Titolo: UGO MAGRI Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 11:20:54 am 7/11/2007 (7:43)
L'ultimo rodeo di Silvio O la va o la spacca La scommessa di Berlusconi sulla Finanziaria UGO MAGRI ROMA A mano a mano che l’ora della verità si avvicina, e le sue profezie sulla fine imminente di Prodi assumono sempre più le sembianze di un «bluff», e gli stessi suoi alleati della Cdl si preparano a presentargli il conto dell’ennesima sconfitta, c’è un interrogativo cui perfino i conoscitori del Cavaliere non sanno dare risposta: «Chi glielo ha fatto fare?». Per quale strana e incomprensibile ragione Silvio Berlusconi ha deciso di giocarsi un pezzo consistente di reputazione politica su una scommessa così ad alto rischio, come annunciare la caduta del governo in base a un’incerta campagna acquisti? L’unica risposta paradossale ma convincente che si raccoglie ai piani alti della Cdl ha poco a che vedere con la politica, molto invece con la psiche del leader. Berlusconi, è l’affascinante teoria, non ne ha più voglia. Settantuno anni, due volte capo del governo, destinato comunque a restare nei manuali scolastici, tanti denari da non sapere che farne: come stupirsi se al teatrino della politica lui preferisce il cabaret, quello vero? Non è un caso se il giorno in cui si spegneva Giovanna Reggiani all’ospedale Sant’Andrea, ferita a morte da un immigrato romeno, lui era al Bagaglino, dove si rappresentava il nuovo spettacolo comico di Pippo Franco e Oreste Lionello dal titolo «Vieni avanti cretino», e contribuiva al buonumore collettivo raccontando dal palco un paio di sapide barzellette delle sue. Ridiamoci su. Per cui Silvio ha puntato tutto il suo patrimonio politico sulla crisi il 14 o il 15 novembre. Basta così, o la va o la spacca. Se gli va bene, torna a Palazzo Chigi. E poco importa se qualche consigliere come don Baget Bozzo gli ha detto che sedersi oggi su quella poltrona è pura follia, «in queste condizioni caro Silvio l'Italia è ingovernabile, ti lincerebbero peggio di Prodi, per desiderare una cosa del genere devi essere un grande pazzo oppure un grande santo...». Niente da fare, Berlusconi non ascolta. Giorgio La Malfa gli ha mandato da una settimana 40 cartelle di analisi della crisi italiana per scongiurarlo di non perdere l'occasione delle riforme istituzionali prima di andare alle urne. Zero risposte. Il Cavaliere galoppa lanciatissimo verso il suo ultimo rodeo. Se lo vince «conquista la terza insalatiera», ironizza Bruno Tabacci. Torna al tavolo dei Grandi, si prende una rivincita planetaria. E se va male? Nulla fa credere che Berlusconi abbia voglia di tirare la carretta del centrodestra per un altro anno o magari due, o tre, o per il tempo che può durare un’onesta battaglia d’opposizione. Chi lo frequenta è pure portato a escludere che l'uomo si ritiri in azienda e torni a fare Caroselli, come ai tempi in cui era Sua Emittenza. Ma avverte che l'ennesimo blitz fallito avrebbe ripercussioni pesanti sul suo animo. Prima ancora che siano gli alleati (Fini, Casini, Bossi) a rinfacciargli il fiasco, sarebbe lui stesso a interrogarsi se vale la pena spendere altre energie per un Paese «che non mi merita» (sfogo all'indomani della sconfitta elettorale). E' un fatto che, rispetto al Berlusconi lungimirante, all'imprenditore geniale fattosi statista a modo suo rivoluzionario, l'orizzonte temporale del personaggio odierno sembra drammaticamente accorciato. Più che investire sul futuro, spreme quanto può dal presente. Perfino il Milan ne sta facendo le spese. E' la squadra più vecchia del mondo, ma Berlusconi non ha voluto cacciare di tasca un soldo, en attendant Ronaldinho. Quando Galliani gli ha fatto il nome di un campione come Buffon, lui ha storto la bocca. Idem nella politica: in questo caso il Ronaldinho che Berlusconi aspetta si chiama Dini, tutto il resto lo annoia. Partito unico per la destra di domani? Sì, no, boh, vedremo. Fini sarà il successore? Certo, anzi no, anzi forse. Prima Michela Vittoria Brambilla e i suoi Circoli vengono finanziati con 200 milioni di euro, poi Berlusconi congela tutto, MVB morde il freno. Una lista senza fine. La destra in Europa è laboratorio di idee, Sarkozy fa scuola. Invece la berlusconiana Officina, che dovrebbe redigere il nuovo programma, ancora non parte. E pazienza: tanto, basta ripetere il mantra delle grandi opere, del Ponte sullo Stretto, delle tasse da tagliare e al resto ci pensa il governo Prodi. Due settimane fa l'emergente britannico Cameron ha stretto un patto col governatore della California Schwarzenegger sulla politica ambientale, embrione di un'«ecodestra» mondiale. L'unico che in Forza Italia se ne occupa con proposte concrete è Tremonti. Il Cavaliere mai ha pronunciato la parola «ambiente», tranne che su Rete4 tanti anni fa, quando la Carlucci lo intervistò sulle rose del suo giardino. Ma in fondo, insistono a difenderlo i fedelissimi, tutto si gioca tra pochi giorni. «Se mi va bene», è la promessa del Cavaliere, «ne vedremo di belle». Altrimenti, venga pure il diluvio. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI - L'Udc con Berlusconi: elezioni subito Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2008, 11:07:58 am 30/1/2008 (6:45) - LA CRISI - IL GIORNO DELLA SVOLTA
L'Udc con Berlusconi: elezioni subito Napolitano: "Ora pausa di riflessione" Elezioni più vicine, oggi la decisione del Quirinale UGO MAGRI ROMA Chi faceva conto su Casini per far nascere il nuovo governo, oggi è deluso. Al dunque, l’Udc si schiera col Cavaliere. E nemmeno Baccini, il senatore centrista più insofferente della disciplina di partito, se la sente di passare da solo il confine. Dunque la crisi si avvita su se stessa, le elezioni si avvicinano. Napolitano, il quale le considera una cattiva medicina per l’Italia, non nasconde quanto sia «complicata e difficile la situazione». Diplomaticamente, ne dà la colpa alla «forte frammentazione politica» rappresentata dai 19 partiti ricevuti sul Colle per le consultazioni. Gli ultimi due (Forza Italia e Partito democratico) hanno fornito ricette diametralmente opposte. Per Berlusconi «non c’è altra strada se non quella di tornare al voto, le riforme richiedono tempo e non le può fare un governo di tregua». Secondo Veltroni, invece, votare subito sarebbe «contro gli interessi del Paese, meglio andarci tra un anno facendo le riforme» oppure, se proprio non fosse possibile, «tra qualche mese dopo aver cambiato almeno la legge elettorale». Dialogo sì, ma tra sordi. Perde quota la tesi più gettonata fino a poco fa, quella del mandato pieno a Marini per formare un governo di altissimo profilo, zeppo di personalità capaci di scompaginare i giochi: quale figura di prestigio se la sentirebbe di andare allo sbaraglio, in queste condizioni? Riprende viceversa slancio l’ipotesi di un «esploratore», che provi a capire se l’intesa è possibile anzitutto sulla legge elettorale, magari partendo dalla prima bozza Bianco come suggerisce Veltroni. Per questo incarico più delimitato (potrebbe essere conferito in giornata, e la decisione verrà «motivata» davanti al Paese) il candidato è sempre lo stesso, vale a dire Marini, sottoposto a un forte pressing da parte dell’establishment (in particolare da D’Alema, che è andato apposta a trovarlo). Napolitano pensa invece ad Amato per un governo di affari correnti, casomai sciogliesse le Camere. Dunque, Casini. Non è più l’asso nella manica di Napolitano. Il leader Udc s’è reso conto che la sua propensione a un governo di tipo istituzionale veniva sfruttata per un disegno del tutto diverso. Celava cioè il tentativo di ricomporre la stessa identica maggioranza di cui disponeva Prodi prima della crisi. A far traboccare il vaso ha provveduto una dichiarazione di Baccini, avversario interno del leader Udc. «Potrei votare un governo guidato da Marini», sono le parole che hanno gettato scompiglio nel Palazzo. Col trascorrere delle ore, la disponibilità di Baccini è sfumata. Però Casini s’è reso conto che stava perdendo il controllo delle operazioni. Da Gerusalemme ha dettato una dichiarazione che potrebbe essere la pietra tombale sulla crisi: «Tanto vale non perdere ulteriore tempo e andare verso elezioni anticipate». Oggi s’incontrerà con Berlusconi. E chissà che il Cavaliere non ammazzi per lui il famoso «vitello grasso». A raggelare Napolitano ha contribuito una dura sortita di Forza Italia. Allarmati dalle voci di un mandato pieno a Marini, i vertici azzurri hanno minacciato fuoco e fiamme: «Le ipotesi di governicchi allo sbando, alla ricerca di raccattare qualche voto, sarebbero solo un’avventura e provocherebbero una inutile radicalizzazione...». Meglio non provarci nemmeno. Oltretutto, sostengono a via del Plebiscito, nell’incontro con la delegazione azzurra Napolitano aveva parlato espressamente di un’esplorazione, e niente di più. Tanto che Berlusconi e i suoi se n’erano andati dal Quirinale con aria spensierata, lodando il Presidente per il suo tono «estremamente piacevole». Di qui l’avvertimento serale rivolto al Colle, che ha fatto crollare le azioni di un governo istituzionale e alzare la voce a D’Alema: «E’ protervia quella di chi non vuole la riforma elettorale...». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Venti partiti per un posto sull’Arca di Silvio: «Attenti, il Pd è solo Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2008, 02:57:55 pm 6/2/2008 (7:12) - RETROSCENA, OGGI PRIMO VERTICE PER LA COALIZIONE
Fini suona l'allarme "No all'ammucchiata" Venti partiti per un posto sull’Arca di Silvio: «Attenti, il Pd è solo» UGO MAGRI ROMA Se sarà il carro del vincitore, lo sapremo dopo le elezioni. Per ora il centrodestra somiglia piuttosto all’Arca di Noè, zoo galleggiante, bestiario politico dove una folla di partitini sgomita per trovar posto. Velina Rossa ha contato ben 17 sigle che vorrebbero traghettarsi nella prossima legislatura, oltre ai quattro «soci fondatori» (Forza Italia, An, Lega e Udc). Ma la stima è per difetto, un censimento più pignolo spinge il totale addirittura a quota 23, come dire 23 bocche fameliche da saziare con seggi alla Camera o al Senato. Buttare qualcuno ai pesci, come promette che farà Veltroni coi «nanetti» del centrosinistra? Berlusconi non può: nella lunga guerra contro Prodi ha firmato patti, sottoscritto cambiali che adesso vengono a scadenza. Con Dini. Con De Gregorio. Con Mastella l’«impresentabile» agli occhi di Alleanza nazionale, della Lega, della stessa Udc. Altri «mostri» il Cavaliere se li è creati con le sue stesse mani, dai Circoli della Brambilla che dovevano essere i cani da guardia del berlusconismo ma non vogliono più tornare a cuccia, alle tre mini-Dc che si contendono lo Scudo crociato (di Pizza, di Sandri e di Fiori), dai Pensionati che si sono fatti impalmare dopo un lungo corteggiamento, ai transfughi dell’Udc guidati da Giovanardi: per anni hanno agitato la fronda contro Casini, non si contenteranno al dunque di una semplice pacca sulle spalle. Il magnate di Arcore dovrà vedere e provvedere, senza penalizzare quanti gli sono stati avvinti come l’Edera di Nucara, come la Dca di Rotondi, come il Mpa di Lombardo, i liberali di De Luca, i «salmoni» Della Vedova e Taradash, alleati sempre fedeli nella buona e nella cattiva sorte. Ma non finisce qui, perché Silvio il Munifico passa gli alimenti alle famiglie politiche altrui, al matrimonio in pezzi tra Fini e Storace, tra An e la Mussolini (anche se potrebbero tornare insieme)... Non è solo questione d’onore, di parola data che un leader non si rimangia mai. E’ che i sondaggi veri, quelli di cui il Cavaliere si fida ciecamente, gli danno margini di vantaggio comodi sì ma non troppo, diciamo un 54 per cento contro il 45-46 degli avversari, coi partitini di centrodestra che tutti insieme valgono oltre un milione di voti: quanto basta a fare la differenza tra vittoria e sconfitta. E come si può chiedere di mollare al proprio destino uno Sgarbi o a chi, come Berlusconi, nel 2006 si è visto sfuggire il trionfo per soli 24 mila voti? Hanno voglia, dunque, i Maroni e i La Russa, di piantar paletti: con il primo che denuncia a gran voce il rischio di «operazioni strane», invita a «evitare grandi ammucchiate», esorta a sbarrare le porte della Cdl dove solo i magnifici quattro (Berlusconi, Bossi, Fini e Casini) hanno il diritto di posare per la foto di famiglia. Con il secondo, La Russa, che a nome di Alleanza nazionale minaccia l’esame del sangue: «Ammetteremo solo gente che firma il programma, nessuna preclusione a priori ma saremo seri e rigorosi...». Propositi della vigilia, dettati dall’ansia di non concedere a Veltroni l’arma che il sindaco di Roma già brandisce: il Pd, solo ma coerente, mai più male accompagnato, contrapposto a uno schieramento vasto e confuso, dall’Udeur a Storace, da Casini alla Fiamma tricolore. Semplificare, sfrondare, unire: a destra è un puzzle. Casini è in allarme, Fini ha già sollevato il problema, «caro Silvio non possiamo presentarci in mille partiti contro un Pd che corre da solo». In realtà il bersaglio è uno: Storace. An è pronta a sbarrargli la via, costi quel che costi. Berlusconi domani riunirà lo stato maggiore forzista, ascolterà la lista delle varie richieste compilata da Cicchitto, poi comincerà a ricevere i suoi «clientes». Spingerà (ha già iniziato nelle settimane scorse) perché i partitini si coalizzino tra loro. Al Pri ha chiesto di mettersi insieme con Dini e i liberali, magari pure con De Gregorio e con Rotondi. Ma questi piccoli sanno fare bene i conti, la soglia del 2 per cento prevista dal «Porcellum» la vedono col binocolo. La sensazione diffusa è che, eccezion fatta per Storace, verranno tutti inglobati da Forza Italia, presenteranno qualche loro personaggio simbolo all’ombra del Cavaliere. Lo stesso Mastella viene dato in quota berlusconiana alla Camera (al Senato no, nella Campania l’Udeur può fare la differenza per conquistare il premio di maggioranza). Il movimento azzurro come «refugium peccatorum», «ecoballa» se si adotta il gergo dell’emergenza rifiuti: costretto a digerire l’indigeribile e nello stesso tempo a reggere l’assalto interno della Brambilla che a buon diritto rivendica spazio per le energie fresche contro i «parrucconi». Tramonta l’ipotesi di una seconda lista berlusconiana: toglierebbe voti a Forza Italia, col risultato di consegnare al Pd la palma di primo partito. La «rivoluzione del predellino» sfuma all’orizzonte. Perfino il nome Popolo della libertà rischia di non trovare posto sul simbolo. «E’ 3 centimetri per 3», segnalano a via dell’Umiltà, «bisogna scrivere “Berlusconi presidente” e “Forza Italia”. Pdl dove lo ficchiamo?». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 09:47:20 pm 7/5/2008 (7:4) - GOVERNO - LE CONSULTAZIONI
Berlusconi prova a concludere oggi: le donne sono l'ultimo nodo Al Welfare torna Maurizio Sacconi, Prestigiacomo corre per l'ambiente, Carfagna verso le Pari opportunità UGO MAGRI ROMA Berlusconi prova a stringere i tempi. Se il colpo gli riesce, presenterà la squadra di governo a Napolitano stasera, non appena sarà convocato per l’incarico. In questo caso il suo quarto governo presterà giuramento giovedì. Il Cavaliere farebbe bella figura, e si toglierebbe di torno uno sciame di aspiranti ministri. Ieri mattina aveva già sondato l’umore del Presidente con una visita al Colle, sulla quale parecchie leggende sono circolate, ricavandone due certezze. La prima: a frenare Berlusconi non sarà certo Napolitano, nel caso che il futuro premier voglia far presto. La seconda: sul numero dei ministri il Cavaliere non deve allargarsi troppo. Dodici con portafoglio ne stabilisce la legge, e dodici dovranno essere, senza «spacchettare» la poltrona del Welfare in due o tre ministeri-sgabello. Con questi vincoli, Berlusconi ha trattato tutta la notte. A una cert’ora è andato a fare quattro passi tra le vetrine: «Mi fuma il cervello». Pare abbia sciolto la riserva sulla Giustizia: ci metterà Alfano, uno dei quarantenni rampanti di Forza Italia. Non è autorevole quanto il Capo dello Stato forse avrebbe gradito, e nemmeno ha l’esperienza che l’ex Castelli sollecita, ma sulla fedeltà non si discute. Scajola verrà impiegato (con suo sollievo) alle Attività produttive. Alleanza nazionale rinuncia al Welfare, lo prenderà il veneto Sacconi, che in fatto di rapporti col sindacato ha qualche esperienza. Per questo viene preferito alla Prestigiacomo, sulla quale aleggiano perplessità della componente «nordista» (troppo potere alla Sicilia, è l’accusa). La bionda Stefania se la batte al momento con la rossa Brambilla per l’Ambiente. La corvina Carfagna viene data invece per certa alle Pari Opportunità. Con la castana Gelmini all’Istruzione, fanno tre donne sicuramente al governo. Troppo poche per Berlusconi, che ne inserirebbe un altro paio. E qui s’innesta il braccio di ferro con An, iniziato a tarda sera. In cambio del Welfare, il partito di Fini è pronto a prendersi due ministri senza portafoglio. La trentunenne Meloni parte favorita (si occuperà nel caso di politiche giovanili). L’altra poltrona il Cavaliere vorrebbe donarla alla Poli Bortone, ma An punta su Ronchi, portavoce del partito. «Dev’essere in Consiglio dei ministri», avverte Bocchino a nome di Fini. Il neo-dc Rotondi è convocato stamane dal Cavaliere, pare voglia dargli la Solidarietà sociale. Il transfuga dell’Udc, Giovanardi, verrà premiato con l’Attuazione del programma. C’è un motivo: lì serve uno col fucile puntato, e Giovanardi è stato carabiniere. Per fargli posto, Berlusconi ha chiesto a Calderoli di traslocare. Gli ha dato dieci minuti di tempo per inventarsi qualcosa, così è nata su due piedi l’idea del ministero taglia-leggi. Calderoli (che per Gheddafi ha rischiato il posto) non lo vive come declassamento. Bossi ringhia: «La Libia? Cos’è la Libia? Senza la Lega, Berlusconi stavolta non ce la faceva», provi a far fuori Calderoli se ne ha il coraggio. Dodici ministri con portafogli, e otto senza, fanno venti in totale. Più Berlusconi, ventuno. Nove i vice-ministri: 5 per Forza Italia (grande guerra in corso), 3 per An (probabili Mantovano, Urso e Landolfi), uno alla Lega (Castelli). Sessanta è il tetto massimo per i membri del governo, quindi restano 30 sottosegretari. Qualche berlusconiano disperato propone di aumentarne il numero riducendo gli stipendi. Si completa la geografia del potere parlamentare. Vice-presidenti del Senato diventano Nania e Rosy Mauro (maggioranza), Bonino e Chiti (opposizione). Le resistenze dei Radicali, che avrebbero preferito altre caselle, alla fine sono rientrate, così come le polemiche tra Di Pietro e il Pd. Alla Camera sono passati, come vice di Fini presidente, Buttiglione e Bindi da una parte, Leone e il formigoniano Lupi dall’altra. Quest’ultimo senza i voti della Lega. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Inserito da: Admin - Maggio 25, 2008, 05:49:35 pm 25/5/2008 (7:6) - RETROSCENA
Casini e Veltroni seguono Berlusconi sulla linea dura Anche Alessandra Mussolini con i manifestanti di Chiaiano Rifiuti, scontri con la polizia in Campania Caos rifiuti, a Napoli tornano proteste e roghi Contrari solo Sinistra radicale e Storace UGO MAGRI ROMA Si ricomincia dai tumulti, come sette anni fa a Genova per il G8. Certo a Chiaiano non si riuniscono i Grandi, la guerra è su una discarica. E tuttavia sembra destino ineluttabile del Cavaliere impattare da subito, appena riconquistatato Palazzo Chigi, con la protesta di piazza. Corsi e ricorsi. Logico che il premier, a Porto Rotondo in cerca di relax, guardi con qualche apprensione ai fatti di Napoli. Segue ora per ora la piega degli eventi, informato dal portavoce Bonaiuti. Non cambia idea: Berlusconi resta convinto che l’inflessibile fermezza sia senza alternative. Ha telefonato a Maroni per dirgli di andare avanti (così filtra dal Viminale che mette le mani avanti, casomai dovesse finir male). Gli scontri erano «prevedibili», comunque sia «la Campania non può morire sotto ai rifiuti, guai ad arretrare di un solo centimetro». Sottoscrive le dichiarazioni di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria: «E’ venuto il momento che lo Stato faccia rispettare la legge e imponga tolleranza zero. Il finto solidarismo aiuta solo chi delinque». Come Berlusconi, che qualcuno dell’entourage vorrebbe pronto a ripartire per Napoli a metà settimana, la pensa l’intero centrodestra, senza smagliature degne di nota. Semmai con qualche intransigenza in più nel timore che, dopo aver riscosso applausi promettendo il pugno di ferro, il governo batta in ritirata. «Ci rimetteremmo la faccia, non possiamo permettercelo», sussurra una voce autorevole del Pdl. Ecco dunque Gasparri invocare «linea dura contro chi aizza la piazza» e Cicchitto ammonire che «lo Stato non può arrendersi davanti alla violenza organizzata». E poi Mantovano e Capezzone. Piccola vendetta di La Russa con il collega Maroni, il quale rifiuta di impiegare l’esercito: «Non commento, perché non ho competenze in materia, le questioni di ordine pubblico spettano al ministro dell’Interno». Il quale fa sapere che le aggressioni alla polizia sono «ingiustificabili». L’opposizione sta alla finestra, aspetta gli eventi. E’ una prudenza calcolata: praticamente un via libera al governo. Di certo Veltroni non mette i bastoni tra le ruote del Cavaliere quando da Milano constata, in tono quasi distaccato, che gli scontri «sono l’effetto di una politica del veto e di un atteggiamento ideologico presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra». Dal segretario Pd nemmeno una parola di biasimo verso le forze dell’ordine, alle quali promette pieno sostegno Casini invocando «pugno duro se necessario». Di Pietro glissa, se la prende con Bassolino, ma il suo capogruppo Donadi garantisce «pieno sostegno dell’Idv all’azione di governo, anche perché gli impianti individuati sono gli stessi» indicati al tempo di Prodi. Realacci, ministro-ombra del Pd, sollecita a verificare se la cava di Chiaiano è adatta alla bisogna, però aggiunge che la violenza è inaccettabile, e comunque non si tratta di rifiuti pericolosi. Disco verde, insomma. Chi è contro il manganello sta ai margini del Parlamento o addirittura fuori. A sinistra come a destra. E con gli stessi argomenti. «Le botte alla popolazione campana sono un pessimo segnale»: l’ha detto per caso l’ex ministro bertinottiano Ferrero? No, è un commento di Storace. E chi si è incontrata con i centri sociali, battendosi per far scarcerare i dimostranti? La Mussolini. Sgobio, del Pdci, invoca l’intervento dell’Unione europea, considerata forza d’opposizione al Cavaliere. La Palermi grida «vergogna!» all’indirizzo del governo. E Migliore denuncia «il silenzio sulle violenze della polizia», quasi a evocare i fantasmi della scuola Diaz. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Spunta un piano per la pace Inserito da: Admin - Giugno 24, 2008, 11:08:46 pm 24/6/2008 (7:9) - RETROSCENA
Spunta un piano per la pace Giorgio Napolitano è l'undicesimo Presidente della Repubblica, in carica dal 10 maggio 2006 La strategia del Colle: ora il regista Napolitano può chiedere al Cavaliere norme più morbide UGO MAGRI ROMA Ancora ieri mattina, il Cavaliere galoppava a briglia sciolta contro i giudici milanesi. Poi però qualcosa (o qualcuno) è intervenuto a frenarlo. Col risultato che la resa dei conti, fin qui inevitabile, forse verrà rinviata. E probabilmente non ci sarà nemmeno la devastante conferenza stampa contro i magistrati «sovversivi» che il premier aveva già in programma di tenere domani, preparando con cura le carte: c’è parecchia discussione, nel clan berlusconiano, circa l’utilità di un attacco così frontale. Addirittura si sta ragionando sulla possibilità di stemperare gli emendamenti famosi, quelli che sospendono per un anno i processi minori. Potrebbero essere riformulati in modo meno netto, restituendo uno spazio di manovra alla magistratura. Ma tutto questo è appeso a un filo parecchio esile. La tregua, mettono come condizione dalle parti di Berlusconi, dovrà essere bilanciata e controllata. Per ogni gesto distensivo che giungerà dal mondo giudiziario, la maggioranza è pronta a farne seguire uno di segno corrispondente. Sempre con la pistola pronta sul tavolo. Al momento, la tensione cala. E il merito è tutto del Colle. I consiglieri del premier non esitano a riconoscere che il Capo dello Stato sta facendo gli straordinari per svelenire il clima, «e noi gliene siamo grati» confida un leader della maggioranza alla Camera. La rampogna di Napolitano a Mancino, vice-presidente Csm, per i suoi annunci di guerra al governo, ha avuto l’effetto di ingigantire il prestigio del Quirinale agli occhi di Berlusconi. Mai in tre lustri, da quando l’uomo di Arcore s’è gettato in politica, un Presidente gli aveva fatto scudo con tanta efficacia. Col risultato che, adesso, il Presidente della Repubblica ha un credito importante da esigere con Berlusconi. Se intende esercitare sul governo la sua «moral suasion», a Palazzo Chigi diventa arduo rispondergli no. Il percorso che sul Colle qualcuno immagina comincia dunque da qui: dalla rinuncia del premier a gettare nuova benzina sul fuoco contro giudici e magistratura. Il conflitto con Nicoletta Gandus deve rientrare negli alvei istituzionali. Il Csm prenderà in esame le ragioni del premier, compresi i motivi della ricusazione, Berlusconi eviti please di rincarare le accuse al presidente del Tribunale. Secondo passaggio: il Consiglio dei ministri approvi pure, se crede, il cosiddetto lodo Schifani, quello che blocca le inchieste sui vertici dello Stato fintanto che sono in carica. La maggioranza per approvarlo in Parlamento c’è, la stessa Udc potrebbe dare un aiuto. A quel punto, è il piano che circola nei Palazzi, che motivo avrebbe Berlusconi di insistere sugli emendamenti blocca-processi? Tanto più, si fa notare, che lui ha già annunciato di non volerne trarre personalmente profitto... La speranza sul Colle, insomma, è che qualcosa accada durante l’iter di conversione del decreto sicurezza alla Camera. E non si riproduca il muro contro muro previsto per oggi al Senato (dove si vota l’intero provvedimento). Ghedini ridimensiona le attese, cancellare gli emendamenti della discordia è del tutto escluso. Però fonti bene informate assicurano: una modifica sostanziale di quelle norme, che consenta per esempio ai Tribunali di «riappropriarsi» della materia, stabilendo essi la gerarchia dei processi, è nell’ordine delle cose possibili. Purché, avvertono i berluscones, «non sia tutta una finta». Il timore a Palazzo Chigi è che Napolitano pecchi di buona fede, insomma si faccia ingannare dalla corporazione dei giudici. I quali gli hanno promesso di non dare corso alla bozza di delibera del Csm contro il governo, ma la spada di Damocle è sempre lì che pende. «Nessuno si faccia illusioni», mette in guardia il duro Cicchitto, «se il Csm ci riprova, salta la tregua. E nessuno venga a dirci che la guerra ricomincia per colpa nostra». da lastampa.it Titolo: Stefano Passigli Contro la Costituzione Inserito da: Admin - Giugno 24, 2008, 11:11:36 pm Contro la Costituzione
Stefano Passigli Bene hanno fatto il capo dello Stato e il vice presidente del Csm a precisare che al momento non esiste alcun parere dell’organo di autogoverno della magistratura sulla costituzionalità delle norme blocca-processo. La forma ha una sua rilevanza, ma non può alterare la sostanza; e sul piano della sostanza non vi è dubbio che l’aggiunta al decreto sulla sicurezza di una norma blocca-processi presenta profili di incostituzionalità, solleva interrogativi sul ruolo dei presidenti delle Camere, e appare politicamente dirompente. In primo luogo applicandosi solo ai procedimenti prima del 2002, il blocco contrasta con il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione discriminando tra ipotesi di reato identiche sulla base della mera data di avvio del relativo procedimento penale. Irragionevole appare in ogni caso il riferimento temporale adottato. Non solo meglio sarebbe stato sospendere quei processi ove la eventuale condanna sarebbe comunque coperta dal recente indulto, ma più logico sarebbe stato semmai accelerare anziché bloccare i processi più datati e quindi più a rischio di prescrizione, ritardando piuttosto i più recenti per i quali la prescrizione è più lontana. Né si dica che, essendo sospesa la prescrizione, la situazione dei processi bloccati non muterebbe. Alla loro ripresa, infatti, molti collegi giudicanti potrebbero dover essere ricostituiti per intervenuti trasferimenti o pensionamenti, con il conseguente ripartire da zero del processo e un altrettanto conseguente garanzia di impunità. La norma blocca-processi votata a maggioranza semplice dal Parlamento configurerebbe così, in buona sostanza, un’amnistia surrettizia, in spregio della norma che vuole le amnistie votate da una maggioranza qualificata. In secondo luogo, nel processo penale le parti sono tre: il Pubblico Ministero a tutela dell’interesse generale, la Parte Civile a tutela del soggetto offeso, e la Difesa a tutela dell’imputato. Ebbene ritardare - o addirittura vanificare, come spero di aver or ora dimostrato - la celebrazione del processo è certo nell’interesse dell’accusato, ma non della parte lesa e della collettività. Nel proporre la norma blocca-processi Berlusconi e il suo governo mostrano - e pour cous - di privilegiare l’interesse dell’imputato piuttosto che quello generale e delle parti lese. Ma proprio il centrodestra, per bocca del senatore Pera con il pieno appoggio dell’onorevole Berlusconi, si batté per introdurre in Costituzione la norma sull’equo processo che ne impone una «ragionevole durata»: ebbene la norma blocca-processi allungandone la durata e di fatto favorendo in molti casi la prescrizione, priva gli imputati innocenti di una pronuncia assolutoria e le parti lese di una condanna, violando così palesemente l’articolo 111 della Costituzione. Da alcuni si è affermato (Antonio Alfano, Corriere della Sera del 22 giugno) che una norma blocca-processi fu già introdotta nel 1998 dal governo Prodi, ministro della Giustizia Flick, presidente Scalfaro. Niente di meno vero, e sorprende che a un ex Procuratore Generale onorario di Cassazione la passione politica faccia velo sull’intelligenza giuridica: tale disposizione prevedeva infatti che «al fine di assicurare la rapida definizione dei processi pendenti... nella trattazione dei procedimenti e nella formazione dei ruoli di udienza... si tiene conto della gravità e della concreta offensività del reato, del pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti nonché dell’interesse della persona offesa». La concreta decisione sui criteri di priorità era insomma rimessa agli uffici che ne dovevano informare il Csm, restando così interamente nel discrezionale apprezzamento dei magistrati. Cosa ben diversa da un intervento legislativo che lede profondamente un ulteriore e fondamentale principio costituzionale: quello dell’autonomia della magistratura.Al di là della forma, avanzare dubbi sulla costituzionalità di una norma blocca-processi è dunque non solo legittimo, ma anche opportuno, specie alla luce delle modalità scelte dal governo per la proposta: non un disegno di legge costituzionale - al quale lo invitano, oltre ad alcuni esponenti della maggioranza, persino (con un intervento ai limiti dell’oltraggio a un potere dello Stato quale la Corte Costituzionale) il presidente emerito Cossiga che invita anche il presidente Napolitano a rinviare la legge di conversione qualora contenesse la norma - ma un emendamento suggerito a parlamentari amici che aggiunge a un decreto legge materia estranea al testo passato al vaglio autorizzativo della presidenza della Repubblica. Chi scrive è profondamente convinto che i presidenti di Camera e Senato dovrebbero dichiarare improponibili emendamenti estranei al corpo dei decreti, evitando così di vanificare il controllo dei requisiti di necessità e urgenza compiuto dalla presidenza della Repubblica. Ma chi scrive è altrettanto profondamente cosciente che - caduta la prassi che voleva le presidenze di Camera e Senato affidate a maggioranza e opposizione e votate consensualmente - a partire dalla rottura della prassi effettuata dal primo governo Berlusconi nel 1994 l’indipendenza delle due presidenze si è inevitabilmente affievolita. Occorre dunque aiutare la presidenza delle Camere a mantenere al massimo la propria autonomia: anche da questo punto di vista, la presentazione di un emendamento blocca-processi indebolisce e non rafforza le istituzioni, ed è opportuno che sia perciò ritirato. Infine, gli aspetti più strettamente politici. A lungo, in molti abbiamo lamentato che i rapporti tra maggioranza e opposizione non fossero in Italia quelli esistenti in un «paese normale». Alla necessità di un più corretto rapporto alcuni tra noi - io ad esempio - avevamo a malincuore sacrificato battaglie che come quella per una più adeguata disciplina del conflitto di interessi, ci apparivano necessarie. Ma esistono limiti invalicabili, e princìpi irrinunciabili. Così come nel 2006 ci battemmo con successo per respingere un progetto di riforma costituzionale altamente pericoloso, oggi siamo costretti a un nuovo e deciso «no» al tentativo di introdurre norme che sentiamo lesive di un fondamentale principio non solo della nostra Repubblica ma di qualsiasi democrazia: l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Troppi indizi ci dicono che si sta preparando un nuovo tentativo di sovvertire alcuni capisaldi del nostro ordinamento costituzionale: la forma parlamentare di governo, ribadita dai cittadini italiani nel referendum del 2006; il ruolo e le funzioni delle supreme magistrature di garanzia (presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale); e infine l’autonomia della magistratura. In nessun paese gli assetti istituzionali sono immodificabili. E le modifiche vanno ricercate e fatte nel dialogo tra maggioranza e opposizione. Ma proprio per dialogare occorre non smarrire la coscienza di cosa è negoziabile e cosa non lo è. Pubblicato il: 24.06.08 Modificato il: 24.06.08 alle ore 8.24 © l'Unità. Titolo: UGO MAGRI. E il Pdl assolve già il Cavaliere. (non solo loro... purtroppo ndr) Inserito da: Admin - Luglio 03, 2008, 06:43:28 pm 3/7/2008 (7:3) - GIUSTIZIA - L'INCUBO FORZISTA
E il Pdl assolve già il Cavaliere Le persone vicine al premier lo descrivono "pieno d'amarezza" per la questione intercettazioni I suoi: «Le dimissioni sono impossibili, qualunque cosa ci sia in quelle telefonate» UGO MAGRI ROMA Qualunque cosa possa uscire da quelle intercettazioni, compresa la più grottesca e impudica, è certo che Berlusconi non andrà a nascondersi per l’imbarazzo. Anzi: quanto più l’intrusione nella sua privacy dovesse far ridere il mondo, tanto più il premier si sentirebbe martire della libertà, crocifisso perché incarna quella di tutti, che perlomeno al telefono devono potersi esprimere come latin lover. E tirerebbe avanti, garantiscono i suoi, con ancora maggiore energia. Dimissioni, dunque, è parola impronunciabile nel giro del Cavaliere. Le voci di rivelazioni osé in arrivo, su cui si scambiano pareri perfino i leader d’opposizione, non avranno l’effetto di far cadere il governo. Al massimo, complicheranno l’intimità del premier, descritto da chi lo assiste come «pieno di amarezza». Eppure, se i boatos di Palazzo dovessero mai trovare conferma, una questione di alta politica si aprirebbe comunque. Riguarderebbe il metro con cui giudicare un capo del governo trascinato, per la prima volta da noi, in quello che nei popoli puritani si definirebbe «scandalo sessuale». Scandalo pure per un’Italia che puritana non è? C’è chi nemmeno vuol prendere il caso in esame. Daniele Capezzone, già segretario radicale ora portavoce di Forza Italia, rifiuta di tradurre in politica «questioni che attengano alla vita privata di chicchessia». Laddove Emma Bonino, radicale tuttora, non è così certa che tra pubblico e privato possa ergersi un muro impenetrabile. Dipende, spiega, «se le attività private di un leader hanno o meno conseguenze di governance pubblica». Se si traducono «in business aziendale o in nomine di ministri». E mentre Capezzone si dichiara «terrorizzato» dall’idea che i magistrati possano entrare e uscire dalla vita di un personaggio anche pubblico, Bonino ricorda che «a maggiori onori corrispondono maggiori oneri». Berlusconi, al tempo delle telefonate intercettate con Saccà, guidava l’opposizione, non il governo. «Cambia poco», scuote la testa un antipatizzante del Cavaliere come Bruno Tabacci: «Le azioni private hanno lo stesso un rilievo pubblico. E, comunque, non deve mai mancare un po’ di prudenza. Nella Prima repubblica i politici non erano immuni dai vizi, ma venivano perlomeno amministrati con molta misura...». Nel caso di Berlusconi, invece? «E’ l’esibizionismo che offende, le pubbliche battute nei comizi, le ragazze sulle ginocchia... Logico prevedere come sarebbe finita». Obietta Vizzini, «laico» di Forza Italia: «Berlusconi non ha mai scritto nel suo programma che si sarebbe fatto frate francescano. Gli italiani lo giudicheranno per come saprà o non saprà risolvere i loro problemi quotidiani, altro che origliare le sue telefonate!». Gianfranco Rotondi, ministro democristianissimo per l’Attuazione del programma, arriva addirittura a ipotizzare per il premier un boom di popolarità: «Lui parla al telefono come l’italiano medio. La gente sincera e onesta scherza come lui, fa battute galanti e talvolta dice qualche porcheria. La cultura azionista di certi giornali non ha capito questo Paese. Cercano di accendere i riflettori su quelle che considerano le miserie di Berlusconi, e invece agli occhi degli elettori diventano le sue grandezze...». Vuoi vedere che stasera a Matrix il Cavaliere farà appello proprio a questo «idem sentire»? Marco Follini, esponente Pd, non per nulla è cauto: «Penso che faremo bene a girare al largo da questo argomento. La virtù dell’opposizione non consiste, almeno io credo, nel denunciare i vizi degli intercettati, sbirciandoli dal buco della serratura». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Villari non molla, scontro con Veltroni Inserito da: Admin - Novembre 18, 2008, 02:51:14 pm 18/11/2008 (7:18) - RIUNIONE TESISSIMA COL SEGRETARIO
Villari non molla, scontro con Veltroni Il Pd lo processa, il presidente della Vigilanza resiste: "Il partito è casa mia e non me ne vado" UGO MAGRI ROMA Nella grande rissa sulla Vigilanza Rai, l’unica cosa di cui nessuno tra i protagonisti pare curarsi è proprio la Rai. A fine anno avrà bruciato 25 milioni (se va bene) secondo le stime del direttore generale Cappon, nel frattempo la tivù ci imbonisce con il teatrino della politica più che in ogni altro paese europeo (fonte: Osservatorio di Pavia). Eppure il «casus belli» rimane la presidenza della Commissione parlamentare, che in sé conta meno di un posto in Consiglio d’amministrazione, ma torna utilissima al Cavaliere per seminare discordia nel campo avverso. Difatti a Palazzo Chigi se la godono, seguono gli sviluppi della lite dentro il Pd con una conoscenza dei dettagli quantomeno sospetta. Esempio: già nel primo pomeriggio i berlusconiani sapevano per filo e per segno della terribile litigata all’ora di pranzo tra Veltroni e il presidente eletto della Commissione di vigilanza, Villari. Un’ora e dieci di urla, recriminazioni, minacce. A mollare la poltrona dove è stato messo dal centrodestra, pur essendo lui del Pd, Villari non pensa minimamente. Tantomeno a lasciarsi processare. Anzi, veste i panni del pubblico ministero: «Davvero pensate che io sia una talpa? La quinta colonna di Berlusconi? Sono accuse infamanti da cui non mi avete difeso. Vergogna! Mi trattate come un venduto... Ma io ho degli obblighi istituzionali, la Vigilanza deve funzionare. Andrò avanti fino a quando non avrete trovato l’accordo su un altro nome». Oggi sarà ricevuto da Schifani, domani da Fini, pare voglia riunire la Commissione. Invano Walter, spalleggiato da Franceschini, ha tentato di metterlo spalle al muro. Inutili i richiami all’interesse superiore del partito, al danno politico che Villari sta provocando. Scuote la testa Zanda, presente alla lite: «Presiedere la commissione chiaramente non gli dispiace...». Brutte sensazioni di un gioco con molte sponde interne all’opposizione. Pannella che annuncia un nuovo sciopero della fame e della sete in difesa di Villari, definendo le pressioni per farlo dimettere «tecnicamente eversive» e tali da meritare «cinque anni di carcere». Il giro dalemiano che soffia sul fuoco dello scontento nei confronti del segretario. Latorre, vicinissimo a «Baffino», sospettato dai veltroniani di intelligenza con il nemico. Voci come quella di Follini che additano nel legame con Di Pietro la causa di tutti i guai... Villari è meno solo di quanto appare. Cosicché davanti all’aut-aut (o ti dimetti da presidente o ti buttiamo fuori dal partito), lui è insorto: «Questa è casa mia, non me ne vado. Semmai sarò io a denunciare la subalternità politica all’Idv sulla Rai e sul resto». Comunque alla cacciata, pare, non si arriverà. Il direttivo del Pd in Senato - stasera il processo - è orientato a sospenderlo, in attesa che il partito prenda provvedimenti. L’espulsione viene caldeggiata da Finocchiaro, da Zanda, perfino da un moderato come Marini, ma sarebbe un regalo alla propaganda di destra. La sospensione, invece, è sufficiente a marcare che Villari rappresenta solo se stesso, non certo il Pd. Che la ferita istituzionale rimane aperta. E dev’essere in qualche modo sanata. Già, ma come? Veltroni si ostina a sperare in una mano da Di Pietro. Se ritirasse la candidatura di Orlando, potrebbe sbocciare una rosa di nomi Pd e Udc su cui tentare l’accordo col Cavaliere. Quagliariello, buon interprete degli umori di maggioranza, apre: «Non facciamo il tifo per Villari, semplicemente non accettiamo imposizioni dalla minoranza». Il segretario del Pd ne ha ragionato al telefono con Casini, il più leale nei suoi confronti. Diversamente da Walter, Pier è molto scettico sulle intenzioni dipietriste. Occhi puntati dunque sulla conferenza stampa che l’ex eroe di Mani pulite ha convocato per stamane. Raggiunto tra un comizio e l’altro in Abruzzo, fa il sornione: «Se ritiro Orlando? Aspettate, e saprete». Titolo: UGO MAGRI Veltroni: la questione morale esiste. Ma assolve Iervolino e Domenici Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2008, 10:02:29 am 6/12/2008 (7:20) - LA QUESTIONE MORALE
D'Alema: unità nazionale per cambiare le regole Il PD deve ritrovare l'entusiasmo Veltroni: la questione morale esiste. Ma assolve Iervolino e Domenici UGO MAGRI ROMA D’Alema prova a elevare il tono del dibattito che in questi giorni l’ha coinvolto. Basta presentarlo come un livido cospiratore: la veste che predilige è quella del leader proiettato sulle grandi questioni nazionali. Eccolo dunque invocare «un grande patto sulle regole che permetta di mettere mano a una riforma complessiva delle istituzioni, compresa quella elettorale». Ed eccolo sollecitare un intervento legislativo in tema di giustizia, dove denuncia «una crisi allarmante che rischia di minare la fiducia dei cittadini». Quanta nostalgia si coglie, nelle parole di D’Alema, per la solidarietà nazionale. «Fu stagione di avanzamenti e conquiste», rammenta. Oggi andrebbe «ripresa ad esempio» recuperandone «lo spirito». Berlusconi ci ripensi, suggerisce D’Alema al suo antico interlocutore della Bicamerale, quella in fondo «fu un’occasione persa anche da lui per diventare uomo di Stato...». Il premier non commenta. Né si sbilancia il suo portavoce, Bonaiuti: «D’Alema è personaggio di prestigio, se sono rose fioriranno. Purtroppo finora la sinistra è stata sorda alle ragioni del dialogo». E per sinistra, dalle parti del Cavaliere si intende principalmente Veltroni. E’ lui il segretario, lui che si è scelto come alleato Di Pietro, che attacca il governo su tutti i fronti. Vista da Palazzo Chigi, neppure la «questione morale» che scuote il Pd è motivo di sollievo politico. Anzi. Quanto più Walter dà corda ai duri e puri del suo mondo, agli sdegni di Scalfaro, ai richiami etici di Zagrebelsky, tanto più Silvio lo vive come un pericolo e carica a testa bassa. In realtà Veltroni non è affatto preda di un raptus giustizialista, come da destra lo dipingono. Semmai prova a bilanciarsi tra due esigenze. Da una parte, favorire il ricambio interno, la selezione di una nuova classe dirigente («Il Pd è nato per rinnovare la politica»). Dall’altra, salvare quanto può di un partito che il 6 e 7 giugno sarà atteso dalla doppia prova delle europee e delle amministrative (è la data che Maroni intende proporre al Consiglio dei ministri). Risultato? Il più classico dei «ma anche». Veltroni giura che metterà al centro l’etica contro qualunque «improprio rapporto di commistione tra affari e politica». Così si pone alla testa del fronte moralizzatore che ieri ha visto in prima linea Tonini, la Finocchiaro, la Bindi. Al tempo stesso, con una saggia dose di realismo, Veltroni rifiuta di fare «d’ogni erba un fascio». Anzi, promette sostegno convinto ai due sindaci nell’occhio del ciclone per via delle inchieste giudiziarie che pendono sulle rispettive giunte di Napoli e di Firenze. La Iervolino finalmente riceve dal segretario una «lunga e affettuosa telefonata», come poi lei fa sapere tutta contenta perché «non ci saranno processi né messe al bando, né incontri a Roma martedì prossimo». Martedì no, per l’esattezza, ma mercoledì sì. Il caso Napoli verrà discusso dal coordinamento nazionale del Pd col segretario regionale e con quello cittadino. Veltroni insiste per cambiare parecchie facce nella giunta del capoluogo campano e, se potesse, per giubilare il governatore Bassolino, il quale resiste tetragono: «Io porto avanti il mio impegno». Si discuterà mercoledì pure di Firenze, altra vicenda con sottofondo di scandali. Qui la situazione è paradossale. Perché nemmeno l’assemblea cittadina del Pd è riuscita a ottenere un passo indietro dall’assessore Cioni, indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge il costruttore Ligresti e altri personaggi. Non solo Cioni rimane al suo posto in giunta, ma corre per le primarie a sindaco. Con la sottintesa minaccia che, se dovessero escluderlo dalla competizione, lui fonderebbe una lista civica. Allora sì che l’ultima roccaforte rossa potrebbe crollare. Ciò che manca al Pd, denunciano in un appello 54 deputati di ogni corrente, è un «confronto libero e limpido». Solo così si può «ritrovare l’entusiasmo». da lastampa.it Titolo: Forza Italia non è mai ricorsa al finanziamento illecito. (era già fatto prima) Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2008, 11:56:56 am 28/12/2008 (7:55) - RIFORME A GENNAIO
Berlusconi: "Se escono le mie telefonate lascio l'Italia" «Forza Italia non è mai ricorsa al finanziamento illecito.» Il Premier: subito Federalismo e Giustizia Possiamo cambiare la Costituzione da soli UGO MAGRI ROMA Se l’anno nuovo portasse con sé un Paese più unito, a Berlusconi non dispiacerebbe affatto. Sia chiaro: troppe illusioni il premier rifiuta di farsene. Confida a un gruppo di cronisti che lui è «rassegnato», ha perso la speranza, al dialogo non crede più, ormai la parola stessa è «usurata, meglio dire collaborazione, accordo sulle cose possibili». Tra l’altro nel 2009 ci saranno le elezioni amministrative ed europee, già a gennaio si voterà in Sardegna per il nuovo governatore, sarà una guerra permanente. Non è il momento della mano tesa all’opposizione. Eppure... Eppure da certe riflessioni del premier nel suo salotto a Palazzo Grazioli sembrerebbe di cogliere un’apertura di credito, lo si chiami pure spiraglio. O quantomeno, il desiderio di non esacerbare il clima, di non farsi additare come colui che dà fuoco alle polveri. E’ una novità da prendere con le pinze. Ma la frase più forte Berlusconi la pronuncia sull’Italia che si sente origliata. Pronto alla fuga «Io continuo a telefonare normalmente», assicura il presidente del Consiglio, «ma il giorno che venisse fuori una mia telefonata di un certo tipo, me ne andrei in un altro paese, scapperei via». Resta convinto che le intercettazioni vadano permesse solo sui delitti più gravi, niente da fare invece per i reati cosiddetti contro la pubblica amministrazione poiché «ci sarebbe il rischio di iper-rubricazione, il pm avrebbe mille scuse per metterci sotto controllo». La Lega era contraria a tagliar fuori reati come la corruzione, «ma io ho parlato con Bossi che ha chiamato Maroni, le sfumature stanno scomparendo». Anche la sinistra dovrebbe essere d’accordo, «specie adesso che questo sistema si è rivolto contro di lei...». Questione morale Berlusconi si guarda dall’infierire sugli avversari. Preferisce parlare di Forza Italia che «non è mai ricorsa al finanziamento illecito perché spende in modo oculato il finanziamento pubblico, e poi perché tutti sanno che casomai i soldi ce li metto io». Glissa sulle inchieste a carico della sinistra: «Non ho approfondito il tema, provo una certa allergia nei confronti di queste cose». Una parola di troppo in verità gli era sfuggita, tempo addietro, ma è acqua passata, «anzi ho manifestato l’auspicio che le accuse al Pd possano essere ridimensionate. Nei loro confronti do prova di fair-play». Sul Pd Il premier ricorda nostalgico quando provava «simpatia per la sinistra perché era garantista». Precisa di non averla mai votata: solo Pli, Dc e Psi «in quanto ero amico di Craxi». Ma con quella sinistra di una volta lui s’intenderebbe facilmente. Purtroppo oggi c’è di mezzo Di Pietro, «irrecuperabile, l’incarnazione del giustizialismo». Qualche ora prima aveva detto su Sky che «sono padre fortunatamente dei miei figli», non intendendo pronunciarsi su quello di Tonino. Il quale l’aveva presa come una «provocazione». Precisa Berlusconi davanti ai taccuini: «Non intendevo offendere nessuno, tantomeno sui figli». Comunque Di Pietro è il macigno da rimuovere se Veltroni vuole un rapporto con lui, tra i due «un divorzio è necessario». Sulla Lega Per far meglio intendere il suo pensiero, sviluppa il parallelo che segue: «Quando ho cominciato a trattare con Bossi, la Lega era indipendentista. Io ho saputo costituzionalizzarla, facendola diventare federalista. La stessa cosa dovrebbe capitare tra il Pd e l’Italia dei valori. Invece purtroppo succede il contrario, è il giustizialismo che sta permeando il Pd». Conclusione: «Devono scegliere quale identità darsi. Oggi è incerta per loro stessi. Cita «Rutelli, Marini, la Bindi». Segnali di fumo. Nessuna forzatura sulla Costituzione: si può cambiarla, ma con il consenso di tutti. Lo faremo da soli soltanto se costretti. In ogni caso, il federalismo fiscale precederà la riforma della giustizia. Crisi e auto Il Cavaliere conferma l’intenzione di promuovere la Brambilla a ministro del Turismo e Fazio alla Salute. Parla di economia, si rallegra che i consumi alimentari «vadano alla grande», riconosce una difficoltà del settore auto perché «in queste situazione la macchina è la prima spesa ad essere rinviata», si è regolato così perfino suo figlio Luigi, «al quale i mezzi non mancano». Il governo aspetta che l’Europa decida eventuali misure di sostegno, a quel punto si adeguerà. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "Lo scandalo intercettazioni è enorme" Inserito da: Admin - Gennaio 25, 2009, 04:57:12 pm 25/1/2009 (6:52)
"Lo scandalo intercettazioni è enorme" Berlusconi: «Il più grande mai visto, un signore ha messso sotto controllo 350mila persone». E sulla giustizia il premier assicura: «C'è il sì di Bossi» UGO MAGRI ROMA Berlusconi riflette, abbastanza combattuto, se gli conviene accettare la proposta di Veltroni (mettere una «soglia» del 4 per cento alle prossime elezioni europee, così da far fuori i nanetti). Fa capire che nulla è gratis, caro Walter, altrimenti nemici come prima. «Ho sempre detto soglia al 5 per cento, non so se è possibile fare l’intesa», assume un’aria dubbiosa il premier in Sardegna, dove chiede voti per il suo candidato alla presidenza della Regione, Cappellacci, contro il governatore uscente Soru gratificato con elogi tipo: «Ha fallito come imprenditore, fa speculazioni edilizie, taglia gli ulivi davanti alla sua villa, è solo un venditore...». Se la risposta a Veltroni si fa desiderare, Berlusconi ne dà la colpa ovviamente agli avversari, «questi signori dicono una cosa e poi un’altra», come fidarsi? Sul segretario Pd, in particolare, Silvio non ha più il concetto positivo di una volta, perfino donna Veronica è delusa. Ma poi c’è sempre Gianni Letta a fare da citofono tra i due, si sbaglia di poco a immaginare l’Ambasciatore che decanta a entrambi le reciproche convenienze. Insomma, il Cavaliere è tentato dal più suadente degli ambasciatori. In attesa di sciogliere il dilemma, Berlusconi butta la palla avanti, lancia anzi una bomba di quelle che fanno tremare il Palazzo: «Sta per uscire uno scandalo che sarà il più grande della storia della Repubblica», annuncia dal palco di Olbia. Si tratta del cosiddetto «Archivio Genchi», raccolto negli anni dal consulente dell’ex pm calabrese De Magistris: «Un signore ha messo sotto controllo 350 mila persone, dobbiamo essere decisi a non consentire questo sistema di indagine, non deve continuare...». Lo scandalo sta nel mistero dei tabulati. Spiega il luogotenente berlusconiano Cicchitto: «Allo stato non sappiamo se il testo delle intercettazioni è stato distrutto oppure è nelle mani di chi può fare ricatti a 360 gradi». Il premier risulta tra gli spiati (insieme con Prodi, Napolitano e lo stesso capo dei servizi segreti De Gennaro). Ciò spiega in parte il suo sdegno, che lo porta a denunciare «questa cosa incredibile», sebbene poi ammetta di sapere non più di «quanto già sapete voi», a parte «altre cose che nell’ambito della politica mi sono state riferite...». Ma Berlusconi ha pure una convenienza politica immediata. In queste ore il ministro Alfano sta tentando di mettere la maggioranza d’accordo sul nodo delle intercettazioni. Il caso Genchi è l’argomento che serve al premier per forzare la mano a chi, tra gli alleati, si attarda a discutere i particolari. Sintomatico che Berlusconi colga l’attimo per annunciare «il via libera di Bossi alla riforma della giustizia». E per negare ogni conflitto con Fini, cui «verrà garantito un ruolo nel futuro Pdl» (il congresso fondativo «si terrà alla Fiera di Roma»). Anche sulla giustizia, il Cavaliere attende segnali di fumo da sinistra. Se il Pd fosse meno intransigente, allora lo «sbarramento salva-Veltroni» (come lo irridono a Palazzo Grazioli) avrebbe un’accoglienza migliore. Sul tavolo Berlusconi mette la riforma dei Regolamenti parlamentari (Gasparri ne parla apertamente). Oppure la «par condicio» televisiva, sua bestia nera di sempre. Per non dire della Rai: dove, torna a insistere il premier col pensiero a Santoro e ai comici che lo sfottono, «la situazione è veramente drammatica». Qualcosa il segretario Pd deve cedere, scelga lui il cappio. Messa in questi termini, escluso che la trattativa vada lontano. I piccoli partiti, che sperano nelle Europee per attingere al finanziamento pubblico e tirare avanti, gridano alla lesa democrazia, accusano il Pd di tradimento. E gli avversari interni di Veltroni, come Parisi, già invocano un po’ di coerenza con le decisioni di fine ottobre. Quando si disse: non possono essere cambiate le regole del gioco a pochi mesi dalle Europee. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Soglia al 4 per cento. Rivolta dei piccoli partiti. Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2009, 11:12:08 pm 29/1/2009 (7:2) - VERSO IL VOTO - DIALOGO E SOSPETTI
Europee, patto tra Pdl e Pd Soglia al 4 per cento. Rivolta dei piccoli partiti. Ferrero: «E' un colpo di Stato» UGO MAGRI ROMA Mercoledì prossimo Pdl e Pd scorderanno le inimicizie, e per la prima volta voteranno una riforma insieme, perché fa comodo a entrambi. Sarà un unico articolo, condannerà a morte i mini-partiti che non raggiungono la soglia del 4 per cento. Lo sbarramento esisteva già per il Parlamento nazionale, ora verrà esteso a quello europeo, dove oggi si può eleggere un deputato e attingere al finanziamento pubblico con meno di 300 mila voti. Nulla vieterà ai «nanetti» di coalizzarsi per superare l’asticella. Anzi, ipocritamente il «barrage» viene motivato proprio come stimolo a unirsi, specie sulla sinistra. Ma (altra trappola) per fare fronte comune i partitini dovranno depositare almeno 300 mila firme entro il 28 aprile prossimo, altrimenti niente simbolo sulla scheda. L’accordo per far fuori i piccoli a vantaggio dei partiti più grossi è stato raggiunto con rapidità fulminea: martedì i contatti del ministro Vito, ieri pomeriggio era già tutto finito. Sono d’accordo anche Idv, Udc (con qualche riserva sul 4 per cento, Casini avrebbe preferito il 3) e Lega. Bossi ha profittato astutamente della trattativa per portare a casa, col capogruppo Cota, la data di approvazione definitiva del federalismo fiscale: 13 marzo alla Camera. Nel Pd sembra che D’Alema abbia forti perplessità, tutti d’accordo invece nel Pdl alle prese con lo Statuto interno (saranno tre i coordinatori). Furibonde reazioni dai mini-partiti, com’era lecito attendersi. «Delinquenti!», è l’invettiva di Storace contro i grandi partiti. «Dittatori», esplode Mastella. «Patto bestiale», lo etichetta il socialista Nencini. «Colpo di Stato», chiama alla mobilitazione il rifondazionista Ferrero. Oggi si riunisce alla sede del Ps, piazza San Lorenzo in Lucina, il Comitato per la democrazia di cui fanno parte più o meno tutti i micro-partiti. Tenterà di coordinare la protesta con azioni politiche «eclatanti», forme di lotta drammatiche. Intanto si moltiplicano gli appelli al presidente della Repubblica, tirarlo per la giacca è lo sport nazionale. Già ieri, sommovimenti nei consigli regionali di Lombardia e Piemonte, blocco dei lavori al consiglio provinciale milanese, sit-in romano a due passi da Montecitorio animato da Verdi, Sd e «vendoliani». Ferrero è andato a urlare il suo sdegno sotto la sede del Pd, poiché perfino più di Silvio viene incolpato Walter: con lui se la prendono i compagni della sinistra radicale, la «pugnalata alla schiena» viene vissuta come un tentativo di salvarsi con l’aiuto del Cavaliere. «E’ una legge ad personam salva-Veltroni», ironizza Giordano. La Palermi: «Ormai è alla corte di Berlusconi». E Migliore: «Cosa è disposto a vendere il Pd in cambio di questo regalo?». Il pensiero corre subito a intercettazioni e giustizia, terreni ideali di «inciucio». Nel primo caso, effettivamente, Veltroni è più prudente che mai, forse per effetto del «caso Genchi» sospende il giudizio fino a quando le nuove proposte del ministro Alfano non verranno formalizzate (piccolo giallo sull’emendamento governativo che tarda, ma pare sia solo per la difficoltà di scrivere in giuridichese). Quanto alla giustizia, nulla fa pensare a una trattativa segreta. Anzi, nella durezza dello scontro, ieri il Pd ha incassato una sconfitta. Perché la sua mozione è stata bocciata alla Camera, mentre sono passate quelle dei Radicali e dell’Udc con il sostegno del centrodestra. Segno che «il Pd è isolato», si compiace Alfano, il quale ha ricevuto i complimenti del premier per la brillante operazione politica. Se poi da cosa nascerà cosa come auspica Gianni Letta (grande sarto della trama «veltruscona»), si vedrà più avanti: magari in occasione della «spartizione Rai», come già la definisce Di Pietro. Per il momento, tanto a Veltroni quanto a Berlusconi fa più comodo mostrarsi in pieno antagonismo reciproco, come in fondo facevano (sostengono i post-comunisti) i celebri ladri di Pisa, che di giorno litigavano salvo agire insieme di notte. Dunque Veltroni attacca a fondo il Cavaliere sulla Sardegna, Bonaiuti risponde a nome del principale, e avanti così fino al 6 giugno, giorno delle elezioni europee. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "La Carta va difesa", il Pd in piazza Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2009, 02:17:19 pm 11/2/2009 (6:59) - CASO ENGLARO-IL FRAGILE ARMISTIZIO
"La Carta va difesa", il Pd in piazza UGO MAGRI ROMA E’ scattata la moratoria degli insulti, nessuno grida più «assassini» agli avversari politici. Anzi, al Senato si sta cercando una base d’intesa sul cosiddetto «testamento biologico». Le distanze non sono così abissali, addirittura 4 esponenti del Pd (tra cui un big come Rutelli) hanno varcato il confine per votare la mozione di maggioranza. Ma quanto a lungo durerà il coprifuoco, è previsione impossibile. La battaglia su Eluana lascia cumuli di macerie dentro le istituzioni, lo sgombero procede lento. Il palazzo più sbrecciato è il Quirinale. Proprio lì era interessante percepire il clima, ieri mattina, alla cerimonia per ricordare un altro dramma collettivo, le foibe e l’esilio degli italiani d’Istria. E’ giunto Gianni Letta, ambasciatore del Cavaliere, col rammarico dipinto sul volto: «Oggi è una giornata triste di dolore, forse il silenzio avrebbe reso più forte anche la celebrazione del ricordo...». Il silenzio dopo gli urli dell’altra sera. Napolitano ha messo la sua autorevole firma: viviamo «un momento di dolore e di turbamento nazionale che può diventare occasione per una sensibile, consapevole riflessione comune». Parole che evocano concordia e serenità. Il premier tace, Sacconi nega conflitti col Quirinale (al massimo «possono esserci opinioni diverse»), Bossi giura che Silvio ha scelto di andare fino in fondo su Eluana «non per cercare lo scontro con Napolitano ma perché lui si identificava con la ragazza». Però Berlusconi resta un vulcano in piena attività. Follini che ben l’ha conosciuto, coglie un’insofferenza dei vincoli che potrebbe portarlo prestissimo a nuove eruzioni. A sconfessare gli attacchi dei suoi colonnelli contro Napolitano, il premier non pensa affatto. Tanto da esprimere in privato amicizia e comprensione per il suo capogruppo a Palazzo Madama Gasparri, pubblicamente rampognato da Fini per le uscite contro il Colle. E Berlusconi non è il solo: l’intera direzione di An ha riservato un applauso al «reprobo» Gasparri, quasi sconfessando il leader storico, presidente della Camera. Sono ferite difficili da rimarginare. Proprio Fini, intervistato dal Tg1, dipinge un quadro non troppo rassicurante. Tanto il presidente della Camera insiste sulla parola «rispetto» («della maggioranza verso l’opposizione, dell’opposizione verso il governo, e di tutti verso le istituzioni della Repubblica a cominciare dal Capo dello Stato») da fornire l’impressione di un mosaico ancora tutto per aria. Specie per quanto riguarda il braccio di ferro dei decreti, dove né Berlusconi né tanto meno Napolitano hanno fatto passi indietro. L’altro motivo di allerta viene dal Pd. Sull’onda dell’emozione per Eluana, aveva sospeso la manifestazione con Oscar Luigi Scalfaro in piazza Santi Apostoli. Doveva essere la risposta agli assalti berlusconiani che, accusa la Finocchiaro, volevano «sfondare con un calcio la porta del Quirinale». Ieri l’annuncio: la manifestazione rinviata si farà domani. Regola il tiro Franceschini, numero due del Pd: «Sarà a difesa della Costituzione, violentemente attaccata da Berlusconi ben oltre il conflitto con il Capo dello Stato». Il quale peraltro verrà a trovarsi in una collocazione scomoda, eroe di una parte politica contro l’altra. Allarga le braccia il centrista Rao: «Il Pd commette un errore, così finisce per scalfarizzare una figura davvero super partes, quale Napolitano». Non risulta che il Presidente abbia chiesto al Pd di tenerlo fuori dalla mischia. Napolitano osserva, pure in privato, un atteggiamento di rigido distacco dalle polemiche sul suo conto. Lo conforta la vagonata di lettere e email, decine di migliaia, piovute sul suo tavolo. I sondaggi di cui hanno preso visione sul Colle indicano una popolarità che cresce. La roccaforte quirinalizia pare ben salda, almeno nell’immagine della gente. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini-Berlusconi ... e Bossi (lo terranno a bada? ndr). Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2009, 11:01:28 am 12/2/2009 (7:8) - RETROSCENA
Fini-Berlusconi Salva l'apparenza ma resta il gelo Bossi: “La Costituzione non si cambia” UGO MAGRI ROMA Chiudete bene la porta», s’è raccomandato Fini non appena il Cavaliere ha fatto ingresso da lui. Dovendosi chiarire, meglio allontanare i curiosi. Un quarto d’ora dopo l’uscio si è aperto. Sorrisi, cordialità un po’ affettata. «Allora ciao Gianfranco, ciao Silvio, meglio che ci siamo parlati, sì meglio...». I rispettivi entourage erano sulle spine, chissà se i due avevano fatto pace dopo gli scontri sul decreto per Eluana. Interpellando i protagonisti, l’impressione sul entrambi i fronti è risultata quella di una tregua non si sa quanto sincera. Conveniva a entrambi allentare la polemica per salvare le apparenze. Da questo punto di vista, è stato un faticoso successo per le rispettive diplomazie. Basti dire che, ancora ieri mattina, il Cavaliere recalcitrava all’idea. C’era questo convegno alla Camera per ricordare Tatarella, padre nobile di An, a dieci anni dalla sua scomparsa. La presenza del premier era annunciata, dar buca sarebbe stato uno sgarbo. Ma Berlusconi aveva letto i giornali (cosa che dice di non fare mai), e certe frasi attribuite a Fini l’avevano infastidito: «Al suo convegno io non ci vado». Grande pressione per convincerlo, da Letta a La Russa, a Bonaiuti. Infine s’è arreso sedendosi però in platea accanto alla vedova Tatarella mentre sul tavolo della presidenza c’era il suo scranno, vuoto. Quando Fini l’ha invitato a parlare, senza troppo entusiasmo Berlusconi ha riletto la vecchia prefazione di un libro. Con aria di pena si è sorbito da D’Alema, oratore nel convegno a nome di Italiani-Europei, un ripasso dell’abicì costituzionale. Non che Massimo abbia affondato i colpi, però sembrava rivolgersi al premier quando ha scandito in tono professorale: «Il valore delle assemblee elettive e del loro funzionamento può apparire, a chi abbia solo la cultura e l’esperienza del comando, un insieme di inutili...». E via bacchettando: «...si riaffaccia costantemente il rischio di un conflitto tra le istituzioni dello Stato, proprio quando le difficoltà del Paese richiederebbero il massimo di armonia». Onorato Tatarella, ecco Berlusconi nello studio di Fini, dove molto l’ha colpito un dipinto di Sironi. Visto che nessun altro c’era, mettere le virgolette sarebbe arbitrario. Ma il senso è chiaro. Per Fini il Pdl dovrà nascere nell’ambito di un bipolarismo civile, educato, rispettoso delle regole. Dunque il governo sbaglia a commettere forzature, tipo prendere di punta Napolitano sulla decretazione d’urgenza. Le riforme vanno condivise, il Parlamento sia teatro delle grandi scelte. Sì, sì, è la risposta di Berlusconi, tutto giusto, ma io devo pur governare. Se i Regolamenti parlamentari restano così, non ho altra scelta che procedere per decreto. E se nemmeno questo mi viene permesso, in quanto Napolitano arriva a bloccarmi addirittura su Eluana, allora il governo che ci sta a fare? Fin qui le due versioni combaciano. Se poi si dà retta alla campana berlusconiana, al termine del colloquio Fini avrebbe riconosciuto il problema, impegnandosi a sondare tanto il Colle che l’opposizione su qualche forma di «modus vivendi». Riformare i Regolamenti con una corsia preferenziale per i ddl del governo sarebbe l’optimum. La cartina al tornasole degli accadimenti è Bossi. Il Senatùr non spreca parole. Ieri ha dato un colpo al cerchio (Berlusconi) e uno alla botte (Napolitano). Al primo ha rammentato che il presidente della Repubblica «è una figura di garanzia, giusto che sia argine verso l’Esecutivo e sul potere di decretazione, che la carta non si cambia, il presidenzialismo si può fare solo se c’è equilibrio tra i poteri». Al Quirinale, però, Bossi rinfaccia lo «sbaglio» della lettera su Eluana perché «i ministri si sono detti: allora noi non contiamo nulla!». La via d’uscita sta nel mezzo. Ma non è stata ancora trovata. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: mai attaccato Napolitano. (il buffone scherza ancora. ndr) Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2009, 10:54:17 am 13/2/2009 (7:3) - IL CASO
Berlusconi: mai attaccato Napolitano "La Carta non è un Moloch intoccabile e può essere modificata" UGO MAGRI ROMA Poche ore prima che il Pd scendesse in piazza, Berlusconi ha fatto il solito scherzo. Indossati i panni dell’agnello, è andato in una delle sue reti tivù per bagnare le polveri degli avversari. Non solo ha omaggiato il Presidente della Repubblica, ma addirittura si è proposto lui quale paladino dell’ortodossia costituzionale. Si aggiunga che Napolitano non gradiva affatto di essere proclamato martire da una folla antigovernativa, e per i soliti canali riservati l’aveva comunicato a Veltroni: «Per favore, non tiratemi in ballo». Infine Flick, presidente della Consulta, che proprio ieri ha dato in un certo senso ragione al premier («La Costituzione non è un Moloch» ha detto riprendendone le testuali parole). La somma dei fattori ha prodotto una manifestazione così misurata, talmente alla camomilla, che i detrattori la considerano superflua. In realtà è valsa a piantare certi paletti invalicabili, più rivolta al futuro che al passato. Se dialogo sarà, non potrà che ripartire dal galateo istituzionale. Non a caso verso sera si è colta soddisfazione, ai massimi vertici della Repubblica. Per il Colle la giornata meglio non poteva andare. A parte un «ignorante» dato al Cavaliere per la famosa frase sulla Costituzione «sovietica», lo stesso oratore ufficiale della manifestazione, l’ex presidente Scalfaro, ha evitato toni da guerra civile. La Costituzione «nata con lo scopo di unire il popolo italiano e nessuno la usi per dividere», il rispettoso saluto al Presidente della Repubblica che deve restare «al di sopra delle parti», l’appello a Berlusconi perché «non ci faccia vivere con timori per la democrazia»: sono concetti tutt’altro che incendiari. Poi, si capisce, il centrodestra ha finto di indignarsi. Domenica si vota in Sardegna, e nessuno si fa sfuggire le occasioni di polemica. Per cui il capogruppo Pdl Cicchitto bolla la piazza come «un’orgia di refrattari, conservatori e giustizialisti di ogni risma», mentre Bonaiuti (portavoce del premier) dà del falso a Veltroni. Il quale a sua volta, motivando la manifestazione ai Santi Apostoli, aveva denunciato come «estranea alla Costituzione l’idea che il presidente del Consiglio abbia pensato di trasferire nelle mani di una sola persona il potere legislativo». A leggere bene, Veltroni al Cavaliere non ha dato del dittatore (come invece insiste Di Pietro, in sintonia con «The Economist»), né l’ha accusato (per dirla con la Finocchiaro) di «tramortire il Parlamento a colpi di decreto», in preda a un «delirio di onnipotenza». E’ che Berlusconi, ancora una volta, ha cambiato registro. Lui giura di no, a pranzo con alcuni ministri se l’è presa con i giornali che «mistificano» e lo presentano come aggressore, ma il giorno del no di Napolitano al decreto per Eluana l’hanno visto tutti, definirlo sopra le righe è poco. Invece ieri di buon’ora, a «Panorama del giorno», eccolo snocciolare gli articoli 77 e 138 della Costituzione per mostrare quanto lui le è aderente. Ed eccolo lusingare Napolitano sostenendo che «il presidente del Consiglio ha tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con il Capo dello Stato», una figura-chiave per la riuscita del governo. Non si trascuri il ruolo della Lega: deve portare a casa il federalismo fiscale, e già guarda a quello costituzionale. In un clima di scontro, Bossi se li scorda; ha già detto a Silvio di darsi una calmata. Resta intera l’incognita dei decreti: voleranno di nuovo scintille, la prossima volta che il governo ne farà uno? E sulla riforma delle intercettazioni: Napolitano darà retta al governo o piuttosto al Csm, che la giudica incostituzionale? Titolo: UGO MAGRI Ancora scintille tra Colle e Berlusconi Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2009, 12:10:25 pm 14/2/2009 (8:7) - LA SCONTRO SULLE RIFORME
Ancora scintille tra Colle e Berlusconi Il Presidente Napolitano: «La Carta? Teniamocela ben stretta». Il premier: «La sinistra la cambiò. E pure male» UGO MAGRI ROMA La prova che tra Berlusconi e Napolitano nulla è chiarito, viene da un acido scambio di battute. Sembrano dire la stessa cosa, in realtà sostengono il rovescio. Tutto a causa di un ragazzino. «Presidente», ha chiesto lo scolaretto durante una cerimonia, «qui in Italia abbiamo la Costituzione. Perché in Europa non c’è?». Pure l’Europa ci arriverà, ha spiegato Napolitano. Salvo aggiungere sorridendo: «In Italia per fortuna abbiamo una Costituzione, teniamocela stretta...». Se non ci fosse, è il sottinteso, sarebbe stato impossibile fare argine sul decreto-Eluana. Ma «per fortuna» la Costituzione c’è, dunque ci si potrà aggrappare pure in futuro. Interpretare una battuta è sempre arduo, ma così deve averla intesa il Cavaliere. Irritandosi alquanto. Lui sostiene che è Napolitano, semmai, a non rispettare la Carta repubblicana in materia di decreti, perciò la rivendica a sua volta: «Condivido al cento per cento quello che ha detto Napolitano, anch’io penso che questa Costituzione dobbiamo tenercela stretta», oltretutto è la sinistra ad averla «cambiata male» sul Titolo V «con 4 voti di maggioranza». Tira in ballo l’art.77 secondo comma, dove sta scritto che i decreti il governo li adotta «sotto la sua responsabilità». Visto? L’ultima parola spetta all’esecutivo. Addirittura nel caso di Eluana «è stato sostenuto che non c’era urgenza e necessità. E meno male», tuona Berlusconi in comizio a Cagliari, «è morta tre giorni dopo...». Difficile non considerarlo uno schiaffo al Capo dello Stato. E a proposito di insulti, va registrata la richiesta di archiviazione per Di Pietro. Secondo il pm di Roma Amato, il suo ex collega non ha offeso l’onore del Presidente. Escluso che si riferisse a lui quando aveva denunciato in piazza che «il silenzio è mafioso». Esulta Tonino, «adesso qualcuno mi deve delle scuse». E riparte all’attacco del Colle: Napolitano non firmi la riforma delle intercettazioni «perché incostituzionale». E’ il terreno di un nuovo potenziale drammatico scontro ai vertici della Repubblica. Il Presidente non cede sulle sue prerogative, il premier non è da meno. Sviluppa allusivo un paragone poco cortese: «Quando si tocca un’altra istituzione, anche solo con un graffio, nascono polemiche, mentre lo sport nazionale è prendersela con il presidente del Consiglio, definito Hitler, l’orco di Arcore». Veltroni lo qualifica un barzellettiere, Berlusconi mostra i denti («Quello non è mai tenero non me») e ricambia: la sinistra «dovrebbe mettere nel suo simbolo Scalfaro, l’ultimo eroe del Pd, che sappiamo il passato che ha». Battute da comizio: domani si vota in Sardegna, è testa a testa tra l’uscente Soru e il berlusconiano Cappellacci. Il premier deve guardarsi dal fuoco amico. Su «Libero» Vittorio Feltri gli sollecita un colpo d’ala perché altrimenti Silvio «così non duri», e il «Foglio» di Giuliano Ferrara già rivede lo stesso film dell’altra legislatura, quando Berlusconi passava il tempo a destreggiarsi tra Bossi e Casini. Falso, fa gli scongiuri il premier, «lavoriamo nella più grande concordia di tutti i partiti della maggioranza». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI I laici del Pdl adottano Rutelli Inserito da: Admin - Marzo 01, 2009, 10:45:23 am 1/3/2009 (7:42) - PARTENZA DIFFICILE
I laici del Pdl adottano Rutelli Biotestamento, la mediazione dell'ex ministro crea un'altra spaccatura a destra UGO MAGRI ROMA Il Pdl tenta di mettere in un angolo l’ala «pro-life» e fa propria la mediazione Rutelli. L’ex leader della Margherita esprime la più «laica» tra le posizioni cattoliche, la più «cattolica» tra le indicazioni laiche. Propone di camminare, come su un filo, tra gli opposti estremismi. La legge sul testamento biologico «non porti né all’eutanasia né all’accanimento terapeutico», è l’appello. Lo lancia al congresso del Partito Radicale, di cui fu militante qualche era geologica fa. Commozione, lacrime, alla fine applausi. In concreto, Rutelli sonda il terreno su cui potrebbero accordarsi i due schieramenti al Senato, profittando della settimana (o delle settimane) in più che il presidente Schifani è disposto a concedere. Una legge è indispensabile. Giunge conferma che pure il ministro Sacconi risulta indagato dalla magistratura nella vicenda Eluana. Papà Beppino Englaro per omicidio volontario, lui per averlo sabotato. E’ la riprova di una confusione tragica e paradossale, le Procure interpretano il vuoto normativo sull’onda di opposte emozioni. Rutelli suggerisce che «sia l’alleanza tra medico e paziente a decidere», caso per caso, come affrontare il dramma del fine-vita. L’ultima parola spetterebbe a chi ha prestato in giuramento di Ippocrate. Il testo in discussione a Palazzo Madama, viceversa, è categorico. All’articolo 2 fissa il divieto di sospendere (o non attivare) terapie, se ne può conseguire la morte del paziente. Nell’intento di tagliare la strada a qualunque forma di eutanasia, la proposta Calabrò lega le mani ai medici. L’ipotesi mediatoria ha il pregio, agli occhi dei vertici politico-istituzionali, di scongiurare guerre di religione. Sarà oggetto di discussione nei prossimi giorni, si sta già occupando di studiare la formulazione giusta il presidente della Commissione sanità al Senato, Tomassini. Conteranno le virgole: una di meno, e precipiti da una parte; una di troppo e cadi dall’altra. Né sarà facile per Pd e Pdl sottoscrivere intese mentre già divampa la campagna elettorale europea: Franceschini alza ogni giorno che passa la posta, avverte che «è in gioco il futuro della democrazia italiana», fa felici i referendari (da Guzzetta a Parisi) sottoscrivendo la loro richiesta di tenere la consultazione popolare il 7 giugno, all’«election day». E’ alquanto dubbio che il Pd possa «reggere» una mediazione. Ma il vero ostacolo al compromesso sono i falchi di entrambi i campi. Rutelli si rivolge con accenti studiatamente alti «ai fautori dell’umanesimo laico» chiedendo di «schierarsi a difesa della vita più fragile «e non di un illusorio illuminismo bioetico». Parla agli intransigenti del Pd, proprio come Cicchitto (capogruppo Pdl alla Camera) lancia una sorta di ultimatum ai fondamentalisti del suo campo. Lui, Bondi, Brunetta e lo stesso Sacconi hanno condiviso il decreto su Eluana, ma ora basta: «Una parte dei laici», ricorda Cicchitto, «ha finora mantenuto la disponibilità alla ricerca di una soluzione coi cattolici, evidentemente a patto che non ci si infili nel vicolo cieco dell’integralismo». I 53 firmatari del documento «pro life» al Senato stiano attenti a non far saltare il banco. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Riforme e laicità le cambiali di Fini Inserito da: Admin - Marzo 29, 2009, 11:12:40 am 29/3/2009 (7:3) - NASCE IL PDL - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA
Riforme e laicità le cambiali di Fini "Sì al referendum. Sul fine vita questa legge è da Stato etico" UGO MAGRI ROMA Fini conquista sul campo il diritto alla successione. Strappa ovazioni tali, al congresso del Pdl, che nessuno può competere: non Tremonti, per quanto applaudito, e nemmeno Formigoni che viene sommerso dal tripudio quando grida basta alla Lega, e basta anche coi nominati dall’alto, si torni alle preferenze. Re Silvio sembra aver scelto, sarà Gianfranco l’erede designato. Monta sul palco, bacia il presidente della Camera, gli leva in alto il braccio come si fa col pugile vincitore, gli pone infine la corona sul capo: «Questo anche per spazzare via tutte le malizie sul fatto che noi due non ci vogliamo bene e non abbiamo gli stessi ideali...». E’ la scena madre che verrà ricordata. Già prima, mentre Fini si esibiva dal palco, il maxischermo mostrava Berlusconi capo-claque: si spellava le mani, ostentava il segno okay con le dita, sussurrava parole ammirate a Donna Elisabetta Tulliani, la compagna di Gianfranco... Dopo il discorso, inno di Mameli e brindisi in privato per festeggiare. Chiacchiere di un grande accordo strategico stipulato tra i due. Se poi nell’intimo si sente minacciato, il Cavaliere lo maschera bene. Perché Fini riconosce in lui il leader del presente, gli accredita un tratto di «lucida follia». Però lo carica di «onori e oneri», come si conviene a un capo. E gli presenta da subito tre cambiali. Lo sollecita a esprimersi sul referendum elettorale, se Bossi darà di matto pazienza. Gli chiede di mettere il Pd alla prova della grande riforma costituzionale. Lo sfida a sconfessare la legge sul testamento biologico, appena approvata al Senato su input papale. Fini è abile, non solo nell’eloquio. Si propone come voce fuori dal coro, perfino minoritario dentro il partito, appassionato al dibattito delle idee che formula in tono riguardoso: «Se posso dare un suggerimento a Berlusconi...». In realtà sa bene di mietere consensi. Ne vedremo delle belle quando il bio-testamento approderà alla Camera: sono una folla i deputati che la pensano come Fini, questa legge «è più da Stato etico che da Stato laico». La laicità è un’altra cosa, prova a obiettare il presidente del Senato Schifani, certo «non può essere omissione di responsabilità». Ma dai boatos di Montecitorio la legge sembra al binario morto. Idem sul referendum, il cuore della base batte per Fini, non c’è nulla di male nel dire sì all’eliminazione dei partiti intermedi, se vincesse l’astensionismo sarebbe solo per «realpolitik» verso la Lega. Con la quale comunque, insiste il presidente della Camera, Berlusconi dovrà prendersi la briga di «discutere perché questo è il peso della democrazia». Sulle riforme, Fini compie un capolavoro. Vince le resistenze di Berlusconi presentandole come una sfida alla sinistra «per vedere se è riformatrice o nostalgica». Va incontro al premier esaltando la «democrazia che decide, non si limita a discutere», e proprio per rafforzare i poteri del governo gli consiglia di «rilanciare una grande stagione costituente» (D’Alema prontissimo se ne compiace). Commenta con arguzia il ministro Rotondi: «Tecnicamente perfetto, il mio omonimo Gianfranco apre al Pd senza darlo a vedere». Isolato? Nemmeno un po’. Anche nel campo berlusconiano c’è chi sottoscriverebbe, primo tra tutti il capogruppo alla Camera Cicchitto, ponte tra il Cavaliere e il Delfino. Il resto del discorso è declinato al futuro, Fini indica orizzonti per il paese. Un patto tra generazioni che presuppone un’Italia coesa, «con ricadute sulla previdenza anche se non sta a me dirlo...». Un secondo patto di cooperazione tra capitale e lavoro (Cossiga lo accusa di neo-corporativismo). Un terzo patto tra Nord e Sud, che significa «libertà dalle mafie e dal ceto politico dedito al sottopotere». Tutti in piedi ad applaudirlo, piccoli ras locali compresi. E l’immigrazione, «un processo storico da guidare» anche riportando l’educazione civica nelle scuole. Risultato: oggi Berlusconi faticherà a svicolare. Quando tornerà sul palco a mezzogiorno per la replica, qualcosa sulle tre cambiali dovrà pur dire. Con qualche rimpianto. Se avesse indicato tracce di futuro nella relazione introduttiva, forse il congresso avrebbe preso altri binari. Invece Berlusconi ha ceduto a Fini il compito di dettare l’agenda. E solo un grande discorso può restituirgli intero lo scettro. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI LEGA GELATA Inserito da: Admin - Aprile 11, 2009, 04:44:26 pm 10/4/2009 (7:10) - «REFERENDUM, AMMINISTRATIVE E EUROPEE LO STESSO GIORNO? PARLIAMONE».
LEGA GELATA E non si trova una soluzione al pasticcio del decreto sui clandestini UGO MAGRI ROMA Berlusconi si è messo ad armeggiare intorno alla bomba del referendum, e nemmeno a chi gli sta accanto è ben chiaro se il premier lo fa per disinnescarla oppure per tirarla in testa a Bossi. Qualcuno dei suoi avanza una terza ipotesi: vuole mostrarsi attento e carino nei confronti di Franceschini perché c’è un clima politico più solidale, creato purtroppo dal terremoto, e il Cavaliere come sempre prova a sfruttarlo, da cosa può nascere cosa: le riforme «da fare con l’accordo di tutti», quei maggiori poteri al premier «come nel resto d’Europa» che non si stanca di chiedere, magari il presidenzialismo... Una fiera dietrologica scatenata dalla cronista dell’«Unità» che gli chiede: perché non tenere il referendum nell’election day, come vuole il Pd? L’Arcinemico è stranamente flautato: «Ne discuteremo nel prossimo Consiglio dei ministri», risponde, «perché le motivazioni meritano di essere approfondite, vale la pena di compiere un’ulteriore riflessione». Non è un sì, ma nemmeno un no. Forse. Dipende. I referendari con Guzzetta esultano, «parole sagge». La Lega ci resta di sale. Spiazzata. Maroni telefona a Palazzo Chigi per avere lumi. Gli rispondono che vai a immaginare cosa passa nella mente del Capo. Lui sa quanto rischia. Bossi ha messo in chiaro che il referendum è una disgrazia, ne verrebbe fuori un sistema elettorale dove la Lega non conta nulla. E l’unico modo per non far scattare il quorum, suggerisce il Senatùr, è mandare la gente al mare: dunque mai tenere il referendum nello stesso giorno delle Europee, il 6-7 giugno. Meglio una settimana dopo nel disinteresse collettivo, e se si buttano 400 milioni pazienza. Pareva un discorso assodato, alla Camera era stato perfino respinto l’emendamento Pd favorevole all’«election day». Ora invece, colpo di scena, Berlusconi tende la mano verso il frutto proibito, quel referendum che gli permetterebbe di arrivare al 51 per cento da solo. Franceschini ne prende atto, prudente: «Se il governo ci ha ripensato, va bene. Ma vorremmo capire se si tratta solo di parole o seguiranno fatti concreti». Vorrebbe capirlo pure la Lega. Dietro la facciata, i rapporti sono tesi. Ieri Silvio ha speso ore con Umberto (più Maroni, Tremonti, Calderoli, La Russa e Brancher) sul rompicapo del decreto sicurezza. Brucia la bocciatura dell’articolo 5, che trattiene fino a sei mesi i clandestini nei Cie (i campi di raccolta): un migliaio di immigrati torneranno liberi il 26 aprile. Accordo generale per riparare il danno dei «franchi tiratori». Già, ma come? Il decreto è al Senato, il 21 va in aula. Per correggerlo infilandoci i Cie servirebbe un voto di fiducia, in modo da stroncare l’ostruzionismo. Poi il testo dovrebbe tornare alla Camera, però sabato 25 il decreto decade... Non si fa in tempo. Meglio affidarsi a un disegno di legge, che per evitare nuove imboscate di «franchi tiratori» riduca la permanenza dei Cie da 6 a 4 mesi. Evitando si capisce che i clandestini si dileguino nel frattempo. Con un apposito decreto-legge. Anzi no, nessun nuovo decreto, figurarsi se Napolitano lo firma. Allora «rimandiamoli di corsa nei paesi d’origine». Sì, ma molti sono tunisini, e il loro governo se ne ripiglia al massimo una cinquantina a settimana. «Ci penso io», promette Berlusconi, «parlo col Presidente Ben Alì, che è mio amico». Chissà che non accetti un rimpatrio collettivo... Il Cavaliere parla di «chiarimento con piena soddisfazione». Bossi si finge d’accordo, «con lui la soluzione si trova sempre». Ma oggi sulla «Padania» Maroni fa un’intervista per dire che, comunque vada, la frittata è fatta, non creda Berlusconi di averci messo la toppa. Il premier, a sua volta, pensa al decreto sicurezza senza ronde e senza Cie, passato l’altra sera alla Camera coi voti di Pdl, Pd e Udc: quante rogne in meno, se andasse sempre così. DA LASTAMPA.IT Titolo: UGO MAGRI Berlusconi prepara la battaglia Inserito da: Admin - Maggio 05, 2009, 11:29:42 pm 5/5/2009 (7:23) -
IL DIVORZIO - IL PREMIER TRA FAMIGLIA E POLITICA Berlusconi prepara la battaglia Consulto ad Arcore con la figlia Marina e il consigliere più fidato Bruno Ermolli UGO MAGRI ROMA Nel giro stretto del Cavaliere c’è un po’ di panico. Il terrore è che la magia sia infranta. Mancano quei sondaggi di cui Berlusconi si fida, però i primi riscontri non sono granché. Diciamo, pessimi. La gente ha puntato gli occhi sul divorzio da Veronica, la telenovela appassiona il grande pubblico, e figurarsi se l’accusa da vergogna di trescare con una minorenne poteva passare sotto silenzio. Con l’aria di chi vuole tenersi fuori, il segretario Pd Franceschini nella realtà ci inzuppa il biscotto. I dipietristi sfogliano il codice penale, le voci della sinistra cattolica (dopo la Bindi, Castagnetti) traboccano sdegno. L’opposizione fa il suo mestiere, il circo mediatico pure. Sull’Italia sta calando un esercito di corrispondenti e inviati. Non per raccontare il terremoto, non per acclamare le storiche acquisizioni di Fiat, ma per divertire il mondo con l’ultima prodezza di Silvio. La Cnn ha addirittura imbastito un talk-show. Lui, Berlusconi, ne è molto angosciato. Il G8 de L’Aquila è alle porte, altro che ruolo autorevole da giocare con i grandi del pianeta. E poi le Europee tra un mese: contava di battere il proprio record delle preferenze, nel 1999 erano state 3 milioni, stavolta voleva arrivare a 4 per spianare la via alle riforme più ardite, Costituzione compresa... Il piano è in forse per colpa di Veronica, «questa storia può farmi perdere voti» è la franca ammissione del premier nei colloqui privati, insieme al ritornello «non ho fatto nulla di cui rimproverarmi» e all’ira sempre furibonda nei confronti di quanti (giornalisti in prima fila) gli hanno stranito la moglie, l’hanno «sobillata» contro di lui. Gran consiglio ad Arcore, dove una troupe della tivù pubblica olandese staziona davanti ai cancelli. E’ stata vista entrare Marina, figlia di primo letto, quindi il «Ministro della real casa» (come viene chiamato) Ermolli. Prime sistemazioni degli affari di famiglia dopo l’annuncio di divorzio. E consulto con il legale di fiducia Ghedini sulla strategia difensiva: saranno le sue sorelle Nicoletta e Ippolita (entrambe matrimonialiste) a rappresentare il premier nella causa di divorzio. Il «nemico» si chiama Maria Cristina Morelli, è avvocato della signora Lario, secondo l’entourage berlusconiano si deve a lei se Veronica ha alzato improvvisamente il tiro sulla «diciottenne», di certo è una donna che conosce la prima linea, ha sostenuto Beppino Englaro nella prima fase della battaglia per Eluana. «Ovvio che non anticipo nulla», chiude la porta Ghedini a chi volesse curiosare. La vera preoccupazione del Cavaliere, a quanto si dice, non è spartire l'immenso patrimonio tra i 5 figli. E’ il fall-out del divorzio sulla politica, sono i contraccolpi per l’immagine di uno che ama metterci sempre e comunque la faccia. Andare in tivù? Contrattaccare in qualche programma amico? «Non commettere quest’errore, getteresti altra benzina sul fuoco», l’hanno dissuaso Bonaiuti e Letta. In attesa degli eventi vengono mandati in avanscoperta fedelissimi come Bondi (stasera a Ballarò) e Quagliariello (su La 7), poi si vedrà. Il gossip è irrefrenabile, una velina tira l’altra come successe durante «Vallettopoli», chissà se pure stavolta gli argini reggeranno. Compresi quelli tra le due rive del Tevere. Nei Sacri Palazzi vaticani vige l’ordine del cardinale Bertone, si tenga la bocca rigorosamente chiusa. Punto interrogativo viceversa sulla Cei, non è detto che i vescovi saranno altrettanto diplomatici perché di divorziati in politica ce n’è parecchi, lo stesso papà Casini che campeggia nei manifesti non fa eccezione, ma nel caso di Silvio è il secondo matrimonio che va all’aria, per giunta con grave scandalo. Non può sperare nel voto di parroci e suorine. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI. Adesso Berlusconi teme il complotto Inserito da: Admin - Maggio 27, 2009, 10:06:35 am 27/5/2009 (7:13) - GOVERNO - ATTACCO AL PREMIER
Adesso Berlusconi teme il complotto L'incubo: gruppi di contestatori che gli urlano contro in tv UGO MAGRI ROMA Il «trappolone» che il Cavaliere più teme, di qui alle elezioni, non consiste nelle rivelazioni osé dei «giornali nemici», come li battezza lui, gruppo «Repubblica» in testa. No, il vero incubo di Berlusconi, quello che in queste ore ne attizza gli sfoghi semi-pubblici, ha l’aspetto a lui molto familiare di una telecamera. Che l’attende al varco dopo il comizio, la manifestazione pubblica, la passeggiata tra la gente. E riprende un gruppo di contestatori, magari semplici figuranti, che spuntano fuori come dal nulla, peraltro inquadrati in modo da sembrare folle oceaniche. I quali gli gridano «pedofilo, vattene, vergogna!». E la contestazione organizzata fa subito il giro del mondo, creando l’evento simbolico della dissacrazione, come fu per Bettino Craxi il famoso lancio di monetine in via del Corso, prologo della sua fine politica. Questo raccontano dalle parti di Berlusconi. Un segnale d’allarme l’ha captato lui personalmente domenica, dopo la sconfitta del Milan contro la Roma. Le cronache riferiscono di una lunga sosta negli spogliatoi per catechizzare la squadra. Però circola un’altra cruda versione. Secondo cui in realtà Silvio avrebbe lungamente atteso nel garage di San Siro che i tifosi defluissero, per timore che qualcuno degli scalmanati, i quali avevano appena rovinato la festa d’addio a un «mostro sacro» come Maldini, gli urlasse «papi», oppure «Noemi» (in tribuna pare sia realmente successo) davanti alla famosa telecamera. Non certo targata Mediaset, si può giurare. E magari neppure di «mamma Rai». Però ci sono altre reti. Sky, ad esempio. Nell’entourage di Berlusconi si punta l’indice contro Murdoch. Qualcuno della guardia pretoria arriva ad additare il magnate australiano, l’ex alleato del Cavaliere diventato rivale acerrimo, addirittura come possibile artefice del «trappolone» mondiale, appunto. Siamo al fanta-complotto. D’altra parte, ai radar di via del Plebiscito non poteva sfuggire l’approccio parecchio sbarazzino con cui il flemmatico «Times» (proprietà di Murdoch) ha trattato Berlusconi nella vicenda Noemi, fino al punto di incorrere in un errore nell’intervista alla mamma della ragazza e doverle chiedere pubblicamente scusa. La sindrome da assedio dilaga incontrollata. Il ministro Rotondi è certissimo che la congiura esiste eccome («Noemi come Wilma Montesi e come le feste di Leone al Quirinale»). Racconta il seguente episodio: quattro giorni esatti prima della visita del premier a Casoria per la celebre festa di compleanno, «si stava predisponendo un altro agguato mediatico, che per fortuna del presidente Berlusconi non ha avuto esito. E qui mi fermo», soggiunge sibillino Rotondi... Il premier pare ne sia ben consapevole. Confida a «Libero» che queste cose «me le dicono in troppi» per non essere vere, «e mi preannunciano che non è ancora finita, c’è un piano preciso». Mostra di crederci lui stesso. In collegamento telefonico con i suoi fan milanesi (perché ormai di persona non si muove quasi più) protesta veemente, «c’è una sinistra malata di odio politico, ogni giorno mi stanno gettando del fango addosso, hanno messo in campo una ventina di giornalisti per inventare storie false e disarcionarmi...». Tutto questo mentre a Montecitorio il gossip contagia rispettabilissimi esponenti del Pdl. Dov’è stata raccolta la seguente voce (smentita dalle fonti ufficiali): Noemi sarebbe in realtà la nipote segreta del Cavaliere... Figurarsi se la Chiesa, nella sua millenaria esperienza, si lascia trascinare in un gorgo simile. Interpellato per conto della Cei su Berlusconi e le giovinette, monsignor Crociata svicola con sapienza: «Di questioni morali ce ne sono tante, occorre tenerle vive tutte senza dover esprimere giudizi a ogni piè sospinto...». Un modo intricato per dire semplicemente: «No comment». da repubblica.it Titolo: UGO MAGRI ITALIA-USA: VERTICE ALLA CASA BIANCA Inserito da: Admin - Giugno 16, 2009, 04:18:19 pm 15/6/2009 (22:54) - ITALIA-USA: VERTICE ALLA CASA BIANCA
Berlusconi apre su Guantanamo L'Italia accoglierà tre ex-detenuti Disponibilità del premier, che punta tutto sulla riuscita del G8 in Abruzzo UGO MAGRI INVIATO A WASHINGTON Mettere in sicurezza il G8. Impedire che diventi un fiasco di proporzioni mondiali. Evitare soprattutto che, oltre al grande dispiacere per un’eventuale figuraccia, l’appuntamento de L’Aquila provochi le «scosse» telluriche sul governo cui già si sta preparando D’Alema... Alle 22 ora italiana, il Cavaliere è entrato alla Casa Bianca con questi obiettivi ben chiari in mente: dal Presidente americano dipende un passaggio cruciale per la sua sorte politica futura. Preoccupazioni dettate dall’esperienza. La prima volta che dovette presiedere un G8, nel ‘94 a Napoli, Berlusconi fu centrato dal famoso avviso di garanzia, con successive dimissioni. Nel 2003, a Genova, il summit fu funestato dai Black blocs, e ci scappò pure il morto. Stavolta Silvio non può permettersi di correre rischi. Tutto dev’essere pianificato in anticipo senza improvvisazioni, a cominciare dall’agenda. Mentre il giornale va in stampa, il colloquio con Obama è ancora in corso. Seguirà conferenza stampa e visita al Congresso per una stretta di mano con la speaker, Nancy Pelosi. Niente corona di fiori al cimitero di Arlington, nessuna visita alla National Gallery: il premier è sbarcato l’altra notte nella capitale Usa con il collo dolorante, colpa dell’aereo che saltava come un cavallo per via delle turbolenze, e colpa anche dell’aria condizionata. E’ andato subito a letto senza cena, ieri mattina l’ha trascorsa nella suite dell’Hotel St Regis, in déshabillé e con il capo sul cuscino per via del torcicollo. A parte una parentesi per studiare le carte di un’azione legale nei confronti dei giornali ostili (i collaboratori la definiscono «sempre più probabile perché è stufo delle falsità su Noemi e dintorni»), Berlusconi s’è completamente immerso nei dossier del colloquio. Con l’applicazione dello scolaretto che sa di non poter fallire l’esame. Obama è un pragmatico avvocato di Chicago? Berlusconi ha messo a fuoco il personaggio e si adegua. Riveste per l’occasione i panni concreti di imprenditore della Brianza. «Siamo entrambi uomini del fare», sono i commenti del premier alla vigilia, «Obama finora non ha sbagliato una mossa, proprio come il mio governo». Lo slogan è «sono un amico dell’America, qualche che sia l’amministrazione in carica». Dunque, rivoluzione di stile rispetto ai tempi di Bush. Basta «pacche sulle spalle» che con Obama, tra l’altro, sono poco producenti. Niente battute di spirito che nel mondo anglosassone verrebbero fraintese. Bandite le barzellette e vietatissimi gli ammiccamenti sessisti. Anziché catturare la simpatia di Barak, Silvio prova a rendersi utile. Dunque il G8. Dove si parlerà di nuove regole per l’economia mondiale. Berlusconi vuole capire fino a che punto si potrà spingere, che cosa vorrà da lui l’America. Tremonti, reduce dal G8 economico a Lecce, ha fatto sapere al premier che i passi avanti nel negoziato sono notevoli, però non s’illuda di poter mettere nero su bianco un pacchetto di controlli ben definiti: al massimo delle linee guida perché gli Stati Uniti non possono passare di colpo dal liberismo più sfrenato a un sistema di «lacci e lacciuoli». Da Obama, il Cavaliere si attende indicazioni più precise. Oltre a qualche suggerimento pratico sui lavori: gradisce incontri bilaterali? Gli piace un programma ben scadenzato? Bonaiuti, il portavoce, mette in chiaro: Berlusconi ha interesse «a un G8 molto efficiente e produttivo di risultati». Dei quali, è sottinteso, potersi vantare in patria, Su tutto il resto, dalle nuove truppe per l’Afghanistan al capitolo Guantanamo, porte spalancate alle richieste Usa, come nelle tradizioni. Obama chiederà un impegno straordinario delle nostre truppe anche dopo le elezioni a Kabul? Se ne può discutere. Vuole che l’Italia si prenda carico di alcuni prigionieri islamici che verranno liberati tra breve? Siamo pronti, prontissimi. E se Obama gli dovesse rimproverare «aperture eccessive» dell’Italia all’Iran, Berlusconi ha già la risposta pronta: «Io, caro Obama, ho paragonato Ahmadinejad a un novello Hitler». Più di così... da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi incassa l'amicizia di Obama Inserito da: Admin - Giugno 16, 2009, 11:27:15 pm 16/6/2009 (6:20) - LA VISITA IN USA
Berlusconi incassa l'amicizia di Obama Accoglienza cordiale per il Premier italiano teso più che mai al cospetto del presidente Usa UGO MAGRI DALL'INVIATO A WASHINGTON Berlusconi torna in patria parecchio sollevato. Una freddezza di Obama poteva essere devastante, la conferma dell'isolamento internazionale seguito allo scandalo Noemi e alle foto sul "Pais". Invece l'uomo della Casa Bianca è stato cordiale oltre le aspettative. Ha tenuto il Cavaliere a colloquio più del previsto, gli ha dato importanza ascoltando compunto (o fingendo con quella sua aria da Sfinge) i consigli del premier su come trattare coi russi. Rotte le consegne del cerimoniale, i due hanno conversato per quasi due ore, seguite da una lunga conferenza stampa tenuta nella Sala Ovale. Le frasi che contano, alla fine, sono soprattutto gli apprezzamenti pubblici di Obama: "Tra noi è stato un ottimo inizio", e soprattutto quel "mi piace personalmente Berlusconi" che ha sciolto il sorriso sul volto del Cavaliere, mai così teso e talmente truccato di cerone da apparire perfino più "abbronzato" del presidente Usa. L'incidente che si temeva, insomma, non c'è stato affatto. Anche perché Silvio si è presentato alla Casa Bianca con atteggiamento umile e senza la spocchia di chi calca da tre lustri la scena mondiale. Quasi dimesso e un po' rigido, complice anche il torcicollo che lo perseguita. Colmo della sfortuna, Obama era seduto nel colloquio alla sua sinistra, proprio dalla parte verso cui Berlusconi fatica a girarsi. Niente barzellette, evitate pacche sulle spalle e battute grossier, l'incontro ha viaggiato su binari sicuri. Il premier si è mostrato concreto e fattivo, proprio come desidera il pragmatico Obama. Ha offerto all'America tutta la collaborazione di cui è capace. Volete che accogliamo dei detenuti di Guantanamo? Eccoci qui, siamo a disposizione. Per gli Stati Uniti è la prova del nove che siamo dei veri amici. Altri 500 soldati per l'Afghanistan? Non ci tireremo indietro. E poi, caro presidente Obama, come vogliamo organizzare i tre giorni del prossimo G8 a L'Aquila? Berlusconi ha sottoposto a Obama l'agenda dei lavori, ricevendone disco verde. Mettere in sicurezza il summit è obiettivo vitale per il premier, già reduce da brutte esperienze a Napoli nel '94 (avviso di garanzia e conseguenti dimissioni), quindi a Genova nel 2001 (scontri di piazza finiti in tragedia). Non c'è due senza tre dice il proverbio, il Cavaliere fa gli scongiuri specie dopo che D'Alema ha previsto nuove "scosse" per il governo. Con l'aiuto di Obama, Berlusconi spera di uscirne vivo. L'incontro di stanotte lo incoraggia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E ora Silvio punta sul "governo-day" Inserito da: Admin - Giugno 24, 2009, 04:27:00 pm 24/6/2009 (7:17) - ELEZIONI 2009
E ora Silvio punta sul "governo-day" Il premier sfotte l'opposizione: Voglio perdere sempre così UGO MAGRI ROMA Stavolta Berlusconi l’ha salvato il partito. Capace di vincere «nonostante» il leader. Nel momento più delicato. Per giunta alle elezioni amministrative, dove in passato il centrodestra mai aveva affondato le sue radici. Denis Verdini, che del Pdl è l’anima organizzativa, ha messo sotto il naso del Capo due cartine dello Stivale, una quasi tutta rossa (la mappa delle amministrazioni com’erano prima del voto) e l’altra quasi tutta azzurra (dopo la cura). Il Cavaliere ne è rimasto entusiasta. E quando ieri mattina ha letto sui giornali di Franceschini, che considera queste elezioni un successo del Pd, si è fatto preparare da via dell’Umiltà una dichiarazione puntigliosa e ironica. Dove segnala che il Popolo delle libertà è passato da 9 a 34 Province (più 25), mentre la sinistra è crollata da 50 a 28 (meno 22). Il Pdl rappresenta oggi 21 milioni di cittadini anziché 5, il Pd quasi 13 anziché 27. E dunque, scherza giulivo il premier, «se per l’opposizione questa è una vittoria, noi vogliamo sempre perdere così». La settimana prossima, riunione dell’Ufficio di presidenza, forse addirittura della Direzione Pdl per celebrare quella che il portavoce Bonaiuti saluta come «colossale vittoria». Ma la vita continua, i problemi si affastellano, tra 15 giorni arriva il circo del G8, la testa del premier sarà concentrata sull’evento. «Con il voto ho risolto il fronte interno, d’ora in avanti mi occuperò di quello internazionale», è il suo programma. Lunedì Berlusconi presenterà il vertice mondiale su una nave da crociera, «Msc Fantasia», ormeggiata nel porto di Napoli. Quindi sarà tutto un susseguirsi di riunioni preparatorie e sopralluoghi a L’Aquila. Prima di smarrirne le tracce, i capigruppo del Pdl si sono precipitati da lui. Grandi rallegramenti per il voto (c’erano Cicchitto, Gasparri, Bocchino, Quagliariello), e poi «Silvio, parliamo un attimo delle cose da fare». Rassegna dell’attività in Parlamento, dalla riforma universitaria a quella della giustizia, senza trascurare il capitolo intercettazioni (probabile che in Senato, per blindare il testo, venga posta la fiducia). Infine uno sguardo avanti. Berlusconi pensa che l’arma strategica delle prossime settimane sarà il piano casa. Quando matura una convinzione, impossibile fargli cambiare idea. Le Regioni, non solo quelle «rosse», oppongono resistenza? Non è un ostacolo, «l’accordo finiremo per trovarlo». Casa, e anche lavoro. Berlusconi condivide il suggerimento dei capigruppo: tutelare di più e meglio sia il popolo delle partite Iva, sia quello dei precari. Sono aree di sofferenza sociale, servono misure concrete. Il Cavaliere ne parlerà con Tremonti, il quale recalcitra alla sola idea di mettere mano al portafogli. «Però qualcosa dobbiamo fare», insistono i capigruppo capitanati nella circostanza da Cicchitto, e Berlusconi sottoscrive, perché altrimenti in autunno le Camere diventeranno un inferno, prevenire è meglio che curare. Venerdì, in Consiglio dei ministri, verrà decisa la data del seminario governativo, tutti insieme a Santa Margherita Ligure per discutere i progetti del 2010. Sul tavolo del ministro per il Programma, Rotondi, affluiscono (molto lentamente) le paginette di ciascun dicastero. Il Cavaliere vuole farne terreno di incontro con la gente. Per settembre già immagina un «Governo Day», venti ministri sguinzagliati contemporaneamente in altrettante regioni che presiedono incontri pubblici. E Berlusconi che in teleconferenza arringa le folle. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi sepolto Bush, tante lodi al presidente Usa. Inserito da: Admin - Luglio 10, 2009, 06:37:28 pm 10/7/2009 (7:25) - IL VERTICE VISTO DALL'ITALIA
Berlusconi diventa ambientalista Il premier Berlusconi alla conferenza stampa con Obama Sepolto Bush, tante lodi al presidente Usa. Che ricambia: «Una grande conduzione» UGO MAGRI L’AQUILA Obama non sa di spezzare il cuore all’Italia progressista. Però Berlusconi gli fa una corte così assidua, talmente appassionata. E poi nel G8 si mostra alleato non soltanto fedele, ma pure umile, deferente, rispettoso. Addirittura pronto a ripudiare la vecchia amicizia con Bush, pur di sedurre il nuovo padrone... Insomma, il presidente degli Stati Uniti dà spago al Cavaliere. Gli fa da scudo nel momento più periglioso. E Silvio ne approfitta. Alla grande. Ieri, nuovo passaggio televisivo insieme, con la scusa di presentare l’Istituto globale per la cattura e il sequestro di carbonio, iniziativa cui Obama tiene in modo speciale. Due palchetti piazzati fianco a fianco: uno per il presidente Usa, l’altro per Berlusconi. Che però vi resta giusto il tempo di presentare l’iniziativa e di cedere il microfono al primo ministro australiano. Abbastanza comunque perché l’Italia intera riveda la strana coppia, 24 ore dopo le immagini toccanti della visita di Obama alle macerie aquilane. Con tale sponsor, ignaro o consapevole, non stupisce che Berlusconi ritrovi il coraggio. Al punto da affrontare quei giornalisti che, chiacchierando con Vespa, definisce «una categoria di personaggi...» (sempre meglio dei politici, lo frena il conduttore di «Porta a porta», e il premier conviene: «Esistono farabutti in entrambe le categorie»). Berlusconi mantiene la calma quando viene stuzzicato sulle critiche dei media: «Ci sono due tipi di realtà», argomenta pedagogico, «quella della gente normale e quella dei giornali, che tante volte è pura fantasia. Questo G8 ne è la dimostrazione lampante». Non perde le staffe nemmeno quando l’inviato di «Repubblica» gli chiede se davvero pensa che l’immagine dell’Italia sia stata rovinata dal suo gruppo editoriale. «Non avete raggiunto il risultato che volevate», taglia corto Berlusconi. In altri momenti, sarebbe stato un circo. Giura il suo stratega della comunicazione che è tutto calcolato. Berlusconi ha scelto «di rispondere con reazioni misurate a un attacco senza misura», precisa Bonaiuti. Confermando questo feeling «che cresce» con l’amico Barack davanti e dietro le quinte. Quanto si coglie è già sufficiente. Pur di far colpo, il Cavaliere si traveste da verde, mostra un’insospettata passione per l’ambiente. Bush? Non aveva capito nulla. Sulla crisi bancaria, sui rapporti Est-Ovest, sullo scudo spaziale e neppure, precisa ora Silvio, sui cambiamenti climatici. Seppellisce George W. con tale cinismo, da far pensare che negli ultimi tempi la loro amicizia fosse di facciata: «Mentre prima l’amministrazione americana era scettica sull’utilità delle iniziative contro il riscaldamento globale, e ne dubitava anche sul piano scientifico, il presidente Obama ha preso la testa di questo movimento». Lui sì che guarda al futuro del pianeta. Silvio ambientalista e, sulla scia di Barack, pure pacifista. Ne esalta la volontà «di portare il mondo verso la negazione delle armi nucleare», ne indossa i panni di portavoce anunciando che nel corso del G8 il leader Usa «ha proposto di mettere in atto l’anno prossimo un vertice negli Stati Uniti tra tutti i paesi che dispongono di armamenti nucleari», in vista del loro più stretto controllo. Obama lo ricompensa lodando il premier per «la straordinaria ospitalità» e la grande conduzione («great coaching») del vertice. Non è l’unico, in verità. Anche i cinesi si congratulano col Cavaliere, e pure il «faraone» d’Egitto Mubarak, protagonista di un piccolo «giallo» della diplomazia. Alla cena offerta da Napolitano, doveva sedere alla sinistra del Cavaliere. Invece misteriosamente è slittato di qualche posto, perché di fianco a Berlusconi si è messo Gheddafi, quale presidente dell’Unione africana, reduce da una passeggiata a piedi lungo l’autostrada Roma-L’Aquila. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Io condizionare Feltri? Mi offende solo l’idea Inserito da: Admin - Agosto 30, 2009, 10:35:51 pm 30/8/2009 (7:19) - RETROSCENA
Per Berlusconi caso chiuso, i suoi cercano di ricucire «Io condizionare Feltri? Mi offende solo l’idea» UGO MAGRI ROMA Con chiunque si sfoghi in queste ore, Berlusconi non deflette dalla sua verità: «Certo che mi dispiace l’assalto del Giornale al direttore di Avvenire. Ma io, posso giurarlo, non ne sapevo niente di niente. E comunque sono un liberale autentico, mai che mi sia intromesso nelle scelte editoriali dei direttori Mediaset per dare la linea o suggerire servizi, figurarsi se l’avrei fatto con Feltri su una cosa del genere. Mi offende la sola idea che qualcuno possa pensarlo...». Concetti ribaditi testardamente nei colloqui e nelle telefonate agli amici, fino al momento di prendere l’aereo per Milano e di tuffarsi nel clima calcistico del derby. Oggi Berlusconi volerà in Libia, la sua attenzione sarà tutta rivolta a Gheddafi. Da domani si volta pagina, faranno irruzione i temi della ripresa d’autunno. «Vedrete», scommette Calderoli, «che non appena riapriranno le fabbriche e i cantieri, tutte le polemiche create dai giornali finiranno in secondo piano». Se questo è l’umore del premier («incazzato nero», secondo l’amico Bossi), inutile attendersi mosse riparatrici, gesti pubblici di ricucitura con la Chiesa. Nemmeno una chiamata cordiale a Boffo per esprimergli di persona la solidarietà (slanci di cui il Cavaliere sul piano umano sarebbe capace). Per lui il caso è chiuso dal comunicato di venerdì, dove si dissociava dall’attacco: e già gli pare d’aver fatto tanto, forse troppo, tanto che Letta e gli altri «saggi» del partito hanno sudato le classiche sette camicie per fargli metter giù quelle poche, stentatissime righe. Berlusconi oltre non va. Chi lo circonda ne prende atto, si augura tempi migliori, invoca polemiche più civili (Cicchitto: «Repubblica non va imitata sulla sponda opposta»), e rimanda la pace con il mondo cattolico alle prossime settimane cruciali. Le occasioni per far sorridere i vescovi sono una lista lunga così. Risulta che già alla fine di luglio Berlusconi e Letta ne avessero ragionato, in una cena riservatissima, con l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Ruini, ricevendone indicazioni molto puntuali sul piano operativo. In testa c’è la legge sul biotestamento, che attende il disco verde della Camera. Fini è contrario, e le sue riserve dal timbro schiettamente laico stavano facendo breccia in certi settori della maggioranza. Ma ora non c’è più spazio per i «distinguo». Basti vedere con che piglio Schifani, solitamente soft, consiglia al presidente della Camera di cucirsi la bocca, come del resto aveva fatto lui durante l’iter a Palazzo Madama. Addirittura circola l’ipotesi, alla quale Berlusconi non sarebbe insensibile, di una riunione al vertice del Pdl da convocarsi entro un paio di settimane per fissare la linea sul testamento biologico, e mettere in minoranza l’ex leader di An. Lupi, deputato cattolico di cui il Cavaliere molto si fida, è sicuro: «Alla fine la Chiesa ci giudicherà dalle cose che faremo». Gasparri, presidente dei senatori Pdl, spinge lo sguardo lontano, i vescovi «si renderanno conto che la sinistra, dal loro punto di vista, sarebbe molto peggio. Per cui prevarrà alla fine il buon senso e guarderanno ai fatti sostanziali, ad esempio il nodo delle scuole private». Esempio tutt’altro che casuale. Venerdì mattina, cioè nelle stesse ore in cui Roma fibrillava sul «caso Boffo», al Meeting ciellino di Rimini si parlava di finanziamenti. Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, lasciava intendere che stavolta Tremonti non farà il cattivo, e nonostante la congiuntura negativa si spera non taglierà i fondi alle scuole cattoliche. La Lega, sussurra Calderoli, non avrebbe nulla in contrario. Lui e Bossi andranno insieme in Vaticano per mettere una pietra sopra le recenti polemiche. E per dire ai vescovi: se cercate interlocutori, meglio noi di Berlusconi. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco Donald Tusk Inserito da: Admin - Settembre 02, 2009, 04:17:55 pm 2/9/2009 (7:25) - IL CASO
"Mai pagato una donna o frequentato minorenni" L'incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco Donald Tusk Attacco a Repubblica: «Ha un editore svizzero e un direttore evasore fiscale» UGO MAGRI INVIATO A DANZICA Non fosse stato per quella battuta del primo ministro polacco, Berlusconi si sarebbe limitato a minacciare l’Europa, a chiedere la testa di tutti i commissari Ue che lo criticano, a pretendere un passo indietro (in parte ottenuto) da Bruxelles. E avrebbe evitato di tornare su Noemi, Patrizia, i «festini», per poi scagliarsi sui giornali nemici, i loro direttori, i loro editori... Ma era destino. Così durante la commemorazione dell’evento più catastrofico nella storia umana, l’inizio della Seconda guerra mondiale 70 anni fa, giusto il tempo di riprendersi dalla commozione ed ecco il padrone di casa, Donald Tusk, ammiccare al Cavaliere: è tutto vero quanto scrivono i giornali sulle prodezze da «latin lover»? A Silvio cadono le braccia. Perfino qui, a Danzica, dov’è giunto pellegrino insieme con altri trenta capi di Stato e di governo, dove ha vergato sul registro dei partecipanti una testimonianza di orrore per le guerre e le dittature, ecco come lo vedono e vivono la sua presenza: tipo «Papi» in trasferta, anziché come lo statista che lui ritiene di essere. Berlusconi risponde a Tusk con tono lieve, «queste cose non sono mai successe», le famose feste tutte invenzioni, «al massimo posso aver detto qualche barzelletta piccante...». Però poi, quando esce a fare due compere tra i negozietti del centro storico e si trova davanti i cronisti, «eccoli qua» ghigna col tono dell’«ora vi sistemo io». Chissà perché, gli torna in mente Balzac che della modernità diceva «rifarei tutto tranne i giornali». E dalla memoria gli spunta un altro ricordo, anno 1939, quando le truppe germaniche invasero la Polonia «con il pretesto che aveva espulso la minoranza tedesca»: nella circostanza, segnala Berlusconi, «il Corriere della Sera applaudì Hitler titolando "Fantastica operazione umanitaria", bravi!». Vuoi vedere che ce l’ha coi giornali? Salta fuori Tusk (qualcuno ha captato la conversazione). Il Cavaliere non chiede di meglio. Parla per dieci minuti di fila, praticamente un monologo. «Purtroppo mi trovo costretto, quando incontro qualche collega straniero, a mettere i puntini sulle "i". Sì, perché fanno dei complimenti circa la mia vivacità, sul fatto che dimostro venti anni di meno, su come riesco ad avere così tanto fascino... Questo per la cattiva pubblicità all’estero dei giornali che conoscete e degli amici da loro imbeccati». «Dunque gli spiego che io non ho mai frequentato nessuna minorenne, tantomeno la signorina Letizia. Che non ho mai dovuto dare soldi a una meretrice. Che non solo non ho organizzato, ma mai ho partecipato a quelli che chiamano festini. Le poche cene fatte quest’anno, perché prima non esistevano, sono state alla presenza di 15 uomini della scorta, più una decina di uomini di servizio che cambiano continuamente, più altrettanti orchestrali... Quindi soltanto delle menti malate possono immaginare cose del genere». «Perché non ho risposto alle 10 domande di Repubblica? L’avrei fatto se queste domande me le avesse rivolte, in modo non insolente o diffamante, un giornale che non fosse un superpartito politico di un editore svizzero con un direttore dichiaratamente evasore fiscale. Invece a questa gente non rispondo. Soprattutto alla domanda se sono malato. Malato io? Sono Superman, anzi Superman a me mi fa ridere...». Fa in tempo a raccomandarsi caldamente che le sue frasi vengano riferite «col sorriso e con senso dell’ironia», poi la scorta lo sospinge sull’auto che vola verso l’aeroporto. No comment sul «caso Boffo» («mai dato giudizi bacchettoni in vita mia, evito anche ora»). La mattina, arrivando a Danzica, smentita a qualunque frizione col Vaticano («il governo non ha alcuna responsabilità per quello che è successo e nelle diatribe giornalistiche che si sono verificate»), garanzia che con la Santa Sede «i dialoghi sono quotidiani». E annuncio di una prossima riunione coi capigruppo Pdl alla Camera per «stabilire come ci comporteremo» sul testamento biologico. La «libertà di coscienza» è garantita, ma il dissenziente Fini verrà isolato. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Napolitano frena il premier "Serve moderazione" Inserito da: Admin - Settembre 05, 2009, 05:15:10 pm 5/9/2009 (7:16) - RETROSCENA
