobre, cioè nei tempi previsti. Niente rinvii e niente trattative sottobanco col centrodestra (non ce ne sarebbe nemmeno il tempo). L’unico «effetto speciale» su cui il premier può far leva è la legge di stabilità. Sempre che contenga sorprese gradite all’Italia, sulla base di concessioni europee di cui, però, al momento non si vedono i presupposti. Insomma: la battaglia referendaria, così decisiva per il futuro, Renzi se la dovrà combattere a mani nude, da solo contro tutti.
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Da - http://www.lastampa.it/2016/07/04/italia/politica/renzi-a-mani-nude-solo-contro-tutti-QKfddAxi1TxNZUzIKhMgQN/pagina.html
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« Risposta #336 inserito:: Luglio 08, 2016, 04:12:43 pm »

Governo, vertice Mattarella-Renzi Referendum fissato il 6 novembre
Timori per la tenuta al Senato. Il premier: se cado subito alle urne
Il premier Matteo Renzi ha incontrato nel tardo pomeriggio di ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

08/07/2016
Ugo Magri
Roma

È sempre così: non appena in Senato si ricomincia a parlare di agguati e trabocchetti, ecco i congiurati precipitarsi a smentire. Ieri è stato tutto un rosario di dichiarazioni rassicuranti, «non sarà Verdini a dare la spallata», «non saremo noi di Ncd, notoriamente così leali». Eppure, fonti molto attendibili confermano che sono almeno 30 e forse 40 i senatori della maggioranza in preda alla disperazione politica, dunque disposti a qualunque gesto, anche il più inconsulto. La stima si ottiene sommando quei centristi a vario titolo (Gal, Ncd, Scelta Civica e Ala) che per effetto dell’«Italicum» nutrono zero speranze di venire rieletti. Pretendono da Renzi una via d’uscita che il premier non vuole e, probabilmente, non può garantire. Manca una logica nel loro dibattersi. Proprio per questo rappresentano un pericolo, in quanto «con i criminali intelligenti si può trovare un accordo», ringhia Cicchitto che li conosce bene, «ma con i criminali ottusi non c’è proprio nulla da fare».

IL GIOCO DEL PREMIER 
Gli «ottusi» sono coloro che farebbero la crisi subito, profittando del voto imminente sugli Enti locali. Gli «intelligenti», invece, temono in questo modo di fare il gioco del premier che, disarcionato da una congiura di palazzo, vestirebbe volentieri i panni della vittima e magari vincerebbe pure il referendum di ottobre. Tra gli attendisti «intelligenti», oltre a Schifani, viene classificato l’ex ministro Lupi. Risultano contatti in corso tra una parte dei dissidenti e il mondo berlusconiano. Ma il Cavaliere (3 ore a pranzo coi capigruppo Brunetta e Romani) non ha alcuna voglia di provocare una crisi che farebbe solo il gioco di Renzi, e punta tutte le sue carte sul «no» al referendum.

IN CASO DI «INCIDENTE» 
L’odore di bruciato è tale che arriva fino sul Colle. Dove Mattarella e Renzi ne hanno ragionato durante un incontro, ufficialmente, sul prossimo summit della Nato. Per Renzi, la situazione a Palazzo Madama è sotto controllo, il premier non si attende sgambetti. Ma se, invece, l’incidente capitasse proprio per colpa dei «disperati»? A quel punto, Renzi si regolerebbe esattamente come avrebbe reagito un anno fa: convocando la direzione Pd per proporre le elezioni anticipate, subito alle urne senza nemmeno attendere il referendum. «Non si tratta di un ultimatum», ha ribadito più volte Renzi a Mattarella, ma di coerenza. Il Presidente tuttavia, secondo altre ricostruzioni, dubita assai circa la possibilità di tornare al voto con un doppio sistema: maggioritario alla Camera (l’«Italicum») e proporzionale al Senato (il «Consultellum»). Nel mondo quirinalizio si fa presente che Mattarella è sempre stato coerente fautore di un mandato popolare chiaro, sarebbe singolare se permettesse di andare al voto con un confuso sistema che rischia di produrre ingovernabilità e paralisi (Renzi non la pensa così: lui è convinto di poter conquistare la maggioranza perfino con un sistema proporzionale al Senato). Prima di tornare alle urne, insomma, secondo Mattarella sarebbe il caso di rimettere ordine nella legge elettorale. Lo dice anche una parte del Pd, però Mattarella ha tranquillizzato Renzi: nessuna «liaison dangereuse» con Franceschini & C. Meglio intervenire subito sulla legge elettorale, è il sottile ragionamento che si ascolta nelle stanze ovattate del Colle, altrimenti magari sarebbe necessario provvedere poi, a crisi di governo aperta, dunque in una situazione di caos politico e, con un apposito governo «di scopo» che nessuno vuole, incominciando da Renzi.

