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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229259 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Dicembre 22, 2012, 06:35:00 pm »

Cronache
22/12/2012

Il premier si dimette

Sipario sulla legislatura

Il premier Mario Monti ieri alla Conferenza degli Ambasciatori

Via liberà alla legge di stabilità.

Ma resta il nodo sul “taglia-firme”

Ugo Magri
Roma


In un clima di febbrile smobilitazione, le Camere hanno raffazzonato le ultime pratiche in sospeso. Cosicché già ieri sera Monti si è potuto dimettere e oggi calerà il sipario sulla XVI legislatura. Rapidissimo giro di consultazioni con i presidenti delle due Camere nonché con le delegazioni dei partiti, perché si tratterà solo di una presa d’atto, non c’è nulla da decidere. Già prima che tramonti il sole Napolitano avrà firmato il decreto del «tutti a casa»: il Parlamento verrà sciolto con due mesi di anticipo, dei quasi mille ormai ex-onorevoli non si annunciano numerosi quelli che torneranno a farne parte.

 

Gli ultimi affanni 

Il vero o presunto scandalo delle «liste pulite», che la Commissione Bilancio del Senato tardava a licenziare in quanto oberata di lavoro, si è sgonfiato come da copione ieri mattina. Il disco verde da Palazzo Madama è arrivato verso le 10, il Consiglio dei ministri ha messo il timbro sulla delega nel pomeriggio. Fine della commedia. Generosa ma inutile la battaglia di Pannella, perché le misure alternative al carcere sono state rispedite in commissione (cioè cestinate) dal presidente Schifani, dispiaciutissimo, per colpa dell’ostruzionismo che ha visto contendersi la prima fila Lega, dipietristi ed ex di An che ora si chiamano «Fratelli d’Italia». Brindano soddisfatti gli avvocati, perché contro ogni pronostico loro ce l’hanno fatta a spingere la riforma forense oltre il traguardo. L’ha varcato senza scossoni pure la legge di stabilità, anche grazie alla fiducia numero 50. Ma subito dopo una parte dei deputati ha maramaldeggiato, mandando sotto il governo su un paio di ordini del giorno, due piccoli sfregi postumi. Perché nel frattempo Monti aveva già riunito il Consiglio dei ministri ed era in viaggio verso il Colle per rassegnare le dimissioni, come usa dire, nelle mani del Presidente. Il Quirinale le ha rese note alle ore 19,32. Vi si specifica che «il Presidente della Repubblica ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti».

 

Il «giallo» delle firme 

A metà pomeriggio sembrava fatta: chiunque vorrà presentare liste, dovrà corredarle con un certo numero di sottoscrizioni, senza figli e figliastri come in uno primo momento era sembrato. Visti i tempi ristrettissimi, e considerata la difficoltà di allestire banchetti sotto la neve, Pd e Pdl avevano convenuto che stavolta sarebbe bastato raccoglierne 30 mila in tutt’Italia, anziché le canoniche 120 mila: un maxi-sconto del 75 per cento. Dopo grandi tira-e-molla la Camera ci aveva messo il timbro; alle sei e mezzo il testo era arrivato a Palazzo Madama. Tutto okay? Niente affatto. La Lega ha chiesto di verificare il numero legale sapendo che non c’era più perché quasi tutti i senatori se n’erano già fuggiti via. Panico nei Palazzi, perché approvare il decreto firme è indispensabile ai fini del voto. Il Carroccio fa sapere che è stata un’azione dimostrativa, in qualche modo il Senato rimedierà. Come, è da capire.

 

I prossimi appuntamenti 

Lo sguardo si concentra sulle elezioni politiche del 24 febbraio, cui si aggiungeranno nella stessa data quelle per la Lombardia e il Molise (in Lazio ieri il prefetto di Roma ha comunicato che si voterà il 10-11 febbraio, ma non finisce qui perché la Polverini insiste per un «election day» il 24). Da questo preciso istante, i ritmi della politica verranno dettati dalla campagna elettorale e dalle sue scadenze fissate per legge: entro l’11 gennaio avranno luogo il deposito dei simboli, le dichiarazioni di alleanza e l’accettazione dei candidati premier (Monti dovrà chiarire cosa intende fare, i centristi decideranno quante liste mettere in piedi, Maroni e Berlusconi faranno sapere se intendono rimettersi insieme oppure no); entro il 20 del mese prossimo dovranno essere pronte le liste dei candidati (il Pd vi provvederà con grande anticipo il 29 dicembre attraverso le primarie di collegio, al centro e a destra invece sono in altissimo mare, vedremo grandi sgomitamenti); 45 giorni prima del voto scatterà la «par condicio», cosicché sarà più difficile per il Cavaliere scorrazzare su radio e tivù, come farà fino a quel momento (ieri è stato su «Tg2» e a «RadioMontecarlo») senza che né l’Agcom né la Commissione di vigilanza abbiano il reale potere di vietarlo.

da - http://lastampa.it/2012/12/22/italia/cronache/il-premier-si-dimette-sipario-sulla-legislatura-wxqTi7Xra6sd628z9W8KRN/pagina.html
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« Risposta #241 inserito:: Dicembre 24, 2012, 06:43:09 pm »

Politica
24/12/2012


Il Centro ora accelera la corsa

Luca Montezemolo

Montezemolo: “Io farò quello che serve. Mi auguro che ci sia un grande richiamo per chi oggi non voterebbe”

Ugo Magri
ROMA

Il messaggio è giunto forte e chiaro: tanto a coloro che saranno gli antagonisti di Monti, quanto ai suoi potenziali supporter. Quasi tutti, anche parecchio in alto, erano stati ingannati dalle voci della vigilia che volevano il Prof in fase di ritirata, sul punto di rinunciare. Cosicché, dopo la conferenza, in molti hanno dovuto rifare in fretta i propri conti. Furenti le reazioni a destra, circospette a sinistra, entusiastiche al centro (ma scavando sotto l’ufficialità si scopre qualche ipocrisia). L’unico a ritenere che «Monti non c’è più», e che «fra tre giorni nessuno si ricorderà di lui», è il solito Grillo.

 

Da sinistra zero peana. Anzi, alcune critiche molto mirate. Con gli occhi del Pd, tutto il ragionamento di Monti è carente sul piano delle politiche sociali. Le annotazioni del premier sul «conservatorismo» di Vendola, certi attacchi al sindacato, non potevano non lasciare il segno. Ma c’è dell’altro. Dalle parti di Bersani è sembrato che Monti volesse proporsi come grande artefice di una nuova alleanza tra centro e sinistra, una sorta di continuazione del governo attuale senza però la scomoda presenza del Pdl. Se questa è l’operazione, ai vertici del Pd non suscita particolare emozione, anzi il contrario. Bersani misura dunque le parole e fa intendere che il passato è passato: «Adesso bisogna preservare quel che si è fatto di buono e fare quello che non si è fatto fin qui».

 

Da destra fuoco e fiamme. La barzelletta un po’ sguaiata del Cavaliere a «Domenica In», l’«incubo notturno» di un nuovo governo con Monti presidente del Consiglio e Ingroia ministro della Giustizia, preannuncia una guerra totale. Idem le accuse di slealtà rivolte al premier dal suo predecessore, che tendono a mettere in croce soprattutto Napolitano. Già, perché il Capo dello Stato ha mantenuto Monti a Palazzo Chigi per il disbrigo degli affari correnti, ma Gasparri e Cicchitto già protestano per la conferenza stampa del premier dimissionario, la considerano una violazione grave della «terzietà» e chiamano in causa il Quirinale che aveva garantito per lui.

 

Fermento al centro. Dove i vari protagonisti hanno capito che Monti si impegnerà di più o di meno in campagna elettorale a seconda di come loro si comporteranno. Scenderà in campo solo se sapranno realizzare un vero rinnovamento, altrimenti resterà in disparte. E le intenzioni si misureranno al momento di fare le liste: una sola al Senato, idem forse per la Camera. Aspettiamoci grandi sgomitamento tra politici di professione e «tecnici» o personaggi della cosiddetta società civile. 