Napolitano frena il premier "Serve moderazione" Il Capo dello Stato: servono fondi certi Preoccupazione dal Colle per i tempi della ripresa UGO MAGRI ROMA Non bastava il torcicollo che perseguita Berlusconi da mesi, a fargli vedere le stelle ci si mette pure l’emicrania. Tutti gli analgesici fanno cilecca, e d’altra parte contro la discopatia servirebbe ben altro. I contraccolpi della sofferenza fisica si avvertono sull’umore. Quello del Cavaliere ora tende al pessimo. Qualunque interlocutore abbia di fronte, Berlusconi è un torrente in piena. Impone la sua versione dei fatti. Pretende complicità sul momento che sta vivendo. E guai a contraddirlo: il direttore di un periodico Mediaset, che aveva espresso cauta solidarietà di casta con Boffo, s’è sentito riprendere duramente (perlomeno così racconta) dal premier in persona. Indossiamo dunque i panni di Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio riceve Berlusconi e il ministro Bondi per i 150 anni dell’Unità d’Italia, tema che al Presidente preme assai. E nell’ora di conversazione non c’è verso: ogni due per tre Silvio torna sulla sua vicenda. Un minimo spunto e tàc, eccolo ripartire alla carica sostenendo che «io non c’entro nulla con il Giornale, non sapevo niente dell’attacco di Feltri al direttore dell’Avvenire, l’aggressione della stampa che mi presenta come il mandante è una vergogna assoluta...». Quasi un ritornello esasperato. Manca solo il «povera Italia!» esclamato poco prima davanti alle telecamere. In compenso Berlusconi prova a convincere il Presidente che la reazione a colpi di querele davvero è il minimo. Se la prende con quel giornale dove è scritto che cambierà i vertici dei servizi segreti, poi con quell’altro che gli fa mettere il Milan all’asta. Ha il dente avvelenato con quanti gli attribuiscono tra virgolette lunghe frasi di cui, nel leggerle l’indomani, respinge la paternità. Alza la voce con chi riferisce perfino il suo intervento nel Consiglio dei ministri: un luogo, tuona, che dovrebbe garantire la riservatezza... «Ogni giorno me ne combinano una», quasi gli si incrina la voce. Il Presidente della Repubblica ascolta, fa mostra di comprendere il dramma del Cavaliere, età ed esperienza in questi casi aiutano. Poi, però, dice la sua. Muovendo dal momento delicatissimo, col Paese in bilico tra recessione e ripresa, con le tensioni sociali che si riaffacciano, in un tessuto politico sempre più lacerato. Napolitano si sforza di trasmettere al premier la consapevolezza di quanto è fragile la cristalleria. Lo invita alla moderazione, all’equilibrio specie nei confronti dei giornali che fanno il loro mestiere. Esercita la «moral suasion». Berlusconi in fondo gli è debitore della tregua a cavallo delle Europee che sembrò restituirgli fiato. E magari Napolitano ci riproverà con un appello per la ripresa del dialogo. Questo è quanto filtra dal colloquio al Quirinale. Bocche assolutamente cucite, viceversa, sull’altro incontro della giornata, quello conviviale del premier con i suoi luogotenenti a Palazzo Grazioli. Il primo dopo due mesi in cui Berlusconi ha tenuto alla larga il sinedrio romano, e s’è fatto consigliare nell’enclave milanese (dove dominano le teste calde). Ebbene: se si dà credito ai resoconti, l’oggetto del colloquio è quasi surreale. Rapporti col Vaticano? No. Caso Boffo? Nemmeno. Guerra con i giornali? Per carità... Si è discusso di piccole beghe del Pdl, di «trombati» alle scorse Europee da riciclare, tutti personaggi del mondo berlusconiano. Circola poi l’altra tesi, più attendibile, secondo cui di Vaticano, di testamento biologico e di giornali si è parlato eccome. Ma soprattutto risulta che a Fini siano fischiate le orecchie. Perché il problema del Cavaliere, adesso, è come neutralizzarlo in vista del dibattito sul testamento biologico, vero banco di prova dei rapporti con la Santa Sede. Per cui, intorno al desco del cuoco Michele, c’erano solo Cicchitto e Quagliariello, Bondi, Bonaiuti e Verdini. Nemmeno un notabile di An, casomai dovesse fare la spia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Letta-Benedetto XVI la pace dietro il palco Inserito da: Admin - Settembre 07, 2009, 10:41:19 am 7/9/2009 (7:30) - RETROSCENA
Letta-Benedetto XVI la pace dietro il palco Il breve incontro con il pontefice archivia la vicenda Boffo-Avvenire UGO MAGRI ROMA Il Gentiluomo di Sua Santità che è Gianni Letta mai oserebbe fraintendere il Papa. Se dal breve incontro con il Pontefice è emerso sorridendo (dopo che vi era entrato parecchio teso in volto), addirittura fermandosi a parlarne coi giornalisti, vuol dire che per l’ambasciatore di Berlusconi è andata davvero bene, molto bene. Forse meglio di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. Al Capo, che sta ad Arcore e stamattina svelerà il suo umore in un’intervista su «Canale 5», Letta ha dato l’annuncio di scampato pericolo. Il «caso Boffo» è alle spalle. Acqua passata. Non è l’unica soddisfazione per Berlusconi. Finalmente, dopo mesi, ha potuto trascorrere una domenica lieta. Dal mondo, solo buone notizie. Montezemolo che smentisce quanti lo volevano trascinare in campo contro il Cavaliere. Napolitano che dall’Abruzzo dà atto al governo della ricostruzione post-terremoto. Noemi che rilascia una lunga intervista a Sky senza combinare disastri. Il Milan che non perde perché il campionato è fermo. Ma nulla può rallegrare Berlusconi quanto l’attestato di simpatia da Joseph Ratzinger. Il «miglior regalo», secondo il ministro La Russa. Nella Chiesa comanda il Papa, tutti gli altri (vescovi e cardinali compresi) dovranno adeguarsi. Letta, quando l’ha informato, era al settimo cielo: «Un incontro molto positivo», gli ha detto al telefono, «il Papa è stato con me quasi affettuoso». Cronometro alla mano, il colloquio è durato minuti quattro. Nella sacrestia di fortuna ricavata sotto il palco a Valle Faul. Non ci sarebbe stato modo, anche volendo, per approfondire le dimissioni del direttore di «Avvenire», o per ramanzine sulla condotta privata del premier. In casi del genere contano soprattutto il calore del gesti, il tono delle parole. Quelle del Papa nei confronti di Letta, uomo fedelissimo alla Chiesa, sono state così paterne che il sottosegretario ha quasi abbracciato Giulio Marini, sindaco di Viterbo e organizzatore dell’evento: «Oggi mi hai dato una grande soddisfazione...». Poi, davanti ai taccuini dei cronisti, ecco Letta mettere da parte il proverbiale riserbo e raccontarsi «felice, il mio sorriso vi dice tutto, il clima è sereno qui, nella città dei Papi». Preoccupato? Noooo, «i rapporti con la Chiesa sono saldi, ma, come dice il cardinale Ruini, bisogna sempre lavorare perché questi rapporti vengano ulteriormente rafforzati». Detto da lui, braccio destro di Berlusconi, è molto più che una promessa. Significa che le ragioni di parte laica, patrocinate da Fini, troveranno poco spazio nel prossimo dibattito alla Camera sul biotestamento. E tempi duri si annunciano per la pillola abortiva RU486, nel mirino della Chiesa. Per non dire dei finanziamenti alla scuola privata, su cui Tremonti si mostrerà meno avaro degli anni passati. «Business as usual», direbbero gli anglosassoni. E difatti, tira le somme il capogruppo Pdl alla Camera Cicchitto, «bisogna sempre distinguere tra incidenti occasionali e linee di fondo. Che tra noi e il mondo cattolico ci sia un rapporto positivo, non è una sorpresa ma una costante, indipendentemente dagli equilibri interni alla Chiesa e alle stesse gerarchie ecclesiastiche». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Berlusconi, tregua d'interesse Inserito da: Admin - Settembre 22, 2009, 11:51:12 pm 22/9/2009 (7:16) - RETROSCENA
Fini e Berlusconi, tregua d'interesse Il premier Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini Lo «scambio»: più peso nel Pdl per l'ex leader di An, più sostegno al governo su finanziaria e giustizia UGO MAGRI ROMA Chissà se la padrona di casa ha riproposto la stessa celebre crostata che suggellò il patto delle riforme fra D’Alema e Berlusconi. Magari no, visto che portò male. Però di certo il pranzo a casa Letta, ospiti stavolta Fini e il Cavaliere, s’è concluso a tarallucci e vino. Volèmose bene. Non facciamoci del male. Silvio a Gianfranco: «Ma figurati se ti ho mai voluto mettere in un angolo... Ma come hai potuto pensare che proprio io volessi prescindere da te... Se credi a queste maldicenze io ci resto molto male...». Almeno a parole, il presidente della Camera non sarà più snobbato. Sarà reso compartecipe di tutte le decisioni politiche importanti. Si riprenderà per intero il ruolo di co-fondatore del Pdl perché (Gianfranco a Silvio) «ricordati sempre, il Pdl l’abbiamo fatto nascere in due, mica tu e basta». Se il metro di giudizio sono le promesse, impossibile che il colloquio potesse avere un esito migliore. Uscendo dal quieto condominio di via della Camilluccia, il premier s’è cucito la bocca: «Non parlo» ha chiuso la saracinesca con i cronisti, ma qualcuno l’ha visto mostrare il pollice in su, tutto okay. E per telefono ai fedelissimi ha confidato trionfante di avere ottenuto il suo scopo «siamo andati d’amore e d’accordo su tutto, io taccio perché voglio che lo faccia sapere Fini, i problemi erano i suoi, da parte mia non ce ne sono mai stati». In effetti, dal giro della Camera vengono solo conferme: armonia pressoché totale. Anche su Vittorio Feltri. Berlusconi s’è professato ignaro degli attacchi, alla direzione del «Giornale» ce l’ha messo lui, è vero, ma per fare più copie e non per creargli problemi... Fini non ha insistito. Certo i due conservano visioni diverse, impossibile passarci sopra. Tuttavia (per dirla con l’ufficiale di collegamento Italo Bocchino) sotto l’occhio apprensivo di Gianni Letta «è stato realizzato il migliore stato di avanzamento possibile nelle condizioni attuali», di più non si poteva pretendere. Consultazione permanente tra Berlusconi e Fini? Sarà fatto. Un argine alle pretese eccessive della Lega? Idem come sopra. Le cene con Bossi del lunedì? Verranno allargate a qualcuno che rappresenti la componente di Alleanza nazionale. Gli organi del partito? Si riuniranno regolarmente per discutere di politica... Non occorre essere elefanti per ricordare che, di accordi del genere, i due ne hanno già stipulati una decina, salvo ritrovarsi a litigare. Bossi, perfido, prima dell’incontro: «Faranno la pace, c’è sempre stata...». Sempre Bocchino (reduce da un colloquio con Fini) mette le mani avanti, «ora bisogna passare dalle parole ai fatti, se sono rose fioriranno». «Certo che fioriranno», garantisce Bonaiuti, il portavoce berlusconiano. «L’incontro è andato bene davvero», ringhia il capogruppo Pdl Cicchitto. E stavolta qualcosa autorizza a credere che, per qualche mese almeno, il patto verrà onorato. Quel «qualcosa» sono le prossime scadenze parlamentari. Berlusconi è in ansia. Se Fini non dà una mano vera, lui rischia i guai. Sulla Finanziaria (è di ieri il tentativo di «blindare» Tremonti: gli eventuali maggiori introiti dello scudo fiscale finiranno in un fondo a Palazzo Chigi, inutile strattonare il ministro). E poi sulla giustizia. La mente del Cavaliere è tutta proiettata sul «Lodo Alfano», sugli scenari che si apriranno se la Corte costituzionale, tra un paio di settimane, costringerà a rifarlo daccapo. Montecitorio diventerà più invivibile di Kabul, territorio di guerriglia e di agguati. Berlusconi sa benissimo che Fini, nella veste di presidente della Camera, avrà un peso altrettanto decisivo di quando, l’anno scorso, illustrò le motivazioni giuridiche per cui non poteva concedere il voto segreto sul contestatissimo provvedimento. Ammesso che questo scambio ci sia (più peso a Fini nel partito uguale meno grane in Parlamento), sta tutto nella testa del Cavaliere. Inutile cercare conferme dal colloquio a casa Letta. E comunque tra poco, sussurra un autorevole esponente berlusconiano, «parleranno i fatti». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Schifani: "Lealtà tra istituzioni" Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2009, 12:27:23 pm 9/10/2009 (6:50)
Fini e Schifani: "Lealtà tra istituzioni" Berlusconi: eletto dal popolo, rispetto I Presidenti di Camera e Senato al Quirinale: "Il Colle ha seguito con rigore la nostra Costituzione" UGO MAGRI ROMA I risentimenti del premier (contro la Corte Costituzionale, contro i magistrati e contro lo stesso Napolitano) faticano a sbollire. Ma con il trascorrere delle ore fa progressi il tentativo di salvare, quantomeno, le apparenze. Ne sono protagonisti Fini e Schifani, presidenti delle due Camere. In veste di «pompieri», si sono recati insieme sul Colle. E dopo un’ora di conversari hanno dato atto al Presidente della Repubblica «del suo rigoroso rispetto delle prerogative che la Costituzione gli conferisce». Sbaglia dunque il Cavaliere a sentirsi «preso in giro» da Napolitano: seconda e terza carica dello Stato mettono la mano sul fuoco che davvero il Presidente non poteva fare nulla di più del poco (o troppo, secondo Di Pietro) che ha fatto per tenere in piedi il lodo Alfano. Di suo Fini va oltre, Berlusconi sia più rispettoso del Colle e della Corte Costituzionale («È un suo preciso dovere», si sbilancia in un comunicato). Però poi lo stesso Fini, molto criticato da Bondi e difeso dal solo Augello, riconosce al premier «l’incontestabile diritto di governare». E la dichiarazione sottoscritta insieme con Schifani contiene l’«auspicio che tutti gli organismi istituzionali e di garanzia agiscano, in aderenza al dettato costituzionale e alla volontà del corpo elettorale, per determinare un clima di leale e reciproca collaborazione nell’interesse esclusivo della nazione». Chi può dirsi contrario ad argomenti del genere? Non certo Napolitano. Ma nemmeno il capo del governo. Ciascuno ha la sue buone ragioni, certificano Fini e Schifani, l’importante è intendersi. Berlusconi sembra aver recepito. Incassa la solidarietà dell’ufficio di presidenza del Pdl, dove si teme un’offensiva giudiziaria in piena regola («Tiro al bersaglio», dice Bonaiuti). Riafferma a voce alta il diritto «ad essere rispettato in quanto eletto dal popolo». Ma ripone saggiamente nel cassetto l’idea che i più scatenati dei suoi gli proponevano: una grande manifestazione di piazza contro la Corte Costituzionale. Ed è già un passo avanti rispetto ai toni adrenalinici dell’altra sera, sfoderati durante il collegamento telefonico con Vespa, ripresi ieri mattina in un’intervista molto determinata al Gr1: «Andremo avanti con più grinta di prima, del resto senza il lodo abbiamo governato dal 2001 al 2006, continueremo a governare senza». Con quell’annuncio minaccioso («Esporrò al ridicolo i miei accusatori e farò vedere a loro e agli italiani di che pasta sono fatto»), ma soprattutto con il nuovo attacco al Capo dello Stato («E’ stato eletto da una maggioranza che non è più tale nel Paese, ed ha le radici della sua storia nella sinistra... Anche l’ultimo atto di nomina di un magistrato della Corte Costituzionale dimostra da che parte sta»). Napolitano c’è rimasto malissimo. Mancino, che gli fa da vice al Csm, illustra lo stato d’animo presidenziale, «la rozzezza delle accuse di Berlusconi questa volta non ha proprio un limite, escludo che tra le funzioni del Capo dello Stato ci sia quella di persuadere i giudici costituzionali». Però in fondo neppure Napolitano desidera la scazzottata, «se la lite qui finisce è meglio per tutti», sussurrano sul Colle. E’ una polemica che scopre il fianco del Presidente agli attacchi di Di Pietro. L’ex pm continua a rimproverargli di aver messo la firma al lodo. E insieme a quanto resta della cosiddetta sinistra radicale, coltiva l’idea di tornare in piazza per chiedere il voto anticipato, previe dimissioni del Cavaliere troppo impegnato a difendersi nei tribunali. «Fosse per noi del Pd», allarga le braccia Franceschini, «Berlusconi dovrebbe dimettersi tutti i giorni», ma chiederglielo è inutile, tanto non lo farà. Piuttosto il Cavaliere si guardi da nuove leggi «ad personam», se crede di aggirare la bocciatura del lodo Alfano «troverà un popolo capace di reagire». Non pare per ora questa l’intenzione del premier. Al quale Casini rivolge un consiglio «da membro dell’opposizione ma anche da amico di Berlusconi: lavori per il Paese, è stato eletto per questo. Dunque calma, calma, calma...». Le elezioni regionali sono dietro l’angolo. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il ministro scortato dai lumbard indispettisce Silvio Inserito da: Admin - Ottobre 25, 2009, 06:03:03 pm 25/10/2009 (7:58) - RETROSCENA
Berlusconi furioso non cede al diktat di Giulio vice-premier Il ministro scortato dai lumbard indispettisce Silvio. Il Tesoro insiste: volete i soldi? Trovateli da soli UGO MAGRI ROMA Il tiro alla fune continua, la corda rischia di spezzarsi. Da una parte Tremonti, dall’altra Berlusconi. Uno dei due dovrà abbassare le penne. Tre ore di discussione nella reggia di Arcore, alla fine un grande gelo. Già, perché fonti vicine al premier raccontano di un Cavaliere ai limiti della pazienza. L’errore capitale di Tremonti, sostengono, è di essersi presentato all’appuntamento con il premier «accompagnato dai suoi guardaspalle»: vale a dire insieme con Bossi e Calderoli. I quali in un primo momento non erano affatto previsti, il chiarimento doveva essere a tu per tu tra i due Indispensabili, Silvio e Giulio da soli, senza Umberto e Roberto. Invece eccoli pure loro intorno al tavolo nella veste di sponsor, a parteggiare per il ministro dell’Economia, a dargli conforto politico. La scena va vista nell'ottica di Berlusconi. E’ la prima volta (forse l’ultima) che un «suo» ministro gli oppone resistenza facendo leva su Bossi. Tanto da farsene riassorbire e da diventare, ai suoi occhi, il quarto ministro del Carroccio. Nella mente irata del Cavaliere, Tremonti sta commettendo lo stesso peccato di superbia dell’Arcangelo che osò sfidare il Padreterno: il ministro dell’Economia si rivolta al presidente del Consiglio fino a rivendicare per sé un ruolo di contrappeso. Per la precisione da vice-presidente del Consiglio, se si dà retta al tam-tam che vuole Fini e l'intera nomenklatura Pdl fuori dei gangheri per questa richiesta in grado di rovesciare tutte le gerarchie celesti, che sarebbe stata avanzata (ma Tremonti nega) nel bel mezzo del pranzo. Berlusconi pare si sia ben guardato dal rispondere sì o no, limitandosi a prendere tempo e a compiere alcuni sondaggi dentro il partito, dall’esito scontatissimo: non c’è un solo gerarca favorevole alla promozione di Tremonti. Berlusconi, si stracciano le vesti i fedelissimi, «se stavolta cede viene commissariato da Tremonti e dalla Lega, che gli impongono la linea». Nel vertice, il ministro dell’Economia è stato categorico: «Non esiste una strada diversa da quella che io sostengo», il rigore in chiave europea di cui si fa paladino «è senza alternative», dunque vietato insistere su tagli dell’Irap. Addio colpo d'ala in vista delle prossime Regionali. Sarà il Tesoro a decidere il come e il quando. «Non ce lo possiamo permettere, mancano i soldi, trovateli voi se siete in grado», è il semaforo rosso del super-ministro. La nota serale di Bonaiuti, che del premier è portavoce, rappresenta il «fixing» più onesto della giornata, il punto d’equilibrio molto provvisorio che è stato raggiunto. Visto il «niet» di Tremonti, prima si faranno le riforme a costo zero, cominciando da quelle della Costituzione, quindi semmai sarà la volta delle tasse e dell’Irap demandate alla seconda parte della legislatura. Però si tratta di una fragile tregua, «potrebbe saltare da un momento all’altro», avvertono le fonti meglio al corrente. Risulta che Berlusconi si sia documentato, ieri mattina, sui 4 miliardi di euro improvvisamente «mollati» da Tremonti e da Calderoli alle Regioni, con grande soddisfazione di Errani e dei governatori di sinistra. «Ma allora i soldi ci sono!», risulta abbia tradito il suo sconcerto il premier: sulle richieste della Lega, che vanno nella direzione del federalismo, i denari saltano sempre fuori. I rubinetti si chiudono, viceversa, quando a battere di cassa sono altri ministri come la Gelmini (in stretto contatto con Draghi, l'anti-Tremonti) che si è vista bloccare la riforma universitaria. Quel che è peggio, non c’è una lira neppure per il presidente del Consiglio, il quale vorrebbe marcare il «cambio di fase», dalla crisi nera alla ripresa annunciata, con un po’ di ossigeno per le imprese. Verso sera, l'aria nel governo è irrespirabile. Chi parla con Capo, scuote la testa: «Comunque vada a finire, il suo rapporto con Tremonti ormai è al lumicino». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'incognita Tremonti sul governo Inserito da: Admin - Ottobre 26, 2009, 09:51:49 am 26/10/2009 (7:51)
L'incognita Tremonti sul governo Tornano le voci di dimissioni UGO MAGRI La vera incognita è cosa farà Tremonti. Lascia? Resta al suo posto? Le intenzioni del premier, invece, sono sufficientemente chiare: guadagnare tempo. Prendere qualche giorno prima di rispondere all’ultimatum del suo ministro che, secondo la versione accreditata ai vertici Pdl, avrebbe posto al Cavaliere un aut-aut, «o divento vice-premier oppure me ne vado». Berlusconi non è in grado di dirgli sì. Avrebbe la sollevazione dell’intero partito, dove non c’è uno solo dalla parte di Tremonti. Tuttavia nemmeno è in condizione di sbattergli la porta in faccia, perché la Lega sostiene a spada tratta il ministro e manda segnali minacciosi. Dunque, Berlusconi adotta la tattica del troncare e sopire. Chi gli ha parlato ieri, racconta un premier parecchio prudente. Non si pone più come controparte del ministro ribelle, bensì come mediatore nel braccio di ferro tra Giulio e il partito. Dunque oggi riceverà ad Arcore la trojka dei coordinatori, Bondi-Verdini-La Russa. Ma non prenderanno decisione alcuna. Dovrebbero limitarsi, secondo quanto filtra, a convocare un ufficio di presidenza, sede istituzionale dove dirimere le beghe interne. Nel frattempo, il Cavaliere avvierà la sua opera di persuasione. Da una parte metterà la museruola a quanti, tra i fedelissimi, nei giorni scorsi avevano addentato i polpacci del Professore. Tremonti gli ha sottoposto un intero dossier con tutti gli attacchi ricevuti dal «fuoco amico», cominciando dal «Giornale» per finire alle controproposte di politica economica circolate sui «blog», dietro le quali il Professore intravvede la sagoma dei vari Sacconi, Brunetta, Baldassarri e Matteoli che dice: «Abbiamo bisogno di soluzioni non di nuove poltrone». Basta, dirà a tutti Berlusconi, Giulio è il migliore. Nello stesso tempo, però, chiederà a Tremonti di essere più flessibile, perché pure il partito ha le sue ragioni, e comunque l’ultima parola (come segnala Quagliariello) spetta pur sempre al premier. Il quale ha in mente, secondo il portavoce Pdl Capezzone, un cambio di passo sull’economia. Taglio dell’Irap e non solo: anche quoziente familiare, e poi riduzione dell’Irpef a due sole aliquote, suo antico pallino... Il Cavaliere proverà a convincere Tremonti che la carica di vice-premier non gli aggiungerebbe nulla, in fondo già guida da solo quattro ministeri (Tesoro, Finanze, Bilancio e Partecipazioni Statali) e gode di un potere immenso. Di cedere su questo punto, non ci pensa nemmeno. E’ il passaggio più delicato. Se le intenzioni attribuite a Tremonti fossero vere, dovremmo attenderci le sue dimissioni. Difatti un tam-tam incontrollato sostiene che potrebbe darle addirittura già oggi, con Berlusconi pronto a chiamare in campo al suo posto il governatore di Bankitalia, Draghi. Palazzo Chigi fa gli scongiuri. Però il fatto stesso che circolino queste voci, la dice lunga sull’aria che tira. Dove Tremonti è in urto praticamente con tutti. Ha litigato con Fitto e Scajola, con Gelmini e Prestigiacomo, ha fatto arrabbiare Bondi e perfino Letta. Nello stesso tempo, però, il premier sa bene che senza Tremonti si aprirebbe una crisi devastante con la Lega. Calderoli è quasi irridente: dare il ministero dell’Economia a Draghi? «Un tecnico durerebbe quanto un gatto sull’Aurelia», dunque assai poco. E Berlusconi, avverte Calderoli, non si illuda di mettere tutti in riga con la pistola del ricorso alle urne: «Più che il rischio di elezioni anticipate», taglia corto, «c’è quello di governicchi». Che non sarebbe Berlusconi a guidare. E lui lo sa. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci Inserito da: Admin - Ottobre 31, 2009, 10:59:44 am 31/10/2009 (7:28) - RETROSCENA
Berlusconi apre ma spera che l'Europa lo bocci In gioco la poltrona di Tajani UGO MAGRI Al cospetto dell’Europa rischia di andare in scena la più classica commedia degli equivoci, con finale esilarante. Già, perché di intenzioni serie dietro le quinte non se ne vede, semmai si assiste a una gara di furbizie in cui per ora vince D’Alema (ma con Berlusconi non si sa mai). Tutto nasce nei giardini di Villa Madama, due settimane fa. C’è un convegno su Fiumicino e Malpensa, Gianni Letta parlotta con l’ex ministro degli Esteri, poi gli fa stringere la mano al Cavaliere, pace fatta dopo mesi di insulti, ed è già una notizia. Salta fuori adesso che l’oggetto dei conciliaboli era proprio l’ipotesi di «Baffino» capo della diplomazia europea. Qualche giorno dopo, stavolta ad Asolo, D’Alema ci torna su con Fini. Il presidente della Camera vede uno spiraglio per una ripresa del dialogo sulle riforme, auspicata pure sul Colle. Ne ragiona col solito Letta e con lo stesso Berlusconi. Il quale peraltro, con chi gli parla ieri mattina, risulta combattuto nell’intimo, incapace di scegliere tra il sì e il no. Finché D’Alema rompe gli indugi. E verso l’ora di pranzo chiama Palazzo Chigi, «insomma che avete deciso? I giochi stanno entrando nel vivo...». Letta si precipita ad avvertire il Capo, sempre alle prese con la scarlattina. Berlusconi vorrebbe traccheggiare, però il Consigliere gli fa presente che qualcosa dovrà pur dire comunque, magari un’apertura molto cauta, in perfetto stile Prima Repubblica, così nessuno potrà accusare il governo di aver negato all’Italia un’ipotesi talmente prestigiosa, quella di avere appunto il responsabile della politica estera europea. Il comunicato che segue è un piccolo capolavoro di ipocrisia, allude senza impegnarsi. Ma non fa i conti con quel grandissimo paravento di D’Alema. Che ruba il mestiere al portavoce di Palazzo Chigi, Bonaiuti, e dà lui l’interpretazione autentica, «grazie al governo per la candidatura», come se il caro Silvio l’avesse davvero avanzata. Peccato che in serata, al telefono da Arcore, il premier risulti tuttora in dubbio: «Non ho promesso un bel niente» giura a un amico, «figurati se posso proporre io D’Alema, e poi tutta questa disponibilità socialista a sostenerlo non mi risulta affatto, anzi il contrario, ci penserà l’Europa a bocciarlo...». Come sempre in questi casi, il mondo berlusconiano si spacca come una mela. E invece di aiutare il leader nella sua scelta, i suggeritori gli confondono ancor di più le idee. Su un piatto della bilancia c’è l’ovvio desiderio di metter fine alle demonizzazioni reciproche, tra l’altro segretario Pd è appena diventato Bersani, tutto congiura per il cambio di fase. Un gesto generoso e patriottico aprirebbe un credito politico a favore del Cavaliere. Campa cavallo, obiettano i nemici di D’Alema, quando mai Massimo si è dimostrato grato? Mai fidarsi degli ex comunisti dalla lingua biforcuta. Insistono i fautori, anche autorevoli, del «via libera»: se dialogo dovrà essere col Pd, caro Silvio, molto meglio che lo conduca tu direttamente con D’Alema, sennò a tessere la tela saranno altri, magari Fini, oppure Bossi, e ti taglieranno fuori. L’argomento non lascia insensibile Berlusconi, uomo sospettoso. Però al tempo stesso molto concreto. Per insediare D’Alema, dovrebbe privarsi di un commissario europeo fedelissimo come Tajani. Che non solo gli cura dossier importanti tipo Alitalia, ma gli fa pure da sentinella contro eventuali blitz anti-Mediaset. A quel punto il Cavaliere resterebbe nudo a Bruxelles dove l’ambasciatore Feroci, ricordano nei Palazzi, fu già capo di gabinetto con D’Alema ministro. Sarebbe come mettersi due volte nelle sue mani. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, nuovo piano salvapremier Inserito da: Admin - Novembre 05, 2009, 10:17:38 am 5/11/2009 (8:17) - RETROSCENA
Giustizia, nuovo piano salvapremier Il premier ieri all'Aquila è tornato a parlare di riforme per rafforzare l'esecutivo Il Cavaliere vuole per iscritto il sostegno degli alleati prima delle candidature. E intanto corteggia Casini UGO MAGRI ROMA Par di sentirlo, il Cavaliere, mentre con voce flautata annuncia via telefono a Casini: «Sappi, carissimo, che per incontrare prima te di loro ho appena rinviato la cena di stasera con Bossi e Fini...». Mai corteggiamento politico fu più appassionato. E non solo per via delle Regionali, con l’Udc «ago della bilancia», in grado di farla pendere o di qua o di là (proprio ieri Casini ha visto Bersani, e l’esito del faccia a faccia non è stato fantastico). C’è qualcosa di più nell’insistenza con cui Berlusconi insegue i centristi, e quel qualcosa ha parecchio a che vedere con il suo stato d’animo tornato gonfio d’irritazione nei confronti degli alleati. Volendo attingere alle sue confidenze con gli amici, basterebbe affondare le mani. E si raccoglierebbero sfoghi apocalittici della serie «non ne posso più, qui è impossibile governare», con minacciose promesse di portare tutti quanti alle elezioni anticipate nella prossima primavera, altro che Regionali... L’umore è quello, tipico, che precede i colpi di testa. Casini, da autentico professionista, l’ha capito al volo. Domani si vedranno a Palazzo Chigi, ed è certo che il premier non si limiterà a parlargli del Piemonte e del Lazio, della Puglia e della Campania, ma tenterà di allargarsi, di sondare l’Udc su un possibile nuovo inizio, perché la bizzarria del destino è tutta qui: rotta l’alleanza con i centristi a causa dei loro continui «distinguo», Berlusconi è piombato dalla padella nella brace. Adesso deve dire sempre di sì alla Lega; gli tocca esercitare la propria pazienza con Fini, il quale obietta su tutto, e in particolare su ciò che il Cavaliere più di ogni altra cosa desidera: la soluzione definitiva ai suoi guai con la giustizia, l’arma finale contro i processi che lo inseguono. Chi sta molto vicino al premier la vede così: «Berlusconi è stufo di essere spremuto come un limone dai suoi cari alleati. I quali vogliono, pretendono, ma gli concedono in cambio solo chiacchiere. Alla prescrizione dei suoi processi lui può arrivare con vari escamotages, ma lo fa impazzire l’idea che gli venga negato il diritto di governare in pace...». E’ il suo chiodo fisso, ormai. E allora, spiegano in via del Plebiscito, «Silvio ha deciso di dire basta, vuole mettere le carte in tavola. La Lega reclama il Veneto? Fini chiede il Lazio? Se lo devono meritare. Il vertice dove erano sicuri di incassare, senza nulla restituire in cambio, slitta perlomeno di una settimana». Risulta in queste ore un frenetico lavorio per mettere a punto una proposta di legge che faccia le veci del Lodo Alfano. Niente a che vedere con la prescrizione breve («ghedinate», le liquida un ministro coinvolto in prima persona nella redazione del testo), ma qualcosa cui stanno lavorando le menti più creative del governo, si vocifera addirittura di Tremonti: una proposta che sia possibile difendere alla luce del sole, su cui né Fini né la Lega possano nutrire imbarazzi. Pare tragga ispirazione dalla «legge Pinto» che prevedeva, quando fu proposta, un equo indennizzo a chi subisce processi troppo lunghi. Servirà qualche giorno per rifinire la bozza. Quindi Berlusconi riunirà gli alleati, pretenderà un sì o un no definitivo. Magari per iscritto. E solo un attimo dopo la trattativa sulle Regioni entrerà nel vivo. Casini, in tutto questo, che c’entra? Se domani Berlusconi lo aggancia con le lusinghe o con le minacce (nuova legge sulla «par condicio» televisiva), nessuno dei suoi alleati è più indispensabile. «Non sono ricattabile», aveva fatto sapere due giorni fa. Ieri ha aggiunto: «Una maggioranza è compatta, se no non è più tale...». Ognuno interpreti queste parole come meglio crede. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, Fini e Berlusconi ancora lontani Inserito da: Admin - Novembre 10, 2009, 09:40:01 am 10/11/2009 (7:21) - RETROSCENA
Giustizia, Fini e Berlusconi ancora lontani Alta tensione sulla bozza tra i due leader Pdl UGO MAGRI ROMA La trattativa sulla giustizia è a un punto morto, i mediatori tra Berlusconi e Fini hanno fallito, tutto dipende dal faccia a faccia tra i due, stamane alle 9 e mezza. L’esito tocca personalmente molti italiani. Si discute infatti la sorte di 600 mila processi: entusiasmo tra gli imputati se la spunterà Silvio. Sollievo delle parti lese, se avrà la meglio Gianfranco. I due concordano sul principio ispiratore: i processi debbono avere una «ragionevole» durata. La riforma in gestazione fisserà un limite massimo di 6 anni, poi sul processo calerà la mannaia. In più verranno previsti dei «tetti» biennali corrispondenti a ciascun grado di giudizio. Fini ha il dubbio che la Consulta possa mettersi di traverso, come già è capitato al Lodo Alfano. Però qui vince la ragion di Stato: prima che la Corte costituzionale decida, passano altri dodici mesi. Nel frattempo addio processo Mills, addio anche alle inchieste Mediaset che riguardano il Cavaliere, finalmente libero dalle sue pendenze. Secondo i finiani, Berlusconi dovrebbe dirsi già molto soddisfatto. Invece no. Il suo avvocato (Ghedini) si sta battendo per introdurre pure la «prescrizione breve»: verrebbe sforbiciato di un quarto il tempo che occorre a mandare in archivio i reati, perlomeno quelli meno gravi. Dove sta l’interesse del premier? Sarebbe messo al riparo non solo dalle inchieste passate, ma pure da quelle future che dovessero scaturire dai soliti filoni milanesi. E’ come se venisse apposto il timbro «scaduto» su tutti i fascicoli che lo riguardano. La stessa regola, si capisce, varrebbe per gli altri 600 mila processi in corso. Secondo la Finocchiaro (Pd) sarebbe un’«amnistia mascherata». Il Pd, confermano Letta e Bondi, sparerebbe a palle incatenate. Fini punta i piedi. Ne fa questione di principio. Battaglia anche sull’ultimo codicillo che il Cavaliere vuole introdurre. Se si dà retta ai finiani, sarebbe una norma a vantaggio esclusivo di Mediaset. Che subì dieci anni fa un mega-accertamento fiscale con relativa multa. L’idea ora è quella di liberarsene con un’oblazione del 5 per cento. «Questo è davvero troppo», protestano dalle parti di Fini. Un macigno sulla via dell’intesa. Nei programmi del Cavaliere c’era di calare a Roma domani, con calma. La strenua resistenza dell’alleato lo costringe ad anticipare l’arrivo (già questo lo maldispone). Si aggiunga che Berlusconi è molto irritato dalle parole di Fini l’altra sera su RaiTre. Non gli va già quella battuta, «il Pdl non è una caserma», unita all’altra («un leader non è il monarca assoluto»). L’ha entusiasmato invece un commento sul «Foglio», dove Ferrara sostiene che a decidere chi governa dev’essere il popolo, non le procure della Repubblica. Di sicuro Berlusconi non si presenterà all’incontro con tono dimesso. Il partito delle elezioni anticipate ieri sera guadagnava nuovi adepti. Chi scommetteva sulla rottura senza rimedio, e chi su un soprassalto di buonsenso. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "Meglio se ti accontenti" Inserito da: Admin - Novembre 11, 2009, 10:16:34 am 11/11/2009 (7:5) - RETROSCENA
"Meglio se ti accontenti" E il premier si convince Moral suasion del presidente della Camera: «Non possiamo rischiare» UGO MAGRI ROMA C’è il Berlusconi che urla strepita minaccia. Quello che «se mi rendete impossibile difendermi allora è meglio andare alle urne», che la butta sul piano sgradevolmente personale, che tira in ballo la fiducia mal riposta e l’ingratitudine. Secondo certe ricostruzioni del suo colloquio con Fini, la recita del «Berlusconi furioso» è andata in scena per non più di quindici minuti, altri sostengono invece mezz’ora. Poi però il personaggio ha cambiato copione. Pragmaticamente ha preso atto della realtà che il presidente della Camera, senza toni ostili, gli ha fotografato. E la realtà coincide con il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Disco verde alla «ragionevole durata» dei processi, semaforo rosso alla «prescrizione breve». Spintarella finale nel burrone ai due processi (Mills e diritti televisivi) peraltro già quasi prescritti. Nessuno scudo per il premier contro le inchieste future, il suo conto con la giustizia rimane aperto, la «caccia all’uomo» continua. Inesorabile. Vista con gli occhi dei «falchi» sconfitti, di coloro che nei giorni scorsi avevano additato in Fini il nemico da battere, siamo all’eterna Incompiuta. Un po’ sorpresi dal Capo, increduli che sia tornato dal colloquio con un pugno di mosche. Agli occhi delle «colombe», invece, l’intesa è un passettino avanti, meglio l’uovo oggi. Bisogna accontentarsi. E se un domani dovessero partire da Milano o da Palermo nuovi siluri giudiziari, in quel momento si provvederà, ora è inutile fasciarsi la testa. Berlusconi sembra più deluso che rassegnato. Sperava di meglio. Dopo l’incontro niente dichiarazioni, solo una battuta poco convinta («è andata bene...»), poi fuga a Milano, giù le saracinesche. Quanto ce l’abbia con Fini, è arduo dire. Chi li ha visti mentre si congedavano assicura che i volti erano sereni, «ciao Gianfranco, allora ci rivediamo», «certo Silvio, e a presto». Qualunque cosa si siano urlati poco prima, solo Gianni Letta può saperlo, unico testimone del match nello studio di Fini a Montecitorio. La sostanza però si conosce. Dopo la sfuriata iniziale del premier, il presidente della Camera ha calato i suoi assi. «La mia lealtà», ha giurato, «è fuori discussione. Sono pronto a darti una mano perché la persecuzione nei tuoi confronti è innegabile, l’ho pure detto in tivù. Ma noi dobbiamo scegliere la strada del minor danno». Ciò che Fini ha provato a spiegare, raccontano i suoi, si riassume nella differenza che corre tra desiderio e realtà. Un conto è sognare a occhi aperti, altra cosa metterlo in pratica. Chiedere troppo sulla giustizia significa, caro Silvio, sollevare un putiferio e non ottenere nulla. Una prescrizione breve Napolitano non la permetterà mai, sotto quel provvedimento la controfirma è del tutto esclusa. Così come si illude chi pensa che il Presidente scioglierebbe le Camere su schiocco di dita del premier. Non funziona così. Già sarà tanto, ha argomentato Fini mentre Letta annuiva, se Napolitano chiuderà un occhio sulla regola dei sei anni, termine massimo per chiudere i processi. Ci sarebbero mille dubbi di costituzionalità, quando verrà giudicata dalla Consulta magari farà la fine del Lodo Schifani prima e del Lodo Alfano poi, però intanto portiamo a casa quello che si può. «E se ti copro io, è più facile che il Presidente della Repubblica metta la firma». Un inno alla ragionevolezza. Il Cavaliere non ha più obiettato. Perciò gridano vittoria i finiani della Camera e quelli del Senato. Che sostengono di avere evitato a Berlusconi una figuraccia. Addirittura, di avergli regalato sulla giustizia un progetto più ampio della pura sopravvivenza. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E in serata Berlusconi prende le distanze Inserito da: Admin - Novembre 18, 2009, 10:13:24 am 18/11/2009 (7:9) - RETROSCENA
E in serata Berlusconi prende le distanze Smentita di Palazzo Chigi, ma tutti danno per certo l’ordine del premier UGO MAGRI ROMA Tutti, nel giro che conta, danno per certa la telefonata del Sommo Capo. Il quale avrebbe ordinato personalmente a Schifani di intimidire Fini con la minaccia di elezioni anticipate, a seguito delle quali il leader di An resterebbe senza più poltrona, così impara. E il presidente del Senato si sarebbe messo a disposizione con zelo... Questa la ricostruzione più in voga, seguita a ruota dall’altra che estende il messaggio ai giudici, guai se da Palermo qualche pentito lanciasse accuse infamanti sul premier, o se a Milano si riaprisse il vaso di Pandora delle tangenti: l’ultima parola tornerebbe al popolo. Palazzo Chigi però smentisce, e lo fa nella maniera più perentoria. Bonaiuti giudica addirittura «offensivo che qualcuno possa immaginare un input di Berlusconi alla seconda carica dello Stato». Se davvero è stato lui l’ispiratore, ma il suo portavoce giura di no, sta di fatto che il Cavaliere innesta la retromarcia. Al massimo si è trattato di un ballon d’essais. E comunque, un diretto testimone della vicenda è pronto a giurare che l’attacco lancia in resta di Schifani contro Fini nasce per davvero dai mediocri rapporti tra i due: il presidente del Senato se l’è concepito da solo durante il viaggio in aereo da Palermo a Roma. Anzi, una prima stesura della dichiarazione strombazzata più tardi dal suo ufficio stampa era perfino più veemente, molto poco istituzionale, per cui è stata riveduta e corretta già prima di mettere le ruote a terra. Quale che sia la verità vera, l’immagine al Paese è di una maggioranza in piena crisi epilettica. Il solo fatto di evocare elezioni anticipate costituisce un regalo politico a Bersani, incredulo di tanta buonasorte. Anche qui, non è un caso che il solito Bonaiuti tenti di gettare acqua sul fuoco, «alle elezioni il presidente del Consiglio non pensa affatto, sono tutte ipotesi legittime ma prive di fondamento...». Si diffonde la «sindrome del bordello», definizione popolaresca di Verdini, coordinatore nazionale Pdl. Tutti vanno a ruota libera, e ne nasce un vociare sgraziato. Il lungo silenzio di Berlusconi alimenta gli equivoci: in mancanza di direttive chiare, chiunque si sente legittimato a interpretare il «verbo». Parli con i falchi, e ti danno per certo che «Silvio ha deciso, o Fini piega la testa oppure si vota a marzo». Bussi dalle colombe, e scuotono la testa, «Berlusconi non è così matto, le elezioni sono un rischio mortale, lui lo sa bene». Aggiungono che «Fini fa rima con Dini», anche nel ‘94 il Cavaliere aveva chiesto di andare alle urne ma non c’era riuscito perché l’ultima parola spetta sempre al Quirinale, Napolitano non dà maggiori garanzie di Scalfaro. Né funzionerebbero gesti estremi, come le dimissioni in massa dei deputati di centrodestra cui qualche «pasdaran» vagheggia come al martirio. Il Cavaliere ancora non ha deciso. Chi parla con lui riferisce giudizi terribili sull’ex-amico Gianfranco, la rottura sembra irrimediabile, quantomeno sul piano personale. Berlusconi non sopporta che Fini tenga «il piede in due staffe, ha voluto l’incarico istituzionale di prestigio ma adesso pretende di dettare legge nel partito, o l’una o l’altra cosa». Circolano leggende sull’umor nero del premier che la notte non dorme, assediato dagli incubi familiari (il divorzio, i figli, le liti sul patrimonio) e dunque si sveglia irascibile come mai i fedelissimi l’avevano visto in passato. Ieri aveva la testa tutta presa dagli incontri internazionali, in fondo trattare coi capi di Stato è l’attività che più lo appaga. Oggi tornerà sulla terra, vedrà i proconsoli, studierà i dossier, sviscererà i sondaggi. Se desse retta ai famosi consulenti americani, non avrebbe dubbi: al voto, al voto. Le elezioni sarebbero una pura formalità, già vinte in partenza, questo gli dicono dall’altra sponda dell’Oceano. Però Berlusconi vuol sentire cosa ne pensa la sua guru in materia, Alessandra Ghisleri. Gli hanno detto che il Pd cresce, lui vuol sapere come stanno le cose. Con Bersani in ascesa, le urne sarebbero una roulette. E poi gli interessa capire quanto vale Fini agli occhi degli elettori: due o tre punti percentuali secondo certe stime, meglio accertarsi bene prima di compiere gesti politici irreparabili. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Al Senato prove di dialogo su tutto, esclusa la giustizia Inserito da: Admin - Novembre 20, 2009, 03:29:11 pm 20/11/2009 (7:15) - RETROSCENA
Al Senato prove di dialogo su tutto, esclusa la giustizia Marcia indietro del presidente del Senato Renato Schifani: «Siamo coesi, si va avanti» Il 2 dicembre mozione bipartisan sulle riforme UGO MAGRI ROMA Bersani prende coraggio e fa un passo che gli provocherà attacchi da Di Pietro, nonché accuse di «inciucio»: autorizza Anna Finocchiaro, capogruppo in Senato, a trattare con le destre sulle riforme costituzionali. E a stilare tutti insieme una lista di quelle più urgenti, dopodiché se ne potrebbe iniziare praticamente subito l’esame in commissione. Questo elenco verrebbe scolpito sotto forma di solenne mozione comune, con tanto di firma in calce del Pd, del Pdl, dell’Udc e della Lega. E’ già fissata per il 2 dicembre la seduta del Senato in cui la mozione verrà discussa. Poi non è detto che ci si arrivi davvero. Magari nei prossimi giorni l’idea farà naufragio. Anche perché il Pd vorrebbe discutere esclusivamente quanto già stava nella famosa «bozza Violante» (riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo, Senato delle autonomie) laddove il capogruppo Pdl Gasparri sta tentando di infilarci non solo la «forma di governo», cioè l’elezione diretta del premier, ma pure il tema-giustizia. Che porta con sé i processi del premier e i suoi tentativi disperati di cancellarli con qualche legge «ad personam». Se la maggioranza insiste (per Cicchitto riforme e giustizia sono «come due binari, se si divaricano il treno deraglia»), finisce che non se ne fa più nulla. Per evitare equivoci, Bersani sceglie una strada astuta: pone come condizione che Berlusconi si rimangi il «processo breve». Sa già la risposta, «non se ne parla nemmeno». Semmai la discussione in corso da quelle parti è se il processo breve sarà sufficiente a salvare il Cavaliere dai magistrati. Tra i «pasdaran» berlusconiani c’è addirittura chi spinge per qualche ulteriore marchingegno giuridico perché il processo breve non basta (ma Bonaiuti, interpellato, nega che la mente creativa di Ghedini sia all’opera in tal senso). Dunque niente giustizia nella mozione del 2 dicembre. Il Pd sarà attaccato lo stesso da quanti dicono che «con Berlusconi non si tratta mai e su nulla, per principio». In compenso Bersani mette il cappello sulle riforme possibili. Spezza le catene che lo fanno apparire prigioniero politico di Di Pietro. Lancia un amo allettante ai centristi moderati. Offre una sponda tatticamente utile alle rare «colombe» della maggioranza. E non è un caso che il passo sulle riforme, benedetto dal presidente della Repubblica, applaudito da Schifani, sia stato concordato riservatamente nei giorni scorsi con Gianni Letta. Vale a dire con il protagonista immancabile di tutte le transazioni. Vuoi che Letta non ne abbia parlato con Berlusconi? Il Cavaliere, scettico, pare gli abbia dato via libera, «proviamoci», dialogare con l’opposizione male non fa. Anche perché il suo vero cruccio rimane la maggioranza. La minaccia di elezioni è rinfoderata tanto che Schifani, il quale si era spinto parecchio avanti sulla linea del Capo, ne prende atto: «La maggioranza è coesa, come dice il premier, per cui si va avanti senza il voto». Eppure sarebbe eccessivo parlare di pace con Fini. Chi va a trovare Berlusconi continua a raccogliere sfoghi furiosi contro i giudici, contro Veronica («Vuole portarmi via quello per cui ho lavorato tutta una vita») e contro il presidente della Camera, fonte di grande amarezza. Al massimo tra i due, precisa chi frequenta il premier, ci si può attendere una tregua armata. Gli scontri sono sospesi, ma potrebbero riprendere da un momento all’altro. da unita.it Titolo: UGO MAGRI Giustizia, Berlusconi pensa a un proclama (sarà flop ci pensi bene) Inserito da: Admin - Novembre 24, 2009, 06:12:11 pm 24/11/2009 (7:23) - RIFORME - MURO CONTRO MURO
Giustizia, Berlusconi pensa a un proclama Ma Bonaiuti smorza i toni: non ci sarà nessun appello tv UGO MAGRI INVIATO A DOHA E’ più forte di lui: non appena vede i giornalisti, ormai Berlusconi s’incupisce, gonfia il collo, contrae la mascella. Niente più battute scherzose tipo «sempre in giro a divertirvi, eh?», adesso solo fastidio per le domande che lo riportano inesorabili alle beghe italiane. Questi malumori sono premessa indispensabile per intendere certe sue battute smozzicate, equivoche sulla giustizia, rimbalzate dal Qatar a Roma nel bel mezzo dello scontro tra il Guardasigilli e i magistrati sul «processo breve». Qualcuno le legge come l’annuncio di imminenti proclami al Paese, il Cavaliere che si presenta in televisione a reti unificate, oppure fa irruzione in Parlamento e da lì tenta l’ultima delle forzature... Magari c’è anche questo, nella mente del premier, chi può escluderlo? L’uomo si sente braccato. E’ ai confini della sopportazione. Il suo amico produttore del cinema Tarek Ben Ammar, che nel viaggio in Arabia lo segue passo passo, ne interpreta lo stato d’animo: «Provate a mettervi nei suoi panni, invece di essergli riconoscenti lo attaccano da tutte le parti, chiunque al suo posto reagirebbe allo stesso modo». Per non dire della sfera privata con il divorzio di Veronica, e le liti tra i figli, e la divisione del patrimonio, e niente più feste con Apicella, e addio weekend in Sardegna, «mi hanno perfino tolto il piacere di coltivare le piante grasse», protesta con i fedelissimi il premier. La frustrazione si aggrava quando Silvio si muove all’estero. Riverito come una rockstar (tale lo proclama beffarda la rivista-cult «Rolling Stones» per la sua vita sopra le righe) prima a Gedda poi a Doha, l’altra sera cena col Re, ieri con l’Emiro, consultato come un guru delle cose mondiali, portato in barca ad ammirare l’isola artificiale che qui stanno costruendo a tempo di record per farci su un quartiere di grattacieli e centinaia di negozi (quanta invidia del Cavaliere, «sembra davvero di stare dall’altra parte del mondo rispetto all’Italia dove permangono difficoltà per operare e costruire»). Tutto gli sembra così scintillante e dinamico. Finché, appunto, torna in hotel e si trova davanti i cronisti. Smorfia del premier. Domanda su Brunetta che accusa Tremonti. «Non c’è nulla di meno che quieto», prova a minimizzare, «è l’esternazione di un ministro, rimane nell’ambito di una dialettica che meglio sarebbe se fosse soltanto interna...». Domanda numero due sull’opposizione che lo attacca, «a loro io non rispondo mai», fa per andarsene e arriva il quesito sulla giustizia. «Non voglio parlare di queste cose», sbuffa: «Ci sarà il momento più opportuno per spiegare agli italiani qual è la situazione in cui siamo». Rullo di tamburi, il Cavaliere prepara il proclama... Se però fa fede il portavoce del governo, Berlusconi non ha in mente alcun appello televisivo. Bonaiuti lo nega categorico, informa che la strada maestra rimane il «processo breve», Alfano ci sta lavorando sodo, il premier l’ha sentito al telefono da Doha, tutto procede come previsto, non c’è motivo alcuno per alzare i toni. Per fare il diavolo a quattro c’è sempre tempo, specie se Napolitano negherà la promulgazione, ma adesso è presto: tra qualche mese si vedrà. E per «spiegare al Paese» magari basterà un semplice «Porta a porta». Un’ora di confronto Come anticipato dal Presidente della Repubblica, e auspicato del presidente del Senato, si è svolto ieri un colloquio al Quirinale tra Napolitano e Schifani. Il «faccia a faccia» risolve così l’incidente generato dalle parole di Schifani della settimana scorsa: «Senza maggioranza, si va al voto» aveva detto l’inquilino di Palazzo Madama, paventando elezioni anticipate. Napolitano, in trasferta in Turchia, disse che non era «ossessionato da un incontro con Schifani, ma che tornato a Roma avrebbe valutato». E così ieri il colloquio durato un’oretta, nel corso del quale Napolitano ha riaffermato le proprie prerogative, anche in materia di scioglimento delle Camere. Per il resto, le due cariche istituzionali hanno parlato di giustizia, anche se brevemente visto che il testo sul processo breve giace ancora in Parlamento, e di riforme. Napolitano e Schifani hanno discusso a lungo sul calendario dei lavori del Senato di fine anno ed entrambi hanno molto apprezzato il clima bipartisan che ha accompagnato la decisione di incardinare e far ripartire a breve in Senato il lavoro sulle riforme, con priorità per quelle condivise fra maggioranza e opposizione. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI UN VENERDI' DI PASSIONE Inserito da: Admin - Novembre 28, 2009, 03:41:07 pm 28/11/2009 (7:22) - UN VENERDI' DI PASSIONE
La lunga giornata del premier Dopo le voci, arriva la smentita Berlusconi disdice gli impegni Bonaiuti: «Nessun avviso di garanzia» UGO MAGRI ROMA Somma è l’agitazione intorno al premier per l’avviso di garanzia: arriva, non arriva, forse sta viaggiando dalle procure anti-mafia... L’entourage del premier è sommerso dalle telefonate, il picco intorno alle tre del pomeriggio quando si diffonde la notizia che Berlusconi non va più a L’Aquila, rinuncia all’ennesima passerella davanti alle telecamere perché lo bloccano non meglio precisati «impegni istituzionali». Che sarà mai? Una convocazione sul Colle da parte di Napolitano? Escluso. I rapporti tra i due sono così freddi, talmente gelidi che perfino Letta viene informato del monito presidenziale quando già lo conoscono tutti. Né si può dire che Berlusconi prenda bene quell’invito salomonico alla calma, perché «i toni dovrebbero abbassarli per primi i magistrati che mi attaccano in televisione, io di mafia mi sono occupato solo per storielle», di cui ha dato un saggio raccontandone alcune a una cena con degli imprenditori. No, nessun impegno istituzionale. Ecco spargersi dunque la voce, sempre più eccitata, dell’avviso di garanzia: il Cavaliere asserragliato nel bunker di Palazzo Grazioli perché non sa che pesci prendere, è lì coi suoi avvocati che studia la strategia... Alle sette di sera Bonaiuti interviene, «escludiamo nel modo più deciso che sia in arrivo un qualsiasi atto correlato alle indagini di Firenze e Palermo. Non esiste. È fin troppo facile smentire ciò che non c’è» assicura il portavoce (il che non esclude un’iscrizione nel registro degli indagati per mafia). Pare ci siano state delle verifiche, si sarebbe mosso Ghedini, lo stesso avrebbe fatto il ministro Alfano ricevendo smentite dalle procure che contano, notizie di grande sollievo per il Cavaliere sulle spine. Tanto che a sera chi gli parla lo trova di buon umore, quasi pimpante. C’è però chi, ai vertici del partito, non sembra altrettanto ottimista. Cicchitto, ad esempio, diffida per principio. E tanti come lui pensano che qualche agguato si sta preparando, «se non è oggi sarà domani, il circo mediatico-giudiziario non molla certo la presa». Nel qual caso la reazione del premier sarebbe violenta, disperata. Pretenderebbe una difesa a spada tratta dal governo, dal partito, dagli stessi vertici istituzionali. E se non bastasse, ecco Berlusconi pronto a sganciare l’atomica: dimissioni in massa dei deputati e dei senatori, con Giorgio Napolitano obbligato a sciogliere il Parlamento senza nemmeno passare per le consultazioni di rito. Uno scenario che parte del Pd sta valutando, e che spinge il segretario alla massima prudenza perché non c’è progetto berlusconiano di cui Bersani sia all’oscuro. E che guaio sarebbe farsi sorprendere dal Cavaliere impreparati, in mezzo del guado. Ogni qualvolta Berlusconi sembra groggy, eccolo dare il meglio. Due sganassoni a Fini l’altra sera lo riportano al centro del ring. Si apprende ora che la mossa del premier era stata studiata con cura: s’era chiamato ad uno ad uno tutti i personaggi più in vista di An ponendo loro un aut-aut, «o con me o con Gianfranco». Al fianco del rivale sono rimasti Granata, la Perina, forse Bocchino, così perlomeno dicono fonti informate. Difficile che riescano a stoppare la sua immensa voglia di vendetta contro le toghe. Fini abbozza, evita di reagire, aspetta che venga il momento. Nel frattempo Berlusconi esercita, dopo mesi, un briciolo di controllo. Prova ne sia il Consiglio dei ministri ieri mattina. Incredibile: nemmeno l’ombra di una lite... Brunetta mogio a testa bassa, Tremonti affettuoso col premier, e Bossi con la mano carezzevole sulla spalla di Silvio, come a dire «qui ti proteggo io». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Sondaggio per Berlusconi, Il 70% non crede a Spatuzza Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2009, 10:20:48 am 10/12/2009 (7:7) - RETROSCENA
Sondaggio per Berlusconi, Il 70% non crede a Spatuzza La vera preoccupazione è la sorte giudiziaria dell'amico Dell'Utri, ieri dal presidente della Camera Ma sul “legittimo impedimento” teme un nuovo stop di Fini UGO MAGRI ROMA Piccolo azzardo del Cavaliere: diserterà entrambe le votazioni su Cosentino, il sottosegretario di Tremonti che i magistrati vorrebbero vedere in manette. Ha scelto di fidarsi della sua maggioranza. Anche a scrutinio segreto. Magari stasera se ne pentirà amaramente, però i segnali che gli arrivano da Montecitorio sono tutti dello stesso segno, non ci saranno agguati di «franchi tiratori» sebbene molti alleati ne avrebbero voglia, in particolare nella Lega e chiaramente i finiani. Che però si sentono osservati speciali, l’eventuale arresto del sottosegretario verrebbe politicamente addebitato a loro, il centrodestra si trasformerebbe in un ring. Letteralmente. Scherza (ma non troppo) il capogruppo Pdl Cicchitto: «Se tra di noi qualcuno fa il furbo, è la volta che gli metto le mani addosso...». Dunque stamane all’alba Berlusconi volerà a Bonn per il congresso del Partito Popolare Europeo (Ppe) dove Fini non l’hanno neppure invitato, pare che il presidente della Camera ci sia rimasto un po’ così. E invece di rientrare di corsa a Roma per Cosentino, come in origine aveva programmato di fare, il presidente del Consiglio punterà su Bruxelles, sede del Consiglio europeo. Se gli va liscia, è un segnale di ritrovata tranquillità, la sirena del cessato allarme. Già festeggia il portavoce Bonaiuti: «Sono andate deluse le speranze di quanti a sinistra rincorrevano la soluzione giudiziaria...». A rincuorare il premier provvede l’ultimo dei suoi sondaggi riservati che ogni settimana gli produce Euromedia Research. Il 70 per cento degli italiani pare non creda a una sola parola di quanto sostiene il pentito Spatuzza, definito da Gasparri «acronimo di spazzatura», bombardato da Vespa nell’ultima puntata del «Porta a porta». Domani per conferma a Palermo verranno sentiti i fratelli Graviano, ma qualunque cosa i boss di Brancaccio potranno dire sulle stragi del ‘93 non verranno creduti, così perlomeno scommette speranzoso il premier. Seria preoccupazione semmai è Dell’Utri, ieri ricevuto da Fini per uno scambio di strenne natalizie durato sette minuti d’orologio (53 quelli di anticamera): raccontano a Palazzo Grazioli che Silvio sia molto partecipe del caso processuale di Marcello e in grave apprensione per il dramma umano. Pure Previti, altro vecchio sodale, era stato condannato. Ma qui si parla di mafia, forse di carcere, altro che di affidamento ai servizi sociali. Berlusconi non può preoccuparsi egoisticamente (sospetto molto diffuso) di salvare solo se stesso. Da qualunque parte la si giri, l’intera dialettica politica ruota intorno allo scudo per difendere il Cav. Tra Pdl e Pd qualcosa sotto sotto si sta muovendo, in modo assolutamente top secret. Però l’intesa ancora non c’è. «Qualcuno nel Pd ci starebbe pure», racconta chi frequenta il premier, «ma Bersani tentenna, tra l’altro come capogruppo ha dovuto mettere Franceschini, che non ci sembra l’interlocutore più adatto». Se il prezzo politico dovesse consistere nella rinuncia al «processo breve», Berlusconi lo pagherebbe seduta stante: in fondo troppi sono i dubbi di costituzionalità, i magistrati annunciano mobilitazioni, lunedì il Csm darà il colpo di grazia. Il vero asso di Berlusconi si chiama «legittimo impedimento», niente udienze in tribunale fintanto che resta in carica. Quattro le proposte di legge che la Commissione giustizia di Montecitorio ha già iniziato a discutere, la settimana prossima si arriverà forse a un testo unificato. Purché il presidente della Camera non si metta pure qui di traverso. Fini non ha digerito lo stop al progetto di cittadinanza per gli immigrati. E ha dato disposizione ai suoi di frenare, come ritorsione, l’esame del legittimo impedimento. Che arriverà in aula a fine gennaio, annuncia Giulia Bongiorno, con la speditezza di una tartaruga. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'asso di Berlusconi: fiducia a Bersani Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2009, 10:23:29 am 20/12/2009 (6:58) - RIFORME - LA TATTICA DEI PARTITI
L'asso di Berlusconi: fiducia a Bersani Cambio di strategie del premier: «Con Pier Luigi possibili intese» UGO MAGRI ROMA La scelta strategica sta maturando. Berlusconi pare convincersi che il suo destino non dev’essere per forza quello del Caimano. Affrontando a morsi i nemici può sgominarli una, due volte, ma fatalmente verrebbe l’ora della sconfitta, e sarebbe tragica, come nel film di Moretti. Senza scomodare la Buonanima o Bettino, l’aggressione ha fatto vivere fisicamente al premier l’odio che parte della sinistra nutre verso di lui. Gli ha spalancato gli occhi. Nello stesso tempo lascia intravedere al Cavaliere una via d’uscita più degna, onorevole. Che all’atto pratico s’incarna nella bonomia emiliana disincantata e sorridente di Pierluigi Bersani: finalmente, s’è detto Berlusconi, un potenziale vero interlocutore dall’altra parte. Venerdì sera a cena, in un consesso di amici, ha scoperto le carte: «Con Bersani penso di potermi fidare. Mi sembra ragionevole, dialogante. E pure lui ha interesse a riformare la giustizia, gli serve per non farsi sbranare da Di Pietro. Ho intenzione di provarci sul serio». E sarebbe una grande svolta, poiché il vero ostacolo a qualunque colloquio coi nipoti di Togliatti finora era stato Berlusconi medesimo. Con i suoi sbalzi d’umore. Con quelle sbandate incontrollabili che D’Alema ha sperimentato sulla propria pelle, e di recente pure Veltroni. Se il dubbio nel Pd è «faremo la stessa fine?», il Cavaliere sa che questo è l’ultimo treno, non gli saranno concesse altre chances. Per cui sta apparecchiando un percorso politico dove la massima urgenza, forse addirittura prima delle leggi «ad personam», diventa quella di isolare gli «odiatori» e restaurarsi l’immagine: da qui l’irritazione manifestata a cena nei confronti del direttore generale Rai, reo di non aver messo alla porta i Santoro, i Travaglio e tutti i comici che gli guastano la reputazione. In cambio di un altro clima, Berlusconi pare orientato a gesti concreti. Si interroga, ad esempio, se è ancora il caso di trasformare le prossime Regionali in un referendum su se stesso, drammatizzandolo al parossismo. Col risultato magari di strappare alla sinistra una Regione in più, ma di affondare l’unico personaggio, da quelle parti, disposto a dargli retta: cioè Bersani. Gettarsi in prima persona nella campagna elettorale, metterci la faccia, o lasciare che se la vedano il partito e i candidati vari? La seconda ipotesi sembra, di ora in ora, la più gettonata. Non a caso, il Cavaliere ha concesso la massima autonomia in materia ai suoi tre coordinatori nazionali. E ha dato piena fiducia a Fitto, il quale se la vedrà lui con Casini per trovare un candidato comune in Puglia, casomai il Pd dovesse confermare Vendola. Tutti ragionamenti che Berlusconi ha trovato superfluo sviluppare ieri con Bossi, Tremonti, Cota e Calderoli, accolti verso sera a Villa San Martino dopo una giornata trascorsa, informa Bonaiuti, «nuovamente al lavoro, tra telefonate, visite e studio di dossier». Come sempre quando arriva l’Umberto, gare di barzellette, canzoni dialettali, grande allegria ruspante. La Lega è al settimo cielo per le storiche candidature di Cota in Piemonte e di Zaia in Veneto (quest’ultima decisa ieri). L’accordo col Pdl è stato messo addirittura nero su bianco: come in un protocollo notarile con tanto di firme in calce dei coordinatori berlusconiani da una parte, di Calderoli dall’altra. Vi si prevede quanti assessori andranno ai due partiti in caso di vittoria. E si stabilisce che il ministero di Zaia (le Politiche agricole) verrà riciclato dopo le elezioni. Se la Lega vince in entrambe le Regioni, passerà allo spodestato Galan. Viceversa, se lo terrà ben stretto il Carroccio. E a Galan il premier dovrà trovare posto in qualche ente di Stato. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Frattini: "Se vogliamo cambiare l'Italia serve una nuova Costituente" Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2009, 10:39:16 am 21/12/2009 (7:10) - INTERVISTA
Frattini: "Se vogliamo cambiare l'Italia serve una nuova Costituente" Il Ministro degli Esteri avverte: «E' giunta l'ora delle riforme» UGO MAGRI Per le riforme, ministro Frattini, davvero è arrivata l’ora? «E’ più che mai il momento. Vedo due fenomeni preoccupanti. Un’Italia che non sa parlare con una sola voce sui grandi temi internazionali, che spesso si è divisa agli occhi del mondo». Non è bello. «Proprio no. E poi vedo in azione delle minoranze politiche coalizzate tra loro al solo scopo di creare divisioni e lucrare sui contrasti tra i partiti maggiori: penso anzitutto a Di Pietro». In questo clima sembra arduo parlare di riforme condivise... «Ragione di più per avviarle, e per trovare il modo di mettere il loro cammino al riparo dalle diatribe del giorno per giorno. Esistono diversi modi praticabili, ci si sta ragionando». Qualche ex socialista rilancia la Costituente. Cossiga se ne fa portavoce. Che gliene pare? «E’ un’idea interessante proprio perché limita i contraccolpi che la lotta politica quotidiana può avere sul dialogo per le riforme. Ma soprattutto perché una formula costituente consente di mettere in campo il sistema paese, di impegnare nell’impresa tanto la politica quanto la società civile». Scusi, che c’entra la società civile? «Sarebbe un valore aggiunto. Proviamo a rispondere a questa domanda: come si fa ad affrontare il nodo del federalismo costituzionale senza coinvolgere le Regioni, il mondo delle autonomie territoriali? Ancora: come si giudica possibile delineare un nuovo quadro costituzionale sul diritto al lavoro senza ascoltare le parti sociali?». A proposito di sociale: Bersani propone un’apposita sessione parlamentare sull’argomento. Che gli risponde? «Io credo che sia uno dei capitoli da inserire nel grande mosaico delle riforme. Nel momento in cui l’Europa ci chiede di mettere al centro la competitività e la crescita, come si ritiene possibile trascurare l’apporto dei sindacati, delle imprese, dei risparmiatori? La politica e i partiti devono restare ovviamente protagonisti. Ma a mio avviso serve un respiro più ampio, che dia voce a tutte le principali componenti del sistema Italia». E lei crede davvero che siamo in tempo per mettere in moto un processo del genere? «Non siamo ancora arrivati a metà legislatura. Il tempo è sufficiente se non fa difetto quella volontà politica che, all’epoca della Bicamerale, a un certo punto mancò. Se i grandi partiti, Pdl e Pd, prendono in mano l’iniziativa. Se l’Udc non farà mancare il suo consenso...». E la Lega? La lasciamo fuori? «Al contrario. Nel momento in cui puntassimo a coinvolgere le autonomie territoriali, per costruire il federalismo costituzionale dal basso, sono sicuro che avremmo Bossi fortemente a favore di una simile svolta». Meglio partire dalla «bozza Violante», lasciata in eredità dalla scorsa legislatura, o ricominciare daccapo? «C’è un problema di metodo. La bozza Violante nacque alla Camera dalla Commissione Affari Costituzionali, e le grandi voci esterne al Parlamento non vennero ascoltate. Se noi oggi volessimo avviare un percorso sganciato dalle risse della politica quotidiana e attento alle voci del paese reale, quella base di partenza non basterebbe più». Come si potrebbe aggirare il macigno giustizia? «Non può essere aggirato. Stop. Perché rappresenta la cartina al tornasole di tutte le riforme. E’ difficile immaginare una nuova architettura istituzionale se non si sviluppa in modo equilibrato il rapporto tra potere politico e potere giudiziario. Né è possibile creare un autentico sistema federale senza modificare almeno in parte la composizione della Corte costituzionale». In che modo? «La Bicamerale guidata da D’Alema aveva individuato un meccanismo innovativo che introduceva un’importante aliquota di giudici costituzionali indicati dalle Regioni. Lo ricordo a titolo di esempio per mostrare come la giustizia non possa essere una zona franca impermeabile alle riforme». Non vede il pericolo che i tentativi di dialogo vengano stroncati dalla imminente campagna elettorale? «Purtroppo il pericolo c’è. Ma credo che Pdl e Lega debbano assumersi il rischio di un’offerta politica lungimirante. In modo da lasciare agli altri, eventualmente, la responsabilità di far cadere una proposta politica di così grande rilievo». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Mossa di Pd e Pdl "Torni l'immunità" Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2010, 04:56:49 pm 7/1/2010 (7:8) - RETROSCENA
Mossa di Pd e Pdl "Torni l'immunità" Disegno di legge al Senato presentato da entrambi i poli UGO MAGRI ROMA L’hanno presentato senza clamore, e in pochi finora se ne sono accorti. Ma ai piani alti del Palazzo non lo perdono d’occhio perché fissa un metodo «bipartisan» destinato, forse, a grandi sviluppi. Si tratta del disegno di legge numero 1942, trasmesso il 17 dicembre alla presidenza del Senato col titolo «Modifica dell’articolo 68 della Costituzione, in materia di immunità dei membri del Parlamento». Sostanzialmente propone di riportarla in vita. Non nella stessa identica versione spazzata via da Tangentopoli sedici anni fa, ma secondo un criterio appena più rispettoso dell’autorità giudiziaria. Anziché obbligare il pm a chiedere l’autorizzazione preventiva per svolgere le indagini sugli «onorevoli» (nella Prima Repubblica veniva puntualmente negata), questa nuova proposta lascerebbe procedere il magistrato senza mettergli i bastoni tra le ruote fino alla soglia del rinvio a giudizio. Dunque permetterebbe di ravanare a fondo sul comportamento del deputato (o del senatore) e di giungere ad accertamenti che, inutile dire, verrebbero comunicati passo passo all’opinione pubblica. Solo al momento di tirare le conclusioni la Camera (o il Senato) potrebbero intervenire. Come? Votando di propria iniziativa l’eventuale sospensione del processo per l’intera durata del mandato parlamentare. Un atto impegnativo, di cui la maggioranza si assumerebbe la responsabilità politica, che andrebbe ben motivato davanti al Paese. L’idea non è inedita. Riprende pari pari una pensata di Tonino Maccanico (grand commis della Repubblica, più volte ministro) che nel 1993 il Senato aveva addirittura approvato, ma non era stata convertita in legge dalla Camera per effetto della rivoluzione dipietrista, dei proclami di Mani Pulite, delle monetine a Craxi e tutto il resto. A riportarla in auge sono ora due senatori «garantisti», Franca Chiaromonte e Luigi Compagna. L’aspetto più ragguardevole è che la prima appartiene al gruppo Pd, il secondo al Pdl. Lei, figlia di Gerardo, compianto dirigente nazionale del Pci; lui, rampollo di Francesco, per gli amici Chinchino, repubblicano e grande meridionalista. Non risulta che abbiano chiesto l’«imprimatur» dei rispettivi partiti. Però si faticherebbe a considerarli degli sprovveduti, e prima di lanciarsi nell’avventura entrambi (specie la Chiaromonte) hanno fatto qualche verifica in casa propria. Tutto fa pensare che, nei prossimi giorni, non mancheranno contatti bipartisan ai massimi livelli. Berlusconi deve definire la sua strategia sulla giustizia, appena tornerà a Roma riunirà i vertici del partito per mettere un po’ d’ordine, come insiste da giorni il presidente dei suoi senatori Gasparri. E manderà avanti questo o quel provvedimento, dal «processo certo» al «legittimo impedimento», a seconda delle risposte che otterrà dall’altra sponda. Qui s’inserisce la proposta Chiaromonte-Compagna. Secondo il senatore Quagliariello, che del berlusconismo è la mente giuridica, «questo disegno di legge potrebbe rappresentare, almeno sulla carta, una valida alternativa al cosiddetto Lodo Alfano», di cui egli stesso sta studiando la nuova formulazione costituzionale, da presentare nei prossimi giorni a Palazzo Madama. Se il Pd davvero ci stesse, il contestatissimo Lodo finirirebbe nel cassetto. E «molta acqua verrebbe gettata», tende la mano Quagliariello, «su fuoco dello scontro tra politica e giustizia». Il Cavaliere aspetta segnali. Molto ha apprezzato certe aperture della Finocchiaro e ieri del dalemiano Latorre. Però non le giudica ancora sufficienti, vuole conferme dalla conferenza stampa di Bersani annunciata per oggi. Con Bonaiuti, portavoce berlusconiano, che suona una serenata. E paragona il segretario Pd a un fiume carsico: si inabissa per salvare il dialogo e rilanciarlo al momento buono, dopo le Regionali... da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI "È l'unico modo per difendermi" Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2010, 05:19:10 pm 13/1/2010 (7:17) - RETROSCENA
"È l'unico modo per difendermi" In cambio del via libera al decreto, il Pdl può rinunciare al processo breve UGO MAGRI ROMA Tutto quanto sta scuotendo il Palazzo, compreso il decreto «blocca-processi» che il governo mette in campo, risulta inspiegabile senza un’occhiata al foglio che da giorni Berlusconi si gira e si rigira tra le mani. Porta un’intestazione: «Udienze già fissate avanti al Tribunale di Milano nei processi cosiddetti Mills e Diritti Mediaset». Sono incolonnate e suddivise per mese. Si incomincia con venerdì prossimo (Mills), poi viene lunedì 18 (Diritti), quindi si salta al 25 gennaio (ancora Diritti), di lì a venerdì 29 e a sabato 30 (Mills). Fino al giorno delle elezioni regionali, che si terranno il 28 marzo e come sempre saranno un referendum sul Cavaliere, il quale se perde si mette nei guai, vincere resta la sua condanna, di qui ad allora dunque sono ben 23 le convocazioni del premier davanti ai giudici: 5 volte entro gennaio, 9 a febbraio, altrettante in marzo prima delle elezioni... Ecco come e perché nasce il dramma politico di queste ore. Berlusconi si trova nell’insostenibile posizione di giocare a rimpiattino coi magistrati per i prossimi tre mesi, inventandosi volta a volta impegni di governo che ne giustifichino l’assenza. O viceversa, deve prendere il coraggio a due mani e presentarsi davanti ai giudici, come farebbe qualunque cittadino senza responsabilità di governo. Un dilemma di cui si discute animatamente nello staff del Cavaliere, poiché ciascuno dei due corni comporta rischi politici mortali. Berlusconi, se cedesse all’istinto, sceglierebbe decisamente il colpo di teatro. Senza preavviso, andrebbe almeno una volta in Tribunale a difendersi. Confida in privato che «sarebbe l’occasione buona per far sentire la mia voce, per spiegare al Paese come stanno davvero le cose e dimostrare a tutti tanto l’infondatezza delle accuse, quanto la persecuzione di cui sono vittima». Abile come nessuno nella comunicazione, tenterebbe di rovesciare i ruoli, ergendosi a giudice di chi prova a condannarlo. Ma soprattutto, contrasterebbe l’immagine data finora, di premier costretto a inventarsi lunghi viaggi oltremare o improbabili tagli di nastro pur di sottrarsi alla giustizia. Però Ghedini sconsiglia il blitz in Tribunale. Da avvocato, gli vengono i brividi al solo pensiero dei guasti che uno show provocherebbe sul piano processuale. Altro conto sarebbe frequentare le udienze, tutte però, non una soltanto. Come fece ad esempio Andreotti. Ma Giulio era già senatore a vita. Berlusconi, viceversa, non se lo può permettere, e lui stesso lo riconosce: «Dicono che mi dovrei difendere nei processi e non dai processi. D’accordo. Allora prendo il calendario in mano, e ne devo dedurre che dovrei smettere di governare...». Mostra il foglio ai suoi interlocutori: «Visto? Ci sono settimane addirittura con 3 udienze. Ma per partecipare ai processi bisogna studiarsi prima le carte. Ho fatto portare da Ghedini ad Arcore tutti i faldoni, occupano un tavolo intero... E allora, per essere davvero presente in Tribunale, io non dovrei fare altro nella vita». Ecco il dilemma impossibile del premier: scappare (non può più) o difendersi (nemmeno). Ed ecco perché, misurando l’impraticabilità dell’una e dell’altra via, è spuntato fuori dal suo cilindro questo coniglio del decreto «blocca-processi», Napolitano permettendo e con la mediazione di Fini (i due co-fondatori del Pdl si vedranno domani a pranzo): per Berlusconi, sarebbero tre mesi garantiti di tregua pre-elettorale. Qualcuno dice che in contraccambio il governo affonderebbe il «processo breve», cruccio del Colle. Può essere. Ma il premier non pare del tutto convinto. In mente ha un altro piano: far approvare il «processo breve» dal Senato in prima lettura, e poi tenerlo in caldo alla Camera fin dopo le Regionali, un po’ come «pistola puntata» contro i giudici, sempre pronta all’uso. Nel frattempo sarà andato avanti il «legittimo impedimento». E soprattutto, la Corte di Cassazione si sarà pronunciata sulle due condanne all’avvocato Mills. Anche qui, occhio alla data scritta sul foglietto: 25 febbraio. L’aspettativa del premier è che la Suprema Corte spazzi via l’intero processo. A via del Plebiscito coltivano la «ragionevole speranza». A quel punto, getta avanti lo sguardo Berlusconi, «potremo fare le riforme della giustizia con serenità, dopo le Regionali. E avremo quasi 3 anni di tempo, senza elezioni di mezzo, per riscrivere la Costituzione». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI E ora il Cavaliere sospetta un asse tra Fini e Casini Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2010, 11:56:14 am 16/1/2010 (7:12) - RETROSCENA
E ora il Cavaliere sospetta un asse tra Fini e Casini Stretta di mano tra Berlusconi e Fini in una foto d'archivio L'Udc con il Pdl solo in Campania e Lazio grazie al patto siglato con l'ex leader di An UGO MAGRI ROMA Come al solito, fiato sprecato. Quarantott’ore dopo il loro colloquio, Fini e Berlusconi divergono esattamente come se non si fossero mai chiariti. Il risultato è che tra qualche giorno rischiano di rompere davvero, in quanto mercoledì si riunisce il Gran Consiglio del partito, vale a dire l’Ufficio di presidenza rinviato per effetto dei dissapori. E lì, nel consesso dove di finiani se ne contano 4 su 37 membri, il Cavaliere intende mettere ai voti l’ultimo «casus belli»: vale a dire se fare o meno accordi con Casini alle Regionali di marzo. Silvio vuole sbarazzarsi dell’Udc, Gianfranco lo considera uno sciagurato errore ma le tante parole spese giovedì scorso hanno avuto l’unico effetto di rendere il premier ancora più sospettoso e determinato. Tutto nasce da certe carte che il fido Denis Verdini ha consegnato al Capo. Berlusconi le ha lette nella convalescenza, arrivando alla conclusione che Casini lo sta pigliando per i fondelli. «Lui finge di essere equidistante tra i poli», s’è sfogato il Cavaliere con Mastella recatosi a fargli visita, «in realtà nelle varie Regioni dà una mano a Bersani». L’Udc correrà per proprio conto in Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Emilia Romagna. Farà alleanze col Pd in 4 regioni dove il risultato è in bilico (Piemonte, Calabria, Liguria e Marche), più la Basilicata che fanno cinque. E potrebbero diventare 6, qualora Boccia diventasse il candidato Pd in Puglia. Viceversa col Pdl, lamenta il premier, 2 sole alleanze: in Campania dove, l’ha rassicurato Mastella, l’Udc neppure sarebbe determinante (candidato Pdl sarà il socialista Caldoro, c’è il via libera del rivale Cosentino), e nel Lazio per effetto dell’accordo stipulato con Fini sul nome della Polverini. Agli occhi di Berlusconi, una semplice «foglia di fico» che l’altro co-fondatore ha concesso all’amico Pier Ferdinando. Come mai tanta generosità? Fini gli ha già spiegato che sì, in effetti, Casini è condannabile. Però averlo amico nel Lazio è meglio che niente. Inoltre le Regionali non sono la fine della storia, poi verranno le Politiche, bisogna essere lungimiranti... Berlusconi invece ha la certezza: «Con Fini forse, ma con me Casini non tornerà mai più, queste alleanze alle Regionali ne sono la prova». Tanto vale, parte al galoppo, voltare pagina subito, senza concedere a Casini ulteriori vantaggi in termini di assessorati. Pare che il premier stia tornando a ragionare intensamente sul suo oggetto del desiderio: una legge sulla «par condicio» che spazzerebbe dalla tivù i partiti minori. «Tre mesi fa aveva quest’idea», confida La Russa, «poi gli è stato spiegato che non si può fare». Il dissenso strategico con Fini, in calendario mercoledì prossimo, verte precisamente su questi nodi, assai meno sugli spigoli caratteriali. Dunque non ha faticato Berlusconi, durante una passeggiata nel centro di Roma, a smentire la solita cascata di battute autolesioniste che gli vengono attribuite, tipo «con Fini serve la pazienza di Giobbe», oppure «io sono un imprenditore, sono abituato a decidere mentre Gianfranco mi vorrebbe costringere a eterne mediazioni». Il problema tra i due è ben più serio di un’«arrabbiatura». Casini, abilissimo, alimenta la discordia nel Pdl sventolando il drappo rosso davanti al Cavaliere. Lo punge, «tutti dicono no ai due forni ma poi mi chiamano per sapere dove metteremo il nostro pane»; lo ferisce, «io a lui non devo nulla, sono parlamentare dal ‘93, prima della sua discesa in campo...». Altra grana per Berlusconi: gli sta scoppiando Forza Italia. Le candidature più prelibate sono finite alla Lega oppure ai finiani. Per giunta il Cavaliere sta meditando di lanciare in Puglia un altra ex di An, la Poli Bortone, a costo di deludere il suo pupillo Fitto, il quale vorrebbe Palese o Di Staso. Ma il Capo li ha visionati entrambi e non ne se ne dice entusiasta. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il ddl votato ieri a Palazzo Madama serve solo come "pistola puntata" Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2010, 12:12:17 pm 21/1/2010 (7:19) - RETROSCENA
Il Pdl punta sull'immunità Il ddl votato ieri a Palazzo Madama serve solo come "pistola puntata" UGO MAGRI ROMA Il paradosso del «processo breve» è che andrà per le lunghe. Tanto fulminea è stata l’approvazione in Senato, quanto lenta e ponderata si annuncia la discussione a Montecitorio. Passeranno mesi. Addirittura circola una scommessa: questa legge finirà sul binario morto. O farà passi avanti solo dopo aver perso per strada il vagone più traballante, la norma transitoria che vuol mettere Berlusconi al riparo dalle condanne. Questo si sostiene tra gli addetti ai lavori. Nel giro del Cavaliere non solo la previsione dei tempi biblici è confermata, ma si aggiungono ulteriori dettagli. Poi, come al solito, in pubblico viene argomentato il rovescio. E sulla sinistra c’è chi finge di credere alla propaganda berlusconiana perché i «falchi» di qua si appoggiano ai «falchi» di là. Ma al netto delle ipocrisie, il «processo breve» serve al premier ormai solo come ruota di scorta o (come dice lui stesso lontano dai microfoni) quale «pistola puntata» contro magistratura e alti vertici istituzionali, casomai dovessero negargli la vera ciambella di salvataggio, cioè il cosiddetto «legittimo impedimento». Proprio da qui occorre partire. L’idea di motivi legittimi per disertare i processi è alquanto spericolata. Chi l’ha proposta, il centrista Vietti, la paragona a «un ponte tibetano» sospeso sull’abisso. Il premier dovrebbe camminarci sopra per 18 mesi, tempo necessario ad approvare una riforma della Costituzione che introduca certe guarentigie per le alte cariche dello Stato. A tal fine verrebbero rinviate per legge le udienze dei processi di Berlusconi ogni qualvolta il premier fosse, per l’appunto, impedito. Vietti suggerisce casi molto tassativi. Invece gli avvocati vorrebbe allargare le maglie fino a ricomprendere, come impedimento legittimo, «ogni altra attività legata alle funzioni istituzionali», concetto generico assai. Seguendo la metafora di Vietti, sarebbe come far transitare un elefante sul ponticello: forzatura contro cui potrebbe accanirsi la Corte Costituzionale. La Consulta, si sa, è la bestia nera del Cavaliere. Già gli ha bocciato il Lodo Alfano. E nelle motivazioni della sentenza ha gettato le basi per concedere il bis su un eventuale nuovo Lodo riproposto con legge costituzionale. Che difatti Quagliariello, stratega berlusconiano incaricato della questione, si è ben guardato finora dal presentare, e forse nemmeno lo farà. In pratica la Corte, facendo leva sull’articolo 3 della Carta repubblicana (tutti i cittadini «sono eguali davanti alla legge»), potrebbe respingere ogni modifica della Costituzione stessa che fosse a esclusivo vantaggio del Cavaliere. Prende forza dunque la tesi di lasciar perdere il Lodo e di metter mano semmai all’articolo 68, iniettando nel sistema qualche dose di immunità parlamentare, come del resto esisteva fino al ’93. La Consulta, è il ragionamento berlusconiano, non oserà dichiarare incostituzionale un testo scritto di loro pugno dai Padri costituenti... Partita intricata, comunque. Ecco perché il «processo breve» resterà a bagnomaria. Potrà tornare utile al premier qualora il «legittimo impedimento» dovesse trovare ostacoli non da parte di Napolitano, che lo firmerebbe, ma della Consulta. In quel caso basterebbe un attimo a riprendere il testo già votato a Palazzo Madama. Se invece andrà in porto il «legittimo impedimento», «processo breve» addio: Berlusconi l’ha confessato, sarebbe il primo a non nutrire rimpianti. Del resto Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, invita come Mao a non distinguere tra gatto bianco o nero, «l’importante è che acchiappi il topo della giustizia politica di cui dobbiamo liberarci per sempre». E Quagliariello, a chi contesta gli zig-zag della maggioranza sulla giustizia, replica secco: «Siamo finalmente sulla strada giusta. Non è stato facile individuarla. E del resto, se lo fosse, non staremmo qui a parlarne da 15 anni...». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini e Silvio mandano la legge in soffitta Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2010, 09:49:39 am 22/1/2010 (7:19) - RETROSCENA
Fini e Silvio mandano la legge in soffitta Trovata l'intesa: il Pdl punta sul legittimo impedimento UGO MAGRI ROMA Può sembrare grottesco, forse lo è: nel mentre esatto che sulla pubblica arena volavano insulti anche pittoreschi tra governo e opposizione (per non dire tra ministro Guardasigilli e sindacato delle toghe), in quel preciso istante a tavola, nell’atmosfera ovattata dell’Hotel de Russie dietro Piazza del Popolo, si celebrava ieri la messa da requiem del «processo breve», madre di tutte le discordie. Veniva pattuito di comune accordo, senza sfumature apprezzabili tra Berlusconi e Fini, che la legge appena approvata in Senato verrà subito inghiottita dalla Commissione giustizia della Camera. E lì se ne perderanno le tracce, quantomeno per i prossimi due mesi. Poi, una volta celebrate le elezioni regionali in data 28 marzo, pigramente l’Aula procederà all’esame dell’articolato. Viene dato per certo che ci saranno delle modifiche, magari addirittura il «processo breve» verrà purgato della norma «ad personam» che cancella i due processi del premier. Col risultato che la legge (a quel punto senza più clamore, è chiaro) verrà rispedita alla casella del «via», cioè in Senato, senza nemmeno escludere un quarto passaggio parlamentare... Insomma, non se ne farà più nulla. Tranne che nell’ipotesi molto d’emergenza in cui Berlusconi si ritrovasse completamente inerme davanti ai giudici milanesi, privo di qualunque altro scudo contro le condanne incombenti. In quel caso basterebbe un attimo per riaprire il cassetto, tirarne fuori la legge già timbrata da un ramo del Parlamento e approvarla seduta stante. Sarebbe la classica ciambella di salvataggio, il Cavaliere stesso potendo eviterebbe di restarvi aggrappato poiché si rende conto dello sconquasso per l’intero sistema della giustizia. Ma si tratta di un rimedio da ultima spiaggia. La rotta tracciata ieri nel pranzo tra Berlusconi e Fini punta semmai sul «legittimo impedimento», l’altro cavillo escogitato per legare le mani ai giudici milanesi. La sostanza è che non potranno tenersi udienze ogni qualvolta il premier sarà impedito, appunto, da impegni istituzionali. Lunedì la legge arriverà in Aula alla Camera. Sette giorni di rinvio per definire gli emendamenti, quindi approvazione in un battibaleno. E stavolta niente «ammuina»: corsa contro il tempo al Senato, entro le Idi di marzo il «legittimo impedimento» sarà in «Gazzetta ufficiale». Quando i giudici convocheranno Berlusconi, lui potrà tranquillamente rispondere: oggi ho l’agenda piena, domani pure... Fini non solleva obiezioni. Aveva forti riserve sul «processo breve», ci penseranno i suoi a presentarla come una vittoria. Berlusconi alza le spalle, l’importante per il Cavaliere è mettersi al riparo. Poi, in realtà, molto resta da definire, certi «dettagli» sono per niente chiari. Ad esempio, si sa che l’impedimento legittimo del premier durerà 18 mesi, il tempo necessario a varare una riforma della Costituzione che impedisca ai giudici di distrarre il conducente. Ma ancora non si capisce bene quali saranno gli «impedimenti» consentiti per legge (c’è discussione se ricomprendere nella lista quelli di natura internazionale), e tantomeno in che modo la Carta costituzionale verrà ritoccata. Nei pochi minuti di ragionamento a tavola, in un clima giurano parecchio rilassato, l’idea prevalente è parsa quella di puntare sull’immunità per tutti i politici anziché sullo scudo per uno soltanto. Com’era prima del ‘93 e di Tangentopoli. A sua volta, qualunque riforma della Costituzione richiede forme di convergenza bipartisan. E’ la ragione niente affatto misteriosa per cui nella cerchia berlusconiana si ripete senza tregua il mantra del dialogo con l’opposizione. «Non crediamo affatto che la stagione delle riforme sia prematuramente finita», insiste il portavoce del premier, Bonaiuti. Bersani oggi manifesta sdegno, annuncia battaglia sul «processo breve» e pure sul «legittimo impedimento». L’interrogativo è se terrà duro anche dopo le Regionali. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: «Alle elezioni la parola d'ordine è stravincere» Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2010, 03:46:12 pm 24/1/2010 (7:11) - REGIONALI - SI ACCENDE LO SCONTO
Pdl, un Piano casa contro i feudi rossi Il convegno del Pdl ad Arezzo Berlusconi: «Alle elezioni la parola d'ordine è stravincere» UGO MAGRI INVIATO AD AREZZO Cresce l’appetito del Cavaliere in vista delle elezioni. Sta mettendo al sicuro il risultato in certe Regioni chiave. E ora prepara qualche gioco di prestigio, tipo coniglio dal cilindro per colpire la fantasia collettiva e spiazzare la campagna avversaria. Tremonti mette l’Italia sull’avviso: «Credo che il presidente del Consiglio elabori idee forti nell’interesse dei cittadini...». I denari mancano, precisa subito il responsabile dell’Economia, dunque niente mance elettorali. Pare piuttosto che Berlusconi voglia rilanciare il suo piano casa, compresa la possibilità di ampliare le cubature fino al 35 per cento. Servono leggi regionali, alcuni governatori «rossi» hanno fatto orecchie da mercante, il premier darà ordine ai suoi candidati di sottoscrivere un «Patto con gli italiani»: se saranno eletti, basta con lacci e lacciuoli, i costruttori stapperanno champagne. A 64 giorni dal voto, Berlusconi lancia la carica. Tutti i dubbi strategici sono spazzati via, obiettivo non è più vincere ma stravincere. E pazienza se la spallata dovesse abbattere l’unico possibile interlocutore sull’altra sponda, quel Bersani che non può esordire da segretario Pd con una débacle. Se sarà trionfo, segnala Tremonti, seguiranno «tre anni di tregua e di pace, il tempo giusto per fare le grandi riforme». La Terra Promessa berlusconiana passa per gli accordi regionali con l’Udc perché «dopo il 28 marzo Obama ti chiamerà per complimentarsi delle tante Regioni conquistate», racconta Gasparri di aver detto a Silvio, «non per sapere quanti sono gli assessori centristi...». Così non solo il premier rinfodera i propositi di tagliare i ponti con Casini, ma ci sta facendo business. Era in dubbio l’alleanza in Calabria? Ora è di nuovo dietro l’angolo. I centristi in Puglia guardavano a sinistra? Adesso non più, salvo una miracolosa vittoria di Boccia alle primarie Pd, i seguaci di Casini convergeranno col Pdl. Può essere che salti la trattativa in Campania, ma Berlusconi non ci perderà il sonno perché «i napoletani mi amano, lì vinceremo lo stesso». Smentisce con sdegno Palazzo Chigi che il Cavaliere voglia infarcire le liste di «veline» (ci risiamo?) ma non argina la chiacchiera opposta: stavolta i candidati maschi Berlusconi li vuole giovani e aitanti. Bocciato Palese in Puglia per ragioni televisive. «Niet» sul toscano Migliore (pingue e con la barba). Pollice verso perfino sull’intellettuale Magdi Allan, in Basilicata il premier gli preferisce l’ex parlamentare Pagliuca. Uno via l’altro, ecco sistemati gli ultimi tasselli. Il Cavaliere è certo di avere già in tasca 6 Regioni (su 13 al voto), ormai punta a fare bottino pure nelle roccaforti avversarie. «Dovremo porre rimedio ancora una volta ai guasti del malgoverno regionale della sinistra», scrive Berlusconi di suo pugno. Del proclama viene data lettura al convegno in corso ad Arezzo, vero evento politico di queste ore: tutti i boss del Pdl adunati insieme su iniziativa di Gasparri e La Russa, una platea di quasi 2 mila persone, clima inconfondibile da Prima Repubblica, quei convegnoni di corrente democristiana dov’era tutto un affollarsi al tavolo di presidenza, un tripudio di notabili, di truppe cammelate, di scorte ipertrofiche, di tavole rotonde (ieri l’ha coordinata una pugnace Bianca Berlinguer, apprezzatissima dalla destra). Qualcuno vede nella kermesse aretina i primi passi di un partito adulto che vorrebbe camminare da solo, sottraendosi alla tutela di entrambi i co-fondatori. «O cominciamo a crescere, oppure saremo ricordati come le pulci che hanno volato una stagione sotto l’ala dell’aquila», è l’immagine poetica di Quagliariello. «Siamo figli dello stesso destino», gonfia orgoglioso il petto La Russa. E si discute, e si litiga come nei partiti veri. Scajola incrocia la lama con Tremonti, Baldassarri contesta le ricette del Professore sull’economia. Urso sale sul palco per cantare il peana di Fini («Lui è la qualità, Berlusconi la quantità, Silvio porta i voti Gianfranco le idee»), Ronchi invece esorta a farla finita con questa storia di Fini bastian contrario, «chi lo dice è in malafede». Il presidente della Camera spedisce pure lui una lettera, auspica che il Pdl divenga «un grande partito plurale, capace di discussioni innovative, sintesi evolutive e di un costruttivo confronto», in pratica niente pensiero unico. Il ministro dell’Economia getta acqua sul sacro fuoco degli entusiasmi, «nel partito sta crescendo un certo tasso di democrazia, ma ho l’impressione che resti monarchico». Giusto l’impressione. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere fa spallucce e prepara il ritorno in tv Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2010, 10:48:27 am 31/1/2010 (7:44) - RETROSCENA
Il Cavaliere fa spallucce e prepara il ritorno in tv Campagna elettorale con poche cene e molte comparsate UGO MAGRI ROMA Basta un granello di sabbia per deragliare la storia. Sette giorni fa Berlusconi era ottimista, lanciatissimo sulle Regionali, già pregustava un trionfo, con gli avversari stesi al tappeto fino al 2013. Poi però domenica sera qualcosa è andato storto, non solo il derby calcistico con l’Inter, e da quel dì l’umore non è più lo stesso. Non per la questione giustizia o per la protesta di ieri dei magistrati, ma perché in Puglia i fedelissimi l’hanno tradito (così lui la vive). Nella scelta del candidato da opporre a Vendola i giochi locali si sono imposti ai desideri del premier. Peggio ancora, i gerarchi Pdl hanno solidarizzato con quella che Berlusconi considera una decisione errata, al limite dell’ammutinamento. Quella sera nel personaggio qualcosa si incrina dentro. Non la voglia di vincere, anche perché perdere sarebbe un dramma. Ma un filo di entusiasmo si smarrisce per strada. Incredibile a dirsi, il leader, anzi il Fondatore, si sente meno indispensabile, quasi accessorio. E di conseguenza cambia il suo approccio alle elezioni, perlomeno nelle intenzioni confidate in privato. A titolo di esempio, «piuttosto che scendere in Puglia per sostenere Palese, Berlusconi in questo momento si farebbe tagliare un alluce», giura un assiduo frequentatore di Arcore. Berlusconi è tuttora indispettito. Fitto, luogotentente pugliese, getta acqua sul fuoco, «veramente a me il Presidente ha promesso che ci darà una mano», magari alla fine cambierà idea, però il ministro sembra l’unico a crederci. Si interroga il presidente del Consiglio in queste ore: «Perché dobbiamo ripetere gli stessi errori che commettono dall’altra parte? E per quale motivo io dovrei avallarli, mettendoci personalmente la faccia, col risultato di caricarmi il peso di una sconfitta?». Berlusconi scenderà nell’arena, anticipano al Plebiscito, solo dove è stato reso davvero partecipe (leggi: dove ha deciso lui i candidati). Inutile che i boss locali lo pressino, la segretaria Marinella sarà selettiva, qui sì, là no, «il Presidente ha degli impegni». Per il momento ha fissato tre cene elettorali, in Lombardia perché ci mancherebbe, nel Lazio poiché se la Polverini non ce la fa Fini poi chi lo sente, nel Piemonte in quanto Cota gli sta simpatico. Punto e basta, questo è lo stato d’animo. C’è da partire in visita di Stato per Gerusalemme, dove gli israeliani vogliono contestarci il giro d’affari con l’Iran? Berlusconi parte, la campagna elettorale può attendere. Idem per il Brasile ai primi di marzo: sono in gioco ghiotte commesse militari e le decisioni del presidente Lula sull’estradizione di Battisti. Sostiene il portavoce Bonaiuti che la campagna elettorale del premier farà perno sull’azione governativa, «i nostri fatti contrapposti alle chiacchiere della sinistra». L’immagine dell’esecutivo verrà tirata a lucido. Tremonti permettendo (di spendere non se ne parla) Berlusconi lancerà qualche proposta su cui la sinistra griderà «scandalo», in modo da rubare tutta la scena. «Parleranno le azioni concrete», insiste Bonaiuti. Niente manifesti 6 per 3 a tappezzare i muri d’Italia con il sorriso standard e, magari, la mini-cicatrice dell’aggressione. Il nome del premier comparirà solo nel logo «Berlusconi per Formigoni», o «Berlusconi per Polverini», e così via. Farà molta televisione, quella sì, comparsate a raffica, e tantissima radio perché al Cavaliere come ai suoi strateghi della comunicazione non sfugge che è tornata di moda, specie quella targata Rai. Rari comizi per ovvie ragioni di sicurezza, e comunque a Berlusconi non va di perdonare, con un atto di presenza taumaturgica tra le folle, gli sgarbi del suo gruppo dirigente. Insomma, stavolta si arrangino un po’ da soli. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Ora il Cavaliere teme davvero la tangentopoli-bis Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2010, 07:42:50 pm 16/2/2010 (7:19) - RETROSCENA
Ora il Cavaliere teme davvero la tangentopoli-bis «Non voglio perdere voti per questi signori» UGO MAGRI ROMA Berlusconi scopre la «nuova Tangentopoli». Teme un bis del ‘94. Che si ripeta quel clima, tra arresti per ruberie vere o presunte, da cui la gente tragga l’idea di una corruzione politica dilagante. Proprio sotto elezioni regionali. Col risultato che a pagare il conto sarebbe lui, il Cavaliere: per una volta risparmiato dalle inchieste, ma tradito dai suoi uomini, tirato a fondo dal suo stesso partito... Può darsi che il premier ne parli stamane, quando calerà da Arcore nella Capitale per dare il là alla campagna delle candidate donna, in primis la Polverini. Ci ragiona sopra da venerdì, molto l’ha impressionato la lettura del «Mattinale» (foglio a circolazione interna e riservata del Pdl, redatto dagli strateghi più attenti). Vi si punta l’indice contro le toghe scatenate «a sostegno dell’opposizione», ma soprattutto vi si annunciano cataclismi, cupi presagi, compreso «il rischio che la situazione degeneri pericolosamente, al punto da condizionare la campagna elettorale e il risultato del Pdl». Ieri mattina, mentre di questo ragionava insieme coi fedelissimi, e dell’inchiesta fiorentina che trascina nel fango il coordinatore nazionale Verdini, e delle voci incontrollate di nuovi coinvolgimenti parecchio in alto, e del dramma di Bertolaso tuttora sull’orlo delle dimissioni, e del panico che circola nei Sacri Palazzi vaticani (leggi: Giubileo 2000), nel mezzo di tutto ciò Berlusconi è stato raggiunto dalla telefonata di un vecchio amico. Ne ha profittato per sfogarsi contro quanti orchestrano la nuova campagna di scandali, ce l’ha con i «seminatori di discordia», con i mandarini del vecchio e nuovo giornalismo... «Il mio consenso resiste, sono ancora al 67 per cento di gradimento», e quasi gli sembra un miracolo. Perché senza bisogno di consultare i sondaggi di Euromedia Research il premier capisce che qualcosa sta succedendo, da rabdomante coglie gli slittamenti d’umore sotterranei, un «mood» collettivo tendente al peggio. Ma soprattutto Berlusconi si rende conto che stavolta non sono solo complotti, teoremi delle «toghe rosse»: qui ci sono amministratori presi con le mani nel sacco, prove inconfutabili, su Pennisi addirittura fotografiche. Per quanta fede possa nutrire nell’onestà dei suoi discepoli, il Cavaliere non è nato ieri: il presidente della Provincia di Vercelli agli arresti domiciliari (concussione), l’ex assessore al Turismo in Lombardia nel carcere di Voghera, un partito del Nord che, se si dà retta a chi lo frequenta, Berlusconi raderebbe al suolo tanto è incavolato. Vede Bossi spalancare le fauci come un alligatore («Noi della Lega stiamo sempre attenti a non fare pirlaggini...»), sente Fini ergersi a paladino dei buoni costumi («Chi ruba non lo fa per il partito ma perché è un ladro, un volgare lestofante») e smarcarsi al punto da proporre il rifugio nel sistema elettorale uninominale che segnò il tracollo della Prima Repubblica. Tra gli intimi del premier vince la tesi che debba battere un colpo, magari più d’uno. «Serve un segnale forte e chiaro», supplica Letizia Moratti. Per rassicurare la Lombardia, il Piemonte, l’Italia intera. Le «liste pulite» a Milano non sono ancora abbastanza, per battere lo sconcerto Berlusconi deve metterci personalmente la faccia. Contrattaccare dando garanzie. E la prova del nove saranno le candidature: qui non si discute più di «veline» e soubrette, si parla di ras locali potenti che dalle patrie galere premono per essere ricandidati, o rivogliono il posto nonostante disavventure gravi. Al telefono col vecchio amico, il Cavaliere pare abbia detto: «Non ho mai rubato una lira, non voglio perdere voti per colpa di questi signori». Impugnerà la frusta contro i mercanti nel tempio? da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, stop al Cavaliere Inserito da: Admin - Febbraio 18, 2010, 03:01:20 pm 18/2/2010 (8:11) - RETROSCENA
Intercettazioni, stop al Cavaliere La legge sui controlli telefonici dopo le regionali UGO MAGRI ROMA Grande frustrazione del Cavaliere. Vorrebbe sbloccare la legge sulle intercettazioni e mettere il coperchio sulla nuova Tangentopoli, ma non ci riesce. Esattamente come gli piacerebbe inviare un segnale forte all’Italia sofferente, con un piano per il Sud, un altro per l’occupazione, però mancano i soldi. Che rabbia. Come un pugile stretto nell’angolo, Berlusconi rischia di incassare i cazzotti della magistratura, dell’opposizione che con Bersani si fa coraggio («Accettiamo la sfida nazionale del Cavaliere, il vento sta girando») senza restituire un colpo. Il premier riunisce a Palazzo Grazioli i suoi ministri economici, Fitto e Scajola gareggiano nelle proposte per dare lustro al governo e guadagnare un po’ di voti nelle Regioni in bilico, Tremonti inflessibile gela tutti, premier compreso: «Non ce lo possiamo permettere, guai ad abbassare la guardia, ci si rende conto di cosa sta succedendo in Europa?». Muso lungo del Capo con il suo «guru» economico. Poi Berlusconi convoca l’avvocato Ghedini, chiama il ministro Alfano, a sera riunisce intorno al desco i capigruppo a palazzo Madama Gasparri e Quagliariello (più una quindicina di senatori e il musico Apicella) perché servono argini contro la melma che tracima dalle inchieste e imbratta quanto di meglio il governo ha combinato in due anni. Si batte contro i paragoni con Mani Pulite, «dovete spiegare a tutti che non c’entra nulla», ripete come in un mantra il Cavaliere, «allora avevamo un sistema illegale di finanziamento ai partiti, stavolta siamo di fronte a comportamenti singoli che vanno stroncati». E per questo alla cena con alcuni senatori a palazzo Grazioli esorta: «Siamo garantisti, ma massima attenzione a chi candidiamo». Mariuoli, li avrebbe bollati Bettino Craxi. E se fossero comitati d’affari all’ombra del pdl? Berlusconi per primo non è tranquillo, quanto viene alla luce rappresenta una sorpresa pure per lui: mai un sentore, nemmeno un segnale di preavviso dal ministro della Giustizia, da quello dell’Interno, dai vertici di Carabinieri e Polizia, per non dire dei Servizi segreti, o dormivano o chissà... Frustrazione, e inquietudine. Con gli interrogatori in corso degli arrestati. Con i verbali così ricchi di «omissis». Con le voci che, come sempre accade in questi casi, si rincorrono e creano falsi bersagli per nascondere magari quelli veri. Le intercettazioni, dunque: per Berlusconi, la fonte di tutti i guai. La legge che dovrebbe bloccarle sta lì in Senato, il 3 marzo scadrà il termine per correggerla in Commissione. Ancora una spintarella, ed è fatta. Anzi no, perché l’Aula deve prima discutere e votare altri decreti sulla Giustizia, quindi si scannerà sul «legittimo impedimento» che al premier interessa tanto quanto le intercettazioni (e forse di più). «L’approvazione è matura», sospira Gasparri. Però dopo le Regionali, perché altrimenti la campagna elettorale sarebbe invasa dai guai giudiziari del premier e del suo partito, meglio evitare. Inoltre c’è lo scoglio Quirinale. Berlusconi s’era impegnato personalmente con Napolitano a riscrivere il testo sulle intercettazioni, che somiglia troppo a un bavaglio. Per mesi è rimasto a giacere. Rispolverarlo adesso, che i magistrati affondano il bisturi, sarebbe una provocazione nei confronti del Colle, Letta per primo lo sa.Volano gli avvoltoi, nei corridoi già qualcuno scommette che Berlusconi congederà Verdini da triumviro, al vertice lascerà il solo Bondi affiancato dal finiano Bocchino. Per ora, grande lavata di capo del premier alla Carfagna, da lui fatta ministro ma colta in adorazione del presidente della Camera (vedi intervista per il settimanale «A» dove lei confida che «lo stimo da sempre e, prima di aderire a Forza Italia, ho votato Msi e An perché mi riconoscevo in Fini»). Detta in questo momento suona come un «si salvi chi può». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere soddisfatto ma solo a metà Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2010, 12:04:13 pm 26/2/2010 - ANALISI
Il Cavaliere soddisfatto ma solo a metà UGO MAGRI La ciambella del Cavaliere non riesce mai con il buco perfettamente al centro. C’è sempre qualcosa che va storto, perfino nelle giornate da segnare sul calendario. Quella di ieri è da manuale. Berlusconi avrebbe ottime ragioni per rallegrarsi della sentenza di Cassazione. Schiverà molto probabilmente una condanna che, se si dà retta alle sue menti giuridiche, il tribunale milanese gli aveva già cucito addosso. Al premier rimane una fedina penale immacolata, con la speranza di accedere in futuro ai più alti scranni della Repubblica. Nell’immediato, continuerà a frequentare i summit internazionali senza il terrore che qualche leader gli neghi la «photo opportunity». E soprattutto, con il voto tra un mese, Berlusconi non dovrà nascondersi agli occhi degli italiani. In Consiglio dei ministri di lunedì potrà alzare la voce contro la corruzione poiché, gli ruba il pensiero Quagliariello, «solo se si mettono da parte i teoremi allora finalmente riusciremo a combattere il malcostume diffuso». Peccato però che nello stesso giorno, tanto atteso dal premier, altri segnali inducano alla cautela. Alta risuona la rivolta della Consulta, lo squillo di tromba del suo presidente Francesco Amirante, con quel richiamo risoluto alle regole che nessuna volontà popolare potrebbe mai travolgere, unito all’affermazione che in via del Plebiscito viene vissuta come una minaccia neppure troppo velata: «E’ bizzarro meravigliarsi», ha detto Amirante, «quando la Consulta dichiara illegittima una legge...». Già è successo col Lodo Alfano, che doveva far scudo al premier contro i processi; la bocciatura potrebbe ripetersi sul «legittimo impedimento», pilastro della strategia difensiva berlusconiana, polizza d’assicurazione del premier fintanto che resterà al potere. C’è dell’altro. Come riconoscono nell’antica dimora dei Chigi, meglio sarebbe stata un’assoluzione di Mills dall’accusa di essersi fatto comprare. Quella condanna al risarcimento è una macchia indelebile, per la giustizia i soldi l’avvocato li prese, da chi non è difficile immaginare. Inoltre non è chiaro quando scatterà la prescrizione per il premier: c’è chi dice tra 11 mesi, sufficienti a una condanna di primo grado, altri esortano ad attendere il dispositivo della sentenza. Nubi in un cielo altrimenti radioso, con Berlusconi che evita il ko. Anzi, per la prima volta dopo mesi intravvede la possibilità di scendere in piedi dal ring. Al tappeto, sostiene il super-fedele Cicchitto, c’è finita la procura milanese: «Stavolta hanno preso una bella tranvata». Esito che personaggi autorevoli della sinistra pronosticavano alla vigilia, e di cui Berlusconi stesso aveva avuto sentore, dal momento che ne andava parlando da mesi nei vari conciliaboli: «Aspettate il 25 febbraio, e vedrete...». Infatti, si è visto. La notizia ha raggiunto il premier mentre passeggiava per antiquari. Gli avevano promesso dal Palazzaccio «saprete alle 19», verso le otto di sera lui s’è stufato di attendere in ufficio. Risulta «soddisfatto a metà, dimostrato l’accanimento ma il reato non c’era». Si può intuire quale reazione avrebbe avuto Silvio (che parlerà oggi pomeriggio al Lingotto per dare una mano a Cota in Piemonte e far felice Bossi) se la Suprema Corte gli avesse dato addosso. Fulmini e saette. Vendetta tremenda contro la magistratura. Subito la separazione delle carriere. Più il blocco alle intercettazioni. Più il processo breve e tutto l’armamentario di tortura che la fantasia dell’avvocato Ghedini avrebbe sfornato. Niente di tutto ciò. Sospirano di sollievo le colombe berlusconiane, quei personaggi dell’entourage che non hanno perso fiducia nel dialogo dopo le Regionali, da Gianni Letta a Paolino Bonaiuti. Magari s’illudono. Ma intanto la rappresaglia contro le toghe perde di urgenza. Dal processo breve verranno espunte le norme «ad personam». La riforma della giustizia prenderà il suo tempo. E in campagna elettorale si parlerà, forse, dei mali veri che affliggono l’Italia. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Il premier irritato per le mosse dei pm Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2010, 08:20:48 pm 28/2/2010 (7:56) - RETROSCENA
Berlusconi tace per evitare tensioni Il premier irritato per le mosse dei pm UGO MAGRI Dei vari colloqui di cui si ha notizia, non ce n’è uno, uno soltanto, in cui Berlusconi abbia ragionato di Napolitano, del suo aperto rimprovero, dell’alto invito a non offendere le altre istituzioni repubblicane. Alza le spalle? Può darsi. Risulta invece che il Cavaliere sia irritato assai col Tribunale milanese per «l’ultima che mi combina»: processo sospeso in attesa di capir meglio la sentenza di Cassazione su Mills, ma udienza già fissata il 26 marzo. Due giorni prima delle elezioni. Quando il premier sarà impegnato nei comizi di chiusura. Gasparri, che non nega di avere sentito il Capo, la mette così: «E’ una tempistica quantomeno singolare. Potevano aspettare il 31 marzo, qualche giorno non avrebbe cambiato nulla. E invece...». Il lamento è tornato con l’avvocato Ghedini all’altro capo del filo, laddove con Daniela Santanché (intima confidente del premier) i conversari hanno riguardato il partito, le sue dinamiche e, naturalmente, le reali intenzioni di Fini che giusto ieri insisteva da Vicenza sulle riforme dopo le Regionali, sul «rischio di galleggiare per i prossimi tre anni», sulla legge per l’immigrazione che lui rifirmerebbe insieme con Bossi, sulle pensioni da mettere sotto controllo, ma anche sulla «flessibilità che non deve trasformarsi in pracariato». Più bacchettata a Tremonti sul «carico fiscale eccessivo» (il ministro dell’Economia «tiene sotto controllo i conti pubblici ma taglia», segnala Fini, «anche dove non dovrebbe, sulla legalità e sulle infrastrutture»). Di tanti argomenti ha discusso ieri il premier. Ma su Napolitano, nemmeno un cenno che gli interlocutori rammentino. Bonaiuti non ha telefonato ad Arcore per chiedere istruzioni a riguardo, Berlusconi s’è ben guardato dal farsi vivo per concordare una presa di posizione. Il premier, dunque, incassa il rimprovero e tace. Ciò non significa che acconsenta. E si può immaginare il tono dell’autodifesa: l’altra sera a Torino mi sarà pure scappata qualche parolina di troppo («certi magistrati talebani sono peggio dei criminali»), ma fa parte della natura umana il lasciarsi prendere dagli sdegni... Napolitano potrebbe prendersela con questi pm... E comunque, lo difende in privato Cicchitto, «Berlusconi non è uno di quei monsignori maestri nell’arte della dissimulazione, della bugia». Circola un’altra tesi, per ora soltanto sussurrata ai vertici Pdl: che Berlusconi si sia sfogato contro le toghe titolo preventivo, in quanto le inchieste su Protezione Civile e dintorni potrebbero (ecco la diceria) portare a nuovi sviluppi già nella settimana prossima. Inutile cercare conferme. Ma ragion di più per evitare guerre col Quirinale. Il Cavaliere sa che non gli conviene. Napolitano è popolarissimo, sarebbe come attaccarsi ai fili dell’alta tensione. Inoltre l’uomo del Colle deve controfirmare il «legittimo impedimento», con lui c’è in sospeso la legge sulle intercettazioni, quale errore sarebbe prenderlo di punta. E difatti. Le dichiarazioni degli esponenti Pdl sono tutte molto educate verso il Capo dello Stato. Al miele il ministro Rotondi, «Napolitanto dispensa pillole di saggezza». Intelligente Capezzone, «non si rivolge soltanto a noi ma anche al Csm perché eviti polemiche». Se mai a Berlusconi restasse voglia di far polemica, c’è Bossi che verso sera gliela fa passare del tutto: «Sto con Napolitano. Bisogna tenere la battaglia nella politica e non coinvolgere la magistratura». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI L'amarezza del Cavaliere: sono sempre intercettato - (te lo meriti). Inserito da: Admin - Marzo 13, 2010, 11:17:56 am 13/3/2010 (7:8) - RETROSCENA
Berlusconi: "Non posso più parlare senza essere registrato" L'amarezza del Cavaliere: sono sempre intercettato UGO MAGRI ROMA Al confronto con la precedente tegola pugliese, di nome D’Addario, questa nuova inchiesta da Trani piove sul presidente del Consiglio come una goccia. Fastidiosa, ma nella mente del Cavaliere destinata a evaporare in fretta, già domani (così spera) non se ne parlerà più. Per cui meglio passarci sopra senza dare importanza alle accuse, specie in campagna elettorale. Al Tg4 Berlusconi ha tuonato, è vero, contro «la magistratura politicizzata che sta dettando i temi e i tempi della campagna elettorale». Però si riferisce principalmente ai giudici romani che gli hanno escluso la lista del Pdl, col risultato di mettere in forte dubbio un trionfo della Polverini, questo sì davvero un guaio. Al momento lo sforzo berlusconiano è tutto teso a recuperare il terreno perso nei sondaggi. E l’imperativo più urgente consiste nell’evitare un flop già sabato, alla manifestazione di piazza San Giovanni, che nelle aspettative del premier vorrebbe essere oceanica. Per cui alla nuova inchiesta Silvio reagisce, pare, abbastanza soft. Senza dare i numeri. La «rossa» ministra Michela Vittoria Brambilla è andata a trovarlo. Più che ira, ha colto nel suo leader disgusto. «Ormai non posso più parlare al telefono senza essere registrato, una situazione incredibile», è la geremiade. Bonaiuti (il portavoce) giura: la nuova offensiva giudiziaria non accelera i tempi della legge sulle intercettazioni che verrà affrontata a tempo debito, subito dopo le Regionali. Semmai, domanda polemico, «come mai l’autorità giudiziaria non interviene» contro la fuga di notizie? Accontentato. Raccontano che Berlusconi molto si stupisca dello stupore sulle sue telefonate a Minzolini (direttore Tg1) e a Innocenzi (commissario Agcom): «Spendono i nostri soldi per intercettare quello che di Santoro dico pubblicamente» fin dai tempi dal celebre «Editto bulgaro» che fece fuori dalla tivù pubblica un gigante del giornalismo come Enzo Biagi. In un certo senso è vero, manca la novità. Idem sul merito dell’accusa (concussione): nessun allarme speciale. Col suo cliente, l’avvocato Ghedini ostenta serenità: «Aspettiamo, vediamo, ancora nulla è chiaro...». L’altro legale, Longo, nega che siano stati recapitati da Trani avvisi di garanzia, «e poi non si capisce dove starebbe il reato». Semmai, altre sono le considerazioni che circolano nell’entourage. Ad esempio, qualcuno si domanda dove fossero le «sentinelle» del governo, e si chiede com’è possibile che per l’ennesima volta dell’inchiesta pugliese non si fosse avuto un sentore, nemmeno una voce per mettere in guardia Palazzo Chigi. «E dire», si sfoga un personaggio della stretta cerchia operativa berlusconiana, «che tramite i ministri avremmo il controllo di tutti gli apparati di sicurezza, dai Carabinieri alle Fiamme Gialle ai servizi segreti... La verità è che siamo al governo, però non controlliamo un bel niente». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: "Di nuovo obbligato dai pm a buttarmi nella mischia" Inserito da: Admin - Marzo 23, 2010, 08:56:33 am 23/3/2010 (7:13) - INTERVISTA