IL PUZZLE DELLA DATA 
A proposito di referendum. Il premier era orientato a votare l’ultima domenica di ottobre. Ma poi, consultando il calendario, qualcuno si è accorto che c’è il ponte dei Santi, una tentazione irresistibile per gli astensionisti. Per cui l’orientamento ora è quello di votare la nuova Costituzione il 6 novembre prossimo. I Radicali insistono per uno spacchettamento dei quesiti e Renzi, interpellato in proposito dal Presidente, per la prima volta non ha eretto barricate: «Io preferisco un sì o un no all’intera legge», ha risposto, «ma se ne può discutere». Purché serva a riportare il dibattito sui contenuti veri della riforma.
 
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« Risposta #337 inserito:: Luglio 18, 2016, 12:22:10 pm »

Il «nuovo» Renzi: più pensioni, meno tasse (e meno referendum)
Rovesciare la scala delle priorità è fra gli obiettivi del premier al fine di dimostrare l’attenzione della politica per gli interessi primari dei cittadini

ANSA
15/07/2016
Ugo Magri

Da alcuni segnali si direbbe che Renzi ha aggiustato il tiro. Anziché insistere tipo martello pneumatico sul referendum, come aveva fatto nelle scorse settimane con una campagna mediatica in certi momenti ossessiva, negli ultimi giorni il premier ha rimesso al centro temi a più alto impatto sociale come le banche, il lavoro, le tasse. Nei suoi ragionamenti privati il voto di autunno resta inevitabilmente il cruccio maggiore, perché è su quel verdetto popolare che Renzi si sta giocando la carriera. Ma nei discorsi pubblici, perlomeno in quelli, l’argomento referendario viene messo un po’ tra parentesi. Almeno per ora. Ne continua a parlare in veste di ministro Maria Elena Boschi (si è recata pure a Bruxelles per convincere l’Europa sull’importanza della «sua» riforma), però la sensazione generale è che Renzi voglia concedere un attimo di tregua agli elettori. 

Noi e loro
Se sia una mossa azzeccata o meno, lo scopriremo alla fine. Ma la sensazione è che il premier non possa fare diversamente. La riforma del Senato, per quanto importante, forse addirittura decisiva, non è certamente al primo posto nella gerarchia degli interessi collettivi; la riforma elettorale lo è ancora meno. Calcare troppo la mano sul referendum avrebbe effetti sicuramente negativi. Darebbe l’idea (già abbastanza diffusa) che la classe al governo preferisce occuparsi di se stessa e non di noi; si eccita tantissimo quando sono in gioco riforme della politica, però rimane distratta quando ci vanno di mezzo risparmi, stipendi o pensioni. Meglio rovesciare la scala delle priorità, rimettere al centro i problemi della gente comune, e non stressarla troppo su un referendum che in fondo poco appassiona. Tanto ci sarà tempo per tornarci su: mancano quattro mesi, e la data esatta dev’essere ancora decisa.

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« Risposta #338 inserito:: Agosto 23, 2016, 11:00:57 pm »

Mattarella: serve unità, nessuno può farcela da solo
Il presidente della Repubblica inaugura il Meeting Cl a Rimini con lo sguardo già proiettato alle prove difficili dell’autunno, incominciando dal referendum costituzionale

19/08/2016
UGO MAGRI

Un forte appello all'unità della politica. A «mettere insieme le speranze» e a «dare valore al dialogo», perché «nessuno può seriamente pensare di farcela da solo». Sergio Mattarella inaugura il Meeting di Rimini («Tu sei un bene per me» è il tema di questa edizione 2016) con lo sguardo proiettato già alle prove difficili dell’autunno, incominciando dal referendum costituzionale sulla riforma Boschi. Il Capo dello Stato si rivolge un po’ a tutti, alle opposizioni ma forse anche allo stesso premier.
 