 

Alla fine Monti tirerà le somme. Montezemolo è personalmente a disposizione, «farò quello che serve» ha commentato su Sky, aggiungendo: «Mi auguro che ci sia un grande richiamo per chi oggi non voterebbe e che non si ritrova nelle attuali demagogie, anche quelle di sinistra».
È disposto a cooperare con Fini e con Casini? «Per alcuni versi Udc e Fli rappresentano la vecchia politica, anche se al loro interno ci sono persone capaci e competenti…». Casini alza le spalle, «io la plastica facciale non me la posso fare, personalismi e piccole cose non sono compatibili se vogliamo costruire qualcosa di grande». Nel suo partito faranno il massimo per andare incontro a Monti, ma non al punto da inzeppare le liste di professori. «Portatori d’acqua non siamo stati mai», ricordano.

 

Controesodo nel Pdl. Di tutti quelli che sembravano tentati di passare con Monti (vedi convegno dieci giorni fa di Iniziativa Popolare), alla fine ben pochi sembrano disposti al grande passo: Pisanu, Frattini, Cazzola. Altri traslocherebbero, ma temono una porta in faccia. In bilico Mauro, inquietudine da parte di Formigoni, entrambi esponenti di un pianeta ciellino sempre più insofferente del Cavaliere, ma molto concreto e pragmatico. Con l’occhio a loro rivolto, l’ex-ministro Gelmini giudica necessario «fare chiarezza» nel Pdl su chi condivide il progetto di Berlusconi e chi no. 

da - http://lastampa.it/2012/12/24/italia/politica/il-centro-ora-accelera-la-corsa-pkJInbVizDK2rnmzxE7qAN/pagina.html
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« Risposta #242 inserito:: Dicembre 25, 2012, 07:06:57 pm »

Politica
24/12/2012

Alfano: “Monti vuole smembrare Pdl e Pd Ma non ci riuscirà”

Il segretario: “Il premier è stato ingeneroso col Cavaliere

Nei suoi confronti troppo livore anche sotto il profilo umano”

Ugo Magri
Roma


A sentire Monti, governare con il Pdl a bordo è stato un vero inferno… 

 

«Sono stati tredici mesi di collaborazione e anche di rapporti personali cordiali. Per cui le parole del presidente del Consiglio sono state connotate a mio avviso da un eccessivo livore, soprattutto nei confronti di Berlusconi, che mai mi sarei aspettato. Anche sotto il profilo umano».

 

Beh, però nemmeno Berlusconi ci è andato tenero. E proprio lei, segretario, alla Camera ha sfiduciato il governo… 

 

«Intanto stiamo parlando di un leggero anticipo delle elezioni, due domeniche prima della scadenza prevista, via... Il presidente Monti forse trascura la cinquantina di voti di fiducia da noi espressi, l’ultimo venerdì scorso sulla legge di stabilità. E non considera la fatica che abbiamo dovuto fare una quantità di volte per arginare il dissenso dei nostri gruppi parlamentari».

 

Sia sincero: viste le conseguenze (le dimissioni e il resto) pronuncerebbe di nuovo quelle parole? 

 

«Certo che le ripeterei. Tali e quali. Corredate dalla stessa delicatezza di non presentare contestualmente la mozione di sfiducia, che sarebbe rimasta come una macchia sul curriculum politico di Monti».

 

Come immaginava che avrebbe reagito, scusi, alle vostre critiche e del Cavaliere in particolare? 

 

«Senta, Berlusconi ha governato sufficientemente a lungo per maturare il diritto a segnalare il disagio rispetto a certe scelte. Per un anno abbiamo sostenuto Monti, gli abbiamo dato la possibilità di governare nonostante fossimo martellati da sondaggi che mostravano l’85 per cento del nostro elettorato a dir poco critico. Reggere l’urto di questa negatività è stato particolarmente difficile. Così come è stato faticosissimo trovare punti di convergenza operativa con il Pd».

 

Già, i famosi vertici «A-B-C»… 

 

«All’inizio, lei ricorderà, erano incontri bilaterali; poi vertici a tre riservati; quindi divennero pubblici. Ma ben presto si dovette ritornare alla formula originaria degli incontri a due proprio per la difficoltà estrema di condividere il cammino con chi, come la sinistra, voleva marciare nella direzione opposta alla nostra. E’ stato un esercizio di misura e di enorme responsabilità. Anche per questo motivo lo sfogo di Monti mi è parso ingeneroso nei confronti di Berlusconi e, per quel che conta, del sottoscritto».

 

Nemmeno voi, però, durante i tredici mesi gliele avete mandate a dire… 

 

«A volte è volata qualche parola un po’ sopra le righe, da parte nostra e anche da parte sua. Ricordo la reazione molto forte che il presidente del Consiglio manifestò rispetto alla nostra proposta, che rivendico in pieno, di compensare i debiti fiscali con i crediti nei confronti della pubblica amministrazione…».

 

E le sue accuse al premier di pendere dalla parte della sinistra, come pensa che non lo potessero ferire? 

 

«Ma è esattamente il rovescio! Quando abbiamo detto che la sinistra lo aveva indotto a due errori strategici – cioè la mano pesante sulla casa e un deficit di riformismo per quanto riguarda il mercato del lavoro -, era anche un modo per salvare lui, per affermare che quegli sbagli sarebbero stati evitati senza il pesante condizionamento del Pd».

 

Monti non ha colto la sfumatura. 

 

«Non l’ha colta, anzi l’ha considerata un’aggravante».

 

Sta sostenendo che il Professore è troppo permaloso? 

 

«Sto dicendo che non è corretto trasferire sul piano personale le critiche a certe decisioni politiche. A maggior ragione quando subito dopo si precisa: non sei tu il problema… Concetto che Berlusconi gli ha ribadito anche a Bruxelles, davanti ai vertici del Partito popolare europeo.
E non è stata l’unica occasione. Sono stato io presente e testimone quando, nel corso di una cena a Palazzo Chigi non troppo tempo fa, Berlusconi propose a Monti di essere lui il federatore dell’intera area moderata alternativa alla sinistra».

 

E il premier gradì l’offerta? 

 

«Certo non mi parve turbato. Però ricordo che parlò di una scomposizione del bipolarismo, della necessità di smembrare il Pdl da una parte e il Pd dall’altra. Laddove ciascuno di noi – credo dal suo punto di vista lo stesso Bersani – cerca legittimamente di rafforzare la propria area.
Io contesto la tesi espressa da Monti, secondo cui non c’è più grande differenza tra destra e sinistra».

 

Lei dove la vede? 

 

«In una logica europea, eccome se c’è! Come si può assimilare la Merkel ai socialdemocratici tedeschi, Hollande a Sarkozy, Rajoy a Zapatero?
Di questa sinistra italiana noi non condividiamo nulla e vogliamo batterla».

 

E invece Monti? 

 

«Mi ha colpito la monodirezionalità delle sue accuse, tutte o quasi rivolte contro il Pdl. Ho l’impressione che sia pronto a dare un “aiutino” alla sinistra. Ma lavoreremo perché Bersani e Vendola non abbiano bisogno di aiutini, nel senso che al governo faremo di tutto per tornarci noi».

 da - http://lastampa.it/2012/12/24/italia/politica/il-professore-vuole-smembrare-pdl-e-pd-ma-non-ci-riuscira-pGuibrKmBV5KRzRXBLsguO/pagina.html
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« Risposta #243 inserito:: Dicembre 29, 2012, 11:04:44 pm »

interni
29/12/2012 - verso il 2013

Monti, passa la linea Casini

E Passera non si candiderà

Il premier: guiderò i centristi.