Berlusconi: "Di nuovo obbligato dai pm a buttarmi nella mischia" Il cavaliere: faremo l'elezione diretta del Capo dello Stato o del premier UGO MAGRI Presidente Berlusconi, siamo agli sgoccioli della campagna. Rimpianti? «No, lo stato d’animo è positivo. Naturalmente sono rammaricato che tutti questi interventi della magistratura ci abbiano impedito di ricordare agli italiani quanto di miracoloso ha fatto il governo in questi due anni, e anche i nostri progetti per i prossimi tre. E’ per questo che sono sceso in campo io personalmente». Sperava che non ce ne sarebbe stato bisogno? «Pensavo che non fosse necessario. E non lo sarebbe stato senza questi attacchi, uno dietro l’altro». Stanco? «No, anzi, in piena forma. Mi sfidi sui cento metri e se ne accorgerà». Parliamo della crisi che i governi non riescono a debellare, e il suo non fa eccezione. Dobbiamo accontentarci di evitare un default tipo Grecia? «In verità il default lo avremmo rischiato se avessimo seguito i suggerimenti irresponsabili dell’opposizione. E' un grande merito del nostro governo aver saputo gestire la crisi mantenendo i conti pubblici in sicurezza ed evitando di creare situazioni di disagio sociale». Le famiglie però soffrono, non parliamo poi delle imprese... «Lo so. Ma sono convinto che il peggio sia ormai alle nostre spalle. Abbiamo varato venerdì un decreto incentivi che ha lo scopo di rilanciare i consumi, dare ossigeno alle famiglie, aiutare le imprese a ripartire. Stiamo lavorando a un grande piano di infrastrutture. Ha cominciato proprio in questi giorni l’iter in Parlamento un disegno di legge governativo sulla semplificazione, che significherà minori costi per le imprese e i cittadini, stimati in 750 milioni di euro...». Può dare garanzia che una riforma delle aliquote entrerà in vigore entro il 2013? «Certamente sì. Dovremo graduarla, come è logico, in relazione all’andamento della situazione economica. Ma io sono convinto che una riforma delle aliquote sia anche uno strumento fondamentale per favorire la ripresa. Certo, non metteremo in pericolo la stabilità dei conti pubblici». Tra le Regioni in bilico c’è il Piemonte. Cosa cambierebbe, nei rapporti con il suo governo, se vincesse Cota anziché la Bresso? «Avremmo una Regione più impegnata a lavorare per i cittadini, e meno opposizione preconcetta al governo nazionale. Avremmo una maggioranza con le idee chiare, e non una coalizione, come quella di sinistra, divisa su molte cose. Sono emblematici i contorcimenti ai quali è stata costretta la Regione per esempio sulla questione della Tav. Cota è la persona giusta per togliere il Piemonte dall’isolamento e dalla sostanziale marginalità ai quali è stato condannato dalla sinistra». Tra un anno si vota per il Comune di Torino... «Il Pdl ha già il suo candidato. È un uomo che ama il Piemonte e ha già dimostrato di essere un bravissimo amministratore: Enzo Ghigo». Non teme che l’appetito della Lega, invece di placarsi, in futuro aumenterà sempre più? «Il problema non esiste. Bossi è un alleato leale, al quale mi unisce non soltanto una comune visione di tanti aspetti della politica, ma anche un’autentica vicinanza personale. Se la Lega si rafforzerà, questo significherà la crescita di un partito della maggioranza, e quindi il rafforzamento del governo». Comunque rappresenta una sfida... «Certo, una sfida. Ma costruttiva, alla quale dobbiamo rispondere non certo in modo polemico ma correndo come e più di loro». Le tensioni con Fini disorientano i vostri elettori. Come venirne a capo? «Di tensioni con Fini si legge soprattutto sui giornali. E’ assolutamente fisiologico che in un partito che rappresenta il 40 per cento degli italiani esistano posizioni diverse. Guai se fossimo unanimi su tutto. L’importante, però, è essere uniti. In un partito democratico, come il Pdl, ci si confronta, si discute, quando è necessario si vota. E poi, una volta deciso, tutti hanno il dovere di appoggiare lealmente fino in fondo la decisione assunta. Io stesso non ho condiviso alcune scelte, negli ultimi mesi, ma ho accettato e sostenuto quello che gli organi del Partito hanno deciso. In questo sistema anche le posizioni minoritarie hanno piena cittadinanza». Dopo di lei, chi verrà? «Trovo offensivo parlare di futuro con un leader che è, ripeto, in piena forma e con un indice di apprezzamento al 62 per cento. Ma si rendono conto o no, questi signori, di che cosa vuol dire l’approvazione dal 62 per cento degli italiani?». Lei rilancia il presidenzialismo. Ma Fini dubita che si possa realizzare entro questa legislatura... «E’ una delle cose che vedremo se vale la pena di fare, così come vedremo se andare verso l’elezione diretta del Capo dello Stato o del premier. A me sembra, sinceramente, che sarebbe un arricchimento della nostra vita democratica». Sono due anni che lei promette (o minaccia) una riforma della giustizia. Quando intende presentarla? «Subito dopo le elezioni. E non è una minaccia per nessuno. E’ piuttosto un’urgenza per il Paese. Non è più tollerabile che il lavoro di tanti magistrati seri e perbene, che sono la stragrande maggioranza, sia screditato dalle iniziative temerarie di alcune Procure al servizio di un disegno ideologico oppure da pubblici ministeri afflitti da velleità di protagonismo. Un aspetto essenziale dello Stato di diritto è la parità fra accusa e difesa, e la terzietà del giudice. Intendiamo garantirle nel modo più netto». Ci dica di Bersani: questa brutta campagna elettorale pregiudica i rapporti? «Purtroppo non possiamo sceglierci gli interlocutori. E io assisto con vera angoscia a un fenomeno grave: i leader del Pd, anche quelli che partono con le migliori intenzioni - come era accaduto con Veltroni prima e con Bersani ora - non riescono a sottrarsi all’“Estremismo, malattia infantile del comunismo”, secondo il titolo di quel saggio di Lenin... Non sono più tanto giovani, politicamente anzi sono vecchissimi, ma è una malattia dalla quale non sono ancora guariti. Non sono guariti dalla tentazione, o dalla necessità, di inseguire un rozzo demagogo giustizialista, che dopo aver disonorato la magistratura quando indossava la toga, disonora oggi la politica. Noi siamo sempre stati pronti al dialogo sulle riforme, naturalmente. Ma per dialogare bisogna essere in due, ed avere intenzioni serie e non strumentali. Con questa opposizione non è possibile». Visti i risultati, pressoché nulli, rifarebbe il decreto «salva-liste»? «Certamente sì, perché vale sempre la pena di avere la coscienza a posto, indipendentemente dai risultati. Credo che il governo, in un Paese democratico, abbia il dovere - sottolineo il dovere, non la facoltà - di intervenire quando i cittadini di aree importanti del paese rischiano di non poter esercitare liberamente il diritto di voto. Devo sottolineare la grande correttezza e l’elevato senso dello Stato e della democrazia dimostrati dal Capo dello Stato a questo proposito». Trova giusta la decisione Rai di sospendere i talk-show politici sotto elezioni? «Trovo che non si possano usare i programmi del servizio pubblico, e quindi i soldi del contribuente, per trasmissioni ideologiche, fatte di insulti, di calunnie, di falsificazioni continue della realtà. O anche semplicemente costruite per mettere in difficoltà una parte politica ed esaltarne un’altra. Come può immaginare, a me, che sono stato per molti anni soprattutto uomo di televisione, la cancellazione di un qualunque programma televisivo dà molto dispiacere. Le ricordo, tuttavia, che la decisione della commissione di Vigilanza, proposta dall’esponente radicale, intendeva soltanto sostituire i talk show con tribune elettorali per rispettare la “par condicio”. Legge non certo voluta da noi». Bossi le suggerisce di parlare meno al telefono. Seguirà questo consiglio da amico? «Sono costretto a seguirlo... D’altronde seguo sempre i consigli di Umberto, che è un uomo molto saggio. Però, che tristezza! Esiste al mondo un altro paese, che non siano gli Stati di polizia o le dittature, in cui un cittadino non possa parlare liberamente, anche di cose private, senza veder intercettate e sbattute sui giornali le sue parole, distorcendole e utilizzandole per screditarlo, per renderlo ridicolo? Cambieremo questa situazione, al più presto. E' urgente e indispensabile». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Silvio-Tonino, lite continua Inserito da: Admin - Marzo 29, 2010, 09:14:04 am 29/3/2010 (7:12) - RETROSCENA
Silvio-Tonino, lite continua Berlusconi ai seggi: «Se molliamo arriva Di Pietro». E lui: «Mi teme» UGO MAGRI ROMA Nonostante i sondaggi, che scrutano quasi fossero sfere di cristallo, tutti i leader hanno vissuto ieri una domenica di incertezza. Troppo in bilico la sorte di 4 regioni (Piemonte, Liguria, Lazio e Puglia) per cullarsi nella speranza o cedere alla disperazione. E troppo intenso lo stress per trattenere emozioni al momento di recarsi in cabina. Qualche battuta è scappata a tutti, da Berlusconi a Bersani, da Di Pietro a Bossi. Unico silente Casini, ma le alleanze Udc a macchia di leopardo gli consentono una relativa serenità. S’è presentato al seggio con la moglie Azzurra, saluti e via. Il Cavaliere, invece, è stato preda a Milano di certe sue fan non più ragazzine, «tieni duro, non mollare» l’hanno incoraggiato. E lui, «se molliamo ci ritroviamo Di Pietro...». Il quale Tonino non aspetta di meglio che essere chiamato in causa, «se dovessero vincere Berlusconi e i suoi sodali sarebbe un tuffo in un oscuro regime, quello mi nomina perché evidentemente mi teme». L’uomo di Montenero e l’uomo di Arcore, che duello a colpi di clava. Il premier non si lascia ingannare, i pacchi-bomba hanno postini anarchici però mittenti a sinistra, «il clima è quello creato da una campagna elettorale che sapete come si è sviluppata, e quali sono stati i suoi argomenti». Per fortuna nella busta a lui indirizzata c’era solo polvere innocua, forse cenere, così hanno accertato i carabinieri. Berlusconi fiuta il vento, vorrebbe capire dove tira, ma rinuncia e confessa la tipica «sindrome del candidato» che spiega: «Siccome sei sempre circondato dalla tua gente, da coloro che ti applaudono quando vai in giro, sembra che per te voti il 100 per cento delle persone», ma chiaramente non è così, anche se gli piacerebbe. Nell’accampamento opposto Bersani confida di aver dormito come un ghiro la notte prima della battaglia, frutto di una «coscienza a posto». Del resto «abbiamo fatto tutto quello che potevamo», anche di più lascia intendere all’«Unità», perché «coi voti delle Europee e le alleanze delle Politiche avremmo vinto in 3-4 regioni, con i voti delle Europee e le nuove alleanze in 6, adesso io penso che possiamo conquistare la maggioranza delle regioni» che sono 13. Pensiero dedicato a quanti mugugnano dentro il Pd. Interessante Bossi, mai nulla di scontato esce dalla sua bocca. Sui pacchi-bomba dice una verità: «Non è così che si convince la gente, ma con le riforme». A lui interessa, inutile dire, il federalismo: «L’importante è che Berlusconi vada avanti a darci i voti per farlo, tutto il resto è secondario». Silvio vuole aggiungerci il presidenzialismo e la giustizia? Vada pure, a patto che il traguardo storico della Lega non venga rinviato... Frenata sul sorpasso al Nord, «io non ci ho mai pensato, siete voi che ve lo siete inventato» accusa i cronisti allibiti, «so che prendiamo tanti voti, quello sì». Per fare il sindaco di Milano, come ha buttato lì l’altra notte? Risposta ambigua del Senatùr, «noi possiamo arrivare ovunque, e se la gente ci vuole ci manda ovunque». L’ostacolo non sarà certo il Cavaliere, «io e lui ci troviamo sempre d’accordo su qualunque cosa». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Silvio Berlusconi blinda il Pdl: Costituzione da cambiare subito Inserito da: Admin - Aprile 01, 2010, 11:00:20 pm 1/4/2010 (7:33) - GIOVERNO - I NODI DA SCIOGLIERE
Silvio Berlusconi blinda il Pdl: Costituzione da cambiare subito UGO MAGRI ROMA Per procedere con le riforme, e non sprofondare in chiacchiere, il Cavaliere vorrebbe sgombrare il cammino dai dubbi, dai distinguo, dal «fuoco amico». Dunque entro aprile riunirà tutti gli organi del suo partito, un festival democratico mai visto nel Pdl. Comincerà il 7 con l’Ufficio di presidenza, proseguirà sette giorni dopo con la pletorica Direzione nazionale, tirerà le somme il 21 (data provvisoria) con il Consiglio nazionale, in pratica un mini-congresso. Chi vorrà dire la sua, avrà l’occasione per farlo. E chi non sarà d’accordo, libero di dissentire. Ma alla fine si voterà su che fare nei prossimi tre anni di governo, dal fisco alla giustizia, dal federalismo fiscale alle riforme della Costituzione. Giurano i commensali del premier, che ha riunito a pranzo una folla di consiglieri: non è una manovra contro Fini. Guai a pensare che Silvio voglia mettere Gianfranco con le spalle al muro. Il sussulto democratico viene presentato semmai come una mano tesa per rendere compartecipe il «cofondatore». Tra una portata e l’altra se n’è discusso in modo aperto. «Cercate di vedervi, di incontrarvi al più presto», è stato il suggerimento rivolto a Berlusconi dal capogruppo Cicchitto e dal presidente del Senato Schifani, pure lui a Palazzo Grazioli senza farsi intercettare dai cronisti. Il Cavaliere ha annuito, il faccia-a-faccia pare si tenga subito dopo Pasquetta. Nell’attesa di definire solennemente la «road map» delle riforme, chi era ieri dal premier tende a escludere che il governo approvi in quattro e quattr’otto una riforma costituzionale della giustizia: le elezioni sono alle spalle, ora basta propaganda. Tra l’altro il Senato sta già occupandosi di nuovo processo penale e, soprattutto, di intercettazioni. Qui c’è una grana per il premier. Il Quirinale (così sostengono fonti parlamentari autorevoli) pare abbia chiesto nuovamente per vie brevi di correggere la legge in questione, altrimenti niente controfirma presidenziale. Cosicché qualcosa andrà cambiato per non attirare i fulmini del Colle. Altro punto fermo: le riforme della Costituzione avanzeranno sotto forma di iniziative parlamentari, il governo in quanto tale comparirà il meno possibile. Ampi margini di manovra verranno concessi ai gruppi parlamentari, cominciando dal Senato, dove Gasparri tenterà di lanciare ami verso l’opposizione. Non che Berlusconi voglia farsi dettare l’agenda da Bersani. Anzi, ringalluzzito dall’esito elettorale, sarebbe tentato di farne a meno. Ma c’è la Lega, che con Maroni pretende riforme il più possibile condivise, in modo da aggirare l’incognita di un referendum confermativo. E comunque, il Cavaliere sa che il centrosinistra non è un monolite, certi suoi informatori gli raccontano di posizioni divaricate pure nel gruppo dirigente Pd. Agli altri big del partito l’altra notte D’Alema non le ha mandate a dire. «Visto che è in crisi il modello bipolare italiano degli ultimi 15 anni, sarà nostro compito dare una risposta sul terreno delle riforme istituzionali», ha detto. Il timore è di farsi cogliere in contropiede dal governo, magari proprio sul terreno del presidenzialismo «che rischia di avere un certo appeal nel Paese». Dunque, suggerisce D’Alema, rilanciamo senza esitare la famosa «bozza Violante». Sospettosa la Bindi, che fiuta «cedimenti culturali» alle pulsioni «populiste e autoritarie» del premier. Ma stare fermi non si può, fa notare da Palazzo Madama la Finocchiaro, «abbiamo il dovere di confrontarci». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Stato, giustizia e fisco Offensiva di Berlusconi Inserito da: Admin - Aprile 02, 2010, 08:15:00 am 2/4/2010 (7:15) - RIFORME - L'AGENDA DEL GOVERNO
Stato, giustizia e fisco Offensiva di Berlusconi UGO MAGRI ROMA Bettino Craxi, che non peccava di immodestia, si accontentò di proporre nel 1979 (25 settembre, articolo sull’«Avanti!») la famosa Grande Riforma. Silvio Berlusconi, che è più ambizioso ancora, vuole cimentarsi nelle Grandi Riforme al plurale poiché una sola, quella delle istituzioni, non basta più, suona povera, asfittica. Eccolo dunque lanciare (1 aprile 2010, via FaceBook) la nuova «trimurti» programmatica del centrodestra, valida di qui al termine della legislatura: Stato, giustizia e fisco. Le «grandi riforme», come egli stesso appunto le definisce enfaticamente. Con l’«obiettivo di fare dell’Italia una nazione più efficiente e moderna». Per conferire un tocco di solennità a quella che, viceversa, potrebbe sembrare una trovata pubblicitaria, il Cavaliere ha chiesto e ottenuto un appuntamento sul Colle dove, raccontano là in alto, ieri di buon’ora ha parlato quasi sempre lui, elencando i suoi progetti, con Napolitano in ascolto attento e disincantato. L’attuale Capo dello Stato fu tra i pochi, a sinistra, che trent’anni fa non chiusero la porta in faccia al Cinghialone. Ricorda perfettamente, tuttavia, che Craxi medesimo alla fine definì il suo tentativo «un inutile abbaiare alla luna». Ora ci prova Berlusconi. Baldanzoso. Via Internet lancia un appello-ultimatum al Pd: «Non sappiamo se l’opposizione, o almeno una parte di essa, abbandonerà finalmente i toni e gli atteggiamenti di ostilità preconcetta. Me lo auguro», fa una pausa di avvertimento il premier, «noi comunque avvieremo il percorso». Piuttosto seccato lo manda quasi a quel paese Bersani, il premier «non ce la meni con dialogo o non dialogo, dopo 50 decreti e 31 fiducie è sua l’indisponibilità a discutere». Non per questo il Cavaliere smetterà di tendere la mano, tanto più se gli verrà rifiutata. Tornerà infinite volte alla carica per poter dire (parola di Osvaldo Napoli) che il Pd si auto-condanna «a un ruolo residuale». Inoltre Berlusconi darà l’impressione di tenere salda in pugno l’iniziativa politica, di non essere semplicemente l’esecutore dei piani leghisti sul federalismo fiscale e costituzionale. Sul piano mediatico, una mossa di qualche abilità. Poi, certo, se si alza il coperchio delle Grandi Riforme berlusconiane si scopre che la scatola è ancora tutta da riempire. Il regista della comunicazione Bonaiuti va da Vespa e, con schiettezza, conferma: per il taglio delle tasse «ci vorranno almeno tre anni». Almeno, dice il portavoce. In compenso la riforma del fisco sarà «epocale», i lavoratori a reddito fisso finalmente pagheranno proporzionalmente di meno, dai e dai «anche Tremonti ne è convinto». Sulla giustizia aleggia la confusione, il ministro Alfano proverà a mettere nero su bianco gli imperativi del premier su separazione delle carriere, Csm e quant’altro. Un certo tam-tam crea fibrillazione soprattutto a sinistra, eppure nulla è giunto sul tavolo di quanti ne sarebbero al corrente, se fosse davvero questione di ore. L’unico sviluppo dietro l’angolo riguarda proprio le riforme istituzionali. Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, rivela che insieme al suo dirimpettaio del Senato Gasparri presenteranno «una proposta organica». Che terrà conto della «bozza Violante» ma non ne sarà certo «una fotocopia» perché dovrà prevedere pure qualche forma di presidenzialismo, anticipa Cicchitto. E magari l’elezione diretta del premier contro cui proprio Violante (attuale responsabile istituzioni del Pd) già minaccia un referendum letale come quello del 2006. Ma quando prenderà forma questa «proposta organica» del Pdl, anzi Grande Riforma per dirla con Berlusconi? Subito dopo Pasqua, annuncia la mente giuridica del berlusconismo Quagliariello, previa riunione dei parlamentari Pdl «per definire i dettagli» del progetto che, si intuisce, è già a buon punto di cottura. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fratti lancia l'epoca delle riforme: Superati i nodi Berlusconi-Colle Inserito da: Admin - Aprile 04, 2010, 11:19:23 am 4/4/2010 (7:2)
Fratti lancia l'epoca delle riforme: "Superati i nodi Berlusconi-Colle" "Il nostro governo è diventato un esempio di stabilità" La ricetta del ministro degli Esteri: «Usiamo anche Facebook per fare capire che tipo di Stato vogliamo» UGO MAGRI ROMA Ministro Frattini, dov’era lei il giorno delle Regionali? «A Ottawa per il G8». Come hanno preso lì il risultato? «I colleghi stranieri sono venuti a chiedermi che succede: si parlava di Berlusconi in declino, invece...». Lei cosa ha risposto? «Che la politica italiana non la decidono né l’Economist né il Financial Times. La fanno i milioni di elettori contattati uno per uno da Berlusconi con messaggi quasi personali, o convinti dalla Lega con un lavoro capillare». Altre spiegazioni? «Siamo stati a lungo un modello negativo di instabilità, governi che cambiavano di continuo... Invece negli ultimi 10 anni Berlusconi ne ha governato per 8. Ora siamo un esempio di stabilità». Se il sistema è così stabile, perché riformare la Costituzione? «E’ esattamente quello che, come prima cosa, dovremmo spiegare alla gente. Trasmettere il senso dei cambiamenti. Francamente: imbarcarci in una discussione sui massimi sistemi, dal presidenzialismo americano al semi-presidenzialismo francese al premierato britannico (che pure personalmente prediligo), ci esporrebbe al disinteresse». E dunque? «Far capire innanzitutto di cosa si parla. Usando il web, i social-network...». Pure lei sulla scia del Cavaliere? «Per la verità è un anno e mezzo che, con i miei amici di FaceBook e Twitter, dialogo sui temi internazionali. Berlusconi, giorni fa, mi aveva annunciato: ti farò una sorpresa. E ha lanciato il suo messaggio su FaceBook». Insomma, riforme dal basso. «Sul sito www.forzasilvio.it abbiamo già incominciato a porre quesiti su presidenzialismo, federalismo, giustizia. Perché non avviare una consultazione dal basso piuttosto che esercitare i giuristi su sofismi astrusi? Che ne sa una persona normale della cosiddetta Bozza Violante? Tra l’altro, a forza di parlare della Bozza Violante sembra che la riforma sia compito dell’opposizione quando, con tutto il rispetto, nel 2008 abbiamo vinto noi». Presentate una vostra proposta... «I gruppi Pdl stanno già lavorando a un testo. Anche per non dovercela prendere poi sempre con la Lega che è più svelta e ci anticipa». Napolitano si sente sereno per la nuova fase che si apre. Ne condivide lo stato d’animo? «Sono tra quanti hanno sempre considerato essenziale il rapporto con il Capo dello Stato. Anche nei momenti di difficoltà, la mia parola col premier è stata volta a un rasserenamento». Com’è andato l’ultimo incontro tra i due? «Davvero molto bene. I nodi sono stati sciolti». Anche quelli personali? «Superati. E’ un Presidente di cui ci possiamo fidare. Anzi, è interesse del governo un buon rapporto di collaborazione istituzionale. Quando Berlusconi gli ha detto che farebbe le riforme insieme all’opposizione, se ci fosse un’opposizione disponibile, è proprio il messaggio che Napolitano voleva sentire». Un passo di riconciliazione nazionale, da parte del premier, non potrebbe alleggerire il clima? «E’ difficile tendere la mano se si sa già che non verrà raccolta. D’altra parte Berlusconi è persona che non serba rancore. Confortato dal sostegno degli elettori, è capace di gesti generosi: da una richiesta di incontro a Bersani, a un messaggio come quello dell’anno scorso per il 25 aprile... Credo che saprà trovare lui il modo di riconoscere, all’avversario sconfitto, la necessità di un percorso comune». Pace anche con Fini? «La vittoria delle Regionali spinge irresistibilmente Fini e Berlusconi a trovare un modo di lavoro comune. Perché entrambi hanno compreso che il Pdl è più forte se si apre alla diversità di opinioni, a patto di arrivare a una decisione. E poi: sarebbe inimmaginabile affrontare una stagione riformatrice senza il presidente della Camera assolutamente convinto dell’importanza di collaborare. Tutti si chiedono se Bersani sarà o no d’accordo, quando Fini è colui che regola i lavori dell’Assemblea, fissa gli ordini del giorno, dà le priorità... Guai se non fosse attivamente coinvolto o remasse contro». E il dopo-Berlusconi? «Tema tramontato con la vittoria elettorale». La Lega vi fa vedere i sorci verdi... «Tanto di cappello. Li trovi ovunque sul territorio a occuparsi dei problemi della gente. Lo stesso non posso dire dei dirigenti Pdl». La morale? «Rimboccarci le maniche e dimostrarci più bravi della Lega». Altrimenti? «Le lasciamo le chiavi». da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi prova a smarcarsi da Bossi Inserito da: Admin - Aprile 06, 2010, 06:28:58 pm 6/4/2010 (7:20) - RIFORME
Berlusconi prova a smarcarsi da Bossi Nella maggioranza temono che il Carroccio detti le riforme Oggi alla cena di Arcore si parlerà anche del successore di Luca Zaia UGO MAGRI ROMA Sulla premessa (vera o falsa non importa) che la Lega ha stravinto le elezioni al Nord, e il Pdl invece le ha straperse, Bossi getterà lo spadone sulla bilancia. In amicizia, per carità, perché lui e Berlusconi hanno giurato a vicenda di non litigare mai più. Però ci sono un paio di questioni in sospeso che riguardano il governo e la politica di qui al 2013. Due questioni su cui la Lega vuole parole chiare già stasera, quando Silvio e Umberto si siederanno a tavola. Anzitutto, il ministero delle Politiche agricole. Chi vive in città non si rende conto di che peso abbia, e quanti voti muova, specie in Padania. Ora lì c’è Zaia, del Carroccio, che però è stato eletto governatore in Veneto. Dovrà mollarlo. E nel «do ut des» con il Piemonte, ceduto alla Lega, quel dicastero tornerà al Pdl. In teoria ci sarebbe Galan, spodestato proprio da Zaia. Ma Galan pensa di meritare ben altro. E poi la Lega gli rimprovera di avere sparso veleni, ha consegnato a Berlusconi un dossier di interviste e discorsi dove (tolta l’accusa di sbranare i bambini) Galan imputa al Carroccio la qualunque. Per cui, una volta accomodati a cena, Bossi dirà al premier: «Noi rinunciamo all’Agricoltura, d’accordo; ma chi dei vostri sarà ministro dopo Zaia, lo decidiamo noi». Quel «qualcuno» nella testa del Senatùr ha nome e cognome, si tratta di Enzo Ghigo che i leghisti considerano amico fedele. Se Berlusconi darà l’okay, al Nord passerà il messaggio che va avanti chi è gradito alla Lega, e chi non lo è viene punito duro. Qui può nascere il mugugno, i dirigenti Pdl si sentiranno sacrificati, piangeranno calde lacrime col Capo, i finiani ne profitteranno per chiedere fermezza verso il Carroccio. Ma al dunque, fra il prendere e il lasciare, si può scommettere per cosa opteranno i «berluscones». Che spargono voci incontrollate, tipo quella di Bossi deciso a reclamare qui e subito la poltrona di vice-premier per Calderoli, in modo da sancire il diverso equilibrio nel centrodestra: ipotesi che Berlusconi aveva già soppesato un anno e mezzo fa ma poi dovette abbandonare perché i vice-premier sarebbero stati due, e nel Pdl si sarebbe scatenata la rissa tra i pretendenti. Calderoli, tra parentesi, mira più in alto: vorrebbe tracciare la rotta sulle riforme istituzionali. Ed è l’altra questione che si toccherà stasera ad Arcore, politicamente insidiosa. Bossi ricorderà al Cavaliere che ministro delle riforme, fino a prova contraria, è ancora lui. E che sua intenzione sarebbe di esercitare la delega dando credito a Calderoli. Il quale, a quel punto, tirerà fuori di tasca dei fogli con su scritta la grande riforma targata Lega: federalismo, si capisce, bilanciato dal semi-presidenzialismo alla francese. In pratica, un Capo dello Stato coi vasti poteri di Sarkozy, poi si vedrà se eletto a turno unico o a doppio turno (sistema preferito dalla sinistra italiana). Calderoli spera in questo modo di agganciare il Pd e di mettere il federalismo in cassaforte. Berlusconi verrà lusingato: «Caro Silvio, con il sistema francese potrai salire al Colle dopo Napolitano...». Se il Cavaliere non le desse retta, la Lega sarebbe pronta a tutto. Perfino a presentare in modo autonomo la sua proposta. E non sarebbe un bel segnale per la tenuta del governo. Anche qui, però: se il progetto Calderoli va avanti, il Pdl rischia di apparire l’ennesima volta a traino. Un vagone eternamente agganciato alla «locomotiva Lega». Ecco perché il gruppo dirigente berlusconiano sta lavorando a una «proposta complessiva» sulle riforme che verrà depositata in Parlamento la prossima settimana. Già domani (nell’attesa dell’incontro chiarificatore tra il Cavaliere e Fini che ancora risulta da fissare) si riunirà l’ufficio di presidenza. Che batterà un colpo sulle riforme per dire: oltre alla Lega, esistiamo anche noi. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese" Inserito da: Admin - Aprile 07, 2010, 09:35:09 am 7/4/2010 (7:18) - IL VERTICE DI ARCORE
Bossi al premier: "Via alle riforme ma con larghe intese" I leghisti vogliono evitare il rischio di un altro referendum. Cresce nel Pdl l’insofferenza verso i diktat degli alleati UGO MAGRI ROMA Le cene di Arcore sono tutte uguali, chi le immagina come consigli di amministrazione è fuori pista. L’alta politica si alterna alle barzellette, un po’ si scherza un po’ si dice sul serio fino a notte fonda, quando su Bossi cala il sonno e quello che è rimasto in sospeso viene rinviato alla prossima volta, «tanto caro Umberto non c’è fretta, ogni lunedì ci si vede...». Anche ieri, identico copione. La Lega si è presentata in massa a Villa San Martino (c’era perfino Renzo, figlio del Senatùr) per mandare avanti le riforme e spingere Ghigo anziché Galan sulla poltrona di ministro all’Agricoltura, oggi occupata da Zaia. Clima ottimo, figurarsi, tanto più che le Regionali sono andate di lusso. Ma esito interlocutorio. Calderoli ha consegnato la sua bozza di nuova Costituzione. Sono mesi che ci lavora, è imperniata su federalismo e presidenzialismo in salsa francese. Più ancora dei contenuti, per lui conta il metodo, sul quale giura «abbiamo trovato la quadra»: la Lega punta sulle larghe intese perché eviterebbe volentieri di sbattere contro l’ostacolo referendario (nel 2006 fu letale). Nel negoziato dunque coinvolgerebbe il Pd, lo adescherebbe con riforme gradite. Il Cavaliere è scettico, poco ci crede, però non vuole urtare Fini (probabilmente si parleranno domani) e tantomeno Bossi, che su questo la pensa come il presidente della Camera. «Strada facendo vedremo, adesso è prematuro», prende tempo Berlusconi. Sul ministero, invece, gran discussione. Il premier difende Galan a spada tratta, nessuna voglia di mollarlo al suo destino, insiste per nominarlo ministro al posto di Zaia. Teme che l’ex governatore del Veneto possa fargli danno dentro il partito. Ma soprattutto, Berlusconi non può dare troppo l’impressione di piegarsi ai calcoli della Lega. Sotto questo aspetto, svarione tattico di Maroni, che proprio ieri se n’è uscito sul «Corsera» con un’intervista dove sventola alta la bandiera del Carroccio cui rivendica la guida delle riforme. Detta così, un ceffone in faccia al Pdl nel momento meno indicato, con l’Ufficio di presidenza convocato per oggi e il Cavaliere obbligato a tranquillizzare i suoi facendo apparecchiare pure per i tre coordinatori nazionali (Bondi, Verdini, La Russa) che in origine non erano invitati alla cena. Insomma, l’affondo pubblico di Maroni ha avuto l’effetto di rendere ardua l’operazione-Ghigo. Non solo. In privato Berlusconi s’è mostrato arrabbiatissimo. E ha dato il via libera a quanti, dentro il partito, volevano replicare al ministro dell’Interno. Uno spunto l’ha fornito senza volere il web-magazine di FareFuturo, fondazione nell’orbita di Fini. Che in un editoriale del direttore Filippo Rossi esorta il Pdl «a battere un colpo per non morire tutti leghisti». Fantastico, si sono dati di gomito Cicchitto e Gasparri, Bondi e Verdini fino a Osvaldo Napoli: ecco l’occasione per mettere le cose in chiaro pure nei confronti della Lega. Difatti si sono precipitati tutti quanti a dichiarare che non scherziamo, «l’agenda delle riforme è sempre saldamente in mano a Berlusconi, la regia appartiene al Pdl che ha fatto miracoli alle elezioni», mentre quelli di FareFuturo non si son visti, farebbero meglio a occuparsi del presente. E’ finita con Urso che, a nome della fondazione, ha preso le distanze dal sito web. Non per placare i vertici Pdl, ma per una ragione più sottile, legata alla strategia finiana. Pare che, diversamente dal premier, il presidente della Camera abbia molto apprezzato la sortita di Maroni, specie là dove prospetta il modello semi-presidenziale alla francese (vecchio «pallino» di Fini). Dunque non c’era motivo di lamentare una sudditanza Pdl verso la Lega quando, semmai, è il Carroccio che una volta tanto aderisce alle posizioni di An, e del suo ultimo leader. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi tira dritto sugli alleati Inserito da: Admin - Aprile 18, 2010, 10:18:26 pm 18/4/2010 (6:42)
Berlusconi tira dritto sugli alleati Nessuna concessione a Gianfranco UGO MAGRI ROMA Tutti i riflettori sono su Fini: tornerà sui suoi passi o se ne andrà dal partito che ha contribuito a fondare? Nessuno, nemmeno tra i fedelissimi, scommette sulle sue intenzioni. Il presidente della Camera si è preso un weekend di relax e, possiamo intuire, di ardua riflessione. Se in cuor suo non ha già deciso, Fini può concedersi 48 ore fino a martedì mattina, quando le truppe saranno schierate in attesa di ordini per la grande battaglia di giovedì, nella Direzione del Pdl. Allora sapremo se il Popolo della Libertà va incontro o no a una scissione. Scuote la testa incredulo il berlusconiano Cicchitto: «Da ex-socialista sono esperto in materia. Però mai ho visto un partito che si scinde dopo avere appena vinto alle urne». Corre voce di mediazioni altissime tra Fini e il Cavaliere. Altre chiacchiere ipotizzano un ruolo-chiave per Fini sul terreno delle riforme istituzionali: ma non c’è già Bossi ministro? Nella realtà i margini appaiono esigui. Forse inesistenti. Berlusconi è vellutato nelle parole, inflessibile nella sostanza. Pretende che Fini ingrani la retromarcia. In cambio non concederà nulla. Zero assoluto. Il suo rivale chini la testa o faccia le valigie. Terze vie non risultano. Spiegazione raccolta nel giro dei coordinatori nazionali: «Berlusconi non offre nulla perché non può. Se dovesse regalare a Fini uno spillo, puoi star certo che nel giro di pochi mesi quello spillo diventerebbe una sciabola usata contro il nostro Presidente». False le voci su La Russa pronto a farsi da parte in nome della riconciliazione: si dimetterebbe da triumviro nel solo caso in cui Fini formasse gruppi autonomi, essendo stato indicato da lui; viceversa, di rinunciare per far posto a un finiano «doc» neanche a parlarne. L’organigramma resterà tale e quale. Pure sui grandi temi la risposta sarà «no», senza complimenti. Ieri Bocchino ha rilanciato i «cahiers de doléance» finiani: basta sudditanza verso la Lega, più attenzione per il Sud, Berlusconi tuteli meglio il partito, non tratti il presidente della Camera come un dirigente qualsiasi, vieti i «killeraggi mediatici» al «Giornale» di famiglia (che ieri mattina attribuiva a Fini il «ruggito del coniglio»). Sempre il solito personaggio al vertice la mette così: «Di questione meridionale si parla dal 1861, con la Lega abbiamo a che fare da vent’anni, ora Bocchino ci ingiunge di provvedere... Quanto al partito, sta mettendo radici, Verdini ha avviato il tesseramento, ci sarebbe da rallegrarsi per l’esplosione di democrazia interna...». Come mai, allora, Fini è all’attacco? Risposta unanime del gruppo dirigente berlusconiano: «La politica non c’entra, è solo un fatto di insopportazione personale. Gianfranco odia Silvio». E così la categoria dell’odio irrompe, devastante, nel «partito dell’amore», con il premier che non se l’aspettava (giura Bonaiuti). Berlusconi di rimando tratta Fini come un dente cariato, lo disturba quel continuo controcanto, lui dice «A» e l’altro risponde «B». Proprio come faceva Follini da segretario Udc. Osvaldo Napoli rammenta bene quei tempi: «A forza di dargli retta, la coalizione si consumò nell’impotenza e perse le elezioni. C’è il rischio che la storia si ripeta...». Ma non si ripeterà perché il Cavaliere ha fatto certi conti: ritiene che se Fini prenderà cappello saranno in quattro gatti a seguirlo. Probabilmente, crede lui, neppure l’intero gruppo dei 14 senatori «finiani» che ieri, guidati da Augello, hanno invocato da entrambi i leader serietà e comportamenti responsabili, come si addice a tempi difficili. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa Inserito da: Admin - Aprile 19, 2010, 09:38:29 am 19/4/2010 (7:36) - CENTRODESTRA - I GIORNI DELLA CRISI
Pdl, Berlusconi mette Bocchino sotto accusa Fini lima il documento che porrà ai voti giovedì. E Alemanno è pronto a fare da mediatore UGO MAGRI ROMA Vittima sacrificale cercasi. Qualcuno su cui scaricare la colpe dello psicodramma che il Popolo delle libertà sta vivendo, una testa da far rotolare sull’altare della tregua tra Berlusconi e Fini, ancora parecchio lontana (ma i mediatori non si arrendono). Quel qualcuno con cui prendersela somiglia tanto a Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera. I «berluscones» furibondi lo additano quale istigatore di Fini, lui insieme ai Granata, agli Urso, ai Briguglio che ancora insistono per rompere col tiranno Berlusconi, e apertamente rimpiangono Alleanza nazionale, quanto sarebbe bello rifarla daccapo... Nel caso di Bocchino, però, è imbufalito il Cavaliere personalmente: telefonate notturne a Verdini, a Cicchitto e non si sa a quanti altri dopo lo scontro televisivo l’altra sera su RaiDue, che ha visto da una parte il giovane «guappo» finiano, dall’altra il ciellino Lupi, uno che piace al premier perché sempre così sicuro di sé. «Assurdo litigare in pubblico tra di noi», ha sbraitato Berlusconi. Pare solleciti provvedimenti disciplinari, interventi dei probiviri anche nei confronti di Urso (presente alla trasmissione) e Granata (sguaiato con Schifani). i coordinatori nazionali se ne stanno occupando, La Russa frena perché «in questo clima» incendiario ci mancherebbe solo di buttar fuori qualcuno. Ma che Bocchino resti a fare il numero due del gruppo alla Camera, questo sembra più difficile. Se tregua sarà, prima vedremo scorrere il sangue. Berlusconi, ad esempio, non ne può più della Bongiorno alla guida della Commissione giustizia a Montecitorio, considera l’avvocatessa un freno ai suoi progetti, vorrebbe sbarazzarsene. A sua volta Fini insiste per rimettere mano agli organigrammi di partito e di governo, dove si reputa sottostimato. Servirebbe una bilancia, ed eccola pronta, giovedì prossimo in Direzione nazionale: 170 dignitari Pdl, di cui 120 eletti dal congresso e gli altri lì a vario titolo, convocati alle 10 del mattino nell’Auditorium a due passi dal Cupolone per pesare i duellanti. Fini svestirà l’abito istituzionale di terza carica dello Stato e presenterà un documento da mettere ai voti, con le sue critiche al Cavaliere in bella mostra. La bozza verrà presentata con, sotto, le firme di tutti i parlamentari amici: 14 senatori (già si sono esposti pubblicamente) e un numero ancora misterioso di deputati. Dall’altra parte confermano che pure loro presenteranno un testo, si presume di adorazione del premier. Avremo dunque una maggioranza e una minoranza, svolta gravida di conseguenze politiche imprevedibili per l’Italia, poiché nel nome della democrazia interna il «movimento del predellino» finirà nella tomba, e in sua vece nascerà un partito stile Prima Repubblica, correntismo compreso. Sarà l’anticamera della scissione, quella vera? E Berlusconi, accetterà di tenersi in casa degli oppositori dichiarati? Si annuncia un salto nel buio. Che molti tra gli ex di An eviterebbero volentieri, un po’ per non finire in castigo con Fini, un altro po’ perché in ansia sulla sorte del Pdl. Dal Campidoglio giunge voce che oggi vedremo scendere in campo Alemanno, il sindaco di Roma, con un terzo documento da mettere ai voti. Di mediazione tra gli altri due. Proporrà di affrontare ad uno ad uno e con calma i temi sollevati da Fini, dedicando a ciascuno una riunione di direzione. Matteoli è d’accordo, Augello pure, così la Meloni, certo la Polverini. Contrarissimi i pasdaran di entrambi gli schieramenti, convinti che sia il caso di farla finita: due galli nel pollaio non possono coabitare, uno è di troppo. Qualche ruolo l’avrà Bossi quando, oggi o domani, vedrà il Cavaliere. Spingerà per la pace con Fini che, scommette il Senatùr, se vuol contare «avrà bisogno della Lega». Così pure Berlusconi. Il quale, confida Bossi allo spagnolo «El Pais», andrebbe volentieri al Quirinale. La conferma è autorevole. Ma c’eravamo arrivati da soli. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e Fini, scontro totale Inserito da: Admin - Aprile 23, 2010, 09:17:47 am 23/4/2010 (7:3) - PDL DIVISO
Berlusconi e Fini, scontro totale Fini dalla platea si alza per replicare a Berlusconi Alla direzione nazionale del Pdl il Cavaliere attacca: se vuoi fare politica dimettiti. La replica: altrimenti che fai, mi cacci? UGO MAGRI Il governo Berlusconi ha le gambe d’argilla perché Gianfranco Fini inaugura l’opposizione più spietata: quella dentro il partito. Il Cavaliere si ritrova un nemico in casa e un avversario elusivo nel Parlamento. Nel Pdl va in scena la guerra civile. Alle 18 e 30, quando 12 membri della direzione su 171 votano contro il documento conclusivo dove si condannano le critiche al Capo e le correnti, crolla l’unanimità di facciata. Già Fini avverte: lui e i suoi saranno leali se si tratterà di mandare avanti il governo. Tuttavia le decisioni andranno prese «negli organismi rappresentativi», non è che Silvio la mattina si sveglia e dà ordini. Sennò si ritrova al Senato o alla Camera una fronda capace di farlo piangere. Nessuno può più sapere che cosa accadrà su giustizia, fisco, federalismo... Si coglie, perfino in un duro come il capogruppo Cicchitto, cautela e preoccupazione per quanto vedremo in futuro. Ovvio che colpisca lo scontro spettacolare, fino alla scena madre: il presidente della Camera che scatta in piedi, va verso Berlusconi e quasi lo bloccano i «body guard». Tifoserie in tripudio, ciascuno dei co-fondatori mostra di avere attributi... Scene di ben altro effetto per chi le guarda da casa. Eppure il premier aveva concepito un piano per imbrigliare Fini, voleva bagnare le polveri dell’avversario prima ancora che salisse alla tribuna degli oratori, nell’Auditorium di via della Conciliazione, a cento passi da San Pietro. Interventi iniziali dei «triumviri»: di Verdini per spiegare quanto grande è stato il trionfo alle Regionali. Di La Russa per negare che Bossi la faccia da padrone. Di Bondi per dare a Fini un assaggio del trattamento in arrivo: accuse di «bizantinismo, smania di autodistruzione, cupio dussolvi». Il Cavaliere stesso (discorsetto introduttivo) aveva fatto intendere che litigare sulle riforme sarebbe stato inutile, quelle della Costituzione «si faranno solo con consenso di tutti», opposizioni comprese, una svolta a 180 gradi. Idem sulla democrazia interna: si faccia un congresso all’anno, che problema c’è? Poi sfilata di ministri per impaniare Fini, da Frattini (Berlusconi non va indebolito all’estero) a Tremonti (mai favorita la Lega con gli aiuti di Stato). Quando il presidente della Camera prende la parola, è quasi l’una. Irride come «puerile» la tattica berlusconiana. Rivendica la «necessità di fare chiarezza». Nega si tratti di «bizze, gelosie» verso il leader. Chiede se «è lecito avere opinioni diverse e organizzate dentro il Pdl». Segnala a Bondi di avere incassato «bastonature mediatiche» dai giornali della famiglia Berlusconi. Sarcastico sulle riforme condivise: l’avesse detto prima, il Cavaliere, si evitavano polemiche. Poi Fini spalanca il pozzo senza fondo della prepotenza leghista, vi attinge a piene mani. Sull’immigrazione richiama i valori cristiani del Ppe contro i medici-spia e quanti vogliono cacciare da scuola i figli dei clandestini. Nega che Tremonti sia montato sul Carroccio. Però segnala che il ministro del rigore si è prodigato sulle quote-latte. E sul federalismo fiscale domanda: va fatto a ogni costo come vuole Bossi? Morale finiana: «Siamo diventati fotocopia della Lega». Prova ne sia la disattenzione per i 150 anni dell’Unità. Berlusconi quasi non si trattiene allorché Fini cestina il programma elettorale: «Scritto in un altra epoca», va ripensato da cima a fondo. Il tappo salta poco dopo. Gianfranco alza il sipario sulle «litigate a quattr’occhi» con Silvio per il processo breve, «un’amnistia mascherata, 600 mila processi che venivano cancellati». Alto tradimento proprio sulla giustizia: il Cavaliere torna al microfono, come una furia. «Mi pare di sognare», è l’esordio. Come si può trattare con chi contesta su tutto? Poi, rivelazione per rivelazione, afferma che «davanti a Letta testimone» Fini si sarebbe detto «pentito» di aver dato vita al Pdl, avrebbe preannunciato un gruppo autonomo. Sugli attacchi di Feltri, risposta standard: io non c’entro, ho detto a mio fratello di vendere il «Giornale». Sulle celebrazioni dell’Unità «non ci stiamo occupando d’altro». La Lega va forte perché loro fanno proseliti anche il sabato e la domenica, mica vanno in vacanza. Bordata conclusiva: «Le sue critiche sono accolte, ma da uomo di partito, non da presidente della Camera». Vuol fare politica? Lasci quella poltrona. Con il durissimo documento conclusivo (i parlamentari non erano ammessi al voto) Berlusconi indica a Fini dov’è la porta, ma Gianfranco non se ne va. Resta per contestare la linea. Nemmeno abbandona la carica istituzionale, minaccia «scintille» in Parlamento. E il Cavaliere non può farci nulla. da lastampa.it Titolo: UGO MAGRI Fini: "Perchè il Pdl sta a guardare?" Inserito da: Admin - Maggio 04, 2010, 10:20:45 pm 4/5/2010 (7:6) - INTERVISTA
Fini: "Perchè il Pdl sta a guardare?" Il cofondatore del Pdl: il nuovo patriottismo non è il Grande Fratello, ma quello degli onesti che vincono sui furbi UGO MAGRI ROMA Pier Ferdinando Casini ha pronta la sua nuova creatura. «Vogliamo creare un partito nuovo, lo faremo entro l’anno», ha annunciato il leader dell’Udc intervistato al Tg1, «che parli il linguaggio della riconciliazione nazionale, dell’unità della nazione». Dunque, ha assicurato, quelle su contatti con Fini o un riavvicinamento con Berlusconi sono «tutte chiacchiere», ha assicurato Casini. «Quello che c’è di vero è che sto dalla parte degli elettori», ha aggiunto, «noi siamo all’opposizione, un’opposizione seria che non vuole più litigi». Perché, ha insistito, questo «è un paese che sta morendo di litigi». Presidente Fini, non le fa un certo effetto il ministro Calderoli che snobba i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia? «Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell’unità nazionale. Però non mi meraviglia affatto». E come mai? «La Lega in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata». La Padania. «Esatto. E dunque non me la prendo con loro». Con chi, allora? «Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario?». L’hanno sottovalutato. «E non sarà, avevo chiesto, perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?». Tuttavia Bondi e Berlusconi già allora le avevano rammentato che il governo si sta rimboccando le maniche... «Ci mancherebbe altro! Do per scontato che le istituzioni siano in prima linea, specie dopo il forte impulso del presidente Napolitano. Non credo di violare un segreto se anticipo che si sta lavorando all’ipotesi di celebrare il centocinquantenario anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato». Sarebbe un momento alto della vita politica. Quindi cosa vuole di più? «Si dà il caso che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l’Unità». Va bene, ma iniziative finalizzate a cosa? Mica potete fare l’album Panini con gli eroi del Risorgimento... «Non c’è dubbio alcuno. La visione più miope e meno produttiva sarebbe quella di tipo museale, a valenza zero specie tra i giovani. Invece l’anniversario va colto come l’occasione perché tutti ci si interroghi su cose molto più serie, su ciò che vuol dire essere italiani. Oggi, non ieri». Perché, il patriottismo non è più quello di una volta? «Lei ci scherza. A me invece piace citare Renan quando diceva: la nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Aggiungo io nel mio libro “Il futuro della libertà”: un progetto in evoluzione continua, è sempre e non è mai». Come vanno celebrati questi centocinquant’anni? «Usando il meno possibile lo specchietto retrovisore e proiettando avanti lo sguardo. Puntando alle sfide del domani, alle riforme strutturali di cui abbiamo così bisogno. Tentando di riconciliare la politica con la società. Non intendo fare polemica inutile...». La polemica non è mai inutile. «E allora: se qui si continua a vivere sul quotidiano, a privilegiare ciò che è contingente rispetto a quanto sarebbe strategico, a rinfacciarsi reciprocamente colpe, torti, omissioni, come possiamo lamentarci poi se il cittadino si sente sempre meno figlio di una stessa comunità nazionale?». E’ quanto afferma, tra le righe, il cardinale Bagnasco... «Dice cose sacrosante. Se vogliamo un futuro condiviso, serve aveve una memoria condivisa, e dà lì individuare ciò che ci unisce». Volando più basso, magari servirebbe anche qualche altro soldino per celebrare degnamente il centocinquantenario. I trentacinque milioni stanziati dal governo sembrano pochi. «Sono un’inezia. Qualcuno l’ha scritto, finirà che verranno spesi solo per tagliare le erbacce intorno ai vari monumenti di Mazzini e di Garibaldi... E’ la prova della miopia di quanti nel mio partito dicono: già stiamo facendo. Ma a me preme soprattutto l’approccio culturale. Io lo capisco, non si può chiedere a un militante della Lega di sentire qualcosa nel petto durante l’Inno di Mameli o davanti a un Tricolore. Do pure atto a Bossi di aver conferito dignità politica a identità municipali e localismi che sono sempre esistiti (da ragazzo, quanto mi appassionavo a leggere «L’Alfiere» di Carlo Alianello, apologia romantica della resistenza borbonica...)». Calderoli sostiene che l’unico modo di unire l’Italia è il federalismo. «Proprio qui sta l’approccio culturale diverso! L’Italia è già unita. Lo è già come risultato di comuni sofferenze, di impeti generosi come sulle trincee del Carso dopo Caporetto, e poi come nella guerra di Liberazione, nella ricostruzione... Il federalismo non serve a unire». A che cosa, allora? «E’ un modo utile per rendere più efficiente la macchina dello Stato. Può rappresentare un valore aggiunto per il Paese». Anche il federalismo fiscale? «Siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere». Torniamo alle celebrazioni, che per Berlusconi vanno bene così e lei vorrebbe farne invece il perno di una riflessione collettiva. «Sì, perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all’indice ogni qualvolta la sollevo». Sostengono che fa scappare i voti verso la Lega. «Ma sollevarla mica vuol dire perdere di vista la difesa della legalità, la lotta all’immigrazione clandestina, la gerarchia dei doveri accanto a quella dei diritti. Significa semmai accorgersi che nei nostri contingenti di pace ci sono tante ragazze e tanti ragazzi i cui genitori non sono nati in Italia. Eppure sono là a rappresentarci in divisa. Se la Patria non coincide più con la terra dei padri, che cos’è la Patria?». Lei, Fini, sta sollevando quesiti di destra... «Ma certo! L’integrazione dei figli e dei nipoti degli immigrati presuppone l’adesione piena a valori più profondi di quelli che può cogliere un esame di lingua. E dirò pure un’altra cosa di destra tra virgolette: se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica. Diritti e doveri, credo che dovremmo tutti quanti rileggere Mazzini. Perché qui a volte si ha l’impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca». Gli esempi, anche in politica, non mancano certo... «Il ceto politico è l’espressione della società, dietro ogni corrotto c’è sempre un corruttore. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l’onestà della disinvoltura. Mi piacerebbe che il Pdl indicasse degli italiani anonimi, gente normale e meritevole, come modelli di riferimento di un nuovo patriottismo: l’artigiano che non evade le tasse, la madre che tira su i figli, i “fessi” che vincono per una volta sul mondo dei “furbi”». Ma il Risorgimento, presidente, che c’entra? «Serve esattamente a parlare di tutto questo» http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54638girata.asp Titolo: UGO MAGRI E Casini ora guarda a destra Inserito da: Admin - Maggio 08, 2010, 03:02:50 pm 8/5/2010 (8:7) - RETROSCENA
E Casini ora guarda a destra Prove di dialogo del leader Udc: senza Cavaliere, ma con l'asse Tremonti-Lega UGO MAGRI ROMA Per capire le trame del Palazzo, è sempre utile mettersi sulle tracce della volpe Casini. La quale, da svariati giorni, sta dandosi un gran daffare. Come se qualcosa di grosso sia lì lì per succedere, e lei voglia prepararsi a fronteggiare l’evento. Di che si tratta? Se si dà retta a una conversazione con Franceschini, captata senza fatica dai cronisti alla Camera, il leader Udc immagina che le contraddizioni dentro il governo possano esplodere fino al punto da trascinare l’Italia alle elezioni anticipate. Viste non come una liberazione dal Tiranno, ma come un baratro, perché in campagna elettorale Berlusconi non ha rivali: l’ha appena dimostrato alle Regionali, meglio non riprovarci subito con le Politiche. E allora, suggerisce Casini al capogruppo Pd, «studiamo insieme qualche strategia per non farci cogliere alla sprovvista come due anni fa, quando non avevamo neppure una carta di riserva per evitare le urne». Un governo ponte, una formula di solidarietà, qualunque cosa tranne che stare fermi in attesa del temporale. Fin qui sembra l’esperto Casini che spalanca l’ombrello in anticipo. Poi c’è Pier Furby, fratello gemello di Pier Ferdinando, il quale teme la sorte prematura del governo, però nemmeno esclude che per i prossimi tre anni non succeda un bel nulla: vuoi perché la fronda finiana non andrà da nessuna parte, vuoi perché la nuova Tangentopoli deluderà le attese dei più catastrofisti. Ecco allora il medesimo Casini impegnato a studiare la tattica di sopravvivenza in vista della traversata del deserto che può attendere l’Udc di qui al 2013. Ed è l’aspetto politicamente più interessante, in quanto tale tattica non esclude nulla, nemmeno una ripresa di rapporti serrati col Cavaliere. Iniziando subito da temi specifici. Il pretesto, che tale andrebbe considerato se non fosse un caso talmente serio, lo dà la Grecia. Per Casini siamo a un punto di svolta, «con la speculazione che prende di mira l’Europa è necessario che la politica italiana risponda con un supplemento di responsabilità nazionale, dia la prova di lavorare insieme per superare le difficoltà». Un soccorso al governo, una mano tesa a Berlusconi, troppo in crisi per ignorarla. Pentito di avere sbattuto l’Udc all’opposizione? Il Cavaliere di rado ammette gli strafalcioni, però l’orgogliosa presunzione del predellino sembra svanita. E difatti: Cicchitto subito apprezza lo «spirito costruttivo» dell’Udc, La Russa esorta a «mai dire mai». Raccontano che Berlusconi non veda l’ora di accoppare il vitello grasso per far festa al «figliol prodigo» Casini. Ma siccome è un campione di astuzia democristiana, il leader centrista sceglie per ora un altro interlocutore, diverso dal Cavaliere, il cui peso sta crescendo a dismisura sulla bilancia politica, cioè Tremonti. L’altro pomeriggio, mentre il ministro dell’Economia illustrava il piano per la Grecia, sui banchi del Pdl erano in tre ad escoltarlo. L’Udc, invece, a ranghi compatti. Per applaudire colui che Bossi definisce «il nostro salvatore», e Berlusconi considera scherzando «un po’ troppo leghista». Già, perché pure con la Lega Casini ha aperto un fronte di dialogo. Al punto che nei prossimi giorni Calderoli romperà gli indugi e andrà a trovarlo. Parleranno di federalismo fiscale e, giacché ci sono, di scenari futuri. «La fase della contrapposizione ideologica è finita», proclama il leader Udc. Da cosa può nascere cosa. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54762girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il presidente della Camera: disponibile solo a incontri ufficiali Inserito da: Admin - Maggio 14, 2010, 06:08:16 pm 12/5/2010 (7:50) - TENTATIVI DI MEDIAZIONE
Fini dice no agli ambasciatori di Berlusconi Il Pdl designa Verdini per trattare Il presidente della Camera freddo: disponibile solo a incontri ufficiali UGO MAGRI ROMA La trattativa tra Berlusconi e Fini nemmeno fa in tempo a riprendere, che già è in panne. Sospetti, gelosie, veti incrociati: il Pdl ripiomba nel caos. Colpa di un incontro segretissimo, quattro ambasciatori del premier (Letta, Verdini, Cicchitto e Ghedini) attesi ieri pomeriggio dal presidente della Camera per discutere una possibile tregua tra i due separati in casa. Il fatto di parlarsi, sia pure tramite intermediari, sembra già buon segno. Poi però qualcosa va storto, qualcuno chiacchiera troppo, forse per malizia. Tutti i riflettori si accendono sull’incontro, il segreto rimane solo per Pulcinella, chi non fa parte della delegazione comincia a rumoreggiare. In particolare piantano la grana quelli ex di An passati col Cavaliere (Alemanno, Gasparri, Matteoli, La Russa). Si sentono umiliati. Proprio loro, che hanno organizzato la resistenza contro Fini. «Ma come», gridano al premier, «noi ti abbiamo fatto scudo, e tu ci tagli fuori dal negoziato?». Temono che il caro Silvio, per non trovarsi col fianco parlamentare scoperto, sia pronto a usarli come merce di scambio. Circola voce che il prezzo dell’intesa con Fini, qualora mai fosse raggiunta, sarebbe la testa di La Russa, oggi ministro e pure «triumviro» del Pdl. A una delle due cariche dovrebbe rinunciare, si immagina quella di partito perché Berlusconi è già alle prese con la sostituzione di Scajola (Romani sembra il predestinato, ma il premier si attende suggerimenti dagli industriali). Scoppia dunque la rivolta dei pretoriani. Trattare con Fini in queste condizioni non è possibile. Berlusconi ordina di rinviare a oggi l’incontro, i suoi emissari inventano una scusa qualunque. Poi, durante una tragica riunione serale con lo stato maggiore, il Cavaliere perde la pazienza, con Fini tratterà il solo Verdini a nome dei tre coordinatori Pdl, così nessuno si offende. Senonché il presidente della Camera quando è notte fa sapere che non ci sta: lui vuole la sconfessione pubblica di coloro che l’hanno tradito. E’ la pre-condizione di ogni colloquio. Per cui niente Verdini. Se il Cavaliere vuole chiarirsi con lui venga direttamente, eviti di mandargli degli emissari, specie di nascosto. Non è detto che Berlusconi si tiri indietro. C’è un bel contrasto tra quanto lui dice e come poi si regola concretamente. Parla con i fedelissimi e ostenta spavalderia: «Il governo va avanti con le sue riforme, quello che contano sono i numeri in Parlamento, la nostra maggioranza è salda...». Sembra una porta in faccia a Fini ma anche all’Udc che propone formule emergenziali, di Casini il Cavaliere non sa che farsi. Poi però c’è l’altro Berlusconi. Quello pragmatico. Molto prudente. E assai preoccupato. Che cerca di rammendare gli strappi o, se l’immagine non garba, di puntellare il suo potere fin qui assoluto. Ieri, ad esempio, proprio mentre snobbava a parole i centristi, Berlusconi dava il via libera all’intesa della Polverini con l’Udc nel Lazio. A costo di mortificare qualche legittima aspirazione nel Pdl. Gli ex-dc avranno due assessorati, sull’altare dell’intesa vedremo molto probabilmente il sacrificio di Cicchetti (area Gasparri) e di Battistoni (giro Tajani). La morale? Con Casini, e a maggior ragione con Fini, il Cavaliere non disdegna affatto le intese. Potrebbero fargli troppo comodo, specie se fossero vere le chiachiere di nuove tegole giudiziarie in arrivo, che continuano a circolare alla Camera, in Senato, perfino nelle alte sfere del Csm. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/54897girata.asp Titolo: UGO MAGRI I due premier, Palazzo Chigi inscena la diarchia Berlusconi-Tremonti Inserito da: Admin - Maggio 27, 2010, 06:11:40 pm 27/5/2010 (7:5) - RETROSCENA
I due premier, Palazzo Chigi inscena la diarchia Berlusconi-Tremonti Ma negli occhi del Cavaliere qualche lampo d'insofferenza UGO MAGRI ROMA Ora lo sappiamo, a comandare in Italia sono in due: Berlusconi e Tremonti. Per effetto dell’emergenza, forse il secondo più del primo. E non inganni la deferenza esibita nei confronti del premier nella conferenza stampa, la modestia ostentata dal ministro davanti alle telecamere, quel suo ripetere educato che la manovra è tutta del Cavaliere, lui l’ha anticipata a Barroso ricevendone disco verde, lui se ne assume la responsabilità dinanzi al Paese... Proprio quest’insistenza sincera, questa premura di Tremonti nel consegnare a Cesare quel che è di Cesare, fotografa i nuovi veri rapporti di forza nel governo e nella maggioranza. Dove regna ormai la Diarchia. O, se si preferisce, il Consolato: Giulio e Silvio. Al tavolo della sala stampa neo-barocca, ristrutturata dall’imprenditore Anemone con mezzi inversamente proporzionali allo spazio disponibile, ci sono loro due e basta. Cinque sedie vuote, Tremonti seduto alla destra del Padre. In prima fila, a godersi lo spettacolo, Paolino Bonaiuti e l’aiutante di campo del ministro, Marco Milanese. Manca Gianni Letta, assente Sacconi (però elogiato più volte dal collega dell’Economia), nessuna traccia di La Russa, Matteoli, Frattini, Calderoli, Rotondi, la Prestigiacomo... Bisogna parlare al Paese, fuori i secondi. La scena è tutta per la strana coppia. Con Berlusconi che esordisce leggendo un preambolo difensivo, quasi un mettere le mani avanti: «E’ stato giocoforza prendere queste misure», si giustifica, «perlomeno non abbiamo aumentato le tasse», «comunque abbiamo tagliato meno degli altri», «i dipendenti pubblici pagano il dazio ma negli anni scorsi avevano avuto di più». Parole studiate apposta per i tigì, ma in sala l’effetto viene guastato dal microfono che fa eco, sembra di ascoltare Radio Londra. Berlusconi nega dissapori con Tremonti, si dichiara «disperato» per ciò che legge sui giornali malvagi. Grande, consumato attore, il premier lo ringrazia e ri-ringrazia, medaglia pure a chi lo ha coadiuvato nell’impresa. Al termine della conferenza stampa prende il ministro sottobraccio per posare davanti ai flash come si conviene in un momento del genere, siamo o non siamo a un «tornante della Storia»? Sembrerebbe il trionfo dell’armonia. Ogni volta il ministro si appella all’autorità del premier, «come ha detto il presidente», o «come vi dirà tra poco». Non fa in tempo a spendere una battuta colta e spiritosa delle sue che già Berlusconi sorride, mostrando di saperla già, tale è la consuetudine. Ma poi si colgono certi lampi negli occhi del Cavaliere, alcuni piccoli tic di insofferenza. L’orgoglio del leader abituato a comandare in solitudine, senza mediazioni, balza fuori appena Giulio cita il programma di governo: «L’abbiamo scritto in due!», scatta il premier. O quando ricorda che l’Europa «è stata salvata da questi signori», e addita loro due, «se non intervenivamo noi era probabile una crisi rilevantissima», altro che la Merkel «sotto lo choc di elezioni perse», e comunque non è solo merito del bravo Giulio. Nonostante lo sforzo di sembrare Bibì e Bibò, le distanze emergono prepotenti. A cominciare dalla tracciabilità dei soldi dove ogni maquillage è superfluo: per Berlusconi pagare cash resta un atto di libertà, «ci sono spese delle volte che uno preferisce effettuare in contanti», meglio non indagare quali, laddove per Tremonti siamo figli dell’arretratezza, «in altri Paesi se tiri fuori le banconote chiamano l’Fbi», qui in Italia siamo assuefatti così. Ancora: il ministro è tutto orgoglioso dei giudizi dall’estero, gli applausi dell’Europa, dei mercati, delle società di rating per questo show di rigore. Il premier annuisce, però poi insiste che la salvezza sarà la ripresa, altro che i tagli, e la crescita grazie a Dio sta arrivando. Chi conosce l’uomo Berlusconi mette in guardia: la coabitazione sua con Tremonti, tra il premier di oggi e (forse) quello di domani, non può durare. Sarà un caso, ma proprio ieri il Cavaliere ha mandato messaggi di pace al terzo incomodo, cioè Fini. Con la scusa della legge sulle intercettazioni, ha convocato Augello (capo della fronda in Senato) e nientemeno che quel Bocchino di cui voleva sbarazzarsi a qualunque costo. I due si sono stretti la mano, come se nulla fosse, da veri professionisti della politica. Ma il punto non è questo: mancavano i tre coordinatori nazionali del Pdl, tenuti fuori dalla trattativa. Brutto segnale per loro, e devono essersi lamentati dell’esclusione col Capo, perché Ghedini ha dovuto smentire l’incontro con Berlusconi, è stato solo uno scambio tecnico tra giuristi (sebbene Augello e Bocchino giuristi non siano). Difatti a Palazzo Grazioli sono andati, eccome, in veste di ambasciatori. Per preparare l’incontro con Fini entro la prossima direzione nazionale del partito, tempo quindici giorni. La pace nel Pdl è matura, litigare ha danneggiato entrambi i galli del pollaio. Più deboli davanti a Tremonti, disarmati davanti a una manovra contro Roma, gli statali e il Sud, che fa sognare la Lega. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201005articoli/55397girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi irritato: "E' un voltafaccia" Inserito da: Admin - Giugno 15, 2010, 09:30:02 am 15/6/2010 (7:23) - IL CASO
Berlusconi irritato: "E' un voltafaccia" Il premier vuole stringere i tempi ma non si fida del cofondatore UGO MAGRI ROMA Il Pdl insiste, e che altro potrebbe fare? Arrendersi senza combattere? Se non altro, deve salvare la faccia. Non si possono rinviare all’autunno le intercettazioni dopo tutto il diavolo a quattro. Ecco perché Cicchitto e Gasparri tornano alla carica con Fini, «la legge va approvata senza ulteriori rinvii, già se n’è discusso abbastanza»... Ed è normale che al presidente della Camera venga rinfacciato l’accordo di sette giorni fa, quando l’Ufficio di presidenza del partito decise (tutti d’accordo) di procedere col testo che ai finiani adesso va stretto. Berlusconi è rintanato nella villa di Arcore, reduce dalla doppia trasferta domenicale in Bulgaria e in Libia (a Milano è sbarcato alle quattro del mattino). Lo raccontano irritato, alcuni sostengono fuori di sé contro il «voltafaccia» del cofondatore, e giurano che questa è la prova, con Fini stipulare intese è impossibile perché lui se le rimangia sotto la pressione del Quirinale e della sinistra. Dove Bersani annuncia che, in caso di forzatura, il Pdl «non sa a cosa va incontro». E Di Pietro già indica il sito web internazionale su cui verranno pubblicate le intercettazioni fuorilegge. Dunque Costa, capogruppo berlusconiano nella commissione giustizia della Camera, si batterà come un leone per mettere le intercettazioni all’ordine del giorno. E Cicchitto, presidente dei deputati Pdl, userà tutte le armi concesse dai Regolamenti per portare subito la legge in Aula, e approvarla così com’è magari grazie a un voto di fiducia. Ma sono assalti senza speranza: sul calendario dei lavori l’ultima parola spetta al Presidente che, protesta Osvaldo Napoli, fa un uso molto politico e poco istituzionale dei suoi poteri. Già si conosce la risposta di Fini: per le intercettazioni non c’è fretta, prima si discuta la manovra dei sacrifici, quella sì che è davvero urgente. Quindici giorni se ne andranno dunque sulle misure economiche. E a fine luglio Berlusconi, con il suo stato maggiore, si troverà di fronte al dilemma: affrontare lo scontro in aula con una quota di deputati che pensano già alle vacanze, o rinviare davvero tutto a settembre, dando l’impressione di cedere a Fini? Sfidare il presidente della Camera fino al punto di mettere la fiducia, o affrontare il «Vietnam» delle votazioni articolo per articolo? Un bel pasticcio. Che qualche libero pensatore dell’entourage berlusconiano non fatica ad ammettere. Individuando pure il peccato d’origine, vale a dire l’incapacità del Cavaliere di definire una linea chiara e coerente nei confronti di Fini (ma pure di Tremonti, ma pure di Casini). Se si vuole la pace, pace. Se dev’essere guerra, guerra. Non questa condizione di perenne malsano equivoco, in cui la testa suggerisce al premier l’urgenza di una tregua e la pancia gli vieta di firmarla. Per settimane Letta e Verdini, incaricati della trattativa con Fini, hanno atteso il via libera dal leader, mai arrivata però. E da giorni sul tavolo di Berlusconi ci sono alcuni fogli divisi per argomenti: le intercettazioni, la giustizia, le riforme, il partito... Sono le basi della possibile intesa dentro il partito. Di sicuro Gianfranco ha dato il suo benestare, manca quello di Silvio. Il quale ci pensa su, tergiversa, perché come ogni accordo pure quello con Fini comporta delle rinunce, e Berlusconi rifiuta di pagare il prezzo. Nello stesso tempo, esita a sferrare l’offensiva finale. Qualcuno dei più assatanati tra i suoi scommette che il Cavaliere perderà la pazienza. E se Fini rinvierà l’approvazione della legge, lui convocherà gli organi del partito per accusarlo di alto tradimento. L’umore, ieri sera, era battagliero. Domani nessuno può dirlo. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55917girata.asp Titolo: UGO MAGRI Bossi vede Fini: "Serve l'intesa con il Quirinale" Inserito da: Admin - Giugno 18, 2010, 05:05:13 pm 18/6/2010 (7:33) - INTERCETTAZIONI - DOPO IL RINVIO
Bossi vede Fini: "Serve l'intesa con il Quirinale" Berlusconi indeciso se abbandonare definitivamente la legge UGO MAGRI ROMA Da certi musi lunghi a Palazzo Chigi si capisce che non è andata come doveva. Gianni Letta il tentativo lo ha fatto, non con il Capo dello Stato direttamente ma con i suoi collaboratori più fidati. Per capire se davvero Napolitano è orientato (così sostengono dalle parti di Fini) a bocciare la legge sulle intercettazioni nella versione attuale. E poi per farsi suggerire qualche eventuale modifica che plachi il Presidente. Invano, però. L’Ambasciatore pare non abbia cavato un ragno dal buco. Lassù gli hanno detto chiaro e tondo di lasciarli perdere, il Colle giudicherà la legge solo alla fine del percorso, il primo cittadino della Repubblica non vuole essere coinvolto nella rissa interna al Pdl dove si scaricano rancori personali insormontabili. Se la veda il Cavaliere direttamente con Fini, e magari pure con Bossi. Già, perché quei due adesso vanno a braccetto. Sarebbe stato istruttivo cogliere l’espressione del premier, quando il portavoce Bonaiuti gli ha riferito che Gianfranco e Umberto hanno confabulato per venti minuti alla Camera. Purtroppo Berlusconi era a Bruxelles, assorbito dal Consiglio europeo, tra l’altro imbestialito con quei giornali che tutte le mattine gli pubblicano tra virgolette lenzuolate di confidenze, vere o presunte. Insomma, lo stato d’animo si può solo intuire. E’ quello del duce accerchiato. Tradito da tutti. Attaccato perfino da Radio Vaticana, dove un docente universitario cattolico manda all’inferno la legge sulle intercettazioni in quanto contraria alla dottrina della fede... Ma quello che più brucia al Cavaliere è il faccia a faccia tra Fini e Bossi, a ruota dell’altro tra Fini e Tremonti. Nato, stavolta, per puro caso. Il presidente della Camera ha visto Bossi in Aula (così raccontano i rispettivi staff) e gli si è avvicinato per ringraziarlo di certe aperture amichevoli del giorno prima. Il Senatùr ne avrebbe profittato al volo: «Parliamo un attimo delle intercettazioni. Io sono preoccupato...». La sostanza è che di perplessità sulla legge la Lega ne ha una sporta piena. Sono quante quelle di Fini o poco ci manca. Sospettano i berlusconiani che Bossi, «istigato» dal ministro Maroni, non voglia cedere al presidente della Camera la bandiera della legalità. Qualunque sia la ragione, Umberto si nasconde anche lui dietro Napolitano: «Se il Presidente della Repubblica non firma la legge siamo fregati», dichiara ai media. Quindi occorre «parlare col Quirinale e con Berlusconi per trovare una via d’uscita», di sicuro «se si va a testa bassa non si risolvono le cose», capito Silvio? Inutile tentare forzature, tipo approvazione in agosto con voto di fiducia. La Lega non ci starebbe. Ammettono alti dignitari del premier che, a questo punto, gli restano solo due strade. O Silvio accetta la lunga lista di modifiche indicate da Fini, nel qual caso la legge sulle intercettazioni passa in un batter d’occhi. Oppure, con la scusa di rinviare la discussione a settembre perché c’è altro più urgente, chiude la legge in un cassetto e getta via la chiave. Ogni soluzione ha vantaggi e svantaggi. Nel primo caso il Cavaliere, sconfitto, metterebbe la firma a un testo che non riconosce come figlio suo, però sempre meglio di zero. Nel secondo caso, Berlusconi non avrebbe scudo contro le intercettazioni future, però potrebbe rivolgersi all’Italia: «Vedete? Ho le mani legate» (secondo l’agenzia Agi già lo va dicendo in giro). E ancora: «In questo Paese le riforme sono diventate impossibili». Scaricandone la colpa sul «dannoso» Fini, ovviamente, ma anche su Napolitano e, perché no, sull’egoismo della Lega. Al momento, non risulta che Berlusconi abbia chiaro il da farsi. Prende tempo, quello sì. E aspetta scettico che Verdini, Quagliariello e La Russa incontrino la prossima settimana Bocchino e Augello (gli emissari di Fini) per cercare l’ennesima tregua. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55994girata.asp Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, il premier in ritirata Inserito da: Admin - Giugno 23, 2010, 05:52:50 pm 23/6/2010 (7:35) - RETROSCENA
Intercettazioni, il premier in ritirata «Salvare il salvabile»: Berlusconi apre la trattativa con il Colle UGO MAGRI Sulla manovra: «Parlatene con Tremonti». Sulle intercettazioni: «Vedetevela voi». Su Fini: «Fate quello che vi pare, ma tenetemi fuori». Berlusconi con la valigia pronta per la tournèe in Sudamerica (e forse per questo motivo di umore radioso) scarica sui fedelissimi tutte le grane. E quelle di cui non può liberarsi ora, tipo la lunga marcia del Pdl verso il congresso, le scaccia con un gesto di fastidio ad agosto, «intanto voi cominciate a pensarci, ne parleremo poi...». Come se il grande disordine sotto il cielo non riguardasse lui. Dove si è nascosto il Cavaliere iper-attivo, decisionista? Se lo chiedono i suoi scudieri, preoccupati da questo inedito «laissez-faire» berlusconiano. Qualcuno lo definisce «realismo» perché in fondo Silvio non può impedire a Bossi e a Fini di azzuffarsi come ieri sulla Padania. Deve allargare le braccia davanti alle impuntature di Tremonti («Abbiamo viaggiato insieme in aereo», racconta il Capo del governo, «e mi ha descritto un quadro poco rassicurante, grandi correzioni alla manovra non saranno possibili»). Né Berlusconi può costringere Napolitano a firmare leggi contrarie alla Costituzione. Il risultato del pranzo a Palazzo Grazioli con i triumviri (Bondi, La Russa, Verdini), i capigruppo (Cicchitto, Gasparri, più il «vicario» Quagliariello), i giuristi (Alfano e Ghedini) e le «zie» (Letta, il portavoce Bonaiuti) si riassume in questa lenta deriva fatalista, quasi zen. Si prendano le intercettazioni: siamo alla ritirata. L’obiettivo diventa «chiudere il più presto possibile», accettando le correzioni del caso. L’interlocutore sarà Napolitano, come Bossi suggerisce. E a trattare col Quirinale provvederà il ministro della Giustizia. Riservatamente, perché il Capo dello Stato non vuole mercanteggiare, già sarà molto strappargli suggerimenti concreti. Ma le riserve del Colle sono note, spaziano dalla proroga ai magistrati, che verrebbero costretti a rinnovare la richiesta ogni 72 ore, fino ai divieti di pubblicare sui giornali addirittura le intercettazioni non più segretate, passando per i cosiddetti reati-spia, per gli ascolti «ambientali», per la responsabilità oggettiva a carico degli editori. Berlusconi dà carta bianca ad Alfano nella speranza di chiudere entro la prima settimana di agosto ed da evitarsi un’altra estate caliente sulla graticola del gossip. Ma se per caso la quarta lettura al Senato non arrivasse in tempo, allora pazienza: l’importante è comunque «salvare il salvabile», riconosce Silvio deluso e distratto. Idem sui rapporti con Fini. Si coglie una noia nella sua intervista a «Oggi» dove, insieme alle foto con la prima moglie Carla Dall’Oglio tornata in auge, Berlusconi parla del matrimonio politico con Gianfranco, («Fare la pace? Mai stato in guerra con nessuno»), e quasi invoca una tregua «senza strappi, senza inutili provocazioni quotidiane, senza uno stillicidio di polemiche continue». Ma lui per primo sa che non c’è verso: Fini non mollerà, anzi cercherà di rubargli consensi nel Pdl dicendo cose «di destra» sulla Patria, contro la Lega, sfruttando un sentimento diffuso dentro il partito. Per cui va bene trattare col presidente della Camera, però da Fini si rechino come Magi i tre coordinatori nazionali. Se la sbrighino loro che rappresentano la maggioranza del partito: Berlusconi non ha niente in contrario, però lui domani deve partire, Canada, Brasile, Panama, e la villa privata ad Antigua... http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/56130girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi contro le Regioni Inserito da: Admin - Luglio 01, 2010, 10:29:36 pm 28/6/2010 (8:36) - RETROSCENA
Berlusconi contro le Regioni «Adesso basta sprecare soldi» UGO MAGRI TORONTO Il gesto con le due mani congiunte è inequivocabile, Totò l’avrebbe accompagnato col suo celebre «ma mi faccia il piacere...». Solo che stavolta non si tratta del grande attore comico, bensì di Giulio Tremonti. Il quale non crede affatto che l’impegno appena sottoscrito dai Venti nella dichiarazione finale (dimezzare i deficit entro il 2013, stabilizzare o ridurre il rapporto debito-Pil entro il 2016) sia legge scolpita nel marmo. «Grandi obiettivi, grandi traguardi internazionali», glissa sorridendo. Berlusconi è d’accordo col suo ministro, il testo conclusivo G20 pecca di «ottimismo», ma in fondo se si vuole ottenere un risultato, spiega, occorre mirare sempre parecchio in alto, altrimenti non si porta a casa niente... E per l’Italia, chiedono al premier nella conferenza stampa di bilancio del summit, questo impegno che cosa cambia? «È presto per dirlo adesso - taglia corto il Cavaliere -, ora mettiamoci di buzzo buono per raggiungere il 3% di rapporto deficit-Pil che chiede giustamente l’Europa entro il 2012», poi si vedrà. Piuttosto, stiano attente le Regioni in rivolta contro la manovra dei sacrifici varata dal governo: Berlusconi sembra determinato a procedere come un panzer. Premette che «dovremo rassegnarci a diminuire le spese», per poi lanciare l’affondo: «Chi ha la responsabilità delle Regioni difende lo status quo, perché molto spesso si tratta di abolire enti e quindi di persone che dovranno trovarsi un altro lavoro». Scelte dolorose, riconosce il premier, salvo mulinare il randello sulla testa di Formigoni, Cota e gli altri governatori ribelli: «Non si può andare avanti così, a sprecare i soldi dei cittadini», esclama con l’aria scandalizzata. L’esito del G20 ha nell’insieme soddisfatto il premier, che rimarca con gioia la vittoria della propria tesi contrapposta a quella della Merkel. Poteva forse evitare questa sottolineatura, tuttavia davanti a taccuini e telecamere il Cavaliere non resiste. «La nostra posizione contraria alla tassazione delle transazioni finanziarie è stata confermata», nonostante vi fosse stata «un’espressa richiesta del Cancelliere tedesco perché l’Europa l’introducesse, anche da sola». Un braccio di ferro perso dalla Germania: «Ero stato buon profeta nel prevedere che nella dichiarazione conclusiva non ci sarebbe stato riferimento a questa tassazione». Così è andata, si compiace il premier. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/56244girata.asp Titolo: UGO MAGRI Intercettazioni, i falchi del Cavaliere: "Ora è guerra col Colle... Inserito da: Admin - Luglio 02, 2010, 09:44:17 pm 2/7/2010 (7:18) - RETROSCENA
Intercettazioni, i falchi del Cavaliere: "Ora è guerra col Colle. Fini si adegui" Ghedini guida l'attacco, le colombe all'angolo. Scontro tra il presidente della Camera e Bondi UGO MAGRI ROMA Napolitano ci dichiara guerra e guerra avrà», si lanciano baldanzosi nella mischia i falchi berlusconiani, quelli che «sulle intercettazioni non cambieremo una virgola», che «o Fini si adegua o verrà cacciato dal Pdl». Non aspettavano altro per suonare la diana della riscossa. Anzi, se si dà retta ai diretti protagonisti, un po’ questo scontro col Colle l’hanno proprio cercato, certi di interpretare gli umori viscerali del Cavaliere, loro santo patrono. Ghedini, per esempio: l’altro giorno era stato visto confabulare ore e ore alla Camera con il centrista Vietti, di cui si parla come possibile candidato per il Csm. Poi a sera, forse immaginando di aver acquisito qualche fantomatico appoggio Udc, ecco l’avvocato del premier dettare la linea dura, eccolo stabilire nella Consulta giuridica che il ddl intercettazioni resterà com’è, e magari alla Camera ci si metterà pure su la fiducia... Uno sgarbo a Napolitano, il quale ne ha preso atto col rammarico tipico di tutti gli esseri umani. Sia guerra, dunque. Sfidando il Colle fino alle conseguenze più estreme. Perché niente e nessuno sembra frenare la deriva muscolare del berlusconismo. Bastonate le rare «colombe» alla Letta, sistemati anche i «realisti», quelli per cui la politica è una scienza esatta, due più due fa ancora quattro e sulle intercettazioni il governo rischia di brutto, i venti di crisi tornano a soffiare impetuosi: se la maggioranza si sfalda nel voto alla Camera, potrebbe nascere ad esempio un governo tecnico. Perché correre questo rischio? Se lo domandano in «camera caritatis» coordinatori, capigruppo, vicecapigruppo, in pratica l’intero nucleo dirigente del Pdl. Dopo l’ultimo avvertimento di Napolitano, tornano in auge gli scenari catastrofisti. Eppure non c’è verso, lamentano gli ultimi «moderati» dentro il Pdl: lo scontro istituzionale sembra scritto nel libro del destino. E il rammarico dei «trattativisti» è proprio che il Presidente della Repubblica, ai loro occhi è chiaro, sia caduto nella «provocazione» dei Ghedini. Abbia commesso (così si sfoga un personaggio autorevole del Pdl) «il primo vero passo falso in una gestione della vicenda per altri versi impeccabile». Perché, dicono sempre i negoziatori sconfitti, sotto sotto si stava cercando un dialogo col presidente della Repubblica e con quello della Camera, sulle intercettazioni ma non solo. Ieri mattina s’erano visti due emissari finiani (Bocchino e Augello) con la delegazione del Cavaliere composta dai «tre porcellini» (come vengono affettuosamente chiamati nel Pdl i coordinatori Bondi, Verdini e La Russa). Un colloquio per gettare le basi del chiarimento tra Silvio e Gianfranco, con l’impegno a rivedersi altre due-tre volte entro la metà di luglio. Non era andata poi così male. Chi era presente racconta di timide reciproche aperture, fermo restando il nodo delle intercettazioni, madre di tutte le discordie interne del Pdl. Poi però è piombata da Malta la «bomba» Napolitano. «Non me l’aspettavo», sussurra fuggendo via alla Camera il presidente dei deputati Pdl Cicchitto. Era stato lui, con il sostegno del senatore Quagliariello, a battersi per anticipare la discussione della manovra economica, proprio come sollecitava il Colle. Perfino la decisione di portare in Aula le intercettazioni il 29 luglio, che Fini e il Quirinale hanno vissuto come una inutile forzatura, era stata presa con l’occhio rivolto ai Regolamenti parlamentari dove si pretende un certo anticipo, se si vogliono contingentare i tempi di approvazione magari non ad agosto, ma a settembre: «Tutte cose che al Quirinale dovrebbero ben sapere...». Per farla breve, Cicchitto ha replicato a Napolitano con gli argomenti appena descritti, facendo precedere la dichiarazione da una telefonata al premier, appena atterrato da Panama a Ciampino. Poco dopo, ciliegina sulla torta, Fini e Bondi si sono presi a male parole in un convegno. Cosicché la giornata, che doveva segnare l’alba del nuovo dialogo, è finita a torte in faccia. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56392girata.asp Titolo: UGO MAGRI Premier a due facce. Duro con Fini, elastico con il Colle Inserito da: Admin - Luglio 03, 2010, 04:11:38 pm 3/7/2010 (7:38) - RETROSCENA
Premier a due facce. Duro con Fini, elastico con il Colle E ai suoi: adesso pretendo il cambio di passo UGO MAGRI ROMA Nulla regge più. Reduce dalle Americhe, il Cavaliere ha impiegato un attimo a rendersi conto. Uno dopo l’altro, si sbriciolano i bastioni della fortezza berlusconiana. Svanita la certezza di una maggioranza parlamentare, c’è bisogno che ogni giorno Fini ne certifichi l’esistenza in vita. L’asse con la Lega è tarlato, la nomina del ministro Brancher semina discordia perfino nel partito di Bossi. E ancora: i governatori di centrodestra (quanta fatica per farli eleggere) sono in rivolta contro la manovra dei sacrifici, accontentarli è impossibile perché Tremonti lo vieta. Dilaga nel Palazzo la percezione di un Berlusconi preso in mezzo, condannato all’inconcludenza per i prossimi tre anni: la raccoglie addirittura dalla Germania il quotidiano conservatore «Handelsblatt», Silvio resta un mito però di questo passo... Urge un colpo d’ala. E la raffica di interviste serali del premier, dal Tg1 di Minzolini a RadioRai di Preziosi, intende comunicare due cose all’Italia. La prima: non si creda ai soliti giornali comunisti che hanno provato a trasformare la missione internazionale del premier in un’allegra vacanza brasileira, tra bionde assistenti e ballerine oba-oba. E’ l’esatto contrario, alle imprese italiane Berlusconi è convinto di aver spalancato le porte dell’Eldorado. Secondo messaggio urbi et orbi: aspettatevi un cambio di passo. Della serie: «Ho capito, così non va, serve una reazione, adesso vedo e provvedo». Non fra un anno o un mese, ma «subito», precisa il consigliere-portavoce Bonaiuti. Chi ha occasione di parlare col premier, è colpito in queste ore dal suo tono di voce, per niente giocoso anzi insolitamente grave e determinato. «Sto per prendere delle decisioni importanti», ripete, «a breve le annuncerò e ne darò conto ampiamente». Clima da vigilia che cambierà il corso degli eventi. E mistero assoluto su quanto dobbiamo attenderci. Per la prima volta da che esiste il Popolo della libertà pochissimo filtra da un vertice con lo stato maggiore, presenti tutti i protagonisti eccezion fatta per Bondi (reduce dalla pubblica lite con Fini) e Ghedini (parecchio irriverente col Quirinale). Non si fatica a immaginare Bocchino e gli altri oppositori interni con l’orecchio teso per captare notizie, indiscrezioni dal summit. Zero notizie anche loro, solo cellulari spenti, segreterie telefoniche, tutto molto, molto strano. Sembra quasi un clima creato ad arte. Risulta comunque che due piani vadano tenuti ben distinti nella strategia del Cavaliere. Una cosa è Fini, altra cosa completamente diversa dev’essere Napolitano. Il primo, cioè Gianfranco, Berlusconi nemmeno lo vuole considerare. Per lui è morto e sepolto. Lascia che se ne occupino i coordinatori, vedano loro come regolarsi nelle trattative con la minoranza, purché lo tengano fuori «tale è il mio disgusto». Butta davvero male, se pure Cicchitto (cui non dispiacerebbe ricucire con Fini) comincia a prospettare seriamente l’ipotesi di una «separazione consensuale», comunque preferibile a questa lite senza costrutto. Su Napolitano, viceversa, massima concentrazione del premier. L’unico dignitario berlusconiano che accetta di parlare, naturalmente anonimo, la mette così: «Berlusconi non vuole rompere con il Colle, però sulle intercettazioni sbaglia chi immagina che chinerà la testa. Col Quirinale cercherà un chiarimento vincolante e definitivo, ha in mente un’uscita per mettere tutti con le spalle al muro. Come? Prenderà iniziative autonome, prepara un colpo di teatro... All’Ufficio di presidenza del partito convocato mercoledì? No, non così tardi. La sua intenzione è di muoversi prima, tra lunedì e martedì». Un weekend di riflessione, e poi lancia in resta. Difficile che un personaggio tutto d’un pezzo come Napolitano si lasci forzare la mano dal premier. Se Berlusconi pretenderà garanzie preventive sulla controfirma presidenziale, rischia di andare a sbattere. Non è malizioso ricordare che certe cariche a testa bassa sono lanciate apposta per nascondere le ritirate (il Cavaliere non ha rivali in materia). Più ragionevole immaginare un altro scenario, di trattativa responsabile tra istituzioni. Un negoziato dove per forza tornerà in ballo la posizione di Brancher, nominato ministro da due settimane e ancora privo di deleghe. Circolavano ieri sera voci di dimissioni imminenti. Un sacrificio sull’altare del chiarimento. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56421girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere si gioca tutto Inserito da: Admin - Luglio 04, 2010, 06:22:24 pm 4/7/2010 (7:11) - RETROSCENA
Prima Napolitano, poi Fini Il Cavaliere si gioca tutto Telefonata di fuoco con Tremonti, ira per l'aumento dei pedaggi UGO MAGRI ROMA Berlusconi vuole chiarirsi personalmente con Napolitano e, una volta per tutte, pure con Fini. L’incontro al Quirinale pare sia già annotato sull’agenda del premier nella pagina di mercoledì 7 luglio. Per fissare quello col presidente della Camera sta adoperandosi Letta, diplomazia fatta persona. Al punto cui sono giunte le cose, o la va o (quasi certamente) la spacca. Il Cavaliere preferisce correre il rischio di incontrare Fini e dirsi addio, trovandosi poi con una maggioranza risicatissima, piuttosto che traccheggiare oltre. Nulla sarebbe peggio dell’inerzia, è la sua conclusione. Nel cassetto dunque la falsa litania propagandistica del «tutto va bene», è tempo di riconoscere le difficoltà cercando una via d’uscita. Una qualunque. L’oggetto del colloquio sul Colle non richiede sforzi di fantasia. Si parlerà di intercettazioni e, più in generale, dei rispettivi poteri: dove finiscono quelli del Presidente, dove incominciano quelli del premier. Escluso che Berlusconi si presenti con fare arrogante. Primo, perché con l’inquilino del Colle cascherebbe male, e poi in quanto al Cavaliere preme soprattutto di uscire dalla trappola dove s’è cacciato, cioè una legge sulle intercettazioni che l’Italia interpreta come attacco alla libera stampa anziché come vorrebbe Silvio (difesa della privacy). La pratica va chiusa il più in fretta possibile. O si individuano d’intesa con Napolitano le 3-4 correzioni in grado di sgombrare l’iter dagli ostacoli, oppure meglio lasciar perdere. Per ora l’insabbiamento è una subordinata di cui lo stato maggiore berlusconiano nemmeno vuole sentir parlare. Eppure, l’ipotesi di gettare la spugna sussiste, mascherata da rinvio a settembre. Se per rabbonire Napolitano fosse necessario sacrificare Brancher, ecco la testa del neo-ministro già sul piatto d’argento. Quanto a Fini, il Cavaliere vuole incontrarlo, se ci riesce, per litigarci e constatare che tra due caratteri così forti la convivenza è impossibile. Arrivare con Gianfranco alla «separazione consensuale» che con Veronica ancora non è nero su bianco per questioni, pare, di spiccioli milionari. Entusiasmo nell’entourage dopo l’offerta Pd di appoggiare gli emendamenti finiani sulle intercettazioni. Nonostante siano nei guai fino al collo, i «berluscones» ritrovano il sorriso, «Franceschini ci sta facendo un regalo perché mette automaticamente fuori del partito Briguglio, Granata, la Bongiorno e tutti quanti troveranno punti di raccordo operativo con l’opposizione». I finiani non sono così fessi, Bocchino tratta la profferta Pd alla stregua di un fungo velenoso. E non è detto che al presidente della Camera convenga accettare un incontro col premier che vuol buttarlo fuori dal Pdl. Però Fini nemmeno può darsela a gambe, specie se la sfida sarà pubblica. Si aggiunga che Berlusconi ha una necessità vitale di mostrare all’Italia che lui, direbbero gli americani, è ancora «in charge», tiene in pugno la situazione, resta il leader insomma. Altrimenti tutto gli sfuggirebbe di mano. Compresa la manovra economica dove le gaffe sono ormai come le ciliegie, una tira l’altra: sul condono, sulle pensioni, sulle tredicesime... Sbotta Bonaiuti, il portavoce: «Qui bisogna che stiamo più attenti prima di parlare generando inutili allarmi». Berlusconi veniva descritto ieri dai suoi come una furia, si racconta di stupore per i tagli alla busta paga dei poliziotti, di telefonate a Tremonti, di sorpresa per l’aumento dei pedaggi autostradali proprio alla vigilia del grande esodo agostano. Ecco: questa settimana servirà al premier per mettere qualche punto fermo. Quantomeno, a non lasciare nulla di intentato. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56441girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi cambia strategia ora punta tutto sul Lodo Inserito da: Admin - Luglio 07, 2010, 05:15:20 pm 7/7/2010 (7:16) - RETROSCENA
Berlusconi cambia strategia ora punta tutto sul Lodo Raduna gli ex di Forza Italia: “Il Pdl è nato contro la logica delle correnti” UGO MAGRI ROMA Berlusconi in queste ore sta realmente chiedendosi se non gli conviene fare di necessità virtù. E rinunciare a difendere l’indifendibile (la legge sulle intercettazioni) per trarne in cambio qualche vantaggio di altra natura. Un po’ come accade, non sembri irriguardoso, di sabato al banco del pesce: è meglio regalarne una cassetta per pochi soldi, e far felice un cliente, o rimettere la merce in freezer? Il «cliente» in questione, nell’ottica del Cavaliere, è nientemeno che Giorgio Napolitano. Al quale il premier attribuisce immensi poteri non solo di veto, ma pure di alto patronato politico. Il Quirinale, per Berlusconi, è come un magico semaforo: disco rosso e tutto si ferma, disco verde e l’ingorgo sparisce. Si delinea dunque un cambio strategico nelle priorità del Cavaliere. Talmente delicato che nemmeno se n’è fatto cenno durante l’improvviso summit serale: tutti i gerarchi a Palazzo Grazioli tranne Gasparri e La Russa, i quali si sono mortalmente offesi della mancata convocazione. Li hanno tagliati fuori (è la giustificazione) perché era una roba di pochissimo conto e loro tra l’altro c’entravano poco. Oggetto dell’adunanza è stato Frattini, promotore di una corrente interna (LiberaMente) insieme con la Gelmini. Berlusconi li bacchetta per la terza volta in due settimane, sebbene siano super-fedeli, in quanto alimentano il frazionismo e così autorizzano i finiani a fare altrettanto. Il Pdl «è nato», recita una nota, «per sconfiggere la vecchia partitocrazia e la vecchia logica delle correnti». Già, ma allora perché lasciar fuori dalla porta proprio due ex di An? Non è un controsenso dichiarare morte le logiche correntizie nel momento in cui si adunano soltanto i duri e puri di Forza Italia? E poi, cosa mai non dovevano sentire Gasparri e La Russa? Che la trattativa con Fini sta per riprendere sulla loro pelle? Godono, si capisce, Bocchino e tutti i nemici interni del Cavaliere: «Visto come ha trattato quei due, chi ci volesse tradire sa già di quale moneta verrà ripagato...». Un polverone. Destinato a occultare le scelte vere, di peso, che si stanno decidendo in altissimo loco. E che riguardano le intercettazioni, ma pure la «madre di tutte le leggi» (così la considera il Cavaliere), vale a dire il Lodo Alfano. Stamane alle 10,30 Berlusconi salirà al Colle accompagnato da 6 ministri e da una folla di generali. C’è il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato. Escluse intorno al tavolo divagazioni di natura politica. Però dal giro governativo insistono: il premier tenterà un abboccamento. Anche solo per pochi minuti. E per far presente al capo dello Stato che sulle intercettazioni lui è disposto a transigere. Fosse necessario, addirittura a rinviare la legge in autunno. Esclusa una discussione sul testo. Tra l’altro Napolitano è fermissimo, non intende fornire al premier alcun suggerimento che l’esporrebbe all’accusa (Di Pietro ha pronto il cannone) di aver negoziato modifiche con il governo. Tuttavia il ministro Alfano pare abbia trovato qualche interlocutore, vai a indovinare come si chiama, con cui ragionare sulle modifiche. E quel qualcuno gli sta dando indirizzi molto generali del tipo: «Orrore limitare le intercettazioni a 75 giorni. Ad esempio, se diventassero 120 più 30 di proroga, tutto sarebbe diverso...». Il Guardasigilli prende nota, corregge con la benedizione del premier. Che a sua volta considera le intercettazioni alla stregua di merce scaduta. Sognava una legge diversa, ancora più draconiana, quella sul tavolo ormai lo disgusta. Tanto vale rinunciare al poisson avariato e averne in cambio, se ci riesce, la benevolenza presidenziale sul Lodo: quello sì che gli interessa davvero. Un disegno di legge è in discussione da maggio, servono due letture al Senato e due alla Camera. Contiene la controversa estensione dello scudo ai ministri. Lascia invece senza protezione i presidenti delle Camere, Schifani e Fini. Il quale Fini rappresenta un’incognita, al pari della Corte costituzionale e del Capo dello Stato... Urge mettersi al sicuro. Questo frulla nella mente del Cavaliere, se si dà retta a chi lo frequenta. E figurarsi se Napolitano, in politica da mezzo secolo, non l’ha già capito. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56537girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, approccio con Casini Inserito da: Admin - Luglio 10, 2010, 11:25:58 am 10/7/2010 (7:35) - IL CENTRODESTRA
Berlusconi, approccio con Casini A tavola da Vespa, il Cavaliere: facciamo la nuova Dc Ma Pier: senza crisi non ci sto UGO MAGRI ROMA Crisi di governo: farla o non farla? E’ il tarlo che rode il Cavaliere dopo la cena dell’altra sera con Casini. Il leader Udc gli ha detto chiaro che di puntellare con i suoi 39 voti questa maggioranza squinternata, nemmeno a parlarne. Diverso sarebbe, ha soggiunto, se si aprisse una fase nuova, passando per le dimissioni del premier e per un nuovo «matrimonio» politico con tutti i crismi. Allora sì, i centristi ne potrebbero ragionare... Una risposta che Berlusconi già conosceva. Però una cosa è parlarne al telefono, ben più impegnativo è dirselo personalmente. E l’occasione del faccia-a-faccia l’ha fabbricata da par suo Vespa con un party di veri vip per festeggiare il mezzo secolo di giornalismo (aveva incominciato a 16 anni). Nel portone principale del palazzo su Trinità dei Monti sono entrati Silvio, la figlia Marina e Gianni Letta. Da un uscio riservato, invece, ecco infilarsi il cardinal Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, ecco il governatore di Bankitalia Draghi, ed ecco infine il super-banchiere Geronzi. Circola nel giro Udc la favola del «trappolone». Pier Furby attratto come un’ape da quel profumo sublime di incenso e di alta finanza. E lì, toh chi ti trova: pure Berlusconi! Ma di favola, appunto, si tratta. Altrimenti non avrebbero colloquiato in disparte col premier subito all’assalto, profferte di ministeri, scenari fantasmagorici, «noi due costruiremo insieme la nuova Dc», tanto Fini ormai è fuorigioco... Difesa strenua di Casini, «no, no, Silvio, non è il momento». E poi, quando il pressing del Cavaliere s’è fatto asfissiante, «ti prego, cambiamo argomento, senza crisi non ci sto». La crisi, appunto. Che significa azzerare il governo, i programmi, l’indirizzo generale. In pubblico Casini parla di «fase politica nuova». Berlusconi è tentato. Sa che in groppa a questo governo non concluderà la legislatura. L’aspetto nuovo, se si vuol credere alla versione Udc, è che durante lo sfogo a quattr’occhi bersaglio numero uno del premier non è stato Fini bensì Tremonti. Sul secondo gradino, la Lega. Solo terzo, nella «hate parade» berlusconiana, viene il presidente della Camera. Che da diversi giorni dà meno tormenti al premier (la «settimana della bontà», si compiacciono a Palazzo Chigi). Berlusconi giura che «mai e poi mai» gli è passato per la mente di cacciar via il cofondatore, Bonaiuti fa lo stesso con i giornali dove si semina zizzania. Al ministro Ronchi il Cavaliere anticipa: i presidenti finiani di Commissione verranno risparmiati, compresa Giulia Bongiorno. Con Giulio Tremonti, viceversa, resta un clima teso. Se al premier riuscisse di imbarcare l’Udc, tutti gli sarebbero utili e nessuno più indispensabile. L’uovo di Colombo. Però in cambio Casini pretende la crisi... Berlusconi prende tempo. La sua remora si chiama Napolitano. Casomai si dimettesse il governo, è a lui che tornerebbe il pallino. Silvio ancora ricorda con terrore quante il Presidente gliene ne fece passare, allorché ricevette l’incarico. Se adesso si aprisse la crisi, dopo tutte le tensioni con il Colle sulle intercettazioni e sul resto, Berlusconi non avrebbe certezza di uscirne vivo. Per cui sta meditando di ristabilire anzitutto un rapporto di fiducia col Quirinale. Riconoscono i suoi consiglieri che gli ci vorrà tempo. Molto tempo. Passerà l’estate, forse anche l’autunno. A quel punto, o nozze con l’Udc o fischio finale della legislatura. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56595girata.asp Titolo: UGO MAGRI Un "super correntone" nel partito del premier Inserito da: Admin - Luglio 12, 2010, 10:18:50 am 12/7/2010 (7:26) - GOVERNO
Un "super correntone" nel partito del premier Gli uomini più in vista del Pdl chiedono uno stop al frazionismo UGO MAGRI ROMA Di domenica, e per di più a metà luglio, mai si era visto un fenomeno simile: venti, forse trenta dichiarazioni a sostegno entusiastico di Renato Schifani, presidente del Senato, che sul Corriere della sera lancia un paio di idee giudicate dai suoi fan sagge, equilibrate, giuste, opportune, meritorie, illuminate, in uno scialo di lodi senza eguali. Tra quanti si sono pubblicamente complimentati spiccano i ministri Fitto, Sacconi e Brunetta, il capogruppo alla Camera Cicchitto, il «vicario» al Senato Quagliariello, presidenti di Commissione come Vizzini, più una folla di parlamentari la cui osservanza berlusconiana mai è stata messa in discussione: da Tomassini a Boniver, da Lupi a Bonfrisco, e poi Azzollini, Malan, Santelli, Osvaldo Napoli e tanti altri ancora... Da Bruxelles fa giungere il suo plauso a Schifani nientemeno che il Commissario europeo Tajani. Che diamine sta succedendo nel Pdl? Sta per nascere, così sembrerebbe, il correntone di quanti non vogliono le correnti. E dunque mandano al premier un messaggio molto preciso: «Caro Silvio, o metti fine al frazionismo interno, e blocchi in maniera risoluta quanti danno vita a raggruppamenti che si richiamano a te, oppure d’ora in avanti saremo costretti a organizzarci anche noi, tuoi fedelissimi, che tu lo voglia o meno». Nessuno si scopre, ovviamente, in termini così brutali. L’ossequio verso il Capo resta totale. Eppure di questo si tratta, di un messaggio mai così ultimativo rivolto al leader. Al quale viene chiesto di non fare l’anguilla sulle questioni poste da Schifani dopo lunga e tormentata (così pare) riflessione con alcuni consiglieri. In sintesi: con Fini si tenti l’accordo da persone serie, senza cedere agli umori viscerali. E basta con il movimentismo, con questa insoddisfazione perenne del Cavaliere verso il partito da lui stesso fondato, che lo porta a immaginare nuovi «predellini» per liberarsi dell’altro co-fondatore, a sguinzagliare guardie scelte come i Promotori della libertà o pretoriani come LiberaMente. Proprio questi ultimi l’altro ieri sono andati in Sicilia, terra di Schifani e di Alfano, per adunare mille persone a Siracusa sotto le bandiere degli antagonisti Prestigiacomo e Micciché: cioè una sfida aperta, quasi sfacciata, all’establishment siciliano e pure a quello nazionale. Già, perché non più tardi di martedì scorso s’era tenuta un’apposita riunione straordinaria del «Politburo»: tutti i personaggi più in vista del partito erano corsi dal Cavaliere per strappargli una parola chiara sul frazionismo interno, e l’avevano ottenuta (o perlomeno così credevano). Addirittura c’era stata una pubblica messa al bando delle correnti mascherate da fondazioni culturali, con tanto di obbligo per quelle vere di federarsi tra loro... Tempo tre giorni, ed ecco il convegno di LiberaMente, con la solita scia di polemiche e di illazioni tipo: chi c’è dietro, dove prendono questi denari, ed altre prelibatezze del genere, tipiche delle guerre civili sotto ogni latitudine politica. Adesso l’uscita di Schifani, il pronunciamento collettivo dell’intero notabilato Pdl, la minaccia sottintesa di organizzarsi a loro volta... Berlusconi come la prende? Bonaiuti, il portavoce, alza le mani: «Credo di essere stato il primo, potrei citare la circostanza, a sparare sulle correnti... Anzi, giacché ci siamo, basta pure con la ripartizione per quote tra ex-Forza Italia ed ex di An». Il Capo come suo solito è strattonato tra i realisti che lo esortano alla prudenza, perché senza i finiani la maggioranza sarebbe appesa a un filo, e gli ultrà che lo incensano, gli danno la carica, e come il sottosegretario Giro prevedono già la rottura definitiva con Fini. Dilaga tra gli stessi colonnelli il sospetto che Silvio reciti due parti in commedia, prepari il faccia-a-faccia inevitabile tra lui e Gianfranco con la riserva mentale di chi in cuor suo vorrebbe dar vita a un nuovo partito berlusconiano, il terzo in 15 anni. In fondo, pure quando sciolse Forza Italia si regolò nello stesso identico modo: coi personaggi in vista del partito negava di conoscere i club della Brambilla salvo incitare di nascosto la rossa Michela Vittoria ad andare avanti. La storia tende a ripetersi, ma la nomenklatura berlusconiana ha imparato la lezione e stavolta non vorrebbe farsi cogliere impreparata. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56641girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, a settembre la resa dei conti: o rilancio o elezioni Inserito da: Admin - Agosto 04, 2010, 07:43:58 pm 4/8/2010 (7:21) - RETROSCENA/1
Berlusconi, a settembre la resa dei conti: o rilancio o elezioni Rebus autosufficienza: i dubbi del Colle se non si superasse quota 316 UGO MAGRI ROMA Salvo ripensamenti notturni (sempre possibili, dato il carattere imprevedibile del personaggio) Berlusconi adotterà oggi la tecnica dello struzzo. Fingerà di non vedere che al suo governo manca la certezza dei numeri, che pezzi della presunta maggioranza vanno a braccetto con le opposizioni, che di fatto egli si ritrova alla guida di un esecutivo balneare. Il Cavaliere ficcherà la testa sotto la sabbia, questo si scommette nella sua corte romana, rifiutando il gesto delle dimissioni in quanto non intende rischiare il vero chiarimento adesso. Prima ha cose più urgenti da fare: rimettere in asse il partito, rilanciare il programma di governo. Gli servirà l’intero mese di agosto. Poi, a settembre, Berlusconi calerà le carte. O rilancio, oppure elezioni anticipate entro fine anno. Ma adesso no, per la resa dei conti è troppo presto. Cosicché, proprio mentre ieri a Montecitorio impazzavano le voci di crisi alle porte, e si raccontava nei capannelli del Transatlantico di un Cavaliere furioso per l’astensione di Fini su Caliendo, deciso a cacciare i ministri e i vice-ministri di An, pronto perfino a salire sul Colle (se non fosse che Napolitano è già partito ieri sera per Stromboli dove trascorrerà le sue ferie), mentre dunque andava in scena questo psicodramma, lui aveva la testa tutta concentrata altrove. Si occupava di scenari futuri, si scervellava su riforme capaci di togliere la patina opaca dal profilo del governo, e soprattutto si dedicava al partito. Qui si annuncia il vero cambio, radicale. Se sono vere le intenzioni manifestate a certi interlocutori di fiducia, Berlusconi mira a fare piazza pulita del gruppo dirigente nazionale in tempi brevi, forse brevissimi. Non per gettare la croce addosso a Verdini, assalito da un nugolo di inchieste, e tantomeno a Bondi, pronto a sacrificarsi per il leader, o al fedele La Russa. Semmai profitterà della cacciata di Fini per dare una verniciata di nuovo al Pdl; coglierà la palla al balzo per mettere in pista una gestione giovane e (a quanto pare) collegiale dove sia ben rappresentata l’area di An rimasta fedele, però vi prevalgano i volti giovani e freschi, proiezione ideale del Capo, su cui non aleggi il ricatto della questione morale, e insomma Fini non possa alzare mai più il dito per ergersi a giudice del Bene e del Male, questa legge sì e quest’altra no... Si annunciano in agosto lunghi conciliaboli del premier con Tremonti, onde chiarirsi a fondo e ritrovare sintonia operativa sui (pochi) denari da spendere: questo sussurrano tra Palazzo Grazioli e Palazzo Grazioli. Scenari proiettati in avanti, con i quali una crisi a rotta di collo non ci azzecca affatto: non sta nei piani del Cavaliere. Specie ora, che i sondaggi non giocano a suo favore. Poi, si capisce, la santabarbara può saltare su qualunque scintilla. Sull’atteggiamento dei ministri e vice-ministri finiani, ad esempio. Anche loro si asterranno sulla fiducia al collega di governo Caliendo (ricevuto verso sera dal Cavaliere insieme col Guardasigilli Alfano), oppure voteranno contro la mozione del Pd, come li pungola Cicchitto? Quale lealtà avrà la meglio, quella al premier o quella verso il presidente della Camera? Gasparri racconta che uno di questi finiani governativi «in preda alle convulsioni» si è rivolto a lui, chiedendo consiglio. E il capogruppo Pdl giura di averlo mandato con Dio: «Regolati come Marzullo, fatti una domanda e datti una risposta...». Quando c’è la volontà, una foglia di fico si trova sempre. Eppure nessuno tra i «berluscones» nutre illusioni: il governo è in ginocchio. La formazione di un centro politico sotto l’egida di Casini viene vissuta con grande preoccupazione. Addirittura qualcuno solidarizza col Pd, casomai dovesse subire a sua volta emorragie (Bonaiuti, portavoce del Cavaliere, è stato visto colloquiare fitto fitto con il segretario Pd Bersani), segno di convergenze bipolari: l’avversario comune sta in mezzo. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57317girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma Napolitano consiglia "prudenza e testa fredda" Inserito da: Admin - Agosto 05, 2010, 03:40:56 pm 5/8/2010 (6:58) - RETROSCENA
La furia di Berlusconi "Al voto in novembre" Ma Napolitano consiglia "prudenza e testa fredda" UGO MAGRI Berlusconi ha toccato con mano il disastro, s’è reso conto che il suo regno ha le settimane contate. Non gli serviva un pallottoliere per scoprire che «opposizione più astensioni uguale governo in minoranza». Ma un conto è ragionare di numeri in astratto, altro è viverli nell’emiciclo: questione di adrenalina, di percezioni fisiche tipo quelle che prova chi si trova a sedere sotto lo scranno del rivale... Subito dopo il voto, Berlusconi è una furia. Si sfoga con gli amici, non trattiene il fiume dello sconforto: «Una cosa del genere», ripete scuotendo la testa quasi fosse un automa, «non l’avrei mai immaginata. Eravamo il governo più forte e stabile del continente, un punto di riferimento all’estero da tutti invidiato. Ora guardate in che stato siamo ridotti, giudicate voi che devastazione ha prodotto Fini. Con l’aggravante che non se ne riesce a comprende la motivazione, per quale motivo l’abbia fatto». Non si dà pace il premier, e l’impatto con la cruda realtà spazza via tutte le false illusioni, gli ottimismi di maniera sparsi a piene mani la sera prima durante un cocktail nel castello di Tor Crescenza. Con le deputate a lui rimaste fedeli il Cavaliere era stato prodigo di anelli e bracciali, ma soprattutto rassicurante: «Il mio governo andrà avanti, non c’è spazio per soluzioni tecniche che falserebbero la volontà degli elettori, le elezioni sono solo un’extrema ratio perché l’Europa ci chiede stabilità, ce la chiedono le agenzie di rating, una crisi avrebbe percussioni molto negative sulla nostra economia». Ora, dopo il voto su Caliendo, il clima appare radicalmente cambiato. Altro che rosee prospettive di governo, Berlusconi è il primo a non crederci più. Le elezioni anticipate tornano ad essere la sua principale e, forse, unica opzione. «Teniamoci pronti» dice a sera ai deputati. E poco parla di Fini, e del caso Montecarlo, senza citarlo mai: «C’è qualcuno che nutre speranze nei confronti di un leader che è al centro di notizie poco chiare e che dovrebbe spiegare». Riunito con i gerarchi nel bunker di Palazzo Grazioli, il premier studia all’ora di pranzo i piani di battaglia. Non uno dei presenti, da Cicchitto a Quagliariello allo stesso Tremonti, giudica percorribile la via della tregua armata con Fini. Semmai Berlusconi assiste alla gara tra chi è più falco e intransigente. Esemplare il discorso di Gasparri, presidente dei senatori: «Quali sono le alternative al voto anticipato? Io non le vedo. A settembre ci ritroveremo nelle stesse condizioni di adesso, forse peggio. Dovremo negoziare qualsiasi cosa con Fini, il cui obiettivo strategico è solo il nostro smantellamento, attraverso nuove leggi elettorali o governi istituzionali...». Nessuno sfoglia il calendario, ma è chiaro che metà novembre (magari il 19) sarebbe la data ideale per chiamare gli italiani alle urne. Chi ha avuto contatti col Pd (Tremonti, Bonaiuti) riferisce al Capo le preoccupazioni di Bersani: le elezioni coglierebbero di sprovvista anche loro, al Botteghino le eviterebbero volentieri, però sono impotenti, mica possono sostenere il governo nelle leggi «ad personam» sulla giustizia. Letta ha sentito il Presidente della Repubblica, ne ha colto dalla viva voce la preoccupazione. Da Stromboli, Napolitano raccomanda «prudenza e testa fredda», si sa che non accetterebbe crisi di governo fuori del Parlamento, bisogna quantomeno aspettare che le Camere riaprano a settembre, sperando che il time-out serva a chiarire le idee di tutti i protagonisti. Di qui ad allora, Berlusconi proverà a dare la scossa al partito, preparandolo alla battaglia finale. Via la vecchia guardia di generali stanchi e sfiduciati, come l’ultimo Bonaparte anche Silvio ama i giovani e gli entusiasti. Vorrebbe sostituire i «triumviri» (Bondi, Verdini e La Russa) con facce più televisive, e chi l’ha sentito l’altra sera a Tor Crescenza è sicuro di aver individuato i prescelti: sarebbero Alfano, la Gelmini e (per dare rappresentanza alla truppa ex-An) la Meloni. Sennonché il desiderio del leader cozza con la realtà, perché deludere La Russa significherebbe regalare altri 30 deputati e senatori a Fini proprio nel momento più delicato. Grande è la confusione sotto il cielo. Per i centristi la situazione è eccellente. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57344girata.asp Titolo: UGO MAGRI La rivincita di Berlusconi "Felice come una Pasqua" Inserito da: Admin - Agosto 09, 2010, 10:07:41 am 9/8/2010 (7:14) - RETROSCENA
La rivincita di Berlusconi "Felice come una Pasqua" Ma i fedelissimi temono le elezioni e cercano il dialogo con i finiani UGO MAGRI ROMA Contento «come una Pasqua». Il Cavaliere, lo descrivono gli scudieri, «si gode il suo trionfo». Era tempo, aggiungono, che non assaporava una vendetta così zuccherosa: Fini costretto a giustificarsi «in modo debole, goffo, inefficace» su accuse di profilo morale. Nello stesso tempo però Berlusconi risulta «offeso a morte, inferocito». Perché il presidente della Camera «mi attacca in modo insultante», ringhia Silvio coi suoi fedeli. Dichiarazioni pubbliche zero. Il portavoce Bonaiuti addirittura smentisce in anticipo chi stamane metterà commenti in bocca al premier, rintanato ad Arcore dove «sta lavorando al programma di governo per la ripresa». Ma come può uno scoglio arginare l’oceano? Difatti dall’entourage è tutto un fluire di giudizi berlusconiani più o meno apocrifi, certamente inverificabili, ispirati al sarcasmo per il rivale, «che autogol», «in confronto Scajola s’è dimesso per molto meno», «a questo punto pure lui se ne dovrebbe andare», «non può restare terza carica dello Stato»... Chi prendesse per oro colato tutte queste voci, non avrebbe che da recitare un requiem per la legislatura. Sipario sui tentativi di incollare i cocci del centrodestra, se il disprezzo tra i due monta fino a questo punto tanto vale andare direttamente alle urne, allarga le braccia Osvaldo Napoli. Capezzone, Giro, la Santanché maramaldeggiano su Fini nel suo giorno più nero, a Camere chiuse c’è chi già prepara la raccolta di firme tra i deputati per dare in settembre lo sfratto a Gianfranco, qualora non lasci con le sue gambe la presidenza della Camera. Una frenesia quasi selvaggia anima i pasdaran del Cavaliere. Altro clima si respira invece nello stato maggiore berlusconiano. Qui nessuno gode, anzi regna un palpabile sconcerto. La corsa a rotta di collo verso le elezioni viene vissuta come un suicidio di massa, la balena Pdl «spiaggiata» senza un vero perché. Da giorni è in atto tra le rare menti pensanti un disperato tentativo di separare il grano dal loglio, di ricondurre lo scontro personalistico tra i due co-fondatori nell’alveo della politica razionale. Passo dopo passo il «sinedrio» Pdl (triumviri, capigruppo, ministri eminenti) sta cercando di tessere un dialogo. Il «programma dei quattro punti» da presentare in Parlamento dopo le ferie, su cui chiedere la fiducia, nasce proprio per far prevalere nonostante tutto il buon senso. Cosicché ieri mattina Cicchitto da una parte, Urso dall’altra fingevano di litigare sulle parole, nella sostanza si scambiavano segnali di fumo: ragionare insieme sul nuovo programma di governo è giusto, è auspicabile, ma voi non fate scherzi, però non fateli nemmeno voi... Finché su questi minuetti gentili è piombato nel pomeriggio il macigno della dichiarazione finiana, con il suo carico di imbarazzo e di antiberlusconismo: per il premier felicità e rabbia mescolate insieme. Consultazione rapida tra i gerarchi del Pdl. Tra i quali nessuno crede che avrebbe senso spingere gli avversari alla disperazione. Meglio accontentarsi della loro debolezza per chiudere la trattativa sui quattro punti del nuovo programma, senza inutili spargimenti di sangue. Gasparri, solitamente sanguigno, stavolta brilla per prudenza. «Fini è stupefatto per il cognato? Lo sono anch’io. Ma qui mi fermo. Perché questo è il momento di mostrarsi responsabili, di tenere il confronto sui temi della politica. Poi, sulla casa di Montecarlo, ognuno si farà il suo giudizio». Un altro stratega berlusconiano si strappa i capelli: «Il bailamme è totale, ogni giorno ce ne regala una nuova, dobbiamo navigare a vista. E nessuno tra noi riesce a immaginare come può finire». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57457girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere tentato dal "colpo di grazia" Inserito da: Admin - Agosto 11, 2010, 10:56:13 am 11/8/2010 (7:10) - RETROSCENA
Il Cavaliere tentato dal "colpo di grazia" La stretegia: schiacciare Fini sotto il perso degli "interessi privati" UGO MAGRI ROMA Vai a immaginare che, un giorno, perfino Berlusconi avrebbe indossato i panni del Torquemada. Eppure questo risulta stia accadendo dalle parti di Arcore: il Cavaliere col piglio del moralista, scatenato contro Fini per via della casa di An venduta a quattro lire, e per la debolezza nei confronti della famiglia Tulliani, e per il terribile discredito gettato sulle istituzioni, e per le dimissioni che al posto di Gianfranco lui certamente avrebbe già dato da presidente della Camera... Villa San Martino da giorni è terminale di mille pettegolezzi (anche il solo riferirne sarebbe da querela). Non c’è risvolto di cui Silvio venga tenuto all’oscuro. E non c’è interlocutore al quale il Cavaliere neghi lo stupore scandalizzato per una vicenda che egli giudica grave, anzi intollerabile sul piano etico, politico, forse addirittura penale. Augurandosi un moto di sdegno collettivo (bene le firme raccolte da «Libero», dal «Giornale», però ancora non basta) e magari pure qualche aiutino dal fronte investigativo. Di che si tratta? Ne parla apertamente Mario Mantovani, sottosegretario all’Istruzione, frequentatore assiduo del premier quando i consiglieri «romani» sono in vacanza. Premette l’uomo di governo: «I beni di un partito non sono certo soldi pubblici, ma sono comunque proprietà di un organo di rilevanza costituzionale, i cui bilanci sono approvati dal Parlamento», dunque con l’eredità Colleoni non si doveva scherzare. E fatta la premessa, Mantovani svela l’arma segreta berlusconiana: «Se dalle indagini in corso emergesse un qualche coinvolgimento di persone riconducibili all’entourage del presidente della Camera, ci troveremmo di fronte a evidenti agevolazioni di interessi privati». Sarebbe il colpo di grazia, Fini adieu. A quel punto, ghigliottinato il leader, i 34 deputati transfughi tornerebbero con la coda tra le gambe all’ovile Pdl. Il Cavaliere porterebbe a termine senza sussulti la XVI legislatura. Con qualche variante minore, ecco il «piano A» che fa brillare gli occhi al premier e sognare la curva degli «ultrà» berlusconiani. Qualche stratega scettico prova a insinuare: ammesso che le rogatorie vadano a segno, perché dei magistrati non c’è da fidarsi, passeranno mesi, forse anni. Nel frattempo Fini resterà al suo posto sempre più deciso a vendere cara la pelle... Meglio, suggeriscono, il «piano B»: dare la caccia a qualche finiano in crisi, o ramazzare cani sciolti nell’Udc e perfino nell’Idv (se ne conta una manciata), in modo da far tornare i numeri alla Camera. O, al limite, accontentarsi del «piano C»: stipulare a settembre un accordo onesto con i finiani, sui 4 punti del nuovo programma. Chi fa questi discorsi terra-terra è certo di conquistarsi l’antipatia del Capo: esattamente come quanti gli smontano la tesi delle elezioni anticipate perché, primo, non è detto ci si arrivi, più facile che dalla crisi nasca un governo tecnico e poi, secondo, per vincere al Senato servirebbe un miracolo, meglio non provarci. Berlusconi finge di dar retta, ma spinti fuori della porta i consiglieri riattacca con Fini che se ne dovrebbe andare chiedendo scusa, e i suoi pasdaran gareggiano nel fargli eco. Di qui la fucileria disordinata contro i finiani, fuoco a volontà da Brambilla e Capezzone, da Corsaro a Santelli, mentre dall’altra parte si replica con pari foga. Bocchino grida dalla trincea: «Se insistete per le dimissioni di Fini rischiate una crisi istituzionale». Cicchitto alza le spalle: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso, bisognava pensarci prima...». A questo punto le rare «colombe» Pdl spengono i telefonini. «Visto il clima», dicono, «è inutile cercare un’intesa, se ne riparlerà dopo Ferragosto o per la fine del mese». Se a quel tempo la spallata contro Fini avrà avuto successo, caso risolto. Altrimenti pure Silvio dovrà farsi un bagno di realismo. E accettare senza più storie la via della mediazione. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57519girata.asp Titolo: UGO MAGRI E il Cavaliere evoca la rivoluzione di piazza Inserito da: Admin - Agosto 12, 2010, 04:49:31 pm 12/8/2010 (7:7) - IL CASO