Al via il meeting di Cl di Rimini, apre Mattarella
 
È un richiamo preventivo, il suo, a non eccedere nelle divisioni, a non esagerare nelle polemiche, a tenere sempre presente il bene comune: «Gli inevitabili contrasti che animano la dialettica democratica non devono farci dimenticare che i momenti di unità sono decisivi nella vita di una nazione». 
 
Mattarella: Italia sia più unita e solidale
 
Mattarella rammenta come la nostra storia sia «illuminata da occasioni di unità», dal sentimento comune che dapprima permise all’Italia di risorgere dopo la dittatura e la disfatta, e che negli anni di piombo permise di sconfiggere il terrorismo. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/08/19/italia/politica/mattarella-serve-unit-nessuno-pu-farcela-da-solo-4d3QLYrmvjAacybiVKpV0L/pagina.html
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« Risposta #339 inserito:: Agosto 23, 2016, 11:25:51 pm »

La strategia della stabilità per rassicurare Colle e Bce
La personalizzazione non paga, meglio puntare sull'affidabilità.
Ma il premier assicura ai suoi: abbiamo ancora la maggioranza

21/08/2016
Ugo Magri
Roma

Accusato spesso di drammatizzare il referendum sulla Costituzione, stavolta Renzi spiazza i suoi critici e sparge serenità. Assicura che in Italia si voterà nel 2018, alla naturale scadenza, «comunque vada» il voto d’autunno. Così ha dichiarato alla Versiliana. Niente elezioni anticipate: arriveremo in fondo alla legislatura tanto che vinca il «sì» alle riforme, quanto che invece trionfi il «no». Chiaramente il premier si augura la prima delle due. Magari in cuor suo è sicuro di farcela, nonostante i sondaggi non proprio esaltanti conferma ai suoi «abbiamo ancora la maggioranza». Ma il tono risoluto con cui si sente di escludere cataclismi politici, «comunque vada» il referendum sulla costituzione, dunque perfino in caso di sconfitta sulla riforma Boschi, è un dato politico che profuma di novità.

NESSUN DIETROFRONT 
Dobbiamo interpretarlo come una retromarcia del premier? Significa cioè che non si dimetterebbe neppure nel caso di vittoria dei suoi avversari e resterebbe a Palazzo Chigi come se nulla fosse? Questo Renzi non lo ha detto, ma soprattutto non lo pensa. Certo che si dimetterebbe, come assicura ai suoi. Però ripeterlo in tono di sfida, o di minaccia, non gli fa gioco. Se avesse assecondato l’aspetto più guascone del suo carattere, sarebbe ricaduto nello stesso errore che gli è stato rimproverato in questi mesi: quello di «personalizzare» l’appuntamento referendario, trasformandolo in un giudizio su se stesso anziché su quanto di buono la riforma Boschi contiene. Spostare l’attenzione degli elettori dalla riforma costituzionale a se stesso aveva rappresentato nei mesi scorsi un eccesso di confidenza (o un’imprudenza, che fa lo stesso) di cui lo stesso Renzi, probabilmente, si è pentito. Logico che alla Versiliana abbia tirato il freno un attimo prima di perseverare nello sbaglio. E abbia inteso disinnescare sul nascere la polemica che ne sarebbe seguita. Insomma, stavolta è stato abile e avveduto. Ma c’è dell’altro. Confermare che la legislatura taglierà il traguardo del 2018 significa riconoscere la presenza di altri due autorevoli attori con i quali confrontarsi, e magari venire a patti se si renderà necessario. 

ROMA E FRANCOFORTE 
Uno sta a Francoforte e si chiama Mario Draghi: qualunque decisione dovesse prendere il premier, perfino nel caso di sconfitta referendaria, dovrebbe valutare i contraccolpi finanziari per l’Italia e per l’Europa intera. L’ultima cosa che possono augurarsi nel grattacielo della Bce è che la terza economia dell’euro precipiti disordinatamente nel caos, senza un percorso ragionevole verso le urne. Tra l’altro, non è nemmeno chiaro con quale legge elettorale andremmo a votare, visto che il 4 ottobre prossimo la Consulta inizierà l’esame dei ricorsi contro l’«Italicum», e in camera di consiglio tutto potrà accadere. Il secondo attore, cui Renzi rende implicitamente omaggio con la sua svolta agostana, abita sul Colle. Non è mistero che il Presidente consideri la stabilità politica alla stregua di un bene prezioso, una dimostrazione di serietà e affidabilità da dare ai nostri partner non solo europei. Sergio Mattarella aspetta il verdetto del popolo italiano, senza interferire in un senso o nell’altro, comportandosi da vero arbitro. Ma da giorni chiede a tutti, anche con una certa insistenza, di tenere comportamenti responsabili. Sollecita prudenza. Sobrietà pure nel linguaggio. Sarebbe singolare se il primo a contravvenire fosse proprio Renzi, che del Quirinale in futuro potrebbe avere bisogno.