Lista unica al Senato, più simboli alla Camera. Dal Capo dello Stato nessuna scomunica ma neanche un sostegno diretto o indiretto

Ugo Magri
Roma

Con una scelta che irresistibilmente rimanda alle più schiette usanze democristiane, il progetto di nuovo partito ha visto la luce in un istituto religioso, il convento delle suore di Nostra Signora di Sion tra i platani di via Garibaldi, sul Gianicolo. Stavolta i protagonisti appartengono all’Italia di oggi. E nemmeno vanno tutti ascritti alla matrice cattolica (tra i «padri fondatori» c’è un liberal-radicale come Della Vedova).

 

Però l’«ambizione maggioritaria», per dirla con le parole di Monti, è in fondo la stessa che animava la Democrazia cristiana di 60 anni fa. E guarda combinazione, una delle decisioni assunte durante il lunghissimo vertice fondativo, forse la più rilevante, consiste proprio nel tenere in vita lo Scudo crociato dietro cui hanno trovato riparo i centristi di Casini negli anni del berlusconismo trionfante. Non vedremo una lista unica nel nome del Professore, perlomeno alla Camera dei deputati, ma una federazione dove l’Udc rappresenterà la politica con pari dignità rispetto agli esponenti della società civile: quest’ultima sostanzialmente rappresentata da Italia Futura, il movimento lanciato tre anni orsono da un molto preveggente Montezemolo. 

 

Ridotta alla sostanza, la riunione è andata così. Monti è arrivato dalle suorine con le idee già chiare su ciò che voleva. Tuttavia ha avuto il garbo di lasciare che la decisione scaturisse, come usa dire in casi consimili, democraticamente dal dibattito. «Io sono aperto a entrambe le possibilità», si è premurato di precisare, «tanto alla lista unica quanto alla coalizione di liste, ognuna ha vantaggi e svantaggi che vi prego di considerare serenamente...». Lungo giro di tavolo sollecitato dal Prof, due ore di discussione che sarebbe troppo facile liquidare come bassa cucina elettorale (quando si discute di liste e candidature, il livello del confronto solitamente scade parecchio in basso), perché testimoni degni di fede raccontano invece di interventi «bellissimi», di ragionamenti anche nobili, alcuni davvero con il cuore in mano. 

 

In particolare citano Dellai, che ha spinto il suo discorso alle radici più profonde del popolarismo, con accenti molto apprezzati dal premier. Però lo stesso Casini se l’è cavata (dicono di lui) in modo egregio, quando ha avuto il compito non facile di difendere le ragioni di un partito come il suo, dove abbondano i professionisti della politica, personaggi a volte chiacchierati ma ineguagliabili se si tratta di rastrellare voti.

 

L’astuto Pier Ferdinando è partito da ciò che l’Udc ha fatto per Monti e per il governo, ha ricordato di essersi speso come nessun altro nel Parlamento italiano, ha fatto notare come una sana divisione dei ruoli (lui che rappresenta la politica, il movimento di Montezemolo la società civile) sia certamente più produttiva che litigarsi i posti di un listone indifferenziato. Col risultato che i politici danneggerebbero l’immagine di novità, e i «nuovisti» metterebbero in un angolo chi di campagne elettorali se ne intende... Argomenti condivisi, sia pure da un punto di vista opposto, dai rappresentanti di Italia Futura. A quel punto i giochi erano fatti, e Monti non li ha subiti perché lì voleva arrivare con l’ausilio del ministro Riccardi, teorico di una sintesi equilibrata tra pianeti diversi. Non ha trovato sostegno la tesi dell’altro ministro, cioè Passera: il quale ha manifestato ancora ieri con chiarezza la sua preferenza per una lista unitaria dove certo si sarebbe trovato a suo agio.
Ha accettato la decisione con stile, ma a questo punto pare deciso che non si candiderà.

 

Oggi nuovo round al convento, per tutte le decisioni che restano, e sono tante. La sensazione è di un processo ormai lanciatissimo.
Talmente avviato, che nessuno potrebbe più frenarlo. Gli stessi avversari berlusconiani hanno praticamente smesso di sollecitare un intervento del Colle, la cui linea rimane quella adottata dal primo momento, e riassumibile in una formula: «Né viatici né veti», nei confronti di Monti. Che può essere girata nel suo rovescio: nessuna scomunica istituzionale però nemmeno l’ombra di un sostegno diretto o indiretto.
Il Professore ha voluto la bicicletta, ora tocca a lui pedalare...

da - http://lastampa.it/2012/12/29/italia/cronache/passa-la-linea-casini-e-passera-non-si-candidera-rLFIO7XvHlw0YLFTNW7dYK/pagina.html
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« Risposta #244 inserito:: Gennaio 05, 2013, 04:16:29 pm »

Cronache
05/01/2013

Casini e Fini fanno buon viso a cattivo gioco

Facendo campagna per Monti, spingeranno la lista della società civile

Ugo Magri
Roma

Per mettere finalmente ordine nella babele delle sue liste, il Prof ha tirato una riga sulla lavagna: di qua espressioni e movimenti della società civile, di là politici e partiti. La cesura tra «nuovo» e «vecchio» appare a questo punto talmente netta, la distinzione così radicale, da far pensare a un cordone sanitario teso da Monti per evitare contaminazioni reciproche. Quasi che la partitocrazia sia radioattiva e richieda una quarantena. 

 

La differente dignità balza agli occhi. I protagonisti della società civile troveranno posto sotto il simbolo «Per Monti presidente - lista civica», e sempre più saranno il cuore dell’alleanza: con loro il premier si impegnerà a fondo, su di loro riporrà le speranze di scardinare il bipolarismo Pd-Pdl. Gli altri, invece, saranno confinati sotto le insegne di Casini (Udc) o di Fini (Fli). Guai a effigiarli come la «bad company», precisa Monti, salvo aggiungere che «la lista civica non includerà parlamentari». 

I politici vittime dell’«apartheid» la vivono in chiave zen. Quello che conta, argomentano, è guardare avanti: «ora incomincia la campagna elettorale» per cui «si parte con entusiasmo». Però è giudizio unanime che la formula decisa per la Camera (al Senato la lista unica non ha avuto mai alternative) penalizzi i due partiti tradizionali dell’alleanza, esposti all’«effetto risucchio». Se vorranno spingere la coalizione oltre il 10 per cento, e garantirsi una rappresentanza parlamentare quale che sia l’esito delle urne, Udc e Fli dovranno gridare forte «viva Monti». 

 

Sennonché in questo modo faranno propaganda proprio alla lista civica concorrente, l’unica che nel simbolo recherà il nome del Professore. Un po’ come aggrapparsi alla corda che ti sta soffocando... «Non avevamo alternative», allargano le braccia Fini (e Casini). Colpa della legge elettorale, che vieta di spendere il nome di Monti su tutte e tre le liste collegate per la Camera. «Siamo andati al ministero dell’Interno, ma ci hanno dato conferma che proprio non si può». A quel punto, o lista unica (ma con ecatombe di «politici» a vantaggio di personaggi fuori del Parlamento), oppure ognuno per sé (e il richiamo a Monti solo sulla «sua» lista civica). È prevalsa la seconda ipotesi in quanto «male minore», «scelta necessitata», e al tempo stesso «atto di generosità» dei tanto bistrattati partiti nei confronti del premier.