E il Cavaliere evoca la rivoluzione di piazza Messaggio indiretto dall'entourage del premier al Quirinale «No ad avventure istituzionali pericolose» UGO MAGRI ROMA Una rivoluzione. E’ ciò che prepara il Cavaliere, casomai Fini e Bersani gli confezionassero lo «scherzo» del governo di tregua. Berlusconi farebbe il diavolo a quattro, urto frontale nel Parlamento e nel Paese. Scenderebbe in piazza al suo comando la «maggioranza chiassosa», i palazzi romani verrebbero cinti d’assedio con oceaniche manifestazioni. Cicchitto tratteggia per conto del premier uno scenario apocalittico, «l’Italia andrebbe incontro a una fortissima destabilizzazione». Per cui «riteniamo», alza la voce l’esponente Pdl in modo da essere udito fino a Stromboli da Napolitano, «che nessuna personalità responsabile aderirebbe a un’autentica avventura, molto pericolosa per le nostre istituzioni...». L’avviso ai naviganti corona una giornata talmente confusa, così rissosa e scombinata, che il portavoce del premier Bonaiuti è stato sommerso dalle telefonate: tutti parlamentari, addirittura ministri, ansiosi di sapere se siamo all’epilogo della legislatura. Non ancora, è stata la risposta, perché ai cannoneggiamenti del mattino tra «berluscones» e finiani è subentrata verso sera una sorta di coprifuoco, «basta, basta, smettiamola per carità» hanno implorato dalle due sponde. Il primo passo l’hanno compiuto i «ribelli» del Senato: una dichiarazione distensiva dove agosto viene bollato come «il mese delle polemiche sterili e dannose», ma per fortuna il calendario ci regalerà settembre che «deve portare responsabilità e fatti concreti. Noi ci muoveremo in questa direzione», promettono i finiani di Palazzo Madama. Evviva, applaudono Gasparri e Cicchitto dalla cabina di regia. Poco dopo, Berlusconi in persona rompe il silenzio. Qualcuno chiaramente l’ha avvertito della novità. E da Arcore, dove il premier ha trascorso una giornata distratta, tende per la prima volta la mano al nemico. La nota del premier è scritta in puro burocratese. Nondimeno va letta, poiché è un cocktail di lusinghe e di avvertimenti: «Al di là delle irresponsabili e a volte farneticanti parole pronunciate da taluni contro il governo e contro la propria stessa maggioranza, se vi sarà questo spirito costruttivo contenuto nelle dichiarazioni di alcuni senatori del centrodestra, che accolgo con grande soddisfazione e disponibilità, sarà certamente possibile ritrovare quell’unità che, ove mancasse, non potrebbe che portare a scelte dolorose e definitive». Cioè alle elezioni anticipate, nei desideri del Cavaliere. Si può discutere a lungo se l’apertura di credito è sincera, o viceversa è il solito furbo tentativo di scremare i finiani, di dividerli in buoni e cattivi. Chi conosce l’animo del premier propende più per la seconda ipotesi. Sta di fatto che il presidente della Camera non abbocca. E fa rispondere ai suoi: bene Silvio, il segnale è positivo, speriamo che serva a recuperare «rispetto per le istituzioni, da valorizzare e non dimissionare con richieste peraltro irricevibili...». Insieme alla firma di Viespoli e di Moffa c’è pure quella di Bocchino il Guastatore. Che su «Repubblica» è arrivato al sacrilegio: Silvio sì che se ne dovrebbe andare, visto che «è imputato in più processi, e con lui per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso», non certo Fini vittima di un’aggressione... Botte da orbi con Bondi, con Osvaldo Napoli, col sottosegretario Giro, in un crescendo di contumelie dove si sono distinti da una parte la Santanché (Fini si dimetta prima che «imbarazzanti verità lo costringano») e Briguglio dall’altra: «Berlusconi ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia...». «Storie vecchie e muffite», scrollano le spalle nell’entourage del Cav, «non è così che ci metteranno paura». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57550girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma è la vicenda Mills il vero cruccio del Cavaliere Inserito da: Admin - Agosto 21, 2010, 04:01:02 pm 21/8/2010 (7:21) - LA NORMA SUL PROCESSO BREVE PER SALVARSI A MILANO
Ma è la vicenda Mills il vero cruccio del Cavaliere Il premier: indispensabile approvare apposite norme a riguardo La sentenza prevista per marzo UGO MAGRI ROMA L’unica cosa che davvero preme a Berlusconi è nascosta tra le pieghe del documento finale, sotto la voce «Giustizia». Consiste nel passaggio (soppesato parola per parola nel vertice a Palazzo Grazioli) sulla ragionevole durata dei processi. Sarà «indispensabile», sostiene il premier, «approvare apposite norme» a riguardo. Un testo c’è già, ed è quello licenziato a Palazzo Madama prima dell’estate. Se passerà così com’è pure alla Camera, il Cavaliere riuscirà a salvarsi dalla condanna che incombe sul suo capo a Milano (vicenda Mills). Bisogna però che la legge proceda al galoppo, perché l’avvocato Ghedini prevede la sentenza in arrivo tra marzo e aprile. Ma soprattutto, dal punto di vista del premier, è necessario che nessuno modifichi la norma transitoria, cucita su misura per far saltare i suoi processi. Se Fini ci sta, e pone la sua firma sotto il processo breve, la crisi può considerarsi virtualmente conclusa. Se invece non ci sta, «alle urne perché anche se la Lega va forte io vinco uguale...». Questa è la sostanza della giornata. Tutto il resto è stato detto (in conferenza stampa del premier) e scritto (nel documento di 10 pagine) solo in quanto un vertice era convocato, mica si poteva più disdire, il punto politico andava tenuto, e così è stato, secondo copione. L’unico vero «fuor d’opera» è la risposta che Berlusconi ha dato all’Ansa, sulle elezioni da tenersi a dicembre nel caso in cui la crisi dovesse precipitare. Passi per la tesi, enunciata all’inizio del documento, secondo cui l’ultima parola spetta al popolo e non al Capo dello Stato. Ma perlomeno sulla data delle elezioni il Cavaliere poteva trattenersi: rientra infatti nelle prerogative del Quirinale, netta è l’invasione di campo. I collaboratori provano a giustificarlo, «in fondo Silvio che altro avrebbe potuto rispondere alla domanda?». Silenzio dal Colle, un po’ per non gettare altra benzina sul fuoco, ma soprattutto in quanto le posizioni di Napolitano sono ben note, chiare in merito all’eventuale scioglimento delle Camere, dunque «non cambiano», osserva un consigliere presidenziale, «poiché trovano fondamento nella Costituzione». Resterà deluso chi immagina chissà quali discorsi dietro le quinte del vertice. A quanto risulta, i partecipanti hanno passato ore sul testo, chi aggiungendo una riga, chi tagliandone un’altra. Le correzioni di Tremonti sono state minime, altri ministri si sono esercitati con più passione. Il risultato finale non si discosta molto dalla bozza scritta alla vigilia da Bonaiuti, che il Cavaliere si è portato in tasca dalla Sardegna, irritatissimo per aver dovuto interrompere la sua breve vacanza. Al telefono con un vecchio amico, ieri mattina, letteralmente smoccolava. Ovvio che fra le quattro mura si sia ragionato di numeri, e che ciascuno abbia detto la sua. Conclusione collettiva: al momento della fiducia, 10-12 deputati potranno tranquillamente aggiungersi ai 308 di cui Berlusconi già dispone sulla carta. Si tratterebbe, pare, di centristi a spasso, di cani sciolti, anche di finiani in crisi. Ma senza particolari «campagne acquisti» per non esasperare lo scontro col presidente della Camera. Contro il quale Berlusconi poteva lanciarsi alla carica, stuzzicato dai giornalisti. Invece dalla sua bocca è uscita solo qualche frase smozzicata, ardua da interpretare. E’ un silenzio che parla da sé. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57819girata.asp Titolo: UGO MAGRI «Con Casini vedrete che riusciremo ad accordarci» Inserito da: Admin - Agosto 22, 2010, 09:05:16 pm 22/8/2010 (7:47) - RETROSCENA
Sondaggi con i centristi: non per farli entrare, ma per trovare un puntello. «Con Casini vedrete che riusciremo ad accordarci» UGO MAGRI ROMA Perfino nei momenti più drammatici si insinua il virus della comicità. Così qualche genio della politica ha suggerito a Berlusconi di cambiar nome ai suoi galoppini e di ribattezzarli con formula altisonante: «Squadre della libertà». Col risultato che nel gergo corrente diventeranno «squadristi». Peggio di un insulto: un autogol da metà campo. Ma questo accade perché nel Pdl vanno di moda quanti gettano il cuore oltre l’ostacolo, e vogliono distinguersi agli occhi del Capo con la retorica guerriera, si sarebbe detto un tempo, degli «otto milioni di baionette». Dunque gara a chi la sparava più grossa, ieri a Palazzo Grazioli, nella riunione conviviale voluta dal Cavaliere in vista, non si sa mai, di elezioni anticipate. Grandi discussioni preliminari sugli inviti, La Russa contrarissimo a coinvolgere circoli e club («Mica vorremo perdere tempo con questi...», è stato udito vociare), Valducci e la Brambilla che invece premevano per esserci, alla fine tutti quanti intorno al desco del cuoco Michele, da Dell’Utri (molti circoli fanno capo anche a lui) a Mantovani, da Bonaiuti alla Santanché. L’uovo di Colombo cui sta pensando pure Bersani consiste nel mettere tre-quattro attivisti su ciascuna delle 61 mila 202 sezioni elettorali sparse in Italia, che in media raccolgono 7-800 votanti. Come un tempo il vecchio Pci, gli «squadristi» berlusconiani dovranno spulciare gli elenchi, bussare alle porte, premere sugli indecisi, contattare chi va alle urne per la prima volta. Serve un esercito di gambe (più un bel mucchio di soldi). Dove pescarli? I denari non sono un problema. Quanto ai militanti, «io ne metto in campo 30 mila», «noi invece saremo almeno 40 mila», in un crescendo vertiginoso, con Berlusconi ad ascoltare estasiato e il solo Verdini (l’uomo-macchina Pdl) a riportare tutti coi piedi per terra: «Guardate che i numeri non sono mica questi...». Alla fine decisione del leader: gli «squadristi della libertà» faranno capo al partito, nella persona di Verdini. Pure Silvio si rende conto che non sono maturi i tempi per farne una milizia separata. Tra una pietanza e l’altra Berlusconi ha confidato il suo vero animo. Andare avanti senza elezioni sarebbe ottimo, però «senza farmi prendere per i fondelli» da Fini e dai suoi, ha ringhiato. Bocchino, che si dichiara d’accordo sul 95% del programma estratto venerdì dal cilindro, manda il premier letteralmente ai pazzi. Mormora al telefono con voce preoccupata Cicchitto: «Alcuni di questi, purtroppo, non hanno capito nulla. Siamo davvero appesi a un filo, perché Berlusconi è determinatissimo, e la pressione della Lega per andare subito al voto è altrettanto forte. Se i finiani credono di cavarsela votando la fiducia al governo e subito dopo, sul processo breve, di rifare a Berlusconi lo scherzetto che gli fecero sulle intercettazioni, si sbagliano di grosso». Il capogruppo Pdl sospira: «In quel caso il governo cadrebbe tempo tre ore». Sarebbe, si appella alla storia Cicchitto, «la pistola di Sarajevo» da cui si scatenò la Prima Guerra mondiale. Le elezioni verrebbero pretese dal Quirinale (e spiegate al popolo) come conseguenza di «un tradimento della fiducia appena espressa». «E l’Italia sarebbe dalla nostra parte», ostenta sicurezza Bonaiuti, «non si può mandare all’aria un programma di rilancio serio e concreto». Piccolo retroscena: pare che Berlusconi stia premendo con impazienza su Tremonti per farsi suggerire entro agosto qualche misura di alleggerimento fiscale. Così da spargere, quantomeno, l’illusione di un dividendo collettivo generato dalla ripresa dietro l’angolo. Nello stesso tempo, col suo spiccato senso pratico, il Cavaliere sta cercando i voti in Parlamento per tirare avanti altri 3 anni. Gli basterebbe raggiungere alla Camera «quota 320», così ripete ai gerarchi. Quattro o cinque deputati centristi (oltre ai finiani pentiti) sono nel suo mirino. Ma Berlusconi non esclude di ottenere dall’Udc di più e di meglio. «Sono fiducioso che con Casini riusciremo a concordare un percorso», ripete in queste ore. Niente che possa allarmare Bossi, dunque la maggioranza resterà la stessa. Però emissari di seconda fila gli hanno riferito che Casini potrebbe sostenere alcuni punti del programma, e nel segreto dell’urna magari addirittura una norma salva-premier. Prima di vendere la pelle, il Caimano le tenterà tutte. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57843girata.asp Titolo: UGO MAGRI Nessuna alleanza con l'Udc ma patto su giustizia e riforme Inserito da: Admin - Agosto 23, 2010, 05:51:04 pm 23/8/2010 (6:59) - RETROSCENA
Nessuna alleanza con l'Udc ma patto su giustizia e riforme Il Cavaliere convinto che Bossi darebbe il via libera per salvarlo UGO MAGRI Con Umberto alla fine ci siamo sempre trovati d’accordo», rassicura i suoi Berlusconi, «gli parlerò tra breve, cercherò di far capire a lui e alla Lega in che modo Casini può essere utile ai nostri piani, e vedrete che andrà bene anche stavolta...». Dunque il Cavaliere ha intenzione di insistere, la prima reazione di Bossi non lo turba più di tanto. Quando Silvio cavalca un’idea risulta difficile fargliela abbandonare. E la sua idea non è affatto di inglobare i centristi, i quali tra l’altro fuggirebbero a gambe levate. Per come ne ha ragionato il premier nelle ultime riunioni, dapprima venerdì poi nuovamente sabato, il Cavaliere ha in testa un riavvicinamento strategico sotto le insegne del popolarismo europeo cui si richiamano tanto il Pdl quanto l’Udc. Tempi lunghi ma non eterni. Nella prospettiva di tornare alleati, tramite un patto federativo, alle prossime elezioni politiche. E nel frattempo, di ottenere da Casini una mano nei passaggi parlamentari più delicati. Per esempio, nella fiducia sul nuovo programma in cinque punti? No, lì Silvio spera di farcela con le sue forze, raccattando un po’ di parlamentari qua e là. E i toni sopra le righe di queste ore, con il richiamo teatrale alle urne dietro l’angolo, servono appunto per spaventare qualche finiano in crisi, un po’ di cani sciolti, e raggiungere quota 320 deputati alla Camera (la maggioranza è di 316). Dai centristi il Cavaliere si aspetta un altro genere di aiuto. Per esempio, una mano sulla giustizia, utilissima quando si tratterà di votare uno «scudo» (magari a scrutinio segreto) per il capo del governo assediato dai pm. Ma l’interesse di Berlusconi per Casini va perfino oltre. E’ opinione corrente, tra i consiglieri dei Principe, che «una volta salvato il governo sia altrettanto necessario portare a casa la legislatura». In altre parole, occorre dotare il premier di una base politica più larga, meno asfittica, in grado di sorreggere le riforme. Altrimenti tra tre anni il fiasco, soggiungono, sarà garantito. Messa in questi termini Bossi potrebbe dare via libera, in quanto pure lui è interessato a fare il federalismo. L’Udc rema contro, però mai dire mai. E comunque, quali alternative ha il Cavaliere? Tuffarsi in un bagno elettorale? Sotto questo aspetto nulla è cambiato, assicura Quagliariello, resta valido il documento varato tre giorni da dal vertice Pdl: «O c’è una maggioranza autosufficiente, nel qual caso si va avanti, altrimenti le elezioni diventano inevitabili. Tutto qui. Forzature in un senso o nell’altro sarebbero sbagliate». Non inganni dunque il linguaggio tonitruante del messaggio berlusconiano ai Promotori della libertà, coordinati da una Michela Vittoria Brambilla di nuovo sugli scudi e regista del nuovo movimentismo, come ai tempi del predellino: potendo, Berlusconi sceglierebbe mille volte di evitare le urne. Nel qual caso sarebbe pronto a lanciare una campagna mediatica durissima contro i «traditori» interni, anziché contro i soliti «comunisti». Una svolta anticipata ieri da Arona («non mi regolerò come in passato...») e illustrata così dal portavoce Bonaiuti: «Chi dovesse venir meno al proprio mandato elettorale sarebbe certamente libero di farlo, salvo poi doversi giustificare dinanzi ai propri elettori». Minacce e pressioni psicologiche, accompagnate da una fitta azione di «intelligence» o, se si preferisce, di spionaggio. Tutto quanto accade nel campo finiano viene monitorato giorno e notte dai «berluscones», ieri in agitazione per la voce seguente: il presidente della Camera farà certamente il suo partito, al 90 per cento lo annuncerà nel discorso di Mirabello il 5 settembre prossimo, e come segretario metterà il moderato Urso. Qualcuno tra i fedelissimi del premier ci vedrebbe un timido disgelo, altri invece alzano le spalle: «Tanto tra i finiani la regia resterebbe comunque ai Granata e ai Bocchino...». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57862girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ma per ora Berlusconi punta a evitare il voto Inserito da: Admin - Agosto 25, 2010, 03:57:11 pm 25/8/2010 (7:0) - CENTRODESTRA
Ma per ora Berlusconi punta a evitare il voto Oggi il vertice Pdl-Lega UGO MAGRI L’incontro tra Bossi e Berlusconi, se si dà retta ai rispettivi staff, riempie le cronache politiche, ma è senza storia. L’esito pare fatalmente già scritto. Il Cavaliere illustrerà all’Umberto tutte le ragioni per cui andare alle urne non conviene a se stesso e all’Italia. Il Senatùr scuoterà il capo, pure lui si è fatto un’idea (che non è quella del tirare a campare), ma prenderà atto dei voleri di Silvio, e gli dirà: se proprio ne sei convinto, fa come vuoi. L’appuntamento è poco prima di mezzogiorno a Villa Campari, il gioiello immobiliare che Berlusconi s’è comprato due anni fa a Lesa, sulle sponde del Lago Maggiore. Il premier sperava di tenere al largo i paparazzi, invece pure qui l’hanno beccato subito dopo Ferragosto con una dama incappucciata: poco se n’è parlato solo perché il gossip era tutto su Fini. Pare che i due, Berlusconi e Bossi, ragioneranno un’oretta a tu per tu, senza testimoni. Verso l’ora di pranzo sono attesi il governatore del Piemonte Cota e il ministro Calderoli. C’è chi dice che Tremonti arriverà con loro. Altri scommettono invece che il titolare dell’Economia parteciperà ai colloqui fin dall’inizio. Del resto succede sempre così, nelle rimpatriate tra il Cavaliere e la Lega: non si sa mai chi vi partecipa, nel clima di grande fraternità può capitare che «il Trota» (Renzo Bossi) si accomodi accanto al premier e scateni una discussione di calcio. O che la riunione politica si concluda con una gara di sapide barzellette (è successo, capiterà ancora). Insomma: in via Bellerio, dove il Senatùr ieri s’è visto con Giorgetti e l’onnipresente Calderoli, già prevedono la carta che Berlusconi calerà stamane. Sarà della serie «l’Italia ci chiede di andare avanti per completare le riforme, se possibile dobbiamo provarci con convinzione...». Già, ma i finiani? Silvio allora tirerà fuori il documento dei quattro punti, diventati cinque venerdì scorso. Ripeterà a Bossi che saranno «un prendere o lasciare», la mozione di fiducia conterrà l’esplicito riferimento ai disegni di legge più importanti, cominciando dalla Giustizia e dal «processo breve». Non ci faremo gabbare da Bocchino, sarà il senso. E Berlusconi annuncerà alla Lega l’intenzione di prendere personalmente la parola in Aula, alla Camera e al Senato, per creare il giusto pathos, cosicché ciascuno sia messo di fronte alle proprie responsabilità. Come segnala Cicchitto, la ricreazione è finita. Bossi conosce l’amico Silvio come le sue tasche. Dunque, assicurano i suoi, ha già in mente che cosa rispondergli.«Stai attento a non farti logorare», lo metterà in guardia. «Pensaci bene», aggiungerà, «perché adesso c’è lo scandalo di Montecarlo, c’è il cognato di Fini e tutto il resto, ma la gente dimentica in fretta e, se perdi l’attimo giusto per andare alle urne, poi potresti pentirtene amaramente...». Discorsi a futura memoria. Del resto Bossi si rende conto che la maggioranza non può certo auto-affondarsi: o i finiani votano contro la fiducia (scenario molto improbabile), oppure addio elezioni anticipate. Si parlerà pure di Casini. La Lega e Tremonti sono contrarissimi a riportarlo nel governo, Berlusconi invece sarebbe tentato (lunga conversazione domenica al telefono con l’amico Pier, al quale ha confidato tra l’altro di aver passato un’estate abbastanza triste, in solitudine). Ma oggi il Cavaliere procederà con passo circospetto. Non vuole sbattere contro il muro di Bossi. E poi, sparge prudenza il portavoce Bonaiuti, «una cosa per volta», adesso c’è da salvare la legislatura attraverso frontare un duro confronto in Parlamento. Più avanti si vedrà se e come allargare la base politica del governo. Berlusconi non ha fretta, e i centristi nemmeno. Mai si sono sentiti così desiderati tanto a destra quanto a sinistra. Per tenersi in equilibrio, confida spiritoso uno di loro, «siamo costretti a un frenetico immobilismo». Da veri democristiani. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57911girata.asp Titolo: UGO MAGRI Alleati in pressing su Berlusconi "Ora basta liti" Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:21:25 pm 30/8/2010 (7:16) - GOVERNO, IL NODO RIFORME
Alleati in pressing su Berlusconi "Ora basta liti" La soluzione del conflitto nel Pdl passa da un accordo: stop alle epurazioni, ma voto compatto sul processo breve UGO MAGRI ROMA Riavvolgere il film delle ultime settimane: chissà se Berlusconi, potendo, accetterebbe la raccomandazione che gli viene da amici di lunga data. Azzerare tutto. Rimangiarsi l’espulsione per decreto di Fini. Condannare le aggressioni dei suoi giornali alla famiglia Tulliani. Cucirsi la bocca nei confronti del Quirinale. Insomma, prendere atto una volta per tutte che le cariche a testa bassa non lo liberano dai guai. Semmai, peggiorano la condizione... Sono tanti, nelle ultime ore, quelli che cercano di spingere il Cavaliere a più miti consigli. Non solo «pacifisti» alla Gianni Letta. Praticamente l’intero gruppo di vertice del Pdl, la vecchia guardia, è su questa lunghezza d’onda. Ma pure alleati ruvidi come Umberto Bossi. E addirittura «colombe» insospettabili come l’avvocato Ghedini, il quale sa perfettamente che solo in un clima di autentica pacificazione con Fini potrebbe strappare un «salvacondotto» giudiziario per il suo cliente, alle prese con processi (vedi Mills) vicini a concludersi con la condanna. E’ un coro, ormai. Eccezion fatta per il gruppo di amazzoni (la Rossi, la Brambilla, la Ravetto, la Santanchè) da cui il premier ama farsi applaudire, nessuno s’illude più. Contro Fini l’offensiva è fallita, si combatte nel fango, avanti di questo passo perderà pure la guerra nella vana attesa dell’«arma segreta» (qualche rivelazione choc sull’appartamento di Montecarlo) che forse non arriverà mai. Quindi occorre trattare adesso, quando ancora è possibile in condizioni onorevoli. Ascoltando che cosa vuole Fini, e se si tratta di proposte fondate sul buonsenso accettarle. Rinunciando nel frattempo a bombardare il presidente della Camera, a chiederne le dimissioni, a epurare i suoi uomini, a tentare di spaccargli il gruppo. In una parola, Berlusconi viene invitato ad attendere che cosa Gianfranco dirà domenica a Mirabello, quando si rivolgerà al Paese (come anticipano i finiani) «e lì fisserà i suoi paletti». In che cosa consistano questi «paletti», nessuno sa dirlo. Ma agli ambasciatori leghisti (Cota e Calderoli) qualcosa Fini ha lasciato intuire. Il presidente della Camera metterà radici nel centrodestra, deludendo quanti vorrebbero spingerlo nel Terzo Polo casiniano. E dirà più o meno al Cavaliere: se desideri governare fino al 2013, non hai che due chances. O ti rimangi l’editto in cui mi dichiari «incompatibile» dal Pdl. Oppure garantisci un’alleanza elettorale al partito che, fuori dal Pdl, dovrei fondare. A te, caro Silvio, la scelta... Se davvero Fini pronuncerà l’aut-aut, come scommettono queste fonti leghiste, nel campo berlusconiano si aprirà la bagarre. Qualcuno suggerirà al Cavaliere di rispondere «m....» proprio come il generale Cambronne a Walterloo. Altri (sulla scia di Giuliano Ferrara) suggeriranno di «resettare» le polemiche, restituendo a Fini la «compatibilità» e a Bocchino la carica di vice-capogruppo vicario. Altri ancora sosterranno, invece, che un via libera al partito finiano sarebbe in fondo il male minore (è la soluzione preferita da Bossi). Ma tutti, proprio tutti, inviteranno Silvio a tener duro sul processo breve. Come minimo Fini dovrà provare la sua lealtà sostenendo la legge che, nelle pieghe della disciplina transitoria, cancella i processi contro il premier. Sintomatico ieri il capogruppo Pdl Cicchitto, che pure passa per un trattativista: «L’eccesso di furbizia su questo argomento può provocare disastri», ammonisce Bocchino & C, «servono impegni precisi». Come al solito, gli schizzi della faida interna tendono a lambire il Colle più alto. Ed è curiosa la sincronia delle due sponde. Da una parte i finiani sostengono che il vero ostacolo al processo breve non sono loro, bensì Napolitano, dunque il Cavaliere se la prenda con lui. Dall’altra Berlusconi mostra di crederci. E non perde occasione, nei colloqui privati, per lamentarsi del Quirinale sempre poco compiacente. Si sfoga così spesso, in tono talmente acuto, da farsi udire ovunque e da rendere inutili le successive smentite del portavoce Bonaiuti: come raccogliere il mare con un cucchiaio. Napolitano a sua volta non ama farsi tirare per la giacca. Si può comprendere, dunque, l’irritazione presidenziale. Ma il vero dramma è che le sue riserve al processo breve, ben note dalle parti di Palazzo Chigi, non hanno ancora prodotto alcuna rettifica. Fonti berlusconiane si sentono di escludere che Ghedini e il ministro Alfano stiano preparando emendamenti, o addirittura qualche nuova scappatoia giuridica per il premier: «Il testo è quello», dicono, «e tale resterà». Neppure frena Berlusconi la prospettiva che Napolitano, una volta approvata la legge, possa rinviarla alle Camere per un riesame. «Pazienza, in quel caso la riapproveremo tale e quale», alzano le spalle i pretoriani. L’enorme «rospo» di Fini si può ingoiare, aggiungono, ma a patto che Berlusconi venga sottratto una volta per tutte alle grinfie dei «giudici comunisti». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58053girata.asp Titolo: UGO MAGRI Cota il mediatore adesso spaventa i "berluscones" Inserito da: Admin - Agosto 30, 2010, 04:29:46 pm 29/8/2010 (9:2) - RETROSCENA
Cota il mediatore adesso spaventa i "berluscones" Temono un'intesa che il Cavaliere non può accettare UGO MAGRI ROMA Il mediatore della Lega di nome fa Roberto, ma in realtà sono due (Cota e Calderoli) in quanto curiosamente tutti i colonnelli di Bossi, compreso Maroni, si chiamano allo stesso modo. Hanno l’incarico di ricucire con Fini e, per quanto tengano le bocche chiuse come si conviene ai negoziatori, qualcosa filtra sulle loro mosse. Per esempio, si sa che entrambi hanno sentito al telefono il presidente della Camera, e ne è scaturito un calendario di massima. Questo calendario non brilla per l’ansia di concludere, e già la tempistica fa pensare che gli inviati di Bossi tutto abbiano in mente, tranne che di afferrare Fini per il bavero urlandogli (come certi berlusconiani vorrebbero) «brutto traditore, rispondi seduta stante». Con calma, invece, e per piacere. Dunque, questa settimana verrà lasciata scorrere perché il presidente della Camera deve pronunciare un discorso importante domenica a Mirabello. Così, nell’attesa che Fini pianti i suoi paletti, si arriva al 5 settembre. Il Parlamento riapre l’8, a quel punto Gianfranco incontrerà la coppia di ambasciatori. Nemmeno quell’abboccamento però (se si dà retta ai finiani) sarà conclusivo, perché a metà mese prossimo si voterà la fiducia sulla famosa mozione dei 5 punti, e i «ribelli» non negheranno il sostegno al governo, salvo mantenere i loro «distinguo» sulla giustizia. Solo a quel punto la trattativa entrerà nel vivo. E tra i consiglieri del premier comincia a farsi strada il sospetto che non ci sarà da attendersi nulla di buono. Definirli preoccupati è poco. Qualcuno di loro addirittura maledice il giorno (mercoledì 25 agosto 2010) in cui Berlusconi ha dato il via libera alla mediazione leghista. Si domandano come ha fatto, un uomo di tale astuzia, a segnare un autogol del genere. In pratica, sostengono costernati questi personaggi, «Silvio ha messo in mano a Bossi un pistolone carico, che Umberto punterà addosso a noi». Proviamo a immaginare lo scenario catastrofico (per il Cavaliere) che vedono a settembre. Tentativi di dividere i finiani andati a vuoto. Rivelazioni sulla casa di Montecarlo (l’«arma segreta» in cui Silvio confida) non pervenute. Dubbi crescenti del Quirinale sul «processo breve». Sentenza della Corte costituzionale in arrivo sul «legittimo impedimento», con probabile conseguente ripresa del processo Mills che potrebbe tradursi in primavera nella condanna del premier... Fini potrà dire ai due Roberto: faccio un mio partito e voglio l’impegno, nero su bianco, che stringerete alleanza elettorale con me. Oppure anche: voglio rientrare nel Pdl nelle condizioni di dignità che mi sono state negate. In cambio (è sempre la previsione dei «berluscones» più pessimisti) Fini concederà una tregua nei «distinguo» e un salvacondotto giudiziario per il premier. A quel punto i mediatori torneranno dal Cavaliere e gli chiederanno: quale delle due soluzioni preferisci? Berlusconi vorrebbe rifiutarle entrambe. Però si è messo nelle mani di Bossi consegnandogli il pistolone, appunto, delle elezioni anticipate. Se lui si ribella, quello spara e si va al voto, altro che alleanza con l’Udc. Col Pdl che perde mentre la Lega raddoppia i seggi nel Nord. Se invece Silvio accetta una delle due soluzioni (questo temono, strappandosi le vesti, i «berluscones» del gruppo dirigente), ancora peggio: sarebbe il trionfo di Fini e di Bocchino. Il quale in queste ore confida, non a caso: «Siamo molto, molto interessati alla mediazione leghista». Ma allora, si dispera a voce alta un colonnello ex-An, «per quale diavolo di motivo Berlusconi ha iniziato questa guerra? Perché ha tentato di cacciare Fini? Come mai ha forzato di suo pugno tutti i documenti? Che senso aveva alimentare le campagne aggressive?». Tenta una risposta pro-Cavaliere Osvaldo Napoli: «Un successo della mediazione avrebbe in Berlusconi il primo artefice. Un insuccesso, invece, resposabilizzerebbe Bossi e i finiani». Ma siamo già all’inventario dei danni. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58037girata.asp Titolo: UGO MAGRI Giustizia, in campo Ghedini e Bongiorno Inserito da: Admin - Settembre 01, 2010, 03:02:14 pm 31/8/2010 (7:36) - GOVERNO, SETTIMANA DECISIVA
Giustizia, in campo Ghedini e Bongiorno Mediazione difficile Berlusconi: non mi faranno fare la fine di Craxi UGO MAGRI ROMA Non ne vuole nemmeno sentir parlare. Chi ci prova, va a sbattere contro un muro di gomma perché Silvio Berlusconi trattiene a stento il «disgusto» (così si esprime privatamente il premier) per questo tira-e-molla con i finiani. Svanita l’illusione di disintegrare il rivale, ostenta personale disinteresse per i risvolti della trattativa con l’altro fronte che esiste, eccome, e viene mandata avanti lungo sentieri più o meno inesplorati. Ne sono protagonisti in particolare Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno: avvocati entrambi, nonché parlamentari e super-consulenti in materia di Giustizia, il primo a tutela del premier, la seconda il nome e per conto del presidente della Camera. Oggetto di questi conversari sono, ovviamente, la posizione giudiziaria del Cavaliere e le norme capaci di sottrarlo alla probabile condanna sulla vicenda Mills, casomai la Corte Costituzionale a dicembre dovesse negargli lo scudo del «legittimo impedimento». In particolare sembra che i due legali stiano lambiccandosi alla ricerca di possibili soluzioni diverse dal «processo breve», che cancellerebbe i processi di Berlusconi ma pure parecchi altri, centinaia di migliaia secondo i magistrati, sollevando le riserve fortissime di Fini e dello stesso Quirinale. L’alternativa in discussione consisterebbe nel diverso calcolo delle prescrizioni, vale a dire degli anni che occorrono perché un reato non venga più perseguito, da inserire nella riforma complessiva del processo penale. Modificando il calcolo, Berlusconi si troverebbe al riparo. E’ una strada più lunga e tortuosa del «processo breve», che fa storcere il naso ai fautori delle scorciatoie giuridiche. Né vi è certezza che i due legali riusciranno adintendersi, in quanto il negoziato «tecnico» si intreccia strettamente con quello politico, in vista della fiducia al governo che verrà votata intorno al 15 settembre nell’aula di Montecitorio. E se la trattativa dovesse fallire? Sparge camomilla il portavoce, Bonaiuti: «Gli italiani sono tornati a lavorare e così pure il governo, gli incendi estivi sono quasi spenti...». Peccato che l’altra sera a Milano, con gli amici in un noto ristorante, il premier non fosse altrettanto tranquillo. Alcuni commensali giurano che Berlusconi ha riproposto la sua vecchia idea di un discorso incendiario rivolto all’Italia, da pronunciare non in Parlamento ma tramite la tivù a reti unificate, per spiegare «la persecuzione di cui sono vittima». Addirittura Silvio accarezza l’idea (alla Farnesina se ne parla da mesi) della lettera indirizzata a tutti i ministri europei della giustizia, per denunciare «da cittadino» le colpe della magistratura italiana. Propositi da cui si evince l’animo più vero del premier: “Non mi faranno fare la fine di Craxi”. Berlusconi oggi si trattiene nella Capitale, ma sbaglia chi immagina una girandola di incontri con i gerarchi, ancora ieri sera in attesa di convocazione a palazzo Grazioli. L’unica riunione di cui si ha notizia è quella convocata dai due capigruppo Pdl al Senato, Gasparri e Quagliariello: tutti i cervelli del partito invitati a confrontarsi da lunedì prossimo alla Summer school di Frascati sul tema «Pdl un anno dopo: ha ancora un senso?». La risposta non è affatto scontata. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/58083girata.asp Titolo: UGO MAGRI Silvio e il prezzo della pace Inserito da: Admin - Settembre 04, 2010, 09:36:09 am 4/9/2010 (7:15) - RETROSCENA
Silvio e il prezzo della pace Risponde al richiamo del Colle ma occupa una poltrona che voleva tenersi libera UGO MAGRI ROMA Una giornata intera spesa per far pace col Colle, o quantomeno provarci. Il lato positivo è che, tra note comunicati e dichiarazioni-fiume, Berlusconi è riuscito un po’ a distrarsi, ingannando l’attesa di quanto dirà domani sera Fini da Mirabello: nemmeno ha avuto il tempo di metterci la testa, giurano nell’entourage. Per cui niente di nuovo dal fronte interno al Pdl. L’aspetto negativo, invece, è che per placare le ire quirinalizie Berlusconi si trova adesso a dover sciogliere in sette giorni il nodo (successione di Scajola) fin qui sempre rinviato. Rinviato da lui, non da Napolitano. Al quale invece i «ventriloqui» del Cavaliere rimproverano di aver messo i bastoni tra le ruote, fino al punto di respingere la candidatura di Romani a suo tempo avanzata dal premier. Questa tesi è stata esposta, papale papale, dal deputato Pdl Stracquadanio, con tanto di indice puntato nei confronti del Presidente. Il Quirinale ha preso cappello proprio come accadde due mesi fa per un oscuro parlamentare toscano, Bianconi, perché anzitutto dev’esserci rispetto, la forma diventa sostanza. Telefono rovente con Palazzo Chigi, e nota finale di Berlusconi: falso che Napolitano gli avesse messo un veto, mai era stato fatto il nome di Romani. In realtà, nemmeno questa versione è esatta al cento per cento. Berlusconi il nome in questione l’aveva sussurrato all’orecchio del Presidente nell’ambito di una verifica riservata preliminare, come sempre si fa in casi del genere. E il Presidente della Repubblica gli aveva mosso certe obiezioni (legate, pare, a un conflitto d’interessi del candidato ministro) su cui il Cavaliere aveva promesso di fornire rapidi chiarimenti. Salvo dileguarsi senza più dare notizie di sé. La ragione non è affatto un mistero: con la scusa di Napolitano contrario, Berlusconi voleva tenersi libera la poltrona, casomai Casini avesse deciso di tornarsene in maggioranza. Insieme col vitello grasso, per festeggiare il figliol prodigo, Silvio avrebbe sacrificato volentieri la pedina dello Sviluppo. Sennonché, passa un mese passa l’altro, l’intesa con i centristi non matura. Ci si mette di mezzo la Lega, Bossi pone il veto sull’Udc, e nel frattempo monta la pressione per colmare il «vuoto di governo». Basta. Il Cavaliere alza bandiera bianca. Ieri mattina annuncia finalmente la nomina, sperando di normalizzare i rapporti col Colle da lui stesso logorati attraverso battute e giudizi antipatici. Pronunciati tra quattro mura, però puntualmente rimbalzati all’esterno. Napolitano che «mi rema contro», che «non si capisce a che gioco sta giocando», anzi «si comprende benissimo: aiuta Fini». Superlavoro del portavoce Bonaiuti con smentite a raffica, «mai pronunciate né pensate cose del genere», ma inutilmente perché sul Colle hanno le loro antenne, insomma grande irritazione presidenziale per quei commenti del premier così poco istituzionali. Ora il Cavaliere spera di averci messo, come si dice, una pietra sopra. Però è davanti a un bivio. Strategico. Se tornerà dal Presidente e insisterà sul nome di Romani (corredato dai chiarimenti richiesti), Napolitano alzerà le braccia. Sarà il segnale (sussurrano ai vertici del Pdl) che il premier non rinuncia a tenere l’uscio socchiuso per Casini. Romani è un fedelissimo, il giorno che Berlusconi gli chiedesse di rientrare nei ranghi per far posto a un centrista, risponderebbe di sicuro «obbedisco». E la via per allargare la maggioranza sarebbe più agevole. L’alternativa di cui si parla a Palazzo Grazioli è Galan. Potrebbe essere «deportato» allo Sviluppo per rendere felice la Lega, che a quel punto tornerebbe in possesso dell’Agricoltura oggi affidata all’ex-governatore del Veneto. Inutile dire che Bossi vedrebbe invece con qualche sospetto la promozione di Romani, oggi vice-ministro. Se dunque il Cavaliere vuole coprirsi le spalle con Bossi qualunque cosa accada, non ha che da spostare Galan. Salvo doversi difendere nel partito, e non solo dai finiani: troppo potere alla Lega, gli verrebbe rimproverato, «di questo passo ci mangiano vivi». http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58207girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere prova a trattare con Futuro e Libertà Inserito da: Admin - Settembre 12, 2010, 08:59:17 am 7/9/2010 (2:13)
La mossa di Berlusconi e Bossi: "Fini incompatibile, intervenga Napolitano" Il premier e il Senatùr chiedono le dimissioni del presidente della Camera. Il leader leghista: "Comunque si andrà alle urne". Il Cavaliere prova a trattare con Futuro e Libertà ma il Carroccio spinge per le elezioni anticipate UGO MAGRI Nel drammatico vertice notturno, vince la tesi del Senatùr: con il presidente della Camera che rema contro, è impossibile fare le riforme, federalismo addio. Dunque delle due l’una. O Fini si toglie di torno, oppure tanto vale andare alle urne subito, anche a novembre... Siamo dunque a un passo dalla crisi istituzionale. Il premier, spalleggiato da Bossi, dichiara «incompatibile» con il suo ruolo la terza carica dello Stato. E sollecita a Napolitano un incontro dove gli chiederà un gesto che esula dalle sue prerogative: cacciare il presidente della Camera. Pare che Bossi sia pronto a premere lui stesso il grilletto delle elezioni anticipate. La Lega si asterrebbe sul documento programmatico del governo, un auto-affondamento in piena regola per dichiarare chiusa la XVI legislatura repubblicana. Se questo esige il Carroccio, Berlusconi può solo alzare le braccia in segno di resa. Già, perché di resa si tratta. Potendo, il Cavaliere eviterebbe le urne. I suoi sondaggi riservati sono tutt’altro che esaltanti. E comunque, le poche chances di ripetere il trionfo 2008 sarebbero castigate da un passo falso. Tipo: precipitare il Paese verso elezioni che la gente si spiegherebbe solo come effetto di una faida privata, frutto malato di scontri caratteriali, risultato inevitabile di mosse mal calcolate. «Non è che io abbia paura del voto», è l’argomento speso nella notte dal Cavaliere con Bossi, «ma la rottura definitiva dovrebbe avvenire su questioni che interessano la gente, capaci di coinvolgerla direttamente...». In assenza di giustificazioni vere, più che una campagna elettorale sarebbe una corsa al massacro. Ecco perché ieri mattina, in gran segreto, due esponenti finiani erano stati ricevuti nella villa di Arcore: il presidente dei senatori Fli, Viespoli, e il coordinatore dei gruppi parlamentari, Moffa. Berlusconi li aveva accolti insieme col sottosegretario Augello («pontiere» tra il premier e i dissidenti). Voleva capire se il suo governo ha ancora uno spiraglio di futuro, oppure la maggioranza è già dissolta, come sostiene Bossi. «Con Fini io, personalmente, non parlerò neanche morto», era stata la premessa del Cavaliere, «provateci voi». Verificate, aveva aggiunto, in che cosa consisterebbero le richieste finiane per stipulare quel patto di legislatura evocato domenica dal presidente della Camera. Lasciando intendere che le avrebbe esaminate con cura, perché non siamo più al brusco «prendere o lasciare» di qualche giorno fa. Se le pretese fossero appena appena ragionevoli, aveva soggiunto, i cinque punti della mozione di fiducia potrebbero essere aggiustati, ritoccati... E’ sottinteso che Moffa e Viespoli si erano mossi da Roma non prima di avere informato Fini. E non c’è bisogno di aggiungere che, di ritorno da Arcore, avevano subito messo al corrente il loro leader. La premessa col Cavaliere era stata, del resto, molto esplicita: «Basta coi tentativi di spaccarci, di dividerci in buoni e cattivi, altrimenti non possiamo metterci nemmeno a sedere». Insomma, poche ore prima che Bossi gettasse lo spadone sulla bilancia, si consumava l’ultimo disperato tentativo di pace. Che se fosse andato in porto sarebbe stato coronato, nella mente del Cavaliere, da un documento, un preambolo, un incipit (le idee non sono ancora chiarissime) concepito come «Patto di lealtà verso gli elettori». Dunque con l’impegno solenne dei parlamentari finiani a non pugnalare sui provvedimenti chiave il governo e la legislatura. Come mai Silvio, violentando il suo personaggio, aveva accettato di piegarsi a una trattativa sempre sdegnosamente rifiutata? Perché quando si sente stretto in un angolo, l’uomo sa essere realista. Nel pomeriggio erano andati a trovarlo il capogruppo Cicchitto e colui che ha monitorato la «campagna acquisti» tra i deputati, cioè Verdini. Purtroppo per Silvio, la caccia di onorevoli senza patria né bandiera ha fin qui prodotto risultati alquanto modesti. Nel voto di fiducia sui cinque punti, una maggioranza forse ci sarebbe pure senza i finiani. Però tra quanti hanno la testa sulle spalle nessuno osa mettere la mano sul fuoco. E comunque (vedi Prodi) non si fanno grandi riforme, anzi nemmeno si governa, con due-tre voti di scarto. La Lega proprio questo sostiene. «Se Berlusconi dava retta a me», sospira Bossi al Tg2, allo scioglimento delle Camere si sarebbe già arrivati. Ora va da sé che, con la richiesta a Napolitano di dichiarare Fini incompatibile, si spezza anche l’esile filo del negoziato sottobanco. Il buonsenso è maturato tardi, quando il gong era già suonato. Ora non resta che allacciarsi le cinture. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58300girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Berlusconi teme ritorsioni in aula e si prepara alle urne Inserito da: Admin - Settembre 23, 2010, 05:48:01 pm 23/9/2010 (7:13) - RETROSCENA
Ora Berlusconi teme ritorsioni in aula e si prepara alle urne Il premier ai suoi: «Alla prossima si va tutti a casa» UGO MAGRI ROMA Un governo soccorso dai «franchi tiratori» finora non s’era mai visto. Né si ricorda a memoria d’uomo un’opposizione pugnalata nel segreto dell’urna. Il voto di ieri su Cosentino va ascritto dunque per intero alle anomalie del berlusconismo, su cui volgeranno l’occhio gli storici. Nell’immediato il Cavaliere flette i muscoli; infligge ai finiani quella che il capogruppo alla Camera Cicchitto, senza mezzi termini, considera una «disfatta»; dà la sensazione di poter superare giovedì prossimo l’asticella fatidica dei 316 voti, maggioranza autosufficiente. Un bilancio che sarebbe al 100 per cento positivo, se Berlusconi non lasciasse dominare ogni sua mossa dall’ansia irrazionale (ricambiata) di distruggere Fini. A costo di sacrificare se stesso come il calabrone, che pur di pungere soccombe felice. E’ un fatto che tre giorni fa il Cavaliere aveva pranzato con il gruppo di vertice del «Giornale» (mentre ieri a palazzo Grazioli ha ricevuto Antonio Angelucci, senatore del Pdl ed editore di «Libero»). Ed è un altro fatto che l’altra sera, adunati i suoi colonnelli, aveva dato l’annuncio: «Domani leggeremo il documento che incastra Fini». Ieri mattina (anticipato pure da Dagospia) ecco in edicola il famoso «scartafaccio» sulle società off-shore da tempo sul tavolo del Cavaliere, mostrato ai vari visitatori come il più ambito dei trofei. Senonché la reazione politica per ora risulta esattamente contraria a quella che l’alchimista Silvio intendeva ottenere: il presidente della Camera non si dimette affatto, in compenso si adira moltissimo. E fa annunciare ai suoi scudieri guerra totale, aperta, senza prigionieri. In pratica, Fini condanna a morte la legislatura a costo di uscire lui stesso di scena. Cosicché l’urlo di vittoria si è strozzato in gola ai generali berlusconiani. Nella gara di auto-lesionismo, non immaginavano di subire il pareggio. Ora, tra i più consapevoli dei «berluscones», si guarda con ansia al dibattito sulla fiducia. Perché il timore è che nemmeno basti più raggiungere il minimo sindacale a «quota 316». Bonaiuti stima che il voti favorevoli saranno 320, Verdini (incaricato di tenere il pallottoliere) è calato a 319 dopo la defezione di Catone. Ma un conto è aggiungere il sostegno, per giunta gratuito, di Fli e autonomisti siciliani come sarebbe avvenuto senza i dossier. Altra cosa è trovarsi tutti scatenati contro. La tanto agognata autosufficienza si trasformerà in incubo. Maggioranza alla mercè di frange incontrollabili. Cinque, forse sei commissioni a Montecitorio controllate dall’opposizione, con l’impossibilità di spingere avanti le iniziative del governo (ne sapremo di più il 7 ottobre, quando le presidenze verranno rinnovate in base ai nuovi equilibri). E l’arbitro dei lavori, con i suoi super-poteri di indirizzo parlamentare, che rema apertamente contro il governo, senza possibilità di cacciarlo via... L’esito ineluttabile, fa intendere la Lega, si chiama «elezioni anticipate». Nella primavera prossima, perché a votare entro l’anno ormai non si farebbe più in tempo. Magari previo intermezzo di governo tecnico. Il Cavaliere ne è consapevole. Prima di tornare a Roma ha presieduto l’ennesima «sala crisi» del Pdl, il comitato informale di pasdaran come Mario Mantovani, Valducci e Rampelli, dove si gettano le basi della prossima campagna elettorale. Ha dato ordine di bruciare i tempi, perché al prossimo serio scivolone parlamentare «si va tutti a casa», e il partito sembra in coma. Certi sondaggi del premier lo danno in crollo verticale, 9 punti persi negli ultimi tre mesi. Lui, Berlusconi, viene descritto in preda a umori contrastanti. Da una parte sprezzante del pericolo: «Salta la trattativa sul Lodo? Pazienza. Meglio tirare avanti senza scudo, piuttosto che cedere ai ricatti di quello...». Dall’altra, Napoleone pare rendersi conto della Beresina. E abbozza addirittura una marcia indietro: «Io ero e resto garantista», commenta gli ultimi sviluppi, «se Fini dimostrerà che con Montecarlo non c’entra, ne prenderò atto». Ma a tempo scaduto. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58785girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora il premier pensa di evitare la conta Inserito da: Admin - Settembre 27, 2010, 09:36:34 am 27/9/2010 (7:25) - GOVERNO. LA STRATEGIA DEL PDL
Ora il premier pensa di evitare la conta Il voto sui 5 punti potrebbe non determinare le sorti dell'esecutivo UGO MAGRI C’era una volta la mozione di 4 punti, poi cresciuti a 5, su cui Berlusconi avrebbe chiesto la fiducia solenne del Parlamento, e in caso non l’avesse ottenuta saremmo andati di corsa alle urne perché è tempo di fare chiarezza. Adesso non se ne parla più perché lungo la strada un po’ di solennità si è persa, dalle parti di Palazzo Grazioli la mozione di fiducia viene giudicata eccessiva, al chiarimento basterà il discorso del premier seguito dal voto su una risoluzione dove sarà sintetizzato il programma da perseguire. Oppure su cinque risoluzioni distinte per ciascun capitolo (giustizia, Mezzogiorno, fisco, sicurezza e federalismo). Ma aleggia un’ulteriore ipotesi, maturata dopo il videomessaggio in cui Fini ha smorzato i toni: quella che mercoledì alla Camera non si voti del tutto. In questo caso Berlusconi pronuncerebbe il discorso («volerà sopra le polemiche contingenti», rassicura tutti il portavoce Bonaiuti), dopodiché ogni gruppo direbbe la sua. E se i finiani garantissero un appoggio così convinto, talmente leale al governo da rendere superflua la conta, a quel punto tanto varrebbe soprassedere... Un finale a tarallucci e vino che lascerebbe l’Italia a bocca aperta, ma permetterebbe al Cavaliere di dire: «Ho vinto, mi reggo su una maggioranza autosufficiente, dunque tiriamo avanti». E nello stesso tempo consentirebbe ai finiani di sostenere l’esatto contrario, «abbiamo vinto noi, saremo decisivi per la sopravvivenza del governo», senza timore di essere smentiti dai numeri. Quale sarebbe il vantaggio per entrambi? Rinviare la resa dei conti. Lasciare che gli animi si plachino un altro po’. E, nel caso, ricominciare a tessere la trama per salvare la legislatura. Inutile dire che le «colombe» caldeggiano il dibattito senza voto proprio per guadagnare tempo, laddove i «berluscones» duri e puri preferirebbero farla finita e contarsi. A decidere sarà il Capo, che studia la situazione da Arcore scettico e, a quanto dicono, piuttosto distaccato. Nei confronti di Fini il risentimento del premier resta sopra i livelli di guardia (ricambiato peraltro). Sarà uno spettacolo studiare i volti dei due protagonisti dopodomani, quando il Cavaliere prenderà la parola in aula con il Nemico alle spalle: il presidente della Camera arbitra infatti i lavori dallo scranno che sta esattamente sopra quello del premier. L’incidente clamoroso è sempre in agguato. Ma resistere in sella fino al 2013 in fondo a Silvio non dispiacerebbe affatto, tantomeno disprezzerebbe uno scudo contro i processi: entrambi traguardi che richiedono qualche forma di condiscendenza da parte del rivale. Dunque per il momento Berlusconi dà corda ai suoi negoziatori, per vedere cosa portano a casa. Sono attesi per le prossime ore approfondimenti del capogruppo Pdl Cicchitto e ulteriori ambasciate del solito Gianni Letta, onde verificare fino a che punto l’appoggio finiano potrà essere forte e convinto, cominciando dai temi della giustizia dove il ministro Alfano e l’avvocato Ghedini alzano la posta: «Serve una riforma di rango costituzionale». Un primo banco di prova si avrà stasera da Vespa. E’ in programma che nel salotto televisivo si accomodino Gasparri e Bocchino. Difficile che finisca in rissa poiché i due si conoscono troppo bene, vita morte e miracoli. Ma se il capogruppo finiano alla Camera rilancerà i «distinguo», insisterà con le critiche al Cavaliere, insomma darà spettacolo, è chiaro che vinceranno i «falchi», mercoledì si andrà alla conta e amen. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58889girata.asp Titolo: UGO MAGRI Sarà fiducia, i finiani verso il sì Inserito da: Admin - Settembre 29, 2010, 11:37:41 am 29/9/2010 (7:12) - LA GIORNATA
Sarà fiducia, i finiani verso il sì Decisione di Berlusconi, ma per stare tranquillo in futuro deve superare quota 316 senza i "ribelli" UGO MAGRI ROMA Il Cavaliere smonta la trappola che stava scavandosi con le sue mani, e chiede la fiducia del Parlamento. Sarà votata stasera alle 19 nell’aula di Montecitorio, domani replica a Palazzo Madama. Il colpo di scena Berlusconi s’è reso conto che, se non avesse messo sul piatto la sopravvivenza del governo, molti dei potenziali sostenitori ne avrebbero profittato per sfilarsi, per distinguersi, per eludere la scelta di campo. Dunque niente più voto su una risoluzione, che avrebbe permesso soprattutto ai finiani di pretendere la loro firma in calce al documento (o in alternativa di presentarne uno loro pressoché identico). In conclave coi maggiorenti Pdl, il Cavaliere ha capito l’errore e rovesciato la strategia. Quella nuova è semplice: o la va o la spacca. Più probabile la prima delle due. Il voto finiano Bocchino fa sapere che, se nel discorso Berlusconi non darà di matto, Futuro e libertà sarà disposto a sostenerlo pure senza la propria firma in calce alla mozione. Però l’appoggio non è garantito per sempre. Superata la fiducia, potrà mancare su questioni importanti. Per esempio, non appena si voterà la mozione Pd per cacciare Bossi dopo gli sproloqui sui «porci» romani. Dunque occhio stasera al tabellone luminoso: per avere qualche chance di tirare avanti il premier dovrà superare quota 316 (la maggioranza più uno dei deputati) al netto dei «ribelli», e magari pure degli autonomisti siciliani di Lombardo. Ce la farà? La «compravendita» Mentre nei giorni scorsi tenevano banco i Tulliani, svelti emissari del premier sfruttavano la distrazione collettiva per lavorare indisturbati. Così adesso l’«autosufficienza» del governo sembra davvero a un passo. «Abbiamo fatto bene i conti», assicura Frattini. Lasciano ufficialmente l’Udc i 5 del gruppo Mannino. Fonderanno il Pid (Popolari per l’Italia di domani) e contano di aggregare ulteriori misteriosi peones. Casini è convinto di sopravvivere anche meglio, perché si libera di certi personaggi chiacchierati assai. L’Api di Rutelli perde a sua volta due pezzi, il campano Cesario e l’imprenditore veneto Calearo, già fiore all’occhiello della lista veltroniana nel 2008. Più Pdl, più Lega, più partitini vari, il centrodestra può arrivare a 313 voti. Si asterranno i tre altoatesini della Svp che nel 2008 avevano votato contro: non vogliono fare da stampella al premier, dicono, però una mano gliela stanno dando. Spargono la voce i finiani che Berlusconi chiede la fiducia perché il «calciomercato» ha fatto flop. Bersani, più realista, teme il successo di un’«operazione che prelude al governo Berlusconi-Bossi-Cuffaro», e invoca l’intervento della magistratura con questo argomento niente affatto trascurabile: «Se si promette la rinomina o uno stipendio questa è corruzione». Stasera comunque sapremo se il Cavaliere è «autosufficiente» o no. La bozza del discorso Da chi l’ha letta viene definita «corposa», cioè densa di promesse all’Italia. E «zuccherosa», in quanto priva di asprezze. Animata dallo «spirito alto e nobile di Onna» (riferimento al tono ecumenico che il Cavaliere sfoderò il 25 aprile 2009). Nel testo redatto da Bonaiuti, Fini non viene mai citato, né in bene né in male. Però chissà quanti ritocchi subirà la bozza entro le 11 di stamane, quando Berlusconi prenderà la parola in Aula. Letta preme per un atto di generosità politica e istituzionale. Sicuramente verrà incensato Napolitano, per non dire del Papa. Un approfondimento in extremis è stato chiesto a Maroni perché il capitolo sicurezza pareva smilzo. Sulla giustizia per ora è previsto un fugace cenno all’importanza di stringere i tempi, senza espressi riferimenti al «processo breve». Non si parla di Lodo, che cammina sulle sue gambe. Oggi in Senato Vizzini presenta un testo che fa scudo solo al Capo dello Stato e al premier, proprio come desiderano i finiani. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201009articoli/58941girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Alfano frena sulle intercettazioni Inserito da: Admin - Ottobre 09, 2010, 09:17:12 am 9/10/2010 (7:41) - GOVERNO. IL BRACCIO DI FERRO
Ora Alfano frena sulle intercettazioni Il ministro: prima discutiamo la riforma costituzionale complessiva della giustizia UGO MAGRI ROMA Un ministro della Repubblica, il finiano Ronchi, comunica il benservito al premier. Non subito: nel 2013, quando la guida del governo toccherà al presidente della Camera, «unico candidato naturale del centrodestra» secondo Ronchi, essendo le ipotesi alternative «soltanto il frutto di scemenza mentale». Berlusconi da Putin Pare sia localizzato in una dacia tra Mosca e San Pietroburgo: impossibile sapere come l’abbia presa. Forse lo capiremo oggi, quando il presidente del Consiglio si farà vivo per telefono con il convegno democristiano di Rotondi a Saint-Vincent. Difficile che i tre anni concessi dal suo ministro costituiscano per lui motivo di sollievo. Però il nodo esiste, prima o poi verrà al pettine. I finiani tranquillamente ammettono: lo slalom per evitare elezioni anticipate potrà durare un anno, un anno e mezzo al massimo; poi, per quanti esercizi di equilibrismo si possano fare, la legislatura andrà a sbattere non appena si comincerà a porre l’interrogativo: chi sarà il prossimo candidato premier? Fini è più pessimista dei suoi. Mette in conto che Berlusconi, o la Lega, tenteranno di uccidere in culla Futuro e libertà, dunque le urne sono dietro l’angolo. «Per il Paese sarebbe il momento meno adatto, ma nel caso valuteremo», risulta abbia detto in una riunione a porte chiuse di militanti, a Palermo. Fini contro Tremonti L’altra sera era andato da Santoro, gesto in sé blasfemo agli occhi del Cavaliere. Ieri, prima telefonata di solidarietà alla Marcegaglia (sottinteso: entrambi siamo vittime dello squadrismo mediatico), poi colloquio col governatore siciliano Lombardo, artefice di una giunta che lascia il Pdl solo soletto all’opposizione. La terza carica dello Stato fa impallidire il predecessore Bertinotti (che con stile lo rimarca) quanto a dinamismo politico. Tiene alta l’attesa per una nuova legge elettorale rivendicando «ai cittadini la scelta dei propri parlamentari». Concorda con Lombardo un forcing parlamentare per buttare all’aria la Finanziaria di Tremonti, nel mirino soprattutto certi tagli specie nel comparto scuola. Fa sognare gli autonomisti siciliani quando avverte che il percorso dei nuovi decreti attuativi sul federalismo fiscale «è appena cominciato»: vuoi vedere, si chiedono allarmati nel Carroccio, che lungo la via Fini si prepara a mettere qualche bastone tra le ruote? La riforma della Giustizia Diversamente da quanto il Cavaliere aveva minacciato due sere fa, il ministro Alfano precisa: di intercettazioni e di processo breve si discuterà dopo, con calma. Prima andrà in scena la riforma costituzionale della Giustizia: dalla separazione delle carriere per i magistrati, al nuovo Csm. Questioni impegnative assai, su cui è le toghe alzeranno barricate. «Ma sono temi presenti nel programma di governo votato dagli elettori, lo sanno tutti», sottolinea Bonaiuti, portavoce del premier. Non si prevedono vertici di maggioranza per discutere le grandi linee in quanto, stavolta è Quagliariello a parlare, «nel governo ci sono esponenti di Futuro e libertà», per l’appunto Ronchi, «ed avranno modo di pronunciarsi nella sede propria, il Consiglio dei ministri». La mossa del Guardasigilli è, da punto di vista finiano, alquanto subdola. Se quelli di Futuro e libertà ci stanno, faticheranno a presentarsi poi quali paladini della magistratura aggredita dal Cav («Questione morale e legalità» sono, insieme col Sud, le bandiere sventolate da Fini a Palermo). Se invece rompono sulla riforma costituzionale, rischiano di venire additati dalla propaganda berluscoiana come i traditori del patto elettorale. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59240girata.asp Titolo: UGO MAGRI La parabola di Brunetta, il ministro tuttofare che ha perso lo slancio Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2010, 12:06:42 pm 14/10/2010 (7:38) - ANALISI
La parabola di Brunetta, il ministro tuttofare che ha perso lo slancio Ha dato il meglio di sé nel primo anno, adesso ha poca esposizione mediatica UGO MAGRI Nessuno più di Renato Brunetta incarna la parabola del governo Berlusconi. Scattato con passo da centometrista, lungamente primo in testa al plotone ministeriale per visibilità e popolarità che ne consegue, primo anche nel varo di riforme (sulla carta) destinate a restare scolpite nel marmo, come quella «anti-fannulloni» datata 2009. Poi però, una volta tagliato il traguardo del primo anno, è come se il titolare della Pubblica Amministrazione avesse dato il meglio di sé. Dire che da allora ha fatto perdere le tracce sarebbe falso. Ogni giorno inonda le redazioni di comunicati e conferenze stampa. Inoltre Brunetta rimane, perfino a detta degli avversari, un personaggio tra i più intelligenti della politica, una colonna del governo, una risorsa del centrodestra. Eppure... Non sembra più quel fenomeno che si tirava dietro le telecamere. In Italia ci si abitua in fretta. Gli stessi colleghi ministri quasi rimpiangono con nostalgia certi scontri epici con il grande antagonista Tremonti, del quale Brunetta mai si è sentito da meno, forte della cattedra di Economia e di un concetto di sé inversamente proporzionale alla statura («Avrei vinto il Nobel qualora non mi fossi dato alla politica», rivelò un giorno). Tremonti, se è autentica la testimonianza, durante un summit governativo minacciò addirittura di prenderlo a pedate. Acqua passata, comunque. Così come sembrano reperti archeologici quei video su YouTube dove Brunetta si azzuffa con la Bignardi, mostra i denti a Mentana, litiga con Cazzullo e querela in diretta il conterraneo Stella: era la stagione d’oro in cui tutti i giorni Renato guadagnava la prima pagina, un fuoco pirotecnico di trovate e provocazioni intellettuali, di salve polemiche contro «gli insegnanti assenteisti e i supplenti incapaci», contro «i perditempo difesi dai sindacati», contro «Calabria e Campania senza cui l’Italia sarebbe prima in Europa», contro i «bamboccioni» da cacciare di casa per legge a 18 anni e poi più su, sempre più su, fino a bombardare i salotti buoni del potere, l’«élite di merda che ha la puzza sotto il naso e pensa solo a far cadere il governo, vadano a morire ammazzati». Reazioni con la bava alla bocca, perfino Calderoli una volta ebbe a dire: «Renato l’ha fatta fuori dal vaso». Apri adesso il Blog di Brunetta e trovi le ragnatele. C’è l’attacco a Tremonti, ma chi clicca il link scopre che è lì da un anno, quando a Giulio rinfacciò «un potere di veto cieco, cupo, conservatore, indistinto», e Berlusconi dovette intervenire tramite Bonaiuti da Gedda per calmare le acque. Nei sondaggi il suo indice di gradimento permane elevato, solo Maroni gli dà una pista; però l’esposizione mediatica in calo (con l’eccezione di Crespi) deprime gli indici. Brunetta non potrebbe di nuovo vantarsi «sono come la Cuccarini, il più amato dagli italiani». Due le spiegazioni tra gli addetti ai lavori. La prima psicologica: questo personaggio laborioso, competente, capace, per troppi anni è stato tenuto tra i rincalzi berlusconiani. Quando finalmente il Cavaliere gli ha dato la chance di cimentarsi nella sua «mission impossible» (ammodernare la burocrazia, emblema di tutti i nostri mali), lui ha scaricato un’energia contratta, quasi repressa che espandendosi in un Big Bang l’ha ingigantito politicamente e non solo (mitica la caricatura del comico Crozza, nelle vesti di Brunetta su una poltrona smisurata). Fino al giorno della primavera scorsa in cui egli ha coltivato l’ambizione di clonarsi, ministro e pure candidato sindaco nella sua città, Venezia. Stracciato al primo turno da un carneade lagunare, Orsoni. Una botta tremenda al suo «ego», capace addirittura di indire un concorso a premi per la vignetta più feroce. Dicono le malelingue che non si sia ancora ripreso. L’altra spiegazione è tutta politica. Brunetta, figlio di un venditore ambulante, esprime l’indole popolare del berlusconismo, forse più ancora del Cavaliere medesimo. Ma soprattutto ne interpreta l’anima «rivoluzionaria», liberale e meritocratica, di cui Brunetta è stato nella prima fase il ta-tze-bao vivente. Sennonché questa stagione pare al tramonto per mancanza di soldi, di coesione, forse di idee. Non sempre, del resto, le rivoluzioni sono all’altezza delle aspettative che suscitano tra la gente. Se l’interpretazione è esatta, si applica dunque a Brunetta la stessa sfida che vale per il premier: saprà ritrovare lo slancio delle origini? L’unica certezza è che il tran-tran non fa per lui.I sondaggi qui sopra rappresentati si riferiscono a rilevazioni effettuate ogni settimana da Istituto Piepoli mediante interviste telefoniche con metodologia CATI su un campione di 500 casi rappresentativo della popolazione italiana maschi e femmine dai 18 anni in su, segmentato per sesso, età, Grandi Ripartizioni Geografiche e Ampiezza Centri proporzionalmente all’universo della popolazione italiana maggiorenne. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59404girata.asp Titolo: UGO MAGRI La partita si gioca su Cota: se salta lui, cade il governo Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2010, 12:16:30 am 17/10/2010 (8:13) - RETROSCENA
La partita si gioca su Cota: se salta lui, cade il governo Il Carroccio pronto a denunciare il golpe e a "staccare la spina" UGO MAGRI ROMA Altro che tentativo di metter pace tra i due litiganti... Dice in pratica Calderoli: la situazione è fuori controllo, al volante non c’è nessuno. La rappresentazione plastica si è avuta giovedì: un Consiglio dei ministri per decidere l’austerità, con il premier assente per malattia. E Tremonti assistito da Brunetta davanti alle telecamere, come se Berlusconi fosse il passato e in sua vece ci fosse un governo tecnico... Così non si va avanti, lancia l’allarme la Lega, l’incidente è dietro l’angolo. Già c’eravamo vicini giorni fa, quando il Senato stava bocciando il documento cardine della politica economica, e solo una sterzata dei finiani in extremis aveva evitato il burrone. Quella sarebbe stata la classica goccia, il popolo padano non avrebbe esitato un attimo, per bocca dei suoi rappresentanti, a chiedere nuove elezioni subito. Ma ogni momento ce n’è una, l’ultima è questa manifestazione Fiom che per la Lega significa scontro sociale durissimo. La prossima mina saranno i giudici. E quando il Carroccio se la piglia coi magistrati, non ha in mente le «toghe rosse», le inchieste su Berlusconi oppure le altre che puntano a incastrare Letta... No: guarda a Torino, al Tar del Piemonte, al riconteggio delle schede regionali su cui la Bresso nutre così forti speranze. Perché lo sanno tutti, Cota è il «figlioccio» di Bossi. Se venisse detronizzato dal giudice in base a qualche cavillo, l’Umberto ci metterebbe un attimo a denunciare il «colpo di mano», a proclamare morta la democrazia in Italia, perché «se un organo amministrativo può invalidare la volontà del popolo allora qui non regge più nulla, la legislatura è in coma, meglio staccare la spina» (il Presidente della Repubblica pare che ne sia bene al corrente, e tenga perciò un occhio allarmato sul caso Piemonte). Perché «basta con la finzione di un governo impotente, che non sa farsi prendere sul serio», dicono in via Bellerio a Milano. Della decomposizione in atto la Lega vede due colpevoli, Silvio e Gianfranco: «O si incontrano e stringono un nuovo patto», insiste Calderoli, «oppure meglio chiuderla qui». Non è una proposta di pace. Semmai un ultimatum, forse addirittura un «de profundis» della legislatura, in quanto nessuno meglio del ministro in cravatta verde sa che un faccia-a-faccia tra Berlusconi e Fini sarebbe quanto di più improbabile. Calderoli è andato personalmente a trovare entrambi, illuso lunedì scorso dalla loro stretta di mano davanti alle bare dei quattro alpini caduti. Salvo trovarsi davanti a un muro. Se prima si odiavano, adesso di più. Il presidente della Camera (nonostante i tentativi di dialogo Ghedini-Bongiorno) pare non abbia la minima voglia di offrire riparo al premier contro i pm: solo norme costituzionali, che entrerebbero in vigore col Cavaliere già condannato... Se quelli insistono, la Lega rompe. Con tutti e due. Per correre alle elezioni da sola, e sfruttare a fondo la crisi del Pdl, mai così nera. Mercoledì è convocato un ufficio di presidenza a Palazzo Grazioli. Grande battage mediatico per presentarlo come una svolta, diventerà un partito democratico promette Bondi. Il piano è studiato da Verdini, prevede che coordinatori regionali e vice saranno sempre nominati dal Cavaliere. Tuttavia, nel caso di designazioni pressoché unanimi (servirà il 75 per cento), d’ora in avanti Berlusconi si limiterà a mettere il timbro. Partirà il tesseramento, come in tutti i partiti degni del nome. Disco verde ai congressi comunali e provinciali, dove (lì davvero) sarà lecito scannarsi per le poltrone. E grandi speranze verranno riposte nei «team della libertà», da reclutare in base a un indirizzario che conta 1 milione e mezzo di nomi. Berlusconi, in tutto questo, si ritempra. Chi l’ha sentito ieri giura che quando tornerà sulla scena lo troveremo «in forma e più giovane». Ci manca solo che abbia fatto un lifting... http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59521girata.asp Titolo: UGO MAGRI Alfano prova a convincere Fini Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2010, 11:58:50 am 19/10/2010 (7:41) - GOVERNO. LA MAGGIORANZA
Alfano prova a convincere Fini Oggi il ministro illustra ai presidenti delle Camere la riforma della giustizia UGO MAGRI ROMA Fino a domattina Berlusconi se ne starà ad Arcore, e raccontano che sia tutto preso dalla preparazione dei prossimi appuntamenti internazionali (vertice Nato a Lisbona, G20 a Seul). La figlia Barbara lo attendeva a un party con molti invitati vip, ma lui non si è concesso. Gli umori berlusconiani sono un mistero agli intimi, figurarsi per gli americani. Corre voce di ambienti d’Oltreoceano che, cautamente, vanno in giro chiedendo notizie, informandosi con alcuni nostri opinion leader sui possibili sbocchi del duello con Fini... Da Villa San Martino al momento filtra solo un grosso fastidio del premier per i riflettori accesi sulle sue ville, e dubbi tardivi circa l’intervento a gamba tesa di Ghedini per fermare «Report». Alfano «esploratore» Nell’attesa che Berlusconi torni a occupare la scena, sarà lui il protagonista. Difatti stasera il ministro presenterà a Fini la «grande, grande, grande riforma della Giustizia» (definizione del Cavaliere), perlomeno nelle sue linee-guida. Dall’accoglienza che il Guardasigilli riceverà a Montecitorio capiremo meglio la sorte della XVI legislatura. Da parte «futurista» per il momento non affiorano veti, anche perché Alfano presenterà la sua riforma a Fini (ma pure a Schifani) come un cantiere aperto, anzi apertissimo. E dunque non si impiccherà su «dettagli» tipo: con quale maggioranza la Consulta potrà bocciare le leggi incostituzionali? Invece si può scommettere che, quando Berlusconi gli chiederà com’è andata, per prima cosa Alfano parlerà del Lodo, e riferirà l’atteggiamento di Fini, sullo scudo processuale. Big bang nel Pdl Sostengono gli ottimisti che domani sera, all’Ufficio di presidenza, nascerà il nuovo partito, quanto meno scoccherà la scintilla che dovrebbe portare prima o poi a rivoluzioni tipo elezione democratica dei dirigenti e addirittura del coordinatore unico, l’Erede Designato. Si assiste a un vortice di incontri conviviali, ma soprattutto è in atto una scomposizione delle vecchie alleanze interne che rimodella la mappa del mondo berlusconiano. Prevale la spinta centripeta, la tendenza a cercare compromessi. Addirittura qualcuno vede prendere corpo in queste ore un nuovo grande «correntone» centrale, all’ombra del Cavaliere si capisce, con la benedizione di due personaggi esterni, Letta e Confalonieri. Ne farebbero parte praticamente tutti i berlusconiani di buona volontà: dagli ex-An Gasparri e La Russa fino ai «picciotti» siciliani di Alfano, passando per i pretoriani di LiberaMente. «Macchè correntone», sorridono altri più scettici, «al massimo qui c’è solo il grande attivismo della Gelmini che organizza incontri a tutto spiano... La verità», aggiungono, «è che al Capo di tutta questa agitazione non importa un fico». Bossi e Casini Il primo abbassa i toni, il secondo li alza. Al Consiglio federale della Lega prevale la prudenza, tanto che il presidente dei deputati Reguzzoni ora sostiene: se il Tar del Piemonte boccerà Cota, non ci saranno contraccolpi sul governo (esponenti autorevoli del Carroccio sostengono il rovescio). Forse la Lega aspetta il verdetto del Consiglio di Stato, che si pronuncerà stasera. Casini invece sente odore di bruciato, le urne sono sempre dietro l’angolo, e rafforza il profilo centrista dell’Udc: mai, dice, con una sinistra che insegue la piazza. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59574girata.asp Titolo: UGO MAGRI Ora Berlusconi tende la mano all'Udc di Casini Inserito da: Admin - Novembre 01, 2010, 12:06:13 pm 1/11/2010 (7:49) - GOVERNO, A UN PASSO DALLA CRISI
Ora Berlusconi tende la mano all'Udc di Casini Raccomanda ai suoi: non sparate su Pierferdinando. Obiettivo: non lasciare spazi a un esecutivo tecnico UGO MAGRI ROMA Sarà un caso, oppure è tutto fiuto giornalistico: chi può dirlo? Sta di fatto che proprio ieri Vespa ha anticipato certe pagine del suo prossimo libro-strenna con le dichiarazioni che il Cavaliere gli ha reso dieci giorni fa. E sono tutta una tirata contro l’ipotesi di governo tecnico che Berlusconi sente nell’aria mai come in questo momento, con Fini sul punto di staccargli la spina. Berlusconi paragona il mondo senza di lui senza di lui a «un rovesciamento della democrazia», e con formula retorica esclude che Napolitano «potrebbe mai consentire un ribaltamento del risultato elettorale», con quanti hanno vinto le elezioni sospinti all’opposizione. E in effetti, tutti gli indizi portano a escludere complotti del Quirinale per far fuori il premier, anzi: il Capo dello Stato pare sia piuttosto freddo con chi immagina maggioranze senza Pdl e Lega. Più che le trame da Prima Repubblica, Berlusconi deve temere il collasso della propria immagine, il ridicolo che la vicenda Ruby gli sta rovesciando addosso, addirittura i contraccolpi sul piano giudiziario della famosa telefonata in Questura. Ieri l’avvocato Ghedini ha messo sottosopra il Palazzo con quel riferimento a «ipotesi di reato» che qualcuno starebbe studiando per dare a Silvio il colpo di grazia. Possiamo immaginare cosa accadrebbe se la pm Ilda Boccassini, per fare un esempio, dovesse inquadrare il premier nel suo mirino. Sarebbe l’equivalente del celebre «avviso di garanzia» che colpì Berlusconi nel lontano ‘94. Né è scongiurato il rischio, per il Cavaliere, che dall’alto del loro magistero i vescovi gli mettano un quattro in condotta, già l’avevano avvertito di non dare scandalo. Perfino un amico fedele anche di nome, come Confalonieri, gliel’ha detto pubblicamente: se lui continuerà ad avvitarsi su se stesso, una crisi verrà vissuta come liberatoria anzitutto dal suo partito. E ci siamo vicini assai... Pare che Berlusconi stia cercando occasioni per mettere in mostra una gran voglia di «fare». Sui rifiuti della Campania «e non solo», anticipa il portavoce Bonaiuti. Il «passo indietro» chiesto da Fini, inutile dire, non sfiora nemmeno lontanamente il pensiero del premier. Che nei suoi sfoghi domenicali ha confermato quanto di peggio sul presidente della Camera (così perlomeno giurano i suoi interlocutori), incentivando gli attacchi frontali tipo quello portato da Osvaldo Napoli contro Fini («L’imbarazzo? Un sentimento che gli è sconosciuto...»). Nello stesso tempo Silvio raccomanda di non sparare contro Casini in quanto, sostiene, «lui potrebbe darci una mano». E dal momento che l’Udc chiede a gran voce le sue dimissioni, viene da chiedersi se il Cavaliere non abbia perso per caso un po’ di lucidità. Chi sta addentro alle strategie berlusconiane giura che no, Berlusconi non è affatto impazzito. L’aiuto che si attende dai centristi (in cambio, pare, di qualche patto declinato al futuro) consisterebbe nella garanzia del loro a ipotesi «tecniche», appunto. Perché senza l’apporto di Casini nessun «ribaltone» avrebbe successo e si andrebbe di corsa alle elezioni anticipate. Insomma, pare ci siano contatti con l’Udc (non è ben chiaro a quale livello) con l’obiettivo di dissuadere anzitutto Fini. Della serie: «Caro Gianfranco, se tu domenica davanti al tuo partito premerai il grilletto, sappi che si andrà al voto e tu ti dovrai acconciare al ruolo di numero due del terzo polo». Mentre Berlusconi coltiva questi disegni, i suoi seguaci molto concretamente ammucchiano sacchi di sabbia nelle trincee della Camera e, soprattutto, di Palazzo Madama. Perché in caso di crisi la partita si deciderà lì, per un pugno di voti. Sotto stretta osservazione 4-5 senatori contattati dal Pd per votare un’eventuale mozione di sfiducia al premier. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60038girata.asp Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere barcollante teme che arrivi il peggio Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:31:48 pm 2/11/2010 (7:38) - RETROSCENA
Il Cavaliere barcollante teme che arrivi il peggio E tra i suoi torna la paura della “bomba” sulle stragi di mafia UGO MAGRI In giornata Berlusconi dovrebbe vedere Bossi a tu per tu, e questo loro colloquio non si annuncia giocoso come le vecchie cene di Arcore, tra canti e barzellette, peraltro esaurite da un pezzo. Stavolta ci sarà poco da ridere. Il Cavaliere è stretto nell’angolo, al «caso Ruby» si aggiunge adesso il filone palermitano, destinato a saldarsi con quello milanese magari nella persona di un pm che non fa sconti, Ilda Boccassini. Il portavoce Bonaiuti l’ha messo al corrente poco dopo la siesta pomeridiana, non appena sui siti web è filtrata qualche primizia. Escluso che l’umore del Capo ne abbia tratto giovamento. Consultazioni immediate con il team legale e con il ministro Brunetta, tirato in pista suo malgrado. Ma c’è di ben peggio in arrivo, a quanto pare. Ambienti berlusconiani sempre attendibili sono certi che i magistrati siciliani stiano per lanciare «ad horas» contro Palazzo Chigi l’«atomica» di nuove rivelazioni (vere o presunte) sulle stragi mafiose, da Falcone a Borsellino... Un assalto giudiziario mai visto, «siamo al regolamento di conti finale», è il commento che si raccoglie ai vertici Pdl, dove preparano una resistenza disperata. Dunque, il faccia-a-faccia con Bossi. Mai Berlusconi vi era arrivato così barcollante. Una spintarella del Senatùr, una sua mezza frase bofonchiata ai giornali, sarebbero sufficienti per stenderlo al tappeto. Basterebbe in particolare che la Lega prendesse in considerazione l’ipotesi di governi diversi, e tanti saluti a casa. Non pare che l’amico Umberto stia per giocargli un tiro del genere. Qualche sospetto, in verità, era circolato a Roma, ma poi Maroni e ieri Calderoli con fin troppa veemenza hanno ribadito: se cade il governo, tutti alle urne, non esistono soluzioni «tecniche», anzi si tratterebbe di un vero e proprio golpe contro cui la Padania scenderebbe in piazza. A scanso di equivoci, per Berlusconi resta vitale farsi ribadire l’appoggio personalmente da Bossi, magari guardandosi reciprocamente negli occhi per capire ciascuno fino a quale limite può spingersi la lealtà dell’altro. La buona notizia di ieri, per Silvio si capisce, è che Fini non staccherà la spina al governo domenica da Perugia, nel discorso di lancio del suo nuovo partito. Siamo al solito gioco del cerino; il presidente della Camera non vuole essere quello che si scotta causando la crisi e, magari, le elezioni anticipate. L’altro ieri aveva lanciato il sasso facendo sapere che, casomai Berlusconi avesse fatto pressioni per Ruby sulla Questura, si sarebbe dovuto dimettere. Ieri Fini ha nascosto la mano; o meglio, ha fatto dire al super-fedele Bocchino che Futuro e libertà non intende abbattere il governo, semmai pungolarlo. Nel mezzo c’è stata un’astuta mossa del Pdl, una nota a firma di Cicchitto e Quagliariello dove si dice in sostanza: caro Gianfranco, Silvio non si dimetterà mai sua sponte; se proprio vuoi che cada, devi votargli tu contro con una mozione di sfiducia... Fini se ne guarda bene. «L’equilibrio politico per ora regge», è il commento soddisfatto di Quagliariello. Su tutto però incombe il macigno del «bunga-bunga» presidenziale. Berlusconi è inciampato a Napoli sul «caso Noemi», a Bari sulla D’Addario, a Milano su Ruby, e in attesa che da altre località si facciano avanti, saltano fuori dalla Sicilia altre sedicenti ospiti a Palazzo Grazioli o a Villa La Certosa di festini privati che a questo punto tanto privati non sono, poiché sollevano scandalo politico in Italia e all’estero, addirittura configurano un filone giudiziario dove si indaga per sfruttamento della prostituzione. Col Cavaliere ancora nei panni dell’«utilizzatore finale» (celebre espressione dell’avvocato Ghedini). Ma la somma delle vicende tende a delineare, lo si ammette perfino nell’entourage berlusconiano, un problema di ordine pubbblico. Le feste del Cavaliere configurano ormai un caso serio di ordine pubblico. Il «ventriloquo» berlusconiano più pugnace, Osvaldo Napoli, già mitraglia l’«asse tra Milano e Palermo», sinonimo di complotto giudiziario. Ma per quanto ancora può andare avanti così? http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60066girata.asp Titolo: UGO MAGRI Bossi: "Basta, rovesciamo il tavolo" Inserito da: Admin - Novembre 03, 2010, 10:04:37 pm 3/11/2010 (7:43) - GOVERNO - GIORNI DECISIVI
Bossi: "Basta, rovesciamo il tavolo" Il leader leghista spinge Berlusconi: se Fini decide di uscire dal governo, è il momento giusto. Oggi il premier, che continua a non volere la crisi, riunisce la direzione del Popolo della libertà UGO MAGRI ROMA Siamo piombati in un tale abisso di assuefazione che personaggi parecchio in vista, del Parlamento e del governo, reagiscono con annoiata indifferenza alle ultime da Palermo: «Ah sì? Pure questa Nadia mette a verbale di essere stata alle feste del Presidente? E dov’è mai la notizia...». Una escort di più, una di meno, a questo punto fa poca differenza. E chissà quante altre si faranno avanti nelle prossime settimane, è la scommessa rassegnata dell’entourage berlusconiano. Anche perché si è innescato un meccanismo mediatico infernale: colei che «confessa» ai magistrati, poi ha la chance di diventare una celebrità (vedi Ruby) con interviste ai giornali, comparsate televisive e magari, un domani, la particina in qualche cine-panettone. Pelose preoccupazioni per il «povero Lele» e per il «povero Emilio», vale a dire Mora e Fede, che si ritrovano una muta di pubblici ministeri alle calcagna. E molti interrogativi su come potrà reagire Brunetta, ministro particolarmente esposto nelle trattative sindacali, al tentativo di coinvolgerlo nei festini... Ma se le disgrazie fossero tutte qui, il clan berlusconiano vivrebbe queste giornate con ben altro spirito perché, appunto, c’è un’Italia che non riesce più a indignarsi, anzi addirittura si diverte alle gag del Cavaliere sui gay. Circolano a Palazzo Chigi sondaggi da cui risulta che una chiara maggioranza degli elettori è indifferente, distratta, propensa al non voto casomai fosse chiamata alle urne; interessata soltanto a misure economiche di cui non si vede traccia (e lì Berlusconi sa di rischiare parecchio, molto più che per le Procure). Ciò che tiene davvero col fiato sospeso, ai vertici del governo, è la regia finiana della crisi politica, un thriller che si dipana con arte sadica nei confronti del Cavaliere, una doccia scozzese continua: l’altro giorno pareva che il presidente della Camera gli desse qualche speranza, ieri invece è cresciuta l’ipotesi di un «appoggio esterno». Futuro e libertà farebbe dimettere dal governo i suoi rappresentanti e si limiterebbe a votare volta a volta, secondo gli estri del momento... Può essere che l’annuncio venga dato da Fini domenica, alla convention di Perugia; secondo alcuni futuristi è quasi certo, altri come al solito gettano acqua sul fuoco. In casa berlusconiana sono scattate tutte le sirene perché sarebbe un altro metro di miccia consumato, e la deflagrazione del governo sarebbe devastante. Il detonatore si chiama Bossi. Ha ripetuto chiaro ieri al Cavaliere quando si sono visti a Grazioli (presente il figlio Renzo detto il Trota): «Se Fini decide l’appoggio esterno, questa è l’occasione buona per buttare all’aria il tavolo, andare alle elezioni e scaricare su di lui la colpa». Com’è noto, dalle urne la Lega avrebbe tutto da guadagnare, Berlusconi tutto da perdere. Finora il Cavaliere era riuscito a prendere tempo; ma se Gianfranco domenica servirà a Bossi l’occasione di aprire la crisi, figurarsi se l’Umberto se la farà scappare... Dunque nel Pdl si respira l’aria delle grandi e decisive vigilie. Stamane ne discuterà il premier con il giro stretto dei fedelissimi perché domani c’è Direzione nazionale del partito, Berlusconi dovrà presentarsi al suo parlamentino con un’idea, un piano, una linea che non sia la consueta sparata propagandistica (tale la considerano ormai perfino dalle sue parti) contro i giornali e contro le «toghe rosse». I suoi consiglieri sono divisi. Qualcuno lo esorta a sparare, dal pulpito della Direzione, un colpo d’avvertimento; ad avvisare Fini che un appoggio esterno sarebbe insopportabile, dunque ci pensi bene prima dell’irreparabile, e magari torni sui suoi passi (di qui a domenica c’è ancora tempo). Altri suggeritori del premier, invece, insistono per trattare a oltranza, e magari far finta di niente. In fondo, argomentano, si dimetterebbe Ronchi dalle Politiche comunitarie: mica sarà quel dramma... E Berlusconi? Lui la pensa come i trattativisti. Vorrebbe tirare avanti, si giudica inostituibile. Ma con Bossi ha stretto un patto del diavolo. E gli toccherà onorarlo fino in fondo http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60103girata.asp Titolo: UGO MAGRI Dimissioni? Piuttosto la guerra civile Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 03:22:47 pm 12/11/2010 (7:34) - VERSO LA CRISI/ REAZIONI
"Dimissioni? Piuttosto la guerra civile" Berlusconi si sfoga nella notte di Seul con i vertici del partito riuniti dopo l'incontro Fini- Bossi UGO MAGRI INVIATO A SEUL «Non mi dimetterò mai», quasi grida al telefono Berlusconi dal ventunesimo piano dell’Hotel Hyatt, e dall’altro capo del filo lo ascoltano tramite interfono tutti i gerarchi del suo partito, riuniti a 8962 chilometri di distanza. Il tono di voce è concitato, «Fini vuole eliminarmi, mi vuole morto fisicamente per la storia di Montecarlo, è convinto che gliel’abbia montata io. Ma se questi faranno il governo tecnico noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s’immaginano...». Per tre volte il presidente del Consiglio si collega con il vertice Pdl, l’ultima quando in Corea è già l’una di notte, e sarebbe il momento di calare il sipario su una giornata bestiale: atterraggio a Seul dopo la notte passata in volo, il Cavaliere con la faccia gonfia di sonno e due fessure al posto degli occhi, colloquio in albergo con il premier vietnamita Nguyen Tan Dung, unico «bilaterale» di Berlusconi laddove in queste prime battute del G20 è stato tutto un fiorire di meeting, protagonisti Obama, il britannico Cameron, la tedesca Merkel. L’Italia a zero. O meglio: non si sa. Magari di incontri ad alto livello ce ne saranno stati, per esempio durante la cena tra i capi di Stato e di governo che, tutti insieme, cercano una via d’uscita alla grande stagnazione. Però il nostro premier s’è ben guardato dal renderne edotti i propri concittadini. Subito dopo il dolce, ciao ciao con la mano ai cronisti e via di corsa in albergo per farsi ragguagliare sull’unico incontro di cui davvero gli importasse qualcosa, quello a Roma tra Fini e Bossi. Che fosse la sua grande preoccupazione, lo s’era capito dal tentativo di farne partecipe perfino il rappresentante di Hanoi. La scenetta è un autentico cammeo. Berlusconi che si avvicina confidenziale a Nguyen Tan Dung e, tardando l’interprete, gli annuncia nel suo inglese non proprio oxfordiano: «I have some difficulties in this moment», ho qualche problemuccio a casa, perdonami caro amico del Vietnam se la testa è altrove... Dunque Berlusconi torna dalla cena ufficiale, si chiude in camera col fido Bonaiuti e fa chiamare di corsa Cicchitto, nel cui studio alla Camera è adunato l’intero gotha del Pdl, da Bondi a Quagliariello, da Fitto a la Russa, da Romani alla Gelmini. Vuole sapere, Berlusconi, com’è andata veramente tra Umberto e «quello là» (Gianfranco). Vengono messe a confronto le versioni di Bossi, di Maroni e di Calderoli, risulta chiaro che non collimano affatto. Qualcuno sente puzza di bruciato e lo dice. Silvio ribadisce alto e forte, «di Bossi io mi fido al 99 per cento», tuttavia aleggia la sensazione che siano in atto strani giochi per rimpiazzare il premier con chiunque purché non sia lui. E che la Lega sotto sotto stia valutando tutte le strade nel proprio interesse... Un incauto (o un’incauta?) propone al Capo di dimettersi come chiede Fini, salvo riavere subito l’incarico dal capo dello Stato. Coro di «noooo, troppo pericoloso, sarebbe come mettere la testa tra le fauci del leone», e poi da qualche giorno il Presidente spara a raffica sul governo, come fidarsi di Napolitano? Mentre si parlano da un capo all’altro del pianeta, arriva in diretta la notizia che nemmeno la versione di Bossi è oro colato, anzi lo stesso Fini la smentisce. Si decide perciò di troncare gli indugi: basta così, «o Berlusconi oppure elezioni» riassume il ministro Matteoli in rima baciata. Viene stilato un documento, il premier se lo fa leggere, gli piace, lo approva. Il suo prossimo passo consisterà nel rimpasto, via il ministro Ronchi (finiano) e dibattito in Senato per rinnovare la fiducia: quanto alla Camera poi si vedrà, perché lì governo rischierebbe la bocciatura. E non sta scritto da nessuna parte che in assenza di dimissioni del premier debbano pronunciarsi entrambi i rami del Parlamento, uno potrebbe anche bastare... Tocco surreale: mentre Berlusconi per tre ore al telefono coi suoi tenta di esorcizzare i governi tecnici, i due personaggi più titolati a guidarli si trovano pure loro a Seul. Uno, Tremonti, se l’è portato da Roma in aereo, per risparmio si capisce, e ha partecipato alle riunioni dei ministri economici. L’altro, il governatore Draghi, ha gustato addirittura la cena dei Grandi nella sua veste di presidente del Financial Stability Board. Obama e gli altri non immaginano, ma seduti di fronte avevano il presente e, forse, il futuro della politica italiana. http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60371girata.asp Titolo: UGO MAGRI La missione impossibile, anche contro il parere di Bossi Inserito da: Admin - Novembre 16, 2010, 05:29:07 pm 16/11/2010 (6:47) - VERSO LA CRISI- MOSSE E CONTROMOSSE
"Resistere, resistere". Berlusconi spera ancora nel contro-ribaltone La missione impossibile, anche contro il parere di Bossi UGO MAGRI Il Cavaliere ancora spera di farcela, anche al fotofinish, pure con due voti di maggioranza. Anzi, perché due? Per tirare avanti con il governo uno solo gli basterebbe, ci metterebbe la firma con entusiasmo... Tutto il groviglio istituzionale di queste ore, con il rischio di scontro tra Camera e Senato, con il presidente della Repubblica costretto a fare da arbitro come su un ring, è figlio di questa ostinata e (perfino nel giudizio di alcuni suoi scudieri) irragionevole resistenza berlusconiana. Condotta sul presupposto di non dover e non poter mollare la presa. Spiega sconsolato chi gli vive al fianco: «Silvio è convinto che, non appena lui cessasse di essere premier, subito qualche pm ne chiederebbe l’arresto, la Camera lo concederebbe. Proprio così, teme di finire in manette...». Sembra enorme, incredibile, pazzesco, e forse neppure Di Pietro arriva ad augurarsi un epilogo così choccante per la democrazia italiana. Eppure, questi sono gli spettri che (sempre nel racconto dei fedelissimi) si agitano nella mente del nostro premier, spingendolo a una sorta di comportamento per lui del tutto innaturale. L’uomo che ha sempre scelto di rivolgersi alla gente, che ha saputo costruire la sua fortuna politica spiazzando i giochi del Sinedrio, eccolo vestire adesso i panni dell’azzeccagarbugli, scartabellare Regolamenti, tuffarsi nelle casistiche parlamentari, perorare la tesi secondo cui la fiducia al governo andrebbe discussa prima al Senato anziché prima alla Camera. Sul presupposto (tutto da dimostrare) che ciò gli permetterebbe di sfangarla non solo a Palazzo Madama, cosa abbastanza probabile, ma pure a Montecitorio. L’impresa è giudicata dai più quasi impossibile. Pare sia rimasto a crederci Berlusconi, unico e solo. Parli con i suoi luogotenenti e ti sussurrano che sperare in un contro-ribaltone è pura follia, mai si sposteranno abbastanza deputati da colmare un gap stimato in 12-13 voti. E poi, soggiungono, «nemmeno ce lo auguriamo, poiché nessun governo potrebbe sopravvivere più di qualche mese se si trovasse in bilico su ogni votazione, se venisse continuamente battuto sulle sue leggi, sui suoi decreti...». Sarebbe solo un supplemento crudele di agonia, un accanimento terapeutico. Meglio farsi bocciare, è il sottinteso, e puntare diritto alle urne, dove le speranze di vittoria del centrodestra restano alte nonostante Fini. Oppure meglio tentare la carta di un nuovo governo, si è sforzato invano di argomentare Bossi ieri pomeriggio nella villa di Arcore (che certi buontemponi Pdl hanno ribattezzato per assonanza Hardcore, ammiccando alle imprese amatorie che lì si sarebbero consumate). Bossi non è isolato. Tra i giovani leoni berlusconiani prevale la tesi che, se il Capo si dimettesse come chiedono Fini e Casini, poi Napolitano non potrebbe che ridargli l’incarico e insomma, tanto varrebbe provarci, alla peggio resterebbe la carta delle elezioni... Niente da fare, però. Non c’è verso. Il Cavaliere a dimettersi non ci pensa nemmeno lontanamente. Cosicché si va cercando in queste ore un punto di compromesso tra lui, decisissimo a presentarsi in Senato, e Fini, il quale tenta di fucilarlo immediatamente alla Camera. Napolitano, vecchio saggio, pare voglia favorire una soluzione salomonica, tipo: dibattito sulla fiducia contestuale nei due rami del Parlamento. Sarebbe l’«uovo di Colombo» capace di placare tutti, e Gianni Letta («sul Quirinale garantisco io», ripete da giorni) ha fatto da tramite tanto nei confronti del premier, quanto nei riguardi di Schifani. Il quale in teoria potrebbe accordarsi direttamente con Fini, essendo suo dirimpettaio; ma è noto come i due non amino rivolgersi la parola, e dunque metterli in contatto richiede un supplemento di diplomazia. http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60480girata.asp Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: crisi ora? È da irresponsabili Inserito da: Admin - Novembre 26, 2010, 05:36:29 pm Politica
26/11/2010 - GOVERNO- IN VISTA DELLA FIDUCIA Berlusconi: crisi ora? È da irresponsabili Ma si mostra tranquillo sulla fiducia. La Carfagna ritira le dimissioni UGO MAGRI ROMA Si sta delineando un esito paradossale della crisi. O perlomeno: tutti ne parlano («vox populi» secondo il portavoce berlusconiano Bonaiuti), segno che qualcosa di vero dev'esserci. Questa voce dà per sicura la fiducia al governo quando Camera e Senato si pronunceranno, martedì 14 dicembre. Ma attenzione, non è altrettanto certo che questa fiducia sia sufficiente per governare. Anzi, somiglia moltissimo a un trappolone studiato dalla coppia Fini-Casini per evitare le elezioni, e nello stesso tempo far divorare lentamente il premier dalle formiche rosse. Il piano anti-Silvio Consiste nel garantirgli in Parlamento una maggioranza così striminzita per cui Berlusconi non sarà in grado di far passare nessuna delle sue riforme (tranne quelle che interessano agli altri due). In pratica un governo con le mani legate, come si è visto in questi giorni sull'Università, al punto che la ministra Gelmini è dovuta recarsi con un foglietto in mano dal capogruppo del Fli Bocchino, pregandolo di salvare almeno quei pochi articoli da lei indicati... Altri tre-quattro mesi così, finché Berlusconi getterà la spugna, e avanti un altro premier. Perché il bersaglio è lui. Un governo di minoranza E' lo scenario di cui si parla per il 14 dicembre. Maggioranza a quota 309-310, laddove servirebbero 316 voti per la metà più uno dei deputati. E tra gli oppositori una dozzina almeno di assenze strategiche per abbassare il quorum, onde consentire a Berlusconi di farcela volente o nolente. Debolissimo. Stremato. Però il Cavaliere non potrà neppure ribellarsi e dimettersi, come la Santanchè scommette che lui farà immediatamente in quel caso, perché Napolitano potrebbe dirgli: «Caro Silvio, una maggioranza sia pure minima ce l'hai, dunque come faccio a scioglierti le Camere? Cerca piuttosto di governare». Poi, certo, lui potrà sempre sostenere che Fini e Casini non hanno il coraggio di staccare la spina. Bossi già argomenta qualcosa del genere: «Mi sa che la fiducia Berlusconi l'avrà. Non solo dalla destra ma anche dalla sinistra. Hanno paura di andare al voto». Non sarà comunque un bello spettacolo, e magari sarà proprio la Lega, un bel giorno, a pronunciare il fatidico «basta». Il Cavaliere incerto A parole lui va come un treno, «il 14 contiamo di avere la fiducia, altrimenti andremo al Colle per chiedere le elezioni», salvo poi frenare, «andare alle elezioni in questo momento è da irresponsabili, speriamo di andare avanti, io sono ottimista». Annuncia per martedì prossimo la riforma della Giustizia e, se non l'avesse già promessa innumerevoli volte, verrebbe da pensare che cerca (politicamente, si capisce) la bella morte sul campo, falciato mentre sventola la sua bandiera. Però poi, udito il suo discorso nell'ufficio di presidenza Pdl, molti fedelissimi ammettono: «Non abbiamo ben capito che cosa intende fare realmente». Rompere? Abbozzare? Ritirarsi? Contrattaccare? Boh. Movimenti «futuristi» Anche qui corrono voci, secondo cui i finiani potrebbero articolare a giorni una nuova proposta, in pratica chiedendo una diversa legge elettorale e più apertura nei confronti delle forze sociali. In quel caso, aprirebbero uno spiraglio al premier. Dal campo tremontiano si fa notare che il Piano per il Sud di cui oggi discute il Consiglio dei ministri già viene incontro a molte richieste Fli sull'economia. «Il nocciolo vero è che non possiamo trattare», allarga le braccia un gerarca Pdl, «finché loro continuano a farci la guerriglia nel Parlamento: non ci fidiamo». Sipario sulla Carfagna Due ore di colloquio col premier, poi con Bondi e Verdini. La ministra rientra nei ranghi ringraziando Silvio per aver obbligato i vertici del Pdl campano (Cosentino) a darle retta. Si delinea la sua candidatura a sindaco di Napoli. «Tutto risolto», volta pagina il Cavaliere. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/377525/ Titolo: UGO MAGRI Porcellum e rimpasto Il premier ora tratta Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2010, 06:36:09 pm Politica
02/12/2010 - IL CASO Porcellum e rimpasto Il premier ora tratta Il Cavaliere offre ai finiani una modifica della legge elettorale UGO MAGRI ROMA Le voci di trattativa segreta fanno tale e tanto chiasso che il segreto, ormai, è solo quello di Pulcinella. Si racconta che Gianni Letta abbia finalmente ottenuto da Berlusconi un via libera ai colloqui coi «futuristi». Che il Cavaliere stia addivenendo a più miti consigli perché l'offensiva congiunta del Fli e dell'Udc lo pone con le spalle al muro, dunque avrebbe preso paura. Si aggiunge che nei panni alati di Ermes, il messaggero divino, starebbe facendo la spola Angelino Alfano, ministro Guardasigilli. Si specifica che compito dei negoziatori sarebbe quello di soppesare che cosa vuole e non vuole Fini in cambio di un'astensione tra 12 giorni, quando si voterà la fiducia al Senato e alla Camera la sfiducia. La coppia Alfano-Letta sarebbe specialmente incaricata di sondare il presidente della Camera su come mettere mano al «Porcellum» (che è la legge elettorale vigente), perché lì starebbe a quanto pare la chiave dell'enigma, ovvero la madre di tutte le questioni: tanto Fini quanto Casini vogliono togliere il «premio» che garantisce una maggioranza di deputati a chi prende anche solo, per dire, un 25 per cento dei voti. Ma mentre Pierfurby col Cavaliere non tratta (almeno per ora), e addirittura brucia sul tempo Gianfranco annunciando una mozione centrista contro il governo, viceversa alcuni finiani sarebbero pronti ad accettare una soglia, uno sbarramento piazzato intorno al 45 per cento, in modo che Pdl e Lega da soli non ce la facciano a conquistare il premio, infischiandosene di tutti gli altri. Cos'altro trasmette il tam-tam di queste ore? Si dà per certo che Berlusconi vorrebbe una soglia più bassa, non del 45 ma del 40 per cento, anzi meglio ancora del 35, superata la quale scatterebbe il famoso premio. E vista in quest'ottica non sarebbe una trattativa così impossibile poiché sui numeri ci si intende, come sempre avviene nei suk o nel commercio dei cammelli; molto più difficile invece è accordarsi sulle poltrone, in quanto si dà per scontato che da cosa nascerebbe cosa, una volta gettate le basi di un nuovo patto per la legislatura a quel punto l'intero governo andrebbe ristrutturato, con Berlusconi inamovibile a Palazzo Chigi ma gran girandola di ministri i quali (quelli in carica) sono preoccupatissimi, già circolano foglietti con nuovi organigrammi tipo via questo e via quello, agli Esteri ci mettiamo Casini mentre Frattini lo spediamo al partito dove farebbe il coordinatore unico Pdl, Matteoli a casa e al suo posto un finiano... Questo è quanto circola nel Palazzo. Resta da capire che cosa ci sia di autentico, di credibile. Fonti bene addentro la mettono giù così: non è tutta invenzione, ma nemmeno bisogna prendere le chiacchiere come oro colato. Parlare di trattativa con tutti i crismi sarebbe eccessivo; c'è «qualcuno che si vede in questi giorni con qualcun altro», e naturalmente «si scambiano delle idee sui potenziali scenari». Risultati concreti al momento non ve ne sono. Personaggi molto autorevoli dubitano che possano mai arrivare. Però Fini ha una sua convenienza, e Berlusconi pure. Il primo tiene buone le sue «colombe» (sono 4 o 5) mostrandosi laicamente aperto a eventuali sviluppi; il secondo, idem. Siamo insomma nel regno dei giochi tattici, e chissà quanti ne vedremo di qui al 14, giorno del giudizio. Chi davvero si muove nella penombra, e non fa parlare di sé, sono i protagonisti del «calciomercato», il tira-e-molla per convincere un pugno di deputati incerti. Il Cavaliere resta convinto che, se riuscisse a ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento, anche per un voto soltanto, avrebbe il coltello dalla parte del manico. Casomai non dovesse farcela, la sua posizione (confida un gerarca) «si guasterebbe assai». Da tener d'occhio dunque la pattuglia di deputati liberal-democratici e autonomisti. E' su di loro che si stanno consumando i giochi. Quelli veri. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378324/ Titolo: UGO MAGRI "Evitare la conta". Letta in campo per uscire dalla crisi Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2010, 12:26:16 am Politica
04/12/2010 - GOVERNO L'EX MAGGIORANZA IN TILT "Evitare la conta". Letta in campo per uscire dalla crisi Il sottosegretario cerca una mediazione in vista della fiducia ma anche nel Fli c'è chi teme di diventare subalterno all'Udc UGO MAGRI ROMA Arriva liberatorio il gong della domenica che permetterà ai pugili di tirare il fiato e, forse, di riordinare le idee. Tanto Berlusconi quanto Fini sono provati, l'ultimo scambio di colpi ha il sapore della scazzottata più che di un match per il titolo dei massimi. Nessuno dei due trova il colpo del kappaò, anzi più minacciano sfracelli e più nascondono la propria debolezza. Lo sanno? Certo che lo sanno. E a questo barlume di consapevolezza si aggrappano quanti (cominciando da Gianni Letta) le proveranno tutte nelle prossime ore, testardamente, per scongiurare che il voto di fiducia del 14 dicembre si trasformi nella rissa finale davanti agli occhi di un Paese allibito. Il Cavaliere non è saldo sulle gambe, anzi si regge a malapena. Per quante cortine fumogene sparga il fidatissimo Verdini, una maggioranza alla Camera lui non ce l'ha. A fronte dei famosi 317 di Bocchino, le sue truppe per ora si fermano sulla soglia dei 310 deputati. Berlusconi ne deve «pescare» perlomeno 4 tra le fila dell'opposizione. Ci aveva già provato senza successo a fine settembre, non si capisce perché dovrebbe farcela adesso. Il capogruppo Pdl Gasparri, che osserva gli spostamenti di truppe dalla roccaforte di Palazzo Madama, esorta alla calma: «Il Parlamento è molto più complicato di come lo fate voi giornalisti», ammonisce, «ci sono vaste zone grigie, gente che viene e non viene, calcoli di natura personale... E i nomi di quelli in bilico li scoprirete all'ultimo». Ma, per l'appunto, di sorpresa si tratterebbe. A bocce ferme, Silvio se ne va a casa. Per non dire che «Wikileaks» continua a penzolargli sul capo come una lama affilata: è opinione corrente nell'entourage che, purtroppo per lui, l'onda delle rivelazioni non sia finita qui. Però nemmeno Fini se la passa bene. Perché, tornando sui numeri, gli mancano quelli del Senato. A esorcizzare la prospettiva di elezioni non serve strattonare Napolitano che dovrà muoversi (in caso di crisi) lungo i binari fissati dalla Costituzione. E se una maggioranza alternativa non si materializza in fretta, Fini rischia di farsi risucchiare suo malgrado nell'orbita elettorale di Casini, che del Centro è il leader. Col risultato che, da co-fondatore del primo partito italiano, il presidente della Camera dovrebbe accontentarsi di fare da numero due del Terzo Polo. Politicamente parlando, lo stuzzica Osvaldo Napoli, «nulla di cui potersi pavoneggiare». Non a caso il leader futurista voleva tenersi le mani libere fino all'ultimo, anzi aveva accettato la proposta del capogruppo Pdl Cicchitto («colomba» dai modi burberi) di sospendere i lavori della Camera fino al giorno 13: una tregua non dichiarata per consentire agli ambasciatori di fare la spola. Sennonché Pierfurby (cioè Casini) gli ha tagliato la via annunciando la mozione di sfiducia Udc, e costringendo dunque Fini a fare altrettanto. Con l'inevitabile reazione di Berlusconi, che molti più aggettivi avrebbe speso se non avesse letto davanti alle telecamere un testo limato dai suoi consiglieri e previo colloquio con Letta. Proprio Letta, nonostante le carte americane che gli complicano i rapporti col Cavaliere, non si rassegna a un esito apocalittico. Se c'è un filo da tessere, si può star certi che lo farà poiché la situazione finanziaria è troppo grave (non solo nel suo giudizio) per affidare la soluzione della crisi politica a una conta irrazionale, dove determinanti potrebbero risultare alla fine certe assenze dettate da calcoli individuali: «un'assoluta follia», riferisce il pensiero di Letta chi ha modo di sentirlo. La sua speranza è fermare il conto alla rovescia, impiegare i giorni che restano per intavolare una trattativa su cui, dietro le quinte, si continua a ragionare, molto seriamente. E non arrivare nemmeno al voto di fiducia del 14 perché «la soluzione va trovata prima»: dopo, è la tesi del Mediatore, sarebbe troppo tardi per sottrarre l'Italia dalle grinfie della speculazione internazionale. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378614/ Titolo: UGO MAGRI "Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2010, 03:44:51 pm 05/12/2010 - RETROSCENA
"Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere Febbrili contatti per «conquistare» una maggioranza UGO MAGRI ROMA Dunque pare confermato: i numeri per tenere in vita il governo al momento non ci sono. Quanti sostenevano il contrario come un dogma incontestabile ora si mostrano più prudenti. Al massimo sperano, confidano, formulano l'auspicio che i voti mancanti saltino fuori di qui al giorno della fiducia... Il primo a non fidarsi affatto risulta proprio Berlusconi. Con l'atteggiamento di chi «adesso me ne occupo io perché altrimenti finisce male», il Cavaliere ha avocato a sé tutti i contatti con quei deputati di opposizione che martedì 14 dicembre, gli hanno suggerito Verdini e la Santanché, potrebbero saltare il fosso. Tra l'altro con il primo dei due Berlusconi è imbufalito assai per quel «ce ne freghiamo» riferito a Napolitano, offeso sul piano personale. Non c'era momento meno indicato per indisporre l'arbitro della crisi: quello ti fischia contro un rigore e tu te ne vai a casa. Berlusconi non ama l'uomo del Colle, però lo teme, e perfino a lui l'uscita di Verdini è sembrata un fuor d'opera. Dunque, siamo adesso al «ghe pensi mi». Weekend di contatti che nell'entourage certe gole profonde confermano e di certo Silvio negherà, poiché ufficialmente lui non si abbassa a corteggiare i «peones» e in effetti sono faccende vischiose (due mesi fa Razzi, deputato Idv, sostenne che qualcuno aveva promesso di pagargli il mutuo di casa se avesse cambiato sponda). Berlusconi si attaccherà personalmente al telefono, come già fece per Ruby con il questore di Milano, perché qui c'è da decidere in fretta: un conto è se lui può sperare di farcela, altra cosa sarebbe se dai sondaggi il destino risultasse segnato, e lui stesso lo toccasse con mano. Nel qual caso prenderebbe forza il partito di quanti, nel Pdl, scongiurano il Cavaliere di trattare un armistizio prima del patatrac. E' un partito che lievita di ora in ora e si richiama alla saggio mandarino cinese, Gianni Letta. Che cosa sostengono queste «colombe»? Non certo di sostituire il premier con Tremonti oppure con Letta medesimo (sebbene qualcuno in cuor suo ne sarebbe lieto). Berlusconi deve restare premier. Su tutto il resto si può intavolare qualche ragionamento. Fini chiede una nuova agenda economica, di riscrivere la legge elettorale, ovviamente di mettere mano alla struttura del governo per far posto ai centristi Udc. La controproposta dovrebbe essere, secondo i fautori del negoziato: parliamone e vediamo. I conti pubblici non consentono margini di manovra, figurarsi come reagirebbe Tremonti! Però qualche forma di patto sociale potrebbe risultare di aiuto, e comunque darebbe una soddisfazione d'immagine ai futuristi. Quanto alla legge elettorale, cambiare il «Porcellum» non è tabù, una cautissima disponibilità viene manifestata da Cicchitto, che mai parla a vanvera. Tutto sta a capirsi: Berlusconi forse accetterebbe di mettere un tetto al premio di maggioranza, purché questo scatti quando una coalizione supera il 35 per cento, al massimo il 40, non certo il 45 che chiede Fini. Perché in quel caso sarebbe scoperto il disegno di stravolgere il bipolarismo a danno dell'asse tra Pdl e Lega. Ma l'ostacolo più serio alla trattativa è rappresentato dal rimpasto. Ristrutturare il governo onde far posto all'Udc vorrebbe dire, per Berlusconi, rimettere mano agli equilibri del suo partito. Dove si scatenerebbe l'inferno. La componente ex-An verrebbe penalizzata, tra La Russa e Matteoli uno dei due dovrebbe lasciare necessariamente il governo, e non sarebbe un addio indolore. Chi tra i ministri teme di trovarsi a piedi grida, all'unisono col premier: o la fiducia o le elezioni. Per cui, contrapposto al fronte trattativista, si va coagulando l'esercito «guerrafondaio». Che ieri ha messo a segno un punto per merito di Rotondi: l'area post-dc rappresenta in Senato una decina di voti, sufficienti a impedire «qualunque governo di centrodestra che non abbia come premier Berlusconi». Il quale, inutile dire, benedice l'iniziativa. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378683/ Titolo: UGO MAGRI Ma Cicchitto apre uno spiraglio "Cambiamo la legge elettorale" Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2010, 09:19:09 am Politica
06/12/2010 - INTERVISTA Ma Cicchitto apre uno spiraglio "Cambiamo la legge elettorale" Messaggio a Fli e Udc: altro che passo indietro, serve un Berlusconi-bis UGO MAGRI ROMA Nella ornitologia del Pdl, di cui lei Cicchitto è presidente dei deputati, dobbiamo considerarla «falco» oppure «colomba»? «Né l'una né l'altra cosa. Io mi iscrivo alla vecchia scuola del realismo politico». Le sembra realistica una tregua in extremis tra quei due, Berlusconi e Fini? «Difficilissima, non impossibile. Ma a condizioni molto diverse da quelle che indicano i terzopolisti». Chi sarebbero i terzopolisti? «Fini e Casini. I quali, ritenendosi furbissimi, si sono cacciati in un vicolo cieco». Quale vicolo? Ci faccia capire. «Fini aveva detto che il 13 dicembre avrebbe deciso se presentare o no una mozione di sfiducia. Invece, d'accordo con Casini, ha bruciato i tempi e l'ha presentata di corsa». Che cambia, mi scusi? A chi non vive la politica sembrano tutti dettagli procedurali per addetti ai lavori. «Anticipare i tempi implica una scelta netta di rottura, e anche un cambio di collocazione politica e anche di alleati. Nel senso che la loro mozione sarà votata anche da Pd e Idv. Per chi viene dalla storia della destra, ed è stato eletto nelle liste su cui era scritto Berlusconi presidente, un bel salto nel buio. Se io fossi in loro mi augurerei che Berlusconi ce la facesse ugualmente, magari di strettissima misura». Lei non vorrà scherzare. Machiavellici fino a tal punto? «Sì, perché altrimenti andremmo diritti a elezioni anticipate». Anziché le elezioni, potrebbe nascere un governo tecnico... «Ma via! Sarebbe tecnico solo con una presenza di Pdl e Lega. Invece senza di noi diventerebbe politico e a elevato livello di provocazione, che qualunque persona dotata di equilibrio si guarderebbe bene dallo sponsorizzare. Lei s'immagini che cosa scatenerebbe nel Paese un eventuale governo Fini-D'Alema, con l'intermediazione di Casini...». Però qui nessuno sta parlando di governo Fini-D'Alema. «Appunto. Dopo aver coperto Berlusconi di contumelie, i terzopolisti gli chiedono adesso non una ma due cortesie. Di togliere spontaneamente il disturbo prima del dibattito in Parlamento. E di dar vita a un governo presieduto, per non far nomi, da Letta, o da Tremonti, o da Alfano». Quindi Silvio si fa da parte e al suo posto va uno dei tre... «Non funziona. Il vero obiettivo sarebbe, con tutta chiarezza, quello di far fuori Berlusconi. E nel Pdl non si presterebbe nessuno». Quindi l'unica alternativa alle urne rimane un Berlusconi-bis... «Il governo Berlusconi, che faccia due passi avanti, altro che passo indietro. Il primo sull'economia, visto che qui la situazione peggiora: si potrebbe recepire quel tanto di convergenza che è stata realizzata da Confindustria e sindacati, cercando di coniugare insieme rigore e crescita. In questo senso si sono già mossi Berlusconi, Fitto e Tremonti con il Piano per il Sud». L'altro passo? «Riprendere il filo delle riforme istituzionali. Superare il bicameralismo, più poteri al premier, meno parlamentari. Il tutto collegato a un'eventuale riflessione sulla legge elettorale». Quindi lei conferma che, pur di far pace, il sistema di voto non sarebbe più un tabù... «Il punto discriminante è mantenere il premio di maggioranza. Perché significa bipolarismo e significa anche possibilità per i cittadini di scegliersi il premier. Ma viste come sono messe le cose, Fini e Casini sarebbero disposti a rinunciare al loro attuale antiberlusconismo?». Già. E Berlusconi con tutto questo sarebbe d'accordo? «E' chiaramente una domanda che dovreste rivolgere a lui. Ma prima devono rispondere quegli altri due». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378784/ Titolo: UGO MAGRI I finiani trattano e il Terzo Polo rischia già nella culla Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2010, 07:19:29 pm 09/12/2010 - RETROSCENA