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« Risposta #340 inserito:: Settembre 02, 2016, 05:27:33 pm »

Terremoto, perché la tregua politica è già finita
È scontro su Errani, indicato da Renzi commissario per la ricostruzione post sisma.
Salvini propone Tronca: «Lega pronta a collaborare con il governo»

30/08/2016
UGO MAGRI
ROMA

La tregua politica è già finita. Nemmeno il tempo di seppellire tutte le vittime, che già sono ricominciate le liti. Oggetto di scontro è una poltrona, quella di Commissario straordinario per la ricostruzione, che il premier intende destinare a un ex governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, il quale due anni fa si era dimesso per una vicenda giudiziaria (salvo venire poi scagionato). Renzi vuole conferirgli l’incarico entro la settimana. Tutte quante le opposizioni invece sono contrarie. Perché, dice Salvini, Errani fece fiasco nel terremoto che colpì l’Emilia, sarebbe l’uomo sbagliato al posto sbagliato: «Siamo pronti a collaborare con il governo», dice il leader leghista che propone di nome del prefetto Francesco Paolo Tronca come commissario per la ricostruzione, al posto di Vasco Errani. Perché, sostiene Di Maio, Renzi lo vuole solo in quanto spera di far contenta la minoranza del suo partito, alla quale Errani appartiene. Perché, accusa Brunetta, le scelte sul terremoto si concordano tutti insieme e non si impongono.
 
Calcoli inconfessati 
Renzi fa rispondere che Errani è amministratore esperto, lo riconoscono perfino avversari come Maroni. Che Vasco appartiene alla minoranza Pd, ma cosa c’è di male? Che la nomina del Commissario è competenza del governo, dunque non c’è nulla da concordare con Forza Italia. Nei prossimi giorni sentiremo mille di questi argomenti, pro e contro. Ma le ragioni vere del contendere nessuno tra i protagonisti avrà il coraggio di confessarle, perché suonerebbero ciniche e immorali. Riguardano le conseguenze politiche del terremoto, cioè gli effetti che questo dramma può avere sul referendum di autunno, dove Renzi si gioca tutto (idem i suoi avversari).
 
Sullo sfondo c’è il referendum 
La speranza renziana non dichiarata è di cavalcare l’onda della ricostruzione e rilanciare una leadership che, stando ai sondaggi, prima dell’estate perdeva colpi. Il timore delle opposizioni coincide perfettamente. Nemmeno centrodestra e grillini lo ammetteranno mai, eppure il timore da quelle parti è che Renzi faccia bella figura attraverso scelte azzeccate e l’aiuto di una buona propaganda. C’è un precedente illustre: nel 2008 Berlusconi raggiunse il top dei consensi (prima di sprecarli con le sue «feste eleganti») subito dopo il sisma in Abruzzo, quando si trasferì fisicamente sui luoghi del terremoto e celebrò il 25 aprile tra le macerie di Onna con un invito alla concordia nazionale. Sarà una coincidenza, ma proprio ieri Renzi ha lanciato un forte appello alla collaborazione di tutti. E subito è partito il fuoco di sbarramento. Contro la nomina di Errani, in apparenza, ma con la mente rivolta al referendum sulla Costituzione.

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« Risposta #341 inserito:: Settembre 21, 2016, 06:32:44 pm »

Italicum, mai usato e già da cambiare: la Camera ci riprova
M5S, operazione-nostalgia: torniamo a proporzionale e preferenze.
Oggi un aula una mozione Pd-centristi
La mozione: la Camera s’impegna a cambiare l’«Italicum», senza entrare nel merito di cosa fare concretamente.