 

Non risultano scontri dietro le quinte. Anzi, clima operoso nel comitato operativo di via Properzio, da dove tutto si dipana. Si compone di Romano e Calenda per Italia Futura, più Alfonso quale regista della comunicazione; di Libé e De Poli in rappresentanza dell’Udc, con Rao più che mai nella sua veste di «spin doctor»; di Della Vedova un po’ per conto di Fini e un altro po’ proiezione dello stesso Monti; infine, vi partecipano collaboratori strettissimi del premier e del ministro Riccardi, sempre meno impacciati dal doppio ruolo politico e istituzionale ma tuttora poco inclini al protagonismo. Le vere tensioni si scateneranno nel momento di stilare le liste. Il criterio deciso da Monti è di escludere quei parlamentari con più di tre legislature alle spalle, vale a dire eletti nel precedente millennio. Saranno ammesse due eccezioni per ogni partito. Oltre a se stesso, Fini potrà salvare Bocchino. E Casini lanciare una ciambella di salvataggio a Buttiglione (a Cesa no, perché non ne ha bisogno essendo giovane di Parlamento). Specie tra i fuggiaschi dal Cavaliere, lunga sarà la lista dei delusi...

da - http://lastampa.it/2013/01/05/italia/cronache/casini-e-fini-fanno-buon-viso-a-cattivo-gioco-J05k7aiXK1qzB3QRBt9vNP/pagina.html
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« Risposta #245 inserito:: Gennaio 07, 2013, 07:11:42 pm »

Politica
07/01/2013 - Le liste del partito del Cavaliere

Il Pdl a un passo da Terzi

Il 40 per cento alle donne

Il Pdl attacca frontalmente non solo il Pd, ma anche la formazione di centro guidata dal premier Mario Monti


Santanchè capolista in Piemonte. Ricandidato solo il 10% dei parlamentari

Ugo Magri
Roma

Lustrare l’immagine internazionale del Cavaliere. Rassicurare i potenti alleati d’Oltreoceano circa le sue vere intenzioni. Far comprendere alle cancellerie europee che Berlusconi non ha preso una deriva nazionalista e anti-comunitaria, come da certi suoi discorsi potrebbe apparire. 

 

Compensare in qualche misura l’addio di Frattini, ormai sul punto di correre con la lista di Monti in Senato, e dimostrare che pure personaggi dotati di grande equilibrio possono schierarsi col centrodestra... Sono alcune delle mille ragioni che spingono in queste ore Alfano (per non dire di Letta), a perorare con forza la candidatura in Parlamento di un ministro «tecnico» nella persona di Terzi, titolare degli Affari Esteri. Lui pare ci starebbe, anche per effetto delle insistenze. E del resto, erano ben noti i suoi rapporti con Fini quando ancora contava nel Pdl, insomma la scelta di campo non sarebbe un vero colpo di fulmine.

 

Sennonché la voce è circolata in un battibaleno, e già nel partito si registrano mini-sommosse. Perché c’è chi non perdona a Terzi 1) la grande diplomazia sfoggiata con l’India sulla vicenda marò e 2) il voto italiano all’Onu pro-Palestina (in verità Terzi puntava all’astensione, fu Monti a volere diversamente). Ora si tratta di capire cosa ne pensa la Suprema Corte, cioè Berlusconi. Qualcuno lo racconta entusiasta di Terzi, altri decisamente meno. Comunque non siamo al momento delle decisioni, bensì in una fase molto preliminare: ancora debbono essere stabiliti i criteri per la formazione delle liste. Anzi, neppure gli apparentamenti sono stati definiti. Tutto discende dalle trattative in corso con la Lega. Se oggi Berlusconi tornerà a Roma con il Carroccio in tasca, allora darà via libera pure all’alleanza con Grande Sud (Micciché) e con Fratelli d’Italia (La Russa-Crosetto-Meloni). 

 

In caso contrario, zero intese con questi soggetti. La ragione, a prima vista misteriosa, è presto spiegata. Il Cavaliere vuole concedere un po’ di spazio alle liste minori solo nel caso in cui un accordo con Maroni gli conceda qualche reale chance di vittoria finale. Pur di battere la sinistra, ben venga un patto con i partitini. Se invece il diavolo ci mettesse la coda, e l’accordo con la Lega dovesse saltare, allora Berlusconi avrebbe un’unica convenienza: rimpolpare il Pdl, fagocitando le liste-satellite. Qualunque scelta sulle candidature dipende da questo snodo.

 

Ma la promessa di rinnovare le liste, e di confermare il 10 per cento «al massimo» dei parlamentari uscenti, è ancora valida oppure no? Nel giro di Arcore la danno per scontata. Per cui viva disperazione tra deputati e senatori, specie di lungo corso. E grande affollamento in via dell’Umiltà, davanti alla porta di Verdini, l’uomo incaricato da Berlusconi di vagliare le liste. Finora Verdini ha «gelato» tutti, specie gli euro-parlamentari vogliosi di trasferirsi alla Camera o al Senato: «Per voi non c’è posto». Altri cavalli di frisia verranno stesi nel pomeriggio, quando a Palazzo Grazioli si riunirà l’Ufficio di presidenza in versione molto ristretta, senza la colorita pletora di intrusi che solitamente vi si affacciano. Si stabilirà che non può tornare in Parlamento chi già vi è stato tre volte, chi ha superato i 65 anni, chi non ha versato puntualmente al partito le quote dello stipendio (malcostume ben diffuso nel Pdl). Solo pochissime deroghe verranno tollerate. E l’ultima parola spetterà, inutile dire a chi.

 

La vera sorpresa, per un partito maschilista come il Pdl, consisterà in una forte apertura al mondo femminile. Pare che Berlusconi voglia in lista numerosissime donne, e soprattutto che vengano elette. Il 40 per cento dei posti «sicuri» dovrebbe essere a loro destinato. Per esempio, capolista in Piemonte potrebbe essere Daniela Santanché. «E non sarà una passerella di sole miss Italia», mettono le mani avanti gli aiutanti del Capo.

[u.m.]

da - http://lastampa.it/2013/01/07/italia/politica/il-pdl-a-un-passo-da-terzi-il-per-cento-alle-donne-aunOL2yjuP06q1sxeAu4kL/pagina.html
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« Risposta #246 inserito:: Gennaio 08, 2013, 07:20:41 pm »

politica
08/01/2013

Monti ago della bilancia grazie al Porcellum

Mario Monti può ricavare massimo vantaggio dall’alleanza Lega-Pdl

Il premio di maggioranza previsto dalla famigerata legge elettorale
e l’alleanza tra Pdl e Lega rischiano di trasformare il Professore nel “deus ex machina” del Senato

Ugo Magri
Roma


Per uno strano paradosso, potrebbe essere chi meno ti aspetti (cioè Monti) a ricavare il massimo vantaggio politico dall’alleanza tra Berlusconi e la Lega. All’origine del fenomeno c’è il famigerato Porcellum che attribuisce tanti premi di maggioranza in Senato quante sono le regioni d’Italia. In alcune regioni poco popolose è davvero un «premietto» di pochi seggi; in altre invece il bottino è talmente ricco da far pendere la bilancia elettorale o di qua o di là. In altre parole: per effetto di questa legge elettorale, Bersani non può controllare il Senato se prima non vince il «premione» in Lombardia e in Veneto, proprio le due regioni su cui Maroni e il Cavaliere concentrano la loro forza residua. Il nuovo «patto» di ieri rende francamente incerta la prospettiva: il segretario Pd potrebbe farcela ugualmente nelle due regioni del Nord, però è più difficile, secondo alcuni analisti improbabile.

 

Il vantaggio di Monti consiste nel fatto che, a quel punto, sarebbe il «deus ex machina» del Senato. Cioè Bersani dovrebbe rivolgersi in prima battuta a lui per tentare di dar vita a un governo: i voti centristi (che siano 30 o 50 poco importa) sarebbero sufficienti a garantire stabilità pure in quel ramo del Parlamento. Il paradosso, insomma, è che l’alleanza tra Silvio e Bobo può far perdere il candidato centrista per il Pirellone (Albertini) a vantaggio di Maroni; e se si dà retta ai primi sondaggi del 2013 sembra dissolvere le speranze montiane di conquistare la seconda piazza dietro a Bersani, dal momento che il centrodestra unito sta almeno dieci punti avanti, difficili da recuperare. Ma l’amarezza del Professore verrebbe compensata dal ruolo chiave, di ago della bilancia, che gliene deriverebbe nei futuri equilibri romani.