I finiani trattano e il Terzo Polo rischia già nella culla Intanto il premier incassa oggi una visita da Bertone UGO MAGRI ROMA Bocchino è un combattente, dal suo leader ha ricevuto la consegna del silenzio. Quindi neppure sotto tortura ammetterebbe l’incontro dell’altro ieri col Cavaliere, quando nulla è stato deciso; eppure già il fatto stesso che abbiano parlamentato mette a nudo la debolezza di entrambi, ma particolarmente di Fini, l’estrema difficoltà di un passaggio che martedì prossimo lo spingerà per sempre fuori del centrodestra (se gli ex-camerati del Fli voteranno la sfiducia al governo insieme con gli ex-compagni del Pci) o per sempre con Berlusconi (se perderanno l’occasione di mandarlo a casa). Si affacciano in queste ore formule equivoche tipo «appoggio esterno» del Fli al governo, che erano tipiche della Prima Repubblica, anzi della sua fase ultima e decadente: sono indice a loro volta del dramma finiano, testimoniano il tentativo faticoso di sottrarsi alla scelta inventando in extremis una terza via provvisoria... A leggere sui giornali dell’incontro «segreto», Casini non è rimasto contento. Chi parla con Rao, il più sveglio fra i suoi interpreti, percepisce un freddo distacco, «i conti si faranno il 14 in Parlamento, adesso è presto per tirare le somme», calma e sangue freddo. Se Fini confermerà l’intenzione di rompere con Berlusconi, il Terzo Polo rimarrà per i centristi un progetto da costruire insieme. Qualora viceversa i «futuristi» tornassero all’ovile con la coda tra le gambe, beh, mai più contare su di loro poiché un «tradimento» (quello del 2008, quando Casini fu espulso dal centrodestra con l’okay di Fini) può essere perdonato, ma due sarebbero troppi pure per un cattolico abituato a porgere l’altra guancia. A proposito: pur di dare una mano a Gianfranco, Pier ha disatteso le indicazioni ecclesiastiche, in special modo quelle del cardinale Ruini, pagando insomma un prezzo alla sua lealtà politica. Guarda combinazione, proprio oggi all’ora di pranzo il Cavaliere incontrerà il Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, il quale gli presenterà dieci nuovi porporati di fresca nomina: un segno molto netto della benevolenza papale. Dunque, il Terzo polo rischia la morte prima ancora di nascere. Per Fini, equivarrebbe a perdere l’ultimo treno per la fuga da Berlusconia. Balzarci sopra, tuttavia, implica il rischio di cadere tra i binari. Cresce la sensazione che Silvio possa farcela comunque, per un pugno di voti alla Camera e molti di più in Senato. Oggi è annunciato l’«outing» di tre, quattro, forse cinque deputati di opposizione che annuncerebbero in conferenza stampa l’appoggio al governo. Secondo una voce insistente, Berlusconi potrebbe pescare un deputato addirittura nelle file del partito democratico. Nel qual caso la conta girerebbe a favore del premier. Rendendo generosa ma vana (come per i Seicento di Balaklava) la carica dei finiani. Già, perché un pugno di deputati futuristi, più l’intero gruppo o quasi dei senatori, avevano sottoscritto la mozione di sfiducia al governo sul presupposto che mai l’avrebbero votata in quanto Berlusconi si sarebbe dimesso prima del 14, aprendo la «fase nuova» chiesta da Fini. Sennonché il Cavaliere non molla di un’unghia, su tutto il resto transige tranne che su se stesso, a dimettersi non ci pensa nemmeno, specie ora che la compravendita genera profitti: e questo l’altro ieri comunicò a Bocchino. L’ultima chance di crisi pilotata con reincarico (entro 72 ore, si sbilancia a immaginare il capogruppo Fli, usurpando secondo Napoli le prerogative del Quirinale) è svanita con l’intervista di Fini l’altra sera a «Ballarò»: «Visto?», pare abbia gridato Berlusconi, «appena io accettassi di dimettermi quello mi darebbe il colpo di grazia, altro che reincarico». Il risultato? Le «colombe» finiane non vogliono sacrificarsi inutilmente, se trattativa dev’esserci vogliono condurla loro. Ecco dunque Moffa alzare la testa, contraddire Fini, annunciare che il premier non deve per forza dimettersi. Plaude dalla sponda berlusconiana Augello, si compiace Gasparri, e a sera il meteorologo Bonaiuti dirama il suo bollettino: «Venti forti di bonaccia, ma la situazione permane altamente variabile». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/379193/ Titolo: UGO MAGRI Siglato il patto Casini-Fini-Rutelli Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2010, 03:49:29 pm Politica
16/12/2010 - LA GIORNATA Siglato il patto Casini-Fini-Rutelli Nasce subito il Polo della Nazione Via al coordinamento di oltre cento parlamentari delusi. Scontro Bondi-presidente della Camera sulla sfiducia UGO MAGRI ROMA Si annuncia un mesetto tranquillo perché chi ha avuto ha avuto, e adesso tutti debbono molto riflettere. Berlusconi si dedicherà allo shopping (non quello natalizio) che buoni frutti gli ha già dato, però non basta a governare l’Italia. L’opposizione profitterà della pausa per darsi una strategia in vista di elezioni sempre dietro l’angolo. E il «terzo polo» muoverà i primi passi lungo la strada che addita Casini, leader sul campo di questo nuovo soggetto politico: nessuna resa al Cavaliere, sono le sue direttive, ma basta per ora scontri all’arma bianca con le truppe berlusconiane. Difatti l’esame alla Camera del decreto «munnezza», su cui erano annunciati sfracelli, per ora fila via liscio. Il governo ha ceduto a qualche richiesta, su altre si è impuntato senza farsi battere, oggi la controprova. Fini in sordina Dopo mesi, non è al centro del ring. Ha provato a trascinarcelo di forza Bondi con una lettera al Capo dello Stato, ma il presidente della Camera ha risposto con una nota del portavoce Alfano: falso che la sfiducia a Bondi sia stata messa all’ordine dei lavori per ritorsione, trattavasi di decisione già presa da tempo. Fini incassa con dignità le ironie del premier che fa il gradasso (Gianfranco «dice che non ho vinto? Ognuno si consola come può... Dovrebbe dimettersi da presidente della Camera? La scelta attiene alla sua dignità»), e compie un atto di realismo accettando che al volante si metta l’amico Pier Ferdinando. Il quale non ci pensa due volte. Lo slalom di Casini Promuove una riunione urgente dei terzopolisti, che nel pomeriggio si infilano all’Hotel Minerva: da Fini a Rutelli, dai liberal-democratici ai repubblicani, dagli autonomisti di Lombardo al battitore libero Guzzanti. Pomposamente qualcuno declama la nuova ragione sociale, «Polo della Nazione» pare vorrà chiamarsi, ma non è questo il punto. Casini vuole dare piuttosto un’immagine di compattezza poiché, spiega il colto Buttiglione citando Franklin, «o stiamo tutti insieme o ci impiccano uno per uno». Uniti anzitutto per far passare la nottata, col Cavaliere-vampiro a caccia di deputati. E poi per mettere tra parentesi gli eccessi di futurismo, di improvvisazione, di violenza verbale. Di rientrare nel governo non se ne parla, a ritornare sotto padrone nessuno ci pensa; tuttavia bisogna fare i conti con la Chiesa, dove eminenti porporati sollecitano prudenza. Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, segnala come «ripetutamente» gli italiani si siano espressi «con un desiderio di governabilità» cui corrispondere da parte di tutti. E pure se non fossero i vescovi a pretendere prudenza, Casini stesso la praticherebbe perché nuove elezioni restituirebbero il pallino al Cavaliere, meglio andarci piano con gli assalti frontali: se falliscono è un male, ma se riescono è perfino peggio... Insomma, la parola magica è «responsabilità». I terzopolisti sono «pronti a confrontarsi su provvedimenti che siano nell’interesse generale». Impegno collettivo a evitare la Babele, prima si concorda la linea poi la si comunica: perfino nelle invettive al premier i «futuristi», d’ora in avanti, dovranno darsi una regola. Silvio prende fiato E si pavoneggia in Europa, dove sbarca oggi per il Consiglio europeo sbandierando il «Financial Times» che celebra il suo successo. Ammette di averla scampata bella: «Abbiamo sconfitto una manovra di Palazzo», anzi «il ribaltone». E adesso? «Allargherò la maggioranza. No, non all’Udc ma a singoli parlamentari che militano in partiti di cui non condividono la linea. Abbiamo diversi posti liberi nel governo», annuncia senza complessi il premier, «e già in diversi mi hanno offerto la loro collaborazione...». Sarà vero? Parrebbe di sì, che in effetti il rischio del Cavaliere sia di imbarcare troppa gente, compresa quella sbagliata, capace solo di creargli guai. «Lasciamo sedimentare questa vittoria», consiglia prudenza Quagliariello. Ma Berlusconi vuol battere il ferro, finché scotta.Scontro verbale a Strasburgo tra le europarlamentari Sonia Alfano (Idv) e Licia Ronzulli (Pdl). E così succede che anche all’Europarlamento sbarchi la parola «vajassa», termine tipicamente partenopeo, già sdoganato dal ministro Carfagna. È in corso la riunione plenaria e l’esponente del partito di Di Pietro prende la parola in dichiarazione di voto. E ai colleghi europei riferisce che ieri in Italia è stata «festeggiata la prima giornata della legalizzazione della corruzione» dopo che «il corruttore Berlusconi» aveva comprato il voto di alcuni parlamentari. Alfano cita anche i casi Mills e Mondadori e fa riferimento alle «costanti violazioni della Carta da parte del governo italiano», riferendosi «all’accordo Italia-Libia» e alla «legge bavaglio». A quel punto Licia Ronzulli tenta di interromperla, dandole sulla voce, chiedendole di tacere, di «non raccontare falsità e di non usare le dichiarazioni di voto per raccontare menzogne al Parlamento europeo». Ed è allora che l’esponete Idv dice: «Ci sono vajasse anche al Parlamento europeo» e si rivolge al presidente di turno che ammonisce la Ronzulli e chiede di far concludere l’intervento. Botta e risposta in aula, poi in un comunicato Sonia Alfano definirà «inqualificabile» il comportamento della Ronzulli, e la accuserà di averla minacciata in quanto avrebbe detto «ti spacco la faccia». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380166/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi: il governo continuerà ... Inserito da: Admin - Dicembre 30, 2010, 08:56:22 pm Politica
30/12/2010 - IL CASO Berlusconi: il governo continuerà «Tra i parlamentari finiani c'è un grande disagio, molti torneranno da noi» UGO MAGRI ROMA E’ come se Bossi non avesse aperto bocca: il Cavaliere galoppa per la sua strada senza nemmeno fermarsi ad ascoltare l’ultimo scudiero fedele. Si collega per telefono a una manifestazione Pdl a San Vitaliano, praticamente Napoli, e ripete parola per parola il «numero» della conferenza di fine anno, quando in diretta tivù aveva sostenuto che la «munnezza» è ancora in strada perché qualche comunista gli rema contro, che la truppa finiana si va sfaldando giorno dopo giorno, che l’Italia non potrebbe desiderare un governo migliore del suo. E la «palude romana» di cui parla Bossi addirittura quale mandante delle bombe a Gemonio? E l’allarme della Lega per i numeri che non ci sono, chi approverà le riforme in Parlamento? Berlusconi gira la testa dall’altra parte. Fa appello all’ottimismo anche perché i pessimisti, sostiene, non combinano niente di buono. Guarda nella sfera di cristallo, il nostro premier, e vede un 2011 ricco di soddisfazioni. Anzi, pure il 2012 e il 2013 si annunciano promettenti: «Abbiamo lavorato bene e credo che il governo potrà lavorare altrettanto bene fino al termine della legislatura». Sull’emergenza rifiuti garantisce che scenderà in campo personalmente «per risolvere il problema in pochi mesi» (mentre lui ne parla al telefono da Arcore, a Palazzo Chigi c’è Letta che cerca di inventarsi una soluzione). Resta da sistemare la faccenda dei 3 voti di maggioranza, che alla Camera (riconosce Berlusconi) non sono affatto sufficienti. Però insiste che «diversi parlamentari di Fini si trovano in una condizione di assoluto disagio. Sono saliti su un convoglio che va verso sinistra, un po’ come prendere un treno per Parigi e ritrovarsi a Istanbul, per cui tra loro c’è una certa delusione». Spera di riportarne qualcuno all’ovile, e non ne fa troppo mistero, «molti torneranno nel Pdl». Quanti? Lo scopriremo a metà gennaio. Per ingannare il tempo, tra i pochi colonnelli berlusconiani rimasti su piazza si favoleggia sul ritorno di Casini, che al momento se ne sta sotto una palma delle Maldive, in veste di soccorritore. Nessuno si illude più che l’astuto Pier voglia entrare nel governo di Berlusconi: la nuova vulgata è che, per non deludere i Sacri Palazzi vaticani, il leader Udc acconcerebbe il partito a un appoggio esterno. In pratica i centristi voterebbero tutte le leggi più importanti, limitandosi a bastonare qualche provvedimento di minor conto. Si citano a sostegno certe dichiarazioni di Cesa e del professor Buttiglione, i quali lasciano aperto l’uscio in cambio di leggi per la famiglia. Sennonché quelle leggi costano. Giusto ieri Tremonti (che al pari di Bossi guarda con diffidenza ai maneggi politici della Capitale) ha spedito una lunghissima circolare ai ministri per rammentare che lo Stato è povero, per cui nessuno avanzi strane richieste, anzi se possibile bisognerebbe tirare la cinghia di più... Allarga le braccia desolato Gasparri, capogruppo Pdl a Palazzo Madama, che pure sarebbe con Alfano, Cicchitto e Quagliariello tra i più convinti fautori della mano tesa a Casini: «Le esigenze politiche sono chiare, poi ci sono i vincoli europei». In pratica, non ci sono soldi. Da segnalare lo strano caso del sondaggio su Bondi. «Dovrebbe dimettersi da ministro?», era il quesito apparso sui siti dei Club della libertà che fanno capo a Valducci. Dopo poche ore trionfavano i sì. Poi dev’essere successo qualcosa, perché la bilancia s’è piegata d’improvviso dall’altra parte, e Bondi vince col 75 per cento. Ma scoprire che il 25 per cento dei «berluscones» lo dimetterebbe volentieri è già una notizia. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/381818/ Titolo: UGO MAGRI UNITA' D'ITALIA, Berlusconi e i ministri restano a casa Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:45:59 pm Politica
08/01/2011 - UNITA' D'ITALIA, GRANDI ASSENZE Berlusconi e i ministri restano a casa L’esecutivo era rappresentato dall’onnipresente Gianni Letta UGO MAGRI ROMA Con il governo appeso a tre voti, figurarsi se Berlusconi farà il gesto ardito di contrariare Bossi, sgomitando per mostrarsi in prima fila alle celebrazioni dell’Unità d’Italia. E difatti ieri, a Reggio Emilia, il Cavaliere s’è ben guardato perfino dall’inviare un messaggio, una lettera, una delegazione in sua vece. A parte l’onnipresente Letta, che incarna il galateo della Repubblica, è come se i ministri si fossero passati la voce: meglio snobbare l’evento. Alla festa del Tricolore non se ne è vista traccia. Alcuni ministri in privato si giustificano, «l’invito del Quirinale era di routine, nessuno ha fatto sapere che Napolitano ci teneva», quasi che fosse necessaria una speciale supplica del Colle. Tutte scuse, rispondono da lassù. Il vero nodo politico del Centocinquantenario che non decolla sta nella Lega. Sempre più padrona del campo, padrona anche delle idee. Ma c’è dell’altro che motiva il disinteresse del premier, perennemente distratto quando Bondi e La Russa (con quel pizzetto risorgimentale che molto richiama Bixio) hanno posto il problema, mesi fa persino in Consiglio dei ministri, però con scarso successo. La prima spiegazione suggerita dai consiglieri del Principe è quasi antropologica. Berlusconi, imprenditore brianzolo votato al «fare», aborre l’«ipocrisia» delle ricorrenze poiché ritiene che rimboccarsi le maniche giovi all’unità d’Italia più di mille pompose orazioni. Completano il pensiero i soliti detrattori, segnalando che forse è meglio così, perché mai Silvio si è appassionato di storia patria. E quando ha ritenuto di cimentarsi (con l’eccezione del discorso alto e nobile il 25 aprile 2009), dalla sua bocca sono usciti simpatici lapsus tipo «Romolo e Remolo», oppure gaffes involontarie sul papà dei sette fratelli Cervi, che lui sarebbe andato volentieri a trovare se non fosse morto 30 anni prima come ben sa Napolitano, il quale ieri ha reso visita alla casa-museo. Non deve fare scandalo. La ricca bibliografia sul Cavaliere concorda che il segreto della sua leadership sta proprio nel «pensiero debole». Berlusconi guarda ostentatamente avanti, e considera il passato come un fardello, una malinconia. Infine c’è l’ultima spiegazione, che riporta alla battaglia politica e al complicato ménage con Bossi: il nostro premier ritiene che la maniera più stolta per frenare la Lega è quella di farci a zuccate. La tattica più astuta consiste viceversa nell’ignorarne le «mattane», specie quando evocano Roma Ladrona, il separatismo e, dio non voglia, i fucili. Come con i pargoli maleducati, «bisogna far finta di nulla». E’ un precetto che i gerarchi berlusconiani confessano di avere sorbito decine di volte: «Più noi ribattiamo a Bossi, più facciamo il suo gioco». Sulle celebrazioni del Centocinquantenario, che s’intrecciano pericolosamente con l’ultimo miglio del federalismo fiscale, il Cavaliere ha deciso: la Lega dica quello che vuole, «noi non reagiremo». Non risulta che si sia speso per allargare il budget delle manifestazioni pubbliche. Solo l’impegno di La Russa e Bonaiuti ha permesso di mandare in onda uno spot targato presidenza del Consiglio. Nè pare che Berlusconi abbia insistito con Bossi perché intervenga personalmente a qualche evento celebrativo, se non altro per far contento «il vecchio del Colle». E d’altra parte, osserva un consigliere accorto come Quagliariello, «tutto sommato la Lega sta dimostrando una capacità di tenuta, come forza di governo, che molti mai avrebbero sospettato. Bossi contribuisce a tenere unito il Paese in una fase difficile. Pensiamo da dove arriva, e quanta strada ha fatto, prima di pretendere che intoni l’Inno di Mameli...». http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/382788/ Titolo: UGO MAGRI Il premier alla battaglia finale. E spunta l'ipotesi dimissioni Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2011, 10:03:57 pm Politica
17/01/2011 - IL RETROSCENA Il premier alla battaglia finale. E spunta l'ipotesi dimissioni Potrebbe lasciare ed evitare il voto indicando un successore appoggiato dall'Udc di Casini UGO MAGRI ROMA Il mondo berlusconiano è in preda al panico. Pochi sanno che cosa c’è davvero nelle 400 pagine inviate dai magistrati alla Camera, ma chi vi ha dato uno sguardo non trova parole per raccontare. Lo stesso premier ha trascorso l’altra notte sfogliando le carte e ne è rimasto «profondamente sconvolto». Per il linguaggio crudo, da fare arrossire qualche scaricatore di porto, con cui le ragazze intercettate descrivono i festini di Arcore. E per i giudizi spietati, gonfi di sprezzo, che mandano in briciole il suo ego, che trasformano il Cavaliere umanamente in un mostro. A questo punto l’aspetto penale verrà dopo. Non per nulla gli avvocati Longo e Ghedini nemmeno sanno dire così, su due piedi, se il loro cliente dovrà appellarsi a qualche cavillo legale per schivare le domande della più terribile tra le inquisitrici, Ilda Boccassini. Prima della difesa legale, per Berlusconi viene quella urgente, urlata, disperata, della propria dignità di politico, di imprenditore, di padre e di nonno. Da domani sapremo quali orrendi segreti stanno nel plico su cui, ironia del destino, metterà la sua firma Fini da presidente della Camera. Ma soprattutto misureremo le reazioni collettive di indifferenza o di sdegno, e dunque le chances del Cavaliere di sopravvivere come in altri frangenti gli era miracolosamente riuscito. Una parte dei suoi ci crede ancora. Da Micciché alla Gelmini, da Bondi a Sacconi, da Cicchitto a Frattini, tutti si dichiarano pronti a immolarsi nell’ultima resistenza. Lo seguirebbero perfino all’inferno. Eppure, proprio nella guardia scelta berlusconiana si diffonde la sensazione di una battaglia inutile, senza speranza, senza la minima prospettiva strategica. Perché nessuno crede seriamente che basteranno trovate mediatiche come quella di ieri, l’annuncio nel videomessaggio dell’anima gemella, per arginare una marea di fango. In altri momento sarebbe stato tutto un darsi di gomito, «hai visto Silvio che grande genio della comunicazione? Ha già fatto passare in secondo piano l’inchiesta»; ora invece solo sorrisi a denti stretti, e dubbi («cosa dici, funzionerà?») oppure sarcasmi velati («ma questa donna esiste davvero?»). Tra i collaboratori più intimi del premier non ce n’è uno, uno soltanto, che possa dire: io la conosco, ne ero al corrente. Se Berlusconi voleva tenere il nome della fortunata al riparo della curiosità (e dei pm), c’è riuscito fin troppobene. Ma forse l’annuncio è solo un modo per far sapere al mondo: «Ho messo la testa a posto. Tutto quello che leggerete nei prossimi giorni è acqua passata, appartiene al vecchio Silvio che non c’è più, morto e sepolto». E’ la prima linea difensiva. La seconda barricata del premier consiste nel negare in via preventiva, nel contestare ancora prima che diventino pubblici i racconti boccacceschi delle ragazze, nel presentarli come vanterie, fanfaluche, bugie da comari, del resto tante se ne dicono al telefono quando mai si penserebbe di venire ascoltati. La terza trincea del premier sta nell’orgogliosa rivendicazione della sua privacy. A chiunque lo chiami, ripete come un vecchio 33 giri in vinile: «In casa mia io ho il sacrosanto diritto di fare quello che credo, guai se si entra nelle camere da letto, se mi va di fare regali li faccio, nessuno può obbligarmi a perquisire le mie ospiti perché non scattino foto». Nel passaggio più scabroso della sua quasi ventennale carriera, Berlusconi sfodera perfino con gli amici la solita sfrontata sicurezza. Sostiene che l’indagine su Ruby «fa acqua da tutte le parti, manca la prova per incastrarmi». Salvo precipitare poi nel patetico quando sempre in privato confida: «Solo un uomo terribilmente solo, tutto questo succede perché vivo in questa condizione da cinque anni, ogni tanto anch’io sento il bisogno di una festa, desidero vedere gente... Invitavo quelle ragazze per scambiare un rapporto di affetto, con loro sono stato sempre paterno, a una ho fatto imparare l’inglese, un’altra l’ho fatta assumere a Mediaset...». Mai che abbia pronunciato, finora, la parola fatale: dimissioni. Eppure chi gli circola intorno giura che sta bene al centro dei suoi pensieri. Aleggia come uno spettro nella villa di Arcore. Qualcuno comincia a parlarne, sottovoce si capisce. Fa testo il giudizio di un ministro tra i massimi, che naturalmente non vuole essere nominato: «Il danno internazionale è insopportabile. Fosse Berlusconi accusato di violazione dell’articolo 2550 del codice civile, all’estero direbbero che è una storia italiana. Ma in questo caso si parla un linguaggio universale, sesso con una prostituta minorenne, lo capiscono anche in Cina. Tentare difese tecniche o andare in tivù è semplicemente ridicolo». Perfino tra i colonnelli più fedeli si va spargendo il dubbio: non sarebbe preferibile un passo indietro ora, subito, prima che tutto precipiti? L’argomento ha una sua forza seduttiva. Rinunciando a Palazzo Chigi, Berlusconi potrebbe contestualmente indicare un successore, quantomeno condizionare pesantemente la scelta di Napolitano. E poi restare dietro le quinte a difendersi dai processi, a tirare i fili della politica con un potere pur sempre smisurato. I vecchi leader democristiani, quelli immarcescibili, loro sì sapevano quando uscire di scena per ritornare al momento giusto. Tremonti, Alfano, Letta... Nessuno dei tre faticherebbe a trovare appoggi nell’Udc. Specie il primo, sarebbe la migliore garanzia per la Lega. Resistere a oltranza, invece, a che pro? Tra gli strateghi Pdl si fatica a trovare una risposta convinta. Qualcuno (Osvaldo Napoli) scuote la testa: «Qui non si fanno prigionieri, possiamo solo combattere, andrà come dio vuole». Ipiù tacciono, sospirano, fremono e se la cavano con un «aspettiamo di leggere le carte, vediamo che cosa succede». Conun leader «sputtanato» non si può certo correre alle urne, questo risulta chiaro ai gerarchi del Cavaliere. Allora sì che Bossi diventerebbe padrone del Nord... Qualcuno più pessimista si spinge a paventare l’esilio di Bettino nella Tunisia. Anzi, «di questo passo Silvio farà la fine di Ben Ali». La sensazione è che in pochi giorni si consumerà tutto. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384624/ Titolo: UGO MAGRI Nel Pdl c'è un'ampia zona grigia inquieta Inserito da: Admin - Gennaio 23, 2011, 05:21:11 pm Politica
23/01/2011 - IL CASO Il premier mostra i muscoli ma teme lo smottamento Nel Pdl c'è un'ampia zona grigia inquieta UGO MAGRI ROMA Vedrai che ce la faccio, vedrai adesso come io ribalto la situazione», insiste Berlusconi con qualche amico preso da scoramento. Convinto che la battaglia sia anzitutto mediatica, il premier alza i decibel ogni giorno di più perché vuole apparire sicuro del fatto suo, ben saldo in sella, consapevole che al minimo cenno di insicurezza reparti interi del suo esercito se la darebbero a gambe.. Aspettiamoci dunque dal premier una dose quotidiana di adrenalina. Tra la gente il martellamento produce effetti. Non c’è sondaggio svolto dopo l’avviso di garanzia che registri un crollo di consensi del Pdl, anzi. Lo stesso premier perde relativamente poco negli indici di gradimento. Il pronunciamento ecclesiastico potrà forse cambiare qualcosa, sebbene dalle rilevazioni di Euromedia (agli occhi di Berlusconi le uniche attendibili) risulti addirittura come i più disposti al perdono siano proprio i cattolici. Insomma, se si andasse oggi alle urne il Cavaliere conserverebbe buone chance di vittoria. Qualche analista arriva a scommettere che nemmeno una condanna in primo grado sovvertirebbe il pronostico. Però domani potrebbe sempre accadere qualcosa capace di mutare gli umori collettivi. Di creare un moto vero di insofferenza verso il premier. Ad esempio, se la Procura milanese mostrasse una prova orribile e al tempo stesso inoppugnabile. Nessuno tra i politici ha la certezza che i pm dispongano dell’arma finale; tuttavia sono veramente pochi quanti si sentono di escluderlo. Questo è il timore che aleggia su Palazzo Grazioli, sebbene Berlusconi non sia al corrente di slavine imminenti, tantomeno lo sono i suoi avvocati. Ciò determina in Parlamento un clima malsano, di attesa nevrotica che qualcosa faccia pendere il piatto della bilancia. Nel frattempo tutto rimane sospeso. Chi doveva aggiungersi ai «Responsabili», ora se ne guarda bene. Per cui la maggioranza alla Camera resta 3-4 voti sopra la linea del galleggiamento. S’immagini con quale ansia il ministro Bondi affronterà da domani il dibattito sulla sfiducia: basta qualche assenza, e lui torna nel partito a tempo pieno. Magari la scampa perché lo scrutinio è palese, tra i «peones» nessuno vuole esporsi. Altrettanto è possibile che governo e Comuni trovino un compromesso onesto sul federalismo fiscale, cosicché le opposizioni farebbero più fatica a mettersi di traverso. Ma questo senso di incertezza sta creando vaste zone grigie nel partito del premier. Gente che a tutti i livelli non vede una prospettiva chiara, si domanda a cosa serva resistere a oltranza, e saluterebbe con sollievo una crisi se fosse preludio a formule capaci di salvare il salvabile. Un governo tecnico insomma, o guidato da chiunque non sia Berlusconi. Se la posizione giudiziaria del Cavaliere peggiorasse ancora un tantino, ogni votazione a Montecitorio diventerebbe l’occasione buona per lo smottamento finale. Con Bossi arbitro della XVI legislatura. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385496/ Titolo: UGO MAGRI La commedia umana va in scena ad Arcore Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2011, 10:05:47 pm Politica
24/01/2011 - LA STORIA La commedia umana va in scena ad Arcore Tra meteorine, cene, video degli incontri internazionali e balli MATTIA FELTRI ROMA Lo schema a trama circolare è previsto e infatti il giorno in cui il Cavalier Silvio Berlusconi, inaugurando un centro commerciale e la sua carriera politica a Casalecchio di Reno, accordò la preferenza a Gianfranco Fini su Francesco Rutelli nella corsa al Campidoglio, Karima El Mahroug, al secolo Ruby Rubacuori, aveva ventidue giorni di vita (un gioco di flashback sosterrebbe efficacemente le tesi dei detrattori). Una passione lolitesca ma, in questo falò delle vanità, bruciano tutte quelle a disposizione nella commedia umana. Guardate per esempio i ruffiani, o concorrenti esterni in meretricio (la presunzione d’innocenza è qui presupposta per tutti). Ferventi prosseneti Lele Mora, omosessuale, pressoché maitresse, procura le femmine e le istruisce, consiglia un abitino da infermiera e uno stetoscopio per l’ironico preambolo: anche le trascrizioni sono gravide di entusiasmo (e contrappeso all’imbarazzata eclissi di oggi). Di altra pelle è Nicole Minetti, anche lei ricopriva il ruolo di reclutatrice e di trainer, nelle baldorie di Arcore dava il via alle danze; tiene ancora la testa alta, reclama innocenza e, ai reporter voraci, un po’ di rispetto. Piuttosto, che figura letteraria è quella di Roberto Formigoni, accusato dai radicali di aver falsificato le firme per mettere la pupa del capo nel listino bloccato? Il listino permette al governatore di trascinarsi in Consiglio regionale i collaboratori fidati. Va bene le firme, ma la domanda vera concerne le competenze minettiane: a quali Formigoni non si sente di rinunciare? Splendori e miserie Le ragazze uscendo dalla procura si proteggono con occhiali scuri, sciarpe, veli. Le ragazze, tampinate dal cronista di inflessibilità compiaciuta, fuggono a testa bassa e a colpi di tacco sul selciato, come Enrico Cuccia con quelli di Striscia. Le ragazze scendono dal Suv e contrattaccano, muso alla telecamera e scariche di oscenità. Le ragazze vanno in tv a dire che il vecchio sporcaccione in realtà è come Gandhi (nelleintercettazioni, per Ruby è Gesù). Le ragazze vanno nel salotto di Alfonso Signorini, che è stato definito il contraltare melodrammatico dei tribunali popolari alla Santoro, dove il rancore è il sentimento dominante e c’è Daniela Santanché che barcolla se le ricordano un suo lontano epitaffio: Berlusconi noi donne ci vuole orizzontali. Sabina Began dice: il bunga bunga sono io. Il catalogo delle madamine non trascura alcun prototipo. Ci si deve immaginare le donne del Pd toscano in piazza, le donne del Pd ligure in piazza, le donne del Pd davanti a Montecitorio, le donne dell’Idv ovunque. I protagonisti migliori ricompaiono, in prestito da romanzi precedenti. Il fratello di un’amica di Noemi dice: «Non ci siamo fatti corrompere». Patrizia D’Addario dice: «Tante di quelle ragazze erano con me a Palazzo Grazioli». Nadia Macrì esplode di vita nel raccontare ad Annozero come si noleggiò. Sedotte e sfrattate Sui cartelli stradali, l’umorista ha camuffato da “r” la “l” e la dimora Olgettina è diventata la dimora Orgettina. Ci abitano quattrodici ragazze delle feste di Villa San Martino. Sono state sfrattate perché gli altri inquilini intendono preservare il decoro dello stabile. A partire da giovedì, otto giorni di tempo per sgombrare. Gli zelanti direttori delle cancellerie hanno sottoscritto lo sfratto nello loro stanze buie. Otto giorni non si danno nemmeno agli occupatori di case. Marysthelle Garcia Polanco ha una bambina e non sa dove andare. C’è una differenza soltanto fra realtà e finzione: la realtà prevede più spesso che l’intransigenza sfumi in proroga. Buoni, brutti e cattivi Sollecitati, hanno espresso sconcerto l’Avvenire, Famiglia cristiana, l’università dei focolarini, i frati di Assisi, l’Azione cattolica, i cattolici del Pd. Il parroco di Antrosano, frazione di Avezzano, ha affisso manifesti a lutto per la morte della morale. Un sondaggio attribuisce al Partito du Pilu, di Cetto La Qualunque, subito il 2.3 per cento dei consensi, se si presentasse alla elezioni. In prospettiva, il target sarebbe del nove per cento. Piero Ostellino rivendica il diritto delle donne di vendere il loro corpo («è un principio liberale, non un invito a darla»). Natalia Aspesi e Marco Travaglio rivendicano il diritto di preferire quelle che si concedono secondo presupposti etici. L’altra domanda è: c’è un diritto a svergognare le prostitute? In questo su e giù, il miglior ruolo in commedia spetta ai padri, ai fratelli - ai congiunti vari delle congressiste carnali - che incitano figlie e sorelle a conquistare spazi nelle disponibilità affettive ed economiche del premier, a darci dentro, a non farsi scavalcare e, sola lacuna in una trama che procede secondo il capriccio del grande scrittore d’appendice, mancano le cere delle madri e dei padri che non sapevano nulla. E’ stato il maggiordomo E poi, il colpo di scena. Lele Mora ed Emilio Fede si mettono d’accordo per spillare denari a Berlusconi. L’intercettazione telefonica fa capire che Fede otterrà un milione e due per Mora, che Mora già progetta di non restituirli, e che Fede ne tratterrà 400 mila per onorario. L’abile mossa si accompagna esteticamente ai balletti verdi con berretto e manette della polizia. Qui ci sono i frontalieri di Luino, le belle di Lodi. Berlusconi beve Sanbitter, vintage anni Ottanta. C’è odore di tinello e Vermouth. Madoff di periferia tessono trame col dottor Vermilione: un po’ Billionaire un po’ Drive In. Nella pensione Vauquer si spettegola ancora. E la neolingua arcoriana, di cui si è parlato, non è una neolingua. Forse nemmeno slang: amo o amo’. Tutto sommato, considerato il contesto, turpiloquio contenuto. Più del neologismo c’è la sana tradizione fantozziana: «Non sii timida», dice la Minetti all’amica. A completamento, non sbaglia un congiuntivo Giuseppe Spinelli, non dà del tu a nessuno, non fa domande, non fa la cresta, non si allenta la cravatta, paga quel che c’è da pagare. Il buon partito Sono fidanzato, ha detto Berlusconi. Alle cene sedeva anche la mia fidanzata, ha aggiunto. Figurarsi se declinavano all’orgia. L’identità della fidanzata è ignota. Si indaga fra veline, coloradine, vitamine, naufraghine e schedine. Sarà autentico finale quando le meteorine cederanno le notti ai lunghi coltelli. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385610/ Titolo: UGO MAGRI Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2011, 06:12:40 pm Politica
29/01/2011 - RETROSCENA Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto Dodici posti vacanti, e anche Bondi potrebbe rientrare nel partito UGO MAGRI ROMA Il grande Gaber che cantava «far finta di essere sani» torna in mente quando si ascoltano i piani di riscossa berlusconiana. Il Cavaliere vuole far credere che nulla è perduto, si procede esattamente com’era deciso allargando la maggioranza, riformando la giustizia, esorcizzando la crisi. I suoi discorsi privati non si scostano di una virgola dagli sfoghi pubblici, l’ultimo ieri col video-messaggio anticipato qualche ora prima in Consiglio dei ministri. Con Berlusconi che intorno al tavolo ovale prende subito la parola e, tra sguardi interdetti, giura: tutto procede al meglio, «abbiamo vinto in Parlamento 7 volte consecutive». Il governo scoppia, ma di salute. Nessun accenno di autocritica, un vero panzer. «Procede a tutto vapore», tenta di stargli dietro Bonaiuti. E Ruby, come la spiega agli intimi? Anche con loro il Cavaliere sbraita: «E’ tutto un complotto, solo una montatura». Quando l’altra sera un gerarca ha buttato lì che forse la Chiesa meriterebbe qualche cenno di attenzione, magari la promessa di stare più attento in futuro, non l’avesse mai detto! Silvio s’è irrigidito con occhi furenti: «Io non ho nulla da rimproverarmi, le mie cene sono sempre molto eleganti». Nessuno ha insistito più. Ora ha in mente di cominciare con il rimpasto. I posti vacanti sono 12, alcuni di molto peso: 2 ministri, 3 vice ministri, 7 sottosegretari. Vuole usare le poltrone per acchiappare qualche altro deputato. Però deve procedere con cautela. Se decidesse di assegnare le caselle tutte in una volta, soddisferebbe certi appetiti, senza dubbio, però scatenerebbe l’ira degli esclusi, e ciò non gli conviene. Per cui farà solo qualche nomina, in modo da mostrare che dà le carte e scatenare dunque una specie di riffa per le poltrone rimaste. Già la prossima settimana potrebbe premiare la Destra di Storace con un posto da sottosegretario per Musumeci, cosicché tanti altri aspiranti (lui conosce l’animo umano) non tarderanno a mostrarsi. Nel frattempo forse si chiarirà la sorte di Bondi, che resta dubitoso sul proprio futuro, medita di tornare al partito. Nel qual caso si libererebbe una cadrega in più da mettere all’asta. C’è chi studia proposte ambiziose, e lui le incoraggia: dal ritorno all’immunità parlamentare, alle primarie obbligatorie per legge (un modo per far scoppiare le contraddizioni nella sinistra, povero Bersani). Altri vellicano gli istinti del Capo suggerendo bagni di folla che poi però abortiscono, tipo la manifestazione del 13 febbraio a Milano: cento pullman da riempire in quattro e quattr’otto, salvo contrordine perché le manifestazioni contro i pm a favore della Minetti non piacciono al Colle, tantomeno a Bossi (i suoi in piazza non ce li porta sicuro). Viene in mente Gaber poiché i primi a non credere nella propaganda sono proprio i berlusconiani. Quelli ai posti di comando. Compresi ministri di rango. Si adeguano ai voleri del Capo, nessuno certo lo tradirà, quantomeno adesso. Non c’è un 25 luglio dietro l’angolo, con l’arresto di Mussolini. Però aleggia lo stesso disfattismo, la stessa sensazione di una guerra perduta. «Per ora piove forte, anzi diluvia», è l’opinione di molti, «ma tra poco arriverà la grandine». Foto. Intercettazioni. Dio non voglia, retate. Si salvi chi può. E «in quelle condizioni al voto non potremo di certo andare». Il fantasma del governo senza Berlusconi torna a volteggiare. Mentre l’astuto Casini, guarda un po’, torna a difendere la dignità della politica contro le invasioni di campo dei pm: una scialuppa per chi si vorrà salvare. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/386529/ Titolo: UGO MAGRI Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura Inserito da: Admin - Febbraio 14, 2011, 04:06:16 pm Politica
14/02/2011 - Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura Il partito: «La confusione tra poteri dello Stato può aggravare le difficoltà» UGO MAGRI ROMA Mentre Fini lo sfidava da Rho, mentre la rivolta al femminile riempiva le piazze, ieri il Cavaliere se ne stava in Sardegna con la testa altrove, tutto fuorché preso dagli accadimenti politici. Poche telefonate di routine, commenti con sbadiglio sul congresso Fli, silenzi gonfi di sprezzo per le manifestazioni di donne, via libera ai capigruppo Pdl che molto insistevano per una risposta secca a Napolitano, e mettere dei paletti (o perlomeno provarci) circa il potere presidenziale di sciogliere le Camere. Che cosa vada maturando nella mente del premier lo capiremo stamane, quando Berlusconi si collegherà con il programma condotto su Canale 5 da Belpietro, il quale è anche direttore di «Libero», giornale di punta nella polemica contro il Capo dello Stato. Questa scelta di confidarsi con lui, anziché ricorrere ai soliti videomessaggi, viene considerata già parecchio indicativa degli orientamenti berlusconiani. Quello che pensano i gerarchi, invece, è illustrato nel lungo, puntiglioso comunicato diffuso con firma in calce di Cicchitto, Corsaro, Gasparri e Quagliariello. Due i passaggi da segnalare. Il primo, dove si dice che siamo in presenza di un «governo legittimo» con tanto di «sostegno della maggioranza parlamentare» come si è dimostrato nelle ultime votazioni; l’altro, dove si afferma: «Alimentare il senso di confusione tra i poteri dello Stato rischia di aggravare le difficoltà piuttosto che contribuire alla loro soluzione». Con chi ce l’ha, il Pdl? Con un signore domiciliato in via del Quirinale, che l’altro ieri aveva minacciato di mandare tutti a casa casomai si aggravasse lo scontro nelle istituzioni. I capigruppo ribattono: caro Napolitano, attento, perché così il gioco si fa pesante, se proseguirai lungo questa strada non esiteremo a darti prima o poi del golpista... Confida l’estensore materiale del documento: «Abbiamo scelto un tono grave e misurato anche perché ci siamo confrontati con Letta», il quale notoriamente è una super-colomba e incarna il galateo delle istituzioni, mai avrebbe consentito attacchi senza creanza al primo cittadino della Repubblica. Però non si fa mistero, nel Pdl, che l’uomo del Colle ha preso una piega decisamente ostile. E senza scavare sui veri perché (circolano al riguardo parecchie ipotesi più o meno fondate), scatta subito il riflesso pavloviano di spianare i fucili, se non i cannoni. Non è un caso che torni in auge l’ipotesi, lungamente accarezzata dal premier ma sempre rinviata, di promuovere una grande manifestazione nazionale, i muscoli della destra contro quelli della sinistra, in un braccio di ferro dagli esiti avventurosi, e tuttavia sempre più inevitabile nella logica degli strateghi berlusconiani: «Perché noi non possiamo porgere l’altra guancia ai pm, a Fini, a Di Pietro, ora anche a Napolitano, senza mai reagire»; soprattutto, «non possiamo perdere la piazza e scomparire come vorrebbero i nostri avversari». E’ una logica cieca, disperata, senza prospettiva, ma tant’è: se prendono piede questi propositi, si annunciano mesi di enorme stress per le istituzioni. Rispetto a venti giorni fa, i dubbi sembrano spariti. Anche chi manifestava disagio per la condotta del leader (nella cerchia ristretta praticamente tutti) ora se ne sta ben allineato e coperto. La falange berlusconiana in apparenza è compatta, pronta allo scontro finale. Unico motivo di apprensione resta la Lega. Perché non è sfuggita l’offerta di Fini, federalismo in cambio di una nuova legge elettorale, elezioni tra un anno con un governo diverso... Se i terzopolisti hanno un piano, Fini l’ha messo in chiaro: corteggiare Bossi. Poi, certo, la storia mai si ripete identica, Napolitano non è Scalfaro, escluso che il Capo dello Stato voglia promuovere ribaltoni. E poi l’Umberto mai si farebbe traviare, mette la mano sul fuoco Osvaldo Napoli, «dei Fini e dei Casini lui mica si fida». Eppure... Un brivido ha solcato la schiena a molti, nel quartier generale Pdl, quando Maroni ieri se n’è uscito dicendo: «Napolitano ha ragione, per la legislatura il rischio è reale». Se la Lega cambia idea, non c’è piazza berlusconiana che tenga: avanti un altro e tanti saluti ad Arcore. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Vertice con Bossi che lo rassicura: non ci sarà nessun voltafaccia Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2011, 04:45:29 pm Politica
16/02/2011 - RETROSCENA Più delle toghe il premier teme un ribaltone leghista In serata vertice con Bossi che lo rassicura: non ci sarà nessun voltafaccia UGO MAGRI Per uno strano scherzo del destino Gabrielli, l’erede di Bertolaso a capo della Protezione civile, era sul posto ieri mattina quando Berlusconi è stato colpito a Catania dall’ultima calamità politica, processo immediato per Ruby e per concussione. Ma pure Maroni stava lì e, volendo, potrebbe raccontare la reazione del premier: letteralmente impassibile. Il Cavaliere non ha battuto ciglio. Giusto la mascella gli s’è irrigidita un po’, ma niente di più. La notizia che fa il giro del mondo lui, evidentemente, in cuor suo la dava già per scontata; anzi si sarebbe stupito se quelle «toghe rosse» l’avessero tolto dai guai... Tutt’al più Berlusconi immaginava che la botta da Milano sarebbe arrivata qualche ora dopo, «nel pomeriggio» gli avevano assicurato, o addirittura stamane, anziché pochi minuti prima della conferenza stampa convocata sull’emergenza profughi. Che fare, tenerla ugualmente per sentirsi chiedere dai cronisti che cosa ne pensa dei magistrati e della probabile condanna, o invece eludere le domande dando forfait? Risposta facile facile: Berlusconi, d’istinto, avrebbe gradito presentarsi davanti alle telecamere. Per ripetere quanto tutti già sappiamo: che è solo una manovra politica tesa a farlo fuori. Che le sue feste sono state sempre parecchio chic. Eccetera eccetera. Però da Roma le «vecchie zie», Letta e Bonaiuti, si sono subito precipitate a frenarlo. «Silvio non lo fare» gli hanno detto con tono d’implorazione, poiché lo sfogo pubblico sarebbe stato due volte da matita blu. Avrebbe inasprito i rapporti (già pessimi) col Capo dello Stato, il quale ha raggiunto il limite di sopportazione ed è pronto a sciogliere le Camere se giudici e politici continueranno la zuffa. Ma soprattutto, una conferenza stampa sguaiata sulla giustizia avrebbe avuto l’effetto-boomerang di «oscurare» la spedizione a Catania, studiata apposta da Berlusconi per mostrare all’Italia un governo operoso che prova ad arginare gli sbarchi dei clandestini. Insomma: alla fine Berlusconi ha rinunciato. Quanto a malincuore, nessuno può dirlo. Nè dalla sua bocca sono usciti commenti una volta sbarcato a Roma. Ore e ore chiuso a Palazzo Grazioli con l’avvocato Ghedini. Hanno studiato insieme le mosse ma senza decidere nulla, perché ancora non è ben chiaro come mandare avanti il ricorso (conflitto di attribuzione, nel linguaggio giuridico) davanti alla Corte costituzionale, onde statuire che Milano è incompetente, toccherebbe invece al Tribunale dei ministri... Ma soprattutto, confida un’autorevole personaggio, Berlusconi e il suo legale hanno passato ai «raggi x» le tre donne del collegio giudicante: chi sono queste signore? Berlusconi che cosa deve aspettarsi da loro? Niente di buono, pare sia stata la triste conclusione. Non perché risulti un orientamento politico ostile. Nessuna delle tre domenica è scesa in piazza contro il Cavaliere sventolando bandiere. Però è bastato informarsi sulle loro sentenze (parla chiaro il curriculum) per capire che si tratta di tre magistrate «toste», implacabili. Il che non promette davvero nulla di buono. Qualche chiacchiera è circolata a Montecitorio su una presunta tentazione del premier: dimettersi, per cedere il testimone a Letta e in prospettiva ad Alfano. Ma di chiacchiere si tratta, appunto: Silvio non molla. Lo condannano? Lui tira dritto. E se la tegola giudiziaria lo colpirà prima del G8 in Francia (fine maggio), proverà a giustificarsi coi Grandi come sempre ha fatto finora, qualche barzelletta e via... Diverso il caso se gli mancasse la maggioranza. Se la Lega decidesse di staccare la spina. In questo caso (e solo in questo) per Berlusconi scenderebbe davvero il sipario. Ecco perché grande allarme ha suscitato nel governo l’intervista a Bersani comparsa ieri mattina sulla «Padania». Tutti si sono chiesti che cosa volesse significare. «Niente di speciale», strizzano l’occhio alla Lega. Nell’incontro serale con Calderoli e Rosy Mauro in via del Plebiscito, Bossi ha personalmente escluso a Berlusconi qualunque voglia di ribaltone: «Non preoccuparti per le voci che circolano, sto con te». Inoltre, pare che il Senatùr abbia confidato: «Abbiamo ospitato sul nostro giornale Bersani, ma non so se abbiamo fatto bene o male». Però la sensazione diffusa dalle parti del premier è che il Carroccio abbia iniziato una lunga marcia. E che Bossi scruti intensamente oltre Berlusconi. Dove, lui solo lo sa. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Per Berlusconi la forza dei numeri in Aula è soltanto un'illusione ... Inserito da: Admin - Marzo 02, 2011, 06:47:23 pm Politica
02/03/2011 - IL RETROSCENA Per Berlusconi la forza dei numeri in Aula è soltanto un'illusione ottica Il premier vuole mettere in moto il conflitto tra poteri dello Stato: ma il risultato resta un'incognità UGO MAGRI ROMA Qualche indizio fa pendere la bilancia sul piatto di Berlusconi. Fini che coinvolge la Giunta del Regolamento (tagliando fuori l’Ufficio di presidenza dove il Cavaliere sarebbe messo in minoranza) fa immaginare che lo sbocco conclusivo della querelle del conflitto di attribuzione possa essere l’Aula di Montecitorio, come desidera il premier. Tra parentesi, secondo l’ex responsabile Giustizia del Pd Tenaglia, in fondo è giusto che a pronunciarsi sia l’assemblea della Camera anziché Fini personalmente. Così molti danno per scontato che Berlusconi riuscirà a far valere la forza dei numeri, stoppando la Boccassini e gli altri pm milanese decisi a processarlo per Ruby Rubacuori. In realtà, è solo un’illusione ottica, le cose stanno diversamente. Semmai l’impressione tra gli addetti ai lavori è che venga messa in moto dal Cav una macchina infernale, il conflitto tra poteri dello Stato, senza la minima certezza su quale potrà essere l’esito. E infatti: 1) non è detto che la Corte Costituzionale ritenga ammissibile la richiesta eventuale della Camera, in quanto potrebbe pure rigettarla senza prenderla in esame (così ha fatto intendere, salvo rimangiarselo, qualche fonte in alto loco) e la vicenda morirebbe lì; 2) nessuno può giurare che la Consulta, una volta ammesso il conflitto di attribuzione, sposerebbe nel merito le ragioni del premier dichiarando competente il Tribunale dei ministri; 3) non esiste certezza che i giudici milanesi, in pendenza del giudizio davanti alla Corte costituzionale, sospenderebbero il processo immediato su Ruby (potrebbero farlo, volendo, per rispetto della Corte, ma la loro scelta sarebbe discrezionale); 4) se i tre giudici mandassero avanti comunque il processo, la sentenza di primo grado arriverebbe prima che si pronuncino i “vecchioni” della Corte costituzionali, abituati a ponderare con cura le loro decisioni. Nel frattempo il caso Ruby verrebbe sopravanzato da altre emergenze giudiziarie berlusconiane, in quanto la probabile condanna del Cavaliere per il caso Mills è attesa tra pochi mesi, al massimo dopo l’estate. Insomma, la montagna del conflitto di attribuzione rischia di partorire un topolino. E forse nemmeno quello. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier Inserito da: Admin - Marzo 19, 2011, 11:05:08 am Politica
19/03/2011 - RETROSCENA Libia, Napolitano: "Non possiamo restare indifferenti alla repressione" Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier UGO MAGRI ROMA La decisione di aggiungersi ai «Volenterosi», e di recidere l’ultimo legame col Tiranno Gheddafi, è stata presa giovedì sera dal governo Berlusconi. Su questo non ci sarà dubbio, un domani, tra gli storici. Quando il Cavaliere si rende conto che l’Onu sta per decidere la «no-fly zone», in pratica l’intervento militare, di corsa provvede a emendarsi. La scena è quella di un retropalco dell’Opera dopo il «Nabucco», presenti ministri, diplomatici e generali: lì matura la svolta, e il Presidente della Repubblica (che si trova a teatro) viene reso immediatamente partecipe con un invito alla riunione informale. Questa è la sequenza dei fatti. E tuttavia, una volta dato a Silvio quel che è di Silvio, nessuno degli sviluppi successivi sarebbe stato possibile senza l’intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle «decisioni difficili» attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’appello a valori più alti della pura realpolitik («non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo») hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare. Senza le parole del Presidente, Bersani forse non avrebbe offerto con altrettanta prontezza quel vasto ombrello parlamentare che il governo nemmeno s’è premurato di chiedere in prestito. L’astensione della Lega, a quel punto, sarebbe risultata paralizzante, con conseguenze immaginabili... E del resto, quando fa sapere di aver concordato passo passo ogni valutazione col Capo dello Stato, in fondo Berlusconi manifesta una gratitudine che non gli è molto abituale. Per lui si tratta di un passaggio intimamente contrastato. Si vede a occhio nudo che intervenire contro Gheddafi non lo convince per niente. Intendiamoci: il mitico baciamano, con i dubbi del Cavaliere, c’entra poco. Chi vive di fianco al premier giura che sopra Gheddafi ha messo una croce, troppo grossa l’ha combinata l’amico Muhammar per considerarlo ancora tale. Piuttosto Berlusconi si adegua alle decisioni Onu in quanto costretto, forzato dalle circostanze, senza l’ìntima convinzione di chi sventola una bandiera ideale, e senza neppure la certezza di fare la scelta giusta. L’intervento militare non lo persuade per i rischi annessi e connessi. Perché «chi lo dice che ci sbarazzeremo in fretta di Gheddafi?». Perché l’arrivo di profughi sulle nostre coste può assumere proporzioni bibliche. E poi per quel surplus di instabilità politica collegato al malessere della Lega. Chi ha sentito l’intervento di Calderoli, unico rappresentante del Carroccio nel Consiglio dei ministri, lo riassume così: «Un conto è mettere a disposizione le nostre basi, e già non facciamo i salti di gioia; altra cosa sarebbe mandare aerei e soldati, il che ci sembrerebbe davvero troppo». E poi: «Attenti a non infilarci in un’altra Somalia», bisognava fare come la Germania e starne fuori... Berlusconi in cuor suo la pensa come Bossi, come Calderoli. Ma allora, perché sposa la coalizione dei «volenterosi»? La spiegazione sta nelle parole di Frattini in Consiglio dei ministri: «Capisco tutte le perplessità, ma non possiamo restare tagliati fuori». Il terrore è che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia caccino Gheddafi e poi, presentandosi come benefattori, sistemino le cose in Libia secondo i propri interessi. La Francia in special modo. Dilaga nel Palazzo una vera e propria psicosi di sospetto verso i cugini d’Oltralpe. Come se Sarkozy, avendo perso posizioni strategiche in Tunisia causa rivoluzione, stesse brigando per mettere un piede in Libia spodestando le nostre aziende, in special modo l’Eni. La cui posizione finora è stata privilegiata assai. Oggi il Cavaliere si precipita al vertice europeo con i Paesi arabi e africani convocato proprio da Sarkozy: in termini calcistici parleremmo di marcatura a uomo. Tra Roma e Parigi volano avvertimenti. Tremonti si è premurato di spiegare all’ambasciatore de La Sabliere che, se la francese Lactalis insiste per papparsi Parmalat, e l’azienda energetica Edf vuole a tutti costi Edison, potremmo adottare in Italia le stessi leggi protezioniste francesi che impedirono a noi di acquisire Danone... In Libia, stessa storia: siamo pronti a combattere Gheddafi, dopo averlo blandito, per difendere il «nostro» petrolio. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere equilibrista salda l'asse con il Colle Inserito da: Admin - Marzo 20, 2011, 03:27:05 pm Politica
20/03/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere equilibrista salda l'asse con il Colle Il capo del governo in bilico tra le richieste dei lumbard e la necessità di non essere tagliato fuori dall'operazione UGO MAGRI ROMA Berlusconi consulta in continuazione il Capo dello Stato, come sarebbe normale in fondo, ma nel suo caso tanto normale non è. La prima cosa che ha fatto, tornando in ambasciata dopo il vertice di Parigi, consiste nella telefonata al Presidente della Repubblica per ragguagliarlo sui suoi colloqui. Napolitano non gli ha fatto mancare un pubblico incoraggiamento, che mette il governo automaticamente al riparo sul fianco sinistro, dove molto aveva lavorato nei giorni scorsi pure il ministro degli Esteri Frattini, scegliendosi astutamente come interlocutore D’Alema. Sul fianco destro (cioè la Lega), Berlusconi sa di poter stare relativamente tranquillo, nonostante le intemperanze serali di Bossi. Non risulta a Silvio che l’Umberto possa o voglia farlo cadere. A patto però di non tirare bombe su Tripoli. Berlusconi è sospeso su un filo perché, dunque, anche volendo la Lega gli vieterebbe di sguinzagliare i Tornado (La Russa scalpita, anche troppo secondo certi consiglieri del premier: meglio andarci piano con le parole). Nello stesso tempo il Cavaliere deve impedire che l’Italia venga tagliata fuori dal gruppo di comando delle operazioni. Oltre che uno smacco d’immagine, sarebbe rischioso per i nostri interessi laggiù, casomai la vittoria baciasse gli insorti. E la linea decisa con il Colle non è affatto quella di restare inerti dinanzi al massacro delle popolazioni civili. Per il momento Berlusconi pare sia riuscito nel suo scopo: formalmente l’Italia è tra i 5 partecipanti all’operazione «Odissea all’alba», quella anti-contraerea, che fa capo al comando Usa di Napoli-Capodichino. Le 7 basi messe a disposizione dal governo e dal Parlamento sono state giudicate sufficienti per entrare a pieno titolo nella coalizione dei «volenterosi». Ancora ieri mattina non ve n’era alcuna certezza. Un margine di dubbio ancora sussisteva, secondo il personale diplomatico di supporto al premier, perfino quando l’Airbus di Stato con Berlusconi a bordo ha decollato da Parigi sulla via di casa. Nella capitale francese il Cavaliere era andato apposta: aveva tirato in disparte Cameron e la Clinton, si era raccomandato col cuore in mano che il comando delle operazioni fosse assunto dall’Alleanza atlantica, dove ci sentiamo meglio garantiti anche nella prospettiva di costruire un dopo-Gheddafi favorevole all’Eni e alle nostre imprese. Di traverso ci si era messa la Francia. Con i cugini d’Oltralpe i motivi di incomprensione da un po’ di tempo si moltiplicano, sebbene fonti di governo super-qualificate tengano a chiarire un potenziale equivoco: l’iniziativa del ministro Tremonti per difendere dallo shopping parigino le nostre imprese (quelle strategiche, non le «commodities») «nulla c’entra con le questioni libiche». La coincidenza è stata solo temporale, i due piani sono «completamente diversi». Quale fosse ieri l’atteggiamento di Sarkozy, lo si è colto anche plasticamente. Accogliendo i leader stranieri all’Eliseo, il Presidente francese è sceso e risalito dai 12 gradini del portone per ricevere la Clinton e, con tanto di abbraccio, il britannico Cameron. Con tutti gli altri (Berlusconi compreso), Sarkozy ha risparmiato la fatica degli scalini, attendendo gli ospiti lassù. Quindi il Cavaliere è stato snobbato dal padrone di casa: gli incontri sono stati solo con Hillary, col canadese e col britannico. Silvio è rimasto in compagnia della Merkel. Con una differenza, però: la Germania ha deciso di tenersi fuori dalle operazioni militari, proprio come vorrebbe fare Bossi. Il quale teme (lo ha detto quasi con la bava alla bocca) che di immigrati i bombardamenti «ce ne mandino milioni», oltretutto con lo status di rifugiati di guerra. Come dire che non potremmo nemmeno rimandarli a casa, andrebbero accolti punto e basta. da - lastampa.it/politica Titolo: UGO MAGRI Un'altra rivolta nel Pdl Inserito da: Admin - Aprile 01, 2011, 10:35:31 pm Politica
01/04/2011 - REPORTAGE Un'altra rivolta nel Pdl A ribellarsi sono i fedelissimi di Silvio Gli ex di Forza Italia contro Ignazio, l’anello debole del "triumvirato" dei coordinatori che vogliono rovesciare UGO MAGRI ROMA C' era una volta il mulino bianco di Forza Italia, cieli azzurrini, tanta felicità. Poi nel 2008 sono arrivati gli ex fascisti. Brutti sporchi cattivi. Abbiamo dovuto accoglierli in casa nostra...». Questa è la favola politica che si racconta nel partito di Berlusconi. Agli occhi degli ex forzisti La Russa, il ministro del «vaffa», incarna l’Ospite Indesiderato. La fa da padrone, sporca il salotto, ma soprattutto saccheggia il frigo. Lui e i «camerati» amici suoi (ecco il lamento) arraffano il 30 per cento dei posti nel partito, nel governo, nel sottogoverno, e ciò nonostante Fini abbia tolto il disturbo, dunque in percentuale la componente ex An dovrebbe pesare di meno. Con soli due consiglieri regionali in Lombardia, invece, beccano altrettanti assessori e uno è Romano, fratello di La Russa. Così succede dovunque... Prosegue la favola che si raccontano i deputati azzurri: «Adesso ci tocca fare posto pure ai Responsabili. Sono ancora più brutti, più sporchi e più cattivi. Altro che frigorifero, quelli svuotano la cantina. Mentre noi, i fedelissimi, i sempre-presenti, pronti a dare il sangue per Silvio, non veniamo ricompensati della nostra lealtà. Anzi, un bel calcio nel sedere». Già sanno che nel rimpasto di governo non è il turno loro, per qualche strapuntino dovranno mettersi in fila. Un delirio di rabbia e di frustrazione che, pesando le parole, Piero Testoni prova a spiegare così: «Ci sono nel partito e nella classe dirigente delle energie, delle personalità, delle capacità che non sono ancora state messe a regime». C'è chi, in preda al pessimismo, già scommette che alle prossime elezioni gli verrà chiesto di farsi da parte, perché la candidatura serve a compensare qualche «responsabile». Non c'è niente di vero, giura Verdini, «anzi ci sarà gloria per tutti». Eppure è tutto un pianto, tutto un malessere. Vai alla Camera e vedi Scajola, che il giorno avanti aveva apostrofato duro La Russa, solcare il Transatlantico con un codazzo di venti, forse trenta deputati, neanche fosse il Messia. Ti sposti in buvette e osservi Bonaiuti (il Portavoce) mentre cerca di placare gli animi di «peones» azzurri in processione. A «quelli» tutto, a noi le briciole, Silvio non ci ama più... Un senso di abbandono che cova da mesi ora si sfoga su La Russa, parafulmine umano. «Peperino» Pepe, deputato costretto a trasferirsi tra i Responsabili per fare massa, dichiara impertinente: «La Russa è un po’ stanco, non si possono occupare di questi tempi due cariche come ministro della Difesa e coordinatore nazionale». La Armosino è stata «placcata» mentre raccoglieva firme tra i colleghi per farlo dimettere: come se il macigno del rinnovamento Pdl, scuote la testa il senatore Augello, si affrontasse così... Ma più delle dichiarazioni «grida» il silenzio dei vertici Pdl. Non uno che giustifichi La Russa o perlomeno gli poggi la mano amica sulla spalla. Sembra che nel partito l'unico estremista sia lui, tutti gli altri invece dei lord britannici a cominciare dal premier. Il quale rimprovera nei conciliaboli al suo ministro di fargli perdere voti, specie quando col suo vocione grida in tivù, «troppe apparizioni» da Floris e da Santoro i quali, furbi, lo invitano apposta... Silvio, con La Russa, ha un rapporto duplice: tanto è profonda la stima politica, quanto è viva l’antipatia personale. «Dei suoi modi non se ne può più», è la battuta che gli attribuiscono i cortigiani. Però poi ingrana la retromarcia quando Ignazio minaccia di pigliare cappello e andarsene con una sessantina di deputati. Su questo terreno fertile s’innesta la congiura. Certi potentati Pdl vedono in La Russa l'anello debole, su cui far leva per rovesciare il triumvirato con Bondi e Verdini. Diverse le finalità, però tatticamente si salda un vasto fronte che dalla Sicilia (gruppo di Miccichè) passa dalla Liguria (Scajola) e giunge in Lombardia (formigoniani). Con il supporto logistico del gruppone ministeriale, dove rientrano Alfano e Frattini, Sacconi e Brunetta, Romani e la Gelmini. Alcuni di questi personaggi si sono riuniti l’altra sera, segretamente. «Abbandonare la faccia feroce», è la parola d’ordine. L'obiettivo far dimettere La Russa per far cadere pure Verdini. Magari non ora perché Denis ha in mano le pratiche del «calciomercato», la settimana prossima sono attesi 7 nuovi acquisti dall'opposizione, altri 5-6 nelle settimane successive... Ora agli occhi del Capo Verdini è intoccabile: meglio sfidarlo dopo le amministrative di maggio. Per piazzare al posto dei Triumviri un coordinatore unico, di fatto il Delfino. Manovre da vecchia Dc. Peccato che non tutti i personaggi ne abbiano lo spessore. da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI Responsabili arruolati per la prova di forza Inserito da: Admin - Aprile 05, 2011, 10:29:38 pm Politica
05/04/2011 - Responsabili arruolati per la prova di forza Stamane alla Camera e in diretta tv il conflitto di attribuzione UGO MAGRI ROMA Il Cavaliere chiede un ultimo sforzo alle sue truppe, mercenari compresi. Ancora una vittoria, e poi sarà compiuto o quasi quello che la sinistra denuncia in piazza come sfregio della legalità e della democrazia. Se il piano avrà successo, mezza impunità sarà garantita al premier: per l’altra metà Berlusconi dovrà attendere il voto del Senato sul processo breve (e l’esame «puntiglioso» che della legge farà Napolitano), i pronunciamenti della Corte costituzionale per quanto riguarda il caso Ruby. Questo pomeriggio diretta tivù dalla Camera perché si vota il conflitto di attribuzione. Da domani, al massimo da giovedì, di nuovo in Aula il processo breve che contiene al suo interno norme (prescrizione abbreviata) capaci di azzerare il processo Mills. Tutti «precettati» Bombardamento di sms, che ciascun gruppo ha spedito ai propri deputati per obbligarli alla presenza senza accampare scuse. Stufi di sembrare quelli che votano a gettone («prima vedere poltrona, poi sostenere governo...»), anche gli onorevoli «responsabili» hanno deciso di esserci compatti. Anzi, corre voce che sarà l’occasione buona per far venire allo scoperto qualche nuovo acquisto (uno o due) del calciomercato berlusconiano. Pare vengano dall’Mpa, altri dicono dai liberal-democratici che ieri molto si agitavano. Sulla carta, Berlusconi non dovrebbe correre rischi: la Camera domanderà alla Consulta di stabilire chi è competente a occuparsi del processo per concussione e induzione alla prostituzione minorile. «Noi», dicono al Tribunale di Milano; «no, il Tribunale dei ministri», sostiene Silvio. Nel secondo caso ci sarebbe un «filtro» parlamentare, e la maggioranza ce l’ha in pugno Lui. La mossa su Ruby Chi sta addentro alle segrete cose, sostiene che la Consulta davvero potrebbe dare ragione al premier. Ma i giudici della Corte non erano tutti «comunisti», come dicono ad Arcore? Tra breve cambierà il presidente. E nella giostra degli equilibri interni, magari il centrodestra si troverà in vantaggio... Nell’attesa di scoprirlo (ci vorranno mesi), il Cavaliere potrà minimizzare il processo Ruby, che domani si inaugura a Milano: vadano pure avanti i giudici meneghini, tanto tra un po’ verrà tutto annullato. Un’operazione mediatica che gli verrà consentita proprio dal voto di oggi. Allarga le braccia disgustato Della Vedova (capogruppo Fli), «per questa settimana Berlusconi ne avrebbe fatte abbastanza». E invece no. Sprint sul processo breve Non è ancora del tutto esclusa l’ennesima forzatura (inversione dell’ordine del giorno) per scavalcare i provvedimenti già all’esame dell’Aula. Qualcuno di questi verrà approvato al volo per toglierlo di mezzo, la responsabilità civile dei magistrati sarà rispedita in commissione. Oltretutto per il Csm lede l’autonomia dei magistrati. A quel punto verrà presa la decisione sul calendario, sapendo che gli onorevoli hanno il volo di ritorno a casa prenotato per venerdì sera: se non s’inverte l’ordine del giorno, il voto finale slitta a martedì, ma Berlusconi vuole chiudere ora la partita su Mills... Napolitano riceve stamane il sindacato dei magistrati per ascoltarli e anche per sconsigliare forme di protesta (tipo sciopero) dall’impatto molto dubbio sulla pubblica opinione. S’offende il ministro Alfano per due paroline («arrogante», «servile») del segretario Pd Bersani: «Mi insulta». Chi ha un’età, ne ha sentite di molto peggio e, suvvia, il linguaggio forte è il sale della dialettica. Com’è logico, l’opposizione protesta. Oggi tre manifestazioni, quella del Pd al Pantheon (ore 18), del Popolo viola davanti a Montecitorio, infine Notte bianca ai Santi Apostoli. Risponderà con lo stesso metro il Cavaliere lunedì davanti al Palazzo di giustizia a Milano. La Santanchè gli sta «cammellando» gente perché la volta scorsa erano in pochi e tutti anziani. da - lastampa.it/politica/ Titolo: UGO MAGRI Alfano dopo Silvio, Pdl in rivolta Inserito da: Admin - Aprile 15, 2011, 04:38:59 pm Politica
15/04/2011 - CENTRODESTRA: LA LEADERSHIP Alfano dopo Silvio, Pdl in rivolta Notabili della coalizione a Palazzo Grazioli. Berlusconi smentisce ma conferma: non mi ricandido UGO MAGRI ROMA Berlusconi smentisce. Che tra due anni rinuncerà a candidarsi premier per la sesta volta? No. Questo intendimento, anticipato alla stampa estera, il Cavaliere non se lo rimangia affatto. Cos’altro, allora, corregge delle sue dichiarazioni: che lui vorrebbe ritagliarsi un ruolo di «padre nobile»? Che al massimo farebbe il capolista Pdl, ma ruoli operativi mai più? Niente di tutto questo. Riceve a Palazzo Grazioli una folla di notabili (vertici Pdl, delegazione dei Responsabili, capigruppo della Lega), e sorvola. Evita proprio di parlarne. Viceversa nega di avere mai detto ai corrispondenti stranieri che Alfano sarà il successore. Lo smentisce, questo sì, perché nel partito s’è scatenata l’iradiddio. Chi non ama Alfano e chi ambisce per sé. Chi si sente mortificato e chi chiede qualcosa in cambio. Chi piange e chi telefona... Basta così. Circola una battuta del premier: «Sarebbe il massimo che, oltre a tutto quanto mi attribuiscono, ora prendessi anche la colpa per chi verrà dopo di me...». Il successore, è la promessa, lo sceglieremo tutti insieme. Però di successione, appunto, si sta ragionando. Cioè della possibile futura metamorfosi di Berlusconi. Da giocatore sul tavolo verde della politica a croupier (che distribuisce le carte agli altri). Parlandone coi generali berlusconiani, tutti privatamente ammettono che lo scenario è reale. Alcuni semmai contestano al Capo la tempistica dell’annuncio, proprio a ridosso delle amministrative fra 4 settimane. Il rischio, sostengono, è di inoculare tra gli elettori un senso di abbandono. «Silvio poteva aspettare un altro po’». Ecco dunque Bonaiuti spargere dubbi e sinonimi, le intenzioni attribuite al premier sono «semplici ipotesi, ragionamenti, magari deduzioni» a loro volta «forzate, spesso deformate, talvolta addirittura fantasiose». Ed ecco i capigruppo (Cicchitto, Gasparri) scommettere che Berlusconi non lascerà nel 2013 (quando avrà «solo» 77 anni). Bersani dal versante Pd sottoscrive: «Padre nobile? Poi farà il nonno nobile... La verità è che non molla». Chi ne esce un tantino ammaccato è Alfano. Gettarlo in pasto alle belve non è stata una mossa lungimirante. Si è beccato le unghiate della Lega, causa la sua parlata sicula (è di Palermo); corre voce addirittura che Bossi si sia fatto vivo col Cavaliere per ringhiare i suoi dubbi. Regisce dal Pdl Osvaldo Napoli: «Nell’anniversario dell’Unità d’Italia, mi sembra riduttivo giudicare un uomo politico dalla regione di provenienza». Un osservatore esterno quale il centrista Rao azzarda: «Berlusconi ha esposto Alfano come bersaglio, non si sa se del tutto in buona fede». Il giovane Guardasigilli non vuol credere alle ipotesi più maliziose. Ieri da Berlino ha passato ore al telefono con l’Italia. Resta convinto che Berlusconi l’abbia tirato in ballo, davanti ai corrispondenti stranieri, per essere «gentile nei miei confronti: ciò che avrebbe detto appartiene alla sua generosità e al suo affetto». Ciò chiarito, «se dovessi parlare con lui del futuro, gli consiglierei almeno 5 nomi che ho in mente, e che non dico per non danneggiarli», in quanto subirebbero lo stesso suo trattamento. Basti citare la ruvida reazione del collega di governo Matteoli (ex-An): «Stimo molto Alfano, ma nessuno lo può “investire”, nemmeno un autorevole premier... Berlusconi può indicare chi crede, ma ovviamente ci sarà un congresso e saranno i delegati a votare». Prove di democrazia interna nel partito più carismatico. Ieri sera la «cena di decantazione», promossa dai soliti Cicchitto e Gasparri, scatenati nel ruolo di pompieri. Invitati tutti i membri del governo (ma Tremonti era via) e pure il bastian contrario Scajola, nell’intento di stabilire una tregua tra le fazioni. Infatti il capogruppo alla Camera parla poi di «calumet della pace, il gruppo dirigente si è stretto intorno al premier». E tregua sarà: però armata. Basti dire che alla riunione dell’ex-ministro, dimissionario per la nota vicenda della casa al Colosseo, due sere fa si sono presentati in 53 tra deputati e senatori Pdl. Un forte gruppo di pressione che per ora non si trasforma in gruppo parlamentare autonomo. Era già pronta la sigla («Azzurri per Berlusconi»), però Silvio ha chiesto di soprassedere visto che la Camera è già un Vietman. Continua l’equivoco coi Responsabili. Al loro rappresentante Sardelli, che insisteva per il rimpastino subito, il Cavaliere ha risposto: la prossima settimana ne parliamo. E Sardelli è corso fuori ad annunciare: «La prossima settimana si fanno le nomine». Ma non è la stessa cosa. da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI L'ora più buia del Cavaliere lasciato solo dai fedelissimi Inserito da: Admin - Aprile 20, 2011, 04:28:06 pm Politica
20/04/2011 - RETROSCENA L'ora più buia del Cavaliere lasciato solo dai fedelissimi Arrabbiatissimo con l'aut aut della Moratti: a Berlusconi non è affatto piaciuta la gestione del caso dei manifestanti anti PM anche se non ha speso una parola per condannare il candidato Pdl Lassini Si sfoga con gli amici: "Sto malissimo, mi fanno intorno terra bruciata" UGO MAGRI ROMA «Sto malissimo...». Con l’umore a terra. La voce che è un lamento. A metà mattina il Cavaliere viene informato: «Tra poco la Moratti annuncerà che o lei o Lassini», autore dei manifesti anti-giudici. E Silvio, al telefono con un amico di quelli veri, si lascia andare: «Ecco, vedi? Mi fanno intorno terra bruciata», napalm sui pretoriani più coraggiosi. L’ ondata di condanne lo disturba. Capisce di essere lui il bersaglio per interposta persona. In fondo l’ex sindaco di Turbigo si era limitato a riempire i muri con quello che il premier vomita sui magistrati pubblicamente («cellule rosse») e in privato («brigatismo giudiziario»). Difatti gli è chiaro con chi ce l’avesse Napolitano l’altro giorno, quando ha fulminato i manifesti con la sua scomunica: «Se l’è presa con me, quando la vera vittima sono io. Basti vedere tutte le porcate che questi pm mi fanno, e mai che il Quirinale spenda una parola di esecrazione...». Da Napolitano, però, in fondo se l’aspettava. Molto più dispiacere gli fanno quanti, nel Pdl, sono corsi dietro all’uomo del Colle. Facendo propria l’indignazione presidenziale. La Moratti in primo luogo. Che bisogno c’era di mettere l’aut aut? Quando più tardi si sono sentiti al telefono, Berlusconi è stato elusivo perché Letizia ha le sue convinzioni di donna e di sindaco, inutile recriminare. Ma Schifani, presidente del Senato: perché venire perfino lui allo scoperto? Addirittura commettendo, agli occhi del Capo, il sacrilegio di dare solidarietà ai vertici del sindacato magistrati, molto apprezzata da Palamara. Lunga è la lista di quanti nel Pdl hanno bastonato Lassini (da Cicchitto, che pure sull’uso politico della giustizia ha scritto libri, a Rotondi); pochi (la Santanché, Mantovani) hanno osato difendere la causa persa. Ed è qui la radice del malessere berlusconiano, del suo sentirsi il morale sotto i tacchi: per la prima volta Silvio ha scoperto l’esistenza di un limite, di un confine invisibile oltre il quale neppure il grosso dei suoi pare disposto a seguirlo. Il «caso Lassini» è importante perché fissa le Colonne d’Ercole nella guerra ai giudici, varcate le quali il Cavaliere resterebbe da solo. Gli stessi generali pronti a battersi per far passare entro l’estate alla Camera la riforma Alfano (una «mission impossible»), rifiutano di assecondare in futuro certe mattane del leader e di chi lo sobilla. Berlusconi capisce che qualcosa non quadra. Avverte una presa di distanze, coglie il gelo dei fedelissimi. Non teme il golpe interno perché mai nessuno di questi ci proverebbe. Tuttavia guarda sospettoso il proliferare di cene e di incontri correntizi nel partito che un tempo era il suo, ora assai meno. Un po’ lo fa sorridere e un po’ impazzire l’idea che questi personaggi (lui li considera cloni, risplendenti di luce riflessa) possano sperare di vivere una vita autonoma senza di lui, riunendosi, accordandosi, riposizionandosi per il «dopo». Coi promotori di queste cene Berlusconi è furioso, specie se si tratta di ministri. Si racconta di un «liscia-e-bussa» alla Gelmini per avere scatenato il correntismo allorché lei e Frattini fondarono LiberaMente. Altri negano la lavata di capo a Mariastella, però confermano che il premier ce l’ha a morte con i «banchettanti» (così li definisce), con quanti «si vedono a cena per litigare l’uno con l’altro»; e peggio ancora se si incontrano per stipulare una moratoria delle liti, proponendosi come gruppo dirigente unito, capace in prospettiva di sopravvivere a Lui: «dove credono di andare?». Bondi, ventriloquo del Capo, boccia i timidi conati di democrazia interna, esalta in sua vece il metodo della cooptazione quando a esercitarlo, assicura, è «un leader illuminato». Bonaiuti, il portavoce, prova a metterla in positivo: «Basta stare a tavola nelle cene, ora il momento di battersi per prendere voti». Piacciono al Cavaliere i tipi come la Brambilla, che gli organizzano circoli di nuova specie, a metà strada tra sezioni di partito e Caf, dove si erogano servizi ai cittadini insieme con i «santini» di propaganda, e non costano una lira alle sue tasche perché pagano i Comuni, paga l’Erario. Raccontano dalle sue parti che stia preparando una macchina da guerra prodigiosa, una campagna in grande stile per vincere le Politiche casomai si dovesse votare in autunno: ipotesi che Berlusconinon desidera, anzi teme, però non si sente di escludere del tutto dal momento che tra giugno e luglio il clima parlamentare si farà torrido, tra leggine ad personam e scontri col Quirinale può succedere la qualunque. Pure che la maggioranza perda i pezzi faticosamente messi insieme dal fido Verdini. I Responsabili sono stufi di farsi prendere per il naso. Mesi di gogna politica e mediatica, dipinti come quelli che hanno saltato il fosso per bassi motivi, sottogoverno e poltrone. Sempre più numerosi ma anche impazienti perché il caro Silvio due mesi fa disse: «Tra dieci giorni faccio il rimpasto, tutti i posti disponibili toccheranno a voi». Un mese dopo nuovo incontro, solita promessa, «praticamente ci siamo, la mia moralità è essere di parola». Invece nulla. O meglio: ministero a Romano, che minacciava di andarsene. Strapuntino da sottosegretario a un uomo di Storace (Musumeci) perché la Destra fa troppo comodo alle Amministrative. E gli altri a bocca asciutta. Perfino Pionati, che per Berlusconi si taglierebbe un dito, allarga le braccia: «Solo chi ricatta riesce a trovare ascolto. Avanti così non può durare». da - lastampa.it/politica/sezioni/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi ora promette: rimpasto dopo Pasqua Inserito da: Admin - Aprile 21, 2011, 06:03:55 pm Politica
21/04/2011 - RETROSCENA Berlusconi ora promette: rimpasto dopo Pasqua Ma per dieci posti ci sono 60 pretendenti. Gasparri: avanti con la riforma Alfano UGO MAGRI ROMA Noi non chiediamo poltrone», esordisce il portavoce dei Responsabili Sardelli nel salottino del premier, «ci interessa semmai un riconoscimento politico visibile». Eccolo qua, si danno di gomito i dignitari berlusconiani fin a quel momento annoiati (perché i «vertici» spesso si risolvono in una rassegna delle grane in sospeso): per essere visibile, il riconoscimento dovrà tradursi in poltrone... Faccia seria e grave del Cavaliere che ascolta Sardelli, di quando il quando annuisce. Si provveda, dunque. Rivolto a Verdini: «Quand’è che ti vedi coi Responsabili per definire i dettagli? Così nel primo Consiglio dei ministri dopo Pasqua faremo le nomine». Ci vediamo martedì, promette Verdini; e a quel punto la riunione si scioglie, a parte qualche ragionamento sulla Giustizia che Gasparri riassume così: «Vogliamo procedere sulla riforma costituzionale di Alfano per dare la prova che c’è un disegno di ampio respiro», non solo leggi per Berlusconi. Sardelli comunica agli altri Responsabili (se ne aggira un manipolo nella Camera deserta) la notizia, «allora è fatta», fine della snervante attesa. Ma Silvio manterrà davvero gli impegni, o s’inventerà qualche nuova scusa? A normativa vigente, nel governo c’è posto per 9 sottosegretari e un vice-ministro. Andrebbe calcolata pure la «cadrega» delle Politiche Europee, e l’intramontabile della Prima Repubblica Enzo Scotti vorrebbe sedersi, ma risulta già prenotata: apparteneva a Ronchi che si dimise per seguire Fini, viene tenuta vacante casomai lui e Urso tornassero subito dopo le amministrative. Dunque, 10 poltrone da distribuire. I pretendenti sono una sessantina, ai Responsabili si aggiungono quelli del Pdl e pure la Lega, perché Bossi reclama la sua porzione. Altri potrebbero aggiungersi se è vero che una vittoria a Napoli e a Milano, dove il Cavaliere terrà comizi e s’infilerà nelle cassette postali, spalancherebbe la porta a nuovi arrivi, tutti chiaramente da compensare. Il governo proporrà dunque di allargare la compagine tramite un apposito disegno di legge che richiederà mesi. Ma non è che le poltrone si possano moltiplicare all’infinito; ogni due pretendenti, Silvio sa di doverne mortificare uno. Per una maggioranza così esile, il passaggio è delicato, dunque il Cavaliere traccheggia. Pare voglia tornare sul Colle e chiedere a Napolitano cosa ne pensa, forse nella speranza che il Presidente gli metta i bastoni tra le ruote, onde poter dire a Sardelli e agli altri: il ritardo non è colpa mia. Se Berlusconi lo spera, resterà deluso. Il Capo dello Stato si terrà fuori dalla partita. L’altro giorno il premier gli aveva chiesto la controfirma sulla nomina di Musumeci, e Napolitano subito ha provveduto. Se la dovranno sbrigare Silvio e Verdini. Che ai Responsabili offrono 4 poltrone, quelli invece se ne aspettano sei. Qualcuno (Calearo) mette condizioni: o mi danno un incarico di tipo economico, oppure fa niente. Da volto noto del tigì, Pionati si sentirebbe a suo agio nel ramo comunicativo. C’è Razzi da accontentare, e non sarà facile, c’è Scilipoti e c’è la Melchiorre... Previsione sottovoce di chi gestisce la trattativa: dei 10 posti ne verranno assegnati solo 6-7. Gli altri tenuti lì, pronti, come esca per chi volesse aggiungersi alla maggioranza in extremis, e come carota per chi già tira il carro del premier. da - lastampa.it/politica/sezioni Titolo: UGO MAGRI Il Pdl lo attacca ma Tremonti ora è più forte Inserito da: Admin - Aprile 23, 2011, 05:26:14 pm Politica
23/04/2011 - GOVERNO: LO STALLO Il Pdl lo attacca ma Tremonti ora è più forte Smentita anche la voce su Grilli in via XX Settembre, Cicchitto spera in Bossi per ammorbidire il ministro UGO MAGRI ROMA Più cercano di mandarlo giù, e più Tremonti si tira su. L’esito paradossale (ma fino a un certo punto) degli attacchi contro il super-ministro è stato quello di rafforzarlo. Fa testo l’umore: ottimo, nel giudizio di chi ieri ha sentito Tremonti. Non certo lo stato d’animo di chi si sente ridimensionato. Poi qualcuno dirà che la sua vittoria è frutto degli autogol avversari, che la partita non finisce qui, che i nemici del professore dentro il Pdl e dentro il governo torneranno alla carica tra un paio di settimane, appena passate le Amministrative... Tutto vero. Intanto però, è giudizio pressoché unanime, uno a zero e palla al centro. Con Berlusconi obbligato dalle circostanze a manifestare solidarietà. Non solo: anche condivisione per una politica economica di cui privatamente dice peste e corna, quasi autorizzando la fronda nei confronti del suo ministro. Ora il Cavaliere si trova suo malgrado appiattito su Tremonti. E il «merito» (involontario) va riconosciuto a Galan. Il titolare della Cultura ha dato voce a quanto temono quasi tutti i ministri: «A forza di tagli, perderemo le prossime elezioni». Sennonché la sua intervista al «Giornale» è caduta proprio a tre settimane dal voto, quando di solito i governi cercano di mostrarsi compatti mettendo la sordina alle liti. Che altro poteva fare, il Cavaliere, se non tentare un rammendo? L’altra sera l’ha pure detto a Galan: un rimprovero mite, affettuoso, tutt’altro che una lavata di capo, però sempre di ramanzina si tratta secondo la versione del colloquio che Berlusconi ha diffuso tra i dignitari del Pdl. La colpa principale di Galan, ai suoi occhi, è proprio quella «di avermi obbligato a difendere Tremonti» per evitare catastrofiche dimissioni del ministro, laddove Silvio si preparava a metterlo sotto pressione. Il premier non vede l’ora di annunciare una riforma del Fisco che tagli le aliquote, come sta scritto nel capitolo più disatteso del suo programma elettorale. Tutto quanto è riuscito a ottenere da Tremonti consiste invece nella leggera pioggia di incentivi e di semplificazioni tributarie che verranno annunciate la prossima settimana: dalle proroghe del piano casa al sostegno per le reti alberghiere, al bonus fiscale per la ricerca. Sempre meglio di niente, però molto meno di quanto il Cavaliere si sarebbe atteso. Non è il primo assalto a Tremonti che fa un buco nell’acqua. Due anni fa, alla vigilia delle elezioni Regionali, ci fu una manovra coordinata e molto ben organizzata per fargli allargare finalmente i cordoni della borsa. Al ministero di via XX Settembre ancora ricordano il vasto schieramento ostile: coordinatori nazionali del Pdl, capigruppo, vicecapigruppo, ministri, tutti uniti come una falange macedone. Avevano quasi stretto Giulio alle corde. Poi però scoppiò la crisi in Grecia, e nessuno ebbe il coraggio di insistere. Oggi non è che stiamo molto meglio, avverte Bonaiuti, trait-d’union tra Berlusconi e Tremonti, presente alla loro lunga reciproca «spiegazione» di due sere fa: «La realtà è quella di una crisi finanziaria internazionale che non sta ancora alle nostre spalle. Come si fa a non tenerne conto?». Per cui non è con i complotti, le cene tra ministri o le cariche frontali che se ne può venire a capo. Tra le smentite su cui il Cavaliere s’è dovuto esercitare, c’è la chiacchiera rilanciata da Dagospia, il sito di gossip politico che Tremonti legge (o qualcuno gli segnala, fa lo stesso): si prepara un cambio al dicastero dell’Economia, il candidato di Berlusconi è Grilli, direttore generale del Tesoro... Anche se ci avesse davvero pensato, il premier sarebbe costretto a negarlo. Meglio, molto meglio una strategia flessibile, tipo quella che (tra le righe) suggerisce Cicchitto: convincere Tremonti con le buone maniere e, soprattutto, con l’aiuto di Bossi. Sostiene il capogruppo Pdl alla Camera, che sempre più spesso prende il comando delle operazioni: «Bisogna fare di tutto per aprire una nuova fase che contenga gli elementi di crescita possibili e realistici; c’è l’interesse di fondo del Pdl e della Lega». Da cui Tremonti non vorrà isolarsi. da - lastampa.it/politica/sezioni Titolo: UGO MAGRI Ma Berlusconi tira dritto "Vinco le amministrative" Inserito da: Admin - Maggio 07, 2011, 06:32:40 pm Politica
07/05/2011 - RETROSCENA Ma Berlusconi tira dritto "Vinco le amministrative" Risposta al Quirinale delegata ai capigruppo: "Nuova fiducia? Non c’è problema" UGO MAGRI ROMA La rispostaccia al Quirinale è il segno di quanto i berlusconiani adesso si sentano al sicuro, dell’euforia un po’ ribalda che negli ultimi giorni ha preso il posto dei musi lunghi e rassegnati. Piaccia o non piaccia, il Cavaliere è convinto di avercela quasi fatta: per brindare allo scampato pericolo, magari in una delle sue feste eleganti, attende solo il voto delle amministrative. E poi, se avrà vinto tanto a Napoli quanto a Milano, si troverà la strada tutta in discesa fino al termine della legislatura. Per cui Napolitano che si ritrae schifato dal «rimpastino», che punta l’indice contro il trasformismo e che non accetta di farlo passare sotto silenzio, al premier causa tutt’al più irritazione ma non allarme, tantomeno sorpresa poiché quegli stessi concetti Napolitano li aveva anticipati personalmente in uno dei recenti incontri. Prova ne sia che a Palazzo Grazioli nessun vertice è stato convocato per soppesare le virgole. Addirittura, Berlusconi è arrivato al punto da delegare la replica ai suoi capigruppo, «sbrigatevela voi» gli ha detto. Il linguaggio spigoloso, il richiamo alle tante volte che si è già misurata la fiducia al governo per cui non si capisce quale senso abbia insistere col termometro, il tono generale di fastidio per un richiamo vissuto ai vertici Pdl come «pretestuoso», tutto ciò è farina del sacco di Gasparri e di Cicchitto. Dà il primo una sua interpretazione: «Dopo aver bacchettato la sinistra dichiarandone l’inadeguatezza, forse al Quirinale hanno pensato di riportare il dibattito sulla destra...». Ringhia Cicchitto, che pure di Napolitano è amico: «Questa volta non ci ha convinto per niente». Se poi l’opposizione pretendesse a tutti i costi un dibattito, nel campo berlusconiano si dichiarano pronti, «un nuovo voto di fiducia non potrebbe che rafforzare il governo». Nessuno che scorga nubi nere all’orizzonte. Anzi le cose per il Pdl stanno prendendo una piega che nemmeno i più ottimisti avrebbero mai sperato. Sostiene Quagliariello, numero due berlusconiano a Palazzo Madama: «Siamo usciti molto meglio di quanto noi stessi prevedevamo dalla crisi libica, dalle difficoltà con la Lega, dal rimpasto». Il vero banco di prova sarà tra 8 giorni, alle Amministrative. E i segnali che giungono al Cavaliere dalle città contese sono tutti favorevoli. Nel suo giro si discute se la Moratti e Lettieri passeranno al primo turno o se invece servirà il ballottaggio: ma la vittoria di entrambi non è in discussione, quantomeno nei dati in possesso del Cavaliere (Napolitano ne ha di molto diversi). E «se facciamo bingo in quelle città, non ce n’è più per nessuno», già pregusta il trionfo Osvaldo Napoli. E i processi, che terrorizzavano il premier? Non c’è più il timore di una pronta condanna per Ruby, per Mills? L’entourage assicura di no, ci informa che è tutto svanito. A liquidare il processo Mills provvederà, spiegano sottovoce, la prescrizione breve che il Senato si appresta a timbrare; sull’accusa di favoreggiamento della prostituzione minorile pensa invece una leggina (non ancora presentata ma pronta) che impone ai giudici di sospendere il dibattimento nelle more dell’attesa che la Corte costituzionale si pronunci sul conflitto di attribuzione… Ma la mossa che più entusiasma l’« inner circle» berlusconiano, gli scudieri al Cavaliere più fedeli, è l’investitura di Tremonti quale «successore in primis». La considerano vincente per una somma di ragioni proiettate al futuro (una fattiva collaborazione tra Silvio e Giulio, dicono, farà fiorire la riforma fiscale e le misure per lo sviluppo in vista delle Politiche nel 2013) e di altre motivazioni molto tattiche, più legate al presente. Una su tutte: Berlusconi finalmente riprende a fare politica e delinea per se stesso una «exit strategy», una via d’uscita, che obbliga tutti a rifare un po’ i conti. Opposizione compresa. Che senso ha prendere a testate il Cavaliere se tre due anni il candidato del centrodestra magari non sarà lui? E quale logica avrebbe un governo tecnico, se il compito di guidarlo toccasse proprio a colui che Berlusconi indica quale premier dopo di sé? «Il governo tecnico è defunto», se la ride Bonaiuti, «e dopo le amministrative ne vedremo di belle…». da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/ Titolo: UGO MAGRI Pdl-Berlusconi, interessi diversi Inserito da: Admin - Maggio 10, 2011, 12:04:43 pm Politica
10/05/2011 - AMMINISTRATIVE VERSO IL VOTO Pdl-Berlusconi, interessi diversi Nelle comunali di domenica l'imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli Qual è la posta in palio alle prossime elezioni? Un’analisi partito per partito per capire chi, e in quale occasione, potrà cantare vittoria. A cominciare dal Pdl: il partito che Berlusconi è pronto a sacrificare pur di salvarsi UGO MAGRI Per la prima volta gli interessi del Pdl coincidono solo in parte con le fortune elettorali del Fondatore (una volta erano in due, ma l’altro ha fatto la fine di Remo). Mai come ora Berlusconi è parso pronto a sacrificare il partito pur di salvare se stesso. Nelle Comunali di domenica l’imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli. Espugnare entrambe al primo turno sarebbe una prova di salute politica inaspettata; ma pure vincere i ballottaggi all’ombra tanto del Vesuvio che della Madunina gli andrebbe di lusso. E in fondo in fondo perfino un pareggio, che equivarrebbe a riprendersi solo Milano lasciando Napoli alla sinistra, darebbe al Cavaliere la chance di tirare avanti con il governo, ammaccato ma ancora vivo, fino al capolinea della legislatura (primavera 2013). Se tra sette giorni Berlusconi avrà centrato almeno uno di questi obiettivi, potrà dire: «Io cado sempre in piedi». Per il Pdl è diverso. Quasi l’opposto. Nell’ansia di sfangarla, Silvio mette in secondo piano la sorte della sua creatura politica. Anziché aiutarla a crescere, a piantare radici sul territorio, a tirar su una nuova classe dirigente, in qualche caso Berlusconi la trascura; in altri la sacrifica senza pietà. Col risultato che il Pdl affronta il voto con la gioia del cappone sotto Natale, quasi vittima designata dal padre padrone. E’ possibile, per fare un piccolo esempio, che la decisione berlusconiana di correre capolista a Milano possa rappresentare una spinta alla candidata Moratti. C’è chi ne dubita e anzi teme l’effetto-boomerang della campagna ossessiva contro i magistrati, questo eccesso di personalizzazione sul premier tirata al punto che gli spot radiofonici pro Cavaliere implorano: «Se mi vuoi bene, votami». Berlusconi teme la scarsa affluenza, l’astensionismo. Il suo nome si perde in fondo alla scheda, bisogna cercarlo con cura... Sta di fatto che Silvio si comporta come un’idrovora, asciuga lo stagno delle preferenze (se ne può esprimere al massimo una), i candidati Pdl boccheggiano tutti tranne l’unico che non dovrebbe nemmeno figurare in lista, quel Lassini venuto alla ribalta coi manifesti anti-pm. Ma il vero conflitto d’interessi tra il premier e il suo partito riguarda essenzialmente Bossi. Per quieto vivere, il Cavaliere consentì mesi fa alla Lega di presentarsi con candidati propri, contrapposti a quelli del Pdl, dove meglio credeva. In pratica, Berlusconi diede il via a una sfida dove i suoi campioni sono destinati al massacro. Per il semplice motivo, dicono in via dell’Umiltà, «che noi combattiamo con le mani legate». Bossi fa una campagna spregiudicata, ormai si distingue su tutto, specie sulle decisioni impopolari, da Parmalat al nucleare. Il caso più eclatante? La Libia, che provoca al premier vistosi cali di immagine. Il Carroccio non si fa scrupoli di condannare la guerra. Il Pdl invece non ha scampo, può solo trangugiare le scelte governative, subendone gli alti (pochini) e i bassi (parecchi). Ricapitolando con le parole di Osvaldo Napoli il quale, tra l’altro, da domenica sarà vicepresidente vicario Anci e di contese locali ne capisce: «Tolte Milano e Napoli, che sono affare di Berlusconi, tutto il resto andrà in carico al partito. Ed è lì che il Pdl dimostrerà di esserci o no». Specie nel confronto diretto con la Lega. A Bologna. A Trieste. In quello che sta diventando il simbolo della disfida, con Bossi che vi comizia un giorno sì e l’altro pure, cioè Gallarate. Guerra crudele perché, se al primo turno la spunta il candidato sindaco del Pdl, poi non è detto che la Lega dia un sostegno compatto nel ballottaggio, specie a Trieste. E comunque lo scontro fratricida è destinato a spingere in alto i padani nel voto di lista, a detrimento di chi si capisce. In generale la prospettiva del Pdl è grama. Ben che vada al partito del Cavaliere, può liberare Rimini dai «comunisti», e allora giù il cappello. Tuttavia rischia di perdere Latina, mai a sinistra negli ultimi 90 anni, comprendendo l’era del Fascio. Ai vertici Pdl si spera in un colpo di reni a Catanzaro e a Cosenza, si teme invece per Reggio Calabria... I triumviri Pdl (Verdini, Bondi, La Russa) incrociano le dita ma sanno già come va a finire: salvo miracoli, Berlusconi darà la colpa a loro. da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/401447/ Titolo: UGO MAGRI "Partito da rifare" Berlusconi prepara il capro espiatorio Inserito da: Admin - Giugno 01, 2011, 06:12:36 pm Elezioni 2011
29/05/2011 - AMMINISTRATIVE: LA POSTA IN GIOCO "Partito da rifare" Berlusconi prepara il capro espiatorio È tornato a Villa Certosa, come ai vecchi tempi e lascia filtrare l'ipotesi di un predellino-bis UGO MAGRI L'unica vera forza del Presidente del Consiglio è di non avere un vero e proprio partito alle spalle. Perché se il Pdl fosse l’erede della vecchia Democrazia cristiana, già domani sera una folta delegazione di notabili andrebbe da Berlusconi a dirgli: «Nell’interesse di tutti, farai un passo indietro». Ma Silvio conosce i suoi polli, e sa già che nessuno ne avrà il coraggio. In fondo se li è fabbricati così. Né gli risulta che Bossi voglia aprire nell’immediato una crisi senza aver chiari gli sbocchi. Per cui il Cavaliere va incontro alla probabile doppia legnata a Milano e a Napoli relativamente certo di sopravvivere pure stavolta. Si narra che stia trascorrendo in letizia questo weekend a Villa La Certosa, come ai vecchi tempi. Inutile immaginarsi dunque un remake (l’ennesimo) de «Gli ultimi giorni di Pompei»: certe atmosfere decadenti nel centrodestra richiamano semmai il pasoliniano «Salò e le 120 giornate di Sodoma». Insomma, per quanto incredibile possa sembrare, a Berlusconi il ballottaggio aggrava l’umore fino a un certo punto. Perdere le elezioni, soprattutto in casa, piacere non gli fa, questo è scontato; pare che ieri sera coltivasse ancora qualche speranziella di recuperare, specialmente a Milano gli hanno raccontato che l’aria è cambiata, a Napoli vai a capire. Ma molto più importante ai suoi occhi è che nessuno stacchi immediatamente la spina, cosicché comunque vada lui possa farsi qualche altro giro di giostra. I Responsabili sbandano, la Melchiorre se ne va? «La sua uscita non ci aggiunge nulla e non ci toglie nulla», alza le spalle il portavoce Bonaiuti. La figuraccia politica? Lo smottamento di immagine? «Chi spera che il Cavaliere vada a nascondersi rosso di vergogna proprio non lo conosce», scuotono il capo nel suo giro stretto. Pare abbia già trovato un capro espiatorio: il partito, appunto. Il Cavaliere ne parla con sprezzante distacco. Dice: «Loro» riferendosi ai gerarchi; oppure «voi» (quando ce li ha davanti, cioè il meno possibile). Ha «scaricato» la Moratti e Lettieri senza nemmeno attendere il verdetto degli elettori, la colpa è di chi ha spinto per candidarli, lui più di tanto non poteva fare. E lascia circolare la voce di un secondo «predellino», azzerare tutto, tabula rasa per ricominciare daccapo con un partito nuovo di zecca, via la vecchia insegna che in fondo non gli piaceva, avanti con un altro nome (ce ne sono diversi allo studio, il marketing ha le sua regole). Poi magari non ne farà nulla poiché spostare una sola pedina nel Pdl significherebbe compromettere la maggioranza alla Camera che si regge su pochi voti. Ma intanto Berlusconi potrà mettere sotto accusa il suo gruppo dirigente. E non è che manchino gli argomenti. Pare l’abbia molto colpito la descrizione visiva dei suoi «gazebo», confrontati con quelli di Pisapia: questi ultimi colorati e traboccanti di depliant, volantini, manifesti; quelli della Moratti tristi, sconsolatamente vuoti di volontari e di materiali propagandistici (a proposito, che fine hanno fatto con tutto quello che gli son costati?). Nel Pdl circolano altre idee. Nessuno crede che tutto continuerà come prima. «Business as usual» per Berlusconi, forse, ma non per quelli che sono diventati onorevoli grazie al premio di maggioranza, se tra due anni vince la sinistra addio: tenerli in riga sarà un’impresa. Qualunque deputato, avendo poco da perdere, alzerà il suo prezzo o si guarderà intorno. Le menti più fini del Pdl invocano un colpo d’ala, una ripresa d’iniziativa politica. Quagliariello, capogruppo vicario in Senato, giura che il Pdl non tradirà, sostiene convinto che «la risposta semmai debba venire anzitutto dal governo e dall’economia», un modo elegante per chiamare in causa Tremonti. Osvaldo Napoli ci crede meno, e immagina un partito che perlomeno «abbia il coraggio delle sue idee», e sappia tenere posizioni diverse dal governo «ad esempio sul nucleare, sui servizi pubblici locali, sui rapporti con la Lega...». Berlusconi ascolta tutti i discorsi e sbadiglia. Giorni di lavoro del «sinedrio» per suggerirgli di puntare su riforma del fisco e Mezzogiorno; sembrava persuaso, invece poi è andato da Obama a parlargli dei suoi processi. L’uomo è così, prendere o lasciare. da - www3.lastampa.it/focus/elezioni2011/ Titolo: UGO MAGRI Lo sgambetto di Bossi, l'incubo di Berlusconi Inserito da: Admin - Giugno 06, 2011, 12:51:12 pm Politica
06/06/2011 - GOVERNO - DOPO IL KO ELETTORALE Lo sgambetto di Bossi, l'incubo di Berlusconi Oggi a pranzo, vertice decisivo ad Arcore. Pressing su Tremonti perché si ammorbidisca UGO MAGRI ROMA Oggi a pranzo la Lega rivolgerà a Berlusconi tutte quelle domande che aveva fin qui rinviato. Va bene tirare avanti altri due anni, gli chiederanno anzitutto, ma facendo che cosa? La riforma del fisco, okay, però con quali soldi? E la manovra per pareggiare i conti entro il 2014, non è che farà perdere al centrodestra le prossime elezioni? Non sarà il caso di andare alle urne l’anno prossimo, prima che i tagli producano i loro effetti? Bossi vorrebbe capire qual è la rotta, l’incontro è fissato proprio per discuterne a cuore aperto. Si vedranno col Cavaliere ad Arcore, come di consueto. Garantita la presenza al vertice del segretario Pdl in pectore, Alfano. Bossi porterà con sé Calderoli e Maroni. Non mancherà Tremonti, anzi tutto lascia immaginare che sarà lui il grande protagonista. Tremonti non ci sta a recitare la parte del cattivo. Sembra che sia lui a negare i soldi per abbassare le tasse. Il superministro sostiene invece che la manovra da 40 miliardi in tre anni è la conseguenza del pareggio di bilancio promesso da Berlusconi. Ce la impone l’Europa e, prima ancora, serve per tenere l’Italia fuori dal mirino della speculazione. Non pare disponibile a fare sconti, sebbene una scuola di pensiero molto prossima al Cavaliere sostenga che oggi «Giulio verrà messo in mezzo, dovrà subire la pressione congiunta di Berlusconi e dello stesso Bossi in quanto pure la Lega sta perdendo voti per colpa della pressione fiscale, insomma Silvio e Umberto hanno lo stesso interesse ad ammorbidirlo». Per il momento Tremonti rimane parecchio rigido. E quale sia il suo atteggiamento lo conferma paradossalmente una smentita. Ieri il quotidiano «Libero» aveva dato per plausibile il taglio delle tasse sulla base del compromesso tecnico di cui si vocifera da giorni (sforbiciata alle agevolazioni fiscali per abbassare Irpef ed Irap). Tremonti poteva lasciar correre, far finta di non aver letto i quotidiani domenica; invece è subito intervenuto: l’articolo «è lievemente privo di fondamento economico e politico», ha fatto precisare dal Tesoro. Come dire: siamo lontani assai da un accordo sulla materia. Chi colloquia con Berlusconi lo descrive «prudente e preoccupato», racconta che in queste ore Silvio «riflette» senza sbilanciarsi sulle sue prossime mosse. Dicono anche che il premier appare «consapevole che la strada è stretta» e per la prima volta «nutre dei dubbi sulle reali intenzioni della Lega». La quale Lega oggi gli chiederà di allargare la maggioranza ai centristi, o quantomeno di provarci, perché con 10 voti di maggioranza il governo andrà incontro a un autunno tragico. Pionati per telefono ha suggerito a Berlusconi il rovescio, «non ha senso andare appresso a Casini, noi Responsabili saremo una garanzia». Osvaldo Napoli non ha parlato col premier, però scuote il capo e spiega: «Se le condizioni dell’Udc restano quelle che conosciamo, anzitutto le dimissioni del governo e di Berlusconi, mi sembra inutile farsi troppe illusioni su un’apertura ai centristi». E’ molto probabile che il Cavaliere, con la Lega, voglia adottare una linea soft. «La maggioranza c’è ed è salda, possiamo fare tutte le riforme che vogliamo», dirà senza affatto convincere i suoi interlocutori. Salvo aggiungere qualcosa del tipo: «Non ho niente in contrario a fare un passo verso l’Udc, Alfano l’ho nominato segretario apposta per ricucire i rapporti… Anzi provateci pure voi. Ma ho servi dubbi che sia sufficiente. E certo io non posso aprire una crisi di governo in questo momento senza nemmeno la garanzia che possa servire…». E’ convinzione profonda del Cavaliere, sostiene chi gli sta intorno, che senza di lui la Lega non andrebbe da nessuna parte. Con un Pd trascinato a sinistra dalla vittoria di Napoli e di Milano, il Carroccio non ha più sponde. Un modo per rompere le sue catene, si mette nei panni di Bossi il centrista Rao, sarebbe quello di imboccare la via della riforma elettorale. Quagliariello (Pdl) ne dubita, cambiare il «Porcellum» gli sembra un’arma spuntata. Fatto sta che la Lega è inquieta. Da Berlusconi si attende risposte. Né si fida delle parole. Di morire per Silvio in via Bellerio non se lo sogna nessuno. da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/405624/ Titolo: UGO MAGRI Fisco, vertice notturno tra Pdl e Lega. Inserito da: Admin - Giugno 08, 2011, 04:22:02 pm Politica
08/06/2011 - GOVERNO Fisco, vertice notturno tra Pdl e Lega. Bossi a Berlusconi: abbassate le tasse All'incontro anche Tremonti UGO MAGRI Sarà pure andata «benissimo» come cerca di far credere Berlusconi, ma dopo l’incontro di lunedì con Bossi e Tremonti i problemi erano rimasti tutti sul tavolo. Ingarbugliati. Il risultato è che stanotte, senza preavviso, si sono rivisti quei tre: il Cavaliere, il Senatur e il Super-ministro, col concorso di Calderoli, e nulla hanno lasciato trapelare dei loro discorsi. Perché grande è il disordine sotto il cielo. Il taglio delle tasse si farà più avanti, certamente, anzi forse, e comunque adesso si deve tirare la cinghia; sopravvivere fino al 2013 sarebbe l’intenzione del governo, però la vox populi parla di elezioni già il prossimo anno; Alfano vorrebbe lasciare la Giustizia per diventare segretario del Pdl (ieri ha avuto una folla di incontri), sempre che Berlusconi scelga il suo successore. Chi ieri si è recato in visita dal Cavaliere riferisce che ha le idee chiarissime solo sulle «primarie»: Quagliariello gli ha studiato una legge che le rende obbligatorie per sindaci, presidenti di provincia e di regione, non per il candidato premier. Berlusconi vi scorge l’inizio di un nuovo movimentismo, la scintilla di una seconda rivoluzione dopo quella del «predellino». Bilancio in rosso Dice Bossi: «Lunedì ero ad Arcore e assicuro che la nostra volontà è di andare avanti». Sul taglio delle tasse: «Si farà di tutto per arrivarci». Su Tremonti sotto assedio: «Fantasie di voi giornalisti...». Peccato che il Bossi parlante in questo caso sia Renzo, per gli amici «Trota». Suo padre invece fa discorsi che mettono a nudo l’impasse: «Sono Berlusconi e Tremonti a dover trovare la quadra» sul fisco, per ora la stanno cercando. Rincara Bossi (senior): «Bisogna essere cauti, ma alla fine Tremonti dovrà trovare il modo di ridurre un po’ le tasse per le famiglie e per le imprese». È l’ammissione onesta che siamo ancora al carissimo amico. Spiega privatamente Tremonti: «L’importante era confermare l’obiettivo del pareggio di bilancio per una questione di sopravvivenza. Poi più avanti vedremo...». Agli occhi del ministro molto dipende da come evolverà la crisi dell’eurozona, da ciò che farà la Grecia in settembre. Prima di allora Berlusconi e Bossi non debbono fargli proposte indecenti. Lo sfogo di Silvio Napolitano vuole mettere bocca su tutto», si lamenta con l’entourage il premier, «quando gli ho parlato del successore di Alfano alla Giustizia, mi ha detto chiaro che ne devo discutere prima con lui...». E in effetti la settimana scorsa, quando Berlusconi fece visita al Colle, ci fu un rapido cenno sull’argomento. Nel senso che il Cavaliere stava incominciando a snocciolare una fila di nomi per sondare l’atteggiamento del Presidente. Napolitano però fu rapido nello stopparlo: «Adesso», disse all’incirca al premier, «sarebbe fuor di luogo svolgere una disamina dei candidati. Lei si chiarisca e ne riparleremo con calma. Sappia», aggiunse Napolitano nell’occasione, «che mi deve portare una proposta adeguata all’incarico di Guardasigilli», mica può ricoprirlo chicchessia. Per primo Berlusconi si era rivolto a Cicchitto, capogruppo alla Camera, ricevendone un no risoluto. Adesso pare che nemmeno Lupi voglia prendersi la grana, perché di grana si tratta: riparte al Senato l’esame del processo breve, con la norma ad personam sulla prescrizione. Il nuovo ministro si insedierà giusto in tempo per trovarsi nell’occhio del ciclone. Lupi: «Non sono interessato, non farò il ministro della Giustizia». Crescono le chances della Gelmini, ammesso che gradisca traslocare dall’Istruzione. Nel frattempo circola una scommessa: Alfano resterà in via Arenula chissà ancora per quanto. Fini torna a destra Dinanzi alla crisi del berlusconismo, spiega ai suoi il presidente della Camera, «bisogna cancellare ogni residua ambiguità politica» e spiegare bene d’ora in avanti che «non siamo una costola della sinistra». Botte di Bocchino in testa ai Briguglio e (soprattutto) ai Granata: «Fli è ancorato a destra, altre strade sono velleitarie e fallimentari». da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/406032/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi teme un nuovo '92 Inserito da: Admin - Giugno 20, 2011, 08:31:18 am 16/6/2011
Berlusconi teme un nuovo '92 UGO MAGRI Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen. La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta. A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...». Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto. Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe». Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai». da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/ Titolo: UGO MAGRI E il premier: la missione in Libia finisce a settembre Inserito da: Admin - Giugno 21, 2011, 09:48:37 am Politica
21/06/2011 - RETROSCENA E il premier: la missione in Libia finisce a settembre Riunione notturna, Berlusconi verso l'intesa con il Carroccio UGO MAGRI ROMA Un ministro dell’Interno che rimbecca il Capo dello Stato ancora mai si era visto nella galleria degli orrori istituzionali. Ieri la lacuna è stata colmata: sulla guerra libica Maroni ha sostenuto il rovescio esatto del Presidente, che tra parentesi è il comandante supremo delle Forze armate. Logico che al Quirinale non ne siano lieti. Ma il vero attentato politico è contro il primo ministro. La richiesta di una data, entro cui sganciarsi dalla missione, innesca una bomba sotto la poltrona del Cavaliere; pare di udirne il «tic-tac». Può esplodere entro il mese, quando il governo dovrà rifinanziare le missioni. Oppure lo scoppio può tardare fino a settembre, se nel frattempo Gheddafi non si sarà arreso. La speranza del Cavaliere è proprio questa, che il Colonnello tolga il disturbo. Oggi pomeriggio in Senato venderà come certezza questo suo desiderio: sicuramente tutto sarà finito, dirà il premier nel «discorso della verifica», prima ancora di dover chiedere al Parlamento ulteriori denari (quelli stanziati bastano per tre mesi). E se invece il Colonnello per dispetto si ostinasse a restare oltre quella data? Maroni, con lui la Lega, vuole che Berlusconi dica qui e subito: comunque vada, a settembre l’Italia si sfila. Molla gli alleati e stop ai bombardamenti. Un impegno solenne. Pur di tirare avanti, Berlusconi è disposto a prenderlo. Oggi annuncerà che il nostro impegno militare scade a settembre, così come fu stabilito in sede Nato. Proverà a convincere Napolitano nel Consiglio Supremo di Difesa il 6 luglio. Gran consiglio fino a notte nello studio del Cavaliere. Ogni singola parola del discorso l’hanno soppesata in dieci, capigruppo ministri e «consigliori». Escluso che Berlusconi dica cose scioccanti (leggenda messa in giro dalla Zanicchi e ancora ieri propalata da ministri); chi ha lavorato al testo giura «non ce n’è traccia». Tono alto e nobile, rammarico per una legislatura iniziata con altre ambizioni e declinata in peggio, elogio a Tremonti per aver tenuto i conti pubblici in sicurezza, forte consapevolezza del momento drammatico, impegno strenuo per le riforme tra cui quella della giustizia scivola in fondo alla lista, verrà solo accennata... Il discorso è un patchwork di apporti coordinati da Bonaiuti. Chi ne ha letto l’ultima stesura vi scorge l’impronta stilistica prevalente di Giuliano Ferrara. Poi, si capisce, Silvio vi ha messo del suo. Di rado, garantiscono i suoi, Berlusconi è apparso così presente a se stesso, altrettanto conscio che la barca lentamente affonda, non fa in tempo a turare una falla che un’altra se ne apre. Alle 11 del mattino l’hanno chiamato da Roma (lui stava ancora ad Arcore): «Alemanno pianta una grana sui ministeri al Nord». Stupore e irritazione del premier, lo dava per capitolo chiuso, «che bisogno c’è di riaprirlo se perfino Bossi a Pontida non ha calcato la mano?». Corsa di Cicchitto a parlamentare col sindaco in Campidoglio, trattative con la Lega per una mozione in grado di «parare» quella del centrosinistra senza mandare in briciole il Pdl. Lunghe discussioni intorno al tavolo notturno, presente Calderoli, per stabilire se è opportuno che Berlusconi ne parli in Aula. Alla fine la decisione: Silvio dirà che, purtroppo, l’articolo 114 della Costituzione vieta di trasferire ministeri al Nord, la Capitale è Roma come è scritto pure nella legge n.42 sul federalismo fiscale, fortemente voluta dalla Lega, dunque gli organi istituzionali lì debbono risiedere. A meno che non si voglia cambiare la Costituzione. Ma sarebbe un processo lungo. «Nel frattempo emanerò un decreto», pare orientato a dire il premier, per trasferire al Nord certi uffici di rappresentanza, compreso «il personale di diretta collaborazione» (segretarie, portaborse) e quello che accetterà di spostarsi... Sondaggi fatti sul Colle confermano che tale formulazione non incontrerebbe ostacoli presidenziali. Insomma: il governo sui ministeri pare in grado di sfangarla. Ma è il clima generale che inquieta il premier. E come potrebbe stare sereno con Maroni che svillaneggia Tremonti? «Ho impegni più piacevoli che vedere lui», è la battuta rimbalzata fino a Lussemburgo, dove si trovavano il Professore e Frattini. «La verità», sospira un dirigente tra i massimi del Pdl citando il poeta Ungaretti, «è che si sta come d’autunno sugli alberi le foglie... Oggi ci siamo, domani chi può dirlo?». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/408049/ Titolo: UGO MAGRI Metamorfosi di Tremonti da ragioniere a mediatore Inserito da: Admin - Luglio 01, 2011, 06:38:51 pm Politica
01/07/2011 - RETROSCENA Metamorfosi di Tremonti da ragioniere a mediatore Il ministro sorprende il premier e gli sfila il ruolo di pontiere Sorrisi con Brunetta, spiegazioni alla Meloni, sintesi con Bossi UGO MAGRI ROMA Nella distrazione collettiva, è in corso un trasferimento di poteri. In apparenza resta un uomo solo al comando, cioè Berlusconi: è lui l’Onnipresente che assume tutte le decisioni. Ma se si dà retta a chi ne conosce la genesi, apprendiamo che il Cavaliere sempre meno le adotta. Nel Consiglio dei ministri di ieri, riunito per mettere il timbro sui sacrifici, «deus ex machina» è risultato Tremonti. Il quale inaugura una linea duttile, flessibile di cui pochi lo ritenevano capace, che non è più quella del ragioniere arcigno, preoccupato di difendere solo l’equilibrio dei conti, semmai del politico capace di mediazione e di sintesi. Ha vestito i panni che dovevano essere del premier. Il più sorpreso, alla fine, è risultato Berlusconi. In privato si è detto deluso, «in questa manovra manca il timbro del sogno, io non l’avrei fatta così»; in pubblico ha ringraziato Giulio «per la pazienza» dimostrata. Gli ha perfino riconosciuto lo «spirito di collaborazione con i colleghi di governo» di cui si è avuta prova sui tagli ai costi della politica. Immaginiamo la scena: Consiglio dei ministri interrotto a metà, tavolo «tecnico» convocato su due piedi, riuniti personaggi che con Tremonti una settimana fa si sarebbero presi a botte. Invece niente. Addirittura sorrisi tra il superministro e il suo competitor più agguerrito, Brunetta. L’unica discussione sgradevole ieri è scoppiata sul commercio estero, protagonisti il titolare dello Sviluppo (Romani) nervosissimo, «ho tutti gli industriali addosso», e quello della Farnesina Frattini (al quale verranno conferiti in dote i dipendenti dell’Ice). Tremonti se n’è tenuto estraneo. Due ministre, la Meloni con la Carfagna, gli si sono lanciate contro come Erinni per sapere dove aveva nascosto i fondi per la tutela della donna, ma il Professore ha replicato affabile, «ne parleremo con calma, vi spiegherò». Alla scuola niente amputazioni, la Gelmini (che nel Pdl ha un certo peso) è stata graziata. E il malcontento della Lega si è scaricato senza danni sul parafulmine-rifiuti: protesta vibrata di Calderoli contro il decreto salva-Napoli, Bossi ha pure fatto la scena di andarsene un paio d’ore, ma la sensazione è quella di una «combine». L’unico argomento su cui ieri la Lega poteva piantare la grana, i tagli ai Comuni, è filato via liscio. Osvaldo Napoli, che nell’Anci fa funzioni di presidente, è disperato per il miliardo di euro in meno nel 2012, 2 miliardi nel 2013. Invece il Carroccio niente, al massimo qualche rimostranza. Tremonti se la cava rivedendo per i Comuni virtuosi il Patto di stabilità, come chiedeva Bossi. Un tempo era Berlusconi che metteva pace tra Giulio e il resto del pianeta; stavolta Silvio non ha toccato palla, il ministro ha gestito la mediazione in proprio trovando appoggi altissimi. L’uscita di Napolitano da Oxford, quando il Presidente l’altro ieri ha certificato che la concentrazione dei sacrifici nel 2013 e 2014 corrisponde ai «desiderata» europei, toglie il ministro dal mirino di Bersani. Ma soprattutto smentisce i «berluscones», che vantavano stoltamente lo slittamento dei tagli come una loro conquista. La verità crudele narrata nelle segrete stanze è quella di un premier «evaporato», distratto, addormentato spesso in senso tecnico. Capita con una frequenza che nei fedelissimi allarma e fa quasi tenerezza. Berlusconi con gli occhi chiusi, la testa poggiata sul mento, durante il vertice a Palazzo Grazioli di martedì; poi di nuovo l’altro ieri nella riunione a Montecitorio dopo la bocciatura del decreto comunitario; e ancora ieri, semi-assopito a tratti nell’incontro con Regioni ed Enti locali sui rifiuti in Campania. Unico trasalimento verso la fine, quando Berlusconi è ritornato nei panni del «ghe pensi mi», correrò sotto il Vesuvio una volta ogni settimana, in un anno e mezzo del problema non resterà traccia... Nel governo il pallino ce l’ha Tremonti. E oggi un quarantenne che sa gestire il potere come i vecchi draghi democristiani, Alfano, prenderà l’intero mazzo nel Pdl. In queste ore Angelino ha respinto l’assalto dei capicorrente che volevano metterlo sotto tutela, il «niente direttorio» è stata la sua prima vittoria. Oggi l’investitura da circa mille delegati ed eletti, «per certi aspetti vale perfino più di un congresso», annota Quagliariello. Berlusconi come la prende? «Ah, mi sa che dovrete cercarvene un altro, io ormai sono vecchio...», sospirava ieri con la civetteria di chi si attende dal popolo un coro di «nooo, non ci lasciare». Ma il tempo passa per tutti, compreso lui. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/409506/ Titolo: UGO MAGRI Da dieci giorni il Quirinale chiedeva spiegazioni al Cavaliere Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:29:52 pm Politica