21/09/2016
Ugo Magri
Roma

La Camera prenderà oggi il solenne impegno a riformare la riforma elettorale: quella ancora nuova di zecca approvata un anno fa, mai applicata e pienamente efficace da soli 83 giorni. Renzi, che l’aveva imposta a colpi di fiducia, perlomeno a parole garantisce che non farà muro: «Siamo totalmente disponibili a cambiare», conferma dal Palazzo di Vetro a New York. E i Cinquestelle, che secondo certi analisti avrebbero tutto da guadagnare tenendosi la legge così com’è, si mettono alla testa di quanti vorrebbero buttarla a mare. Approfittano del dibattito in Parlamento per rilanciare la loro proposta che, ai più anziani, fa tornare in mente come votavamo nella vituperata Prima Repubblica: con il sistema proporzionale e le preferenze. Anche la minoranza Pd si accinge a presentare una sua proposta, molto simile al «Mattarellum» in vigore dal 1993 al 2005. Vuole dire che davvero si rifarà tutto e torneremo indietro nel tempo?

VALORE SIMBOLICO 
Di mozioni come quella che la Camera approverà stasera sono stracolmi i cassetti. Non si negano a nessuno. Vi leggeremo che la Camera impegna se stessa a cambiare l’«Italicum», senza entrare nel merito del che fare concretamente. In calce, le firme dei capigruppo Pd e Ap (Ettore Rosato e Maurizio Lupi). Per capire se davvero ci sarà un seguito, o tutto resterà sulla carta, bisognerà attendere il referendum sulla Costituzione, la cui data peraltro non è ancora fissata. Mettiamo che vinca il «sì»: in quel caso sarà difficile che Renzi, rilanciato dal trionfo, conceda cambiamenti epocali, al massimo qualche ritocco se richiesto dalla Consulta quando si pronuncerà (inizio 2017). Se dovesse invece prevalere il «no», allora pure il castello dell’«Italicum» sarebbe destinato a crollare insieme con la nuova Costituzione. Non per niente Forza Italia e Lega tacciono in trepidante attesa del referendum. Prima di sedersi a un tavolo sulla riforma elettorale vogliono vedere come andrà a finire. Neppure Renzi ha fretta, «aspetteremo Berlusconi e Salvini così tutte le posizioni saranno in campo, e poi faremo le modifiche». Insomma: la mozione di oggi avrà un valore simbolico, di forte auspicio politico, che fonti della maggioranza invitano a non disprezzare perché magari poi da cosa nasce cosa, e lo scopriremo vivendo.

RITORNO AL FUTURO 
Pure Sel presenterà una mozione (bocciatura dell’Aula garantita), idem i Cinquestelle. La proposta grillina è quella approvata da 30 mila iscritti in un referendum on-line. Ogni partito ottiene seggi in proporzione ai voti ricevuti, ma attenzione: le circoscrizioni sono suddivise in modo da favorire i grandi partiti e sradicare i piccoli «cespugli». Sarà possibile esprimere una preferenza e indicare il candidato che non si vuole eleggere (voto di penalizzazione). Con questo meccanismo, ironizza Renzi, Appendino e Raggi non sarebbero mai state elette. 
 
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« Risposta #342 inserito:: Ottobre 06, 2016, 09:15:31 am »

Il referendum, Mazzini e le derive autoritarie

05/10/2016
Ugo Magri

Questa mattina mi sono recato in libreria e ho notato la bella copertina del libro di Jessie W. Mario «Vita di Giuseppe Mazzini», editore Castelvecchio. Ho riletto il capitolo riguardante la proclamazione della Repubblica romana del 9 febbraio 1849 e l’approvazione della relativa Costituzione avvenuta il 3 luglio 1849. I principi fondamentali sono di fatto uguali a quelli della Costituzione della Repubblica italiana, e il Titolo II di quella Romana prevede che il potere del popolo si eserciti tramite l’Assemblea eletta dai cittadini. Si tratta, quindi, di un’unica Assemblea che venne ritenuta idonea dai costituenti per governare una nazione. 
Di fronte ad un mondo che corre, ahimè, velocemente verso il futuro, continuare a tagliare il capello in due, a mettere virgole e anche bastoni fra le ruote ai vari provvedimenti, mi sembra fuori tempo e fuori luogo. Mi basta l’eliminazione di una Camera per dire sì al referendum.
Danilo Ballardini, Forlì 


 Caro Ballardini, il timore delle «derive autoritarie» credo fosse l’ultima preoccupazione di Mazzini. Con le truppe francesi alle porte, e la Repubblica romana da difendere, una sola Camera pareva più che sufficiente. Più tardi però venne il fascismo, e come reazione, la Carta del 1948 adottò certe contromisure tra cui, appunto, il sistema bicamerale paritario. Siamo ormai fuori pericolo e ne possiamo fare a meno? 