 

La prospettiva piace a molti ambienti autorevoli, anche internazionali. Qualche osservatore, come il fondatore di «Repubblica» Eugenio Scalfari, già paventa che Monti possa riproporre trent’anni dopo la politica craxiana del ricatto politico, un nuovo «Ghino di Tacco» che taglieggia destra e sinistra per imporre nuovamente se stesso a Palazzo Chigi. In realtà, la forma concreta con cui Monti potrà esercitare la sua influenza dipenderà da molte circostanze. E non è detto che di questa forza politica possa davvero profittare. Il dubbio è lecito. Se per esempio a Bersani mancassero pochi, pochissimi voti per fare maggioranza a palazzo Madama, è altamente possibile (anzi quasi certo) che troverebbe frotte di senatori pronti ad accorrere in suo soccorso, in fuga magari proprio dal composito raggruppamento neo-centrista che si richiama all’attuale premier. Nemmeno è da escludere a priori che si faccia avanti il centrodestra per offrire qualche forma di sostegno: la Lega non si farebbe di questi scrupoli, così assicurano esponenti di primissimo piano; lo stesso Berlusconi ha già fatto qualche avance. Infine Napolitano, cui toccherà dare nuovamente le carte dopo il voto, è ben deciso a conferire l’incarico – lo ha scandito nel discorso di San Silvestro - sulla base dell’indicazione popolare. Cioè, se fanno fede i sondaggi, a Bersani.

La morale, qual è? Che Monti, per effetto del patto di Arcore, ha una pistola puntata sul centrosinistra. Che possa o voglia premere il grilletto, questo è tutto da dimostrare.

da - http://lastampa.it/2013/01/08/italia/politica/monti-ago-della-bilancia-grazie-al-porcellum-lZwlG1jAvvJoPmyXZuw07K/pagina.html
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« Risposta #247 inserito:: Gennaio 16, 2013, 04:17:00 pm »

Politica

15/01/2013 - retroscena

L’offensiva del premier: attaccare il Pdl per attrarre verso di sé i moderati

Ospite a Sky di Ilaria D’Amico, ieri Silvio Berlusconi ha sventolato questo “Patto del parlamentare”: sei impegni vincolanti

Quella di Mario Monti è una strategia calcolata, non una banale ritorsione contro Silvio Berlusconi

Ugo Magri
Roma


Monti si è guadagnato sul campo, ieri sera da Bruno Vespa, la palma di più risoluto, più implacabile, più sarcastico e (per molti aspetti) più feroce «No Cav» d’Italia. Mai un candidato premier aveva picconato con tale energia il profilo di Berlusconi. Nell’ultimo ventennio Occhetto, Prodi, Rutelli, di nuovo Prodi e infine Veltroni con alterna fortuna si erano preoccupati di far leva soprattutto sui programmi propri, sulle rispettive «agende» che allora avevano un altro nome. Lo stesso Bersani, nemmeno una settimana fa, sempre «chez» Vespa, si era regolato da primo ministro in pectore, serenamente avviato verso la vittoria e mai sopra le righe, certo non con il coltello tra i denti e tantomeno contro il capo della destra, trattato con i guanti bianchi perfino nell’arena di Santoro. Laddove Monti ha sfoderato per due ore l’intero repertorio di attacchi a Berlusconi con una tale determinazione da fare immaginare una precisa strategia, politica e comunicativa.

 

Va considerato, segnalano i collaboratori del premier, anche il risvolto umano. Nei giorni scorsi Silvio era andato giù greve, aveva lamentato presunte «mascalzonate» commesse da Monti (concetto ribadito ieri), presentandone la scelta di candidarsi come un atto moralmente riprovevole. È un livello di contestazioni su cui chiunque dotato di amor proprio (il presidente della Bocconi non fa eccezione) avrebbe reagito a tono. «Mica poteva porgere l’altra guancia», si fa osservare. Inoltre ha sfoderato nelle risposte «la consueta classe», senza scendere a livello da osteria. Ma nella replica da Vespa è impossibile non cogliere un «surplus» di animosità. Calcolata. Studiata a tavolino. Insomma, meno legata alle offese e più alla sostanza. Spiega chi è ben addentro alla campagna elettorale montiana che il Professore ha voluto consapevolmente inaugurare un anti-berlusconismo di nuovo conio, per certi aspetti inedito e tutto da testare. Basato sulla condivisione di parecchie istanze care all’elettorato di centrodestra, come si deduce da certe aperture (alcune davvero inattese) in tema di tasse: dalla possibile riduzione dell’Irpef a quella altrettanto auspicabile dell’Iva, dal no secco alla patrimoniale al rigetto del redditometro, dalle larghe vedute sull’Imu alla revisione della riforma Fornero sulle pensioni... 

 

Musica per il popolo moderato. Esattamente quello che un elettore Pdl gradirebbe sentirsi promettere dal proprio partito. Accompagnato però da un ripudio netto del personaggio Berlusconi, da un giudizio spietato che si riassume in quel «pifferaio» dal quale solo degli sprovveduti potrebbero farsi trascinare nel fiume. Per immedesimarsi nei panni di chi in altri momenti l’ha votato, Monti ammette di essersi illuso lui stesso ai tempi della «rivoluzione liberale», s’era fatto incantare dalla sirena di Arcore. A questi elettori, il premier manda a dire: se voi volete davvero che tutto questo si realizzi, il vostro interlocutore sono io. Lui vi attira soltanto guai...

 

L’offensiva del Prof ha ulteriori perché. Da qualche settimana nei sondaggi è in atto una certa ripresa della coalizione Pdl-Lega, chi dice attestata al 25 chi al 30 per cento dei voti. Nulla in grado di impensierire Bersani, che dalle stesse rilevazioni figura perlomeno una decina di punti avanti. Tuttavia abbastanza da mettere in forse l’obiettivo per il quale Monti si è deciso a «salire» in politica: una destrutturazione dei poli, o perlomeno di uno soltanto di essi. Al momento, il centrodestra non solo non pare prossimo a sfaldarsi, ma sta ritrovando a Palazzo Grazioli il suo centro di gravità. Urge dunque una controffensiva, e nessuno può negare che Monti vi si stia applicando con una franchezza di linguaggio sorprendente per chi, come lui, viene dal senato accademico. Mal che gli vada, questa battaglia gli attirerà le simpatie del pianeta anti-berlusconiano duro e puro, ne farà il super-eroe della resistenza al Cavaliere Nero, l’unico davvero in grado di sbarrarne la via. Per cui può verificarsi uno strano paradosso: che l'inedito combattivo Monti di «Porta a Porta» (perlomeno rispetto agli standard «sobri» cui ci aveva abituato) rubi voti a sinistra non meno che a destra. E anzi, vada a intaccare il serbatoio elettorale di Bersani addirittura più del bacino berlusconiano. Ma questo lo scopriremo solo il 25 febbraio, quando le urne saranno state aperte.

da - http://lastampa.it/2013/01/15/italia/politica/l-offensiva-del-premier-attaccare-il-pdl-per-attrarre-i-moderati-UJEc8eglVej2pO5yKKlrGK/pagina.html
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« Risposta #248 inserito:: Gennaio 27, 2013, 05:58:41 pm »

politica
27/01/2013

MontePaschi, Bersani all’attacco “Se ci attaccano li sbraniamo”

Pier Luigi Bersani è partito al contrattacco contro il tentativo di coinvolgere il Pd nella vicenda Mps

Il Pdl al governo: giustifichi i soldi prestati. Il Cavaliere: la sinistra non sa gestire una banca figuriamoci il Paese

Ugo Magri
Roma

Lo scandalo MontePaschi fornisce munizioni alla destra, fa un gran comodo a Pdl e Lega per spostare l’attenzione dalle magagne proprie (nuova inchiesta sul Campidoglio, Formigoni nel mirino) a quelle degli avversari. Per cui nessuna sorpresa che Maroni e Berlusconi medesimo tentino di cavalcare la polemica . Monti no, dopo la legnata a Bersani dell’altro ieri («Il Pd è coinvolto») lui si è defilato un tantino. L’unico a pronunciarsi da quella parte è il ministro Riccardi, che invita a «fare luce sulla connessione tra banche e politica», tema in auge fin dallo scandalo della Banca romana sul declinare dell’Ottocento. Prudenza non sufficiente a dirottare le bordate di Alfano, che chiama il Prof a «giustificare la barca di soldi» disposti per il salvataggio di Mps, «l’equivalente dell’Imu». Né il ritrovato riserbo del premier lo pone al riparo dall’ira Pd, dove se la sono legata al dito perché nulla fa più male della bastonata nel momento del bisogno. Ricambia velenoso Bersani: «Chi si è opposto al ricambio dentro MontePaschi ora è candidato con Monti», vale a dire l’ex esponente senese della Margherita, Monaci. Forse all’insaputa del premier, ipotizza ironico D’Alema. Tabacci, alleato di Bersani, va a fondo della questione: «La lista Monti dimostra di essere stata costruita cercando di includere i poteri che contano», e in questo caso non si tratta certo di un complimento.