27/07/2011 - RETROSCENA Da dieci giorni il Quirinale chiedeva spiegazioni al Cavaliere Il premier ora lamenta: "Il Colle vuole costringermi a litigare con la Lega" UGO MAGRI ROMA Prima di prendere carta e penna, il Presidente le aveva tentate tutte. Addirittura sabato, prima che a Monza andasse in scena la cerimonia dei ministeri, tramite il centralino del Quirinale aveva cercato Letta. E col braccio destro del premier Napolitano era stato di una chiarezza adamantina: un trasferimento al Nord sarebbe «fuori delle regole e dei parametri costituzionali», davvero non si può fare. Ma già prima il Capo dello Stato ne aveva parlato direttamente con Berlusconi, l’ultima volta lunedì 18 luglio, quando il Cavaliere era andato a sciorinargli una lista lunga così di candidati per la poltrona di Guardasigilli... Parole al vento, tuttavia, perché Bossi e Calderoli, con Tremonti e la Brambilla, hanno dato vita ugualmente a quella che la sinistra e un po’ di destra considerano una «pagliacciata». Che cosa doveva fare, a quel punto, Napolitano? Far finta di niente, e magari ricevere oggi o domani Berlusconi per la nomina di Nitto Palma a ministro della Giustizia? L’uomo del Colle non è certo tipo da farsi prendere in giro. Il testo della sua lettera resta riservato. Nel comunicato ufficiale tuttavia si parla di «rilievi e motivi di preoccupazione». In che cosa consistano le preoccupazioni è facile intuire: Napolitano teme la proliferazione delle rappresentanze ministeriali, dopo il Nord anche al Sud. Una volta incrinato il principio di Roma Capitale, è come se un fiume rompesse gli argini, ogni governo aprirebbe sedi dove gli pare. Napolitano vuole impedirlo. Poi, spiega il comunicato quirinalizio, la lettera contiene svariati «rilievi». Osservazioni di natura costituzionale. Pare che i consiglieri del Presidente, sempre così «puntigliosi» (definizione del premier), stavolta abbiano superato se stessi. Scoprendo certi mostri giuridici, tipo quello contenuto nei decreti che Calderoli e Bossi hanno emanato l’uno per l’altro, dove eleggono la Villa Reale di Monza a «sede distaccata di rappresentanza operativa» per i rispettivi ministeri. Fanno notare dalle parti del Colle: le sedi distaccate sono previste dall’ordinamento, così pure quelle di rappresentanza. Ma «distaccate», «di rappresentanza» e al contempo pure «operative» è un controsenso inaudito. Berlusconi deve chiarire subito il pasticcio. O sono sedi dove si lavora, oppure semplici salottini per ricevere gente: entrambe le cose insieme non è possibile. La Costituzione lo vieta. Napolitano si attende per le prossime ore una risposta univoca dal presidente del Consiglio. Spostiamoci dunque dal Quirinale a Palazzo Chigi. Bonaiuti, portavoce berlusconiano, molto flautato assicura che la lettera presidenzialeè «valutata con attenzione e con grande rispetto». Né lui né Letta la prendono sottogamba, questo è sicuro. Altro atteggiamentoquello del Cavaliere. E’ tornato dalla Sardegna con un chiodo fisso, quasi una paranoia: il maxi-assegno a De Benedetti. In aereo parlava di questo, e dell’altra che gli è capitata: visto che dispone di liquidità sufficiente per risarcire l’Ingegnere, pure la servitù ora ne profitta per battere cassa. Pare che i più stretti collaboratori di Arcore, dal maggiordomo all’autista, chiedano al premier aumenti dello stipendio, molto meno lauto di quanto si pensi. Berlusconi se n’è lamentato pure con Lino Banfi, ricevuto a Palazzo Chigi subito dopo il sindaco di Napoli De Magistris (col quale Silvio ha trovato, dicono, un’intesa naturale venata di simpatia). Diversamente dalle «vecchie zie» (Letta e Bonaiuti), il premier è tentato di snobbare la lettera del Presidente. Vi scorge un’insidia politica: Napolitano «vuole costringermi a smentire Bossi e Calderoli sui ministeri, a dire che Monza è solo una messinscena, insomma a litigare con la Lega». Disegno che il Quirinale persegue con pervicacia, secondo il Cavaliere, sin da quando Napolitano gli fece sapere che mai e poi mai avrebbe consentito il trasferimento dei ministeri in Padania per decreto-legge. Il barometro politico torna a indicare maltempo. E chi rischia di farne le spese è Nitto Palma: la sua nomina a Guardasigilli sembrava fatta. Ma prima di metterci la firma, Napolitano pretende risposte alla sua lettera. E venerdì sera il Presidente parte per le vacanze. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413212/ Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere medita: torno a Forza Italia Inserito da: Admin - Luglio 28, 2011, 05:32:33 pm Politica
28/07/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere medita: torno a Forza Italia "Si riparte. Mi aspetto altri colpi legali ma non ci fermeranno" UGO MAGRI ROMA Il futuro berlusconiano è un ritorno al passato, il sole dell’avvenire un carico di nostalgia. Qualcuno della cerchia di Arcore sussurra che l’amore con Veronica non si sia mai spento e gli amanti del gossip vagheggiano un impossibile ritorno di fiamma con la non ancora ex moglie: sai che colpo di teatro sarebbe, specie se si andasse presto a votare... Di certo Berlusconi prepara un altro clamoroso ritorno, quello della creatura politica più amata, Forza Italia. Il «secondo predellino» da tanti invocato consisterebbe, per uno dei paradossi di cui Silvio è recordman, nel ripudio del predellino numero uno, quando stufo della nomenklatura interna Berlusconi decise a Piazza San Babila di fondare il Popolo della libertà. Da allora quattro anni sono trascorsi, ma il Pdl non ha ancora attecchito tra gli elettori. «Pensate», è il ragionamento svolto da Berlusconi a tavola con un gruppo di Governatori fedeli, «che nel Sud d’Italia addirittura declinano la sigla al femminile, “la” Pdl anziché “il” Pdl». Orrore, sacrilegio. Ma pure la dimostrazione che l’acronimo proprio non va. Scientifico, il premier ha fatto svolgere dei sondaggi. Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) glieli ha confezionati in segreto. E, insomma, alla fine ecco saltar fuori la sorpresa: «Potremmo tornare a chiamarci come una volta», Forza Italia appunto. Oltretutto, argomenta da giorni il premier, «la fusione con Alleanza nazionale ormai è digerita, non ha più senso continuare nella logica che portava a spartire gli incarichi di partito nella percentuale del 70 e 30». Chi era d’ostacolo (Fini) se n’è andato per la sua strada. E quanti restano (gli ex An) sono ormai più berlusconiani dei vecchi forzisti... Insomma, proprio nel giorno in cui Alfano si dimette da ministro e diventa segretario del partito a tutti gli effetti, Berlusconi torna a vestire i panni del Padre Fondatore. Gelosia? Pentimento? Dalle parole del premier non si direbbe. Ad Angelino dedica sperticati elogi, se lo coccola, indubbiamente lo sostiene. Però si capisce che al Cavaliere non va di interpretare la parte di Tutankhamon (il nomignolo della mummia già circola nel partito e pare gli sia giunto all’orecchio). Tutankhamon continua a ritenersi indispensabile per il partito, insostituibile nel governo. Usa coi Governatori riuniti intorno al desco (dalla Polverini a Caldoro, da Chiodi a Scopelliti) l’apologo ipocrita della immensa gioia che provarono Blair, Bush e Aznar quando lasciarono il potere («il giorno più bello della loro vita, mi hanno confidato») per aggiungere con un sospiro che a lui questa fortuna purtroppo non è ancora toccata, e deve dunque sobbarcarsi la fatica di mandare avanti l’Italia. «Si riparte», è l’atto di fede del Cavaliere. Prevede «altri colpi, nuove azioni legali» dopo il maxiassegno a De Benedetti che gli ha sottratto «i risparmi di una vita». Però «non ci fermeranno». Tremonti è sotto tiro? «Non si dimetterà», garantisce ai Governatori. Le categorie economiche reclamano una svolta, un passaggio di mano al governo; invece Berlusconi rinsalda la sua fortezza, completa la squadra ministeriale, lancia in pista Nitto Palma che gli apre relazioni nuove con certi vecchi ambienti giudiziari della Capitale. Chi se ne intende prevede scintille tra il Guardasigilli e l’avvocato Ghedini, due galli nello stesso pollaio, «porto delle nebbie» contro «rito ambrosiano», l’eterna dialettica che si ripropone all’ombra del Cavaliere. Alfano è riuscito a chiamarsi fuori dalle guerre sulla Giustizia con stile e con un tocco da Prima Repubblica (quando ha definito la carica di ministro «incompatibile con un così rilevante incarico politico», quello di segretario del partito). Si è subito spellata le mani una claque dove spiccano le congratulazioni per il «nobile gesto» da parte di Cicchitto e di Frattini, di Capezzone e di Rotondi, di Napoli e di Paniz, di Fitto e di Formigoni: segno che il giovane Angelino ha già un seguito nel partito, c’è chi scommette apertamente su di lui. «Potrà concentrarsi a tempo pieno sul partito», si compiace Berlusconi con tono paterno e paternalista. Sottinteso: se Alfano ha i numeri, d’ora in avanti lo dovrà dimostrare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413380/ Titolo: UGO MAGRI Inserito da: Admin - Agosto 02, 2011, 11:51:50 am Politica
02/08/2011 - RETROSCENA Alfano e gli emergenti del Pdl spingono Silvio al tutto per tutto Bypassati Bossi e Tremonti, che non sapevano nulla UGO MAGRI ROMA Questo sperano quanti si sono battuti per convincere un premier riluttante, solleticandone l’ego («solo tu puoi farcela»), rilanciandone le ambizioni («Sarkozy e la Merkel hanno saputo osare»). Tra i fautori del rischiatutto si segnalano numerose agguerrite ministre, il neosegretario del Pdl Alfano, il titolare dello Sviluppo Romani e, sotto sotto, colui che nel Pdl tutti indicano come il potenziale rimpiazzo di Tremonti, casomai la sua posizione dovesse precipitare, vale a dire Sacconi. La loro tesi spericolata (ma non sono tempi normali) ha prevalso su quella dei consiglieri «pavidi» o semplicemente «prudenti», primo tra tutti Gianni Letta. I quali temono viceversa che se dopo il discorso del premier lo spread dovesse allargarsi, e magari crollasse di nuovo la Borsa, allora sarebbe chiaro urbi et orbi che il problema ha un nome (Silvio) e un cognome (Berlusconi). Un fiasco parlamentare sarebbe la piattaforma politica ideale per l’ultimo assalto dall’opposizione, dove affilano i coltelli. Rutelli già prevede che Berlusconi «sarà costretto a un passo indietro per una pressione drammatica dei mercati». La sorte del governo italiano può essere realmente decisa tra Londra e Hong Kong, in base al calcolo della speculazione. E Bonaiuti, portavoce berlusconiano, con onestà ammette: «Il mercato finanziario è sempre una gran brutta belva». L’azzardo del Cavaliere non si esaurisce qui. Ha preso la decisione di parlare davanti alle Camere senza nemmeno informare a) il principale alleato di governo, vale a dire la Lega, e b) il ministro dell’Economia. Ieri mattina Bossi, Calderoli e Tremonti erano a colloquio nella sede milanese del Carroccio. Raccontano a via Bellerio che d’improvviso è piombata la notizia, Berlusconi andrà in Parlamento. I tre si sono guardati in faccia, nello sbalordimento. Telefonata seduta stante al presidente del Consiglio per dirgli che è una vera follia, che è come infilare la testa sotto la ghigliottina, che per mettere le cose a posto bastava attendere giovedì i dati (positivi) sul Pil, che l’idea del campus estivo per trattare con le parti sociali quella sì è la strada giusta, che sarebbe una tragedia nella tragedia se dopo il dibattito alla Camera venisse per caso approvata qualche mozione contraria al governo... Pare che dall’altro capo del filo Berlusconi abbia risposto balbettando un «posso ancora tornare indietro», o giù di lì: cosa che poi comunque non ha fatto perché a questo punto il dado è tratto, o la va o la spacca. Falso che sia stato Napolitano a pretendere un suo intervento in Aula: tutt’al più il Presidente gli ha chiesto per le solite vie diplomatiche di mostrarsi presente e vigile, cosa alquanto diversa. L’insistenza è venuta dal partito, dalla pressione forte di un Pdl che non ne può più di morire lentamente, e tenta di sterzare anche sulla scia degli eventi in America, dove Obama e i Repubblicani hanno stretto l’accordo antidefault dopo una battaglia dura ma corretta. E’ sembrato, allo stato maggiore Pdl, che Berlusconi possa pretendere da Bersani, Di Pietro e Vendola, o quantomeno da Fini e Casini, la stessa ruvida lealtà. «Sfidiamoli», è la parola d’ordine, «dimostriamo che il governo agisce concretamente ed è pronto a discutere le loro proposte, casomai ne abbiano». Quelle del governo sono state anticipate da Alfano, 7 miliardi di euro in grandi opere pubbliche da decidere domattina nel Cipe, basta con il tremontismo che strangola l’economia, si cominci a investire sullo sviluppo. Superfluo aggiungere Tremonti come l’ha presa (malissimo). Ma quello che da lontano può sembrare un pasticcio, una commedia degli equivoci, nell’ottica dei protagonisti è il limpido disperato tentativo di scaricare l’« uomo del no» profittando del caso Milanese, altrimenti nel 2013 non ci sarà storia, «andremo tutti a casa» ammette uno stratega del Pdl nuova gestione. Prova del nove sarà il discorso alla Camera e poi in Senato: per metterlo nero su bianco Berlusconi chiederà un contributo a Giulio, e magari a Grilli, direttore generale del Tesoro? Oppure se lo confezionerà oggi da solo, con i suoi ghost-writer e la consulenza di Sacconi? A Palazzo Grazioli ancora non è dato sapere. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/414048/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, Letta e Tremonti «convocati » da Napolitano Inserito da: Admin - Agosto 12, 2011, 09:10:01 am Politica
12/08/2011 - RETROSCENA Berlusconi: spalmare la manovra tra tutti Berlusconi, Letta e Tremonti «convocati » da Napolitano Il braccio di ferro notturno con Bossi "annacqua" i provvedimenti UGO MAGRI ROMA Berlusconi cerca di trasformarsi nel Mago Otelma: la manovra c’è ma, oplà, non si vede. Tra tutti i sacrifici che il Consiglio dei ministri potrebbe adottare, il Cavaliere sceglierà solo quelli «invisibili», di cui la gente meno si accorge. Perché mascherati. Perché diluiti nel tempo. Perché li pagano in tanti, una goccia ciascuno... Per esempio, nella sua mente sarebbe stato perfetto un aumento dell’Iva. «Un punto percentuale in più, due al massimo», va sostenendo da giorni il premier, «porterebbero nelle casse dello Stato 12 miliardi di euro, cosicché la manovra chiesta dall’Europa sarebbe in buona parte già fatta». In questa logica Silvio benedice i tagli, specie quelli alla politica che gli suggerisce la mente insonne di Calderoli, perché tanto lui non ha bisogno di finanziamenti pubblici, né gli interessa mantenere folle di galoppini. Berlusconi accetta perfino qualche imposta mirata per le classi più alte, una sorta di eurotassa alla Prodi, come spruzzatina di equità, in quanto la considera utile per imbonire le parti sociali: a Napolitano l’ha data per certa, così come sicuro è l’aumento delle imposte sulle rendite finanziarie. Berlusconi, viceversa, assolutamente non vuole che domani i giornali titolino sulla «stangata». È l’unica sua vera e grande ansia. Infatti pare stia pensando a un videomessaggio per spiegare agli italiani le sue ragioni. Si finge sereno, ma tanto tranquillo non è. Sente che la maggioranza rischia di sfaldarsi nel Parlamento. Se la manovra verrà percepita come «macelleria sociale», altro che elezioni nel 2013... La Lega non riuscirebbe a reggere, si andrebbe alle urne nella prossima primavera. Ecco perché i capelli si rizzano, sulla testa del Cavaliere, al solo proporgli una patrimoniale. Idem per interventi drastici sulle pensioni. Su questa linea lo sostiene a spada tratta il partito. L’intero gruppo dirigente comprende che qui si gioca il futuro del Pdl. La parola d’ordine collettiva è «spalmare» la manovra tra i vari ceti sociali secondo quella logica interclassista che fu tipica della Dc. Peccato che Tremonti non sia d’accordo. O perlomeno: il titolare dell’Economia recalcitra all’idea berlusconiana secondo cui «due punti in più di Iva, e passa la paura...». Si è opposto perché un aumento delle imposte indirette avrebbe l’effetto di frenare la domanda interna, ma gli avversari interni (vedi Crosetto) sospettano che Giulio giochi al tanto peggio tanto meglio. Una delegazione del partito, guidata dall’attivissimo Alfano e composta dai capigruppo, ha tentato invano a sera di convincere l’uomo di via XX Settembre. Il braccio di ferro è proseguito a notte, con il premier sempre più pressante e con Tremonti in una condizione di solitudine aggravata da un paio di fatti. Il primo: Berlusconi ha avuto l’astuzia di farsi «commissariare» in sede europea. Quello che a sinistra è motivo di biasimo, per il premier costituisce l’ancora di salvezza. Nei diktat della Bce, lui cercherà giustificazione agli occhi degli elettori: «L’ho dovuto fare, non avrei voluto...». E nella persona di Draghi, Berlusconi sta trovando un contrappeso allo strapotere di Tremonti, fin qui assoluto. Una leva per piegare il ministro. La prova? Mai si era visto finora un premier «commissariato », e al tempo stesso felice ieri pomeriggio di ricevere il «commissario», cioè il futuro presidente della Bce. Un incontro definito a Palazzo Chigi «cordiale », anzi di più: «amichevole». Pare che Draghi abbia dato a Berlusconi graditi consigli e qualche utile conteggio sulla manovra, questo va bene e quello no. Dicono pure che l’incontro tra i due non abbia ben disposto Tremonti che considera Draghi, nei conciliaboli privati, alla stregua di un agente tedesco sotto mentite spoglie (Cicchitto l’ha duramente rimbeccato). Tutto ciò spiega, secondo il circolo stretto berlusconiano, come mai il Professore fosse teso al punto, ierimattina nell’audizione alla Camera, da dare pagelle a tutti, leader dell’opposizione compresa: altra circostanza che lo rende politicamente più debole. Il risultato finale è praticamente a somma zero. Il vertice notturno con Bossi ha deciso di non decidere, in fondo come gradisce il premier: niente aumento dell’Iva, però nemmeno interventi risolutivi sulle pensioni (il governo ne caverà al massimo un miliardo). Il grosso dei risparmi promessi all’Europa viene affidato alle due deleghe, quella fiscale e l’altra assistenziale, ancora senza impegni chiari. Si torna alla casella di partenza. Ora la domanda è: chi glielo va a dire, ai mercati? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415476/ Titolo: UGO MAGRI Casini: Berlusconi osi senza subire i veti di Bossi. ... Inserito da: Admin - Agosto 22, 2011, 04:17:46 pm Politica
22/08/2011 - INTERVISTA Casini: "Berlusconi osi senza subire i veti di Bossi. Il Parlamento lo sosterrà" "La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo: ormai la previdenza deve adeguarsi alla durata della vita" UGO MAGRI ROMA Berlusconi la smetta di giocare a nascondino. Prenda l’iniziativa. Rifiuti di subire i veti della Lega. E se troverà il coraggio di chiedere all’Italia i sacrifici necessari con misure veramente serie ed eque, allora troverà pure i voti che gli servono in Parlamento», assicura Pier Ferdinando Casini, leader del Terzo Polo. Un momento, scusi: la manovra del governo non è già abbastanza severa? Qui si parla di 45 miliardi levati dalle nostre tasche... «Intanto faccio notare che le tensioni interne alla maggioranza rischiano di rendere tutto quanto inutile, sacrifici compresi. L’Europa ci tiene d’occhio, certi atteggiamenti divaricati non sfuggono. Hanno fatto di corsa la manovra per dare un segnale ai mercati e a chi compra i nostri titoli di Stato, in primis la Bce. Ma oggi la babele di linguaggio nella maggioranza è tale che rischia di azzerare i vantaggi della rapidità». Fantastico. E poi? «La manovra è iniqua. Colpisce quanti non evadono nemmeno un euro. Non si capisce perché chi circola in yacht con un reddito dichiarato di 30 mila euro non debba pagare niente, e lo Stato se la prenda con i soliti che è più facile spennare». Cioè i redditi sopra i 90 mila euro. Però il governo pare intenzionato a salvare chi ha figli a carico. «Il quoziente familiare mi va benissimo, ma è la tassa che va levata. Colpisce il ceto medio e finisce per rendere addirittura più equa la patrimoniale». Quindi pure lei la pensa come Montezemolo... «Con tutto il rispetto per Montezemolo, già due mesi fa in Parlamento io dissi: chi più ha più deve dare. La patrimoniale è un nome odioso, ma un prelievo sulle grandi ricchezze sarebbe la cosa giusta». Allora anche la Chiesa dovrebbe pagare l’Iva, dicono dal fronte laico... «Ma che laicismo, questo è anticlericalismo d’accatto. Si ignora la straordinaria dimostrazione giornaliera di solidarietà da parte del volontariato, la supplenza che viene svolta nei confronti di uno Stato assente. Via, non si può considerare la Chiesa alla stregua di un imprenditore immobiliare...». Torniamo alla manovra. Dove trovare le risorse per renderla più equa? «Si potrebbe agire sull’Iva, piccolissimi aggiustamenti a livello di decimale sull’aliquota del 20 per cento. Oppure, meglio ancora, si possono fare quelle riforme strutturali che l’Europa ci chiede, e sono assenti da questa manovra. Incominciando dalle pensioni. L’adeguamento dell’età pensionabile alla durata della vita è ormai ineludibile, per uomini e donne». Lei si sta attirando i fulmini della sinistra. «Dire "le pensioni sono tabù" è l’argomento più conservatore e retrogrado che possa esserci. Abbiamo messo al sicuro i diritti acquisiti, tutelato chi è già in pensione, levato i lavori usuranti... Adesso dobbiamo farci carico dei giovani, dei non garantiti: c’è un problema di equità nei loro confronti. Non capisco perché la sinistra sia così reticente». Anche Bossi fa muro sulle pensioni... «La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo. Perché le province non si sono ancora cancellate? Perché non si sono liberalizzati i servizi pubblici locali? Bossi si oppone a tutti i fattori di modernità». Lo dice perché l’altra notte Bossi le ha scagliato un insulto... «No, quello fa parte del folklore e poi in un certo senso è un regalo, in quanto fa capire la differenza tra chi fa politica seriamente e chi urla slogan da osteria. Il vero dramma è che chi usa questi toni da bar sport tiene in ostaggio l’Italia grazie a un’alleanza che il Pdl ha coltivato in modo dissennato». Berlusconi, dunque, dovrebbe superare i veti di Bossi e procedere sulle pensioni... «Il presidente del Consiglio non può continuare a fare lo spettatore, oppure giocare a scaricabarile con Tremonti. Vuole portare avanti il tema dell’età pensionabile? Vuole gradualmente abolire le province, ma tutte e senza quella buffonata di togliere solo le più piccole? Ebbene, abbia il coraggio di dire quello che pensa. Si presenti alle Camere, faccia un discorso lineare, limpido e chiaro, e una maggioranza la troverà». Perché dovrebbe trovarla? «Perché a quel punto anche l’opposizione non potrà che fare una scelta a favore della nazione. Ma ciò richiede da parte del premier una chiarezza d’intenti, una coerenza di propositi che per ora si fa fatica a vedere». Mettiamo che non accolga il suo suggerimento. «Non si meravigli poi se il fossato tra il governo e il Paese crescerà ancora». Berlusconi l’ha mai chiamata per dire: affrontiamo uniti questa emergenza? «L’unico che ha usato la cortesia di farsi sentire è stato Alfano, persona che stimo, ma che si trova a sbrogliare delle contraddizioni tutte addebitabili a Berlusconi: un compito poco invidiabile, il suo». Napolitano denuncia le semplificazioni propagandistiche e le visioni consolatorie... «Il Presidente ci invita a parlare il linguaggio della verità. A smetterla con le furberie, con gli spot elettoralistici, con i tentativi di compiacere la gente. Questo è il momento delle scelte impopolari troppo a lungo rinviate». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416445/ Titolo: UGO MAGRI Tagli ai dicasteri in vista per far quadrare i conti? Inserito da: Admin - Agosto 31, 2011, 11:55:04 pm Politica
31/08/2011 - RETROSCENA Buco miliardario nella manovra: i ministri temono di pagare loro Il ministro Tremonti si è detto soddisfatto dell'esito del vertice di Arcore che ha modificato al manovra Sindaci in corteo a Milano contro la manovra Tagli ai dicasteri in vista per far quadrare i conti? UGO MAGRI ROMA Un brivido corre lungo la schiena dei ministri, specialmente di quelli «con portafoglio». Pure tra loro comincia a diffondersi il timore che ci sia un problema serio di copertura; che dopo le ultime correzioni decise ad Arcore si sia aperto un «buco» da 5 miliardi nei conti; e che Tremonti, per farvi fronte, abbia in serbo qualche strana sorpresa. Lui, il Professore, è a Lorenzago, il suo telefono non ha campo per cui risulta irraggiungibile (altra circostanza sospetta). Vuoi vedere, cominciano a domandarsi i suoi colleghi di governo, che il caro Giulio sta già pensando di rifarsi su di noi? Scommettiamo, si sfogano sommessamente, che alla fine presenterà il conto sotto forma di tagli aggiuntivi ai nostri ministeri? Voci incontrollate dalla Ragioneria generale dello Stato fanno sapere che questa preoccupazione non è del tutto infondata, anzi. Ma pure senza l’ausilio dei tecnici, il problema si coglie ad occhio nudo: la Lega non regge la stretta sulle pensioni. E' lì che si sta aprendo una falla grossa così. Quando Calderoli aveva dato via libera, nel vertice dell’altro ieri, pensava che il divieto di computare gli anni di studio e di leva riguardasse soprattutto il Sud, invece pure in Padania sono tanti quelli arrabbiati. Stamane ci saranno incontri al ministero del Lavoro, però già ieri era tutto un turbinio di ipotesi su come porre rimedio, dove trovare altri denari casomai la retromarcia sulle pensioni fosse obbligata. Persone vicine a Tremonti buttano lì, non si sa se per scherzo o per gusto di provocare: «Beh, nel caso saltino le pensioni non c’è problema: rimettiamo nella manovra il contributo di solidarietà...». Cioè proprio la tassa che ieri Berlusconi si vantava su «Studio Aperto» di aver cancellato. Però c’è pure chi, nel Pdl, torna alla carica sull’Iva, «potremmo aumentarla di un punto e saremmo a posto»: come se sette ore di discussione ad Arcore fossero trascorse invano. Mettere nero su bianco le decisioni del vertice sarà un’impresa pure sul piano tecnico. «Nella stesura degli emendamenti si rischia», ammettono autorevoli fonti parlamentari, «un gigantesco pasticcio». Non a caso giovedì alle 9 e 30 è convocato il Consiglio dei ministri per apportare in corsa eventuali ulteriori variazioni. E ancora: ai piani alti del governo si teme, senza dirlo pubblicamente, un intervento a gamba tesa del Quirinale. Il terrore che Napolitano scateni i suoi consiglieri giuridici e faccia a pezzi la manovra spiega lo zelo con cui viene perorata, specie dal presidente del Senato Schifani, la teoria del dialogo con l’opposizione: un modo per far contento l’uomo del Colle. In pratica l’intenzione è di non mettere la fiducia sul decreto, accogliendo qualche proposta dall’altra sponda. Bonaiuti, portavoce del premier, la mette come sfida in positivo a Pd e Udc. Ma c’è il rischio che, senza fiducia, perfino al Senato nella maggioranza si scateni la fiera del distinguo. Alemanno, sindaco di Roma, sollecita già la quarta versione della manovra, suscitando l’ira del premier («vuole scaricare sul governo la colpa delle sue difficoltà»). Invocazione raccolta ai vertici del Pdl: «Che il Cielo ce la mandi buona» da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417544/ Titolo: UGO MAGRI Sulle pensioni è stato fatto un errore, Sacconi indiziato numero uno. Inserito da: Admin - Settembre 01, 2011, 08:38:15 am Politica
01/09/2011 - RETROSCENA "E' stata colpa di Sacconi" "Sulle pensioni è stato fatto un errore", Sacconi indiziato numero uno. "No a inasprimenti, adesso dobbiamo far pagare a tutti le tasse" UGO MAGRI ROMA Berlusconi ammette l’« errore» del governo sulle pensioni. Ma, ancor più della ricaduta in patria, lo preoccupa l’immagine internazionale. Teme che i mercati giudichino il governo allo sbando. Oggi profitterà del summit parigino sulla Libia «per tranquillizzare l’Europa e la Bce sulla serietà della manovra». Appena Berlusconi si troverà davanti il presidente della Commissione Ue Barroso e tutti gli altri capi di governo, dirà loro «che siamo impegnati a rispettare i saldi finali, dunque non devono preoccuparsi delle notizie dall’Italia perché, in collaborazione con Tremonti, abbiamo saldamente in mano la situazione». Stessi concetti, anticipa un premier parecchio determinato, esprimerà oggi per telefono ai vertici Bce coi quali il rapporto è strettissimo da prima di Ferragosto. Furono proprio loro, svela Berlusconi, «ad avvertirci che avevano notizia di un nuovo attacco speculativo cui stavolta si sarebbero associate grandi banche e pure certi fondi d’investimento d’oltreoceano». Momenti difficili e concitati, in cui da Francoforte lanciarono il famoso ultimatum: «Noi possiamo aiutarvi, però prima dovete anticipare di un anno la manovra già decisa». A tal fine, tramite Bankitalia, «ci diedero un elenco di misure» con cui far fronte all’emergenza, «raccomandandosi di procedere in tutta fretta, perché nel weekend dovevano riunire i governatori che a loro volta avrebbero informato i rispettivi governi» sull’anticipo dei sacrifici in Italia. Il governo «fece del suo meglio» ma, invoca ora comprensione il premier, «avemmo meno di 4 giorni per fare la manovra». E sebbene «io avessi lavorato 20 ore al giorno sui provvedimenti», alcuni aspetti lo lasciarono insoddisfatto. L’idiosincrasia del Cavaliere per la parola «tasse» è a tutti nota. Non si stenta a credere, dunque, che davvero il cuore gli «grondasse sangue» quando varò il contributo di solidarietà. Da subito decise di cancellarlo. Ma come riuscirci a saldi invariati? La via maestra sarebbe stata alzare l’età pensionabile, riconosce. Peccato che ci fosse «il no assoluto» della Lega. Sennonché, colpo di scena. Durante il vertice di lunedì ad Arcore, «arriva a Tremonti la telefonata del ministro Sacconi che gli dice: Cisl e Uil potrebbero accettare un intervento limitato agli anni dell’università e del servizio di leva». A nome della Lega interviene a quel punto Calderoli e annuncia «lo possiamo accettare», cosicché la misura entra nel comunicato finale. Confessa candidamente il premier: «Pensavamo che riguardasse poca gente, invece poi abbiamo scoperto che riguardava oltre 600 mila persone, compresi quanti avevano già pagato». Una misura «troppo odiosa», chiaramente non poteva reggere, tra l’altro «Calderoli è stato completamente sconfessato dagli altri leghisti». Berlusconi nega che ora sussistano problemi di copertura. Pure lui, come Tremonti, è convinto che la lotta all’evasione darà grandi frutti. Ieri si sono visti Befera (direttore generale delle Entrate) e Ghedini (avvocato del premier) per studiare misure efficaci, un giro di vite spiegato da Berlusconi con queste parole mai udite prima dalla sua bocca: «Al punto cui siamo arrivati, non si può bastonare chi già paga le tasse. E’ tempo che tiri fuori i soldi chi non le ha mai pagate». Lotta senza quartiere all’evasione, dunque. Senza esagerare, tuttavia, poiché «mica possiamo precipitare in un sistema di polizia tributaria», dove si applicano strumenti di tortura alla Torquemada. Al momento il «buco» da colmare viene stimato dal premier in un paio di miliardi o poco più, perché Tremonti sta lavorando alacremente alle coperture, molte le ha già trovate e altre ne troverà. Ma può accontentarsi l’Europa di quxeste promesse? Come reagirà la signora Merkel, sempre così scettica sui nostri impegni di maggior rigore? Come la prenderanno i mercati? Il Cavaliere ritiene che facciano molto danno all’estero certe dichiarazioni, di Casini in particolare, su un governo in stato confusionale. Tuttavia è sereno perché ritiene di avere un asso nella manica. Si chiama «clausola di salvaguardia» e l’idea, in verità, non è sua ma è nata nella mente fervida di Calderoli. Consiste nell’impegno a varare un aumento dell’Iva nel caso malaugurato in cui la lotta all’evasione non desse i frutti sperati. L’aliquota del 20 per cento «salirebbe al 21 o anche al 22», in modo da garantire entrate rispettivamente per 4 e 8 miliardi. Potrebbe anche trattarsi di un aumento dell’Iva solo temporaneo, per 3-6-12 mesi. L’importante è che in Europa possano fidarsi di noi, e sappiano che «abbiamo un paracadute» sempre disponibile in qualunque momento. Spera di vincere così le inevitabili diffidenze. I mercati si chiedono anche quando verrà approvata la manovra definitiva. Qui però Berlusconi ha un vincolo: «Ho già detto in maniera chiara che le misure non sono fisse e intoccabili». Casomai se ne dimenticasse durante l’esame parlamentare del decreto, provvederebbe il Presidente della Repubblica a rammentargli il metodo del dialogo che significa, concretamente, niente approvazione a tappe forzate oppure a colpi di fiducia. Ma anche disponibilità all’ascolto nei confronti dell’opposizione e delle parti sociali. L’impegno del premier parrebbe sincero. «Siamo aperti a esaminare al Senato qualunque proposta migliorativache fosse avanzata da chiunque». Il governo intende procedere «non più in una logica di divisione partitica ma sulla base solo del buonsenso». Tutto può essere cambiato, ad eccezione dei saldi finali. In caso contrario, l’esame parlamentare del decreto da 45 miliardi si trasformerebbe nell’ennesimo assalto alla diligenza. In conclusione: Berlusconi mastica amaro per la cattiva figura sulle pensioni di cui ritiene colpevole Sacconi (il ministro a sua volta ritiene di essere stato a sua volta illuso da Bonanni e da Angeletti, altrimenti mai si sarebbe mosso). Comunque il premier è convinto di avere l’occasione per riscattare il prestigio internazionale del governo. «Alla Bce e all’Europa oggi dirò che la nostra è una manovra seria, e che manteniamo lo stesso impegno di due settimane fa a rispettare tutti gli obiettivi di risanamento». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417717/ Titolo: UGO MAGRI Il Cavaliere accerchiato sente aria di ribaltone Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 11:42:23 am Politica
03/09/2011 - RETROSCENA Il Cavaliere accerchiato sente aria di ribaltone Sconvolto dall’inchiesta di Bari, teme un governo tecnico UGO MAGRI ROMA Berlusconi è sotto schiaffo nel momento peggiore, mentre la speculazione accerchia l’euro e martella l’Italia (anello debole). Lo sfogo telefonico sul «Paese di m...» sta girando il mondo, ne parla pure la Cnn, e non accresce il nostro prestigio né quello del governo. La mente del premier è quasi totalmente assorbita dall’inchiesta Tarantini-Lavitola; dall’ansia per l’interrogatorio di Marinella, più che una segretaria quasi una figlia. Lo solleva in parte la certezza che «lei è fortissima», reggerà lo stress; lo snerva la prospettiva di doversi accomodare a sua volta davanti ai pm per vuotare il sacco su «Mignottopoli». «E’ l’ennesimo tentativo di farmi fuori», si sfoga con chi lo chiama al telefono per parlar d’altro, principalmente di manovra. L’amarezza lo porta a commettere errori tragici, come l’insulto agli oppositori («criminali» è sbottato l’altra sera da Parigi) che fa inviperire proprio quando dovrebbe chiedere loro una mano. «Fa d’ogni erba un fascio, non distingue più tra Woodcock e Bersani», tenta di giustificarlo un amico. E una ministra a lui fedelissima: «Temiamo le conseguenze di questa sua condizione umorale». Nel pieno delle tempesta abbiamo un premier col cartello «fuori servizio». Intorno a lui trionfa la solita doppia verità. In pubblico tutti dicono «non c’è problema, i conti tornano». Nella vulgata governativa, le acque si calmeranno non appena il Senato avrà messo il timbro, una questione di giorni, una settimana al massimo. In privato, viceversa, si riconosce che i tempi parlamentari sono eccessivi, che nella maggioranza regna un bel caos, oltre a sindaci e governatori sono sul piede di guerra i ministri del Pdl, forti di una nota della Ragioneria in cui si definiscono (così vanno dicendo) «insostenibili» i tagli già decisi per i loro dicasteri. Ma l’ansia più grave sono le Borse, i mercati. Dalle stanze governative si seguiva ieri con trepidazione l’impennata dello spread coi titoli tedeschi. Ministri importanti si domandavano a che gioco sta giocando la Bce, non era impegnata a sostenerci? La «manina» o «manona» di Draghi perché non fa più incetta dei nostri poveri Btp? Nei corridoi di Palazzo Chigi trionfa il complottismo. Si colgono «strane coincidenze» che a chiunque sfuggirebbero, tipo la nuova cascata di rivelazioni sull’Italia da Wikileaks. Si ipotizzano complotti della finanza anglosassone per seminare caos e svaligiare il Belpaese. Semina il panico nel Palazzo l’eventualità che il «caso Milanese», oggi dormiente, possa ridestarsi per effetto delle solite fughe di notizie dalle procure, investendo Tremonti proprio mentre sta negoziando coi partner europei. Già, perché tra una settimana si riuniscono i ministri delle finanze Ue, e sarà un passaggio da brivido. Metti caso che il differenziale con i titoli tedeschi salga ancora di più, ben oltre la quota 326 toccata ieri: c’è il rischio che l’Europa ci ingiunga di fare le persone serie, di prendere misure feroci perché non basta neppure la terza manovra, ne serve una quarta... Anche qui, ufficialmente valgono le garanzie di Tremonti sulla copertura della manovra, col portavoce berlusconiano Bonaiuti polemico contro quanti alimentano dubbi «da 500 milioni o al massimo un miliardo rispetto a un decreto che di miliardi ne vale 45». Calderoli brandisce come una clava contro i giornali le dichiarazioni rasserenanti del portavoce di Angela Merkel. E casomai dovesse proprio servire, è pronta la carta di riserva sotto forma di aumento dell’Iva. Poi però, negli stessi ambienti governativi, circola la domanda: «Come mai D’Alema e Bersani si dicono pronti a sostenere un governo tecnico? Perché improvvisamente l’ex banchiere Profumo dà la propria disponibilità a impegnarsi in politica?». Risposta: «C’è puzza di bruciato», il Cavaliere è sulla graticola, c’è chi punta a seminare il panico, alla crisi, per poi mettere in piedi un ministero tecnico che nel clan berlusconiano ha già un nome: sarebbe il governo Monti-Scilipoti. Perché a quel punto i Responsabili nessuno li fermerebbe più. Pur di non andare a casa, sosterrebbero qualunque governo. Come hanno già dimostrato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418415/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi-Tremonti, tornano i sospetti poi il chiarimento Inserito da: Admin - Settembre 04, 2011, 05:24:51 pm Politica
04/09/2011 - IL CASO Il premier Silvio Berlusconi Il ministro dopo gli attacchi del Pdl: sei tu il regista? Il premier: non c’entro. Alfano: nel 2013 Silvio leader UGO MAGRI Una buona notizia: tra Berlusconi e Tremonti ritorna il sereno. Deve far piacere a tutti perché, se continuassero le tensioni dei giorni scorsi, sarebbe come viaggiare a bordo di un jet mentre i piloti si prendono a sberle. Perlomeno adesso sappiamo chi sta alla cloche nella tempesta finanziaria, cioè Tremonti. Berlusconi pare gli abbia garantito quei margini ampi di manovra che il Professore aveva sempre avuto, ma che gli erano stati erosi dall’attivismo di Alfano. Non per nulla ieri mattina i giornali traboccavano di polemiche targate Pdl nei confronti del ministro. Il quale ha chiamato Arcore, si è fatto passare il padrone di casa e gli ha chiesto, sostanzialmente: a che gioco giochiamo? Sei tu il regista degli attacchi nei miei confronti? Parliamone un momento... La smentita del premier «Io non c’entro nulla», ha protestato con veemenza. Tra l’altro la sua testa è realmente altrove, assorbita dall’ultimo exploit di porno-politica, l’inchiesta Tarantini-Lavitola che Berlusconi considera un’«aggressione assurda» nei suoi confronti, «con la scusa di difendermi in realtà quei pm vogliono mettermi in mezzo». Di manovra il premier si sta occupando, tiene i contatti coi capigruppo e con le commissioni, però «Giulio stai sereno, ti sto aiutando nei limiti del possibile». Tremonti ha avuto il sentore (raccontano amici suoi) che Berlusconi fosse sincero. E a rafforzare l’impressione sono intervenuti due fatti. Prima una nota del portavoce Bonaiuti, per spiegare che certe cose il premier non solo non le ha dette ma «nemmeno pensate». Poco dopo, Alfano in persona ha manifestato fiducia nell’operato di Tremonti, dichiarazione che non è parsa casuale. Silvio forever A fare però rumore è stata una previsione del segretario politico Pdl: alle elezioni del 2013 «Berlusconi sarà nuovamente candidato», quindi non avrebbe molto senso fare le primarie «per sapere che lui è il leader». Ha pure escluso, Alfano, che Berlusconi miri al Colle più alto. Bene, evviva, hanno manifestato giubilo dirigenti del partito e ministri. Spiegano sottovoce a via dell’Umiltà: Alfano vuole scrollarsi da dosso il sospetto (circola nella corte di Arcore) che lui voglia fare le scarpe al Capo profittando del suo momento no. Angelino è sinceramente devoto a Berlusconi, questo chiacchiericcio lo disturba, di qui l’uscita. Si è aperto così un dibattito che al leghista Calderoli sembra un filo surreale, in quanto «al 2013 penseremo dopo esserci arrivati, nel presente affrontiamo e superiamo la crisi». Oppure, per usare la cautela diplomatica di Frattini, «sarà Berlusconi a decidere se candidarsi e non altri», nemmeno i suoi fan più scalmanati. Tra l’altro, non si è appena fatto sfuggire il premier che vorrebbe andarsene da questo «Paese di m...»? Perplesso Bersani, segretario Pd: «Stanno fantasticando sull’orlo dell’abisso». Sarcastico Enrico Letta: «Berlusconi si ricandida? Che bella notizia per noi...». Indignato Bocchino: «Stupisce che Alfano ricandidi Berlusconi proprio mentre emerge che il premier e Lavitola usavano metodi da criminalità organizzata». L’«ora della verità» Scatterà domani, all’apertura dei mercati finanziari quando capiremo se e fino a che punto regge l’impianto della manovra. Dovesse impennarsi lo «spread» oltre una certa quota, dice Rutelli alla festa dell’Api, «l’avvitamento della situazione economica potrebbe cambiare l’agenda politica», aprendo la via a un altro governo. Per certi versi concorda nella diagnosi Cicchitto, capogruppo Pdl, il quale lancia una sorta di «avviso ai naviganti»: cari amici del partito che protestate contro il decreto, fate bene attenzione perché «il quadro internazionale resta assai grave», potrebbero farne le spese l’Italia e il governo. Intanto mettiamo gli egoismi da parte, poi per fare i conti ci sarà tempo... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418518/ Titolo: UGO MAGRI Senato, governo tentato dalla fiducia Inserito da: Admin - Settembre 06, 2011, 03:17:17 pm Politica
06/09/2011 - MANOVRA LE MISURE Senato, governo tentato dalla fiducia Il presidente del Senato, Renato Schifani, si è pronunciato per un percorso parlamentare della manovra senza forzature Le condizioni del Pd per ritirare gli emendamenti: via i tagli ai Comuni e la norma sui licenziamenti UGO MAGRI ROMA Casini dice che «dovremmo fare come in Germania, dove in momenti difficili le forze agli antipodi si sono unite». Il leader del Terzo Polo si spinge a proporre un governo di responsabilità nazionale, con tutte le energie migliori di questo Paese. L’idea è suggestiva, ma in attesa che maturi prepariamoci a una giornata di alta tensione in Senato sulla manovra. Pareva che questa venisse approvata senza l’ennesimo voto di fiducia, in quel clima di responsabilità collettiva che il Presidente della Repubblica invoca. Viceversa c’è il rischio di assistere all’ennesima prova di forza (o di impotenza) da parte del governo, perché i tempi stringono, per rispettare il calendario imposto dai mercati e la manovra deve essere approvata entro domani sera: così reclama con forza il ministro Tremonti. Venerdì se la dovrà vedere con i colleghi del G7 e teme di presentarsi a mani vuote. Ma le procedure parlamentari sono tali, per cui si può far presto solo in un clima di sostanziale concordia tra gli schieramenti. Bisognerebbe che tutte le opposizioni ritirassero gli emendamenti, o tenessero solo quelli concordati con l’altra sponda, in modo da affrettare le conclusioni del dibattito in aula. Il Pd sarebbe disposto. C’è una dichiarazione della capogruppo Finocchiaro molto esplicita e molto seria al riguardo. Piccolo particolare: il Pd chiede in cambio alla maggioranza di rinunciare ai tagli nei confronti degli enti locali, ma soprattutto di cancellare il famoso articolo 8, quello che da sinistra viene inteso come facoltà di licenziare e da destra come flessibilità del mercato del lavoro. Che Bersani avanzi queste richieste, non deve stupire. Il segretario Pd, leader del maggior partito di opposizione, non può farsi scavalcare nella protesta contro la manovra da sindaci e presidenti di Regione, oltretutto targati Pdl. Ieri, in una sala vicino alla Camera, è partita una maratona oratoria non-stop inaugurata proprio da un discorso di Alemanno, cui sono seguiti gli attacchi violentissimi contro il governo da parte di Formigoni (C’è il rischio di una rivolta sociale») e della Polverini («Non ho più intenzione di prendere schiaffi, questa manovra è un pasticcio»). Una rinuncia del governo ai tagli per Regioni e Comuni è il minimo, a questo punto, che Bersani possa esigere, se non vuole fare la parte del complice di Berlusconi. Idem sull’articolo 8: come potrebbe il Pd mollare la presa proprio nel giorno in cui la Cgil tiene il suo sciopero generale? Impossibile. Altrettanto difficile, tuttavia, è che il Pdl faccia marcia indietro su quei due punti. Quagliariello, capogruppo vicario al Senato, definisce le richieste dal Pd «paradossali», sarebbe come pretendere che il governo rinunci alla manovra. Ma se il Pdl rimarrà sulle sue posizioni, allora anche il Pd conserverà i suoi 390 emendamenti. Col risultato che non si farà in tempo a votare il decreto entro domani sera, come vorrebbe Tremonti. Il quale ieri s’è visto in via Bellerio a Milano con Bossi e con Calderoli. Si è vociferato che avessero discusso di manovra, ma una smentita da via XX Settembre ha chiarito: solo amicizia e rapporti personali. Insomma, nonostante il personale impegno del presidente di Palazzo Madama Schifani per creare il clima parlamentare adatto, nonostante il capogruppo Pdl al Senato Gasparri voglia evitare il ricorso del governo alla fiducia («Avevamo sempre detto che non l’avremmo messa»), ieri sera la sensazione era che proprio alla fiducia, inesorabilmente, si andasse a parare. Per inerzia. Per mancanza di una regia politica. L’intervento serale di Napolitano, con la richiesta di rafforzare la manovra, è volto proprio a suscitare un sussulto di responsabilità nei protagonisti, e a evitare un finale della vicenda che sembra già scritto. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418874/ Titolo: UGO MAGRI La grande paura di Berlusconi: perdere la pazienza davanti ai pm Inserito da: Admin - Settembre 11, 2011, 03:38:22 pm Politica
11/09/2011 - RETROSCENA La grande paura di Berlusconi: perdere la pazienza davanti ai pm Silvio potrebbe aggredire verbalmente Woodcock Per questo starebbe lavorando a un memoriale UGO MAGRI ROMA Berlusconi va in Europa per schivare i pm, questo è sicuro. Le dimissioni del consigliere Bce Stark, che sarebbero la scusa del viaggio, sono intervenute quando lui aveva già chiesto a Barroso di incontrarlo a Strasburgo proprio martedì, in modo da poter dire ai pm napoletani: non ho il dono dell’ubiquità, la crisi ha precedenza. Uno strano mutismo del suo entourage accompagna la mossa, forse perché pure la lealtà ha un limite. Però qualcosa filtra. Silvio cerca di guadagnare tempo perché spera di trovare un codicillo giuridico che gli consenta di scansare per sempre certe domande. L’avvocato Ghedini pare stia valutando se il suo cliente potrà negarsi all’interrogatorio in quanto già imputato a Milano di reato connesso: sarà Ruby, non sarà la D’Addario, ma sempre di «bunga-bunga» si tratta... Vorrebbe cavarsela, il Cavaliere, con un memoriale. Qualche pagina per illustrare ai pm la sua verità: da Tarantini niente ricatto, l’aiuto da 850 mila euro fu generoso e spontaneo. Più della minaccia di manette seduta stante, casomai gli si allungasse il naso, Silvio teme se stesso, quello che potrebbe uscire dalla sua bocca quando si trovasse davanti Woodcock. Potrebbe aggredire verbalmente il pm anglo-partenopeo, rinfacciargli le fughe di notizie, sebbene alcuni dei suoi strateghi l’abbiano messo in guardia: nemmeno i magistrati hanno un controllo pieno e totale, il segreto istruttorio a Napoli è un colabrodo, nessuno ferma più la pioggia di indiscrezioni. Comprese quelle più devastanti, i cui echi sono giunti perfino sul Colle più alto, dove i consiglieri quirinalizi tremano al pensiero di come reagirebbe la Merkel, se davvero il premier avesse detto su di lei quanto viene riportato dal «Fatto quotidiano» e a Berlino stanno già traducendo in tedesco, sebbene il gossip sia irriferibile. Da mettersi le mani nei capelli: proprio mentre la Cancelliera si sta battendo per aiutare l’Italia, ecco che da Roma la centra un insulto goliardico... E qui scatta la grande paura del clan berlusconiano: il viaggio in Europa, concepito per evitare le domande su Tarantini, rischia di diventare un boomerang. L’incontro con Barroso avrà luogo al Parlamento europeo quel giorno particolarmente affollato, poiché il gruppo socialista designerà a futuro presidente dell’Assemblea una vecchia conoscenza di Silvio, quello Schulz al quale il Cavaliere aveva dato del «kapò». Anche se il cerimoniale eviterà al premier un passaggio in Aula, facile immaginare che transitando in un’adunata di socialisti l’accoglienza sarà memorabile. L’incidente è garantito al limone. Il meno preoccupato di tutti dicono sia lui. A chi è andato a trovarlo ieri (a parte Letta e Ghedini) non ha fatto che ripetere con tono di chi conosce l’Italia: «Le intercettazioni? Bah... La gente ormai è assuefatta, faranno rumore un giorno tutt’al più». A fare un passo indietro non pensa neanche, addirittura ha presieduto una riunione di partito sulle modalità di svolgimento dei congressi comunali e provinciali, roba da pisolino e invece lui nemmeno uno sbadiglio. Proclami affidati alla trasmissione di Vespa: «Siamo sicuri che resteremo fino a fine legislatura, come è logico che sia». Non va scambiata per boutade, lui lo pensa sul serio. Gli hanno riferito che qualche altro «responsabile» potrebbe passare in maggioranza, così Berlusconi pensa che (a parte i fastidi giudiziari) tutto proceda a gonfie vele. E’ il solo a vedere rosa. Chi gli sta intorno, si sente all’ultimo atto della commedia. Secondo Osvaldo Napoli, che assorbe gli umori del centrodestra, «era tutto calcolato, si sapeva che l’assalto giudiziario sarebbe ripartito dopo le vacanze». Nessuno avrebbe immaginato il leader a contatto con certa gente, dire certe altre cose al telefono, addirittura pensarle. Un generale della vecchia guardia si sfoga in privato: «Di questo passo, Berlusconi va incontro alla rivolta, la rivolta del disgusto. Parlamentari che nemmeno si presentano a votare, e il governo va sotto su qualche legge importante, pur di girare pagina». Guarda caso, l’astuto Casini tende la mano, «disponibile a concordare l’agenda di fine legislatura» a patto che il Cav si ritiri. Un paracadute per il gruppo dirigente Pdl. Dove c’è chi pensa di mandare Casini per premio tra due anni sul Colle più alto. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419618/ Titolo: UGO MAGRI Lo sfogo del Cavaliere "Sul viaggio in Europa tutte menzogne" Inserito da: Admin - Settembre 12, 2011, 04:01:06 pm Politica
12/09/2011 - RETROSCENA Lo sfogo del Cavaliere "Sul viaggio in Europa tutte menzogne" Il premier Berlusconi andrà prima a Bruxelles e poi a Strasburgo per spiegare ai vertici europei la nostra manovra, saltando così l'incontro previsto con i pm di Napoli che volevano interrogarlo sul caso Tarantini UGO MAGRI ROMA Berlusconi è parecchio rammaricato (un eufemismo) per come i giornali in special modo, ma tutti i media in generale, presentano la sua trasferta di domani a Bruxelles e a Strasburgo. «Cose da non credere!», è lo sfogo accorato del premier, «io vado dai leader europei in un momento difficile a spiegare la manovra, a chiarire che abbiamo rispettato per filo e per segno tutte le richieste della Bce, a riparare i danni che un certo modo di fare opposizione ha causato all’immagine del nostro Paese, e cosa leggo invece? Che gli incontri con Van Rompuy e con Barroso sono tutta una messinscena per non farmi interrogare...». Il Cavaliere nega nella maniera più assoluta di essere in fuga dai magistrati: «L’incontro non sarà martedì, sarà un altro giorno di questa o della prossima settimana, non è che caschi il mondo se viene ritardato. Tra l’altro ho già chiarito che fisseremo un nuovo appuntamento, d’accordo con la Procura di Napoli». Nello stesso tempo, però, il capo del governo non è convinto che sia giusto sedersi in veste di testimone, specie dinanzi a Woodcock. Anzi, con tono molto deciso ripete di continuo: «Non vedo affatto perché io debba rispondere alle domande». Agli occhi suoi e dell’avvocato Ghedini sussistono «seri dubbi sulla reale competenza territoriale della Procura partenopea»,visto che gli eventi in oggetto si sarebbero svolti ovunque tranne che all’ombra del Vesuvio. Poi non è detto che lui possa essere ascoltato quale persona informata dei fatti, nel momento in cui già deve difendersi da accuse in qualche modo connesse, per esempio per la vicenda di Ruby Rubacuori. Qualunque cosa dica ai magistrati napoletani potrebbe essere usata contro di lui nel processo di Milano. Insomma, Berlusconi contesta in radice l’iniziativa della Procura. Argomenta:«Vogliono a tutti i costi ascoltarmi come vittima presunta di un’estorsione che io ho chiarito di non considerare tale». Ai suoi occhi, un memoriale sarebbe bastevole. Comunque sia, «in questo momento la crisi finanziaria deve avere la precedenza su tutto il resto», è questo che secondo Berlusconi l’Italia dovrebbe capire. Tra l’altro, «se invece di spiegare all’Europa gli sforzi che stiamo facendo io dedicassi la giornata di martedì all’incontro coi magistrati, subito mi accuserebbero: per colpa delle sue vicende giudiziarie, Berlusconi non può assolvere ai doveri internazionali di premier...». Fin qui lo sfogo, accorato ma senza un filo di autocritica. E senza ammettere, per dirne una, l’errore di un viaggio alla chetichella, guai se i giornali lo fossero venuti a sapere, salvo che poi ne ha dato per caso notizia il ministro Romano, titolare dell’Agricoltura, perché niente si riesce a tenere segreto in un mondo di chiacchieroni. Di qui il pasticcio comunicativo che si aggiunge a tutti gli altri, anzi forse è il meno grave. Perché ce n’è uno, ben più serio, di cui si parla nei circoli politico-finanziari. Questo «pasticcio», stando al racconto di fonti troppo autorevoli per prendere abbagli, Silvio se l’è costruito con le sue stesse mani. Tutto viene fatto risalire ai giorni dello scontro tra Berlusconi e Tremonti. Siamo alla vigilia di Ferragosto, lo spread schizza alle stelle. Invece di far pace col suo ministro, il Cavaliere lo scavalca. E forte del suo eccellente francese, chiama direttamente Trichet, presidente della Bce. Gli chiede indicazioni, suggerimenti. Così facendo attira la famosa lettera che viene redatta a Roma (Draghi) con tutti i sacrifici da fare. Quando Berlusconi la riceve, scopre che le richieste europee sono molto più dure di quanto lui si aspettasse; capisce di essere finito in trappola; per due settimane tenta di svicolare, viene inchiodato da Francoforte. Nel frattempo lo spread torna sopra i livelli di guardia, con la manovra già «bruciata» e senza garanzia che gli aiuti Bce saranno decisivi. Più delle telefonate a Tarantini, avvertono dunque figure chiave della politica economica, conviene tenere d’occhio la «curva dello spread, che solo tre mesi fa ci vedeva allineati a Francia e Germania». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419752/ Titolo: UGO MAGRI Domani la fiducia, nel Pdl aumentano i dubbi: non basterà Inserito da: Admin - Settembre 13, 2011, 10:37:13 am Politica
13/09/2011 - MANOVRA IL GOVERNO Domani la fiducia, nel Pdl aumentano i dubbi: non basterà Il premier oggi in Europa per rassicurare Bruxelles E manda a Napoli un memoriale sul caso Tarantini UGO MAGRI ROMA La giornata Domani sera la Camera metterà il timbro sulla manovra senza correggere nemmeno una virgola. C’è il voto di fiducia, e pure chi nella maggioranza ha crampi allo stomaco (vedi il «responsabile» Scilipoti) alla fine dirà sì per non far cadere il governo. L’urgenza è motivata con la pressione dei mercati. Vero che tutta l’Europa è sotto tiro, ma intanto la Borsa di Milano va a picco, e supera i livelli di guardia lo spread con i titoli di Stato tedeschi. Vuoi vedere che questa manovra ancora non è approvata e già non basta? Che ci verranno richiesti dall’Europa nuovi sacrifici? Il dubbio serpeggia nel Palazzo. Tremonti, forte del rapporto con Bossi che ha coltivato pure ieri, lavora a un pacchetto di misure sul lato della crescita: sente ministri, concorda iniziative anche con quelli a lui meno amici, organizza seminari per valorizzare il patrimonio pubblico, chiede ai banchieri generosità nel foraggiare le imprese. Però domina lo scetticismo. Perfino nelle file del governo qualcuno scuote la testa, «di questo passo servirà ben altro», cioè tutto quello che la maggioranza non è stata in grado di decidere. Un intervento sulle pensioni. Una bella patrimoniale... «Ghe pensi mi» Si è sparsa voce che Berlusconi acquisterebbe titoli pubblici di tasca sua per 100 milioni di euro. Non basterebbero ovviamente ad accorciare lo spread tra Bund e Btp che, prende atto il portavoce Bonaiuti, «risente purtroppo del rischio Grecia». Però il «beau geste» darebbe un segnale di fiducia, perché se Silvio rischia di suo significa che è un affare (guarda caso, i rendimenti sono al top). Il Cavaliere oggi sbarca a Bruxelles e poi a Strasburgo, ufficialmente per spiegare all’Europa quanto efficace sarà la manovra governativa. Ripeterà a Van Rompuy e a Barroso i concetti illustrati ieri mattina su Canale 5: «Per la prima volta in 135 anni manterremo i saldi in pareggio, qualunque altro governo ne sarebbe rimasto schiacciato». L’opposizione gli prepara un bel «comitato di accoglienza»: sono pronte per il premier contestazioni davanti al Consiglio europeo e nella sede del Parlamento di Strasburgo, il cui presidente Buzek concederà a Berlusconi «un paio di minuti». Verrà presentato come un uomo in fuga dai magistrati ai quali, invece di riceverli per fare chiarezza sul presunto ricatto di Tarantini, farà recapitare oggi dall’avvocato Ghedini un memoriale. La versione di Silvio «Non credo sia reato aiutare chi ha bisogno», nella fattispecie «una famiglia con figli piccoli, una madre a carico, passata dall’agiatezza alla miseria anche per colpa dei magistrati». Quindi zero timore (a parole) del faccia a faccia coi pm napoletani, la trasferta europea è caduta nello stesso giorno mica per malizia ma solo perché non era possibile organizzare diversamente l’agenda... Il suo entourage rimane con le antenne dritte, si attende che da un momento all’altro possano uscire dai cassetti le famose intercettazioni del premier al telefono con Tarantini. Compresa quella in cui, spera non sia vero Buttiglione, «il capo del governo italiano si esprime in modo sprezzante e volgare sulla Merkel». A proposito di centristi: il Cavaliere respinge al mittente la loro offerta, dimissioni in cambio di un salvacondotto giudiziario. «Ma quali garanzie possono darmi, figuriamoci» pare sia stata la sua risposta quando il fido Confalonieri è andato a riferirgli le avances di Casini. Il quale Casini non ha contattato solo lui e Gianni Letta, ma svariati altri personaggi del Pdl, generando così negli interlocutori l’impressione di una disponibilità troppo ostentata per essere vera. Primarie per legge A discuterne si sono ritrovati nella sede del «Secolo d’Italia» Veltroni, Augello, Ferrara e Quagliariello. Nel Pdl l’argomento primarie sta diventando un modo educato per dire a Silvio: resta pure fino fino al 2013, ma poi basta così. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/419952/ Titolo: UGO MAGRI Il patto Silvio-Maroni che inquieta Inserito da: Admin - Settembre 17, 2011, 04:29:15 pm Politica
17/09/2011 - L'ESECUTIVO, GLI EQUILIBRI Il patto Silvio-Maroni che inquieta L'intesa tra i due risalirebbe al 30 maggio scorso Berlusconi di buonumore: "A Umberto ci penso io" UGO MAGRI ROMA Umberto Bossi e Angela Merkel non hanno nulla in comune. Eppure tanto il fondatore della Lega quanto la Cancelliera di Germania sono offesi a morte col Cavaliere. Il primo per un articolo su «Panorama» che racconta la moglie del Senatùr presentando lui come uno zimbello laddove lei, Manuela Marrone, fa e disfa le trame della politica. Chi se ne intende conferma: molto, effettivamente, ruota in Padania attorno a questa donna energica. Ma non è questo il punto. Bossi crede che a ordinare il ritrattino della moglie «matrona, patrona e un po’ terrona» sia stato l’editore del newsmagazine, tal Berlusconi Silvio. Il quale fa tanto l’amico e poi, sotto sotto, manda i sicari a colpirlo negli affetti più profondi... Anche qui, la verità è più semplice, «Panorama» ha fatto un’inchiesta senza chiedere il permesso, Berlusconi «non c’entra un fico» convergono tutte le fonti interne mondadoriane. Il premier ha perfino diffuso una nota costernata per scagionarsi agli occhi dell’alleato. Tutto inutile, però. Con il passare delle ore l’ira di Bossi cresce anziché sbollire, come si è ben colto dai discorsi esagitati di ieri. Qualcuno poi è corso a sussurrargli nell’orecchio che Berlusconi ha stretto un patto segreto con Maroni per farlo fuori, addirittura gli hanno fornito la data presunta in cui fu stipulato l’accordo, il 30 maggio scorso durante una visita di Stato a Bucarest. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno si chiusero in una stanza, vi restarono un’ora a quattr’occhi e da quel giorno Bobo iniziò ad alzare la cresta dentro il partito. Che strano. Quanto alla Merkel, anche lei disgustata da Silvio: poteva non leggere ciò che strillano i giornali tedeschi? In una telefonata con Tarantini, Berlusconi avrebbe detto cose «irriferibili» sul suo conto. Fonti berlinesi assicurano che Angela nemmeno ha voluto indagare a fondo sulle frasi esatte attribuite al nostro premier (tra l’altro sarebbe arduo tradurle dalla lingua di Dante a quella di Goethe). Aggiungono nella capitale tedesca che la Cancelliera vuole «guardare oltre» la vicenda, mica intende ritirare l’ambasciatore da Roma come certi ambienti del Pdl ieri temevano. Però incontrando personaggi autorevoli del nostro Paese, la Merkel non ha trattenuto in privato il giudizio seguente: «L’Italia deve cominciare a essere molto più seria». Si riferiva al premier, all’economia o a entrambe le cose? Berlusconi, interpellato più volte dal suo entourage, nega di essersi mai sbilanciato sulla Merkel, «non mi ricordo affatto» giura. La famosa intercettazione con Tarantini non è ancora uscita e, incrociano le dita a Palazzo Chigi, mai uscirà dalle carte baresi, resterà annegata nei cassetti per carità di patria. Cosicché il Cavaliere non dovrà porgere alla Cancelliera delle scuse che, magari, gli verrebbero rifiutate. La preoccupazione principale del premier, in questo momento, è sopravvivere allo tsunami di porno-politica. Voleva contrattaccare con una conferenza stampa, bordate a destra e a manca; la sua lettera a più mani che viene pubblicata stamane dal «Foglio» è l’imbuto entro cui l’hanno convinto (Letta, Bonaiuti, gli stessi avvocati) e convogliare la sua ira. Aspettiamoci tuttavia numeri da circo lunedì quando, invece di volare a New York, Berlusconi andrà in Tribunale a Milano per il processo Mills. Dicono che abbia rinunciato alla sessione Onu sulla Libia perché l’avevano messo in fondo alla lista degli iscritti a parlare; in verità pare resti in Italia perché ha qualche conto da regolare coi magistrati. Cicchitto anticipa il tema: «Siamo in un regime di illegalità prodotto da un nucleo di magistrati». Berlusconi lo svolgerà come sa fare lui. Sbaglia però chi lo immagina in preda all’angoscia. Anzi, si mostra di ottimo umore. Garantisce ai deputati Pdl: «State sereni e tranquilli, arriveremo al 2013, a Bossi ci penso io». L’altra sera è andato ospite alla festa del parlamentare ed editore Angelucci nella villa sontuosa che fu della Loren sui Castelli Romani. Nessuno è risultato più allegro e gigione. Barzellette, aneddoti, si è perfino inginocchiato per celia davanti al padrone di casa. La serata ha avuto il suo top con meravigliosi fuochi d’artificio, inframmezzati da musiche di Strauss e di Morricone. Sono così tanto piaciuti al premier, che ha subito contattato la ditta per uno spettacolino in Sardegna, quando riceverà qualche leader straniero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420585/ Titolo: UGO MAGRI Silvio stupito: “In fondo che ho fatto di male?” Inserito da: Admin - Settembre 18, 2011, 04:22:22 pm Politica
18/09/2011 - RETROSCENA Silvio stupito: “In fondo che ho fatto di male?” La strategia del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: resistere ad ogni costo e soprattutto non pentirsi mai Sabina Began «l'ape regina» indagata a Bari A un’amica confida: sfido chiunque a non provarci con la Arcuri UGO MAGRI «Che ho fatto di male, in fondo?». Berlusconi in queste ore si mostra esterrefatto dello stupore collettivo. Confidenza del premier a un’amica: «Ci ho provato con la Arcuri, è vero, ma alzi la mano quell’italiano che al posto mio si sarebbe comportato diversamente». L’unica vera distinzione, nell’ottica del Cavaliere, è tra chi può e chi non può permettersi certe cose. Zero autocritica, insomma. Tanto che l’altro ieri, quando ha mandato la sua lunga lettera al «Foglio», si è molto indispettito. La bozza scritta a più mani conteneva per la prima volta una sorta di ammissione, Silvio peccatore sì ma pentito, voglioso di farsi perdonare in futuro. E invece niente. Appena l’ha letta, con un colpo di penna Berlusconi ha cancellato tutto ciò che suonava come onesto «mea culpa». Della bozza originaria è rimasto soltanto l’attacco ai magistrati. I capoccia del Pdl hanno capito l’antifona, cosicché neppure sotto la grandine delle porno-telefonate se la sentono di andargli a chiedere un passo indietro. Primo, perché tanto lui non lo farebbe; per quanto assurdo possa sembrare, il Cavaliere si sente lanciatissimo. A un vecchio sodale diceva ieri: «Io vado avanti, tanto dall’altra parte non c’è nessuno... Sì, quello di Bari con l’orecchino, quell’altro di Piacenza, come si chiama? Ah, Bersani. Dai, non vanno da nessuna parte». E comunque, vai a trovare chi, dei tanti cooptati, avrebbe il coraggio di dirgli «dimettiti». Falsa la voce che Confalonieri e Letta si siano spinti così avanti. Semmai gli hanno riferito un’ambasceria di Casini della serie: se tu mandi avanti Alfano al posto tuo, potremmo tornare alleati... «Non se ne parla nemmeno», tagliò corto con Gianni e con Fidel il premier. Tornarci su sarebbe tempo perso. Come pensano di regolarsi, dunque, ai piani alti del partito e del governo? E’ sensazione diffusa che le intercettazioni siano un pozzo senza fondo. A Bari ne restano quasi 100 mila non ancora trascritte, ma qualche avvocato (gli imputati sono 8) potrebbe frugare tra i brogliacci e passare ai giornali la merce più imbarazzante. Poi, calcolano in via dell’Umiltà, c’è tutto il filone Lavitola su cui la procura di Napoli non ha scoperto le carte. Infine a ottobre ecco il processo Ruby, con la sfilata di miss vogliose di raccontare... Sospira un gerarca: «Possiamo soltanto tentare di mettere tra parentesi Berlusconi, far vedere che nonostante lui il governo lavora e il Pdl si dà da fare». Tenerlo lì come la mummia di Tutankamon, nel frattempo preparare il futuro con Casini. Già, perché tutti gli sguardi speranzosi si appuntano sull’Udc. E’ convinzione, tra gli strateghi orfani del premier, che alla fine Pier dovrà per forza allearsi con loro. Non subito, ma alle elezioni politiche, quando saranno. Osserva Quagliariello: «Bersani e Di Pietro ci hanno fatto due enormi favori. Il primo, prendendo impegni con Sel e Idv che renderebbero superfluo il Terzo Polo. L’altro, definendo i centristi le escort della politica. Dobbiamo cogliere la palla al balzo per costruire il fronte dei moderati». Attendiamoci avances sulla riforma elettorale, sulla bioetica, sulla qualunque. L’incognita è la Lega. L’ira di Bossi con Berlusconi non è svanita, dalle sue parti cresce la voglia di votare a marzoaprile 2012. Così non si farebbe l’eventuale referendum elettorale, non verrebbero abolite le province e non sarebbero dimezzati gli onorevoli e i senatori... Il voto sull’arresto di Milanese, giovedì alla Camera, difficilmente farà cadere il governo. Tremonti sente odore di bruciato, ma nei colloqui privati è nettissimo: «Si illude chi pensa di farlo arrestare per ottenere le mie dimissioni. Io non proprio ho nulla da temere». Quel voto, tuttavia, sarà la cartina al tornasole per capire che cosa si agita nella Lega. Un sì all’arresto di Milanese vorrebbe dire che una parte del Carroccio ha deciso, così non si va avanti, in primavera tutti quanti alle urne. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420674/ Titolo: UGO MAGRI "Gli italiani mi amano". Ma ora Berlusconi teme il referendum Inserito da: Admin - Settembre 19, 2011, 12:04:51 pm Politica
19/09/2011 - GOVERNO- L'AUTUNNO CALDO "Gli italiani mi amano". Ma ora Berlusconi teme il referendum La raccolta delle firme per il referendum ha registrato un'accelerazione che preoccupa il premier, secondo cui la Lega non vuole tornare al Mattarellum Nel partito del Cavaliere si studia una riforma elettorale: proporzionale alla tedesca per compiacere Lega e Udc UGO MAGRI ROMA «La gente mi ama», resta convinto Berlusconi, e siccome al cuor non si comanda «tornerebbe a votarmi» nonostante ormai risulti dalla sua inconfondibile voce (certe intercettazioni si possono ascoltare on-line) che tanto «eleganti» quelle feste di Arcore proprio non erano, e il bunga- bunga che vi si praticava è un po’ come tutti l’abbiamo sempre immaginato. «L’Italia continua a volermi bene e sarebbe pronta a difendermi», insiste incrollabile il premier con quanti riescono a parlargli, non troppi in verità: ieri black-out quasi totale.Nella villa sul lago dove ultimamente si rifugia, Berlusconi s’è studiato le carte del processo Mills, dove stamane potrebbe fare uno show, e non certo per annunciare le dimissioni. Le uniche telefonate domenicali del premier hanno avuto per oggetto la Lega. Nemmeno lui ha ben chiaro dove voglia spingersi l’Umberto. Da quando Bossi è offeso per un articolo di «Panorama » sulla moglie, i due non si sono più parlati, né risulta che abbiano in programma di vedersi a breve. Di rimbalzo, il Cavaliere ha appreso due notizie, una buona (per lui) e l’altra decisamente meno. La prima, che la Lega per ora non fa cadere il governo, che ilmalessere padano prescinde dalle vicende giudiziarie passate e future del premier, che è una questione molto più di fondo; la seconda (quella cattiva) è che Bossi torna alle origini, il federalismo non gli basta più, siamo di nuovo all’apologia della secessione.Ciò costituisce, oggettivamente, un problema politico. Come si può fare alleanza con i centristi (senza di loro, dimostrano tutti i sondaggi, la partita elettorale sarebbe persa in partenza) e al tempo stesso restare a braccetto con un partito che vuole dividere l’Italia? Chiaramente non è possibile. A complicare il puzzle ci si mette pure il referendum lanciato da Parisi, quello per tornare al Mattarellum, un sistema elettorale che sta alla Lega come la Kryptonite per Superman. Se la raccolta di firme avrà successo (ce ne sono già 450 mila, tra i sottoscrittori anche esponenti Pdl come Vizzini), può accadere che la Corte costituzionale dia disco verde, dunque si voti in primavera sul referendum. Pur di evitarlo, la Lega potrebbe giocare d’anticipo e mandare tutti alle urne, non sul sistema elettorale ma per le Politiche. Il verdetto della Consulta sulla ammissibilità dei quesiti arriva di regola ai primi di gennaio, con un timing perfetto. Come impedire la catastrofe già scritta? Tra le teste pensanti del Pdl comincia a farsi largo una pazza idea:buttare a mare il «Porcellum». Cioè il sistema elettorale attuale che prevede un candidato premier e un premio di maggioranza. Per adottare al suo posto un altro sistema che solletichi Casini, piaccia alla Lega ma soprattutto sterilizzi gli effetti politici del referendum.Un testo scritto ancora non c’è, siamo a livello di sobrie enunciazioni come quelle di Alfano e di Cicchitto ieri a Cortina: nell’ambito delle riforme istituzionali bisognerà pensare a «qualche modifica» del sistema attuale. Però a microfoni spenti il tema viene declinato sotto forma di modello spagnolo o di sistema tedesco. In pratica, si immagina un ritorno al proporzionale della Prima Repubblica con certi correttivi tipo lo sbarramento o un meccanismo di assegnazione dei seggi che impediscano la frammentazione in mille partitini (di fatto resterebbero sulla scena 5-6 soggetti politici). Il bipolarismo andrebbe in soffitta, rimpiazzato da un sistema di coalizioni, dove per vincere non sarà più necessario affidarsi a «uomini della Provvidenza »... Il problema riguarda molto da vicino il partito del premier: alPdl conveniva il maggioritario quando aveva un Leader con la maiuscola, ma adesso chi garantisce che resterebbe un affare? Sarà interessante la reazione di Berlusconi, quando i suoi colonnelli prenderanno coraggio, e gliene andranno a parlare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/420803/ Titolo: UGO MAGRI Tremonti: non mi dimetterò mai Inserito da: Admin - Settembre 24, 2011, 11:47:02 am Politica
24/09/2011 - RETROSCENA Tremonti: non mi dimetterò mai Il ministro dell'Economia, Giulio tremonti, e Berlusconi: i rapporti tra i due sono sempre altalenanti, ma nell'ultimo periodo sono diventati sempre più tesi La tentazione del ministro sotto attacco è lasciare che il premier se la cavi da solo contro la crisi UGO MAGRI ROMA La grande tentazione di Tremonti, in queste ore, è prendere sul serio Berlusconi. Cioè lasciare che in futuro il premier agisca di testa sua, senza mai più puntare i piedi, senza mettersi di traverso o minacciare le dimissioni come accadeva in passato, quando Silvio metteva becco nelle faccende economiche. Il titolare dell’Economia si trova a Washington, immerso nel G20 sulla crisi. Apprende dalle rassegne stampa (gliele inoltra il nuovo portavoce Pippo Pepe) che Berlusconi lo metterebbe al muro tanto è arrabbiato con lui perché giovedì non era in aula a votare su Milanese. È rimasto senza parole, Tremonti, nel leggere che Berlusconi lo accusa di denigrarlo ogniqualvolta si reca all’estero. Mai accaduto, giura il ministro, «tra l’altro, se lo facessi indebolirei me stesso agli occhi degli interlocutori», specie quelli anglosassoni. Ha letto pure di una telefonata tra lui e il premier («in realtà non ci siamo parlati, chi non ci crede controlli i registri delle chiamate»), nel corso della quale Berlusconi gli avrebbe ingiunto di partire per l’America dopo e non prima del voto alla Camera, prendendo l’Airbus governativo anziché il volo di linea. «Fantastico, così loro stessi mi avrebbero accusato di buttare 100 mila euro per salvare dal carcere il mio ex-collaboratore», è la replica privata del ministro. Il quale ha la certezza che si sarebbe trovato nel mirino comunque; se non fosse andato a Washington, per aver disertato il summit; se ci fosse andato dopo le votazioni, per avere sprecato cherosene di Stato; e avendo preso invece l’aereo di linea, per avere scaricato sugli altri onorevoli l’ingrato compito di difendere Milanese. Rispetto al quale Tremonti ammette una leggerezza: quella di avergli delegato tutte le seccature, cosicché Milanese col tempo è cresciuto secondo la nota legge di Peters fino al livello della propria incompetenza, esercitando un potere cui non era abituato, per esempio in materia di nomine negli enti che l’ex braccio destro «ormai trattava direttamente con Gianni Letta». Quanto ai famosi 4mila euro in nero per la casa in affitto, affiora nel ministro il dubbio di essere stato eccessivamente prodigo, sebbene i soldi non gli manchino e da tributarista ne avesse guadagnati un po’. Berlusconi invece pagherebbe di tasca propria per licenziare Tremonti. A Vespa, ricevuto nel suo salotto, il premier ieri confidava che purtroppo non ha il potere di cacciare i ministri, la Costituzione andrebbe rifatta. E Giulio non ha la minima intenzione di spianargli la strada («Berlusconi non può dimissionarmi, io non mi dimetto»). I due sono destinati a convivere. Come sempre, senza volersi bene. L’unica vera novità è che adesso il Cavaliere vuole mettersi al volante. E che l’altro a sorpresa da Washington gli dice «prego, fai pure». Si sente troppo debole per resistere, o magari non ne ha più voglia, o infine (è una supposizione) pensa che tanto la legislatura durerà ancora pochi mesi, si voterà in primavera, tanto vale laissez-faire, laissez passer. Il capo del governo vuole esercitare finalmente il suo ruolo? Pretende di coordinare le annunciate misure per la crescita? Vuole avvalersi di consulenti prestigiosi per non dipendere in tutto e per tutto dal suo ministro? Tremonti stavolta gli risponde: prego si accomodi, ci mancherebbe altro, ma... Ci sono alcuni «ma». Per «fare la crescita», come spiegano molto molto in alto al Tesoro, ci sono due soli modi. Il primo consiste nell’abbattere le tasse, investire denari, insomma spendere e spandere. Purtroppo questa strada «ci è drammaticamente preclusa» dalle condizioni di bilancio, con l’obbligo del pareggio nel 2013 «che Berlusconi, non Tremonti, ha sottoscritto davanti all’Europa». Tra l’altro c’è da tagliare subito 6 miliardi di euro ai ministeri, andrà fatto con un Dpcm (decreto del presidente del Consiglio), dunque il Cavaliere ci metterà la firma. «Se ne vuole occupare personalmente? Vorrà dire che toccherà a lui una volta tanto la parte del cattivo, non avrà nessuno su cui scaricare la colpa». Berlusconi immagina un grande piano di dismissioni patrimoniali che permetta di abbassare il debito pubblico dal 120 per cento del Pil giù giù fino a quota 90. Però «sbolognare i gioielli di Stato (Eni, Enel) con corsi azionari così sfavorevoli, sarebbe un regalo alla speculazione, lo capirebbe un bambino». Griderebbe la Corte dei conti, piomberebbero i caramba con le manette. L’altro modo per fare sviluppo, aggiungono le stesse fonti del Tesoro, sta nelle liberalizzazioni. Nel dire basta privilegi, basta corporazioni, basta lacci e laccioli. Questo tipo di riforme «non costa e funziona. O meglio, funzionerebbe se qualcuno avesse il coraggio di procedere per davvero». Nel decreto anti-crisi c’era un articolo che cancellava gli ordini professionali; Tremonti l’aveva infilato prevedendo le reazioni. «È venuto giù il mondo». E il primo a opporsi indovina chi fu? «Proprio Berlusconi...». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421786/ Titolo: UGO MAGRI Offerta al Pd: sfiduciate Tremonti Inserito da: Admin - Settembre 26, 2011, 09:35:10 am Politica
25/09/2011 - RETROSCENA Offerta al Pd: sfiduciate Tremonti "Mozione dall'opposizione, noi pronti a sostenerla" Berlusconi dubbioso UGO MAGRI ROMA Pur di levarsi di torno Tremonti, un folto gruppo di deputati Pdl sarebbe pronto a tutto, perfino a commettere (politicamente, si capisce) suicidio. Corre voce, ad esempio, che nelle famose votazioni di giovedì alla Camera su Milanese i «franchi tiratori» della maggioranza non fossero solo quelli accertati col pallottoliere, ma parecchi di più, e tutti accecati dalla voglia di colpire trasversalmente Giulio. Ne sono risultati soltanto cinque perché, spiega un’autorevole fonte Pdl, in soccorso di Milanese (e di Tremonti) sono giunti sottobanco almeno altrettanti voti dal centrosinistra, forse addirittura una decina, «tanto a scrutinio segreto chi li vede?». In questo modo «si è scongiurata una crisi che il Pd, nonostante le chiacchiere, non desidera affatto: altrimenti Bersani sarebbe obbligato a sostenere qualche governo tecnico che massacra le pensioni...». Insomma, l’assalto a Tremonti è andato a vuoto. Però i suoi nemici, guidati dal sottosegretario Crosetto, non perdono la speranza. E tornano alla carica proprio coi vertici del Pd. Dove sono stati recapitati messaggi del tipo: «Se voi presentate alla Camera una mozione di sfiducia contro il ministro dell’Economia, parecchi di noi ve la firmano, e lo mandiamo a casa...». I destinatari dell’ambasciata sono rimasti a bocca aperta dinanzi a tanta disinvoltura. E può darsi che stavolta nel Pd ci facciano un pensierino, alla tentazione di far cadere il governo non si resiste in eterno. Berlusconi è combattuto. Non sa bene se alzare il piede o pigiare il pedale dell’acceleratore. Come al solito manifesta umori diversi a seconda di chi parla al telefono. Correva voce ieri di comunicazioni molto perturbate tra Washington (dove si trova Tremonti) e Roma (prima che il Cavaliere partisse per la Sardegna), che se ne fossero detti di tutti i colori. Falso. In realtà i due non comunicano da giorni. L’unico tramite è Gianni Letta, parafulmine di tutti gli sfoghi. Con il ministro si è sentito venerdì notte, per via dei fusi orari, e di nuovo stamane all’alba, senza particolare gioia ma con toni sempre civili. Il filo non si è spezzato del tutto. Nessuno sa per quanto tempo ancora potrà reggere. C’è nell’entourage chi sostiene che Berlusconi abbia una tecnica sopraffina per scaricare sugli altri la colpa di ciò che non va. Qualcosa di simile era già accaduto con altri capri espiatori, l’Udc prima, Fini poi. Colpa loro se non si sono fatte certe riforme. Corsi e ricorsi della storia: c’è la crisi? L’Italia ne soffre? Prendetevela con Tremonti che ha sbagliato, ma d’ora in avanti «ghé pensi mi»... Berlusconi mostrerà che si fa carico in prima persona delle scelte economiche, senza più deleghe in bianco al super-ministro. I suoi strateghi pensano che si limiterà a esautorarlo nei fatti, senza pretendere dimissioni che Giulio tra l’altro non darebbe, e senza profittare dell’eventuale mozione Pd che sollecitano i suoi «pasdaran». In fondo a Berlusconi ciò che più preme è durare. E casomai tutto precipitasse, il Cavaliere punterebbe direttamente al voto, con la speranza di farcela una volta di più. Sbaglia chi pensa che Silvio abbia in mente chissà quale piano sofisticato per rimontare nei sondaggi, tipo patti di alleanza con i centristi. Basti dire che la riforma elettorale allo studio nel Pdl non è affatto una mano tesa al Terzo Polo. Il sistema alla spagnola che lo «chef» Verdini gli sta cucinando serve solo a evitare il referendum elettorale, cambiando le carte in tavola. Al posto del Porcellum arriverebbe un sistema ancora più bipolare, che spazzerebbe via i centristi. Casini ha mangiato la foglia, non a caso ha dato una rispostaccia al segretario berlusconiano Alfano, che voleva far credere il contrario. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421869/ Titolo: UGO MAGRI Ma il sogno proibito si chiama condono Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 10:43:16 am Politica
26/09/2011 - RETROSCENA Ma il sogno proibito si chiama condono Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sempre più sotto il fuoco a micodel Pdl. Non è piaciuta ai compagni di partito (e al premier in particolare) la sua assenza nel giorno del voto sull'arresto del suo ex braccio destro, Marco Milanese Il Cavaliere anticipa il rientro a Roma e in serata sente Letta UGO MAGRI ROMA Ieri sera Berlusconi è calato a Roma. Di solito dalla Sardegna, dove trascorre i weekend fino a quando regge il clima, si dirige su Milano per sbrigare certe sue faccende private. Se d’improvviso il Cavaliere ha cambiato programma, dev’esserci per forza una ragione di speciale importanza. Qualcuno dello staff la collega alle due telefonate di ieri, la prima a Cuneo e la seconda a Bisceglie, in cui Berlusconi ha sparso la sensazione di volersi tuffare nelle misure per lo sviluppo e per la crescita che «esamineremo» in settimana, ha detto. Pare abbia già incontrato Gianni Letta, suo braccio destro. E si prepara una mattina di fuoco, riunioni con i fedelissimi prima di tornare ad Arcore, perché c’è da decidere il «chi», il «come», ma soprattutto il «che fare». Domanda numero uno: che fare con Tremonti? Berlusconi non ha deciso se licenziarlo o invece no. Se dar retta a chi (la lista è lunghissima, ma sicuramente la guidano Galan e Crosetto) gli suggerisce di «cacciare Giulio addebitandogli la colpa delle decisioni sbagliate» e chi (vedi Fitto, ma pure anti-tremontiani come Cicchitto, per non dire di personaggi prudenti tipo Letta e di Bonaiuti) invitano il premier a considerare il momento, sarebbe da pazzi scatenare una guerra col titolare dell’Economia proprio adesso che lo «spread» con i bund tedeschi viaggia intorno ai 400 punti. Tra l’altro il Professore, che ieri è tornato a Pavia direttamente da Washington, non ha la minima intenzione di dimettersi. E casomai vi fosse costretto dalle circostanze, vale l’immagine colorita di un ministro economico: «Sarebbe come avere nel governo un kamikaze con il giubbotto pieno di esplosivo: Giulio salterebbe in aria, ma tutti noi con lui...». Meglio evitare. Non per caso a sera Bossi, che nonostante la salute vede più lontano di molti, annotava: «Tremonti non è in pericolo». E dovendolo «sopportare» al Tesoro, meglio ottenere la sua collaborazione per fare in fretta questo decreto sullo sviluppo, di cui ancora nulla è nero su bianco, solo poche idee (avrebbe detto Flaiano) ma confuse. Il libro dei sogni berlusconiano punta a «quota 90», il rapporto tra debito pubblico e Pil che quasi per incanto crolla di 30 punti dall’attuale 120 per cento, riportandoci tra i paesi semi-virtuosi. La bacchetta magica si chiama «dismissioni», in pratica la vendita di asset pubblici, immobiliari e non. Guai però a toccare Eni ed Enel, avverte Osvaldo Napoli, in quanto fruttano soldi freschi all’Erario, venderli sarebbe un autogol. Ci sarebbe l’immenso patrimonio immobiliare. Verdini ha consegnato a Berlusconi un dossier ricco di numeri e di proposte. Lo stesso Tremonti ha convocato per giovedì un incontro sull’argomento, si chiamerà «seminario» in modo che nessuno immagini decisioni rapide, né tantomeno svendite dei gioielli di Stato. Se ne potrebbero ricavare centinaia di miliardi, però il demanio è passato agli enti territoriali, ci va di mezzo il federalismo, il groviglio legislativo è pressoché inestricabile. Ma il vero pozzo di denari cui tutti pensano, perlomeno nel Pdl, si chiama condono. Fiscale o edilizio, parziale o tombale, non ha importanza, purché vi si attinga senza falsi pudori... L’armistizio con Tremonti dovrebbe consistere, secondo quanto va maturando in queste ore, in una sorta di compromesso: il partito cessa di attaccarlo, mette la sordina a Brunetta e agli altri critici del Professore; in cambio lui finge di dare ascolto ai colleghi di governo, e consente qualche operazione di finanza straordinaria fin qui negata. Per dirla con un personaggio ruvido ma sincero come Cicchitto, «per andare avanti servono grandi decisioni, bisogna prendere di petto il debito pubblico». Altrimenti, tutti a casa. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/421973/ Titolo: UGO MAGRI Bagnasco, l'attacco dopo il mancato "mea culpa" del premier Inserito da: Admin - Settembre 27, 2011, 11:25:17 am Politica
27/09/2011 - RETROSCENA Bagnasco, l'attacco dopo il mancato "mea culpa" del premier Il capo dei vescovi avrebbe anche telefonato a Letta UGO MAGRI ROMA C’ è sempre una goccia che fa tracimare il vaso, e nel giro berlusconiano credono di sapere precisamente quando lo sdegno del cardinal Bagnasco ha rotto gli ultimi argini. Pare sia stato una decina di giorni fa, dopo che il «Fatto quotidiano» se ne uscì raccontando il «porno-sacrilegio» (neologismo di Paolo Flores D’Arcais) commesso durante una festa di Arcore: spogliarello della Minetti vestita da suora, parodia a luci rosse del film «Sister Act», e benedizione goliardica di Silvio, col crocifisso di legno annegato poi tra i seni della consigliera regionale... Così perlomeno racconta una testimone, o sedicente tale, nel processo su Ruby che si aprirà il 3 ottobre a Milano, e tante altre ne sentiremo sulla falsariga o peggio. Cosicché nessuno si è mai dato pena di smentire il «Fatto». Narrano a Palazzo Grazioli di una telefonata non a Berlusconi personalmente ma a Letta, nella quale Bagnasco avrebbe manifestato tutto il suo sdegno. Ieri la «mazzata pazzesca» del presidente Cei, come la definiscono nel Pdl. Dove se la sentivano piombare addosso e, se si dà ascolto a personaggi molto influenti della cerchia berlusconiana, avevano fatto di tutto per scongiurarla, o comunque per evitare che prendesse le sembianze di una condanna all’Inferno. Il Cavaliere come al solito ci ha messo del suo, rifiutando qualunque gesto di pentimento, perdendo perfino l’occasione di emendarsi che Ferrara gli aveva servito sul piatto d’argento con la famosa lettera al «Foglio»... «Non ho nulla da rimproverarmi»,è l’auto-difesa cocciuta berlusconiana. Anziché cospargersi il capo di cenere, Silvio sostiene che in fondo «qualunque italiano, con le mie possibilità economiche, in casa sua si comporterebbe allo stesso modo». Il ministro Rotondi coglie con vena ironica il paradosso quando definisce Berlusconi «santo puttaniere» che comunque, aggiunge, «passerà alla storia da grande statista». I cattolici del Pdl si stracciano le vesti. Telefonate sul filo della disperazione al segretario Alfano. Sfoghi del tipo «la nostra sopportazione ha un limite», «scherza coi fanti ma lascia stare i santi», «verremo mangiati vivi da Casini», il quale negli ultimi sondaggi riservati è l’unico che guadagna voti. E ancora: «Dovrebbe chiedere scusa all’Italia come Strauss-Kahn, anzi dovrebbe annunciare il passo indietro come Zapatero». Bisogna vedere poi in concreto chi avrà il coraggio di dirglielo. Come nel congresso dei topi, tutti sono d’accordo che al gatto andrebbe messo un campanello al collo, salvo che nessuno glielo va a legare... Insomma la sensazione, nonostante tutto, è che nulla si muoverà. E che in attesa degli eventi vincerà la tesi minimalista, secondo cui Bagnasco ha detto «quanto ci si poteva attendere», in fondo la Chiesa non combatte il peccato? E comunque si sa, «il presidente della Cei non ha mai amato il Nostro, si lascia tirare la tonaca da sinistra, forse addirittura assistiamo a una faida interna nella Chiesa, dove il bersaglio vero non è Silvio ma il moderatissimo cardinal Bertone, o forse è addirittura più in alto, molto più in alto...». Voci blasfeme ipotizzano che la Cei «con cinismo» abbia incassato l’esenzione dell’Ici per i beni immobili ecclesiastici anche di uso commerciale, «salvo darci il calcio dell’asino», bella riconoscenza. In questo gorgo di passioni, pochi strateghi berlusconiani sanno restare freddi. Quei pochi annotano che il cerchio si stringe. La scomunica Cei arriva dopo il pronunciamento di Confindustria. Manca solo l’America per fare en plein dei poteri forti. E guarda un po’, in certi colloqui privati l’ambasciatore Usa si domanda quanto potrà resistere Silvio all’assedio del mondo intero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422204/ Titolo: UGO MAGRI Governo in stallo sulla nomina di Bankitalia Inserito da: Admin - Settembre 29, 2011, 05:30:08 pm Politica
29/09/2011 - LO SCONTRO Governo in stallo sulla nomina di Bankitalia Berlusconi non sceglie tra Grilli e Saccomanni. Bossi appoggia Tremonti. Draghi sale al Colle UGO MAGRI ROMA La politica sfoga i più bassi umori alla Camera, dove il ministro Romano scampa alla mozione di sfiducia per 315 voti a 296 in un clima ben poco educativo per le scolaresche ammesse in tribuna. L’«alta» politica, invece, si cimenta su Bankitalia con qualche chance di causare danni irreparabili. L’ultimo lusso che ci possiamo permettere è una bella lite sul successore di Draghi: esattamente quello che si sta verificando. Non solo c’è discordia sul nome, ma ogni giorno la matassa si ingarbuglia sempre di più. Grande il nervosismo del Quirinale, perché la tregua concessa dai mercati (tra i nostri Btp e i Bund germanici lo «spread» è sceso intorno ai 360 punti) potrebbe rompersi da un momento all’altro. I nostri risparmi viaggiano sulle montagne russe. Consultazioni di Draghi Il futuro presidente della Bce (entrerà in carica il 1° novembre) si è recato da Berlusconi: non alla residenza privata ma nella sede del governo, come è giusto. Poi è salito da Napolitano. Ha parlato ovviamente della sua successione alla Banca d’Italia, ed è a tutti noto che Draghi fa il tifo per la soluzione interna nella persona di Saccomanni. Però a Palazzo Chigi si è visto pure Tremonti, il quale sponsorizza invece Grilli, che del Tesoro è il direttore generale, dunque non sarebbe un governatore all’insegna della continuità e gradito all’establishment di Via Nazionale. Il braccio di ferro Tremonti-Draghi va avanti da mesi, ma ormai siamo al dunque perché la nomina deve scattare entro il 31 ottobre, possibilmente prima perché non ci si può ridurre proprio all’ultimo. Berlusconi è in stallo, non sa a chi dare ragione tra i due. I poteri del premier Si lamenta sempre, il Cavaliere, di averne troppo pochi. Ama descrivere se stesso come un profeta disarmato. Però in questo caso nessuno gli contesta il potere decisionale; anzi, tutti si aspettano che lo eserciti in fretta, tra l’altro la legge parla chiaro, è a lui che compete la designazione, mica a Tremonti. Con Draghi e con Napolitano si era sbilanciato per Saccomanni, a un certo punto sembrava fatta, specie quando Giulio pareva sopraffatto dalla vicenda Milanese. Sennonché il ministro sembra aver superato illeso il cerchio di fuoco, e ieri alla Camera l’hanno visto allegro come non mai, altro che piume basse. Bossi come al solito gli dà manforte, «io come governatore preferisco Grilli, non fosse altro perché è di Milano». Tutto il fronte anti-tremontiano viceversa istiga il premier a fare il rovescio di ciò che vorrebbe il Tesoro, insomma a scegliere Saccomanni. Il risultato è che Silvio tentenna. Gli tirano la giacca da tutte le parti. E dinanzi al suo sbandamento si compie il miracolo della nota congiunta Bersani-Casini, giunta dopo un colloquio tra i due con i quali pure si è consultato Draghi: «Nel mezzo di una tempesta finanziaria, invece di offrire certezze e stabilità, il governo continua a tenere pericolosamente in bilico il Paese». La crescita può attendere Nel senso che slitta il decreto con le relative misure: non verrà varato domani in consiglio dei ministri. Serve tempo per metterlo nero su bianco, almeno una settimana ancora. «Abbiamo messo su un gruppo di lavoro», annuncia Bossi dopo la cena dell’altra sera col premier. Ceffoni del Senatùr ai vescovi («dovrebbero dire più messe») e dito medio agli industriali («devono svegliarsi, mica possiamo prendere i soldi ai pensionati per darli a loro»). Il governo arriva al 2013? «Speriamo». «Vado in tivù e...» «...lì esplodo», minaccia il premier privatamente. Ce l’ha coi soliti magistrati «che mi danno la caccia». Il Cavaliere si accorge, per dirla con Cicchitto, che «il fronte giustizialista registra una battuta d’arresto», dopo che Milanese e Romano sono stati salvati (a sinistra i sei deputati radicali hanno rotto lo schema non partecipando al voto e sventolando il cartello «amnistia»). L’idea è andare da Vespa, ma alla fine sceglie di evitare Porta a Porta. Sconsigliato dai suoi stessi avvocati, da Letta e Bonaiuti, il premier sembra si sia convinto per non trovarsi in difficoltà dopo le pesanti dichiarazioni del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/422549/ Titolo: UGO MAGRI Banca d'Italia, si va verso la nomina di Bini Smaghi Inserito da: Admin - Ottobre 20, 2011, 05:58:29 pm Politica
20/10/2011 - VIA NAZIONALE, LO STALLO Banca d'Italia, si va verso la nomina di Bini Smaghi Il premier ne ha già parlato a Napolitano, presto l'annuncio UGO MAGRI ROMA Il terrore di presentarsi domenica a Bruxelles senza aver ancora spostato Bini Smaghi dalla Bce, e di dare perciò la netta impressione alla Francia di avere raggirato «monsieur le Président» Sarkozy, spinge il nostro premier a rompere gli indugi. Berlusconi promette che entro oggi imbucherà la lettera al Consiglio superiore di Bankitalia con il nome del futuro Governatore. E pare che si tratti appunto di Bini Smaghi, disposto a lasciare Francoforte solo per la poltrona più prestigiosa di via Nazionale. In latinorum si direbbe: «promoveatur ut...». Il Cavaliere non ha pronunciato pubblicamente il nome dell'economista fiorentino. «Sono tenuto al segreto», si è giustificato dopo un incontro con il Presidente della Repubblica durante il quale «non abbiamo certo parlato di calcio» (pur essendone appassionati entrambi). Fonti governative autorizzano a ritenere che Berlusconi abbia cercato la comprensione di Napolitano e forse anche un sostegno alla candidatura di Bini Smaghi. Le medesime autorevoli fonti aggiungono che il premier è intenzionato a procedere nonostante il fuoco di sbarramento. Talmente intenso che ieri sera la partita risultava ancora aperta, e la situazione parecchio confusa. Il fronte del no E' guidato dal tandem Bersani-Casini, autori di una dichiarazione congiunta per sostenere, neppure tanto tra le righe, la candidatura di Saccomanni (ben gradito all'establishment di Bankitalia): «Auspichiamo che il premier proceda rispettando l'autonomia dell'Istituto». Silvio ne è rimasto colpito, non tanto per l'auspicio quanto per la firma congiunta, segno che tra Pd e centristi sboccia qualcosa di serio. Ha mandato qualche fedelissimo a indagare meglio sui perché. Lui si è dedicato invece a Tremonti, la sua spina nel fianco. Il titolare dell'Economia ha sempre insistito per nominare Governatore Grilli, che è suo direttore generale al ministero. Osteggia viceversa Saccomanni, che piaceva molto a Draghi (verbo al passato, perché il neo-presidente della Bce pare abbia fatto sapere ieri al mondo politico che pure Bini Smaghi in fondo sarebbe okay). Ambienti vicini a Tremonti assicurano che il Prof ha appreso senza alcun dramma l'orientamento del premier su Bankitalia; altri, invece, giurano che Giulio stia piantando una grana gigante con l'aiuto di Bossi incontrato nel pomeriggio. Idem sulle misure per lo sviluppo. Un vertice a Palazzo Grazioli per entrare nel merito sarebbe finito, secondo il tam-tam parlamentare, a pesci in faccia, con le proposte di Romani e Matteoli bocciate una per una da Tremonti. Comunque i tre si incontreranno di nuovo stamane, segno che nulla è accaduto di irreparabile. Aspettando il decreto «Se fosse così facile l'avrei fatto in quattro e quattr'otto», si giustifica Berlusconi. Scatto di orgoglio rispetto a chi gli rinfaccia di non avere più leadership: «Non credo che l'imprenditore più capace degli ultimi decenni, da premier sia diventato improvvisamente incapace di decidere». Nemmeno gli altri leader europei se la stanno cavando meglio, insiste il Cavaliere, perché siamo di fronte a «un vero e proprio impazzimento dei mercati finanziari». Silvio spera di «annunciare qualcosa in settimana, ma se non c'è la possibilità di mettere in questo decreto fondi importanti, chiaro che ci sono dei problemi da risolvere...». Per esempio, potrebbero esserci pezzi di maggioranza che gli dicono ciao. Miccichè minaccia la crisi se si tolgono fondi al fotovoltaico, il trio Urso-Ronchi-Scalia dice no a un decreto «a costo zero». Sconsolato il berlusconiano Bondi: «La verità è che i soldi non ci sono...». DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/425652/ Titolo: UGO MAGRI I radicali tentano Berlusconi Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2011, 11:18:46 am Politica
22/10/2011 - GOVERNO-GLI EQUILIBRI I radicali tentano Berlusconi Sulla legge elettorale apertura del premier per un «bipolarismo all’americana» UGO MAGRI ROMA Qualcuno ha fuorviato Berlusconi (oppure ha capito male lui) dicendogli che il referendum elettorale riguarda le preferenze: il «Porcellum» le abolì, però alla gente piacciono, bisognerebbe resuscitarle. Cosicché il premier, profittando del congresso di Scilipoti, ha ritenuto di andare incontro al popolo. «Un milione 700 mila cittadini hanno dato indicazione per reintrodurre i candidati... Serve una variante della legge elettorale che consenta la scelta». Solo dopo ha capito l’equivoco: il referendum non è sulle preferenze, le firme sono state raccolte per tornare al sistema maggioritario, che diavolo c’entra la libertà di scelta? Senza indugio il Cavaliere ha autorizzato una rettifica di Quagliariello, mente giuridica del Pdl: le parole del premier non vanno intese come ritorno «alla vecchia pratica in cui veniva eletto chi spendeva di più». Incidente chiuso. Però l’aneddoto è indice di confusione. Berlusconi (il quale sbadiglia vistosamente ogni qual volta si toccano queste materie) ha una sola chiara preferenza: per il sistema elettorale che può farlo vincere. Se Casini fosse disposto ad allearsi con lui, allora Silvio non si opporrebbe alla legge semiproporzionale che piace ai centristi. Però siccome gli ex-dc non ne vogliono sapere di fare comunella, il Cavaliere propende per un sistema che li costringa a scegliere, o di qua col centro-destra, o di là con i «comunisti ortodossi» (come li ha definiti da Scilipoti). Se i fautori del dialogo con l’Udc non gli suggerissero cautela, Berlusconi avrebbe già optato per un sistema alla spagnola, dove non c’è spazio per terzi poli. Sintomatico un passaggio del discorso di ieri: «Gli Usa ci indicano la strada, e cioè il bipolarismo, perché una democrazia funziona bene se ci sono due forze in campo». Dove si coglie l’eco di quanto gli aveva detto due sere fa Pannella. E’ una volgarità pensare che i Radicali siano andati da lui a vendersi. Continueranno a votare come sempre contro il governo, mette in chiaro Rita Bernardini. Però, dal momento che le loro battaglie non riscuotono la minima attenzione nel Pd, è giusto sentire che cosa ne pensa il premier: così funziona sul mercato della politica. La «delegazia» radicale ha trovato un Berlusconi tanto interessato quanto indeciso. Tipo «vorrei ma non posso». Sull’amnistia «bisogna fare qualcosa», ha riconosciuto, «ma è difficile trovare in Parlamento la maggioranza richiesta dei due terzi». E quando Pannella gli ha magnificato il presidenzialismo all’americana, grande sospiro del Cavaliere: «Se proponessi la Repubblica presidenziale, mi accuserebbero di voler fare il dittatore, quando in realtà non ho poteri, io non conto niente», solita lamentela con una variante: di Napolitano ora il Cavaliere parla pubblicamente bene, «è un Capo dello Stato intelligente e puntuale, i suoi interventi sono sempre precisi». Pannella, congedandosi, gli ha dato una dritta: «Il Pd aveva inserito nel programma la legge elettorale maggioritaria, non importa se a uno o due turni. Silvio, approfittane! Rilanciala tu e loro non potranno dirti di no, essendone i proponenti...». Il Cavaliere sarebbe tentato, ma nel partito convivono idee diverse, lui non sa decidersi. Alza le spalle il centrista Rao: «Tanto sono divisi, che nemmeno riescono a fare una proposta». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426003/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi s’aggrappa all’Ue Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2011, 05:41:56 pm Politica
28/10/2011 - LA CRISI GOVERNO ALLE STRETTE Berlusconi s’aggrappa all’Ue Il Cavaliere prova a rilanciarsi. Ma è giallo su una lettera dei frondisti vicini a Pisanu UGO MAGRI ROMA Prodi, che in politica vede lontano, non scorge più con certezza elezioni a Primavera. «Ogni giorno qui cambia lo scenario», bofonchia il Prof. E ha ragione: le decisioni prese in Europa cambiano tutte le carte in tavola. Certi calcoli sono da rifare. E’ stata approvata l’altra notte a Bruxelles una lettera d’intenti che Berlusconi sta cercando in queste ore di sfruttare in un crescendo propagandistico per rilanciarsi (dopo «Porta a Porta» e «Tg1», stamane sarà pure a Canale 5). L’offensiva del premier Berlusconi vorrebbe accreditare la tesi che l’Ue ha dato l’okay non a una lista di cose urgentissime, bensì «a un programma di governo da 18 mesi», guarda caso proprio quanti gliene mancano per arrivare alle elezioni del 2013. Il timbro di Bruxelles fornisce al Cavaliere una scusa per tirare avanti, e un’arma per difendersi da chi vorrebbe sloggiarlo: chiunque dovesse mai andare al suo posto, osservano a Palazzo Chigi, dovrebbe farsi carico degli stessi impegni presi nel summit europeo. Non è che un altro premier potrebbe ricontrattare tutto daccapo. Di qui la domanda: ma il Pd, la sinistra, le forze sindacali, realizzerebbero quelle politiche, una volta rispedito ad Arcore il Cavaliere? Oppure al momento di formare un governo tecnico tenterebbero di sfilarsi? «Per le opposizioni è l’ora della verità», fotografa il problema Casini, reduce da un nuovo interlocutorio colloquio con Bersani. Guarda caso, i capigruppo del Pdl Cicchitto e Gasparri accolgono con entusiasmo la richiesta da sinistra di un bel dibattito in Parlamento, magari con diretta televisiva, sulla lettera alla Ue: occasione ideale per suonare un altro po’ di grancassa filo-governativa e mettere a nudo le incertezze dell’opposizione. Il patto col diavolo Pur di tirare avanti, però, Silvio ne ha sottoscritto uno. Tra gli impegni assunti con l’Europa c’è quello che potrebbe decretare la fine del suo governo. Si tratta dei «licenziamenti facili» e della mobilità coatta nel pubblico impiego: lui stesso avrebbe evitato di ficcarli nel programma, se la Lega non gliel’avesse imposto in cambio della finta novità sulle pensioni (a 67 anni nel 2026 ci si andrà comunque in base alle leggi che già esistono). C’è il rischio di uno scontro sociale terrificante, e il premier prova a metterci una toppa: «Non abbiamo tagliato i dipendenti pubblici come in Grecia, vogliamo solo un mercato del lavoro più efficiente e moderno». Però non si fatica a capire come mai Tremonti sia stato così «defilato» (espressione di Bossi) durante la stesura della lettera all’Europa. Un «caso Tremonti»? Il suo entourage nega che vi sia. Il ministro, spiegano in via XX Settembre, ha collaborato dall’inizio alla fine, sua è l’ispirazione specie sul Mezzogiorno, nella cena decisiva di martedì ha dato il via libera con qualche correzione subito applicata. Il risultato finale lo lascia «abbastanza soddisfatto», sebbene non abbia sgomitato per metterci la firma e il ministro Galan vada dicendo: «Finalmente Giulio conta di meno». La novità entusiasma l’ala anti-tremontiana del Pdl, e magari ci sarà del vero. Ma di sicuro, quando il clima in piazza si farà rovente, nessuno potrà rinfacciargli dentro il partito di avere promosso la «macelleria sociale». E comunque, con un gruppo di banche a rischio fallimento e con altri 15 miliardi da reperire in fretta, Tremonti non faticherà a riconquistare il centro della scena. La fronda si agita Un gruppo di senatori Pdl (difficile calcolare se si tratti solo di Saro e Pisanu o molti di più) pare abbia messo nero su bianco la famosa attesa lettera al premier dove lo si invita a farsi da parte. Alfano rifiuta di prendere in considerazione «fantomatiche» dissidenze, almeno fino a che non verranno allo scoperto. La vera novità, però, pare sia un’altra: dai malpancisti si sta staccando il gruppo di Scajola. Dopo un lungo tira-emolla, risulta che un accordo sia dietro l’angolo, con tanto di riconoscimento visibile al ruolo dell’ex ministro. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/426912/ Titolo: UGO MAGRI E Bossi attacca: «Dubito che l’Italia possa durare» Inserito da: Admin - Novembre 01, 2011, 11:45:12 am Politica
01/11/2011 - LA CRISI PALAZZO CHIGI Berlusconi cerca "un colpo d’ala" da portare al G20 Pdl all’assalto di Tremonti: Bini Smaghi al suo posto E Bossi attacca: «Dubito che l’Italia possa durare» UGO MAGRI ROMA La giornata Mancano quarantott’ore ore al G20 (una specie di super-governo mondiale) che si occuperà di noi. Il vertice può rappresentare l’ultima spiaggia, perché ieri lo spread coi titoli tedeschi viaggiava oltre i 400 punti. Si aggiunga il tonfo della Borsa, la disoccupazione al galoppo, la ripresa dell’inflazione... Secondo Bossi siamo alla frutta, il «fallimento» incombe, «così il Paese non può durare». Si vorrebbe dunque immaginare il nostro premier e i suoi ministri impegnati in riunioni febbrili, tecnici che sfornano proposte, contatti al massimo livello. E invece? Niente di tutto ciò. Un tragico destino fa coincidere la vigilia del G20 con il Ponte dei Morti. La politica, direbbe Pansa, piange i suoi «cari estinti». AAA, idee cercansi Il Cavaliere sta rintanato ad Arcore, da dove filtra la sua irritazione contro «Report» per la puntata dell’altra sera che non è piaciuta affatto al proprietario della Mondadori. Il presidente del Consiglio, giurano nell’entourage, lavora sodo alla preparazione del vertice. Gli piacerebbe presentarsi a Cannes con un’alzata d’ingegno, una «mandrakata» la definirebbero a Roma, così da tranquillizzare un Paese dove cresce la paura e nessuno mobilita le coscienze. Per cui Silvio chiede suggerimenti qua e là, interpellando «personaggi di livello», finanzieri, banchieri. Certi ministri che gli danno una mano sono sparsi purtroppo all’estero, Romani in India, Brunetta a Shanghai, Fitto a Londra... L’unico su piazza, e pure parecchio attivo, si chiama Tremonti. Il titolare dell’Economia ha tenuto ieri contatti all’altezza del dramma in corso, consultandosi col Quirinale, con referenti europei, con Berlusconi medesimo. Anche lui è alla ricerca di colpi d’ala, e magari pure dei soldi che servirebbero per smorzare l’impatto della delega fiscale in arrivo (qualche esperto di via XX Settembre si spinge a ipotizzare un ulteriore aumento dell’Iva). Ma il suo contributo viene messo in discussione da quello che personaggi equilibrati del governo considerano un «turbine di follia». «Dàgli a Giulio» Se si dà retta al tam-tam del Pdl, le ore di Tremonti ministro sono contate. Domani si terrà un ufficio di presidenza dove cercheranno qualche misura già pronta da inserire nella legge di stabilità (è all’esame del Senato) in modo da dare all’estero una buona impressione; ma soprattutto, la riunione servirà a processare il ministro. I più gentili tra i «berluscones» (vedi Cicchitto per il quale «non sono i mercati a fare i governi») gli chiederanno di allinearsi, altri meno oxfordiani di defilarsi, altri ancora di levarsi di torno. Vera o falsa, torna in circolo la voce della mozione individuale di sfiducia, supportata dai deputati anti-tremontiani più scalmanati. Chi al posto del prof? Berlusconi avrebbe pronta la soluzione Bini Smaghi, prendendo due piccioni con la stessa fava perché si sbarazzerebbe di Tremonti e libererebbe alla Francia il posto nella Bce. La ricetta di Montezemolo È un governo di salute pubblica, più presto che si può. In una lettera a «Repubblica» l’ex presidente degli industriali suggerisce un programma d’emergenza: tagliare i costi della politica, più flessibilità nel lavoro, tassa sulle grandi fortune, via le pensioni d’anzianità, mercati più aperti. Plaudono i centristi, che viceversa bocciano l’idea consegnata da Di Pietro alla «Stampa»: una contro-lettera delle opposizioni all’Europa, con ricette diverse. «Aumenterebbe la confusione», taglia corto Casini. «La confusione c’è già», condivide Bonaiuti a nome del premier. «L’Italia è in pericolo, Berlusconi se ne deve andare», non ha mancato di ripetere pure ieri Bersani. Che chiama sabato la gente in piazza a sventolare Tricolore e Costituzione. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/427551/ Titolo: UGO MAGRI Governo alla conta, Berlusconi resiste Inserito da: Admin - Novembre 08, 2011, 10:03:10 am Politica
08/11/2011 - LA GIORNATA Governo alla conta, Berlusconi resiste Oggi il Rendicondo dello Stato passerà con le astensioni "Voglio vedere chi mi tradisce" UGO MAGRI ROMA Stasera il Rendiconto dello Stato avrà il timbro del Parlamento. L’opposizione intera si asterrà, dunque per assurdo ad approvarlo basterebbe un singolo voto. Berlusconi salvo? Niente affatto. Anzi, nonostante la sua ostinata resistenza, non si vede come possa tirare avanti. Il governo ha un febbrone da cavallo, e le votazioni di oggi saranno il termometro. Se sul Rendiconto la maggioranza non darà prova di essere tale, può accadere addirittura che Berlusconi debba salire sul Colle a dimettersi già questo pomeriggio. Glielo chiede l’intero Pdl con una rimarchevole eccezione (lui). E da ieri pure la Lega vorrebbe che Berlusconi in quel caso gettasse la spugna. Se il Cavaliere facesse finta di niente, e provasse a tirare avanti lo stesso, l’opposizione gli lancerebbe contro un’apposita mozione di sfiducia da discutere subito in Parlamento, prima ancora che la Camera si pronunci sulla manovra per l’Europa (in gergo si chiama «maxi-emendamento alla legge di stabilità»). La decisione, sceglie la prudenza Bersani, verrà presa stasera in base alle votazioni. Il passo indietro Ferrara ieri mattina lo dava per imminente. E siccome molti credono che lui sia il «consigliori» del premier, ecco spargersi l’eccitazione: «Se ne va, se ne va!». Calo immediato dello spread, giubilo della Borsa. Successiva doccia fredda dal direttore del «Foglio», Berlusconi mollerà l’osso un attimo dopo aver chiesto e ottenuto la fiducia al maxi-emendamento. Nemmeno a quello però pensa in realtà il Cavaliere. Da lui raffiche di smentite fino a tarda sera: «Non capisco come siano circolate queste voci, noi andiamo avanti, non sono attaccato alla cadrega ma voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi, se si arrivasse a un ribaltone non sarebbe una democrazia». Neppure Calderoli, spedito come messaggero da Bossi alla villa di Arcore, è riuscito a fargli cambiare idea. Gli suggeriscono dalla Lega di salire dal Presidente della Repubblica e di contrattare, in cambio delle dimissioni, l’incarico di fare un nuovo governo al segretario Pdl Alfano. Ipotesi invero complicata perché, una volta aperta la crisi, il Capo dello Stato fa come vuole, incarica chi meglio crede dopo le consultazioni di rito. Grande pressing Berlusconi verrà convinto (forse) a dimettersi solo ed esclusivamente se i «sì» al Rendiconto dello Stato saranno talmente scarsi da togliergli anche l’ultimo barlume di speranza. Altrimenti come al solito dirà che è andata benissimo, e impiegherà i prossimi giorni cercando di riacchiappare qualche deputato del Pdl fuggito dal recinto. Già ieri, denuncia il centrista Rao, colui che dovrebbe reggere le sorti del Paese telefonava ai transfughi Pdl con ogni sorta di lusinga. L’uomo è un combattente nato. Impossibile dunque fare previsioni fino al momento in cui nell’Aula di Montecitorio si accenderà il tabellone luminoso: la discussione sul Rendiconto inizia alle 15,30 e ci vorrà un’oretta almeno. Della Vedova, capogruppo Fli, fissa un’asticella: «Sotto i 316 voti sarebbe acclarato che il governo non ha più nemmeno la maggioranza numerica, ci aspetteremmo che Berlusconi e i suoi ne prendessero atto». Il pallottoliere A bocce ferme il Cavaliere può contare su 312 voti. Ci si arriva così: 316 erano quelli ottenuti all’ultima fiducia. Salgono a 317 perché, essendo morto Franzoso che mancava da diverse sedute, gli è subentrato D’Alessandro, capo ufficio stampa del Pdl. Però i «berluscones» scendono a 314 in quanto sono passati armi e bagagli all’Udc Bonciani, la D’Ippolito e Gabriella Carlucci. Antonione ha reso pubblico che si asterrà, proprio come l’opposizione; Nucara (Pri) vorrebbe tanto esserci per sostenere ancora il governo, ma ragioni personali glielo impediscono. Ecco dunque perché 312. Alza le spalle Cicchitto, presidente dei deputati Pdl: «Non vedo questo clima da rompete le righe o si salvi chi può». Smentisce di avere la valigia in mano Pianetta, idem Cazzola e l’ex olimpionica Manuela Di Centa. Negano di converso un ritorno all’ovile Bonfiglio e Sardelli. Pecorella, già avvocato di Previti, non anticipa come voterà ma considera Berlusconi a Palazzo Chigi «un danno per il Paese». La Bertolini vedrà stamane il premier insieme con Stracquadanio, mentre Stagno subordina il suo voto favorevole a stanziamenti per Giampilieri, colpita dalla disastrosa alluvione del 2009 e, come spesso accade in quest’Italia, subito dimenticata. In sintesi: 312 voti sarebbero già un disastro, ma a Berlusconi potrebbe andare perfino peggio... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/428711/ Titolo: UGO MAGRI La rassegnazione incrociata del Cavaliere e del Pd Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2011, 04:28:58 pm Politica
03/12/2011 - Retroscena La rassegnazione incrociata del Cavaliere e del Pd Berlusconi ai suoi allarmati su Ici e patrimoniale: cosa potremmo fare adesso? Ugo Magri Roma Ieri sera qualcuno ha messo in allarme il Cavaliere. Guarda, gli sono corsi a dire, che sulla manovra circolano indiscrezioni tremende: c’è la patrimoniale che tu non volevi, torna l’Ici che il tuo governo aveva abolito, aumentano le aliquote Irpef che invece volevamo abbassare, scatta addirittura il divieto del contante sopra i 500 euro, tutto ciò che all’elettorato del Pdl provoca l’orticaria... Come ha reagito Berlusconi? Lungo imbarazzato sospiro (così giura chi l’ha sentito al telefono). Quindi flebile tentativo di sminare il campo: «Non abbiamo nessuna certezza che saranno davvero questi i provvedimenti, Alfano deve ancora parlarne personalmente con Monti, vi ricordate quante volte anche a noi avevano attribuito intenzioni non vere?». Infine, ragionamenti sul filo della rassegnazione che suonano all’incirca così: pure nel caso in cui lunedì arrivasse la stangata sui ceti che votano centrodestra, «che cosa potremmo fare noi?». Sfilarsi, secondo Berlusconi, a questo punto sarebbe impossibile. I presidenti delle due Camere, Fini e Schifani in nobile gara tra loro, hanno promesso che entro Natale la manovra avrà il timbro del Parlamento. Per rispettare la tabella di marcia, sarà giocoforza procedere a colpi di fiducia. E sulla fiducia non esistono mezze misure... «Sentirò Angelino, sentirò Tremonti, vedremo», fine della telefonata. Nell’altro accampamento, quello del Pd, si respira un’aria straordinariamente simile. Sulla carta, a Sant’Andrea delle Fratte dovrebbero essere soddisfatti. Perfino un cieco vedrebbe che vengono prese di mira le classi alte, nell’immaginario collettivo identificate con i proprietari di super-yacht; e poi la lotta all’evasione prenderebbe nuovo slancio dai pagamenti elettronici, come sempre hanno chiesto a sinistra... «Sì, sul piano dell’equità registriamo passi avanti», confida sottovoce un dirigente tra i massimi. Però poi c’è la partita aperta delle pensioni, e lì vai a indovinare come finirà. Nessuno se la sente di mettere la mano sul fuoco. Il rischio è che Monti voglia «menare in egual misura a destra e a sinistra», che faccia piangere i ricchi e pure quelli che abbienti non sono. Altra confidenza dal Pd: «In realtà sappiamo troppo poco, le grandi linee vabbè sono quelle, ma il diavolo è nei dettagli... La partita si giocherà nel weekend». A dirla tutta, non sono affatto tranquilli. Bersani sarà l’ultimo a bussare stasera da Monti: ore 21, perché le rispettive agende non collimavano. Insisterà perché, prima di mettere mano alle pensioni, il governo cerchi di raggranellare miliardi altrove, per esempio da un’asta sulle frequenze tivù. Alfano e la delegazione Pdl si presenteranno a mezzogiorno per implorare il Prof di andarci piano sulla patrimoniale, sull’Irpef e sul limite ai contanti. Casini (che appoggia il governo senza se e senza ma) a quell’ora sarà già andato via perché l’appuntamento col Terzo Polo è alle 10,30. Monti aveva invitato pure Di Pietro. Tonino confessa di essere rimasto sorpreso «dal garbo e dalla cortesia», comunque l’Idv si tiene alla larga perché «un governo tecnico non deve frammischiarsi ai partiti», e poi in quanto parlare col premier significa entrare nella logica del «do ut des», legarsi le mani. All’ex-pm le mani servono per brandire la clava, «se tutto si riduce a prendere i soldi agli italiani, non c’era bisogno di fare un governo di professori: ne bastava uno di malfattori...». Però alla fine Di Pietro, precisamente come Berlusconi, si ritroverà a votare i sacrifici. Il centrista Rao scommette che tutti faranno «di necessità virtù». Il capogruppo Fli Della Vedova alza le spalle: «Grandi turbolenze, ma non esistono alternative e tutto si calmerà». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/432838/ Titolo: UGO MAGRI - Lo humour del Professore infastidisce il Cavaliere Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2011, 06:09:15 pm Politica