Una parte del mondo politico ritiene di no. Perché vede il rischio che possa impadronirsi del governo qualche leader prepotente, eletto magari grazie al premio di maggioranza. Dunque preferisce mettere, come dice lei, i bastoni tra le ruote di una doppia lettura delle leggi piuttosto che semplificare la vita al futuro «tiranno». 

Sono preoccupazioni da non prendere sottogamba, e personalmente le rispetto. Ma mi sono fatto un’idea diversa. Cioè che Roma non è più il centro del potere come una volta, semmai è diventato il centro dell’impotenza, dei proclami cui non seguono i fatti, perché le decisioni vere si prendono soprattutto altrove: sui mercati finanziari, nelle segrete stanze della Bce, a Bruxelles, al Parlamento di Strasburgo, nelle Regioni, nei Comuni e finanche nei consigli di circoscrizione. La forza dello Stato nazionale è stata erosa da sopra e da sotto. Quello che ne rimane è ancora sufficiente, senza dubbio, a provocare grossi danni, specie in campo economico; ma evocare lo spettro di un nuovo autoritarismo suona, perlomeno a me, eccessivo.


Ps: a scuola, da ragazzo, trovavo Mazzini insopportabile. Ma adesso, chissà perché, mi appare un gigante.

Ugo Magri, parmigiano, 59 anni, iniziò a raccontare la politica nel 1981 sulla «Voce Repubblicana». È stato vicedirettore del defunto settimanale «Epoca». A «La Stampa» dal 1996, ha seguito passo passo la parabola del berlusconismo. Oggi è corrispondente dal Quirinale. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/10/05/cultura/opinioni/secondo-me/il-referendum-mazzini-e-le-derive-autoritarie-qymBsAQEwxsbbDy7XG9McO/pagina.html
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« Risposta #343 inserito:: Ottobre 06, 2016, 09:17:14 am »

Il referendum sarà solo l’inizio della trasformazione della Costituzione

04/10/2016
Ugo Magri

Sinceramente non capisco questo clima da ultimatum sul referendum. Il Sì o il No non sono sulla riforma della Costituzione ma su questa riforma della Costituzione. Quale che sarà l’esito, nulla vieta che il giorno dopo qualcuno proponga un nuova riforma. Tutti dicono che il risultato ce lo terremo per trent’anni (oggi ho sentito cinquanta): mi si spieghi la ragione (spero che la risposta non stia nella natura stessa dei referendum, perché si tratterebbe di una stupidaggine - magari sancita dalla Costituzione).
Giancarlo Foglia 


Caro Foglia, trenta e cinquant’anni sono semplici modi di dire, argomenti banali, non li prenderei troppo alla lettera. Tutto dipende dal contesto storico. 

In certi momenti, quelli più drammatici che in cuor suo nessuno si augura, le Costituzioni vengono fatte (o disfatte) a tempo di record; pochi mesi nel passato sono bastati per autentiche rivoluzioni. Quando invece non c’è questa urgenza di cambiare, perché si attraversano tempi di aurea mediocrità, felicemente ordinari, correggere anche una sola virgola può richiedere sforzi prolungati. Dunque sono d’accordo con lei: qualora un domani le circostanze lo rendessero davvero necessario, nulla vieterebbe di tornarci su e in fretta, nonostante il referendum, magari addirittura contro l’opinione che verrà espressa dalla maggioranza degli elettori. 

Vuole la mia personale previsione? Eccola qua: apocalittica. Qualunque cosa decidano gli italiani, il 4 dicembre saremo all’anno zero delle riforme costituzionali. Altre ce ne dovremo attendere a stretto giro di posta perché viviamo in un mondo di cambiamenti rapidi e radicali. La pace nel mondo non è più garantita, l’Europa scricchiola, terrorismo e migrazioni lanciano sfide epocali. Già adesso la politica non è più lontana parente di quella che molti di noi ricordano, a cavallo del millennio. Evolve il modo stesso di intendere la democrazia: c’erano una volta i sindacati e i partiti, adesso domina il web. Onde emotive si propagano attraverso i social media, ogni leadership si misura coi tweet, le decisioni devono essere fulminee e in 140 caratteri max. 