 

Tace Monti, dunque. In compenso dice la sua il Cavaliere. Che sulle prime era sembrato prudente al punto da far ipotizzare il solito conflitto d’interesse tra Berlusconi politico e Berlusconi imprenditore: l’uno interessato a picchiare duro sul Pd, l’altro appeso ai fidi Mps, senza i quali le aziende del Biscione sarebbero in affanno. Ecco invece Silvio prendere posizione all’edizione serale del Tg1. Senza ferire la più antica banca del mondo, anzi invocando «soluzioni concrete per mettere al riparo dalle conseguenze i risparmiatori», forse anche se stesso. Ma con un affondo contro il Pd che marca, almeno sul piano propagandistico, un punticino a suo favore. Argomenta Berlusconi dai teleschermi: «Se la sinistra non è in grado di gestire una banca, non può certo gestire il Paese...». A differenza di Ingroia, della Santanché, di Gasparri e, per certi aspetti del montiano Della Vedova, Berlusconi non evoca ipotetiche mazzette, non ne fa certo una questione morale, semmai di capacità imprenditoriali. Come amministratori, sorride soddisfatto l’uomo di Arcore, questi signori della sinistra non valgono granché...

 

Bersani se l’aspettava. Tanto che già nel pomeriggio aveva lanciato un altolà: «Destra e Lega non si azzardino a insinuare che su Mps siamo stati scorretti, perché li-sbra-nia-mo». Proprio così, sillabando per rimarcare meglio. Adesso quel «li-sbra-nia-mo» impazza su Twitter, perché pure di queste battute «virali» è fatta la nuova campagna elettorale, o perlomeno quella che appassiona chi passa le sua giornate sui «social network». Se dipendesse da lui, Bersani darebbe poteri commissariali al presidente Viola e all’amministratore delegato Profumo, in modo che possano usare la ramazza. Tremonti, l’ex-ministro, gli affibbia dell’incompetente, «esiste il commissariamento ma non esistono per il diritto i poteri commissariali». D’Alema, invece, giudica inutile agitarsi troppo. «Non credo che questa storia ci nuocerà dal punto di vista elettorale», pronostica l’ex-premier, in quanto «ormai l’opinione pubblica è mitridatizzata, è abituata a scandali che nascono e che muoiono...». Diagnosi cinica e tremenda, quella di D’Alema, il quale la pone così: «In questa campagna elettorale ci sono partiti che non hanno nulla da dire e si gettano su questa storia come avvoltoi». Da destra, pesanti ironie contro «Baffino». Le riassume tutte in una battuta Cicchitto: «D’Alema e compagni sono vissuti sugli scandali altrui; ma quando riguardano loro, diventano di colpo cose che lasciano il tempo che trovano».

da - http://lastampa.it/2013/01/27/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/bersani-se-ci-attaccano-li-sbraniamo-uYrNU5aqEc8dPCPQYEBBkJ/pagina.html
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« Risposta #249 inserito:: Gennaio 28, 2013, 11:46:27 pm »

politica

28/01/2013 - verso il voto. le strategie

Nella guerra in tv un bonus ai tre leader

Dopo Sanremo apparizioni extra per Bersani, Berlusconi e Monti

Ugo Magri
ROMA


Da 63 anni il Festival si tiene a metà febbraio. E pure stavolta Sanremo non farà eccezione: inizierà il 12 (che è martedì) e si concluderà il 16 (cioè sabato). Dunque agli strateghi della campagna elettorale sarebbe bastata una semplice consultazione del calendario per accorgersi che il massimo appuntamento nazional-popolare cadrà sul più bello della contesa. E per scoprire che a pochi giorni dal voto la politica verrà praticamente espulsa dalle serate degli italiani. 

 

Già, perché il Festival va in onda su RaiUno subito dopo il tigì, mediamente lo seguono 15 milioni di telespettatori, in qualche occasione perfino 20. A tutti gli altri programmi restano soltanto le briciole, figurarsi poi se si tratta di triste propaganda. Proviamo a immaginare che accoglienza di pubblico riceverebbe una tribuna politica su RaiDue o sui RaiTre, proprio mentre sulla rete ammiraglia sta andando in onda la manifestazione canora... Chiaro che nessun partito vorrà tenere la conferenza stampa nei giorni consacrati a Sanremo. Eppure a qualcuno toccherà per colpa del sorteggio, e quel qualcuno (fosse pure Grillo, o Monti, o Berlusconi) sarà condannato al cono d’ombra.

 

Non è l’unico impatto che il Festival eserciterà sulle urne. Proprio perché nell’arco dei cinque giorni la politica sarà azzerata, è come se la campagna elettorale subisse un colpo di forbici. Col risultato di rendere ancora più imprendibile la «lepre» Bersani e ancora più vani gli sforzi dei suoi inseguitori. Per Silvio in particolare, saranno giorni di autentica sofferenza. Sembra escluso che voglia godersi lo spettacolo dal vivo, come fece due anni fa Bersani in prima fila al teatro Ariston sollevando polemiche. Nel suo entourage c’è grande sospetto per la conduzione di Fazio, considerato (a ragione) un intelligente giornalista di parte avversa, capace di far respirare all’Italia valori e sentimenti molto lontani dal berlusconismo. Pare che tra gli ospiti non vedremo Celentano, né ci sarà Benigni, per cui almeno sotto questo profilo il Cavaliere è salvo. Però forse sarà invitato Richard Gere, che anni fa sul «tycoon» di Arcore espresse opinioni feroci. E la Littizzetto, vogliamo dimenticarla? Dalla sua bocca potrebbe uscire qualunque battuta, sebbene ultimamente la saga di Veronica Lario sia stata tra le gag preferite dell’attrice e cabarettista torinese.

 

Archiviato il Festival 2013, prima del voto resteranno sei serate, non una di più. Mercoledì si riunisce la Commissione di vigilanza Rai, appunto per definire le ultime scadenze politico-elettorali. Intenzione dei maggiori partiti pare sia quella di accordare un «bonus», sotto forma di conferenza stampa extra, a ciascun leader di coalizione. Le coalizioni sono tre, dunque una serata a Monti, una a Berlusconi e una a Bersani. Grillo dovrà accontentarsi di qualche minuto per l’appello finale, come tutti gli altri capi-partito, la sera di venerdì 22 febbraio: questo gli dirà la Commissione di vigilanza. Tanto lui quanto Ingroia potranno trovare altro spazio in tivù, ma con enorme difficoltà perché la «par condicio» mette ostacoli di ogni tipo, specie per la presenza dei politici nei talk-show. Difatti Grillo non ha ancora ben chiaro dove andrà nell’ultima settimana. 