17/12/2011 - retroscena Lo humour del Professore infastidisce il Cavaliere Il capo del governo tiene il punto per tutelare la sua credibilità Ugo Magri Roma Nella polemica col Cavaliere, Monti è stato tirato per i capelli. Non poteva far altro che reagire. Se avesse ignorato gli attacchi del giorno prima, il presidente del Consiglio avrebbe avallato la tesi berlusconiana che lo dipinge in preda alla disperazione, praticamente alla canna del gas. Sarebbe stata un’ammissione grave di debolezza. I mercati avrebbero fatto due più due, e addio sforzi per trasmettere all’estero l’immagine di un Paese finalmente governato. Per cui il Professore ha dovuto puntualizzare in Parlamento che disperato lui non si sente né punto né poco, anzi è «pieno di speranza», l’Italia ce la farà, ce la sta già facendo. Nel dirlo, tuttavia, Monti ha condito il suo discorso alla Camera con quel filo di humor britannico che alle orecchie del predecessore suona tanto come sfottò (nulla disturba Silvio più della garbata presa in giro: al confronto il via libera del governo all’asta sulle frequenze è solletico). Il presidente del Consiglio ha confidato di essersi fatto, leggendo i giornali della mattina, «un rapido esame di coscienza», giudicandosi «per un attimo colpevole di non sentirsi affatto disperato». Però poi, ha proseguito con lieve ironia, «riflettendoci sopra quella parvenza di colpevolezza è sparita del tutto» poiché «non c’è motivo di disperazione». Come dire elegantemente: Berlusconi ha preso un bel granchio. Insomma, ieri in Aula Monti ha scelto di tutelare la propria credibilità dentro e soprattutto fuori i confini nazionali. Ha dato la netta impressione di non farsi intimorire e di tirare dritto per la sua strada. Ha raccolto di conseguenza l’ovazione del Pd e del Terzo Polo. Però proprio questo insistito, gioioso applauso, unito al gelo del centrodestra, gli ha fatto intendere che forse a sua volta aveva gettato ulteriore benzina sul fuoco (nel cerchio stretto berlusconiano lo accusano di avere avviato lui la polemica col precedente governo, intervenendo tre sere fa in Commissione). Reagire alle provocazioni è umano; proseguendo tuttavia di ripicca in ripicca si romperebbe presto l’incanto di un governo fondato sulla responsabilità dei più. Per cui si racconta che Monti, appena finito di parlare,abbia subito scritto un biglietto al Cavaliere, onde chiarirsi e calare il sipario sulle tensioni nel nome diuna fattiva collaborazione futura. Molto hanno lavorato i «pontieri» per spegnere le fiamme. Il segretario Pdl Alfano, colloquiando col premier a margine delle votazioni sulla fiducia, ha segnalato in chiave costruttiva che il coordinamento non è più bastevole, il governo dovrebbe lavorare a contatto di gomito con i partiti, farsi suggerire, consigliare. Il Pdl non è contento del metodo, nemmeno nel Pd sprizzano felicità. Fanno testo gli interventi in aula, almeno in questo sovrapponibili, di Franceschini e di Cicchitto: sembrava quasi che i due vecchi nemici si fossero messi d’accordo. Monti ha perfettamente chiaro il problema. E tutto il suo discorso di ieri va letto come lo sforzo onesto di puntualizzare che lui fa il possibile, addirittura l’impossibile, per onorare il patto col Parlamento. «So che non devo dire noi e voi», ha sorriso rivolto al capogruppo Pd che gli imputa di contrapporre i «tecnici» ai «politici». E non è vero che il governo ha un tono «strafottente», come sostiene il presidente degli onorevoli Pdl. Profluvio di ringraziamenti a tutti, compresi quanti hanno avanzato critiche alla manovra, la Lega, Di Pietro: «Tutti abbiamo lo stesso obiettivo di operare per il bene dell’Italia». Ostentato omaggio del premier al lavoro della Commissione Bilancio, di cui «ho già avuto modo di riconoscere il grande contributo, il lavoro prezioso, l’approfondita riflessione che merita profondo rispetto...». Il Professore arriva a vestire i panni dello studente modello che ha preso «moltissimi appunti» durante il dibattito sui sacrifici, perché «il lavoro di dialogo è appena iniziato, nelle prossime settimane ci saranno interventi più meditati e organici» sul versante della crescita. Chi vorrà dare una mano sarà il benvenuto, non mancherà l’occasione per dimostrare che la politica è viva e vegeta, la democrazia non è sotto tutela. L’importante è che le riforme si facciano, a cominciare dalle privatizzazioni: «Bloccarle sarebbe una responsabilità grave». Perché non siamo fuori pericolo, alza la voce Monti per non farsi sovrastare dagli schiamazzi in Aula della Lega: «Il rischio è stato massimo, e ancora lo è». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434795/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e il voto a maggio I suoi: “Non è mica matto” Inserito da: Admin - Dicembre 18, 2011, 04:28:51 pm Politica
18/12/2011 - Berlusconi e il voto a maggio I suoi: “Non è mica matto” L’ex premier Silvio Berlusconi Il Cavaliere: “Se avessi avuto Monti al posto di Tremonti...” UGO MAGRI Roma E’ convinzione, ai piani alti della Repubblica, che Monti abbia superato un gigantesco scoglio. E dopo il voto sulla manovra ci sia motivo per ben sperare. Fanno da bussola le parole del Presidente. Napolitano liquida («non so come sono andate le cose») la polemica sulle troppe assenze nel voto di fiducia. Devono dispiacere certo, sono un brutto spettacolo. Però guai a perdere di vista la «grande prova del Parlamento». L’uomo del Colle lo sottolinea in quanto l’esito positivo non era per nulla scontato. E se si parla con i protagonisti della maratona a Montecitorio, si coglie lo stesso stupore, quasi incredulità per l’impresa che tanto a destra quanto a sinistra e al centro ritengono di aver compiuto. Confida un autorevole esponente Pd (a patto di non dirne il nome): «Ci siamo trovati a varare i provvedimenti con un governo ancora senza rodaggio e con una maggioranza composta da partiti che fino al giorno prima si coprivano di insulti. Nonostante ciò», segnala questo personaggio di primo piano, «i tre maggiori partiti sono riusciti non solo a varare misure altamente impopolari, ma addirittura a correggere profondamente il decreto sull’Ici e sulle pensioni, con il governo costretto a seguire la sua maggioranza». Domani la manovra passa in Senato, dove si annunciano nuove proteste della Lega, ulteriori motivi di tensione che la stampa internazionale non si farà sfuggire. Comunque sia, i senatori non toccheranno nemmeno una virgola del decreto, entro venerdì avrà il timbro del Parlamento. E’ stato inaugurato un metodo, e questo metodo a quanto pare funziona. A dare il là sono i «tre tenori» (Alfano, Bersani, Casini): i capi-partito si parlano, discutono, trovano l’accordo. Quindi tocca ai capigruppo (Franceschini, Cicchitto, Della Vedova) cantare e portare la croce. Sulla manovra ci sono riusciti al punto da indicare certe vie d’uscita allo stesso governo. Fa testo l’episodio capitato martedì, quando la maggioranza decise di sforbiciare gli stipendi agli alti papaveri ministeriali. Scoppiò l’iradiddio, i capi gabinetto entrarono in rivolta. Piombò in Commissione Giarda (ministro per i rapporti col Parlamento e longa manus di Monti): «Questo taglio non si può fare». Franceschini, racconta un testimone, lo guardò perplesso: «In che senso?». «Nel senso che il governo non è d’accordo», rispose secco il ministro. Sguardo d’intesa fra Cicchitto e Franceschini, che a quel punto sorrise: «Bene, vorrà dire che darete parere contrario, e noi lo approveremo lo stesso...». Il taglio ai burocrati è stato varato, così come è passato in Aula un ordine del giorno della Lega su cui il governo si era espresso contro, ma la maggioranza era d’accordo. C’è assonanza perfino nel linguaggio. Il centrista Rao: «Riprendere l’iniziativa conviene ai partiti e conviene al governo». «Le formule contano poco, l’importante è che il gatto acchiappi i topi», sfoggia una citazione di Mao il berlusconiano Bonaiuti. A proposito del Cavaliere: nulla di più falso che voglia votare a maggio, «mica è matto» giurano i suoi strateghi, «con questi sondaggi sarebbe un massacro». Se Monti non gli piace, Silvio se lo fa piacere. Un attimo prima che il presidente del Consiglio polemizzasse con lui, alla Camera, Berlusconi stava sussurrando ad Alfano: «Ah, se al posto di Tremonti avessimo avuto lui, non ci saremmo trovati in questo guaio...». Perfino dopo che il Professore l’ha bacchettato, Berlusconi è rimasto impassibile. «Non rispondergli male», ha raccomandato al segretario Pdl che stava per prendere la parola. Sintetizza Quagliariello: «Finché farà bene, da noi Monti non dovrà temere nulla». Quanto al Pd, Enrico Letta ricorda che gennaio e febbraio saranno «mesi da brivido» per le aste sui titoli di Stato. Per una resa dei conti, il momento più sbagliato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434872/ Titolo: UGO MAGRI Un attacco a Tremonti dietro le proteste del Pdl alle verifiche Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2012, 11:22:29 am Politica 07/01/2012 - restroscena Un attacco a Tremonti dietro le proteste del Pdl alle verifiche Ugo Magri Roma C’è quasi un senso di liberazione, nella gioconda ferocia con cui il Pdl sta attaccando Befera. Da tre giorni il partito del Cavaliere martella l’uomo che dirige Equitalia e l’Agenzia delle Entrate. Gli rimproverano di avere esagerato con il blitz delle Fiamme Gialle a Cortina d’Ampezzo, da cui è risultato un certo numero di finti poveri immersi nel lusso. Nei suoi confronti gli addebiti sono molteplici. Qualcuno (Cicchitto) contesta a Befera una smania di protagonismo che lo porta a comportarsi «come un leader politico ad alta intensità mediatica». E poi, chiede polemico il presidente dei deputati Pdl, come mai solo adesso Befera si sbilancia in tivù contro Berlusconi quando nei tre anni precedenti era stato prudentemente zitto? Altri (Capezzone), imputano al numero uno delle Entrate di voler combattere l’evasione con armi improprie tipo «ipoteche, pignoramenti e blocco dei conti correnti». Altri ancora lo accusano di sfogare contro i ricchi un autentico odio di classe: «Non è criminalizzando la ricchezza che si combatte l’evasione», protesta veemente la Santanché. Befera «opportunista», Befera «illiberale», Befera «comunista»... «Dovrebbe dimettersi», insiste la Santanché. Per ora lo sostiene soltanto lei. Ma l’impressione è che l’intero Pdl non vedrebbe l’ora di congedarlo in quanto, agli occhi dei «berluscones», il presidente di Equitalia incarna al peggio l’eredità tremontiana. Parlando con i protagonisti, si scopre che colpiscono Attilio per sbarazzarsi del fantasma inquieto di Giulio. Con lui in Via XX Settembre, i due avevano collaborato molto strettamente, come ricordato dal Pd Fassina. Capezzone non dimentica «i debordanti poteri concessi a Equitalia anche con il precedente ministro dell’Economia, purtroppo». Nunzia De Gerolamo resta convinta che senza il placet di Tremonti, Befera non sarebbe potuto restare al tempo stesso «controllore e controllato», capo di quella Equitalia su cui dovrebbe vigilare come direttore delle Entrate. Ma queste sono pecche veniali rispetto alla grande «colpa» di entrambi: è per effetto dei loro metodi, gridano ai piani alti del Pdl, che «è iniziata la nostra spirale discendente». La vicenda risale alle ultime elezioni amministrative, un tonfo per il centrodestra (Lega compresa). Anziché darne la colpa a Berlusconi, indebolito dalla lite con Fini e dalla vicenda Ruby, i pretoriani del Cavaliere decisero che la batosta traeva origine dalle «ganasce fiscali». Vano fu il tentativo di allentarle. Addirittura Tremonti mandò la Finanza a Lugano (sua fu l’idea) per riprendere con le videocamere gli italiani che andavano a versare capitali nelle banche svizzere. Ora che all’Economia non c’è più Tremonti bensì Monti, il Pdl grida al popolo delle partite Iva: a difendervi siamo di nuovo noi... «Ci vorrebbe una commissione d’inchiesta sui poteri di Equitalia», tuona Crosetto. Si volta pagina, si torna all’antico. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437210/ Titolo: UGO MAGRI E i partiti tirano un sospiro di sollievo Inserito da: Admin - Gennaio 13, 2012, 05:12:06 pm Politica
13/01/2012 - reazioni E i partiti tirano un sospiro di sollievo Il cosiddetto Porcellum è il modello elettorale attualmente in vigore in Italia. E’ un sistema proporzionale cui viene riconosciuta un’ampia maggioranza alla coalizione vincente, grazie a un premio del 55% dei seggi per chi ottiene più voti. Le liste sono bloccate, non si possono esprimere preferenze. Legge elettorale, le proposte già alla Camera Senza il pungolo della consultazione, si fa più difficile l’addio al “Porcellum”, le posizioni sono molto distanti UGO MAGRI Roma Nonostante il coro dei volenterosi, i quali promettono di fare in Parlamento quello che la Consulta non ha voluto o potuto, liberarci del «Porcellum» sarà parecchio difficile. Per fare la nuova legge elettorale, bisognerebbe che i partiti fossero d’accordo; e per spingerli ad accordarsi, superando le diverse impostazioni, servirebbe un fucile puntato alle loro spalle. Questo fucile poteva consistere in un dispositivo della sentenza (molto se n’è parlato alla vigilia) dove la Corte costituzionale dicesse: il referendum non è ammissibile, però il sistema elettorale vigente cozza contro i principi della nostra Carta repubblicana. Una semplice postilla, sufficiente però a mettere i partiti con le spalle al muro, poiché non si potrebbe certo andare alle urne con una legge incostituzionale. Cambiarla, grazie alla postilla, sarebbe diventato un obbligo... Purtroppo non è andata così. Nelle motivazioni della sentenza, quando verranno rese note, anziché l’arma da fuoco troveremo una raccomandazione, al massimo un monito affinché si tolga il premio di maggioranza. Sarà come appellarsi al buon cuore dei partiti, al loro senso del bene comune. Potrà bastare a vincere i rispettivi egoismi? Napolitano conosce il problema e non a caso s’è attivato immediatamente con i presidenti delle Camere, quasi pretendendo uno scatto di dignità da parte del Parlamento. I politici tutti agiscano perché, viceversa, crescerebbe il discredito nei loro confronti (dai sondaggi riservati a disposizione dei leader risulta che la fiducia nei partiti oscilla in questo momento tra il 2 e il 3,5 per cento). Però qui sorge l’ulteriore ostacolo: per rifare la legge elettorale, è indispensabile che la legislatura prosegua almeno fino all’autunno, e in un clima costruttivo di «impegno nazionale». Fino a pochi giorni fa sembrava scontato che questo governo avesse carburante bastevole fino al 2013; addirittura la riforma elettorale veniva considerata un utile passatempo per i partiti nell’attesa che Herr Monti se la vedesse con la Merkel e con lo spread... Ora queste certezze d’improvviso svaniscono perché Berlusconi e Bossi si sono riavvicinati, complice la battaglia parlamentare sull’arresto di Cosentino. Rozzamente si sostiene (anche nel giro Pdl) che quei due abbiano stretto un vero e proprio patto segreto: niente manette all’ex-sottosegretario in cambio di elezioni presto, prestissimo, forse addirittura a maggio. Di sicuro il Cavaliere ne ha ragionato coi suoi, suscitando entusiasmo nei Matteoli, La Russa, Verdini e Santanché, grande costernazione invece nel «politburo» romano (Alfano, Cicchitto, Gasparri, Frattini) che conosce i sondaggi e teme una Waterloo. Dando corpo alle voci, subito dopo la sentenza Bossi ha dichiarato beffardo: «La migliore legge elettorale? E’ quella che c’è, perché non si impiegherà tanto tempo ad andare al voto». Quanto a Berlusconi, dalla sua bocca è uscita una sorprendente difesa del Porcellum, l’unica che si sia levata ieri: «E’ una buona legge che mira alla governabilità del Paese», al massimo si può «migliorare» estendendo al Senato il premio nazionale di maggioranza che vige alla Camera. Cioè l’esatto rovescio della raccomandazione in cantiere al Palazzo della Consulta. Ma non si rendono conto, Silvio e l’Umberto, della batosta cui andrebbero incontro? Sospira un alto dignitario Pdl: «Credono di avere doti magiche di recupero elettorale. Inoltre, questa legge permetterebbe a entrambi di scegliersi chi portare in Parlamento e chi no. Pure in caso di sconfitta, terrebbero l’opposizione sotto il loro controllo...». C’è chi, perfino nel Pdl, prova a smarcarsi. Quagliariello ribadisce che «il Pdl ha già manifestato la propria disponibilità a modificare il sistema di voto in un quadro di riforme istituzionali», mica si può cambiare linea ogni due per tre, e dal Pd lo applaudono. A Palazzo Madama si intrecciano prove di dialogo, forse già la prossima settimana verrà definita una bozza comune di riforma dei Regolamenti parlamentari. Ma decisive alla fine saranno le trattative sulla «fase due» della manovra e sulle liberalizzazioni. Con il sistema elettorale non c’entrano nulla, però un no di Monti alle richieste di Alfano e del Pdl porterebbe acqua al mulino del Cavaliere e dei suoi «pasdaran». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438021/ Titolo: UGO MAGRI Monti chiede l’appoggio dei leader Inserito da: Admin - Gennaio 16, 2012, 11:36:19 am Politica
16/01/2012 - LA CRISI LA PAROLA AI PARTITI Monti chiede l’appoggio dei leader Pranzo con Alfano, Bersani e Casini: sul piatto il sostegno delle Camere per la battaglia in Europa UGO MAGRI Roma Quando alle 10 di stamane Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, varcherà il portone di Palazzo Chigi, per quell’ora già sarà chiara la reazione dei mercati. Avranno ignorato le bocciature inflitte da Standard & Poor’s? O viceversa l’euro si troverà alle prese con uno tsunami? La conversazione tra Monti e il suo ospite prenderà le mosse dall’andamento dello spread. Ma poi certamente il colloquio farà perno sull’appuntamento cui tutti guardano: il Consiglio Ue del 29 gennaio. E’ lì che andranno prese le decisioni anti-crisi. Non solo quelle volte a rafforzare la disciplina di bilancio (il cosiddetto «fiscal compact»), ma anche le politiche su cui innestare un cammino virtuoso di crescita. Van Rompuy confida assai nella competenza del professor Monti e nelle sue proposte per accrescere il dinamismo del Vecchio Continente. Fonti governative assicurano che l’incontro avrà carattere operativo, e contribuirà a definire l’agenda del Consiglio Ue. Giusto il tempo di congedare Van Rompuy; poi Monti dovrà precipitarsi a ricevere altri ospiti. Per pranzo infatti a Palazzo Chigi sono attesi «A-B-C» (Alfano, Bersani, Casini) che per la prima volta si appaleseranno tutti insieme, senza raggiungere Monti attraverso cunicoli sotterranei come accadde due mesi fa a Palazzo Giustiniani. Oggetto dell’incontro, come suggerisce la presenza del ministro per gli Affari europei Moavero, è proprio la condotta da seguire in vista del 29. Ciascuno dei tre segretari porterà le proprie ricette che in gran parte coincidono. Per tutti il problema è rappresentato dalla posizione tedesca ed è incarnato da Frau Merkel. L’uno, l’altro e l’altro ancora sostengono che Monti non dovrà avere timidezze nel tutelare la posizione dell’Italia che ha fatto i compiti a casa e perfino S&P in qualche modo lo riconosce. Quelli del Pdl sostengono: batta i pugni sul tavolo. Ma pure nel Pd lo esortano a trascurare, se proprio occorresse, l’etichetta e le buone maniere. Monti li ascolterà con la solita aria attenta, sebbene da ex commissario Ue non gli manchi consuetudine con l’ambiente comunitario. L’interesse della colazione, in ogni caso, non risiede nei suggerimenti dei partiti al Prof. Conta il segnale politico, l’immagine plastica di un Paese compatto quando viene in gioco il destino collettivo; e di una maggioranza che, perlomeno su temi così alti, non prova vergogna di qualificarsi tale. Se l’incontro avrà successo, non sono esclusi sviluppi ulteriori. Il 24 alla Camera, e l’indomani al Senato, si preparano dibattiti sulle scelte europee perché, come ricorda spesso Bersani, «il Parlamento non ce l’hanno soltanto i tedeschi». Per il momento si procede su mozioni separate anche se convergenti (Franceschini-Goti e Cicchitto-Frattini a Montecitorio, di Finocchiaro e di Gasparri a Palazzo Madama) ma non è da escludere che il presidente del Consiglio solleciti oggi il passo politicamente impegnativo della mozione comune. Sarebbe una svolta rilevante per la politica italiana e utile per le agenzie di rating le quali, testimonia Prodi, non capiscono granché delle nostre vicende. Il pranzo era fissato da giorni. Risulta che sia stato Monti a prendere l’iniziativa. Ma l’appuntamento ha rischiato di saltare dopo il voto salva-Cosentino, perché Berlusconi (ringalluzzito) è tornato a parlare coi suoi di elezioni a breve. Pare che Monti, messo al corrente delle voci, se ne sia dispiaciuto. Nelle ultime ore, comunque, dietrofront del Cavaliere che di fronte al precipitare della crisi ha dato via libera ad Alfano, il quale potrà sedersi finalmente a tavola con gli ex-avversari. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438415/ Titolo: UGO MAGRI Si presentano insieme ma alla fine vanno via alla spicciolata Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2012, 05:50:06 pm Politica
17/01/2012 - Il premier ironizza: "Vi ho sistemati proprio come in Parlamento..." E i partiti si fanno piacere il boccone del Professore I tre capi si presentano insieme ma alla fine vanno via alla spicciolata CARLO BERTINI e UGO MAGRI Roma I partiti si piegano all’emergenza nazionale. Sono disponibili perfino a scrivere una mozione sotto dettatura del governo, pur di non litigare tra loro. Fingeranno di mettere certi paletti alla trattativa con l’Europa: una «linea del Piave» oltre la quale Monti sarà vincolato dal Parlamento a rispondere con un no secco, nel caso in cui la Germania ci obbligasse a un risanamento insostenibile. Chiaro che sarà una mezza finta, poiché in caso di veto italiano agli accordi lo spread balzerebbe a mille, dunque non si può. Ma tutto serve in questo momento per trasmettere ai mercati l’immagine di un Paese compatto: di qui il primo «vertice» di maggioranza nell’era Monti. Ecco dunque i leader dei tre partiti presentarsi insieme a Palazzo Chigi senza più sotterfugi. Come unica accortezza, dopo tre ore di colloquio, «A-B-C» se ne vanno alla spicciolata. Chi esce dal portone principale, chi dal retro evitando una «photo opportunity» politicamente poco opportuna. Né le telecamere vengono ammesse nella sala da pranzo al terzo piano, dove si accomodano da una parte del desco rettangolare Monti e il ministro per l’Europa Moavero, dall’altra i tre ospiti. «Vi ho sistemati come in Parlamento», sfodera humour il padrone di casa, «Alfano a destra, Bersani a sinistra e Casini in mezzo...». Addio pennette tricolori in salsa berlusconiana: il menù da Quaresima del professor Monti prevede riso, fettina e acqua minerale. Clima rilassato, discussioni zero, anche perché i cibi piccanti (liberalizzazioni e Rai) non vengono serviti in tavola. Unica interruzione quando al telefono chiama Frau Merkel, Monti si alza per andare a rispondere. Sarkò invece non si fa vivo, ma la vera delusione dei commensali è che nemmeno verrà a Roma venerdì per il «triangolare» italo-franco-tedesco. Però giustificano il rinvio alla luce del declassamento francese,che può scatenare reazioni incontrollate al di là delle Alpi, insomma l’inquilino dell’Eliseo ha i suoi bei grattacapi. Il terzo convitato di pietra è Berlusconi. Da giorni fa sapere che «in dieci minuti potrei mandare a casa il governo». Monti non ha parole. Alfano rassicura tutti, Silvio «è stato frainteso», anche il Cavaliere è convinto che si debba arrivare al 2013, la lealtà Pdl è fuori discussione. Capitolo archiviato. Si ragiona della mozione che il Parlamento approverà il 25 o il 26 gennaio, a ridosso del Consiglio straordinario europeo. La «piattaforma nazionale», per dirla con Bersani, aiuterà il governo nelle trattative europee senza legargli troppo le mani. Confida un protagonista della colazione: «Occorre un testo sufficientemente flessibile, per cui Monti non venga costretto a sbattere la porta del negoziato se nel patto europeo mancano quelle due-tre paroline...». Spiega ai cronisti Casini: «La mozione verrà scritta in raccordo con Moavero che contatterà i responsabili esteri dei partiti». Per il Pdl, anticipa Alfano, scenderà in campo l’ex ministro Frattini. In calce al documento parlamentare ci sarà la firma dei leader? «Questo lo vedremo», fugge via Angelino che (a sentire i pasdaran berlusconiani) s’è già spinto fin troppo avanti. A Palazzo Grazioli vorrebbero un esplicito riconoscimento di quanto realizzò il Cavaliere in Europa, dalle parti di Bersani non ne vogliono nemmeno sentir parlare, Moavero cercherà di mettere tutti d’accordo. Arrivati alla frutta, grande condivisione sulla politica che dovrebbe autoriformarsi, anzitutto abbattendo i suoi costi. A-B-C si rivedranno prossimamente per mettere in moto il cantiere della legge elettorale e «noi del Pd forzeremo», promette Bersani, «così risulterà chiaro se qualcun altro non vuole andare avanti». Sarà inevitabile trattare pure il taglio dei parlamentari e le Camere-doppione. Tutti soddisfatti alla fine. Da Palazzo Chigi filtra che Monti lo giudica un incontro «proficuo» anche perché Napolitano insisteva da settimane per inchiodare i partiti alle loro responsabilità. Ancor di più dà sollievo, al capo del governo, la reazione composta dei mercati all’anatema di S&P’s. Il Professore ha trascorso serenamente il pomeriggio facendo esami: davanti a lui sono sfilati i massimi dirigenti di Palazzo Chigi, tutti trepidanti perché nessuno di loro può sapere se verrà riconfermato o meno. Non era mai accaduto che un nuovo premier, appena arrivato, spalancasse le finestre per far circolare un po’ di aria nuova. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438594/ Titolo: MAGRI. Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’UDC Inserito da: Admin - Gennaio 27, 2012, 03:30:15 pm Politica
27/01/2012 - RETROSCENA Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’Udc Tra gli ex An sale la voglia di fare opposizione con la Lega UGO MAGRI Roma Candidamente Berlusconi ammette che, se volesse far cadere il governo, oggi come oggi gli mancherebbe un pretesto. E Monti sarà pure agli occhi suoi l’Usurpatore, tuttavia al momento «sta agendo con prudenza e credo sia difficile avanzare critiche fondate» nei suoi confronti. Per cui, tornando indietro al giorno delle dimissioni, il Cavaliere le ridarebbe nuovamente, «le ragioni sussistono ancora». Parole accompagnate dal voto di fiducia sul «milleproroghe» che l’ex-premier reca personalmente al governo. E viene da chiedersi, allora, come mai nei giorni scorsi avesse fatto immaginare il contrario manifestando pubblicamente scontento, ipotizzando addirittura in privato elezioni a maggio. Dalle sue parti spiegano che i motivi sono tre. Il primo motivo si chiama Bossi. Il leader della Lega domenica scorsa aveva lanciato un aut-aut, «a casa Monti o a casa Formigoni», praticamente una pistola puntata contro gli ex-alleati del Pdl. Dove non l’hanno presa bene, anzi con il suo ultimatum Bossi ha ottenuto l’effetto contrario. E ieri come se nulla fosse ha peggiorato la situazione accusando Silvio di essere «una mezza calzetta che ha paura» di far cadere il governo. Mezza calzetta a Berlusconi non l’aveva ancora detto nessuno. Sdegno del segretario Pdl Alfano, «non facciamo né accettiamo provocazioni né ultimatum». Tra l’altro: se la Lega silurasse Formigoni in Lombardia, per vendetta il Pdl potrebbe fare altrettanto con Cota in Piemonte e nel Veneto con Zaia... Le uscite dell’Umberto spingono Berlusconi a separare, semmai, le rispettive strade. «Esistono le ragioni della convenienza e quelle della responsabilità», scuote la testa il Cavaliere. E lui, lo difende il portavoce Bonaiuti, «fin dall’inizio di questa vicenda ha scelto le seconde». Berlusconi sotterra l’ascia di guerra per altre due buone considerazioni. Anzitutto, sussurrano a Palazzo Grazioli, le forze che si scatenarono contro di lui in autunno tornerebbero all’assalto se solo Silvio si azzardasse a tirar fuori la testa. Meglio lasciar perdere, almeno adesso. E poi, il Cavaliere è stato molto lavorato ai fianchi da quanti nel Pdl considerano il governo Monti un autobus. Diretto dove? Verso la nascita del Partito popolare europeo, sezione italiana. Passando attraverso un patto di alleanza elettorale con l’Udc. Non è mistero che Alfano ci stia lavorando sodo. E’ andato lunedì dalla Merkel, presentato da Frattini. E direttamente da Berlino i due hanno telefonato ad Arcore per riferire il giudizio tutto sommato benevolo della Bundeskanzlerin («Berlusconi ha il merito storico di avere fatto chiarezza nella politica italiana, creando un’alternanza che prima non c’era. Bene il suo appoggio al governo»). Il Cavaliere, avido di riconoscimenti, ne è stato lusingato e confortato nella linea filo-Monti. Tra gli «sminatori» Pdl, che cercano di agevolare il cammino del Professore, c’è sicuramente Cicchitto. Non è sfuggita la discussione molto accesa in piena Aula con il collega di partito La Russa, che gli rinfacciava di aver dato una mano a cancellare le multe ai partiti per i manifesti affissi fuori posto. «Non potevamo essere i soli a difendere l’illegalità», ha reagito il capogruppo, mandato a quel paese dall’ex-ministro. L’episodio è la punta dell’iceberg. Specie gli ex di An (ma pure alcune «pasionarie» berlusconiane) non vedono l’ora di galoppare insieme con la Lega nelle praterie dell’opposizione. Berlusconi, in una delle solite riunioni notturne, ha provato a calmarli («No alla crisi ora, perderemmo la faccia; Bossi tornerà con noi, sono assolutamente sereno...») . Però il fossato tra le due anime si va allargando al punto che circolano sondaggi di quanto prenderebbero Forza Italia e gli ex di An, se corressero alle prossime elezioni divisi. Si allunga sul partito l’ombra di una scissione. C’è chi già rinfaccia ad Alfano la prossima batosta alle amministrative («Su 28 capoluoghi ne perderemo 23»), e chi non vede l’ora di divorziare («La Russa e gli altri tornino pure a fare i missini, l’intesa con Casini sarà più semplice»). da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440001/ Titolo: UGO MAGRI Monti: noi decisionisti? Non c’è alternativa Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2012, 06:25:45 pm Politica
28/01/2012 - la crisi - parla il premier Monti: noi decisionisti? Non c’è alternativa Le contestazioni sono avanzate dalle categorie, non dai cittadini Ugo Magri Roma Monti procede con piglio inatteso. Aveva una certa immagine da accademico tra le nuvole, invece marcia come un treno e «non lo ferma più nessuno», confida entusiasta un personaggio della cerchia più ristretta. Adesso Monti lo teorizza pure: «Siamo considerati un governo decisionista», dichiara in conferenza stampa, un po’ giustificandosi («non c’era molta scelta per le condizioni in cui ci siamo trovati»), un po’ rivendicando la prontezza nell’agire («a noi piace prendere decisioni molto veloci, in poco più di 2 mesi siamo al terzo provvedimento importante»). Le contestazioni? «Non sono avanzate dalla generalità delle categorie», è la risposta al direttore del Tg1 (c’è chi legge l’intervista come un via libera alla proroga di Maccari). Il Paese, nella visione di Monti, «è dalla parte delle liberalizzazioni e avremo il plauso dei cittadini. Cercheremo di convincere chi protesta, comunque procederemo». Non ha affatto l’aria di chi si sente braccato. Messaggio ai partiti Anche nei loro confronti, il Prof comincia a muoversi con disinvoltura. Continua a lisciarli per il verso del pelo quando definisce «cosa gradita» che le forze politiche lo incalzino. Però al tempo stesso comincia a esercitare un ruolo di leadership; da uomo dell’emergenza prova a trasformarsi nel capo di una coalizione. La definisce «maggioranza innovativa», diversa da tutte quelle che abbiamo conosciuto finora perché incarna solo il top di destra e sinistra: «Il mio governo si muove in continuità con le cose migliori viste negli ultimi anni... Sulle liberalizzazioni il punto di partenza è quello del governo Prodi con il ministro Bersani nel 2006; sul contenimento della finanza pubblica, ma anche su università e semplificazioni, ci muoviamo in continuità con il governo Berlusconi e con i ministri Gelmini e Brunetta». Fibrillazioni Non vanno mai trascurate. Oltre che sulla nomina al Tg1, i partiti si guardano in cagnesco sulla cittadinanza ai figli degli immigrati (soprattutto Fini vorrebbe accordarla, il Pdl fa muro) e, inevitabilmente, sulla giustizia. Voci dal centrodestra prevedono burrasche politiche nel caso in cui il Cavaliere venisse condannato per Mills l’11 febbraio prossimo. Bersani e il Pd, dichiarandosi favorevoli a una riforma della giustizia, si collocano intelligentemente ai margini del ciclone in arrivo; ma dentro il Pdl la guerra con le «toghe rosse» darà una mano al fronte degli esagitati, quelli che cercano pretesti per «mandare a casa il governo». L’altra notte a Palazzo Grazioli, dopo una lunga e un po’ lugubre celebrazione dei 18 anni di Berlusconi in politica, le anime del partito si sono nuovamente scontrate. Alfano ha imposto un cessate il fuoco, promettendo però che «entro 10 giorni decideremo che fare». Dopo il Porcellum... Cresce nei due maggiori partiti la voglia di intendersi su un sistema misto, un po’ tedesco e un po’ spagnolo. Ceccanti (Pd) ha depositato una proposta di legge al senato, Quagliariello (Pdl) la trova okay. Molto in soldoni, è un sistema che premia i partiti maggiori. I piccoli ottengono meno seggi di quanti ne dovrebbero avere in proporzione ai voti, invece i grandi ne ricevono di più. È lecito dubitare che un sistema siffatto possa piacere ai centristi. Difatti Casini non ha fretta, della legge elettorale (dicono all’Udc) si può discutere con calma più in là. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440181/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi, contrattacco per smarcarsi dalla Lega Inserito da: Admin - Febbraio 06, 2012, 10:58:19 am Politica
06/02/2012 - CENTRODESTRA FINE DI UN’ALLEANZA Berlusconi, contrattacco per smarcarsi dalla Lega L'ex premier: «Dobbiamo dialogare con il Pd. E non solo sulla legge elettorale. Bisogna lavorare con loro anche sulle altre riforme» Cerca la sponda col Pd sulle regole elettorali, via alle consultazioni UGO MAGRI Roma Berlusconi scodella in un’intervista (a «Libero») quanto andava sostenendo da qualche giorno nel conciliaboli di partito, con tutti che gli dicevano «Silvio, vacci piano con questi discorsi...». Piano, perché il Cavaliere è arrivato alla convinzione che la salute della Repubblica passi attraverso un’intesa tra Pdl e Pd. Vale a dire con gli odiati «comunisti» per i quali prova adesso una sorta di innamoramento. Non è la prima volta. Anche nel 2006, subito dopo la striminzita vittoria elettorale di Prodi, Berlusconi aveva teso la mano, salvo ritirarla due anni dopo, quando in sella ritornò lui. La novità dell’intervista, raccolta da Salvatore Dama, consiste nel tono alto, quasi una palingenesi per la democrazia italiana, tale da far esclamare l’exministro Rotondi: «Berlusconi ragiona da statista!». Il senso è: governare con queste regole è una tragedia, quindi «tornare a Palazzo Chigi con l’attuale architettura istituzionale sarebbe inutile»; meglio lanciare in pista Alfano, «giovane bravissimo». Il dialogo con Bersani & C serve a rimettere il Paese sulle gambe, «bisogna lavorare con loro sulle riforma istituzionale». Anche sulla giustizia? «Perché no», conferma Berlusconi, «in fondo 40 loro deputati hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati...». E’ uno scenario da «governissimo»: non adesso, perché alla guida del governo c’è Monti, il quale «è molto bravo». La prospettiva rigurda un domani ancora tutto da costruire. E non a caso la precisazione «soft» messa a punto da Bonaiuti, portavoce del premier, ridimensiona l’intervista a ragionamento «sul filo del paradosso, proiettato verso un futuro non facilmente prevedibile». Insomma, nulla che riguardi il presente. In verità, un riscontro con l’oggi ci sarebbe. Berlusconi indica nella legge elettorale il terreno su cui «il dialogo non può non essere col Pd». Perché i due partiti più grossi, insieme, possono rimettere tutti gli altri al posto loro. Attualmente il voto degli italiani «si disperde tra una miriade di sigle» che elenca: la sinistra radicale di Vendola, i grillini, Di Pietro, i Radicali, Fini, l’Udc di Casini, la Lega... Tutti guastafeste che confondono le idee alla gente, difatti «il 46 per cento non sa chi votare e se andare a votare». Per questo, butta lì, «sarebbe opportuno alzare la soglia di sbarramento». Berlusconi la immagina parecchio in alto; talmente lassù, che nemmeno Casini ci potrà arrivare. I centristi dovrebbero preoccuparsi, invece col segretario Udc Cesa rispondono un filo sfottenti (bene, bravo, finalmente pure il Cavaliere «capisce che i comunisti non esistono più»). Sono sereni in quanto Bersani non ha intenzione di reggere il sacco all’uomo di Arcore. Il segretario Pd è già di suo parecchio nervoso per le «provocazioni» subite in materia di Rai e di giustizia, ieri ha invitato il Pdl «a darsi una regolata». Addirittura, l’uscita di Berlusconi pare abbia permesso a Bersani di guadagnare punti con Casini promettendo che la riforma elettorale sarà rispettosa del Terzo Polo, con cui il Pd si vorrebbe alleare. Cicchitto, capogruppo berlusconiano alla Camera, è corso ai ripari sostenendo che pure il Pdl vuole tanto bene ai centristi, con loro vorrebbe costruire addirittura un soggetto politico insieme. Ma l’intervista a «Libero» rischia di danneggiare pure l’iniziativa importante che verrà sviluppata in settimana da Quagliariello e da La Russa: vere e proprie consultazioni sulla riforma del Porcellum, a partire da domattina con la Lega e nel pomeriggio con il Pd. I due esponenti Pdl non sottoporranno alcuna proposta specifica, tenendo la porta aperta a tutte le soluzioni, pur privilegiando il modello spagnolo. Se sotto sotto puntavano a qualche intesa privilegiata con il Pd, in danno di tutti gli altri, Berlusconi ha reso scoperto il gioco. A questo punto nessuno ci cascherà più. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441321/ Titolo: UGO MAGRI Casini: "Governo di armistizio per altri 5 anni" Inserito da: Admin - Febbraio 07, 2012, 11:23:49 pm Politica
07/02/2012 - RIFORME LE REGOLE DEL VOTO Casini: "Governo di armistizio per altri 5 anni" Pierferdinando Casini pensa che il governo tecnino resterà ancora in carica per altri 4 o 5 anni Legge elettorale, al via le consultazioni del Pdl C’è l’ipotesi di un vertice tra tutti i capigruppo UGO MAGRI Roma Nel Pdl cercano di riparare i danni causati dal Cavaliere con le sue profferte nei confronti dei «comunisti». Non erano fatte, giura Cicchitto, per fare ingelosire Bossi o Casini. Il quale Casini fa mostra di infischiarsene: se Berlusconi crede di spaventarlo con una soglia di sbarramento elettorale esagerata, lui accetta la sfida perché tanto nel 2013 «contiamo di avere la maggioranza relativa...». E comunque, mica si voterà per cambiare governo, «chi pensa che Monti possa risolvere i problemi in un anno e mezzo vive sulla luna, questa formula di armistizio deve durare 4-5 anni». Così tanto ci sarebbe da fare, che lungo la via delle riforme si rischia l’ingorgo. Per evitarlo, si va verso il chiarimento politico. Cosa fare? E come? E con chi? Per iniziativa del Pdl i partiti cominceranno a parlarne, nuova legge elettorale ma non solo, in un round di colloqui nelle sale dell’Hotel Nazionale e dell’Hotel Minerva (un tantino più accoglienti delle botteghe politiche). Quagliariello e La Russa vedranno oggi le delegazioni della Lega e del Pd. Domani, Terzo Polo e Sel. Sapremo giovedì, dopo gli ultimi colloqui con la Destra e (forse) con l’Idv, se si sarà registrato qualche passo da tramandare ai posteri. Nel frattempo scendono in campo i presidenti delle due Camere. Fini e Schifani debbono stabilire in fretta dove indirizzare le riforme, nell’uno o nell’altro ramo del Parlamento. La questione è delicata, senza una decisione concorde può divampare la guerra, «questa è materia mia, no è mia»... Prende corpo in queste ore l’idea di un vertice, tutti i capigruppo di Montecitorio e di Palazzo Madama che si riuniscono insieme per mettere qualche punto fermo. Fini ne ha ragionato con Schifani, alla luce di una richiesta formulata giorni addietro dal Pd, e pare che il summit possa tenersi in tempi abbastanza brevi. Sarebbe un semaforo verde importante perché, scommette Della Vedova (Fli), «una volta messo in moto, il motore delle riforme stavolta non si ferma più». Non si spegnerà in quanto, spiega il presidente dei deputati Pd Franceschini, «sta maturando una generale consapevolezza: se il Parlamento non facesse nulla, pur avendo un anno davanti, darebbe una prova drammatica di impotenza». Sarebbe il colpo di grazia alla politica. A rigor di logica, l’intera materia delle riforme dovrebbe essere appannaggio del Senato. Così perlomeno fu deciso nel 2008, all’inizio delle legislatura. In quel momento, però, di cambiare il Porcellum non si parlava nemmeno; successivamente, una trentina di proposte per rimpiazzarlo con altri sistemi elettorali si sono ammucchiate sul tavolo di Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali. A quel punto è apparso chiaro che non si può cambiare il sistema di voto se, prima, non viene fissato il numero dei parlamentari (oggi sono troppi), e se non si impedisce che le due Camere continuino a pestarsi i piedi a vicenda. Insomma, la riforma elettorale porta con sé quella istituzionale. Col risultato che ora c’è troppa carne al fuoco, il Senato da solo non ce la farebbe mai a cucinarla tutta da solo, Schifani ne è ben conscio: occorre ripartire i compiti con la Camera. Fini è impegnato a trovare la soluzione. Tra l’altro, questo confronto sull’architettura dello Stato lo colloca al centro esatto della scena politica da adesso in avanti. Non va dunque letto in chiave ironica il suo plauso a Berlusconi, che «ritiene il Pd un interlocutore di primaria importanza per un’eventuale riforma della legge elettorale»: la nuova fase può riservare grandi sorprese politiche. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441484/ Titolo: UGO MAGRI Riforme e lavoro, sette giorni decisivi Inserito da: Admin - Febbraio 21, 2012, 04:27:58 pm Politica
20/02/2012 - IL PUNTO POLITICO Riforme e lavoro, sette giorni decisivi Bozza costituzionale e articolo 18. La maggioranza prova a chiudere prima della campagna elettorale UGO MAGRI Roma In settimana la maggioranza proverà a chiudere quel poco (o quel tanto) di intese messe in cantiere. Si registra nei tre maggiori partiti una certa fretta, perché dai primi di marzo in poi la politica sposterà tutta l’attenzione sulle prossime amministrative, la campagna elettorale prenderà il sopravvento, ed è piuttosto difficile che forze politiche in concorrenza vogliano stipulare accordi proprio alla vigilia del voto… Quindi dobbiamo attenderci che la bozza di riforma della Costituzione, cui stanno lavorando gli “sherpa” nella distrazione generale, venga definita nei dettagli entro la fine del mese, in modo che l’iter parlamentare incominci prima del peggioramento meteo-politico. Qualcuno dei protagonisti sostiene che un testo nero su bianco sarà pronto già in settimana. Discorso analogo per quanto riguarda i temi del lavoro: cresce nei partiti l’aspettativa che i primi giorni di marzo possano rappresentare l’ora della verità. Se la decisione del governo su articolo 18 e dintorni dovesse tardare, per le varie anime della maggioranza impegnate nei comizi sarebbe ancora più duro accettarla. Quindi aspettiamoci sette giorni di frenetici negoziati sopra e sotto il banco. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443239/ Titolo: UGO MAGRI: Il silenzio del Pdl sull'art.18 per avere garanzie su Rai e giustizia Inserito da: Admin - Febbraio 23, 2012, 11:25:14 am Politica
23/02/2012 - LAVORO Il punto: Il silenzio del Pdl sull'art.18 per avere garanzie su Rai e giustizia L'asse Berlusconi-Monti regge: nessuna polemica con i democrat in cambio di una doppia apertura sui temi più cari al Cavaliere UGO MAGRI Roma A riprova degli ottimi rapporti tra Monti e il Cavaliere (che ieri è stato ospite del premier a colazione), si segnala l'atteggiamento del Pdl sull'articolo 18. Anziché seguire i propri istinti belluini, il partito di Berlusconi sta facendo l'unica cosa che può essere di aiuto al governo in questo frangente: stare fermo e zitto. Perché qualunque cosa faccia o dica, avrebbe come effetto sicuro quello di infiammare una trattativa dall'esito ancora incerto. Si immagini quale immenso putiferio sarebbe scoppiato se Silvio, uscendo da Palazzo Chigi, avesse ripetuto le parole della Marcegaglia sui sindacati che proteggono ladri e fannulloni: qualunque modifica alla disciplina sui licenziamenti si sarebbe subito trasformata (agli occhi di Camusso, Fassina e di mezzo Pd) in un cedimento intollerabile alla destra berlusconiana. Per cui davanti al desco imbandito dalla signora Elsa, il Cavaliere si è limitato a condividere la battaglia della ministra Fornero, senza infierire contro Bersani. In cambio della complice prudenza, tuttavia, Berlusconi ha lasciato sul tavolo di Monti un paio di piccole cambiali politiche. Una è la «governance» Rai, in quanto non è chiaro che cosa accadrà tra un mese quando il vertice di Viale Mazzini verrà a scadenza; l'altra è la giustizia, vecchio pallino dell'uomo di Arcore. Su entrambe le questioni, il Cavaliere pretende garanzie: la tivù pubblica deve restare sotto il controllo dei partiti, la Severino farebbe bene a ricominciare il pressing nei confronti dei magistrati... Se Monti ha firmato o no le due cambiali, lo capiremo meglio nei prossimi giorni. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443687/ Titolo: UGO MAGRI Il punto: Monti l'equilibrista resiste al pressing dei partiti Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2012, 05:04:17 pm Politica
24/02/2012 - Il punto: Monti l'equilibrista resiste al pressing dei partiti Il premier deve chiudere in fretta i cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro) se non vuole rischiare di sbilanciarsi Ugo Magri Roma Un effetto perverso delle Amministrative dietro l'angolo è che Monti viene costretto a barcamenarsi. Intendiamoci: il premier vi provvede con stile; sempre si sforza di interpretare, come stella polare, gli interessi generali; inoltre pone dei limiti invalicabili alle richieste di questo o di quello. Però la sensazione generale è, appunto, di una crescente pressione dei partiti sull'esecutivo dettata da calcoli elettorali, nonché di uno sforzo del Professore per evitare di sbilanciarsi e cadere. La politica, del resto, è una scienza esatta. A ogni spinta, ne corrisponde un'altra dal segno uguale e contrario. Due giorni fa il Cavaliere aveva fatto irruzione a pranzo dal presidente del Consiglio, sottoponendogli i temi a lui cari (televisioni, giustizia). Inoltre Berlusconi aveva trasmesso l'idea di un'intesa destinata a proiettare Monti ben oltre il 2013, magari fino al 2018, sotto la sua ala protettiva. Il precario equilibrio su cui poggia il governo ne è risultato compromesso. Dunque nessuna sorpresa che, al fine di ristabilirlo, prima Rutelli a nome del Terzo Polo, e poi lo stesso Bersani, abbiano sentito il bisogno di colloquiare vis-à-vis con il presidente del Consiglio. Certe vere o presunte concessioni strappate dal Pdl sul decreto liberalizzazioni sono state immediatamente compensate da promesse di più intenso dialogo sulla riforma del mercato del lavoro. Stessa storia sulla «governance» Rai. La morale, sempre che ve ne sia una, qual è? Che Monti deve affrettarsi a chiudere i due cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro). Perché quanto più la scadenza di maggio sarà vicina, tanto più la campagna elettorale gli renderà difficile mantenersi in equilibrio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443861/ Titolo: UGO MAGRI Riforme, stretta sulla bozza: meno onorevoli, più poteri al premier Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2012, 05:31:42 pm Politica
28/02/2012 - LA GIORNATA POLITICA Il punto- Riforme, stretta sulla bozza: meno onorevoli, più poteri al premier Bocchino, insieme a Violante, Quagliarello e Adornato è uno dei quattro saggi della maggioranza che lavora al pacchetto riforme I saggi della maggioranza limano il testo che entro dieci giorni sarà sul tavolo dei leader: resta fuori soltanto la nuova legge elettorale UGO MAGRI Roma Entro stasera, al massimo domani mattina, la bozza delle riforme costituzionali sarà completa. Mancano solo certi dettagli, e i quattro «saggi» della maggioranza (Violante, Quagliariello, Bocchino e Adornato) si vedranno apposta per queste ultime limature. A quel punto il testo finirà sul tavolo dei rispettivi leader, i quali avranno dieci giorni di tempo per soppesarne i pro e i contro. Ci saranno sicuramente altri incontri, in particolare diamo per certo che riservatamente prima o poi si riuniranno «A, B e C» (Alfano, Bersani e Casini) per discuterne tra di loro. Ma il clima di condivisione è tale che, al momento, i «saggi» si lanciano in una scommessa: a metà marzo la riforma sarà «incardinata» nella commissione Affari costituzionali del Senato. Cosicché, volendo, entro fine anno potremmo avere una seconda parte della Carta repubblicana riveduta e corretta. Meno onorevoli sebbene ancora tanti (500 deputati e 250 senatori), più poteri al capo del governo (potrà sostituire i ministri, chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere, pretendere l'approvazione dei provvedimenti a data certa), basta andirivieni delle leggi tra Montecitorio e Palazzo Madama (una sola «lettura» salvo espressa richiesta dell'altro ramo del Parlamento), sfiducia costruttiva come in Germania (in queste ore i saggi cercano di inserire qualche congegno anti-ribaltone). Resta esclusa per ora la legge elettorale. Non che manchi una base di intesa: tutti i protagonisti ammettono che si potrebbe andare agevolmente verso un sistema misto, un po' spagnolo e un po' tedesco. Ma prima di legarsi le mani reciprocamente, i partiti della maggioranza aspettano di capire se e come abbandonare il «Porcellum» sulla base - si capisce - delle proprie convenienze. Contano di scoprirlo tra un paio di mesi, alle prossime elezioni amministrative: sarà l'ultima occasione per misurare sul campo, e non solo sulla base dei sondaggi, lo stato di salute dei partiti. A quel punto ciascuno si farà bene i suoi calcoli e dalla teoria (forse) passeremo alla prassi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444362/ Titolo: UGO MAGRI Riforme, la vera rivoluzione di Monti Inserito da: Admin - Febbraio 29, 2012, 04:38:19 pm Politica
29/02/2012 - il punto politico Riforme, la vera rivoluzione di Monti Come potranno i partiti ricandidare mezze figure e riproporre i vecchi modelli conflittuali se partiranno liberalizzazioni, lotta all'evasione, modifiche della Costituzione? Ugo Magri Roma Dunque, anche le liberalizzazioni stanno imboccando la via che porterà il governo Monti a marcare un ulteriore successo: dopo la manovra anti-crisi varata a dicembre, che ha consentito di alleggerire lo spread, si allenta pure la stretta sull'economia di corporazioni e interessi coalizzati. L'aspetto politicamente di maggior rilievo è che pure questa riforma marcia ora più spedita con il voto dei tre maggiori partiti. Non sono mancate le tensioni, certi compromessi sono stati una vera sofferenza; tuttavia in qualche passaggio la regia congiunta dei partiti ha addirittura permesso di migliorare il testo governativo, cosicché il risultato finale sta comodamente nell'alveo del riformismo possibile. Aspettiamoci ora che qualcosa di molto simile possa accadere per la riforma del mercato del lavoro (dove si registrano i primi timidi segnali di convergenza), e ancora di più sulle modifiche alla seconda parte della Costituzione. Sempre con il concorso di forze politiche fino a quattro mesi fa alternative, costrette dalle circostanze alla ricerca di un minimo comune denominatore. Ciò deve fare riflettere in prospettiva. Se dovesse proseguire fino al 2013 una collaborazione, sia pure dettata dall'emergenza, capace di rimettere ordine nella finanza pubblica, nella lotta all'evasione fiscale e alla disoccupazione, di riscrivere la Carta repubblicana nei suoi passaggi chiave e nientepopodimeno che la nuova legge elettorale, se insomma tutto questo dovesse avverarsi, non sarebbe semplice per i partiti tornare a proporre come se nulla fosse modelli politici conflittuali, alleanze sbilanciate verso le estreme o comunque fondate sulla reciproca delegittimazione. Non è tutto: nella scelta del personale politico candidato a governarci, solo personalità dotate di competenza e spessore morale potranno scendere in campo per i partiti, non più mezze figure che risulterebbero, nel confronto con i «tecnici», del tutto inadeguate. La vera «rivoluzione», forse, sta proprio qui. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444502/ Titolo: UGO MAGRI Riforme: arriva il Senato "federale" Inserito da: Admin - Marzo 02, 2012, 10:56:32 am Politica
01/03/2012 - il punto politico Riforme: arriva il Senato "federale" I quattro "saggi" che lavorano alle riforme costituzionali prevederebbero per le due Camere competenze diverse: a Palazzo Madama le Regioni a Montecitorio lo Stato centrale Ugo Magri Roma Niente comunicati ufficiali, zero conferenze stampa. Anzi, bocche cucite perché qualunque squillo di tromba manderebbe a monte il progetto. Che adesso è nero su bianco, sotto forma di articoli, pronto per essere consegnato forse già stasera ai leader della maggioranza. Si tratta della riforma costituzionale, cui stanno dando gli ultimi ritocchi (corrette formulazioni giuridiche) i quattro «saggi» incaricati dai rispettivi partiti: Violante per il PD, Quagliariello per il Pdl, Adornato per l'Udc, Bocchino per Fli. Forse per sviare l'attenzione, il «mantra» dei saggi è che non vi sono rivoluzioni rispetto a quanto della bozza già si sapeva. Dunque più poteri al presidente del Consiglio, meno deputati e senatori, basta sovrapposizioni tra Camera e Senato. In realtà, sottovoce un «saggio» confida che qualche novità ulteriore dobbiamo aspettarcela, anzi nemmeno da poco. Pare che questa novità riguardi il bicameralismo e rimetta ai segretari dei partiti la scelta finale. La proposta nota, tra virgolette, consisterebbe nel far vestire ai presidenti delle due Camere i panni di vigili del traffico legislativo. Si riunirebbero per decidere, ogni tot mesi, di che si occuperebbe Montecitorio e di che Palazzo Madama. A quel punto una legge approvata in un ramo del Parlamento potrebbe essere richiamata nell'altro ramo solo in casi straordinari. Col risultato di guadagnare tutti quanti un bel po' di tempo. L'alternativa di cui invece ancora non si sapeva è ben più raffinata. Consisterebbe nell'affidare al Senato la competenza prevalente sulle materie che coinvolgono le Regioni ex articolo 117 della Costituzione, e alla Camera la competenza prevalente sugli argomenti che riguardano lo Stato centrale. Cosicché verrebbe a crearsi una ripartizione dei ruoli più in sintonia con quel poco o tanto di federalismo introdotto in Italia negli anni recenti. Ci si potrebbe appellare in buona fede al modello tedesco (piuttosto simile). Verrebbe forse in parte accontentata la Lega, che finora si è tenuta polemicamente ai margini della trattativa sulle riforme, permettendole di rientrare nel gioco. Ma soprattutto non si darebbe agli italiani la (brutta) impressione di voler mantenere due Camere a prestarsi reciprocamente i piedi solo perché non si ha sufficiente coraggio per smantellarne una delle due. Che ne diranno, i segretari dei maggiori partiti? Metteranno il timbro per consentire alla riforma di iniziare in fretta il suo iter in Parlamento? Per il momento Alfano Bersani e Casini sono assorbiti dalla preparazione delle liste per le prossime Amministrative; in particolare li appassiona da morire il caso di Palermo. Ma prima o poi alzeranno la testa e si occuperanno pure dei temi, alti e nobili, che ci riguardano tutti. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444626/ Titolo: UGO MAGRI Berlusconi medita il grande ritorno Inserito da: Admin - Marzo 02, 2012, 11:29:31 pm Politica
02/03/2012 - IL PUNTO Berlusconi medita il grande ritorno Spunta il cartello "Tutti per l'Italia" L'ex premier scarica Alfano: "Bravo, ma gli manca un quid". Poi arriva la solita smentita UGO MAGRI Roma Gli occhi della politica oggi sono tutti puntati sul Pdl, dopo quello che ieri Berlusconi ha detto su Alfano. Descritto come un bravo figlio, al quale tuttavia mancherebbe «un quid». Battuta pronunciata a Bruxelles davanti ai giornalisti ma lontano dai microfoni, dunque destinata alla più ipocrita delle smentite. Puntuale è arrivato un comunicato di Palazzo Grazioli dove si sostiene che Silvio non ha mai neppure lontanamente pensato quanto i cronisti gli attribuiscono sul segretario del Pdl («Sosterrò Alfano alle primarie»). Precisazione inutile, perché tanto nessuno ci crede. Tutti hanno capito che le critiche ad Alfano servono per preparare il campo a un grande rientro. Il suo. È come se Berlusconi dicesse: «Siccome Angelino non mi sembra in grado, sono costretto a farmene nuovamente carico io». Se si dà retta a Ferrara e alla Santanchè, il Cavaliere avrebbe in mente l'ennesima «rifondazione», addio Pdl per lanciare in sua vece un cartello elettorale, «Tutti per l'Italia». Sono settimane che questa idea circola, tra indiscrezioni e smentite. Qualcosa di vero ci deve pur essere. Questioni interne del centrodestra? Mica tanto. Un ritorno in pista del Guastafeste metterebbe a rischio l'equilibrio politico e di governo. La sua ingombrante presenza è tale da rendere l'aria irrespirabile al Pd e allo stesso Terzo Polo. Con Alfano, Bersani e Casini possono stipulare intese: col Cavaliere non accetterebbero neppure di vedersi. Più Berlusconi abbraccia Monti, con l'intenzione dichiarata di allungargli la vita politica, e più gliela accorcia... Chi credeva di avere iniziato un capitolo nuovo, forse ha avuto troppa fretta di voltare pagina. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444761/ Titolo: UGO MAGRI Primarie con polemiche a Palermo Inserito da: Admin - Marzo 05, 2012, 04:24:12 pm Politica
05/03/2012 - IL PUNTO Primarie con polemiche a Palermo Nel Pd Bersani finisce sotto accusa Sconfitta la linea del segretario che appoggiava Rita Borsellino UGO MAGRI Roma Per una settimana hanno tenuto banco le sventure del Pdl, partito in caduta libera nei sondaggi e perfino nella considerazione del suo Fondatore. Le primarie di Palermo accendono ora i riflettori sulle disgrazie del Pd, dopo la sconfitta della candidata «ufficiale» Rita Borsellino. Aspettiamoci giorni di polemiche a sinistra e di «tiro al Bersani», contro il quale certamente si sfogheranno parecchie frustrazioni interne. E a ben vedere, il principale partito riformista italiano non scoppia di salute. Il suo male oscuro è questa distanza, che si va trasformando in un baratro, tra le scelte centrali e la realtà dei territori. Una separatezza capace di fornire puntualmente le risposte sbagliate, di determinare costanti errori nella valutazione dei candidati, per cui quelli adottati dai vertici del Pd sono sempre destinati a sicura sconfitta. In questa chiave è lecito discutere il meccanismo delle primarie e domandarsi se in fondo non stiano trasformandosi, da strumento di democrazia, in un terreno di lotte intestine. Ci si può interrogare anche sul peso crescente dell'antipolitica, che premia senza dubbio i più «arrabbiati». Ma la verità sotto gli occhi di tutti è che dalla Puglia a Milano, da Napoli a Torino, da Genova a Palermo, il gruppo dirigente del Pd mette sempre il cappello sulla soluzione perdente. Mai che ci azzecchi, una volta. A salvare Bersani, la sera del 7 maggio prossimo, quando sui tigì compariranno i risultati delle Amministrative, sarà il conto delle bandierine. Su 28 Comuni capoluogo, il Pdl ne aveva 18 e stavolta gliene resteranno ben pochi. Cosicché il Pd potrà cantare vittoria. Ma non occorre la sfera di cristallo per prevedere che ben pochi dei sindaci eletti saranno diretta emanazione del partito, e che i voti di lista subiranno un'erosione a vantaggio delle liste civiche e dei diretti concorrenti, da Vendola a Di Pietro. Insomma, il gruppo dirigente avrà ben poco di cui rallegrarsi. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445070/ Titolo: UGO MAGRI E nel Pdl regna ormai il caos Inserito da: Admin - Marzo 09, 2012, 11:39:16 am Politica
06/03/2012 - il punto politico Partiti sempre più in crisi E Monti procede sereno Si aggrava il quadro dopo il voto alle primarie per il Pd E nel Pdl regna ormai il caos Ugo Magri Roma I partiti non scoppiano di salute, e ciò si sapeva. Il quadretto di queste ore aggrava la diagnosi. Bersani è tornato nel tritacarne per il «caso Palermo», gli viene fatto carico di una candidatura alle primarie (Rita Borsellino) in contraddizione con l'alleanza regionale in Sicilia; ma soprattutto gli si rimprovera, dentro il Pd, una rotta incerta per quanto riguarda le alleanze future (con Di Pietro e con Vendola? con il Terzo Polo? con gli uni e con gli altri?). Da qualche settimana i sondaggi segnalano piccole smagliature, la marcia verso quota 30 per cento sembra temporaneamente rinviata. A destra, di male in peggio. Da quando al Cavaliere è tornata la voglia di fare politica, nel Pdl regna il caos. Da segnalare una risposta molto dignitosa di Alfano, che nei giorni scorsi era finito nel mirino del Leader, a una domanda proprio su Berlusconi: «Ho chiaro che il compito delle persone serie e oneste sia di svolgere quello per cui sono state chiamate...». Della serie, io vado avanti per la mia strada. Però su di lui pende una puntata di Porta a porta, due ore domani sera di domande e risposte al Cavaliere, da cui può venir fuori la qualunque sul partito, sul governo, sull'Italia. A descrivere la condizione della Lega bastano (e avanzano) le parole fuori misura di Bossi sul presidente del Consiglio. La faida interna con Maroni è ancora lontana dall'epilogo. E in fatto di discordie intestine, guai a sottovalutare quelle del Terzo Polo. Per quanto ben mascherate all'esterno, le relazioni tra Rutelli, Fini e Casini (tre galli nello stesso pollaio) risultano tutt'altro che prive di tensioni. I leader dei partiti non sembrano neppure in grado di tenere la riunione conclusiva sulle riforme costituzionali, dove la bozza sarebbe pronta e solo da licenziare: se ne parla, se ne ragiona, ma nessun appuntamento risulta ancora fissato. Ci sono grane più urgenti, le liste per le amministrative, le mille beghe locali... Il risultato è che per il momento Monti non ha nulla da temere dalla sua strana maggioranza. E se continua così, a Palazzo Chigi metterà le radici. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/445249/ Titolo: UGO MAGRI Monti si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale Inserito da: Admin - Marzo 16, 2012, 04:49:09 pm Politica
16/03/2012 - IL PUNTO POLITICO Ma la maggioranza c'è, eccome Monti si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale C'è un accordo sostanziale su giustizia e articolo 18 Ugo Magri Roma Ricapitolando. In quattro mesi si sono messi d'accordo sulle misure anti-crisi, su quelle per lo sviluppo, sulle liberalizzazioni, sulle semplificazioni. Alla lista delle intese già raggiunte tra «A-B-C» ( Alfano, Bersani, Casini) stanotte se ne sono aggiunte altre due, che sono: il lavoro comprensivo di articolo 18 sui licenziamenti, e un'agenda di riforme impegnative sulla giustizia. Per il momento è rimasta fuori dai patti la Rai, dove si lotta per le poltrone agli amici e agli amici degli amici. Ma perfino su questo si annuncia prossimamente un vertice chez Monti, dove tutto lascia pensare che qualche arrangiamento verrà trovato. Resterà l'attuale «governance» della tivù pubblica, in compenso il premier bilancerà le nomine con mano sapiente in modo da non deludere nessuno. Il Professore si sta rivelando un politico sopraffino nel senso tradizionale del termine. Per cui viene da chiedersi come mai Alfano e Bersani (non Casini, almeno in questo più schietto) rifiutino di considerare «politica» una maggioranza dove la condivisione è praticamente su tutto, compresi quegli argomenti tabù che per anni erano stati terreno di battaglia. La risposta ha a molto che vedere con le scadenze elettorali delle Amministrative, tra neppure due mesi, e delle Politiche, tra 12 suppergiù. I partiti si sforzano nei limiti del possibile di tener vive le differenze agli occhi degli elettori e delle rispettive tifoseria, altrimenti verrebbero meno le ragioni per sostenerli. Attendiamoci dunque che l'accordo di stanotte sulla giustizia venga seguito oggi da puntualizzazioni, prese di distanze, distinguo. Idem sull'articolo 18. Ma la «road map» è tracciata. E a mano a mano che Monti farà strada, sarà sempre più difficile per i tre partiti negare la realtà di una consonanza sostanziale sul da farsi. Dal che possono derivare grandi e imprevedibili conseguenze sul piano politico. Prepariamoci tra un anno a uno scenario tutto cambiato. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446669/ Titolo: UGO MAGRI Lavoro, la riforma giunta da lontano Inserito da: Admin - Marzo 19, 2012, 10:39:05 pm Politica
19/03/2012 - il punto politico Lavoro, la riforma giunta da lontano Ugo Magri Roma Due o tre circostanze possono aiutare a orientarsi nella convulsa fase finale della trattativa con le parti sociali (oggi gli ultimi contatti tra sindacati e governo in vista del match finale domani pomeriggio a Palazzo Chigi). Primo: la riforma Fornero non spunta dal nulla. è la traduzione in italiano di una direttiva che ci viene dall'Europa. Più precisamente, dalla Bce che sollecitò una maggiore flessibilità in uscita nel nostro mercato del lavoro già ai tempi del Cavalier Berlusconi. Il richiamo era contenuto nella famosa lettera nella quale aveva ottenuto consiglio da Draghi e da Trichet, sperando di ricavarne una ricetta alternativa a quella di Tremonti. Gli dissero chiaro e tondo di intervenire sulle pensioni (ha provveduto Monti) nonché, appunto, sul nodo dei licenziamenti. Secondo: fin dalle dichiarazioni programmatiche in Parlamento, il Professore non ha mai fatto mistero di voler applicare il diktat europeo. Ancora più esplicita è stata la ministra del Welfare, attraverso quelle che sulle prime potevano sembrare gaffe, e cosi sembrarono perfino in altissimo loco, in realtà corrispondevano alle vere intenzioni del presidente del Consiglio. Ribadite non più tardi di giovedì scorso durante il vertice con i segretari dei partiti. Terzo: dinanzi alla impuntatura del sindacato, quantomeno di Cgil e Uil, i leader della maggioranza e Bersani in particolare possono senz'altro chiedere a Monti di rendere meno drammatico lo scontro finale, evitando risposte punitive nel caso di mancato accordo. Lo stesso governo in fondo non ha interesse a scatenare un'ondata di protesta sociale tale da rendere inutili i benefici che una riforma dell'articolo 18 probabilmente avrebbe sull'andamento dello spread. Ma al netto di tutto ciò, i partiti non possono fare altro che caricarsi delle proprie responsabilità. Una volta spesa tutta l'influenza di cui sono capaci al fine di trovare un minimo comune denominatore, l'ultima disgrazia per la politica (già così depressa agli occhi degli italiani) sarebbe quella di mollare Monti al proprio destino. Anche solo per una questione di dignità, un esito così traumatico sembra al momento improbabile. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446994/ Titolo: UGO MAGRI Cresce il malcontento nel Pd Inserito da: Admin - Marzo 21, 2012, 04:59:22 pm Politica
21/03/2012 - IL PUNTO Ora la Rai diventa un campo di battaglia Cresce il malcontento nel Pd UGO MAGRI Roma L'accordo mancato provoca nel Pd un fortissimo maldipancia. È sensazione diffusa tanto ai vertici quanto alla base che le politiche di Monti, e specialmente il suo modo rigido di amministrarle, stiano facendo pagare al partito un prezzo politico troppo elevato. Prima lo «strappo» con Cgil sulle pensioni, motivato dall'emergenza finanziaria; adesso quello, altrettanto doloroso, sull'articolo 18 e sul tabù dei licenziamenti. Con due aggravanti. Tutto questo avviene a ridosso delle elezioni amministrative, dove il Pd non ne sarà certo avvantaggiato; il presidente del Consiglio nulla ha fatto per addolcire la pillola. Anzi. Anche sull'altra sponda hanno inghiottito dei rospi. Nella prima manovra, dovettero mandar giù il ritorno dell'Ici (ora si chiama Imu) che annullava una promessa solenne del Cavaliere; sulle liberalizzazioni il Pdl nulla ha potuto per impedire che tassisti, farmacisti e altre categorie amiche finissero nel mirino del Professore. Pure nella riforma del lavoro i «berluscones» subiscono un ruvido trattamento per le piccole e medie imprese, che del centrodestra rappresentano il serbatoio elettorale. Ma sul piano simbolico non c'è dubbio che il prezzo più elevato venga pagato a sinistra. Ciò non resterà privo di conseguenze politiche. Il Pd pretenderà qualche forma di risarcimento immediato. E comunque, non potrà tollerare altre sconfitte di immagine, o che tali possano apparire agli occhi della propria gente. Sulla riforma della giustizia, per esempio; a maggior ragione sulla Rai, dove Bersani ha buttato il cuore oltre l'ostacolo promettendo che il suo partito non si renderebbe complice di un rinnovo ai vertici di Viale Mazzini che non fosse preceduto dalla riforma della «governance». È del tutto escluso che, specie in questa sua battaglia, il segretario Pd possa riscuotere comprensione da parte di Alfano. Voleranno scintille. Chi è appassionato di lotta politica, si prepari a un crescendo di polemiche arroventate. Con il presidente del Consiglio che, dopo la rottura con la Camusso, non potrà più dire: «Me ne lavo le mani». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447259/ Titolo: UGO MAGRI Riforma del lavoro: niente decreto Inserito da: Admin - Marzo 22, 2012, 04:00:35 pm Politica
22/03/2012 - IL DIBATTITO Riforma del lavoro: niente decreto Il governo sceglie la linea morbida No del Pd, dubbi sull’estensione dell’art. 18 agli statali UGO MAGRI Roma I contraccolpi del mancato accordo sul lavoro stanno mettendo sotto duro stress il governo. Per la prima volta dal Pd arrivano esplicite prese di distanze, insieme con l’avvertimento che andare avanti così proprio non si può. Manco a dirlo, dall’altra parte si schierano con Monti e contro la Cgil. Cosicché il passaggio delle prossime ore si annuncia alquanto stretto. Il presidente del Consiglio ufficialmente non ha rinunciato a varare domani la sua riforma (sebbene il tam-tam politico-sindacale ipotizzi un rinvio a quando tornerà dal lungo viaggio in Estremo Oriente). Però un conto è se presenterà questa riforma alle Camere come un «prendere o lasciare», altra cosa se il Professore si farà umile e terrà conto del futuro dibattito in Parlamento. Dal Pd un po’ gli intimano un po’ lo scongiurano di imboccare questa seconda strada, in modo da apportare con calma le correzioni necessarie, specie sull’articolo 18. Diversi segnali lasciano intendere che alla fine sarà proprio questa la scelta di Monti. Dunque niente decreto legge, che verrebbe interpretato a sinistra come una inaccettabile forzatura (lo stesso Napolitano negherebbe la controfirma). E con ogni probabilità Monti non opterà nemmeno per un disegno di legge, dove comunque andrebbe subito inserito nero su bianco il pomo della discordia legato alla cosiddetta «flessibilità in uscita» (leggi: meno vincoli ai licenziamenti). Il presidente del Consiglio sembra al momento orientato verso una legge delega. In altre parole, il governo sottoporrà al Parlamento alcuni criteri di riforma molto generali, altamente condivisibili e politicamente inoffensivi, riservandosi di definire i dettagli concreti attraverso, appunto, i decreti delegati. Che potranno arrivare in un momento successivo, per esempio una volta scavallate le elezioni amministrative di maggio. Capiremo meglio stasera, dopo la riunione tra Monti, Fornero e parti sociali. Il Capo dello Stato fa intendere che, tra tutte le soluzioni sul tavolo, lui preferisce la più dialogante. L’assedio nei confronti del premier è tale che perfino il ministro Barca (Coesione territoriale) esprime dubbi sulla nuova formulazione dell’articolo 18. Dal Pd è in atto un vero e proprio martellamento. Di prima mattina sono scesi in campo i capigruppo Finocchiaro e Franceschini per sbarrare la strada all’eventuale decreto. Più tardi ha fatto rumore uno sfogo a voce alta, in modo che i giornalisti lo udissero, del segretario Bersani con l’ex-ministro Damiano: «Se devo concludere la vita dando il via libera alla monetizzazione del lavoro, non lo faccio... Per me sarebbe inconcepibile». Più tardi il segretario è andato da Vespa a spiegare che ci sarebbero ancora margini di intesa con Cgil, qualora per i licenziamenti dettati da ragioni economiche si usasse lo stesso metro di quelli disciplinari (intervento del giudice). Ma il vero colpo di avvertimento l’ha sparato a sera Rosy Bindi, presidente del partito: «Il governo e il presidente del Consiglio vanno avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche» (altrimenti di strada se ne fa poca, è il sottinteso). E il Pdl? Con Alfano difende la riforma, «si è trovato un buon punto di equilibrio dal quale non si dovrà arretrare in Parlamento». Tuttavia nessuno pretende un decreto, al massimo viene auspicato. E quasi tutti al vertice Pdl sono ormai rassegnati alla legge delega che, sotto sotto, evita pericolose radicalizzazioni. Tra l’altro pure l’alleato leghista promette lotta dura contro la riforma. Di Pietro annuncia il ricorso alla piazza e addirittura un «Vietnam parlamentare». Intanto scoppia un caso-statali. Secondo il Dipartimento della Funzione pubblica, infatti, le nuove regole sui licenziamenti senza giusta causa saranno applicate anche ai lavoratori pubblici «poichè a loro si applica lo Statuto dei lavoratori». Quindi, in teoria anche un impiegato di un ministero, un dipendente di un Comune, di una Asl, di una Provincia o di una Cominità montana potrebbe essere licenziato, magari per motivi economici. Questa soluzione però non piace a Cgil, Cisl e Uil che ieri hanno subito alzato le barricate. Il ministero della Funzione pubblica, in um primo momento non si sbilancia e mostra cautela («valuteremo gli effetti sugli statali una volta definiti i testi») ipotizzando poi l’adozione di norme specifiche per questo comparto senza escludere esplicitamente la possibilità di licenziare più liberamente anche nel pubblico. L’ultima parola è quella del ministro Patroni Griffi che cerca di chiudere la vicenda: «Le modifiche all’articolo 18 non riguarderanno gli statali». Fine delle polemiche? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447336/ Titolo: UGO MAGRI Governo, l'incantesimo si è spezzato Inserito da: Admin - Marzo 23, 2012, 11:09:43 pm Politica
22/03/2012 - IL PUNTO Governo, l'incantesimo si è spezzato Il Pd scontento di Monti per le trattative sul lavoro UGO MAGRI Roma L'incantesimo si è spezzato, incollare i cocci sarà impresa ardua (per non dire impossibile). Sulla riforma del lavoro, il Pd ha reagito con toni di autentica insofferenza. Rosy Bindi sostiene chiaro e tondo che così non si può andare avanti. Ma neppure Bersani ieri sera da Vespa è stato particolarmente tenero. Per la prima volta da quando il governo è nato, entra in crisi il rapporto di fiducia non con questo o quel ministro, ma con Monti personalmente. Il principale partito della sinistra, partner essenziale della maggioranza, è molto scontento di come il Prof ha condotto la trattativa. Super-rigido, poco flessibile. È la brusca fine di un idillio, che genera inevitabile la domanda: quali conseguenze politiche avrà l'incidente sull'articolo 18? Già prima che scoppiasse, il Pd non sembrava granché persuaso dagli argomenti di Casini, il quale va sostenendo che l'esperienza del governo Monti è troppo utile al Paese per interromperla nel 2013. Dopo le elezioni si torni alla normale dialettica, diceva da giorni Bersani, sottintendendo che del Prof non ci sarà più bisogno. A maggior ragione lo penserà adesso, sull'onda del disincanto. Per certi aspetti, sussurrano esponenti Pd di altissimo profilo, Monti è perfino più a «destra» di Berlusconi, è un vero liberale conservatore. Tra 12 mesi sarà indispensabile, aggiungono, dirgli «arrivederci e grazie». L'ala veltroniana dovrà mettersi il cuore in pace. Capitolo chiuso. Da rivedere anche gli altri scenari di fanta-politica, tipo quelli che già scommettevano su Monti prossimo inquilino del Quirinale. Perfino condurre in porto la legislatura diventa adesso più difficile. Come contraccolpo anche psicologico dell'articolo 18, il Pd sarà portato a pretendere compensazioni su altri terreni, ogni questione in sospeso diventerà un campo di battaglia. Fino al 7 maggio la politica verrà pesantemente condizionata (in peggio) dalla campagna per le amministrative; e dopo l'estate, da quella per le politiche. Nessuno, nella strana maggioranza di governo, sarà più disposto a cedere di un millimetro. Occhio allo spread: se all'estero se ne accorgono, tornerà a salire. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447383/ Titolo: UGO MAGRI Delusi sia il Pdl che il Pd Tempi lunghi, esito incerto Inserito da: Admin - Marzo 24, 2012, 02:58:00 pm Politica
24/03/2012 - il caso Delusi sia il Pdl che il Pd Tempi lunghi, esito incerto I berlusconiani volevano il decreto, i democratici un testo più morbido UGO MAGRI Roma Sul lavoro Monti ha trovato l'equilibrio perfetto, deludendo tanto gli uni quanto gli altri. Il Pd resta furente sulla sostanza (licenziamenti più facili); il Pdl perde le staffe sul metodo (disegno di legge senza urgenza). Il risultato è un destino incerto: anzitutto per la riforma. A credere che in Parlamento verrà approvata, non sono così tanti. Le Commissioni diventeranno un bazar, l'Aula un «Vietnam» (promette Di Pietro). Se per avventura il ddl arriverà in porto, ciò accadrà tra molti mesi, più facilmente dopo l'estate. E c'è dell'altro. Il cammino della riforma promessa ai mercati incrocerà tutte le varie questioni (alcune nobili altre no) su cui i partiti si stanno azzuffando, dalla Rai alla giustizia. A Monti verranno chiesti capolavori di tenacia e anche di astuzia. Da Grande Decisore, il Prof rischia di trasformarsi nel Grande Mediatore. Oggi parlerà a Cernobbio, e capiremo se la futura veste gli andrà comoda o stretta. Di sicuro, Monti non ha retto l'urto di Bersani. Il segretario è riuscito a esternare la rabbia del suo partito con una «vis» di cui certi detrattori interni non lo ritenevano in grado. Un crescendo di sarcasmi sui tecnici («molta gente può essere arrivata lì non essendo pratica della materia»), di battute corrosive («il Parlamento lo chiudiamo, così i mercati si rassicurano...»), di chiari avvertimenti («sosteniamo Monti per generosità, poi torni la politica») che poi D'Alema ha ripreso con la sua solita vena di simpatia («Monti starà qui un po', dopodiché verranno altri governi»). Bersani temeva di trovarsi davanti a un «prendere o lasciare». Vale a dire un decreto del governo seguito dal voto di fiducia in Parlamento, la procedura standard di questi primi quattro mesi; il suo fuoco di sbarramento è stato tutto volto a ottenere un disegno di legge, tenero e malleabile per sua natura. Nella disperata battaglia, accompagnata epicamente dai giovani del Pd con il coro di «Bella ciao», il segretario ha trovato supporto in Fini, che a tu per tu con Monti l'altro ieri aveva consigliato di non insistere col decreto, laddove invece Schifani ha sostenuto pubblicamente il contrario, seconda e terza carica dello Stato su opposti fronti. Rutelli, in sintonia con Fini, ha bastonato l'ipotesi di decreto; però sotto sotto Casini, che del Terzo polo è il leader, sarebbe stato abbastanza a favore del provvedimento d'urgenza, in modo da calare in fretta il sipario e guardare oltre; Bocchino, d'accordo con Pier ma una volta tanto in dissenso da Gianfranco, ha suggerito a Monti la linea dura. Insomma, confusione totale. Fino a quando Napolitano ha chiuso i giochi. E' parere unanime che l'ultima parola sia stata del Presidente; forse anche la prima, giacché Napolitano ha sempre perorato in pubblico e privatamente le ragioni del dialogo coi sindacati, Cgil compresa. Ieri mattina non ha fatto che ribadirle quando con una mano ha sostenuto Monti («è una riforma da fare»), con l'altra lo ha quasi sospinto lungo la strada del ddl («in Parlamento si confronteranno preoccupazioni e proposte»). Forse era proprio ciò che il Professore desiderava. In partenza a sera per Milano, veniva descritto dai suoi come «stanco ma soddisfatto». A riprova di quanto cangiante sia la politica, l'alta tensione si è spostata da sinistra a destra. Fino a metà pomeriggio i «berluscones» non stavano nella pelle dal godimento, che spettacolo ai loro occhi la rivolta del Pd contro i «tecnici»... Quando invece da Palazzo Chigi è arrivata notizia del «cedimento», cioè non sarà decreto ma ddl, tutta l'ala capitanata da La Russa, quella che preferisce perdere le elezioni subito anziché languire un anno nel limbo, si è lanciata all'assalto con furore. Non si è associato però, si badi bene, il segretario Alfano. In questi giorni mai, dalla sua bocca, era uscita la parola «decreto». Solo un paio di polemiche da caffè, proprio il minimo sindacale. Angelino sa che l'articolo 18 non è il terreno ideale su cui dare battaglia. Metà degli elettori Pdl è terrorizzata dai licenziamenti facili; la Lega scatenata contro. Per dare retta ai suoi «falchi», il segretario dovrebbe farsi insultare da Bossi sulle piazze del Nord. Quanto a Berlusconi, la parola «licenziamenti» non gli è mai piaciuta. E comunque, sussurrano dalle sue parti, da una trattativa serrata può venir fuori qualcosa di buono per lui, sulla giustizia o sulle tivù, buttalo via... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447628/ Titolo: UGO MAGRI Il vertice A-B-C salva le apparenze Inserito da: Admin - Marzo 28, 2012, 03:08:11 pm Politica
28/03/2012 - IL PUNTO Il vertice A-B-C salva le apparenze Via libera a un'intesa al ribasso ma il voto a ottobre è più lontano UGO MAGRI Roma È presto per dire se davvero si porteranno a termine le riforme, della Costituzione e della legge elettorale. Né si può scommettere che, dopo il summit di ieri a Montecitorio, le tensioni sull'articolo 18 verranno presto smaltite. Possiamo tuttavia ragionare con certezza al contrario. Immaginando che cosa sarebbe successo se i segretari della maggioranza avessero rifiutato di incontrarsi e di dare il via libera a un'intesa praticamente già scritta, tra l'altro niente affatto ambiziosa e semmai troppo modesta, minimo comune denominatore di quanto tutti i maggiori partiti sostengono ormai da anni (riduzione del numero dei parlamentari, più poteri al presidente del Consiglio, eccetera). In quel caso sì che ne avremmo ricavato pessimi auspici per l'ultimo scorcio di legislatura. La prospettiva di elezioni prima della scadenza sarebbe diventata parecchio concreta per la soddisfazione di quanti a sinistra e a destra sperano nella rapida consunzione del governo tecnico. Viceversa A-B-C si sono visti e la prossima settimana, nelle loro intenzioni, concederanno il bis per studiare al microscopio il testo delle riforme. Giacché ci sono, magari forse ne profitteranno per ragionare più a fondo di articolo 18 e dintorni. Tradotto in concreto, cosa significa? Che scompare definitivamente dai radar la possibilità di elezioni anticipate prima dell'estate: a questo punto, anche volendo, ne mancherebbero i tempi tecnici. E per votare in autunno dovrebbe accadere l'apocalisse tra fine luglio e inizio di agosto: evento possibile ma non più probabile. Tra l'altro, il vertice di ieri ci segnala che i partiti hanno interesse a salvare quanto meno le apparenze. Vogliono offrire l'illusione ottica della concordia. Nello scontro sulla riforma del lavoro, l'autorevolezza del governo è uscita alquanto ammaccata, ma nessuno dei segretari si sente ancora abbastanza forte per scrollare il ramo e raccogliere i frutti. Potrebbe cadere l'albero, e travolgere l'incauto sotto il peso delle conseguenze. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448150/ Titolo: UGO MAGRI Alfano-Bersani-Casini, ancora fumata nera sull’articolo 18 Inserito da: Admin - Marzo 31, 2012, 10:07:53 pm Politica
31/03/2012 - retroscena Il rito dei vertici a tre Ma il vero rebus resta la riforma del lavoro Alfano-Bersani-Casini, ancora fumata nera sull’articolo 18 UGO MAGRI Roma Sette giorni fa erano tutti e tre a Cernobbio, dai commercianti; stamane eccoli di nuovo insieme, Alfano Bersani e Casini, dagli agricoltori a Taormina. Altro pubblico dibattito condotto con la solita civiltà dei toni, ciascuno conoscendo già a memoria gli argomenti e le battute degli altri due, come in ogni compagnia di giro che si rispetti. Poi, prima di ripartire, si infileranno in una stanza per quello che un tempo sarebbe stato definito pomposamente dai media «vertice di maggioranza», ma ormai è quasi affettuosa routine (di Pierluigi e di Angelino ieri Pier Ferdinando confidava cose stupende, «ho il grande privilegio di collaborare con queste due personalità importanti che dimostrano quotidianamente di tenere la barra dritta, nonostante sia nel Pdl sia nel Pd c'è chi vorrebbe tornare all’antico...»). Nemmeno è sicuro che il loro colloquio si protrarrà a lungo, tra l'altro avendo tutti i cronisti dietro la porta. Eppure, politicamente, sarà un passaggio da non perdere. C'è da riannodare il filo spezzato prima dallo scontro sull'articolo 18, poi per il grande scandalo suscitato dal giudizio di Monti sui partiti. Nessuna agenda precisa, ma i temi sono quelli lì: legge elettorale, giustizia, lavoro. Tutto si tiene per un gioco di equilibri dove nessuno può rimetterci la faccia (tra un mese si vota in 27 Comuni capoluogo). E allora, come procedere? Da dove ricominciare? Sulla riforma del «Porcellum» non sembra difficile. L'impianto è deciso, restano in sospeso un paio di questioni molto da addetti ai lavori (recupero dei resti e assegnazione dei premi) su cui non è detto che i segretari sappiano o vogliano cimentarsi. In compenso potranno decidere se rivedersi a stretto giro per chiudere l'accordo, magari a cavallo di Pasqua. Escluso che i tre litighino sulla giustizia. O perlomeno, non oggi. La miccia che prima o poi darà fuoco alle polveri è stata allungata e di tanto dal ministro Severino, la quale procederà d'ora in avanti col metodo dei colloqui separati, come usa con arabi e israeliani; dunque «confesserà» i partiti a uno a uno prima di tirare le sue conclusioni. Così è stato deciso ieri nell'incontro coi capogruppo, da cui sono uscite voci le più allarmistiche, segnali di grande tensione, come se là dentro fosse successo chissà che. Niente di tutto questo, se si dà retta al capogruppo Fli Della Vedova, persona attendibile. «E' stata una discussione molto seria e senza fronzoli, mi sembra che nessuno avesse intenzione di far saltare il banco». Il vero nodo che i leader non possono eludere si chiama lavoro. Qui la situazione è parecchio seria. Non sul piano «tecnico» dove un papocchio sempre si troverebbe, e chi se ne intende conferma che basterebbe poca scienza per venirne a capo. La difficoltà è tutta politica, per l'esattezza di immagine. Perché da una parte Bersani non può apparire come colui che cede sui diritti dei lavoratori laddove, ha denunciato ieri il segretario Pd, nemmeno si riesce a scalfire una legge come quella Gasparri sull'emittenza tivù. Dall'altra parte Monti non può uscirne, nella considerazione dei mercati e degli investitori stranieri, come un presidente del Consiglio a sovranità limitata, dal prestigio calante. Con grande sollievo è stata accolta nei Palazzi la lettera di Monti al «Corsera», garbata retromarcia nelle critiche ai partiti. Molto ci tenevano sul Colle più alto, perché al rientro del Professore lunedì dall'Asia quantomeno si potrà discutere al netto degli equivoci e, forse, senza strascichi nei rapporti personali. Ma la sostanza resta un macigno, e Monti l'ha ribadita: urge fare in fretta, senza passi del gambero. L'ipotesi di una fiducia, fin qui smentita, resta nell'aria. Cosicché le esigenze confliggono. Se vince il Prof perde Bersani, e viceversa. La stampa anglosassone (vedi il «Financial Times») già sente l'odore del sangue. La speculazione è in agguato. Come salvare capra e cavoli? La soluzione, ammette un segretario della maggioranza, ancora non è stata trovata, «per cui a Taormina bisogna che ne parliamo». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448496/ Titolo: UGO MAGRI Legge elettorale a rischio "premietto" Inserito da: Admin - Aprile 03, 2012, 05:24:57 pm Politica
02/04/2012 - il punto politico Legge elettorale a rischio "premietto" Il pericolo è quello di tenersi il "Porcellum", con i partiti che oggi hanno interessi divaricati Ugo Magri Roma L'ultimo miglio, anche nelle riforme, è sempre il più difficile. Quando si tratta di chiarire certi dettagli, ecco che la trattativa imbocca puntualmente il binario morto, e lì rimane... Sulla nuova legge elettorale il rischio c'è. Perché domenica mattina su «l'Unità» è apparsa un'intervista a Violante dove si formula un'ipotesi legata appunto ai dettagli ancora da definire. L'ipotesi riguarda il «premietto» in termini di seggi che, sulla base degli accordi già raggiunti a livello di segretari, dovrebbe essere attribuito al partito più votato. Se vince il Pdl, il premietto lo prende il Pdl, se vince il Pd lo prende il Pd e avanti così. Violante tuttavia ipotizza che questo modesto gruzzolo di seggi (ancora da definire) possa essere spartito tra il vincitore e i suoi alleati sommati insieme. O più precisamente, tra quanti hanno sottoscritto lo stesso programma nonché indicato lo stesso candidato premier. In altre parole, sarebbe sufficiente che Di Pietro accettasse di designare ad esempio Bersani quale capo del governo, accettandone il relativo programma, per sommare ai fini del conteggio i voti del Pd e quelli dell'Idv. Lo stesso potrebbe fare Vendola. Col risultato che a sinistra le chance di conquistare il premio sarebbero molto elevate. Già, perché il Pdl da quattro mesi ha rotto con la Lega; né è riuscito nel frattempo (forse mai ci riuscirà) a costruire un'alleanza con il Terzo Polo. Correndo in totale solitudine, nessuno scommetterebbe un cent sulla sua capacità di battere l'intero fronte delle sinistre coalizzato insieme; l'assegnazione del premietto non avrebbe storia. E guarda caso, letta l'intervista di Violante, il capogruppo del Pdl Cicchitto è insorto chiarendo che allora non se ne parla nemmeno, il premio deve essere conteso dai singoli partiti lasciando perdere le alleanze. Aggiungendo minaccioso: «Tutto ciò vuol dire che il confronto sul merito della legge elettorale è tuttora aperto». Sembra una questione da poco, ma non lo è affatto. In questo sottintende una diversa filosofia politica, oltre che interessi elettorali divaricati. I futuri governi della Repubblica dovranno continuare a far perno su alleanze definite in anticipo? Se la risposta è sì, vince la tesi Violante; se la risposta è no, prevale la linea Cicchitto; se la risposta al punto interrogativo è «non so», va a finire che ci teniamo il Porcellum... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448724/ Titolo: UGO MAGRI Bersani, Casini e Alfano uniti nella battaglia sull'articolo 18 Inserito da: Admin - Aprile 03, 2012, 05:28:50 pm Politica
03/04/2012 - il punto Sul lavoro Monti si ritrova accerchiato Bersani, Casini e Alfano uniti nella battaglia sull'articolo 18 Ugo Magri Rientrato ieri dall'Asia, il nostro presidente del Consiglio trova un clima diverso da come lo aveva lasciato. Per certi aspetti migliore, per altri no. Bersani si è dato parecchio da fare sulla riforma del lavoro, cosicché c'è adesso sul tavolo una sua proposta di mediazione che prevede la possibilità di reintegro per chi verrà licenziato dall'azienda in difficoltà (la Fornero resta contraria). A decidere tra risarcimento e reintegro sarebbe il giudice (altra circostanza che non piace al Prof). Casini risulta favorevole, e perfino Alfano sembra d'accordo per effetto dell'astuta mossa del segretario Pd, il quale cederebbe in cambio qualcosa sulla cosiddetta flessibilità in entrata, cui tiene in special modo il Pdl. Insomma: tornando in Patria, Monti si è trovato un piattino già pronto che, nelle intenzioni di «A-B- C», lui dovrebbe semplicemente gustare, magari asserendo che gli piace assai. Nelle prossime ore scopriremo se le cose hanno preso davvero la piega del quieto vivere. Ma sembra difficile che Monti possa rompere l'accerchiamento. Anche perché, se il capo del governo volesse impuntarsi rifiutando il reintegro e il «Lodo Bersani», nella sua maggioranza si scatenerebbe una reazione a catena. Il mancato accordo sul lavoro farebbe saltare pure le potenziali intese su Rai e Giustizia. Ne risulterebbe una maionese politicamente impazzita che non ci aiuterebbe agli occhi dei mercati. Senza parlare dei contraccolpi in termini di scioperi e di tensioni sociali. È lo strano paradosso di queste ore: pur di ottenere un articolo 18 più gradito agli investitori internazionali, Monti dovrebbe esercitare una forzatura politica che li metterebbe in fuga... Sembra improbabile che voglia spingersi a tanto. Anche perché il Professore, impuntandosi, entrerebbe in rotta di collisione non solo con i suoi clienti politici, ma soprattutto con colui che l'ha così fortemente voluto a Palazzo Chigi, nominandolo oltretutto senatore a vita: Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica non fa mistero di gradire un'intesa sul lavoro che segni un'epoca, e che nasca in un clima «costituente», sottoscritta perfino da Cgil. Potrebbe Monti negargli questo traguardo? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448898/ Titolo: UGO MAGRI Sul lavoro prove di "governissimo" Inserito da: Admin - Aprile 04, 2012, 05:08:05 pm Politica
04/04/2012 - il punto Sul lavoro prove di "governissimo" Come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno? Ugo Magri Un interessante articolo del «Financial Times» ci rammenta stamane che non siamo affatto fuori dai guai. E che i mercati saranno più sereni nei nostri confronti solo quando avranno la certezza che, dopo Monti, ci sarà Monti medesimo (o un premier il quale molto gli somigli). Addirittura argomenta, il corrispondente del quotidiano britannico, che agli occhi sospettosi degli investitori internazionali certe riforme contano meno della serietà proiettata nel tempo. Insomma, tenerci Monti pure dopo il 2013 sarebbe più importante del tasso di rigore sull'articolo 18 e sui licenziamenti... Non si può non cogliere una sintonia tra questi giudizi e il nocciolo dell'intervista di Mario Calabresi al presidente del Consiglio su «La Stampa» di oggi: chiunque lo guidi, sostiene il Prof, all'Italia serve un governissimo di lunga durata. L'accordo che si è definito stanotte sul lavoro va letto in questa prospettiva. Monti sacrifica qualcosa sul piano del rigore in cambio di più coesione sociale e politica. Non sarà contenta al cento per cento la ministra Fornero, eppure il presidente del Consiglio così dimostra che i grandi partiti possono sottoscrivere insieme non solo le misure per l'emergenza o le riforme della Costituzione, ma pure cambiamenti epocali in tema di diritti, vero grande spartiacque tra destra e sinistra d'antan. E il rimescolamento non sembra finire qui. Perché da cosa nasce cosa, un tabù tira l'altro, cosicché potrà accadere che Alfano, Bersani e Casini si accordino in breve tempo su Rai e Giustizia. Cavaliere permettendo. Ma allora è lecito chiedersi come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno, dopo avere fraternamente condiviso un passaggio così impegnativo della vita italiana. Cosa mai potrà rappresentare un discrimine? La previsione di Monti ha la forza delle profezie che si autoavverano. Tra l'altro con la pistola puntata dei mercati: casomai qualcuno facesse finta di dimenticarlo, provvederebbe lo spread a rinfrescargli la mente... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449022/ Titolo: UGO MAGRI Anche Monti consulta i sondaggi Inserito da: Admin - Aprile 09, 2012, 05:26:10 pm Politica
09/04/2012 - IL PUNTO Anche Monti consulta i sondaggi Il Professore: io avrò perso consensi, ma per quanto meno popolare il mio governo è messo meglio di "altre entità" UGO MAGRI La puntata di Monti in Medio Oriente, per giunta a cavallo di Pasqua, non sposta ovviamente i termini del dibattito in Patria. Tuttavia certi giudizi del Professore, formulati ieri sera a margine di un incontro con il presidente israeliano Peres, sono il termomentro di un cambio di passo, quantomeno sul piano dell'autostima. Il presidente del Consiglio è intimamente convinto di avere fin qui svolto un eccellente lavoro, al punto da giudicare "forse meritati" gli elogi che raccoglie durante la visita. Difende la "sua" riforma del lavoro, addirittura la definisce vantaggiosa per le imprese che la contestano. Ma le notazioni politicamente più interessanti riguardano il rapporto con i partiti della maggioranza. Monti in apparenza non è geloso del dialogo tra Alfano, Bersani e Casini; anzi, se ne attribuisce il merito, grazie al governo ci siamo messi alle spalle una stagione di bipolarismo aggressivo. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio segnala che ancora tanta, di strada, i partiti debbono percorre prima di potersi riproporre alla guida del Paese. Dice: io avrò perso consensi per effetto di misure durissime, ma per quanto meno popolare il mio governo resta comunque messo assai meglio di "altre entità" (espressione pudica che sembra riferirsi a Pd, Pdl e Terzo Polo). La battuta più rivelatrice è quella sui sondaggi. Io non dovrei nemmeno guardarli, riconosce il Prof, "però a volte capita che lo faccia", aggiunge sorridendo. Il tema del consenso, insomma, non gli è affatto estraneo. E casomai qualcuno avesse in animo di scaricarlo, Monti ricorda che sarebbe un azzardo. Perché "non sono un politico e non devo concorrere alle elezioni", è il suo leit-motiv; ma se per caso cambiasse idea, o fosse indotto dalle circostanze a cambiarla, allora i partiti si troverebbero un competitor parecchio agguerrito e capace di sconvolgere qualunque pronostico. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449492/ Titolo: UGO MAGRI Monti deve recuperare Alfano per sfaldare il fronte ostile Inserito da: Admin - Aprile 12, 2012, 03:37:31 pm Politica
12/04/2012 - Monti deve recuperare Alfano per sfaldare il fronte ostile UGO MAGRI Roma Se Monti non interviene in fretta, sulla riforma del lavoro rischia di saldarsi un fronte ostile. Non più solo Confindustria e la Marcegaglia: adesso pure il Pdl, col suo segretario Alfano, sembra deciso a puntare i piedi. Guarda caso, Emma e Angelino dovrebbero incontrarsi stamane. Dovrebbero, in quanto nulla è chiaro e tutto perennemente in fieri; comunque ieri sera a via dell’Umiltà erano fiduciosi che la presidentessa degli industriali avrebbe accolto l’invito, in modo da concordare insieme gli emendamenti anti-Fornero. Sarebbe una svolta politica di qualche allarme per il Prof. Perché nessuno al momento è in grado di farlo cadere, non la Marcegaglia che tra poco più di un mese concluderà il mandato, e tantomeno il partito del Cavaliere (che in caso di elezioni andrebbe incontro a una sicura sconfitta, specie con la Lega in ginocchio); tuttavia Marcegaglia e Alfano uniti nella lotta potrebbero complicare assai la vita al governo, e rendergliela quasi impossibile. Marcegaglia, secondo i collaboratori di Monti, ha già mostrato di cosa è capace scatenando la stampa internazionale contro i «cedimenti» sull’articolo 18. Le sono andati dietro giornali influenti come il «Wall Street Journal» e lo stesso «Financial Times»... Invece Alfano, volendo, è in grado di insabbiare una dopo l’altra quelle rivoluzioni che nell’ottica del Professore dovrebbero rifarci l’immagine agli occhi del mondo. Non solo la riforma del lavoro, ma pure la legge anti-corruzione, e una giustizia più spedita. Questo dicono in tono di minaccia ai vertici del partito. E aggiungono che qualora il Pdl optasse per una forma di resistenza passiva, ne avrebbe i numeri tanto in aula quanto nelle commissioni, sia alla Camera sia in Senato. Un vero muro di gomma. Abbatterlo sarebbe impossibile. Perfino nel caso in cui Monti volesse imporre il voto di fiducia, non potrebbe chiederlo per ciascun articolo in discussione (il solo testo sul mercato del lavoro ne contiene una settantina). Qualche forma di compromesso col Pdl sembra inevitabile, se il governo non vuole girare i pollici nei prossimi dodici mesi. Guarda caso, Alfano chiede udienza al presidente del Consiglio. L’appuntamento è in sospeso, ieri sera l’agenda di Monti non era definita. Nel Pdl hanno fretta, l’incontro vorrebbero che si tenesse oggi perché poi il segretario parte per la campagna amministrativa e fino a giovedì prossimo non rimetterà piede a Roma. Nessuno mette in conto che Monti possa sottrarsi al colloquio. Un po’ parleranno di Imu, un altro po’ di lavoro. Alfano aveva dato via libera alla riforma Fornero, salvo sentirsi accusare dentro il partito di non essere stato abbastanza pugnace. Per cui ha indurito i toni ed ora esige correzioni sulla cosiddetta flessibilità in entrata. Dirà a Monti che il partito è in rivolta, non si può fare altrimenti. A capo della protesta c’è Cicchitto, estensore materiale di un comunicato durissimo contro la riforma e fiero avversario di Monti da quando venne sbertucciato per la famosa telefonata a Tokyo, che impedì al premier di guastarsi gli elogi di Obama. In politica le inimicizie nascono spesso così. Potranno restare fuori dal colloquio la Giustizia e la Rai? Impossibile. Se Monti riceverà Alfano, se le ritroverà sul tavolo. Nel primo caso l’intesa è vicina. Ieri la ministra Guardasigilli Severino ha dato buone speranze a Ghedini, il legale del Cavaliere: l’anticorruzione viaggerà a braccetto con le intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati, sennò si fermerà tutto. Quanto alle tivù, il mandato di Angelino è talmente chiaro che nemmeno avrà bisogno di illustrarlo al premier. Berlusconi non vuole scherzi sulle frequenze. Dunque non si azzardi il governo a procedere per decreto, come sembra deciso a fare. Specie se l’intenzione è di levarle al Biscione... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449837/ Titolo: UGO MAGRI Alfano, Bersani e Casini collaborano tra loro, con Monti un pò meno Inserito da: Admin - Aprile 13, 2012, 11:42:21 am Politica
13/04/2012 - il punto Alfano, Bersani e Casini collaborano tra loro, con Monti un pò meno Nonostante le amministrative in vista, i tre maggiori partiti mostrano intesa e coesione. Rapporti tesi col governo tecnico Ugo Magri Si registra da qualche giorno un fenomeno politico singolare: accade il rovescio di quanto sarebbe lecito aspettarsi. Sulla carta, con l'avvicinarsi delle Amministrative (mancano tre settimane) e ancor più con le Politiche in vista (tra neppure un anno) dovrebbe schizzare alle stelle la tensione nell'ambito della strana maggioranza che sorregge il governo; secondo i manuali del machiavellismo classico, «A-B-C» sarebbero obbligati a darsele di santa ragione. E sempre in base alle teorie degli scienziati, i tre maggiori partiti dovrebbero fare a gara nel sostegno a Monti, in modo da assorbirne una po' di luce riflessa. In sintesi: pessime relazioni tra loro, ottime con il presidente del Consiglio. Si sta verificando l'esatto contrario... Sfidando le leggi gravitazionali che regolano la politica, i partiti collaborano alacremente. Grandi sforzi comuni, in queste ore, per spingere avanti e in fretta la leggina sulla trasparenza dei bilanci. Via libera definitivo al pacchetto di riforme della Costituzione. Intesa di massima sui nodi della giustizia, compresa la responsabilità civile dei magistrati e addirittura le intercettazioni. Sulla legge elettorale permane incertezza, ma è palese lo sforzo di trovare un minimo comune denominatore (lo stesso Berlusconi, dicono nel Pdl, si sarebbe convinto da ultimo a rompere gli indugi). E sulla riforma del lavoro, chiaro appare l'intendimento di non farsi troppo male a vicenda. Alfano si è ben guardato dall'esasperare le difficoltà di Bersani sull'articolo 18, ora si attende che il segretario Pd usi lo stesso garbo nei suoi confronti. Con Monti le relazioni, viceversa, appaiono un tantino tese. Almeno per quanto concerne i due più grossi partiti, è palese la freddezza nei confronti del premier. Nel Pd non sono ancora del tutto dissipate le scorie del faticoso accordo sulla flessibilità in uscita; nel Pdl cresce il nervosismo sulla flessibilità in entrata. Risulta che l'incontro di ieri tra il Professore e Alfano non sia andato nel migliore dei modi possibili. Ed è sintomatico che nessun partito abbia accolto la disponibilità governativa a intervenire con un decreto nella materia del finanziamento pubblico: segno evidente che i «Tre Moschettieri» hanno preferito fare da sé. Dei tecnici si fidano, ma fino a un certo punto e, ultimamente, parecchio meno. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450018/ Titolo: UGO MAGRI E il Cavaliere si sfoga: "Scene assurde e inventate il copione ... Inserito da: Admin - Aprile 17, 2012, 12:02:52 pm Politica
17/04/2012 - retroscena E il Cavaliere si sfoga: "Scene assurde e inventate il copione è scritto da altri" UGO MAGRI Roma Ghedini si è fatto vivo nel bel mezzo dell’udienza, con la voce scossa, anzi quasi incredula: quelle ragazze «stanno raccontando di tutto e di più», ha messo in guardia Berlusconi. Il quale a sua volta non voleva crederci, «hanno riferito ai giudici particolari assurdi, scene palesemente inventate, cose che proprio non esistono», è lo sfogo pomeridiano con gli amici. Al Cavaliere sembra tutta una follia, anzi parecchio di peggio perché nelle accuse delle «fanciulle» (così insiste a chiamarle dopo tutto quanto è successo) l’ex premier vede l’esatto contrario di un testimonianza sincera, semmai una lezioncina mandata a memoria, «come se stessero recitando il copione scritto da altri», e chi siano questi «altri» non sembra difficile immaginare. Giura di non essere preoccupato per l’esito del processo, insiste di avere lì pronti «settanta ospiti in grado di dimostrare che le mie famose cene erano distinte e gioiose», non quei festini a luci rosse che misero in fuga, scandalizzate, Imane Fadil e le altre testimoni dell’accusa. Quanto a Ruby, ostenta sicurezza: «Ho le carte per provare che ne parlai con Mubarak, gli chiesi espressamente se con la ragazza ci fosse una parentela», e l’allora presidente egiziano «non lo smentì. Tra l’altro in quei giorni «l’Italia stava mediando per la liberazione di due svizzeri detenuti a Tripoli», nel ginepraio nordafricano era meglio tenerseli tutti amici, libici, egiziani... Per farla breve, è la giustificazione quasi disperata di Berlusconi, «solo dopo scoprii che era tutta una bugia, a cominciare dalla nazionalità di Ruby, marocchina altro che egiziana. Da quel momento smisi di occuparmene». Chi parla con Berlusconi lo descrive «a pezzi», un uomo in autentica difficoltà. L’uomo, appunto, non il politico. Perché l’ex presidente del Consiglio ormai si difende soprattutto (così assicura) per salvare la reputazione ammaccata da queste «intrusioni nella mia privacy». Tornare in sella per la quinta volta è un sogno al passato. «Non mi candiderò più, come lo debbo ripetere?», ripete. Se il fine era cacciarlo da Palazzo Chigi, quasi implora, «inutile che insistano»: obiettivo raggiunto. Nello stesso tempo aggiunge: «A questo punto mi difendo solo ed esclusivamente per l’onore della famiglia, voglio tutelare i figli, i nipoti, questa macchia non deve esistere. Ho giurato che a casa mia mai si è svolto alcun atto di sesso, nulla di quello che viene detto...». Le vicende giudiziarie lo assorbivano da premier, figurarsi adesso che la politica è in mano ad altri. Risponde di rado alle telefonate da Roma, invano lo cercano per trascinarlo nelle faide interne di partito, i contatti con Monti si sono diradati. Eppure qualche idea Berlusconi se l’è fatta. Per esempio, spiega da giorni ai suoi, «temo che la riforma elettorale alla tedesca non andrà in porto perché Bersani e il Pd troveranno più conveniente andare subito alle urne dopo la debacle delle Lega, anche con questa legge». Scommette: «Vorrebbero votare in ottobre» per vincere a mani basse «con l’aiuto di Casini». E correndo da solo, non si dà pace il Cavaliere, l’Udc «dividerà il fronte moderato; se ciascuno va per conto suo, non potremo mai vincere contro la somma delle sinistre». Per cui Silvio tende a procrastinare la resa dei conti, preferirebbe che la legislatura giungesse alla naturale scadenza del 2013 e cerca di mostrarsi duttile, responsabile. «Io ci provo, evito di creare problemi sebbene il governo stia seguendo una linea troppo filo Merkel e fondata su un incremento delle tasse che aggrava la recessione». Cerca di tenere i nervi saldi, spiega, per non cadere nelle provocazioni causando il voto anticipato. «Però non tutti sono responsabili diversamente dal sottoscritto», sospira. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450408/ Titolo: UGO MAGRI L'ombra del Cavaliere sul vertice Inserito da: Admin - Aprile 18, 2012, 03:59:58 pm Politica
18/04/2012 - Retroscena L'ombra del Cavaliere sul vertice Domani Berlusconi pranza dal premier. Bersani irritato. Tregua armata sulle frequenze tv UGO MAGRI Roma Un’ora di diapositive: così è incominciato il vertice di Monti con i tre segretari. E come spesso in questi casi, grandi sbadigli perché sullo schermo non sono state proiettate belle fotografie, tipo quelle del Professore in viaggio nel Medio Oriente tra Gerusalemme e le Piramidi, bensì tabelle e diagrammi illustrati dal ministro Passera circa i possibili interventi per la crescita. Con una serie di anticipazioni del Programma per le riforme che verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri. Grande la folla di buoni propositi ma soldi per implementarli pochi, anzi praticamente zero se si dà retta alle voci da dentro. Le quali sussurrano che la discussione si è poi animata, perché «A-B-C» gareggiano nel chiedere più crescita e in fretta, dopo i sacrifici la gente vorrebbe scorgere la luce in fondo al tunnel. Quindi spingono per qualche sforzo finanziario tangibile, altrimenti il rischio è di fare solo chiacchiere. Laddove il presidente del Consiglio, spalleggiato dal viceministro Grilli, è meno preoccupato dal consenso e più dai mercati che attendono un passo falso del governo per poter dire «ecco i soliti italiani, hanno già abbandonato il rigore...». Alla fine commenti soddisfatti, almeno sulla crescita l’intesa pare sia stata raggiunta: da un incontro durato quasi sei ore, era il minimo che ci si potesse aspettare. Su tutto il resto, meglio andarci cauti. La carne al fuoco era tanta, alla fine i protagonisti sono scappati come saette, solo oggi capiremo come se la sono cavata. A cominciare da Bersani, che s’è presentato da Monti con i guantoni del pugile. Deciso a strappare qualche denaro per i Comuni, un po’ di sostegno dalla Cassa depositi e prestiti, insomma segnali concreti di stimolo all’economia perché «così le cose non vanno», dicono nel suo giro, di troppo rigore l’Italia potrebbe morire. Inevitabili le scintille con Grilli e pure una certa freddezza nei confronti del Professore. Il quale ha fatto rendere noto, sul sito del governo, un incontro fissato per domani a pranzo con Berlusconi. Addirittura, se sono vere le voci dal Plebiscito, sarebbe stato Monti a sollecitarla (sebbene pure Berlusconi non chiedesse di meglio). Misteriosi i perché. Qualcuno azzarda che il presidente del Consiglio senta puzza di bruciato, avverta il rischio di elezioni a ottobre, dunque cerchi sponde dove è certissimo di trovarle, cioè nel Cavaliere preoccupato dalla prospettiva delle urne. Però questo incontro mette doppiamente in difficoltà Bersani. Figurarsi come reagiranno nel suo partito se domani Monti farà felice Silvio sulle frequenze: chiederanno al segretario Pd che cosa è andato a fare ieri notte a Palazzo Chigi, se poi le decisioni vere Monti le prende direttamente col Cavaliere perfino su temi come l’emittenza tivù. E Bersani si domanderà a sua volta se può considerare Alfano un interlocutore , dal momento che poi Angelino viene scavalcato senza scrupoli di sorta dal fondatore di Forza Italia. Non è solo una questione di immagine. Siamo al paradosso per cui un ultrà berlusconiano come l’ex ministro Romani ha tentato ieri mattina di dettare al segretario Pdl l’agenda del vertice, creando un caso sull’asta delle frequenze e accusando il governo, Passera in particolare, di avere preso nottetempo accordi con il Pd per mettere fuori gioco Rai e Mediaset; però nel giro di Bersani si nega la circostanza, «nessun incontro con il ministro». E curiosamente perfino nello staff del Cavaliere qualcuno ipotizza che Romani abbia semplicemente voluto farsi bello col Capo, mostrandosi vigile e reattivo su una materia (le tivù) che ad Arcore notoriamente interessa. Fatto sta che, all’incontro da Monti, della questione frequenze non si è nemmeno parlato. Solo di crescita e un po’ di Giustizia per mettere il timbro ufficiale sui patti già raggiunti dalla ministra Severino con i partiti della maggioranza. E con l’avvocato Ghedini. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450617/ Titolo: UGO MAGRI Monti andrà fino in fondo ma sotto l'egida di Bersani Inserito da: Admin - Maggio 08, 2012, 04:41:57 pm Politica
08/05/2012 - IL PUNTO Monti andrà fino in fondo ma sotto l'egida di Bersani Così il voto delle amministrative cambia le prospettive dei partiti Ugo Magri Roma Visto con gli occhi stranieri, ad esempio quelli solitamente attenti del «Financial Times», il risultato delle Amministrative in Italia merita un colonnino basso a pagina 4 con il titolo «Spostamento a sinistra». Dove si annotano l'avanzare della protesta nonché le «sostanziali perdite» del Pdl berlusconiano (ma senza le esagerazioni nostrane di giudizio). E dove si registrano le difficoltà di Monti, unica cosa che in questo momento all'estero interessi. Per cui vale la pena domandarsi se davvero il Prof corre pericoli, e di che tipo. Finché a destra prevale la ragione sulla disperazione, da quella parte il governo non deve temere nulla. Berlusconi sa meglio di tutti che, se si votasse in autunno, verrebbe spazzato via. Dunque farà qualunque cosa per impedirlo diventando volta a volta concavo e convesso. Abbaierà senza possibilità di mordere nella speranza di arrivare a fine legislatura. A che gli serve guadagnare tempo? Per esempio a ricucire un blocco di alleanze con la Lega maroniana, e a capire le intenzioni del Terzo Polo, le cui ambizioni non sono state certo premiate dal voto del weekend. Le impuntature nei confronti del governo (sulle tasse e non solo) avranno sapore propagandistico, senza mai arrivare però alle conseguenze estreme. Sarà un «vorrei ma non posso». Situazione rovesciata a sinistra, dove Bersani potrebbe mettere fine all'esperienza dei «tecnici», e a sentire alcuni gli converrebbe pure; però lui non vuole giocare d'azzardo, il segretario Pd non è proprio il tipo. Inoltre lo spostamento a sinistra (nella interpretazione del «Financial Times») gli permette di farsi portare dalla corrente senza remare troppo. Potrebbe essere l'Hollande italiano. Per cui, fintanto che il governo darà retta al Pd, nemmeno da quella parte Monti avrà nulla da temere. Ma sarà sufficientemente flessibile, il Professore, da prendere atto che lo stallo politico da cui il suo governo nacque non è più tale? E che la «golden share» a questo punto ce l'ha. Il Pd? Tutto fa ritenere di si. Per cui, più che elezioni a ottobre, sembra lecito attendersi un altro anno di legislatura con Monti a Palazzo Chigi, però sotto l'egida di una sinistra che si prepara a governare. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453373/ Titolo: UGO MAGRI Per la legge elettorale è tutto da rifare Inserito da: Admin - Maggio 09, 2012, 02:39:04 pm Politica
09/05/2012 - il punto La bozza non supera il test del voto Per la legge elettorale è tutto da rifare Pierluigi Bersani, leader Pd, è tornato alla proposta originale del doppio turno. Punta a trasformarsi nell'Hollande italiano Pd e Pdl pronti ad archiviare la riforma per puntare a vincere Per i centristi una doccia gelata UGO MAGRI Roma Sulla legge elettorale è tutto da rifare. Un mese e mezzo fa la riforma sembrava a portata di mano in virtù della cosiddetta bozza Violante, escogitata dall'ex presidente della Camera. Trattavasi di un mix tra sistema spagnolo (fortemente maggioritario) e modello tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento). In pratica un ritorno all'antico, alle dinamiche della Prima Repubblica con qualche sostanzioso correttivo a vantaggio dei grandi partiti. Ebbene: questa bozza di riforma non ha superato il test delle Amministrative. Né il Pd né il Pdl sembrano più intenzionati a mandarla avanti. Si sono accorti che, invece di risolvere i loro problemi, finirebbe per aggravarli. Anziché porre un freno alla proliferazione dei partiti, la riforma su cui stavano per mettersi d'accordo avrebbe avuto l'effetto di scatenare altre spinte centrifughe. E d'altra parte, a cosa servirebbe mettere una soglia di sbarramento quando i famosi buoi sono già scappati dalla stalla? Oltre a Pd e Pdl, si contano ben cinque partiti in grado di superare l'asticella: Lega, Sel, Idv, Grillo, Udc e forse pure Fli... Così non può andare, si sono detti tanto Bersani quanto Alfano. Cosicché il primo è tornato alla proposta originaria del doppio turno, nella prospettiva di incarnare tra un anno l'Hollande italiano. Quanto al secondo, non è ben chiaro su un quale modello potrebbe attestarsi (nel Pdl le voci sono tante e discordanti), ma di sicuro non gradisce più un modello proporzionale che favorirebbe la fuga degli elettori Pdl verso altri lidi. Contatti sono in corso tra i due maggiori partiti per tessere una nuova tela. Ieri sembrava addirittura che i «berluscones» fossero disposti a convergere sul modello francese, in modo da accaparrarsi gratis nel secondo turno una quota di elettorato leghista e Udc. Però il Cavaliere non si fida dei suoi «tecnici», sogna ancora di vincere e ritiene che questo sistema sarebbe più vantaggioso per gli avversari. È possibile che alla fine si trovi un compromesso su qualche variante della legge attuale, il famigerato Porcellum. Ad esempio introducendo le preferenze o i collegi al posto delle attuali liste bloccate; inoltre aggiustando il premio di maggioranza in Senato. Ai vertici dei due partiti maggiori li considerano dettagli tutto sommato secondari. L'importante, dicono, è salvare il bipolarismo. Per i centristi in particolare, si tratta di cattive notizie. Non solo sono rimasti delusi da un turno amministrativo dove avevano riposto tante, troppe aspettative. Adesso si trovano schiacciati su un governo che giorno dopo giorno perde gli iniziali connotati di popolarità; debbono competere con una folla di partiti più o meno della loro stazza; e come se non bastasse rischiano di votare nel 2013 con una legge elettorale molto diversa da quella che li aiuterebbe. Una morsa si va stringendo su Casini, Fini e Rutelli. Tra l'altro sempre meno uniti: nella campagna delle Amministrative, nemmeno un comizio insieme... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453505/ Titolo: UGO MAGRI I "falchi" di centrodestra smentiti dal Cavaliere Inserito da: Admin - Maggio 11, 2012, 12:13:13 pm Politica