Magari sopravvivrà la prima parte della Costituzione, quella che scolpisce i principi. Ma tutto il resto dell’ordinamento sarà in discussione. La riforma Boschi non è altro, a parer mio, che un semplice aperitivo di quanto potrà accadere. Prepariamoci sereni.

Ugo Magri, parmigiano, 59 anni, iniziò a raccontare la politica nel 1981 sulla «Voce Repubblicana». È stato vicedirettore del defunto settimanale «Epoca». A «La Stampa» dal 1996, ha seguito passo passo la parabola del berlusconismo. Oggi è corrispondente dal Quirinale. 

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« Risposta #344 inserito:: Novembre 05, 2016, 10:54:53 am »

Rinvio del referendum: le condizioni del Cav
Ma Renzi non ci sta
Ieri mattina contatti tra emissari di Berlusconi e del premier
Il capo di Forza Italia: modifiche a riforma Boschi e Italicum

04/11/2016
UGO MAGRI
ROMA

Con orgoglio e sprezzo del pericolo, Renzi ha respinto quella che dalle sue parti considerano una «proposta indecente»: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum fissato tra un mese esatto. Autorevoli fonti garantiscono che la profferta (o provocazione, dipende dai punti di vista) è stata riservatamente sottoposta ieri mattina al premier. 
 
Dopo un lungo conciliabolo a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini, braccio destro e braccio sinistro del Cav. Non risultano contatti diretti, tipo telefonata di Silvio a Matteo, e nemmeno mediazioni condotte dal solito Verdini. A fare da ambasciatore si è prestato un personaggio di governo che preferisce restare lontano dai riflettori. Anche perché il primo «round» è andato male, d’accordo, ma ce ne potrebbe essere un secondo, e in questi casi non si sa mai. 

Appello al buon senso
È convinzione berlusconiana che il referendum sia tutto sbagliato, perché spacca l’Italia proprio mentre la politica dovrebbe unirsi per soccorrere gli sfollati. Dei veri statisti (questo il messaggio recapitato a Palazzo Chigi) stopperebbero il referendum, darebbero ai terremotati i 300 milioni risparmiati grazie al rinvio del voto, si metterebbero tutti insieme intorno a un tavolo, rifarebbero da cima a fondo l’«Italicum» cancellando il ballottaggio, e aggiusterebbero la stessa riforma costituzionale che rappresenta il motivo dello scandalo. 
 
Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi solennemente, con una dichiarazione pubblica, a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e le alte magistrature. Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. A quel punto verrebbe meno un motivo essenziale di scontro e sarebbe logico fermare le lancette dell’orologio, posticipando il voto.
Condizioni capestro
La risposta di Renzi è pervenuta quasi in tempo reale, ancora prima che il Cav ricevesse a pranzo Brunetta, leader indiscusso dei berlusconiani duri e puri. Ha fatto sapere, il premier, che della riforma costituzionale non cambierà un bel nulla, perché toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi, come lui, ci ha messo la faccia. Perderla sul Senato sarebbe perfino peggio che una sconfitta alle urne. E poi, ragionano i renziani, «chi l’ha detto che perderemo?». I 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima, c’è tempo per convincere una parte della minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, col quale si stanno discutendo modifiche della legge elettorale. Insomma, per Renzi la partita è ancora aperta, anzi apertissima.
Falchi e colombe
«Che peccato, una grande occasione persa», si lamentano le «colombe» berlusconiane che vedono chiudersi la finestra del buon senso (gli italiani all’estero cominceranno a votare tra una settimana, e a quel punto sarà troppo tardi per il rinvio). I «falchi» invece applaudono la «faccia tosta» di Renzi e notano soddisfatti come il Cav, dopo la rispostaccia del premier, si sia messo a registrare con più lena una raffica di appelli televisivi a sostegno del NO. Ma non è detto che, nel luna park della politica italiana, tutti i giochi siano davvero conclusi. La certezza di votare ce l’avremo solo il giorno che andremo in cabina.

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