 

E il faccia-a-faccia Bersani-Berlusconi? Non c’è emittente televisiva che abbia rinunciato a farsi avanti per ospitare un confronto «all’americana», tipo quello tra Obama e Romney tre mesi fa. Ma sussiste il solito intoppo: dopo Sanremo, e prima delle tre conferenze stampa finali, sarebbero disponibili due sole serate, o domenica 17 oppure lunedì 18 febbraio. Non sarà facile far combaciare le agende dei leader, anche perché i rispettivi interessi sono divergenti. Berlusconi, che vorrebbe riguadagnare terreno, ha grande voglia di incrociare la sciabola con Bersani, il quale proprio per questo si domanda chi glielo fa fare. L’unica certezza, al momento, è che se confronto avrà luogo, non sarà a due ma a tre. Perché la «par condicio» impedisce di escludere Monti, sempre più a suo agio nei panni del Terzo Incomodo.

da - http://lastampa.it/2013/01/28/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/nella-guerra-in-tv-un-bonus-ai-tre-leader-LYmqr2huGxx9fhdfiziVcM/pagina.html
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« Risposta #250 inserito:: Gennaio 30, 2013, 11:55:50 pm »

politica
26/01/2013

E il partito ora fa la colletta per trovare quattro milioni e finanziare la rincorsa

Il cruccio degli strateghi berlusconiani, adesso, è come ricominciare a crescere.

Ugo Magri
ROMA

La macchina del Cavaliere ha le gomme a terra. Per la prima volta dopo settimane, i sondaggi (compresi quelli fidatissimi di Euromedia Research) segnalano una certa stanchezza: non solo Berlusconi smette di crescere, ma perde qualche colpo. In parte dipende dalla feroce battaglia delle candidature. Per liberarsi degli «impresentabili», Silvio ha dovuto lottare a lungo, tra schizzi di sangue e di letame. Uno spettacolo nell’insieme disgustoso. Le liste Pdl hanno causato ulteriori danni. A titolo di esempio, la Brambilla (animalista arrabbiata) è stata piazzata proprio in Emilia Romagna, che è il regno delle doppiette: Michela Vittoria le ha già tutte puntate addosso. Il Cavaliere si è scusato ieri per i troppi «paracadutati», ma che colpa ne ha Minzolini se l’hanno piazzato in Liguria? O la Calabria, nel senso di Annagrazia, in Piemonte?

 

Il cruccio degli strateghi berlusconiani, adesso, è come ricominciare a crescere. La formula magica è sempre la stessa: servono idee, tribune e denari. Tanti denari, poiché la pubblicità è costosa, internet non fa eccezione. Fino a qualche giorno fa, dalle parti di Palazzo Grazioli ancora si favoleggiava di campagna a costo zero. Un po’ per virtù («il Paese in crisi non giustificherebbe certe spese pazze») ma soprattutto per triste necessità: nelle casse del Pdl non c’è il becco di un quattrino. Adesso però tra i dirigenti massimi matura la certezza che, in queste condizioni, la rimonta sarebbe una presa in giro. Anche concentrando gli sforzi nelle sole regioni in bilico al Senato (chi dice siano 5 e chi 7), serviranno alcuni milioni di euro. Il piano di emergenza deciso in queste ore prevede che tutti i candidati con qualche speranza di elezione, circa 150, versino 25 mila euro a testa. 

 

È un salasso che non tutti hanno accolto con entusiasmo. Pare che la gran parte debba ancora sganciare l’assegno. Ma con questa «patrimoniale» il partito metterà insieme quasi 4 milioni. La speranza in via dell’Umiltà (dove il braccio operativo è composto dal quartetto Lupi-Verdini-Fontana-Palmieri) è che Berlusconi ne scucia almeno altrettanti. Però nulla autorizza a pensare che lui aprirà il portafogli. Anzi, amici di lunga data, e pure «il Foglio», lo dipingono come un indigente ad altissimo reddito, un ex-miliardario ormai in bolletta per via di avvocati, cause perse, moglie, amanti, olgettine e dividendi Fininvest che nel 2012 non sono mai arrivati. Si potrebbe dunque determinare il paradosso per cui, brontola un vecchio gerarca, «saremo noi a dover finanziare la campagna elettorale del tycoon, anziché il contrario...».

 

D’altra parte Berlusconi ci mette la faccia e non solo. Falso, dicono i suoi, che ieri abbia rischiato il coccolone; vero però che ha fatto un discorso pubblico e 4 interviste ad altrettante tivù locali: sforzo fisico notevole per un settantasettenne. Dovunque gli si aprirà uno spazio televisivo, non esiterà a infilarsi. Medita di fare irruzione dalla Annunziata e da Floris a Ballarò. «E non ci vengano a parlare di par condicio», già mette le mani avanti Bonaiuti in veste di pianificatore della comunicazione, «quando Monti è dappertutto. Basti dire che i telegiornali l’hanno seguito pure a Davos...». La speranza è che Bersani accetti un faccia-a-faccia televisivo («per ora il segretario Pd tentenna», sospirano a Palazzo Grazioli); in caso contrario, nemmeno un duello televisivo con Ingroia verrà disdegnato.

 

Infine A.A.A cercasi idee con cui colpire l’immaginario collettivo. Berlusconi si rende conto che deve estrarne dal cilindro di veramente choccanti, se vuole bucare il muro dell’indifferenza. Per lui lavorano Brunetta, Casero e Capezzone. Gli hanno preparato, giurano, 3-4 proposte destinate «a fare tanto rumore». Se saranno vere bombe o semplici petardi, lo scopriremo negli ultimi giorni della campagna elettorale.

da - http://lastampa.it/2013/01/26/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/e-il-partito-ora-fa-la-colletta-per-trovare-quattro-milioni-e-finanziare-la-rincorsa-uPeubl60E6MTCBLxVbX69J/pagina.html
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« Risposta #251 inserito:: Febbraio 06, 2013, 12:24:21 am »

Italia
05/02/2013 - un risultato paradossale da tre sondaggi

La trovata sull’Imu non seduce gli italiani

Eppure il Pdl sale

Berlusconi: “Se avrò i voti farò condono”

L’assunto, suggerito da Euromedia, è puntare al recupero dei «delusi»

Ugo Magri
ROMA

Gli istituti di rilevazione si dividono in due categorie: quelli che si sentono già in grado di valutare l’impatto della «proposta-choc» berlusconiana (restituire l’Imu), e quelli che giudicano prematura una stima. Tra i primi si segnala Demopolis, che ha fornito le risultanze al programma de La7 «Otto e Mezzo». La metà più uno degli italiani considera la promessa del Cavaliere alla stregua di fanfaluca. Un terzo sarebbe ben felice di ricevere indietro i denari, ma con lo Stato al verde esclude che sia fattibile. Solo il 15 per cento degli intervistati sottoscrive in toto l’idea (giusta e realizzabile). Dunque ci si attenderebbe un Pdl in calo per effetto del generale ripudio. Invece, a sorpresa, la stessa Demopolis vede crescere i berlusconiani di quasi un punto e mezzo in tre giorni, dal 18,6 al 20 per cento. Una seconda società, la Emg, sempre per La7 dà il fixing al 19,6 con una lievissima contrazione, e 8 punti di distacco tra i due schieramenti. Tecnè, per Sky, vede in margine dimezzato a 4 punti...