11/05/2012 - il punto I "falchi" di centrodestra smentiti dal Cavaliere Ugo Magri Roma Un confuso vociare proveniente dal Pdl aveva fatto credere per tre giorni che il governo Monti fosse sull'orlo della crisi. Lo accusavano di tutto e di più, in particolare di aver preso misure incompatibili con l'elettorato di centrodestra sulle tasse in generale, sull'Imu in modo speciale. E poi di avere depresso l'economia (lamentela comune al centrosinistra). Inoltre di non avere battuto abbastanza i pugni sul tavolo a Bruxelles. Insomma, era colpa del Professore e delle sue politiche se le Amministrative erano state una mezza catastrofe... Martedì sera, in una riunione notturna da Berlusconi, quasi tutti i gerarchi Pdl avevano fatto a gara nel dare addosso al governo. Al punto da allarmare Gianni Letta il quale (nel racconto di un testimone) era dovuto piombare a Palazzo Grazioli come il Settimo Cavalleggeri per dire in sostanza: «Mica sarete così matti da fare cadere il governo in queste condizioni!». Tutti avevano invocato una parola dal Cavaliere, e la parola ieri sera è arrivata. Molto diversa, tuttavia, da quella che i più scalmanati si aspettavano dal Capo. Anziché bombardare Monti e il governo, Berlusconi si è esibito in un concerto di flauti e violini. Ha sostenuto l'urgenza di fare le riforme della Costituzione insieme con il Pd. Addirittura, con una ricostruzione che lascerà interdetti gli storici del futuro, Silvio ha sostenuto che le sue dimissioni ebbero luogo proprio per favorire questo dialogo. Dunque l'esatto rovescio di quanto i «falchi» Pdl avrebbero voluto ascoltare. Diversamente da molti dei suoi, Berlusconi non si fa trasportare dagli istinti animali. Sa perfettamente che, se in questo momento provocasse la crisi e le elezioni, il centrodestra verrebbe spazzato via dalla politica italiana per un lungo lasso di tempo. Dunque se ne guarda bene. Per Monti il pericolo non viene da destra. E molto probabilmente neppure da sinistra. Sembra nelle condizioni per continuare un altro anno il suo lavoro. L'unica sua cautela dovrà consistere nel non farsi trascinare nelle dinamiche di una lunga campagna elettorale, appena incominciata. Ma nessun vero fantasma di crisi gli impedisce di portare avanti il suo piano di riforme. Quanto alle critiche, fanno parte del gioco, e nessuno se ne deve offendere più di tanto... La lettera al Capo dello Stato, con l'impegno a realizzare con determinazione il mandato ricevuto, è la prova che pure il Professore se ne va convincendo. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453760/ Titolo: UGO MAGRI La stagione di "Abc" è già alle spalle Inserito da: Admin - Maggio 24, 2012, 10:42:32 am Politica
22/05/2012 - IL PUNTO La stagione di "Abc" è già alle spalle Il voto amministrativo moltiplica le nevrosi. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo UGO MAGRI Su Monti i ballottaggi hanno uno scarso impatto. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo tecnico. Nè i partiti della maggioranza se la sentiranno di staccargli la spina. Tuttavia il voto amministrativo avrà l'effetto di moltiplicare le nevrosi. Per cui il Prof andrà avanti fino al termine del suo mandato, su questo è difficile dubitare, però tra mille ostacoli e un'infinità di «distinguo». Anche ammesso che il suo carnet preveda ulteriori impegnative riforme, metterle in pratica non sarà una passeggiata. La buona notizia per Monti è che nessuno vuole mandarlo a casa. Bersani, cioè colui che da eventuali elezioni anticipate avrebbe maggiormente da guadagnare, è uscito relativamente bene dal test locale. La «cura Monti» è sopportata dal suo popolo con paziente rassegnazione. Il tempo lavora per il segretario Pd che non deve fare nulla, semplicemente lasciarsi trascinare dalla corrente verso la vittoria del 2013. Escluso che, per ansia o ingordigia, Bersani voglia prendersi il rischio di mandare tutto all'aria. Identico discorso (ma rovesciato) per Alfano e Berlusconi: dal momento che la sconfitta alle Politiche sembra inaluttabile, i due non hanno alcuna ragione per affrettarla. Mai si sono visti i capponi che smaniano per festeggiare il Natale. Una corrente di pensiero interna al Pdl sostiene che, aspettando la primavera 2013, per il centrodestra le cose potranno soltanto peggiorare, meglio dunque interrompere l'agonia. Il Cavaliere, però, non la pensa così. Come Andreotti, anche Silvio è convinto che tirare a campare sia meglio di tirare le cuoia. Neppure da lui Monti deve temere sgambetti. Tuttavia il Pdl (sia pure soltanto per onore di firma e nella speranza di perdere almeno con dignità) sarà obbligato a puntare i piedi ogni qualvolta i provvedimenti governativi andranno a ledere gli interessi del suo elettorato di riferimento. Sulle tasse in particolare il centrodestra diventerà intrattabile. Così come difficilmente il Pd (esposto alla concorrenza grillina e dipietrista) sarà disposto a concessioni su questione morale e giustizia. La breve stagione di «A-B-C» sembra già alle spalle. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/455160/ Titolo: UGO MAGRI La sorte del governo si gioca in Europa Inserito da: Admin - Giugno 06, 2012, 05:04:10 pm Politica
06/06/2012 - IL PUNTO La sorte del governo si gioca in Europa Bersani conferma l'impegno a votare nella primavera 2013. Berlusconi contrario alle elezioni anticipate. Ma aumenta l'insofferenza verso Monti Ugo Magri Roma Le smentite di Bersani (una sola non è bastata) allontanano per il momento le urne. Il segretario Pd conferma l'impegno a votare nella primavera 2013 invece che tra quattro mesi, come aveva ipotizzato il responsabile economico del suo partito, Fassina. Né Monti deve temere agguati dal Pdl. Dove cresce, è vero, l'insofferenza nei confronti del governo; però Berlusconi è contrario al voto, e finché Silvio non darà il benestare da quelle parti nessuno avrà il coraggio di compiere l'affondo decisivo. Qualora non bastasse, sul Colle vigilia Napolitano che, notoriamente, considera sciagurata l'ipotesi di elezioni prima della scadenza. La sua «moral suasion» già da sola è sufficiente a frenare i propositi di crisi. Ciò significa che Monti può considerarsi al riparo da brutte sorprese? In tempi normali la risposta sarebbe sì, il governo non avrebbe nulla da temere. Purtroppo i tempi che viviamo tanto normali non sono, per motivi indipendenti tanto dal Cavaliere quanto da Bersani. Siamo a ridosso di un voto in Grecia (17 giugno) che potrebbe spalancare la strada alla dissoluzione della moneta unica. Se la nuova maggioranza ad Atene non sarà disposta a onorare i patti con l'Europa, ondate di panico si propagheranno sui mercati finanziari. Non solo il Portogallo o la Spagna si troveranno seriamente nei guai, ma pure l'Italia vivrà momenti terrificanti. Obama allarmatissimo preme perché l'Europa, e la Germania in particolare, si diano una mossa, tirino fuori qualche idea prima che sia troppo tardi. Decisivo sarà il G20 in Messico (18-19 giugno), e ancor di più importante il Consiglio europeo di fine mese. C'è da fare gli scongiuri. Qui torniamo alla vicenda italiana. Perché se, dio non voglia, la crisi dovesse avvitarsi, e se lo spread per conseguenza schizzasse a livelli record, pari o superiori a quelli che misero in ginocchio Berlusconi, gli argomenti a favore del governo tecnico sarebbero politicamente indeboliti assai. Risulterebbe chiaro che l'epicentro del terremoto finanziario sta in Europa; che tutto sia quanto si poteva fare in casa nostra è stato già fatto (comprese riforme lacrime e sangue come l'aumento dell'età pensionabile); che insomma a questo punto si tratta di negoziare molto duramente con la Germania una via d'uscita dal tunnel, stabilendo le giuste alleanze sul piano internazionale. Crescerebbe la pressione politica su Monti, gli si chiederebbe di sbattere i pugni sul tavolo. E casomai il Professore non lo facesse, nell'ora dell'emergenza sicuramente a qualcuno verrebbe in mente di invocare nuove elezioni in tempi brevi, così da avere un governo pienamente legittimato dal popolo ad alzare la voce in Europa. Sono scenari disperati che nessuno si augura, ma dietro le quinte (nonostante le smentite) se ne discute. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/457141/ Titolo: UGO MAGRI Alfano: no alla fiducia sulle toghe Inserito da: Admin - Giugno 18, 2012, 04:52:05 pm Politica 16/06/2012 - GIUSTIZIA, IL NUOVO FRONTE Alfano: no alla fiducia sulle toghe L'altolà del segretario Pdl sulla responsabilità civile dei giudici. Poi annuncia: "Ho invitato Vittorio Feltri alle primarie" UGO MAGRI Roma Alfano estrae dalla fondina la Colt e la punta contro il governo. Guai se si azzarderà a imporre una mediazione sulla responsabilità civile dei magistrati, nel qual caso partirebbe un colpo. Meglio che il Prof se ne tenga alla larga... Sulla falsariga del duro discorso di Cicchitto alla Camera, ma con il piglio autorevole del segretario, Angelino invita Monti «a non porre la fiducia» perché, «se ci sarà da scegliere di stare con il governo o dalla parte dei cittadini, il Pdl sceglierà i cittadini e non voterà la fiducia». Cioè manderebbe tutto all’aria in nome del principio che «chi sbaglia paga, e devono pagare pure i magistrati». La resa dei conti non sembra dietro l’angolo, la ministra della Giustizia Severino giudica «prematuro» addirittura parlarne, certo non ha fretta di trasformare il Senato in un saloon. Più urgenza semmai ha il Pdl di restituire le sberle incassate alla Camera sull’anti-corruzione, e soprattutto di mostrare al proprio pubblico che non è l’ombra di se stesso, come certi sondaggi farebbero immaginare. Secondo la Swg, la creatura berlusconiana sarebbe crollata al 15 per cento, come dire che dimagrisce al ritmo di un punto a settimana. Altri istituti di rilevazione danno il Pdl un po’ più in carne, tra il 16 e il 19 per cento, nessuno però oltre il 20. Alfano si batte come può, convoca la Direzione del partito per il 27 giugno, alla vigilia del vertice Ue; la prossima settimana lancerà una serie di proposte economiche cui lavora alacremente l’ex ministro Brunetta (si era ipotizzato il contributo di 4 premi Nobel, nessun apporto richiesto invece a Tremonti). Grande attenzione al vivaio, con la Meloni che lascia la guida del movimento giovanile (potrebbe correre nelle primarie), al suo posto il trentenne Perissa e, quale portavoce, la piemontese Montaruli. Ma su tutti gli sforzi del segretario incombe sempre l’incognita Berlusconi. Perfino chi rifiuta di inseguire i pettegolezzi non può non registrare uno sciame sismico di voci che, solitamente, preludono a qualche grosso sconquasso. Silvio pare sempre più scontento del partito dato in gestione un anno fa, considera l’attuale dirigenza come una «Zattera della Medusa» persa tra le onde, dove ognuno mira solo a salvarsi senza una vera meta. È certo che non ha per niente messo da parte il progetto, bocciato da Alfano & C durante l’ultimo ufficio di presidenza: una fioritura di liste civiche le più variopinte, fatte come e con chi dice lui. Da quella «rivoluzionaria» che Sgarbi ha già presentato, a quella animalista della Brambilla; dal progetto ancora in gestazione che dovrebbe vedere in campo l’ex capo della Protezione civile Bertolaso, nel contesto della candidatura udite udite di Gianni Letta a sindaco di Roma, per finire con l’ultimo colpo di genio della Santanché. La quale sta organizzando una sua lista che punta al 10 per cento, e ha sondato una firma tra le maggiori del giornalismo italiano, Vittorio Feltri, casomai si candidasse. La notizia si è diffusa via Twitter. Lui è tentato, ma non ancora convinto. Se si farà vivo Berlusconi, in quel caso valuterà. Nel frattempo guarda caso l’ha già chiamato Alfano per invitarlo a correre, semmai, nelle primarie del Pdl. Però Feltri assicura che l’invito non c’è stato, solo una telefonata per professare amicizia e stima. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/458649/ Titolo: UGO MAGRI Il premier a partiti e sindacati: informo ma non contratto Inserito da: Admin - Luglio 05, 2012, 11:50:07 am Politica
03/07/2012 - RETROSCENA Il premier a partiti e sindacati: informo ma non contratto Si torna alla linea usata per la riforma delle pensioni UGO MAGRI Roma Monti prova a surfare l'onda del successo europeo per riprendere slancio in Italia e superare le resistenze delle corporazioni, dei sindacati, dei partiti. Tornato da Kiev (deviazione di cui forse, col senno di poi, avrebbe fatto a meno), il Prof è concentratissimo sulla «spending review». Dei tagli di spesa il governo ha maledetta urgenza, anzitutto per evitare l'aumento dell'Iva (scatta il 30 settembre), ma anche per pagare il conto del terremoto in Emilia. Lancerà due assalti a ondate successive. Il primo venerdì, in coincidenza con il prossimo Consiglio dei ministri, o al massimo entro questo weekend, per definire i tagli immediati dell'anno in corso. L'altro assalto, attraverso misure che a Palazzo Chigi qualcuno definisce «più strutturate», seguirà a ruota e riguarderà i risparmi degli anni successivi. Qualcosa di meglio ne capiremo oggi, quando Monti vedrà parti sociali e rappresentanze degli enti locali. Escluso tuttavia che il premier intenda scoprire le carte. Anche se volesse, non potrebbe: la riunione interministeriale di ieri non ha sciolto tutti i nodi, ai ministri serve un supplemento di ingegno per venirne a capo. Ma la vera ragione che vieta a Monti di spiattellare l'intero pacchetto di tagli è una questione di metodo. E il metodo, mettono in chiaro fonti accreditate, non sarà certo quello della contrattazione coi sindacati, tantomeno coi partiti. Più che di cercare preventivamente un consenso politico e sociale, il presidente del Consiglio si sforzerà di far intendere a tutti l'alternativa secca, l'aut-aut ineludibile tra tagli e nuove tasse, tra risparmi di spesa e aumento della pressione fiscale a livelli insopportabili. Informerà per grandi linee e quindi procederà, stavolta per decreto, niente disegno di legge aperto a tutte le modifiche. Scottato in parte dall'esperienza sul mercato del lavoro (riforma snaturata a furia di emendamenti), Monti è deciso a tornare all'antico, perlomeno così lo descrivono i collaboratori più stretti, cioè al «prendere o lasciare» che ebbe successo sulle pensioni: messi alle corde, sindacati e partiti furono costretti a inghiottire il rospo. D'altra parte, come intendere diversamente il «basta tirare a campare» pronunciato ieri sera dal presidente del Consiglio? Poi, si capisce, per quanto «tecnico» Monti è politicamente tutt'altro che sprovveduto. Prima di mettere il timbro sul decreto, i contatti non mancheranno né con le centrali sindacali né con le segreterie dei partiti. Da Palazzo Chigi è già arrivata a via dell'Umiltà e a San'Andrea delle Fratte la richiesta di indicare i nomi degli ufficiali di collegamento cui sottoporre in segreto le bozze di riforma. Sebbene non abbiano ancora ricevuto convocazioni, Alfano Bersani e Casini danno per probabili colloqui separati con il premier alla vigilia del varo, si tengono pronti per giovedì. Nel Pdl qualcuno più ottimista scommette che i tagli faranno più male a sinistra che a destra. Di sicuro dalle parti di Bersani c'è parecchio disagio, causa le voci di intervento sugli statali e ancor più di salasso al bilancio delle Regioni. «Ci riserviamo di cambiare e correggere in aula il decreto», anticipa il responsabile economico Fassina. Meno ansia di essere convocati si coglie nei centristi, dove Rao (fedele interprete di Casini) denuncia i rischi di «una trattativa formale che si tradurrebbe nella voglia di piazzare bandierine». Però questo pericolo, garantiscono dalle parti del premier, non verrà corso. La «spending review», aggiungono, vedrà la luce senza estenuanti mediazioni. Se vuole strappare all'Italia gli ultimi sacrifici nel nome dell'Europa, Monti sa che deve cogliere l'attimo, il momento è ora o mai più. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/460980/ Titolo: UGO MAGRI L'idea di firmare un impegno con l'Ue fa tremare Pdl e Pd Inserito da: Admin - Luglio 11, 2012, 11:13:35 pm Politica
11/07/2012 - RETROSCENA L'idea di firmare un impegno con l'Ue fa tremare Pdl e Pd I primi effetti dell'annuncio del Professore UGO MAGRI Roma Prima ancora che Monti ribadisse la sua decisione di lasciare tra 9 mesi, da destra e da sinistra gli avevano già intimato lo sfratto. «Io penso che l'Italia abbia il diritto di essere una democrazia come le altre», era quasi insorto Bersani, per una volta in sintonia con il suo rivale Renzi («Se vuole rifare il premier, Monti deve essere votato»). Di Pietro non ne parliamo, i tecnici «riconsegnino il paese alla politica»: proclama condiviso da vaste aree del Pdl. Un coro, insomma, per dire a Monti che non gli saltasse in mente di affezionarsi al ruolo di salvatore della patria. Finché da Bruxelles è arrivata la nuova puntualizzazione del Prof, il quale «esclude di considerare un'esperienza di governo che vada oltre le prossime Politiche», così il processo alle intenzioni di Monti si è un po' acquietato. In compenso grande inquietudine sta suscitando, nei palazzi romani, un altro spettro evocato dal presidente del Consiglio subito dopo l'Ecofin: il fantasma del Memorandum. Monti non ha per nulla escluso che, nel caso di spread fuori controllo, l'Italia possa chiedere soccorso al Fondo salvastati; anzi, per la prima volta ieri ha dato l'impressione che prima o poi ciò potrà accadere. Precisando che per l'Italia non sarebbe comunque un'umiliazione: a differenza della Grecia dovremmo sottoscrivere con l'Europa una lista di impegni molto meno gravosa, in pratica la conferma di quanto stiamo facendo, appunto «un memorandum in versione light». Ed è qui che nei partiti, oltre che nelle sedi istituzionali più nobili, si è subito accesa la spia rossa di allarme. Per quanto possa essere «light» e dunque dietetico, un Memorandum siffatto risulterebbe comunque indigesto a parecchi. Secondo le fantasie più scatenate di queste ore, potrebbe addirittura provocare un «Big Bang» della politica italiana, destrutturando i poli da una parte e dall'altra. Proviamo a immaginare lo scenario, così come lo descrive un esponente del Pd tra i massimi: «Figurarsi se la Germania darebbe via libera agli aiuti senza prima avere avuto precise garanzie che non stracceremo i patti subito dopo le prossime elezioni». Proprio come accadde in Grecia, l'eventuale Memorandum dovrebbe essere sottoscritto non solo dal Parlamento uscente, ma da tutti i leader impegnati nella campagna elettorale... Logico domandarsi come potrebbe reggere, a quel punto, la famosa «foto di Vasto» (Bersani con Di Pietro e Vendola). E come farebbe Bersani a firmare il Memorandum, per poi tenere comizi insieme con chi contesta la linea dei sacrifici. Ai piani alti del Pd c'è già chi giudica, semmai, più probabile un'alleanza con Casini. Oppure (dipenderà dalla legge elettorale) larghe intese pure per gli anni a venire... Identico discorso a destra. In caso di Sos dell'Italia all'Europa, ragiona il centrista Rao, «Berlusconi e i suoi non potrebbero certo andare in tivù per promettere l'abolizione dell'Imu». Né stringere patti con la Lega. La stessa eventuale candidatura del Cavaliere verrebbe giudicata molto negativamente in Europa se è vero che a un pranzo di ambasciatori nordici a Roma suscitava proprio ieri angoscia la semplice ipotesi di un ritorno di Silvio, specie dopo le sue ultime annotazioni euroscettiche. Lui, Berlusconi, non ha ancora in tasca la decisione definitiva. Per non farsi assillare dai suoi, prende tempo fino alla fine di agosto: «Sono dimagrito di 4 chili, non faccio più la vita disordinata di prima, però voglio capire bene se la mia età mi consente di tornare in pista, se me ne rimane la voglia...». Pure dalle sue parti può accadere di tutto. Circola addirittura voce che Tremonti, ormai in un'orbita lontana dal Pdl, stia soppesando l'ipotesi di dar vita a un partito, che certamente riscuoterebbe più credito nelle Cancellerie europee. E siamo solo agli inizi... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461959/ Titolo: UGO MAGRI L'ultimo azzardo per evitare la catastrofe Inserito da: Admin - Luglio 12, 2012, 05:04:07 pm Politica
12/07/2012 - retroscena L'ultimo azzardo per evitare la catastrofe Da una parte il rifiuto di uscire di scena senza un "colpo di teatro"e dall'altra la consapevolezza che anche il suo impero rischia di cadere UGO MAGRI Roma La voglia di tornare al centro del ring è incontenibile, né qualcuno ha la forza di sbarrargli la via. Sembra dunque scontato che alle prossime elezioni Berlusconi ci sarà. Aveva detto e ripetuto il contrario? Si cambia idea nella vita, e Silvio la aggiorna di continuo. Per cui magari potrebbe addirittura accadere che tra una settimana, o un mese, lui annunci: «Ci ho ripensato, non mi candido più...». Bonaiuti, che col Capo ha trascorso l’intera giornata di ieri, prudentemente evita di sbilanciarsi, «al momento di tratta solo di ipotesi, la decisione finale dev’essere ancora presa». C’è tempo fino alla fine di agosto. Comunque è un fatto che a una festa di compleanno ieri sera Berlusconi abbia detto: «Tutti gli imprenditori desiderano il mio ritorno», e un altro fatto è che l’altra sera così si sia rivolto ai suoi discepoli riuniti intorno al desco di via del Plebiscito: «Sono disponibile a farmi carico del partito alle prossime elezioni, io mi batterò per recuperare gli incerti, Angelino sarà al mio fianco per parlare ai giovani, insieme saremmo un ticket fortissimo». In verità pare che nella testa del Cavaliere frulli tuttora l’idea di mettersi al fianco una donna, la Santanché si sente quella predestinata. Né sembra sicuro al cento per cento che Alfano sia disponibile a un ruolo di comprimario, dopo avere quasi toccato con mano l’incoronazione nelle primarie. Consiglierà diplomaticamente di fare a meno del ticket perché un grande condottiero come Berlusconi non ne ha bisogno. Se vuole tornare a comandare, guidi l’esercito fino alla battaglia finale... Nel partito adesso tutti dicono: «Ci avrei scommesso...». Il ruolo del «padre nobile» a Silvio va stretto per definizione. Uscire di scena senza nemmeno un colpo di coda, senza avere ricordato al mondo chi è, di che cosa è ancora capace a quasi 76 anni, non sarebbe all’altezza della sua fama. Osvaldo Napoli è stupito dello stupore, «chi immaginava Berlusconi a scrivere le sue memorie dimostra di non conoscerlo». Tra l’altro «si stanno rivalutando tante cose che lui ha fatto nel corso degli anni», assicura Gasparri, e voi che l’ex-premier non coltivi il sogno umanissimo di venire richiamato a furor di popolo? Però poi circolano spiegazioni ulteriori del ritorno in campo, che con la vanità c’entrano molto poco. Semmai riguardano le fortune private di Berlusconi, gli interessi economici, le sue aziende, ma anche la famiglia, i figli in nome dei quali si è rivisto recentemente a Macherio con la quasi ex-moglie Veronica (falsa la chiacchiera di un riavvicinamento, pare che lunedì si chiuda la separazione consensuale tra i due sebbene l’avvocato Ghedini rifiuti di confermare o smentire: «Mi è inibito qualunque commento»). Insomma, c’è tutto un universo le cui sorti sono legate a doppio filo con quelle del Cavaliere. Al quale la politica è sempre servita da scudo, secondo alcuni pure da ariete, in un intreccio ben noto come «conflitto d’interessi». Certi numeri parlano da sé. La cassaforte Fininvest ha registrato nel 2011 un utile di 7 milioni e mezzo. Erano ben 160 nel 2010, oltre 600 nel 2009: un crollo verticale. Hanno pesato, è vero, la crisi economica e gli oltre 500 milioni versati per risarcimento all’arci-nemico De Benedetti, ma non è solo quello. Le azioni Mediaset valevano quasi 20 euro ciascuna tre anni fa, adesso un euro e qualcosa; il patrimonio si è assottigliato al punto da rendere importante l’esposizione del Cavaliere con il mondo bancario, stimata in oltre due miliardi di euro. Certi maligni sostengono che Berlusconi non potrebbe, nemmeno volendo, permettersi di staccare la spina al governo senza temere contraccolpi nocivi (di qui il convinto appoggio a Monti, che non tutti nel Pdl hanno ben compreso). Il partito dunque gli serve per continuare a contare, l’ex-premier non può permettere che si sciolga davanti ai suoi occhi. E d’altra parte, il gruppo dirigente nel suo complesso non ha finora dato una fantastica prova di sé, in un anno mai un’idea capace di forare il muro dell’indifferenza, nemmeno il semi-presidenzialismo è riuscito a «bucare» nei sondaggi... Molti solidarizzano con Alfano, ma altri (per esempio la Gelmini) non sottovalutano le ragioni di Berlusconi. Il quale, raccontano i suoi, ha capito da tempo che, se non torna personalmente sul ring, sarà un match senza storia. Tre volte ha vinto in passato per ko, altre due ha perso ai punti. Stavolta rischia di uscire in barella. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462073/ Titolo: UGO MAGRI L'ex premier Silvio Berlusconi non ha sciolto la riserva Inserito da: Admin - Luglio 14, 2012, 03:49:11 pm Politica
14/07/2012 - centrodestra: nuove incognite Berlusconi rinvia la ridiscesa in campo L'ex premier Silvio Berlusconi non ha sciolto la riserva Salta una convention all'Ergife, ma lunedì sarà al convegno degli euroscettici UGO MAGRI Roma Nel mondo berlusconiano l’attenzione (con annessa preoccupazione) si sta spostando dalla ricandidatura del leader a ciò che lui potrà dire nelle sue prossime uscite pubbliche. In particolare rispetto all’euro e ai rischi di default. È vero che un filo di dubbio sulle reali intenzioni del Cavaliere continua a serpeggiare, perlomeno tra quanti l’altra sera avevano preso parte al vertice di Palazzo Grazioli, dove lui si era presentato con in tasca una bozza di smentita scritta da Gianni Letta, in pratica un dietrofront rispetto al ritorno in pista reso pubblico dal «Corsera». Tuttavia la possibile retromarcia era stata stroncata sul nascere dal gruppo dirigente; e comunque, la decisione finale scatterà in settembre, quando la gente tornerà dalle vacanze e sarà possibile valutare il reale impatto di Berlusconi nei sondaggi (secondo Ipr Marketing, questo impatto non solo sarebbe pari a zero, ma addirittura avrebbe l’effetto di rafforzare quella sinistra che da quasi vent’anni campa sull’anti-berlusconismo). Dunque il grande interrogativo, nell’attesa, è: come si caratterizzerà, sul piano politico, la «ridiscesa in campo» di Silvio? Sarà di appoggio a Monti e al governo, specialmente ora che l’Italia si trova sotto l’attacco dei mercati e delle agenzie di rating, o scatterà l’urgenza di distinguersi per recuperare voti? Da candidato quale ora è, Berlusconi confermerà il suo «commitment», l’impegno a sostenere le politiche del rigore e dei sacrifici, o invece si lancerà a chiedere meno tasse, via l’Imu, basta euro, torniamo alla lira? A giudicare dai commenti del portavoce Bonaiuti su Moody’s e dintorni, sembra prevalere la linea della lealtà politica. Però ieri è mancata la possibilità di sentire questi concetti dalla viva voce del Cavaliere. Lo attendevano all’Hotel Ergife per il congresso dei Cristiano-riformisti di Mazzocchi, e l’accoglienza si annunciava calorosissima: addirittura erano stati «cammellati» gli ospiti di una casa di riposo, giunti con tre pullman e tutti muniti di ventaglio, alcuni per la verità inconsapevoli dell’evento politico cui erano chiamati ad assistere. All’ultimo momento, Berlusconi ha dato forfait. Invece del Candidato, in sala è giunto il Segretario, perché tale Alfano resta: «Sono stato eletto lo scorso anno e intendo continuare». Contrariamente a quanto rivela uno dei personaggi di casa ad Arcore, Volpe Pasini, Angelino non sembra affatto «in lacrime» per la mancata candidatura a premier; semmai appare come liberato da un peso, dopo tutto quello che i pasdaran berlusconiani gli hanno combinato nei mesi trascorsi. Forse Berlusconi è stato avvertito in anticipo che il parterre dei Cristiano-sociali non era quello ideale; oppure, più probabilmente, ha preferito tenersi le cartucce per lunedì prossimo, quando a Villa Gernetto (Lesmo, Brianza) si terrà il convegno di economisti da lui patrocinato, con presenza di premi Nobel, per discutere di crisi finanziaria europea e mondiale. Animatore del dibattito sarà l’ex-ministro Martino, le cui posizioni euro-scettiche sono a tutti note. Cosicché la prima uscita del Cavaliere in veste di candidato corre il rischio di caratterizzarsi (che lui lo voglia o meno) in una chiave tale da mettere in fibrillazione lo spread e i mercati. Cicchitto ieri si è imbufalito quando gli hanno chiesto se la bocciatura di Moody’s era colpa di Berlusconi: «Qui si sfiora la stupidità!». Eppure c’è tutto un giro di speculazione che non aspetta altro, una battuta fuori luogo di Silvio al meeting di Villa Gernetto sarebbe la ciliegina. «Vedrete che a Berlusconi non slitterà la frizione», assicurano i suoi. Ma di nascosto fanno gli scongiuri. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462355/ Titolo: UGO MAGRI Alfano ci riprova, la Lega gli dice no Inserito da: Admin - Agosto 10, 2012, 09:09:51 am Politica
10/08/2012 - I PARTITI LA PROVA DELLE ALLEANZE Alfano ci riprova, la Lega gli dice no Bordata a Casini: “Si fa dettare la linea dalla Cgil” Il leader dell’Udc: ero moderato prima di lui UGO MAGRI Roma In attesa che le previsioni vengano smentite, e che l’Italia sopravviva allo spread, i partiti si regolano «come se» la prossima campagna elettorale non fosse diversa da quelle passate. Per cui si impegnano a delimitare aree, a marcare territori, a gettare le fondamenta di edifici politici vecchi e nuovi. Alfano, per esempio, rimane convinto che sia possibile rimettere in piedi una casa comune con la Lega, nonostante tutto quello è successo dalla caduta di Berlusconi in poi, oltre a quanto potrà accadere in autunno. «Crediamo», scommette il segretario Pdl, «che ci siano le condizioni per un’alleanza» nel 2013. Il Carroccio non la pensa esattamente allo stesso modo; o perlomeno, la sua base non sembra particolarmente entusiasta (se si dà retta al segretario della Lega lombarda Salvini), di ritrovarsi per l’ennesima volta sotto l’egida di Berlusconi candidato. «Abbiamo già dato», è la risposta gelida che si riceve a ogni livello, dal più basso al più elevato. Difficile che se ne faccia qualcosa, «nove su dieci andremo per conto nostro», scuote la testa Salvini. Tra l’altro la legge elettorale in gestazione non sembra favorire la riconciliazione tra i vecchi soci politici. Per cui Alfano già lascia intravedere quale sarebbe il pungiglione polemico con cui punire la Lega, casomai rifiutasse di stare al gioco: «Guai se una divisione tra noi avesse l’effetto di consegnare il Nord alla sinistra», Maroni se ne assumerebbe intera la responsabilità. Sul fronte centrista, invece, Alfano non ci prova nemmeno. Dà Casini ormai per perso alla causa Pdl e, pure in questo caso, offre un assaggio di quello che potrà essere il tono della campagna elettorale: «Avremmo voluto organizzare un’area moderata, ma Casini ha scelto di allearsi con Bersani e si fa dettare la linea dalla Cgil...». Piccata la risposta del leader Udc su Facebook: «Nell’area moderata io c’ero prima di Alfano e ci rimarrò dopo. Mi dispiace piuttosto», annota Pier con qualche perfidia, «che dopo tanti buoni propositi loro abbiano deciso di tornare a Berlusconi», ne sa personalmente qualcosa Angelino. Il quale in verità nutre dei dubbi sulle reali intenzioni del Capo, Silvio «non ha ancora sciolto la riserva». Né pare che Berlusconi sia stato più chiaro, circa le proprie mosse future, nella lunga intervista che dovrebbe uscire domani sul quotidiano della «gauche» francese, «Libération». Che davvero i centristi scivolino a sinistra, anche questo è tutto in divenire. Per il momento c’è grande animazione intorno alla «Cosa Bianca», cioè al progetto salito in auge dopo un colloquio giorni fa tra Casini, Fini e l’ex ministro Pisanu. Non è la fotocopia del Terzo Polo recentemente abortito, ma di qualcosa che comunque un po’ gli somiglia, se non altro perché i promotori alla fine sono sempre gli stessi: Udc, Fli, eventuali transfughi dal Pdl. La differenza sta nel fatto che, stavolta, si tenderebbe ad allargare e di molto il «parterre», a coinvolgere di più la cosiddetta società civile, a trascinare dentro con maggiore convinzione personaggi di statura tale da rendere credibile il progetto: dalla Marcegaglia, già presidente di Confindustria, a Bonanni, attuale segretario generale Cisl, dal ministro Passera ai suoi colleghi di governo Severino, Riccardi, Ornaghi... Nomi in parte già contattati, alcuni destinati a sfilarsi, altri a garantire un sostegno morale ma nulla più, e comunque più avanti perché adesso si va sotto l’ombrellone. Il finiano Della Vedova considera «la rotta ormai tracciata» e immagina una «NewCo», una ditta nuova di zecca con Casini nel ruolo di federatore (ma Pier di sciogliere l’Udc non ci pensa nemmeno lontanamente). Profumo di nuovo ma anche di antico, se un cossighiano come Naccarato scorge in questo fermento un progetto di cui il vecchio Presidente sarebbe stato fiero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465229/ Titolo: UGO MAGRI Il premier: stato di guerra contro l'evasione fiscale. Inserito da: Admin - Agosto 18, 2012, 10:25:50 pm Politica
18/08/2012 - GOVERNO Monti e la Svizzera: verso una maxi tassa sui capitali esportati Il premier: stato di guerra contro l'evasione fiscale. E accelera sulle intercettazioni: fermare gli abusi UGO MAGRI Roma Casomai dovessimo chiedere salvagenti all'Europa, certo non ci aiuterebbe l'evasione fiscale che abbiamo in Italia. Perché altrove, specie in Germania, già ce lo stanno facendo pesare: prima di invocare aiuti, dovremo sforzarci di far pagare le tasse a chi se ne guarda bene... Monti ha chiara la difficoltà, sa che l'evasione «produce un grosso danno nella percezione del Paese all'estero», addirittura sostiene che contro questo malcostume «siamo in uno stato di guerra». E quando c'è un'emergenza bellica non si può andare troppo per il sottile. Per cui il Prof spiega al settimanale ciellino «Tempi» che «certi momenti di visibilità possono essere antipatici» (chiaro il riferimento ai blitz delle Fiamme Gialle), però «hanno un grande effetto preventivo» e rinunziarvi significherebbe alzare bandiera bianca. Bene, anzi benissimo se qualcuno se ne spaventa e torna sulla retta via. Per dimostrare che farà sul serio, ieri Monti ha colloquiato con la presidente della Confederazione elvetica, nonché ministro delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf. Il nostro premier non ha avuto bisogno di volare in Svizzera, in quanto già vi si trova per le vacanze, precisamente a Silvaplana in Engadina. Lì ha avuto luogo l'incontro, il cui nocciolo riguarda proprio il recupero dell'evasione che si rifugia da quelle parti. Con la Widmer-Schlumpf avevano fatto conoscenza il 12 giugno scorso, ieri si sono limitati a un punto sui lavori della commissione bilaterale (l'idea di massima consiste nell'esigere una tassa salata sui depositi anonimi in Svizzera dei cittadini italiani). L'agenda prevede che gli esperti consegnino le loro proposte in autunno, per poi firmare un accordo come quello già raggiunto tra Germania e Confederazione elvetica. Nelle settimane scorse un po' tutti i partiti avevano sollecitato Monti a procedere con decisione, nella speranza che lo Stato italiano possa incassare un pacco di miliardi. Il Professore raccoglie i suggerimenti di Bersani, Alfano, Casini; però sbaglia chi lo immagina posseduto dall'ansia di concludere. La fretta c'è, assicurano dalle sue parti, ma si accompagna alla preoccupazione di non commettere passi falsi. Per esempio, il premier vuole evitare che l'operazione si trasformi in un condono mascherato, per effetto del quale chi ha trasferito i soldi in Svizzera se la possa cavare con poco. L'altro rischio è che, alzando invece troppo il tiro, i capitali fuggano dalle banche elvetiche e vadano a rifugiarsi in qualche paradiso fiscale irraggiungibile: col risultato che l'Erario non incasserebbe un cent. Insomma, si cammina sul filo. Domani Monti sarà a Rimini per inaugurare il Meeting con un discorso sui giovani. L'intervista a «Tempi» sarebbe dovuta uscire in contemporanea, ma è stata anticipata alle agenzie. Il presidente del Consiglio vi ribadisce l'intenzione di vendere parti del patrimonio pubblico, promette al mondo cattolico un sostegno economico alle scuole private, «crede e spera» di poter lasciare Palazzo Chigi a un politico eletto dal popolo. Ma a far rumore è una battuta sulle intercettazioni. Definisce «gravi» quelle che riguardano il Presidente della Repubblica, aggiungendo: «E' peraltro evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi. Di conseguenza è compito del governo prendere iniziative a riguardo». Insorge Di Pietro («inaccettabile») e la Federazione della stampa minaccia una «grande mobilitazione» contro qualunque legge-bavaglio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/465842/ Titolo: UGO MAGRI Via alla fase 2, Monti non crede nel voto anticipato in autunno Inserito da: Admin - Agosto 25, 2012, 05:41:07 pm Politica
24/08/2012 - Via alla fase 2, Monti non crede nel voto anticipato in autunno Il premier ignora le tensioni nella maggioranza e prova a rilanciare la sua azione UGO MAGRI Roma Le manovre nei partiti per votare a novembre lasciano Monti piuttosto freddo, nonostante l’afa. Freddo, e scettico. In casi del genere che farebbe un presidente del Consiglio di rientro a Roma, se fosse realmente preoccupato per la tenuta della sua compagine? Come prima cosa si attaccherebbe al telefono e si informerebbe con i leader della maggioranza; cercherebbe di capire che cosa c’è di vero nel mare di chiacchiere. Ebbene: non risulta che Monti abbia preso contatto con «A-B-C», né che intenda farlo. Bersani e Casini si stanno godendo gli ultimi scampoli di vacanza, il loro smartphone ieri è rimasto muto. Nel caso di Alfano, invece, una chiamata da Palazzo Chigi avrebbe raggiunto il segretario del Pdl in Sardegna, dove Angelino è ospite del Cavaliere. I due stanno decidendo le mosse future, dunque mai telefonata del premier sarebbe potuta arrivare più tempestiva. Magari Monti ne avrebbe potuto profittare anche per chiedere conto a Berlusconi dell’ultimo attacco sul «Giornale» di famiglia, che gli ha rimproverato di spendere ben 10mila euro di affitto a settimana per la casa in Engadina laddove sono 12 mila 500 spalmati in un arco di quattro mesi, precisa la presidenza del Consiglio... Niente chiarimento, silenzioso anche il centralino di Villa La Certosa. La verità, raccontano personaggi vicini al Prof, è che ogni colloquio sarebbe superfluo. L’ultima volta che parlò coi tre segretari, alla vigilia delle vacanze, Monti ne ricevette suggerimenti fattivi su come rilanciare la crescita (in particolare da Bersani) e su come tagliare lo stock del debito pubblico (incontro con Alfano, presente il ministro dell’Economia Grilli). Il Consiglio dei ministri di stamattina si muoverà esattamente nel solco di quelle indicazioni. Sarà uno scambio di idee con i ministri per definire l’agenda di qui allo scadere della legislatura. Verranno dibattute misure a sostegno delle attività economiche perché questo reclamano i mercati, di rigore ce n’è già stato abbastanza. E nelle prossime settimane si concentrerà l’attenzione sulla vendita di cespiti patrimoniali... Ovviamente Monti è al corrente di quanto bolle in pentola, specie sulla riforma elettorale. Senza bisogno di inseguire i retroscena, gli è bastato metter piede domenica a Rimini, sede del Meeting ciellino e cassa di risonanza di tutte le trame agostane. Sa che forte resta in alcuni ambienti la tentazione di cambiare in fretta il «Porcellum» con l’obiettivo di chiudere la legislatura in autunno. Però Monti non ci vede necessariamente una trappola. Al suo entourage sfugge questo presunto automatismo per cui, una volta varata la nuova legge elettorale, l’Italia dovrebbe precipitarsi immediatamente alle urne. E perfino se così fosse, l’umore generale del Prof non sembra di chi vuole battersi per resistere a cavallo un paio di mesi in più; qualora i leader volessero congedare lui e i suoi «tecnici», non avrebbero che da dirlo. A maggior ragione se fosse il Presidente della Repubblica a giudicare conclusa la parabola del governo... Monti, confermano dalle sue parti, pende letteralmente dalle labbra di Napolitano. Tuttavia anche in questo caso non risulta che il Capo dello Stato voglia precorrere i tempi. Perlomeno a Palazzo Chigi non ne hanno fin qui sentore, semmai l’esatto rovescio: le ultime dal Colle raccontano di una legislatura che si concluderà a marzo 2013, come da copione. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466288/ Titolo: UGO MAGRI Nuova legge elettorale all'esame di Berlusconi (povera Italia) Inserito da: Admin - Agosto 26, 2012, 05:17:44 pm Politica
25/08/2012 - i partiti, le strategie Nuova legge elettorale all'esame di Berlusconi Verdini ad Arcore con testo e simulazioni per la decisione finale Ugo Magri Roma Occhi puntati sul villone di Arcore, perché tra oggi e domani di lì passerà la bozza della nuova legge elettorale. E l’interrogativo che appassiona gli addetti ai lavori (per il momento soltanto loro) è: Berlusconi darà il via libera? Oppure succederà come sulla riforma della Costituzione, quando un accordo con il Pd praticamente fatto era stato stracciato in mille pezzetti? Lo scopriremo lunedì, non appena torneranno a incontrarsi i negoziatori dei partiti. Verdini porterà a Migliavacca (lo sherpa di Bersani) e a Cesa (che è il segretario Udc) la risposta del Cavaliere. Non che Silvio sia stato fin qui tenuto all’oscuro. Come è ovvio, l’hanno informato passo passo sui progressi della trattativa e sulle grandi linee del sistema che rimpiazzerà il «Porcellum». Però restano certi dettagli niente affatto secondari da mettere a fuoco. Cosicché entro domani alle 18, cioè prima che il Milan scenda in campo con la Sampdoria e prima che Berlusconi si tuffi nel match, Verdini si presenterà dal Capo con un malloppo di carte su cui in pochissimi nel Pdl hanno potuto gettare lo sguardo: sono i termini dell’accordo preliminare già raggiunto con il Pd, più una serie di simulazioni elettorali. L’impianto della bozza è quello solito proporzionale, con una soglia del 5 per cento alla Camera e dell’8 al Senato. Il partito che risultasse vincitore, anche per un solo voto, sarebbe premiato con un «bonus» del 15 per cento, in pratica una novantina di seggi a Montecitorio. Un terzo degli onorevoli verrebbe individuato tramite piccole liste bloccate, chi piazzarci lo deciderebbero (come accade oggi) le segreterie dei partiti. Gli altri due terzi dei seggi verrebbero selezionati col meccanismo dei collegi uninominali. Per evitare che i leader subiscano l’onta di una bocciatura, pare che verrà concesso loro di candidarsi in più collegi: casomai andasse male da una parte ci sarebbe sempre il paracadute dall’altra... Dal giro berlusconiano i segnali sono tutti favorevoli, uno stop dell’intesa viene considerato molto improbabile. Di sicuro non se lo aspettano nel Pd dove anzi sono certi che la legge si farà in quanto, motteggiano dalle parti di Bersani, il Cavaliere «più di tutti ha interesse a sbarazzarsi del Porcellum, figurarsi se si farà del male da solo...». Tuttavia può accadere (di qui quel poco o tanto di suspense) che Berlusconi storca il naso su qualche dettaglio; e comunque non risulta che abbia tutta questa dannata fretta di concludere, semmai il contrario. Qui si entra nel regno della dietrologia, dove sempre labile è il confine tra il certo e l’incerto. Ma la sostanza è che, una volta pattuita la riforma, l’Italia si troverebbe virtualmente in campagna elettorale. Il Cavaliere non si sente ancora pronto per affrontarla, in quanto lui stesso deve prima rispondere alla madre di tutte le domande: «Mi candido oppure no?». Qualcuno dei suoi sostiene che è tutta scena, Berlusconi in cuor suo sa già che fare, sfoglia la margherita per tenere viva l’attenzione su di sé in attesa del grande annuncio. Altri, invece, ritengono che il dubbio sia autentico, frutto di un vero tormento anche personale, di qui il possibile traccheggiamento sulla riforma. Né pare che la visita di Alfano in Sardegna, due giorni ospite a Villa La Certosa, abbia contribuito a sciogliere il puzzle. La candidatura del Cavaliere al momento è più sì che no, diciamo 60 e 40, o forse anche 70 e 30; però il margine di incertezza persiste. Qualcuno sostiene addirittura che sia cresciuto. L’unica prospettiva davvero esclusa, nei due giorni di colloquio tra il Fondatore e il Segretario, sembra quella del listone unico dove inglobare indistintamente tutti i nemici della sinistra, da Storace a Rotondi, da Sgarbi a Micciché, un caravanserraglio variopinto e cacofonico. «Non se ne parla nemmeno», assicurano dalle parti di un Alfano molto rinfrancato. Casomai alla fine Silvio dovesse gettare la spugna, tornerebbe in auge proprio Angelino che, agli occhi del padre-padrone, ha il merito impagabile di essersi dimostrato umile e leale al punto da inghiottire un’alleanza in Sicilia con l’odiato Lombardo. Tutto può ancora accadere, in Berlusconia... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466396/ Titolo: UGO MAGRI Perché Berlusconi medita di far cadere Monti Inserito da: Admin - Agosto 29, 2012, 04:56:37 pm Politica
29/08/2012 - IL PUNTO Perché Berlusconi medita di far cadere Monti Il Cavaliere gradirebbe elezioni a novembre. Il Colle scarta l'idea UGO MAGRI Roma La svolta è maturata nel pomeriggio di ieri, e la voce si è diffusa verso sera, quando Berlusconi era già ripartito da Roma: il Cavaliere gradirebbe elezioni anticipate a novembre. Motivo: teme che aspettando marzo o aprile (la naturale scadenza) gli arriverebbe tra capo e collo la sentenza del processo Ruby, dove la condanna viene considerata inevitabile. Con il risultato di doversi ritirare dall'agone politico, stavolta per sempre. Laddove anticipando il voto, forse la sentenza (attesa per ottobre) verrebbe rinviata di qualche mese... è un rovesciamento totale di strategia, dettato dalle preoccupazioni degli avvocati, Ghedini in testa. Pare che faccia paura pure l'inchiesta di Palermo, da cui lo staff legale berlusconiano non si attende nulla di buono, a cominciare dalla testimonianza che Silvio dovrà rendere su Dell'Utri. Pur di accelerare i tempi, Berlusconi sarebbe pronto a dare il via libera immediato alla legge elettorale: così anticipa stamane correttamente «Repubblica». Tuttavia Schifani, presidente del Senato, risulta molto scettico circa la possibilità di varare la nuova legge in tempo per votare tra nemmeno tre mesi. Identiche preoccupazioni nutre il capogruppo Pdl al Senato Gasparri. Inoltre le ultimissime dal Palazzo raccontano che sia Napolitano sia Monti avrebbero scartato l'idea di anticipare le urne (accarezzata un mese fa, con le Chevalier nella circostanza contrarissimo). L'unica possibilità che si voti a novembre sembra ormai legata a un improvviso scarto del Pdl, a un'impuntatura favorita dal Pd, a uno scontro provocato ad arte, che faccia cadere nei prossimi giorni il governo. Pure questo è uno scenario di cui si sta ragionando nel giro stretto berlusconiano. Da tenere d'occhio. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466769/ Titolo: UGO MAGRI Il giallo dell'accordo Pd- Pdl Inserito da: Admin - Settembre 06, 2012, 04:16:52 pm Politica
05/09/2012 - il punto della politica Il giallo dell'accordo Pd- Pdl Il patto sulla nuova legge elettorale in realtà regge Ugo Magri Roma Insospettisce l'assenza di polemica. Non c'è stato alcuno scambio di accuse. L'accordo sulla legge elettorale era stato raggiunto e poi, se si dà retta alle ricostruzioni più in voga, il Pd se l'è rimangiato per effetto di certe reazioni interne assai negative, prima tra tutte quella di Romano Prodi. In questi casi di solito scoppia il finimondo. E invece stavolta (ecco la singolarità), silenzio. Dal Pdl non si è levata una sola voce per denunciare vere o presunte scorrettezze. In particolare tacciono i protagonisti della trattativa, a cominciare da quel Verdini che per settimane aveva dialogano fitto fitto con il braccio operativo di Bersani, Migliavacca. Chiunque, al posto di Verdini, avrebbe gridato al tradimento, alla doppiezza degli ex-comunisti eccetera. Il buon Denis stranamente tace, e viene da domandarsi il perché. Una spiegazione paradossale raccolta tra gli addetti ai lavori è che, in realtà, mai c'è stata rottura. Il Pdl non protesta per il patto stracciato in quanto (così giurano fonti degne di fede) nessuno l'ha fatto a pezzetti. Contro tutte le apparenze, l'accordo ancora regge; è stato accantonato semplicemente perché adesso non è sembrato il momento giusto per renderlo pubblico. Quel momento arriverà tra un po', bisogna avere fede... Ma allora, come mai sussisteva tutta quella fretta di stipularlo? Perché Migliavacca e Verdini ci avevano speso su il mese di agosto, tenendo informati dei progressi i rispettivi leader? Qui la risposta che circola sottovoce riecheggia un retroscena estivo di cui molto si era favoleggiato: «La corsa contro il tempo era legata alla prospettiva di elezioni anticipate a novembre, nel qual caso la nuova legge elettorale sarebbe stata indispensabile entro la metà di questo mese», spiega chi è a conoscenza dei risvolti, «ma poi la prospettiva elettorale ha perso vapore, anche per ragioni di calendario». Ormai si voterà alla regolare scadenza del 2013. Dunque non sussiste più una fretta speciale di sostituire il «Porcellum». è venuto meno il motivo di procedere a tappe forzate. O di rintuzzare le voci critiche, a cominciare da quella autorevole di Prodi, che tuonano contro il premio attribuito al partito vittorioso anziché alla coalizione. Proceda pure il dibattito in Senato, lì ognuno dica la sua. Quando si arriverà al dunque, la misteriosa intesa Pd-Pdl verrà tirata fuori dal cassetto. Aspettare per credere... da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/467506/ Titolo: UGO MAGRI Le buone notizie che allarmano Monti Inserito da: Admin - Settembre 13, 2012, 03:32:42 pm Politica
13/09/2012 - il punto politico Le buone notizie che allarmano Monti Se c'è un’emergenza drammatica, la nostra classe dirigente reagisce bene. Ma quando la tensione si allenta, rispuntano i soliti vizi Ugo Magri Non tutti i mali vengono per nuocere, assicura il proverbio, ma c’è chi sostiene il contrario: non tutto è oro ciò che luccica. Nella politica italiana, sono vere entrambe le cose. Quando si tratta di reagire a un’emergenza drammatica, tipo la crisi esplosa un anno fa, la nostra classe dirigente è capace di reazioni impensabili, lasciando a bocca aperta chi già godeva nel vederci affogare nel Mediterraneo. Quando viceversa la tensione si allenta, ecco rispuntare i soliti vizi nazionali, esattamente quelli cui accennava ieri Monti confessando al Washington Post di essere preoccupato per il destino delle riforme. Senza il pungolo dei mercati, c’è il concreto rischio di tornare le cicale di sempre. Se Monti denuncia il pericolo è proprio perché, paradossalmente, le cose sembrano volgere per il meglio. La prospettiva di un collasso dell’euro è al momento scongiurata grazie alle mosse di Draghi (la sua nomina alla Bce fu una delle rare operazioni veramente azzeccate del governo Berlusconi) e poi per effetto della sentenza di Karlsruhe, dove i giudici costituzionali tedeschi hanno dato via libera alla nascita del Fondo salvastati. L’ultima buona notizia arriva dall’Olanda, con la clamorosa sconfitta alle urne dei partiti euroscettici che abbaiavano contro l’Italia, la Spagna e i popoli latini in generale. Conseguentemente lo spread è calato di 100 punti in meno di due settimane, rendendo meno ardua la tenuta dei conti pubblici. Insomma: per quanto assorbiti dalle loro occupazioni solite, e per quanto provinciale sia la prospettiva di alcuni tra loro, i nostri capipartito hanno tutti compreso al volo che nei prossimi mesi non succederà nulla di veramente catastrofico. Nessun meteorite annichilirà la politica italiana. Per cui niente impedirà loro di mettere la campagna elettorale in cima alla lista delle priorità. Purtroppo non si è mai vista, da che mondo è mondo, una corsa alle urne scevra di promesse più o meno con i piedi per terra. Chi può stupirsi se Vendola promuove con la sinistra radicale il referendum sulla riforma Fornero, uno dei capisaldi dell’”agenda Monti”? Solo un ingenuo si sarebbe atteso che Bersani prendesse le distanze, bacchettando pubblicamente il suo potenziale alleato. Tra l’altro domani ritorna in scena il Cavaliere, ritemprato dalle vacanze a Malindi, che della fabbrica di sogni possiede il copyright: di sicuro non deluderà i suoi fan. Più in generale: nei partiti sta passando l’idea che la missione di Monti sia felicemente conclusa, che la strana maggioranza governativa non serva più, e anzi sia consigliabile sbarazzarsene in tutta fretta perché fa perdere voti. Così però l’autorevolezza del premier sbiadisce, al di là dei riconoscimenti con tanto di pacca sulle spalle; unita al crepuscolo di Napolitano, il cui settennato volge inesorabilmente al termine, si rischiano sei mesi di vuoto pneumatico, di nave senza nocchiero. Se i mercati se ne accorgono (speriamo di no, incrocia le dita Monti), basta un attimo per ritrovarci nel mirino… da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/468414/ Titolo: UGO MAGRI Cresce il rischio di primarie senza premier Inserito da: Admin - Settembre 19, 2012, 04:58:59 pm Politica
19/09/2012 - IL PUNTO Cresce il rischio di primarie senza premier Ci si accapiglia sulle regole per scegliere il candidato, intanto si negozia su una legge elettorale che potrebbe rendere tutto vano Ugo Magri Roma L'ultimo paradosso della politica domestica riguarda le primarie: quelle già annunciate (del Pd) e quelle altre (del Pdl) che potrebbero tenersi, casomai Berlusconi decidesse di non tornare in pista. In entrambi i casi, il rischio incombente è quello di una grande finzione, di una ipocrita messinscena. Perché le primarie verranno indette per chiedere al popolo di sinistra (e di destra) che si pronuncino sul candidato premier; laddove è quasi certo che la scelta di chi guiderà il governo alla fine non rispetterà le indicazioni della gente, ma ricadrà sui partiti e sui rispettivi leader. Questo accadrà non per malafede di Alfano, di Bersani o di Casini, ma per effetto della legge elettorale che si va discutendo in Senato nella noia e nella distrazione generali. Tra tutte le ipotesi di riforma sul tappeto, nemmeno una al momento garantisce che la sera delle elezioni il mondo sappia da chi verrà governata l'Italia. L'obiettivo del centrodestra è, in questo momento, esattamente quello di impedire che ciò accada. Per dimezzare la probabile vittoria delle sinistre, il Pdl punta su un sistema proporzionale nemmeno troppo mascherato, con tanto di preferenze come nella Prima Repubblica. Se passa, ritorniamo alle vecchie pratiche dei governi di coalizione. Ma non è che le attuali proposte del Pd lascino prevedere un esito molto diverso: il premio del 15 per cento, così come lo gradisce Bersani, garantirebbe una maggioranza in Parlamento solo nel caso in cui la coalizione vincente superasse il 35 per cento dei suffragi popolari. Questione di semplice aritmetica. La circostanza è possibile, però alla luce dei sondaggi non sembra così scontata. Pd e Sel in questo momento viaggiano 3-4 punti sotto la soglia necessaria, per garantirsi il premio dovrebbero bussare da Di Pietro, oppure da Casini... Più facile che vi provvedano, eventualmente, dopo il voto. Ma allora, fa notare Arturo Parisi, ex ministro del governo Prodi e referendario intransigente, che senso ha accapigliarsi sulle regole delle primarie, su chi deve prendervi parte, su chi può votare, se nel contempo si negozia su una legge elettorale destinata a renderle vane? È una domanda che in molti, ai vertici del Pd, si stanno ponendo. DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469251/ Titolo: UGO MAGRI Monti non è più un ostacolo sulla via di Bersani Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2012, 03:57:33 pm Politica
04/10/2012 - il punto Monti non è più un ostacolo sulla via di Bersani Ma Renzi rappresenta uno scoglio Ugo Magri Roma Lungo la strada che può portare Bersani al governo, Renzi continua a rappresentare uno scoglio; e la riforma elettorale rimane una palude insidiosa dove qualunque codicillo è potenzialmente in grado di negare al centrosinistra la vittoria agognata (occhio dunque a quello che può combinare Calderoli). In compenso, il segretario Pd non deve più temere sgambetti da colui che nei giorni scorsi gli era stato contrapposto come un potenziale rivale, cioè Monti. Tutto quel gran parlare di un «bis», di un governo tecnico destinato a tirare avanti anche nella prossima legislatura, aveva messo in allarme Bersani che ieri si è recato a chiarire la faccenda con il diretto interessato. L’esito del colloquio, stando a quanto filtra, prospetta una sorta di intesa che solo volgarmente si potrebbe considerare un «do ut des». Da una parte Bersani fa intendere che per Monti potrebbe esservi una collocazione ben più nobile di quella al palazzo dei principi Chigi, ad esempio sul colle del Quirinale (che dal 15 maggio 2013 resterà senza inquilino). Dall’altra il Professore non solo nega di voler mettere radici sulla poltrona di primo ministro, ma garantisce un atteggiamento collaborativo rispetto ai prossimi complicati passaggi politici. Guai a sottovalutare, infatti, il ruolo che Monti può svolgere durante la campagna elettorale. Il premier ha in mano il pallino della legge anticorruzione e, potenzialmente, anche della riforma elettorale casomai in Senato continuasse il muro contro muro. Ma soprattutto, spetterà al presidente del Consiglio definire i contenuti della legge di stabilità (un tempo si chiamava Finanziaria) da approvare entro l’anno. Proviamo a immaginare le ambasce di Bersani, nonché il vantaggio per il suo rivale Renzi, se per caso il governo avesse in animo di rafforzare le misure di austerità e di moltiplicare i sacrifici per gli italiani... Senza contare l’impatto, politicamente incalcolabile, di una richiesta eventuale di aiuti all’Europa, sottoposta alle dure condizioni della signora Merkel. La marcia trionfale di Bersani si trasformerebbe in una via crucis. Niente di tutto questo. Monti, ieri nel faccia-a-faccia, si è mostrato collaborativo. Non sarà lui a immolarsi come un Pietro Micca per negare la vittoria all’alleanza delle sinistre. Chi (specie tra i centristi) aveva coltivato una simile illusione, ora dovrà architettare un altro piano. da - http://lastampa.it/2012/10/04/italia/politica/monti-non-e-piu-un-ostacolo-sulla-via-di-bersani-NGDo005NCOJnrqtpbdgnBI/index.html Titolo: UGO MAGRI Ancora uno stop per la legge elettorale Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2012, 07:24:16 pm politica
10/10/2012 - 09/10/2012 Pd e Pdl spaccati sulle preferenze Ancora uno stop per la legge elettorale Dopo il no di Bersani si ricomincia Attesa per il voto in Commissione Ugo Magri Roma Alle 11 di ieri mattina, l’accordo sulla legge elettorale era fatto, letto e sottoscritto. Alle quattro del pomeriggio, è saltato sopra una mina. Questa mina si chiama preferenze. Il Pd non vuole riportarle in auge, le giudica un passo indietro pericoloso. Ha dato uno stop, proverà a puntare i piedi in Commissione affari costituzionali del Senato, dove in teoria oggi dovrebbe approdare il testo (ieri sera il presidente Vizzini però ancora non l’aveva tra le mani). Entro domattina, forse già stasera, si voterà sul nodo in questione. Il centrodestra sembra in vantaggio. Verrà dunque approvato, salvo colpi di scena, un testo-base comprensivo di preferenze. Come vuole il Pdl, come non vuole il Pd. A quel punto capiremo fino a che punto Bersani vorrà spingere la sua resistenza. Riproporrà l’opposizione del suo partito durante le votazioni in Aula? Boicotterà la riforma quando arriverà alla Camera? Domande per ora senza risposta. La difficoltà del segretario sta nel fatto che, bloccando l’iter della legge, presterebbe il fianco all’accusa di volersi tenere il «Porcellum», sistema da tutti aborrito e in modo particolare dal Presidente della Repubblica, il quale dal Colle vigila sempre meno paziente. Guarda caso, Bersani sente il dovere di precisare: «Non stiamo rinviando niente, voglio una legge elettorale che non porti alla frantumazione, alla balcanizzazione... Il meccanismo proporzionale va corretto in nome della governabilità, preferiamo i collegi alle preferenze». Non è esattamente il tono di chi si appresta ad alzare le barricate. E in effetti, appunto, ieri di buon ora l’intesa sembrava davvero raggiunta. Nella bozza elaborata in armonia da Zanda (Pd) e da Quagliariello (Pdl), si registrava lo scambio deciso ai vertici dei rispettivi partiti. Quello di Bersani portava finalmente a casa un discreto premio per la coalizione vincente, pari al 12,5 per cento dei seggi. Non ancora abbastanza da garantire la vittoria matematica alla coalizione con Vendola, ma un passo avanti rispetto al «premietto» che il centrodestra avrebbe voluto concedere. In contropartita, sempre nella bozza circolata ieri mattina, il Pdl incassava le preferenze per eleggere i due terzi di deputati e senatori (al netto del premio); l’altro terzo degli onorevoli sarebbe stato calato dall’alto tramite le solite liste bloccate, proprio come accade oggi... Non appena la notizia si è sparsa per i corridoi di Palazzo Madama, nel Pd è scoppiata una mezza rivolta. Particolarmente vibrate le proteste di Ceccanti e di Morando, due «liberal» che simpatizzano per Renzi. Segnala Ceccanti che, oltretutto, le circoscrizioni saranno parecchio grosse, dunque le spese della campagna elettorali parecchio ingenti, un’autostrada spalancata alla corruzione e anche una forma di autolesionismo, dal momento che la magistratura non resterà con le mani in mano, grande attivismo della Guardia di finanza durante le campagne elettorali... Sul fronte referendario Parisi ha fatto notare come i nominati dall’alto saranno percentualmente il 42 per cento del totale, ancora troppi. Per cui dietrofront, l’intesa col Pdl è stata rapidamente rinnegata dai bersaniani. Ritorsione del Pdl: allora niente premio. Si voterà in Commissione, e non è affatto detto che vinca il migliore. da - http://lastampa.it/2012/10/10/italia/politica/pd-e-pdl-spaccati-sulle-preferenze-ancora-uno-stop-per-la-legge-elettorale-vAel8yxu0yRK5s3CagFF2H/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Cavaliere, è l’ora del “game over” Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2012, 07:25:56 pm politica
09/10/2012 - 09/10/2012 Cavaliere, è l’ora del “game over” La candidatura sarebbe un flop Nel gesto di Berlusconi c’è un calcolo molto realistico I sondaggi non lasciano dubbi: tanto vale puntare su altri candidati Ugo Magri Roma Il Cavaliere conferma pubblicamente quanto aveva già anticipato giorni fa ai vertici del suo partito. Presenta questa sua disponibilità a ritirarsi come un gesto estremo di generosità: pur di favorire l’intesa tra i moderati lui è disposto a farsi da parte. Al limite (sebbene non l’abbia detto, l’ipotesi sussiste) rinunciando addirittura a candidarsi. Tanto lo scranno in Parlamento ormai gli serve a poco, avendo superato i 75 anni in galera non andrebbe comunque pure in caso di condanna su Ruby & C. A pensarci bene, di generosità politica ce n’è meno di quanto possa apparire. Semmai, l’offerta è figlia di un calcolo molto realistico. Prima di formalizzare l’eventuale rinuncia, Berlusconi ha atteso quattro mesi per vedere come evolvevano i sondaggi. A settembre il Pdl cresceva; di poco, comunque stava recuperando qualche punticino. Poi è scoppiato lo scandalo laziale con conseguente crollo delle percentuali, e l’uomo di Arcore si è reso conto che il match non avrebbe più storia. Se si candidasse, in base alle stime più attendibili rischierebbe un tonfo catastrofico. Un conto è venire sconfitti alle elezioni (Berlusconi le ha già perse due volte in passato), altra cosa è farsi letteralmente spazzare via. Presidiare il Parlamento con un centinaio di deputati sarebbe poco utile perfino alla tutela degli interessi aziendali, un nonsense. Insomma, «game over». Tanto vale, è la logica conclusione dell’ex premier, «monetizzare» il passo indietro. Della serie: io non sono in grado di sbarrare la strada a Bersani, vediamo se qualcun altro è disposto a provarci… Casini (primo destinatario della profferta) ha già risposto che non vuole farsi prendere in giro, conosce Berlusconi e sa che Silvio cercherà di esercitare la propria influenza pure in futuro. Il sottinteso è che diverso sarebbe se la ritirata del Cavaliere fosse totale, però Pier Furby non la ritiene probabile e forse nemmeno possibile. Tra l’altro, perfino nel caso in cui davvero Berlusconi uscisse davvero di scena, a presidiare quell’area politica resterebbe il Pdl, con cui fare i conti. Per rendere credibile il passo indietro, l’offerta dovrebbe accompagnarsi a uno smantellamento totale del partito, insomma a una specie di resa senza condizioni, a una cessione completa dei diritti sull’area moderata… Siamo all’inizio di una trattativa molto complessa, aspettiamoci grandi sorprese. da - http://lastampa.it/2012/10/09/italia/politica/cavaliere-e-l-ora-del-game-over-la-candidatura-sarebbe-un-flop-oXtqZipbtLllypVDV6DKVI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Diminuisce lo spread, torna la politica Inserito da: Admin - Ottobre 17, 2012, 10:12:17 pm politica
17/10/2012 - 16/10/2012 Diminuisce lo spread, torna la politica Oggi il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi si attesta a quota 300, 200 punti in meno di 100 giorni fa Curata la febbre dei mercati, destra e sinistra riaprono dialettiche interne Ugo Magri Roma Sotto la minaccia dello spread, quasi un anno fa è nato il governo Monti. Per timore dello spread, non più tardi di fine luglio, sul Colle più alto della Repubblica venivano presi in esame scenari di emergenza, comprensivi di eventuali elezioni anticipate casomai in agosto i mercati ci avessero messi alle corde. E sempre con l’occhio rivolto allo spread, che rappresenta il termometro della crisi finanziaria, si è immaginato che l’Italia (al pari della Spagna) possa inginocchiarsi davanti all’Europa per implorare soccorso. Da settimane, tuttavia, questo spauracchio incute meno timore. Oggi il differenziale tra i nostri Btp decennali e i germanici Bund si attesta intorno a quota 330, vale a dire duecento punti in meno rispetto a cento giorni fa. E molte autorevoli previsioni scommettono che di questo passo entro l’anno finirà per assestarsi su livelli ante-crisi, o comunque meno insostenibili per le nostre povere finanze. Risultato delle politiche rigorose adottate dal governo Monti, senza ombra di dubbio; ma anche, e forse di più, quale effetto delle mosse di Draghi, il quale ha offerto all’euro lo scudo poderoso della Bce (Dio solo sa perché non ci avevano pensato prima). A questo punto viene da chiedersi quali potranno essere i contraccolpi, benefici o negativi, sulla politica italiana. E il pensiero subito corre alle larghe intese: se lo spread cala, per una legge della fisica quelle si restringono. A mano a mano che svapora il clima di emergenza finanziaria internazionale, viene parimenti meno la ragione prima (e forse unica) da cui prese origine il governo dei «tecnici». Con la febbre dei mercati che viene curata, la «strana maggioranza» di Monti finisce per apparire come ancora più strana. Salvo nuove imprevedibili impennate dei tassi, il ritorno alla normale dialettica della democrazia appare ineluttabile. Non a caso, fervono a sinistra i preparativi delle primarie, a destra si tormentano sul da farsi, sotto i riflettori tornano le candidature e i partiti, e addirittura sulla legge di stabilità si annuncia quello che qualche pessimista già definisce «assalto alla diligenza». Passata è la tempesta, si ricomincia. da - http://lastampa.it/2012/10/17/italia/politica/diminuisce-lo-spread-torna-la-politica-BwWBXpfrseXzO7B1HABA0N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il centrodestra in attesa del Big Bang Inserito da: Admin - Ottobre 19, 2012, 05:06:25 pm politica
18/10/2012 - 18/10/2012 Il centrodestra in attesa del Big Bang Per spiegare il silenzio del Pdl torna utile la teoria dei buchi neri di Stephen Hawking Ugo Magri Roma Grande fermento di primarie e «rottamazioni» a sinistra. Sull’altro fronte, al contrario, nulla si muove. Visto che nel centrodestra le cose vanno maluccio, da quella parte avrebbero parecchi motivi per impegnarsi, e invece nulla sembra accadere. Come mai? Per spiegare lo strano fenomeno, è d’aiuto ricorrere all’astrofisica, in particolare agli studi del grande scienziato britannico Stephen Hawking, il teorico dei «buchi neri». Non sorprenda l’accostamento: al pari delle altre scienze, anche la politica risponde a vere e proprie «leggi». E dietro l’apparente folklore, neppure la politica italiana si sottrae a queste regole intrinseche. Il dato di origine, dunque, è che la stella berlusconiana si va spegnendo nei consensi della gente (il tasso di popolarità del Cavaliere non è mai stato così scarso). Logico che di pari passo venga meno la sua capacità di attrazione politica. Intorno a Silvio-Sirio dieci anni fa ruotavano tre pianeti: Bossi, Fini e Casini. Oggi nella sua orbita non ne è rimasto nessuno. E i tentativi in corso di riagganciarne uno, o due, o addirittura tutti e tre sembrano a dir poco problematici. Quando una stella muore, perfino gli asteroidi potendo girano alla larga. Inoltre Berlusconi emette segnali contrastanti. In certi momenti sembra volersi ritirare negli abissi dell’universo, in altri vorrebbe trasformarsi in una cometa o lista-civica con un codazzo di imprenditori (continua a circolare, nonostante le deboli smentite, il nome di Briatore). Nell’attesa, il Pdl ha cessato di esprimere posizioni politiche. Tace su tutto, è afono, contribuendo così al senso di declino. E qui tornano utili le teorie di Hawking. Perché di questo passo, tra poco, al posto della stella morente avremo un immenso buco nero, l’intero spazio politico del centrodestra (che tre anni fa era maggioritario, e tuttora lo è nel Parlamento) privato improvvisamente della sua rappresentanza. Gli elettori moderati o conservatori non è che si sono estinti, semplicemente rifiutano di votare un partito dal quale si sentono profondamente delusi. E come tutti i vuoti dell’universo, anche i buchi neri della politica hanno una loro forza attrattiva, veri e propri inghiottitoi cosmici. Se ci sei accanto, ne vieni trascinato dentro. Per cui certamente qualcuno sarà portato, volente o nolente, a riempire quello spazio, con risultati impossibili da prevedere. Proviamo ad immaginare, per esempio, quale effetto di vertigine potrebbe provocare a Casini la vista di questo immenso spazio libero a sua disposizione sulla destra. Siamo sicuri che dopo il voto l’astuto Pier si getterebbe nelle braccia di Bersani, accontentandosi in cambio di qualche poltroncina? Viene da dubitare. E chissà quanti altri, senza dirlo, ci staranno facendo un pensiero… Una certezza viene dalla fisica: se la stella Berlusconi nelle prossime settimane si spegnerà, assisteremo a un nuovo Big Bang della politica nazionale. da - http://lastampa.it/2012/10/18/italia/politica/il-centrodestra-in-attesa-del-big-bang-laaCbxFgi8GgsToVsTsv9L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Questo è davvero un addio Ogni supposizione è legittima Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2012, 05:06:56 pm politica
26/10/2012 - l’analisi Questo è davvero un addio Che Berlusconi abbia saputo qualcosa in anticipo? Che per questo abbia pensato a una fuga in avanti? Ogni supposizione è legittima Ugo Magri Roma Adesso è un po’ tutto più chiaro. L’addio precipitoso alla candidatura, la convocazione delle primarie, il videmessaggio per dare solennità a passo indietro... Visto col senno di poi, cioè alla luce della condanna odierna, l’abdicazione di Re Silvio assume le caratteristiche di un 8 settembre, di una fuga precipitosa, di un si salvi chi può. I giudici erano da giorni chiusi in camera di consiglio, guarda che combinazione la svolta politica del centrodestra è maturata proprio in quel mentre. Che Berlusconi sia venuto a sapere in anticipo? Che a quel punto si sia affrettato a regolare la successione, sapendo di non poter attendere un minuto di più? Ogni supposizione è legittima. Come è lecito immaginare cosa sarebbe accaduto se lui non avesse provveduto a lanciare per tempo le primarie: il Pdl, alla luce della condanna, gli sarebbe sfuggito definitivamente di mano. Così, almeno, può sostenere di avere indicato la strada lui. L’unica vera certezza è che Berlusconi non tornerà sui suoi passi. Anche nel caso in cui gli venisse voglia di ripensarci, come qualche irriducibile tra i suoi insiste a credere, a questo punto sarebbe impossibile. Dopo Mediaset arriverà la sentenza di Mediatrade e poi quella su Ruby: un carico giudiziario eccessivo perfino per un combattente come lui. Sommato a tutto il resto (crollo nei sondaggi, discredito all’estero, crisi delle sue aziende), davvero giustifica un vero addio. da - http://lastampa.it/2012/10/26/italia/politica/questo-e-davvero-un-addio-2AzHrLUmsbeRpfvF0IyByH/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Se le elezioni americane non cambiano più l’Italia Inserito da: Admin - Novembre 06, 2012, 10:31:34 pm politica
06/11/2012 Se le elezioni americane non cambiano più l’Italia Per la prima volta dal dopoguerra, nessuno si domanda cosa succederà nella politica italiana con l’arrivo di un presidente Usa piuttosto che di un altro. E al fondo tifano Obama Ugo Magri Roma Per la prima volta dal dopoguerra nessuno, ma proprio nessuno, si domanda che cosa cambierà nella politica italiana per effetto di una vittoria dell’uno o dell’altro candidato alle presidenziali Usa. Più che sul voto in America, i nostri capipartito sono tutti concentrati sulle prossime primarie. E se si domanda loro delle elezioni, subito pensano a quelle dell’aprile 2013. Finora i leader della “strana maggioranza” non hanno trovato il tempo e la voglia di pronunciarsi su quanto potrebbe accadere al di là dell’Atlantico. Sicuramente commenteranno domani i risultati. Ma la sensazione nettissima è che, in fondo, per loro non cambierebbe molto. La sinistra al governo con Prodi non ha faticato a intendersi con il repubblicano Bush. Allo stesso modo il Cavaliere si è perfettamente adattato a Obama, sebbene sulla carta avrebbe potuto temerne l’ostracismo specie dopo la gaffe sull’«abbronzatura». Quale che sia l’inquilino della Casa Bianca, ai nostri governanti da lungo tempo non viene negata una “photo opportunity”, accompagnata magari da una cordiale pacca sulla spalla. Pure se vincesse Romney, Bersani sa già che verrebbe accolto con tutte le cerimonie del caso. E perfino con Vendola al governo, gli Usa continuerebbero ad avere in Italia lo status di grande fratello, mai verrebbe negato loro un favore. Sulla carta (ma solo sulla carta) il centrodestra dovrebbe fare il tifo per Romney, e la sinistra per il presidente in carica. A conti fatti, però, nessuno ha gradito le battute di Romney sull’Italia, portata come cattivo esempio da non imitare. Per cui sotto sotto tutti tifano per Obama, berlusconiani compresi. Non è sempre stato così. Ai tempi della Dc, del Pci e della guerra fredda, l’America faceva apertamente le sue scelte nella politica italiana e non mancava di aiutare in tutti i modi i partiti amici, anche a suon di dollari per bilanciare i rubli dall’altra parte. L’ambasciata Usa in Via Veneto era, tra tutti i palazzi romani, uno dei più influenti. Una vasta letteratura accompagnò fino alla caduta del Muro le gesta, vere o presunte, della Cia in Italia. In quella fase storica davvero da noi poteva incidere l’elezioni di un presidente anziché di un altro. Ma rispetto ad allora il Belpaese è ormai una pigra periferia. Chiuse una dopo l’altra le basi americane in Italia, perché il fronte si è spostato altrove. Con il cambio così sfavorevole per il biglietto verde, nemmeno per i turisti Usa siamo più una meta obbligata, al massimo ci dedicano tre giorni di un “trip” europeo. E quanto ai nostri politici, ormai a Washington li dividono tra persone serie, su cui fare affidamento, e quaquaraqua (magari pure poco onesti). Basti dire che uno dei personaggi pubblici più stimati e ascoltati oltre Atlantico è un comunista d’antan di nome Giorgio Napolitano. The Times They Are a-Changin’... da - http://lastampa.it/2012/11/06/italia/politica/se-le-elezioni-americane-non-cambiano-piu-l-italia-byfJoEEBwyeispTU2rBJwJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI “Sceneggiata napoletana il Pd non cada dalle nuvole” Inserito da: Admin - Novembre 07, 2012, 11:02:11 pm intervista
07/11/2012 “Sceneggiata napoletana il Pd non cada dalle nuvole” Il leader centrista: qualcuno vorrebbe tenere il Porcellum Ugo Magri Roma Presidente Casini, il Pd vi accusa di fare sgambetti in commissione sulla riforma elettorale. Che risponde? «È tutta una sceneggiata napoletana, mica possiamo raccogliere queste polemiche. In Senato si è solo preso atto di un principio fissato dalla Corte costituzionale, secondo cui bisogna superare una certa soglia per poter accedere al premio di maggioranza. Sono anni che la Consulta lo va ripetendo, e il Presidente della Repubblica ci ha richiamati più volte. Nessuno può cadere dalle nuvole. Ma allora, di quali sgambetti stiamo parlando?». Sta di fatto che Bersani è pronto alle barricate contro la soglia del premio al 42,5 per cento. La trova eccessivamente elevata, praticamente irraggiungibile. «Se non piace la soluzione che abbiamo indicato, ne proponga un’altra. Si può cambiare l’altezza dell’asticella, si può ragionare sul premio al partito, sono tante le soluzioni possibili. Ma non è che, siccome non ci piace l’idea del tetto, dobbiamo abbattere l’edificio. Io non vorrei che fosse vero quanto si va dicendo in giro...». Cosa si dice? «Che a furia di rinvii, qualcuno si era ormai rassegnato a tenere il Porcellum, con il suo premio di maggioranza spropositato; per cui adesso non gradisce il passo avanti compiuto in Senato». Scusi, ma tra i padri del Porcellum non c’era anche lei? «Certo che diedi un contributo. Però spesso si omette di ricordare che allora le condizioni erano molto diverse. Nel 2006 i due poli sfiorarono ciascuno il 50 per cento. E nel 2008 Berlusconi vinse con quasi il 47. Il premio di maggioranza, nel suo caso, fu dell’8 per cento, mica del 20. Oggi non si può pensare di prendere il 25 e di essere proiettati, grazie al premio, al 55 per cento dei seggi». Bersani la vede al contrario, «qualcuno teme che governiamo noi» è la sua accusa... «Potrà governare, figuriamoci. Ma in tutta amicizia gli dico quello che già sa: non si può consentire a lui e a Vendola di raddoppiare per legge i propri voti. Il problema del suffragio universale si pone anche per loro». La via d’uscita, a questo punto, quale può essere? «Proseguire il lavoro avviato in Commissione, arrivare nell’aula del Senato con un testo, discutere e votare con serenità gli emendamenti. Lo ripeto: noi siamo aperti a ogni miglioramento della riforma. Anzi di più, siamo sdraiati, distesi se è questo che occorre per arrivare a un accordo serio. Tutto è perfettibile, figuriamoci se non lo può essere un testo di riforma elettorale che deve per forza nascere da un compromesso. Io stesso, che di ispirazione sono proporzionalista, in nome dell’intesa possibile ho accettato l’idea di un premio alla coalizione o al partito vincente. Dunque discutiamone, senza minacce di rovesciare il tavolo». da - http://lastampa.it/2012/11/07/italia/politica/sceneggiata-napoletana-il-pd-non-cada-dalle-nuvole-9LReHcJlVRZteTPUQRDiQK/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il Quirinale prudente E Monti potrebbe prendere tempo Inserito da: Admin - Novembre 15, 2012, 04:42:50 pm Politica
15/11/2012 - retroscena Il Quirinale prudente E Monti potrebbe prendere tempo Per il governo decisione difficile, si affaccia l’idea di un voto in aula la prossima settimana Ugo Magri Roma La minaccia sembra autentica, stavolta davvero il Pdl potrebbe far saltare il banco. Berlusconi lo raccontano «determinatissimo», il che non è una garanzia assoluta perché Silvio cambia spesso idea. Però ci sono anche gli altri. E tutti, da Alfano in giù, si sono passati parola: le Regionali debbono svolgersi nello stesso giorno delle Politiche, altrimenti meglio la crisi. Sono attendibili in quanto disperati. Se il 10 febbraio si votasse solo in Lombardia e nel Lazio, come propone il ministro Cancellieri, sarebbe come mettere in vetrina i panni sporchi del centrodestra. Il Pdl (ma pure i centristi, che di quelle giunte facevano parte) verrebbero puniti dagli elettori proprio a ridosso delle Politiche, che si terrebbero il 6-7 aprile. La successiva campagna elettorale si trasformerebbe in una faccenda privata tra Bersani e Grillo. A Berlusconi resterebbero le briciole, forse nemmeno quelle. Ecco perché, morto per morto, il Cavaliere è pronto a licenziare i tecnici pur di confondere tutto nel gran calderone dell’«election day», da tenere in febbraio... La situazione di Monti è delicata assai. Può tirare dritto per la sua strada, come lo incita Bersani, e confermare già domani in Consiglio dei ministri la data fatidica del 10 febbraio. In questo caso, però, il Prof dovrà attendersi che da destra gli facciano lo sgambetto con la scusa che sarebbe indegno sperperare 100 milioni di euro per votare due volte in due mesi. È ben vero quanto ribatte il Viminale: rinviare le Regionali ad aprile sarebbe arduo dal punto di vista giuridico. Ed è altrettanto vero ciò che ricordano sul Colle più alto, anticipare le Politiche a febbraio significherebbe andare al voto con il «Porcellum», perché mancherebbe il tempo di riformare questa legge da tutti deprecata. Ma tali discorsi, benché fondati sulla ragione, sarebbero sommersi dall’onda demagogica su cui ieri «surfava» allegramente Alfano denunciando la «tassa Bersani» e gli indegni costi della politica. Non solo: la polemica divamperebbe al punto da lambire lo stesso Presidente. Già ieri nel Pdl, ma pure nel giro centrista, Napolitano veniva additato come il vero artefice delle date, una specie di calendario vivente. Si sosteneva che la scelta di tenere le Regionali in febbraio fosse stata concordata da Re Giorgio direttamente con Bersani e comunicata a Monti durante il pranzo di martedì. Si dava in quegli ambienti per certo che il premier non fosse tanto d’accordo, anzi proprio per niente, salvo cedere all’ora del dolce, onde evitare un pericoloso cortocircuito. Si vociferava di un certo freddo tra premier e Presidente, motivato dal timore che Monti possa o voglia interferire nella campagna elettorale, addirittura accettando che Casini spenda il suo nome quale candidato di un grande «rassemblement» dei moderati... Tutte chiacchiere smentite con forza tanto al Quirinale quanto a Palazzo Chigi, dove anzi si domandano chi le metta in giro, e con quali disegni per la mente. Ai vertici della Repubblica regna, garantiscono, una totale armonia. Sul tappeto c’è pure l’altra ipotesi: che Monti si pieghi al «ricatto» (così lo definiscono da sinistra). E che per evitare l’assalto della speculazione internazionale, conseguente a una crisi di governo immediata, acconsenta di spostare le Regionali ad aprile. Tale ritirata suonerebbe come grave segno di debolezza, oltre che come sconfessione del ministro Cancellieri. Inoltre, avrebbe l’effetto di mandare su tutte le furie il Pd. Il crollo della fiducia nel Prof sarebbe verticale, a sinistra Monti avrebbe chiuso per l’oggi e per il domeni. Dunque c’è da credere a quanti nel suo entourage lo descrivono pensieroso e prudente. Ieri sera è tornato tardi dalla visita di Stato in Algeria, non ha avuto tempo e modo di tuffarsi nei colloqui politici. Lo farà nei prossimi giorni, senza precipitazioni. Da nessuna parte sta scritto che la decisione sulle date debba essere presa per forza domani, nel Consiglio dei ministri già convocato. Probabile che se ne parli a cuore aperto, ma che l’ultima parola slitti alla prossima settimana. Magari dopo un voto di indirizzo parlamentare, sotto forma di ordine del giorno sostenuto da Pdl e centristi, cui il governo sarebbe costretto a ottemperare. Con sollievo inconfessato di Monti e, a essere molto maliziosi, dello stesso Quirinale. DA - http://lastampa.it/2012/11/15/italia/politica/il-quirinale-prudente-e-monti-potrebbe-prendere-tempo-RZ7iiAS0z9j3XMKwrjkZEN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il “consiglio” di Bersani a Monti: non si candidi Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 01:26:37 am Verso il 2013
22/11/2012 - le strategie dei partiti Il “consiglio” di Bersani a Monti: non si candidi Bersani sarebbe disposto ad accettare la proposta Calderoli di un premio in base alla percentuale di voti ottenuta Legge elettorale verso l’accordo: premio legato alla percentuale raggiunta Ugo Magri Roma Due mosse chiare e risolute da parte di Bersani. La prima: il segretario Pd lancia un altolà politico a Monti. Gli consiglia, tra virgolette, di non farsi sedurre da Montezemolo e da Casini, se il premier «vuole dare una grossa mano per il futuro è meglio che non si metta nella mischia». Certo, riconosce Bersani, «volendo avrebbe tutti i diritti, ma se si tiene fuori è meglio...». Un messaggio politico forte e chiaro dopo settimane in cui aveva finto di ignorare le grandi manovre al centro. L’altra mossa, importante, di ieri: il segretario Pd indossa i panni del leader generoso e responsabile, che sacrifica un po’ del suo bottino elettorale futuro pur di liberare l’Italia da questa legge indecente, non a caso ribattezzata «Porcellum»... La novità consiste nello scendere dal pero e nell’aderire all’unica mediazione in campo, quella cui sta lavorando Calderoli, qualcuno dice con la benedizione del Colle. Il Pd non la sposa in tutto e per tutto, restano ancora certi spigoli da limare. Però sottoscrive il congegno, che ricorda tanto un ascensore: alla lista o alla coalizione vittoriosa viene assegnato un premio diverso, a seconda del piano raggiunto. Primo piano (cioè fino al 30 per cento dei voti): il «bonus» alla Camera consiste in una quarantina di seggi che si sommano a quelli già ottenuti. Piano secondo (tra il 30 e il 35 per cento): il premietto sale e può arrivare, grazie all’ascensore, a quota 60 seggi. Piano terzo (se il vincitore si piazza tra il 35 e il 40 per cento): il premietto diventa un premio vero e proprio, sfiorando i 70 seggi. Piano quarto (oltre il 40 per cento): è fatta, chi ci arriva riceve la maggioranza assoluta dei seggi. Rispetto a Calderoli, la proposta Pd ritocca all’insù le percentuali. Il sub-emendamento presentato da Finocchiaro e Zanda prevede che già al terzo piano, con il 35 per cento dei voti, Bersani possa conquistare il controllo del Parlamento. Ma la distanza da Calderoli adesso è minima, 7-8 seggi non di più. A questo punto il cerino acceso passa dalle mani di Bersani a quelle di Alfano. Il quale rischia di ustionarsi seriamente, in quanto Napolitano è pronto a denunciare davanti al Paese colui o coloro che per calcoli miopi ci riportassero alle urne con il «Porcellum». Nel Pdl non sanno bene che fare, se convergere anche loro su Calderoli o se restare isolati anche rispetto alla Lega. Si sono presi tempo fino a lunedì per una risposta. Dunque, nuovo rinvio. da - http://lastampa.it/2012/11/22/italia/politica/il-consiglio-di-bersani-a-monti-non-si-candidi-QUudZL9BGdPFgBTtYXqo5L/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Grillo, un trampolino per il Monti bis Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 05:11:07 pm politica
30/10/2012 Grillo, un trampolino per il Monti bis Il Financial Times ironizza sull’Italia guidata da un comico, ma chi l’ha detto che la sua vittoria sarebbe un passo indietro per la governabilità? Ugo Magri Roma Stamane in prima pagina il Financial Times lancia l’allarme ai mercati: questa vittoria di un «comico» in Sicilia potrebbe recare grave instabilità politica all’Italia. E ciò, chiarisce la Bibbia della City londinese, in quanto l’esito delle regionali conferma quanto i sondaggi vanno rilevando su scala nazionale a proposito di Beppe Grillo. Non è impossibile che di questo passo il suo movimento possa affermarsi alle Politiche come secondo partito, e a quel punto il Belpaese tornerebbe nel caos... Vedremo quali effetti potranno avere sull’andamento dello spread queste e altre consimili previsioni. Tuttavia traggono da una premessa esatta conclusioni molto discutibili. Chi l’ha detto che se Grillo dovesse crescere l’Italia uscirebbe dal seminato? Sarebbe possibile esattamente il rovescio. Per esempio, potrebbe succedere che l’assenza di maggioranze chiare finisca per rendere inevitabile una conferma di Monti. E che, per non cedere il passo a Grillo, pure nella prossima legislatura si venga a riprodurre qualche forma di grande coalizione. In questo caso saremmo al paradosso, uno dei tanti che suscitano stupore fuori dei nostri confini: l’effetto del movimento anti-sacrifici sarebbe proprio quello di conservare al suo posto colui che li ha saputi imporre come nessun altro... L’ipotesi non è poi così peregrina. Pare che per calcoli non sempre commendevoli i due maggiori partiti siano intenzionati, al di là delle chiacchiere, a tenersi l’attuale sistema di voto, il famigerato Porcellum. Che ha la caratteristica di garantire maggioranze super-solide alla Camera e molto ballerine al Senato. L’ irruzione sulla scena di un nuovo partito del 15-20 per cento, forse addirittura di più, avrebbe l’effetto di rendere la distribuzione dei seggi a Palazzo Madama assolutamente imprevedibile. E se la sera delle elezioni ci ritrovassimo senza alcun chiaro vincitore al Senato, sarebbe giocoforza richiamare in campo come estrema risorsa della Repubblica (e dei partiti) il Prof. Il quale, guardando avanti, si è già messo a disposizione. da - http://lastampa.it/2012/10/30/italia/politica/grillo-un-trampolino-per-il-monti-bis-ApS5aaYzeCoBtFd1qJLVIN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Alfano: “I Centri sono velleitari solo noi alternativi alla sinistra” Inserito da: Admin - Novembre 24, 2012, 05:41:16 pm intervista
24/11/2012 - verso il 2013 Alfano: “I Centri sono velleitari solo noi alternativi alla sinistra” Su Casini e Montezemolo: dividere i moderati è un modo per far vincere il Pd Ugo Magri Roma Davvero lei, che tanto si è battuto per le primarie, potrebbe dire «con certi signori non vi partecipo»? «Ne faccio una questione di credibilità e di serietà. Io sono indisponibile a gareggiare con soggetti estranei alla nostra storia, ma che portano in compenso la loro biografia comprensiva di qualche vicenda giudiziaria in corso...». Lei, però, da ministro e da segretario ha sempre difeso Berlusconi. Con lui come la mettete? «Siamo stati, e sempre saremo, al fianco del Presidente in quanto perseguitato della giustizia. Però non crediamo che tutti gli indagati siano automaticamente vittime dell’ingiustizia. Siamo veri garantisti, ma da qui a volere l’impunità ne corre». Tra i suoi sfidanti alle primarie, chi le sembra privo dei requisiti, diciamo così, morali? «Non è questione di nomi. Per questo c’è un Comitato dei garanti, dai quali mi aspetto una valutazione particolarmente attenta delle singole posizioni. E me l’attendo, in quanto dobbiamo fare una gara seria e credibile nell’interesse del Pdl, del centrodestra e dell’Italia stessa. La prima volta delle primarie, perdoni il bisticcio, deve essere un evento assolutamente inattaccabile». Giorgia Meloni già le domanda, in tono di sfida, se userete lo stesso metro anche per i candidati alle prossime elezioni politiche... «Saremo severissimi, ma senza per questo farci scrivere le liste dai pubblici ministeri. Abbiamo conosciuto e vediamo tutti i giorni troppi errori per poterci fidare delle ipotesi accusatorie a scatola chiusa». Ma in tivù con gli altri concorrenti, lei è disposto ad andarci? «Nessun problema. Anzi, sa che le dico? Sarà solo un piacere discutere pubblicamente con chi milita sotto la stessa bandiera e persegue gli stessi obiettivi». Che partecipazione si attende alle vostre primarie? Mezzo milione? Un milione? Di più? «Non riuscirà a farmi dare i numeri... Dico che è una grande sfida organizzativa, e aggiungo: non sarebbe onesto paragonarci a una sinistra che fa le primarie non del Pd ma dell’intera coalizione, e in una congiuntura politica provvisoriamente favorevole». Provvisoriamente? «Io sono sicuro che il nostro sforzo renderà effimero il loro vantaggio». Nell’attesa, certi ultras del Cavaliere la dipingono come alleato degli ex-An contro il mondo di Forza Italia... «Ecco una bufala colossale. Primo, perché nella ex-Forza Italia godo di un sostegno larghissimo, e non trascuriamo che di lì provengo. Secondo, perché dalle primarie verrà fuori una nuova generazione della destra italiana, giovani donne e giovani uomini che so di certo stimati dallo stesso presidente Berlusconi. Basta, per favore, con questa abitudine di buttare tutto quanto nel cestino della polemica! Io sono convinto che molte cose cambieranno, anche per effetto delle primarie. Grazie a questo profondo rinnovamento, il Popolo delle libertà tornerà appetibile per quei milioni di italiani che non vogliono consegnarsi alle sinistre». Lei, Alfano, ha rifiutato l’investitura già ricevuta, preferendo farsi eleggere nelle primarie. Che bisogno c’era? «E’ vero, ho scelto la strada più scomoda, la più stretta, quella più ricca di incognite: mi sono messo in discussione. Ma creda a me, con il Presidente c’è un vincolo non solo politico ma personale solidissimo. È un uomo che ha scritto pagine molto belle della storia politica italiana e che eserciterà ancora un ruolo fondamentale nell’area dei moderati, di cui è stato dal ’94 a oggi il federatore». In futuro, potrebbe esserlo Monti? «Il presidente del Consiglio ha svolto una funzione importante in una fase di sospensione democratica. Ma a marzo la democrazia tornerà e, se vorrà continuare a governare il paese, Monti dovrà dirlo chiaramente affinché gli elettori possano dare un giudizio. E comunque, che lui scenda in campo o meno, un concetto dev’essere chiaro: senza l’apporto del Pdl, le forze moderate non avranno alcuna chance di successo». Par di capire che lei non crede troppo al successo dell’iniziativa di Montezemolo, Riccardi, Casini... «Io credo in quello che stiamo facendo con le nostre primarie e con il profondo rinnovamento del Pdl. Perciò sostengo che un’alleanza alternativa alla sinistra si può costruire solo intorno a noi e insieme con noi. Altrimenti risulterebbe velleitaria. O peggio, sarebbe di aiuto a Bersani e a Vendola. Perché ci sono due modi per farli vincere. Il primo è votarli». E il secondo? «Dividere i moderati quando invece avrebbero tanti motivi per restare uniti. Basti vedere chi ha firmato l’accordo sulla produttività, e chi invece l’ha contestato. Da una parte le forze sociali favorevoli a un patto utile per la crescita, che consente di guadagnare di più a chi più lavora. Dall’altra la Cgil, ancora capace di dettare l’agenda della sinistra e, se Bersani dovesse vincere, dell’Italia». da - http://lastampa.it/2012/11/24/italia/politica/alfano-i-centri-sono-velleitari-solo-noi-alternativi-alla-sinistra-WhhMj0uhY0nTuOTSY8J1BJ/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Le primarie Pdl? Un regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere Inserito da: Admin - Novembre 26, 2012, 07:43:41 pm politica
23/11/2012 Le primarie Pdl? Un regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere Chi perderà il prossimo 10 marzo sarà il leader del centrodestra nel Parlamento futuro: il vero nodo della dialettica interna riguarda l’inaugurazione di una nuova stagione politica dopo Berlusconi Ugo Magri Roma Ci sono tanti modi di guardare alle primarie del Pdl. Quello più in voga rispecchia il modello sperimentato a sinistra, dove cinque candidati si battono (due con maggiori chance) per conquistare la guida della coalizione e, probabilmente, del paese. Con questo stesso metro di giudizio, trapiantato a destra, ecco finire sotto i riflettori personaggi quali Proto, come Samorì e come altri signori sconosciuti al grande pubblico, perché di loro mai le cronache si erano interessate. La corsa tra Alfano e i suoi avversari ricorda un po’ una gara tra Biancaneve e i sette nani, tale e tanta risulta la sproporzione di forze tra il segretario col suo apparato di partito da una parte, e i vari più o meno probabili competitor dall’altra. Lo spettacolo delle primarie Pdl, insomma, potrà risultare gradito agli amanti del folklore politico, ma per tutti gli altri rischia di essere assai poco avvincente. C’è però un altro modo, assai più vivace, di «leggere» quanto sta capitando a destra. Dove nessuno, nemmeno Angelino, può ragionevolmente sperare che una vittoria alle primarie lo proietti a Palazzo Chigi. Bene che gli vada, il Pdl potrà ambire alla seconda piazza (ma rischia la terza dietro a Grillo, e forse addirittura la quarta se il progetto centrista decolla). Al massimo, insomma, la disfida interna potrà servire per consegnare lo scettro al nuovo capo o, se più piace, al nuovo padrone del partito. Colui che, pure perdendo il 10 marzo prossimo, sarà il leader dell’opposizione di centrodestra nel Parlamento futuro. E qui scatta qualche brivido autentico, poiché nel Pdl come altrove si comanda uno alla volta, dunque il significato vero di queste primarie ha molto a che vedere con la cacciata del vecchio sovrano Berlusconi per inaugurare una nuova stagione. Le primarie, in realtà, vanno intese come un duro, incerto, per certi versi appassionante regolamento di conti tra Alfano e il Cavaliere. In quest’ottica, si comprende come mai Berlusconi remi disperatamente contro, e perché invece il suo ex-figlioccio ci tenga tanto a celebrare il rito. Silvio non voleva che le primarie si tenessero, ha negato perfino la risorsa di cui maggiormente dispone, i quattrini. Alfano le ha imposte invece alla data prestabilita, costi quello che costi. Il Cavaliere sospinge nell’arena i candidati più improbabili, in modo (direbbero a Roma) da «buttarla in caciara» e avvolgere l’aspirante successore al trono in una nube di ridicolo. Il segretario viceversa ha l’interesse opposto, quello di mostrare che la stagione dei nani e delle ballerine appartiene al passato, adesso si volta pagina... Ecco spiegata l’uscita odierna di Alfano, «se si candidano gli indagati, allora non mi candido io». Il vero destinatario dell’ultimatum non è Proto, come a prima vista potrebbe sembrare, ma chi l’ha spinto a scendere in pista. Chissà perché, torna in mente il titolo di un vecchio film di Nanni Loy: «Mi manda Picone»... da - http://lastampa.it/2012/11/23/italia/politica/le-primarie-pdl-un-regolamento-di-conti-tra-alfano-e-il-cavaliere-MeYTJYVaQ2JkMGbV3Wgl8I/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Il diktat del Cavaliere sull’election day Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2012, 05:09:53 pm politica
04/12/2012 Il diktat del Cavaliere sull’election day La linea di Berlusconi: andare alle urne il 10 febbraio insieme al Lazio per evitare sprechi. Ma il Quirinale non accetta ultimatum sullo scioglimento delle Camere Ugo Magri Roma Berlusconi è pronto a far cadere il governo se non gli verrà concesso l’«election day» il 10 febbraio prossimo. Pretende proprio quel giorno (e non per esempio un mese dopo) in quanto già è stabilito che vada alle urne il Lazio. Non «agganciarvi» pure la Lombardia, il Molise e il Parlamento nazionale sembrerebbe a Silvio e al Pdl un intollerabile spreco di risorse, oltre che un insulto alla pazienza dei cittadini. Di qui la minaccia, pare molto seria, di licenziare Monti in modo da costringere Napolitano a sciogliere subito il Parlamento e approdare comunque al 10 di febbraio… Il fatto è che il Capo dello Stato non ragiona allo stesso modo. A lui e a nessun altro spetta il potere di sciogliere le Camere, così dice la Costituzione. Sul Colle si esclude che Re Giorgio voglia concludere il suo mandato ubbidendo tremebondo al Cavaliere. Perfino nel caso in cui Berlusconi volesse precipitare la crisi, Napolitano potrebbe manovrarne la tempistica in modo da tenere le elezioni politiche alla scadenza concordata due settimane orsono con i presidenti delle Camere: il 10 e 11 marzo 2013. In quella stessa data potrebbero essere chiamati al voto i cittadini della Lombardia e del Molise, come non definirlo «election day»? L’unico anticipo riguarderebbe dunque il Lazio, a votare due volte sarebbero soltanto i suoi abitanti. Ma non è colpa nostra, osservano al Quirinale, se nel Lazio la data è stata fissata al 10 febbraio. La decisione è figlia del Consiglio di Stato, nonché della Polverini, la quale ha emanato un apposito decreto per convocare i comizi. Vi era obbligata dalla sentenza, è vero; però volendo avrebbe potuto rifiutarsi di eseguirla, facendosi commissariare dal governo per non avere ottemperato. In altre parole la Polverini, convocando le elezioni nel Lazio il 10 febbraio, si è resa partecipe della decisione. Ma l’ex governatrice, c’è chi fa in alto loco, appartiene allo stesso partito di Berlusconi. Non potevano mettersi d’accordo, i due, in maniera da evitare un simile pasticcio? Sempre dalle parti del Quirinale si sostiene che, a questo punto, non c’è alcuna fondata ragione per cambiare l’agenda. Anzi, sarebbe una follia subire il diktat berlusconiano. Perché, primo, non si fa tecnicamente più in tempo a votare per febbraio. In teoria la legge consentirebbe di sciogliere le Camere fino a Natale, ma poi l’amministrazione (che è una lumaca) non riuscirebbe ad allestire seggi, a stampare le schede e tutto il resto in maniera dignitosa nei 45 giorni disponibili. Avrebbe bisogno di almeno 15 giorni in più, diciamo che lo scioglimento dovrebbe intervenire non oltre metà dicembre. Ma (seconda considerazione) in quel caso le Camere verrebbero mandate a casa ancor prima di avere approvato la legge di stabilità, cioè la manovra economica che ci salva agli occhi dei mercati. Il provvedimento deve essere ancora licenziato alla Camera, poi toccherà al Senato… Dovremmo andare al voto con l’esercizio provvisorio, e sarebbe una pessima figura. Facile prevedere un’impennata dello spread, proprio quando finalmente sembra calato a livelli accettabili. Col risultato che, per risparmiare allo Stato qualche milione di euro, ne verrebbero bruciati miliardi sull’altare della speculazione internazionale… Napolitano non pensa proprio a farci correre un tale rischio. Berlusconi, si domandano perplessi nei dintorni del Colle, è pronto ad assumersi una responsabilità così seria? da - http://lastampa.it/2012/12/04/italia/politica/il-diktat-del-cavaliere-sull-election-day-HIeFo4tJJvD8xDk0aCya1N/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Berlusconi e la tentazione di fare lo sgambetto a Monti Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2012, 10:06:27 pm politica
05/12/2012 Berlusconi e la tentazione di fare lo sgambetto a Monti Oggi a pranzo riunione con i colonnelli del Pdl per decidere se staccare la spina al governo Ugo Magri Roma All’ora di pranzo Berlusconi riunisce i capi del suo partito con l’intenzione di staccare la spina al governo con un mese di anticipo. La scusa ufficiale è legata all’«election day» (il Pdl vuole che si voti il 10 febbraio anziché il 10-11 marzo), ma la giustificazione vera ha molto a che vedere con le strategie della campagna elettorale. Il Cavaliere è convinto di essere precipitato negli indici di gradimento come conseguenza dell’appoggio a Monti più che dei suoi tanti errori. La sua gente si è sentita tradita (questa è la teoria in voga dalle parti di Arcore) dalle tasse e dai tagli del Professore, per cui sarebbe impossibile risalire la china senza prendere le distanze dal governo con un gesto forte e chiaro. La crisi, appunto. Però il gruppo dirigente del Pdl non la pensa allo stesso modo. Alfano, Cicchitto, Gasparri, Fitto, per non dire di Lupi, ieri sera gli hanno mandato a dire tramite l’«ambasciatore» Gianni Letta che sgambettare Monti adesso, con la legge di stabilità ancora da approvare, con la riforma elettorale lasciata a metà, sarebbe un gigantesco regalo a Bersani, oltre che un rischio gravissimo. Se i mercati finanziari dovessero reagire male alla crisi, lo spread schizzerebbe di nuovo alle stelle, e il centrodestra se ne dovrebbe assumere intera la colpa. Una follia politica. Dunque generali e colonnelli del Pdl (eccezion fatta per Verdini e per le «amazzoni» berlusconiane, dalla Santanché alla Biancofiore) implorano il Capo di lasciar perdere. Nel primo pomeriggio sapremo come è andata a finire. Ma qualora Berlusconi voglia tirare diritto per la sua strada, causando il patatrac, non è da escludere che una parte del Pdl si stacchi dal gruppo e decida di sostenere il governo a oltranza, in modo da completare la legislatura (lo scioglimento delle Camere è previsto per metà febbraio). Già ieri l’ex ministro Frattini è salito al Colle per informare il presidente della Repubblica che lui e altri si opporrebbero a forzature tali da metterci in cattiva luce con l’Europa. La riforma elettorale dipende da tutto ciò. Nel senso che la linea dura berlusconiana implica la chiusura di fatto del Parlamento. Per cui non ci sarebbe più tempo per rimpiazzare il «Porcellum». Stamane il Senato esamina il decreto sviluppo, riservandosi di portare in Aula la legge elettorale nel pomeriggio, qualora così decida la conferenza dei capigruppo. I quali capigruppo aspettano, inutile dire, l’esito del pranzo «chez» Berlusconi. Altamente probabile la fumata nera. Ma pure se così non fosse, i due maggiori partiti hanno ormai perso la fiducia di poter trovare un accordo. Che sarebbe a un passo, le distanze sul premio di maggioranza sembrano infinitesimali (53 seggi vorrebbe il Pd, 50 ne offre il Pdl con l’ultima proposta firmata Quagliariello). Però tanto Bersani quanto Berlusconi ritengono, in cuor loro, di ricavare maggiori vantaggi dalla legge attuale. Sotto sotto si domandano chi glielo fa fare di cambiarla per una soluzione meno conveniente… Comunque vada il pranzo a Palazzo Grazioli, una cosa è certa: sulla XVI legislatura della Repubblica incominciano a scorrere i titoli di coda. da - http://lastampa.it/2012/12/05/italia/politica/berlusconi-e-la-tentazione-di-fare-lo-sgambetto-a-monti-ClVz8EY4uNCmAEuCoXgUFO/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Election day, governo tra due fuochi Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:46:12 pm verso il 2013
06/12/2012 - le questioni aperte Election day, governo tra due fuochi Oggi il Consiglio dei ministri: il Pdl preme per il voto unificato, il Pd vuol separare Regionali e Politiche Ugo Magri Roma La mina dell’«election day» non è ancora disinnescata, anzi si annuncia uno scontro molto aspro tra Pd da una parte, Pdl dall’altra, con il governo in mezzo a farne potenzialmente le spese. Nel caso in cui Monti non faccia come dice lui, Berlusconi è sempre più deciso a sgambettare il Prof. A sua volta Bersani ha messo in chiaro al premier che si attende il rovescio di quanto pretende il Cavaliere: veda un po’ lui a chi dare retta... Oggetto del contendere sono Lombardia e Molise: devono andare alle urne insieme con le Politiche, presumibilmente il 10-11 marzo, oppure vanno accorpate con le elezioni del Lazio, che proprio ieri mattina il Tar ha fissato per sentenza al 3 febbraio? Unire le date o separarle? Sembra una questione burocratica, di sicuro poco appassionante, ma politicamente è dinamite. Perché si sa, gli elettori tendono a buttarsi con chi vince e a fuggire da chi perde: in America lo chiamano «band wagon effect». Per cui il doppio appuntamento favorisce chi ha più chance di far bene nel primo, che sarebbero appunto le Regionali. In Lazio e in Lombardia si torna a votare dopo gli scandali che hanno travolto il Pdl. Logico che da quella parte si attendano di essere puniti dagli elettori. E di essere penalizzati ancora di più alle Politiche del mese successivo. Il risultato è che Berlusconi e i suoi fanno il diavolo a quattro per «annegare» perlomeno Lombardia e Molise nelle Politiche di marzo, confondendo un po’ le acque. Si aspettano che il Consiglio dei ministri stamane decida in tal senso. E in effetti, oggi una decisione dovrebbe maturare. Ma quale? Mettiamoci nei panni della ministra Cancellieri, ieri per tutto il giorno impegnata a Bruxelles. Il Tar le ha complicato l’esistenza, anticipando di una settimana la data delle elezioni nel Lazio: accogliendo il ricorso presentato dal Movimento difesa del cittadino, i magistrati amministrativi hanno annullato il decreto Polverini (elezioni il 10 febbraio) ingiungendo alla ministra di convocarle il 3. Sul tavolo della Cancellieri c’è un allarmato rapporto degli uffici competenti, dove si avverte che ubbidire al Tar comporterebbe un aggravio di spese, in quanto gli uffici del Viminale dovrebbero restare aperti durante le festività natalizie; ma soprattutto, la presentazione delle liste e dei candidati si trasformerebbe in una complicatissima corsa ostacoli, con il rischio di ricorsi, polemiche eccetera. Il caos sarebbe garantito. Ragion per cui la Cancellieri porrà oggi un problema ai colleghi di governo: non c’è modo di tornare al 10 febbraio? La maniera, appunto, ancora non è stata individuata. Di sicuro non può trattarsi di un decreto legge, perché Napolitano negherebbe la controfirma a un atto di urgenza in materia elettorale, che oltretutto sconfessa una decisione della magistratura. Quale che sia la data, 3 o 10 febbraio, la Cancellieri sembra comunque orientata a proporre la soluzione prediletta da Bersani: Lombardia e Molise alle urne insieme col Lazio; le Politiche un mese dopo quando, con tutta probabilità, finirà per aggiungersi il voto per il sindaco della Capitale (è questa l’aria che si respira in Campidoglio). Ma una scelta del genere, come si è detto, avrebbe l’effetto di scatenare l’ira del Pdl contro Monti. Berlusconi e i suoi gerarchi sembrano divisi su tutto, tranne che su questo specifico punto. Addirittura il Cavaliere avrebbe voluto che le Politiche fossero anticipate a febbraio, pur di non separarle dalle Regionali. Ma Napolitano è intransigente; troppe cose restano da fare prima di congedare le Camere, per cui vuole tenere aperta la legislatura quantomeno fino a metà gennaio, che altrimenti dovrebbe sciogliere entro il 20 dicembre... Materia intricata. L’ultima parola spetta a Monti: o scontenta gli uni, o delude gli altri. da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/election-day-governo-tra-due-fuochi-mjFevUJPJuwFWsdlNi4SNI/pagina.html Titolo: UGO MAGRI La corsa del Cav contro tutto e tutti Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:52:23 pm politica
06/12/2012 La corsa del Cav contro tutto e tutti Ostaggio di una pattuglia di fedelissimi, Berlusconi non ascolta i sondaggi né i suoi consiglieri di un tempo. E c’è chi lo aspetta al varco... Ugo Magri Roma I veri amici l’hanno supplicato in tutte le lingue di non farlo, per il bene suo e anche quello del centrodestra. E’ stato un coro unanime, da parte di dirigenti Pdl sinceri e leali, ma anche di vecchi consiglieri come Gianni Letta. Probabile che qualche ultimo tentativo di farlo desistere venga messo nuovamente in campo, nelle ulteriori riunioni che si susseguiranno per tutta la giornata a Palazzo Grazioli. Ma ormai il destino sembra segnato, nulla ferma più il galoppo del Cavaliere verso la sua quinta discesa in campo. Questa volta si può ben affermare che Berlusconi è in corsa contro tutto e contro tutti. Falso quanto ha sostenuto nella dichiarazione notturna, tutti mi vogliono per cui non posso esimermi... A reclamare il suo ritorno, in realtà, è una pattuglia di «ultras» dei quali Silvio sembra leader e prigioniero: una corte variopinta di «nominati» che a lui tutto debbono, e che resterebbero senza arte né parte nel caso in cui venissero abbandonati dal loro mentore. Per mesi l’hanno blandito, incitato, aizzato, sussurrandogli all’orecchio che «quello» (vale a dire il successore designato Alfano) non aveva il «quid» capace di trasformarlo in vero leader, dunque solo il Fondatore, poteva rifondare il partito e nessun altro. La goccia quotidiana ha ottenuto l’effetto desiderato. Per la prima volta nella sua ormai lunga carriera politica, invece, Berlusconi non ha dato retta ai sondaggi. Se li avesse seguiti, tutto avrebbe fatto tranne che lasciarsi tentare da suppliche e lusinghe. Stando a certe chiacchiere di via dell’Umiltà, Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) è stata assolutamente cristallina con il suo cliente: la vasta platea di «fan» è ridotta al lumicino, lo «zoccolo duro» del berlusconismo ormai frantumato, resta solo una claque di tifosi i quali però non rappresentano il popolo di centrodestra, composto fondamentalmente da moderati e non da estremisti. Non è esattamente la congiuntura migliore per lanciarsi nella nuova carica disperata. Berlusconi ritorna non in quanto ha una vera speranza di convincere l’Italia, ma perché la voglia è più forte di lui. Ci riprova dal momento che non sembra capace di indossare la veste del «padre nobile» il quale fa crescere i figli e gode nel vederli adulti. Lui, come Crono, li divora dietro l’impulso coattivo di riproporsi al centro della scena, condannato a essere protagonista. Aveva sbranato Fini dopo uno scontro selvaggio, l’ha rifatto con il mite Angelino. Nulla di strano che un patriarca voglia battersi fino in fondo, e che i giovani leoni debbano lottare per strappargli lo scettro: l’umanità trabocca di vecchi «die hard», duri a morire. Stavolta, però, tutto congiura affinché sia davvero l’ultima. C’è chi, nel partito, sotto sotto è soddisfatto che Berlusconi torni al volante, nella certezza che nel voto andrà a sbattere e a quel punto «finalmente ce lo leveremo di torno». Aspettiamoci oggi un via libera, ipocrita, dei colonnelli assiepati in riva al fiume, per godersi l’epilogo. da - http://lastampa.it/2012/12/06/italia/politica/la-corsa-del-cav-contro-tutto-e-tutti-YrwTv6w53sH2LNZ5pLQl6M/pagina.html Titolo: UGO MAGRI E Berlusconi: spariglia “Vogliono farci finire in galera” Inserito da: Admin - Dicembre 07, 2012, 03:50:15 pm Cronache
07/12/2012 E Berlusconi: spariglia “Vogliono farci finire in galera” Letta prova a frenarlo: l’Europa te la farà pagare Ugo Magri Roma Il tentativo di golpe si è rovesciato nel suo contrario, e tutti quei colonnelli che volevano cacciare l’anziano dittatore adesso si esercitano nel bacio della pantofola. Addirittura con perfidia Berlusconi, per ufficializzare che lui si ricandida, ha spedito in conferenza stampa proprio lo sconfitto Alfano. Il quale non solo ha eseguito con stile e disinvoltura, ma ha messo immediatamente a disposizione del leader i comitati che già aveva allestito in vista delle primarie. Così va la politica, straordinaria commedia umana. Più fatica il Cavaliere ha speso per riportare nei ranghi certi ex di An. Con il recalcitrante La Russa ha avuto effetto una mediazione della Santanché, figura sempre più centrale del Pdl prossimo venturo. Altri, come Augello, ancora difendono il loro diritto di contestare il Capo, ma i dissenzienti si contano sulla punta delle dita perché Berlusconi se li è tirati dietro praticamente tutti con quell’alzata d’ingegno mercoledì sera, un piccolo pezzo di storia patria da raccontare. La scena si svolge intorno al desco di Palazzo Grazioli. Col padrone di casa sono seduti Alfano, Verdini, Brunetta e l’immancabile avvocato Ghedini. Le Chevalier è scontroso, visibilmente infastidito. Per tutto il pomeriggio, tra la lunga riunione con i vertici del partito e la visita dell’ambasciatore russo Meshkov, ha dovuto subire il pressing del suo amico Dell’Utri, «guarda che il governo ci sta combinando un bello scherzo, qui bisogna reagire». Si era sparsa la voce (qualcuno dice: alimentata da Previti) che il decreto sull’incompatibilità avrebbe introdotto misure tali da precludere a Silvio e Marcello il seggio in Parlamento, mettendoli insomma alla mercè dei pubblici ministeri. «Vogliono farci finire in galera», era stata l’amara conclusione dei due. In verità, nel decreto approvato ieri di queste misure non c’è traccia; ma la giustizia è da sempre un’ossessione del Cavaliere. Al punto che nel suo giro qualcuno si spinge a sostenere una tesi arditissima: far cadere il governo e causare le elezioni gli serve anche per posticipare la sentenza di condanna su Ruby. Fino al giorno del voto è prassi che venga congelata... Dunque sono tutti seduti a tavola, quando il telefonino di Letta emette un «bip». È Gasparri che tramite sms segnala una notizia di agenzia, secondo cui Berlusconi non si candiderebbe più in quanto tradito dal suo partito. Letta ne dà conto a voce alta, e lì deflagra l’ira del Cavaliere. Un colpo di testa. Un’alzata d’ingegno. «Ma quale passo indietro, io mi candido eccome! E col governo basta, dobbiamo chiudere in fretta». Entusiasmo di Verdini, che lo spalleggia. Angelino se ne dichiara lieto, che altro può fare per salvare il partito da una scissione? Letta valuta in un lampo i contraccolpi politici, tenta la carta disperata. «Non lo fare», quasi urla, «se tu ritorni le cancellerie europee te la faranno pagare carissima. Pensa alle conseguenze per te e per le tue aziende...». Niente da fare. Berlusconi è un treno in corsa. Con il soccorso di Bonaiuti, alle 22,25 viene diramata la dichiarazione che annuncia il ritorno in campo e dichiara guerra al governo. L’attacco frontale al Prof è tutta farina del sacco di Brunetta (altro personaggio destinato a un ruolo crescente, tanto lui che la Santanché saranno ospiti fissi delle trasmissioni di combattimento), il quale ha pronta in tasca una delle «slides» anti-governative con cui inonda internet. Così, in quei pochi attimi dopo mesi di incubazione, si è decisa la sorte del Pdl, del Cavaliere e del governo. Ieri quattro ore di vertice a Grazioli solo per celebrare l’unità ritrovata, niente più «spacchettamenti» o altre amenità. Folle in processione a via del Plebiscito, come ai vecchi tempi. A tutti Berlusconi chiede idee e proposte in vista del discorso ufficiale che terrà forse alla Camera, euforico del giocattolo ritrovato. da - http://lastampa.it/2012/12/07/italia/cronache/vogliono-farci-finire-in-galera-esRMDOrk9Y83KsxQpSCHtN/pagina.html Titolo: UGO MAGRI Proposta della Cancellieri, sì di Napolitano. Sprint finale in ... Inserito da: Admin - Dicembre 21, 2012, 05:08:21 pm Politica 20/12/2012 - la giornata Accordo al Quirinale Si vota il 24 febbraio Proposta della Cancellieri, sì di Napolitano. Sprint finale in Parlamento Ugo Magri L’ultimo braccio di ferro si conclude all’insegna del realismo: voteremo nella data che sulla carta promette meno pasticci, meno brogli (speriamo di no) e meno ricorsi successivi, vale a dire il 24 febbraio. La Cancellieri, ministro dell’Interno, è intervenuta per segnalare che si potrebbe votare anche una settimana prima, come gradirebbe il Pd, però meglio non correre rischi. Il Presidente della Repubblica non ha potuto che prenderne atto. Cosicché a questo punto, davvero, il cammino verso le urne sembra sgombro da ostacoli. Cade la minaccia di ostruzionismo del Pdl, in parte accontentato dal mini-slittamento (sebbene Berlusconi avrebbe preferito le elezioni chi dice il 3 marzo, chi addirittura il 10). Domani sera, salvo sorprese, il Parlamento concluderà i lavori. La XVI legislatura verrà inghiottita dai flutti. L’ultima scialuppa Vi troveranno scampo la legge di stabilità e il decreto cosiddetto «taglia-firme». Sono destinate a salvarsi pure le misure sull’Ilva, l’articolo 81 della Costituzione e il decreto delegato per le «liste pul |