 

Fino all’8 febbraio, ultimo giorno utile per la pubblicazione dei sondaggi, saremo bombardati di percentuali. Ma non è solo a questi numeri che si bada nelle segrete stanze della politica. Proprio in casa del Cavaliere, per esempio, viene seguita una metodologia decisa a tavolino in novembre, sulla scorta dei riscontri via via forniti da Euromedia Research (e da altri istituti coinvolti come prova del nove). Tale metodo parte dall’assunto che a Berlusconi, per vincere, basterebbe recuperare i suoi ex-elettori delusi. Almeno una parte di coloro che non gli credono più. «Credibilità» è dunque la parola magica della campagna Pdl. A cosa serve cacciare Dell’Utri dalle liste? È fondamentale (spiegano dalle parti di Arcore) non per la pulizia in sé ma per mostrare che Silvio fa sul serio. Acquistare Balotelli? Mira a far capire che il «largo ai giovani» almeno nel Milan è una realtà. E insistere sull’Imu? Guarda caso, è una delle materie in cui il Cav può dire: il mio governo è stato di parola. Ogni uscita clamorosa corrisponde a uno «step», a un gradino volto a conquistare nuove fasce di indecisi, individuate con i «focus group». Nell’assunto che, a poco a poco, queste scelte si rifletteranno nei sondaggi. Dove il centrodestra è lievitato un po’ per volta, senza strappi, rispetto alle percentuali infime di alcune settimane fa.
Bonaiuti, portavoce berlusconiano, percepisce «il clima tipico delle campagne elettorali in crescita». 

 

Operazioni apparentemente spericolate, come quella di portare il Capo da Santoro e stasera nell’arena di Ballarò, sottopongono il messaggio a una «prova bucato» attraverso il confronto con avversari veri e non di comodo. Oggi sul tavolo dell’ex-premier arriveranno le cifre «stabilizzate» di Euromedia. Ma quelle che più interessano, spiega Bonaiuti, riguardano gli indecisi. Sono ancora tantissimi, e dunque l’efficacia delle «boutade» viene misurata in base alla capacità di penetrazione tra gli indecisi. I quali restano numerosissimi. Pare che la promessa sull’Imu abbia fatto girare la testa al 7-8 pr cento di chi ancora è incerto se e come votare. Non abbastanza per determinare le sorti della battaglia elettorale. Però di «choc» pare ce ne siano altri in serbo. Centellinati poco per volta secondo il piano prestabilito di recupero, anziché squadernati come in passato due sere prima del voto. Renzi, che ha mangiato la foglia, lancia l’allarme ai suoi: sbagliato contestare la restituzione dell’Imu, meglio dire che di quel signore non ci si può fidare...

da - http://lastampa.it/2013/02/05/italia/cronache/la-trovata-sull-imu-non-seduce-gli-italiani-eppure-il-pdl-sale-bgrguELk8k18ISDKl2D8JK/pagina.html
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« Risposta #252 inserito:: Marzo 02, 2013, 03:30:32 pm »

Politica
02/03/2013

Grillo e Renzi bocciano la strategia di Bersani

E Berlusconi apre al ritorno alle urne con una nuova legge elettorale

Ugo Magri


Tra Grillo e Bersani, zero passi avanti. Semmai qualcuno indietro. Il leader M5S mostra di non gradire certi tentativi di «adescamento» (così li definisce nel suo blog) che il Pd avrebbe progettato nei confronti dell’esercito grillino. Già nei giorni scorsi l’ex-comico aveva reagito in malo modo all’offerta di poltrone, in particolare quella della Camera su cui per altri 13 giorni sarà seduto Fini. Ieri poi Grillo ha trovato nei retroscena la conferma alle voci di «campagna acquisti», cioè al tentativo di portargli via un tot di senatori, quanti basterebbero per garantire la fiducia a un governo Bersani. Il centrosinistra conta su 123 seggi a a Palazzo Madama, laddove ne servirebbero 158. Può aggiungere i 19 di Monti e arrampicarsi così a quota 142. Un altro paio arriverebbero dalle minoranze linguistiche. Resterebbe comunque un «gap» di almeno 14 voti. Grillo ne controlla al Senato 54: nessuna sorpresa che Bersani appunti lo sguardo lì...

 

Bisogna vedere se ce ne sarebbero così tanti, tra i grillini, disposti a tradire il pezzo di carta firmato al momento della candidatura, dove sta scritto che «i gruppi non dovranno associarsi con altri partiti se non per votazioni su punti condivisi». Quattordici «saltafosso», in Parlamento, a lungo andare magari si trovano; ma che spuntino tutti insieme, e già al segnale del via, sembra improbabile. L’unico effetto certo di queste voci, al momento, consiste dunque nel far imbufalire Grillo: «E’ in atto il mercato delle vacche, al M5S arrivano continue offerte di presidenze della Camera, di commissioni, perfino di ministeri... Il Pidimenoelle ha già individuato a tavolino le persone del M5S per le varie cariche dando loro la giusta evidenza mediatica... È il solito metodo puttanesco di fare politica... Hanno la faccia come il c...». Non siamo in vendita, grida forte Grillo.

 

Nel giro di Bersani cadono dalle nuvole, mai e poi mai si era pensato di fare «scouting» tra i senatori a cinque stelle. Voce falsa, secondo il bersaniano Errani, almeno quanto quella di «governissimo Pd-Pdl». Eppure la chiacchiera qualche fondamento doveva averla, se perfino Renzi l’ha giudicata attendibile. Ecco cosa scrive nella sua newsletter: «La priorità è rimettersi in sintonia con gli italiani, non giocare al contro-baratto e vendo dei seggi grillini». Una domanda del sindaco ai compagni di partito, e in particolare a D’Alema: «Pensiamo di uscirne vivi offrendo a Grillo la Camera e a Berlusconi il Senato, secondo gli schemi che hanno già fallito in passato?». Risultato di tutto ciò è che l’offensiva di Bersani, culminata in un’intervista a «Repubblica» dove si candida per guidare un governo con chi ci sta che faccia «7-8 cose qualificanti», sembra già esaurita. 

 

La stessa rivolta via web degli elettori grillini è ormai un ricordo (sebbene la Swg assicuri che il 66 per cento degli elettori M5S vorrebbe dare una mano a Bersani). Dario Fo, simpatizzante di Grillo, ne ha consultato il vate Casaleggio, il quale gli ha detto papale papale che il segretario Pd da loro non avrà mai via libera. Piccola porta socchiusa, invece, per qualche soluzione «tecnica», che sia sostenuta da altri e non da M5S. Il montiano Ichino già immagina una proroga del governo in carica come «soluzione ponte», e chissà se pure il Professore ci starà facendo un pensierino... Tutto ormai è affidato al savoir-faire di Napolitano, appena ritornato dalla Germania.

 

Il Presidente esclude di rimandarci a votare, convinto che si tratti semmai di dare un governo all’Italia, con i mercati nervosi, lo spread in ascesa e l’agenzia di rating Fitch che lancia un allarme sulla nostra stabilità. «L’Italia rischia e molto», conviene Berlusconi. Il quale si dichiara non ostile a nuove elezioni, magari dopo avere cambiato in fretta il Porcellum. Due giorni fa il Cavaliere aveva sostenuto il rovescio. Però poi gli è piombata tra capo e collo l’inchiesta per corruzione. Un altro paio di siluri giudiziari pare siano in arrivo. Dunque l’umore ne ha risentito, e lui è pronto a rovesciare il tavolo.

da - http://lastampa.it/2013/03/02/italia/politica/grillo-e-renzi-bocciano-la-strategia-di-bersani-RMn7EskRw013rRTFEw4A6J/pagina.html
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« Risposta #253 inserito:: Marzo 05, 2013, 05:10:40 pm »

Editoriali
05/03/2013

Le radici del libero pensiero

Ugo Magri


Mancano 36 anni e 9 mesi al 2050 quando, scommette il profeta grillino Casaleggio, «l’intelligenza sociale collettiva permetterà di risolvere i problemi complicati del mondo». Quel giorno basterà un clic per decidere, facile come dire su Facebook «mi piace». Non servirà più eleggere rappresentanti, provvederà la «web-democrazia». Ma già oggi, che siamo nel 2013, al Movimento 5 stelle questo Parlamento appare giurassico. 

E obsoleta la Costituzione che autorizza gli eletti a decidere di testa loro. Secondo Grillo è una «circonvenzione di elettore», poiché
l’onorevole può fare quanto gli aggrada, perfino «votare una legge contraria al programma». Per cinque anni, il fortunato se la spassa e nessuno gli chiede conto. Viceversa il voto, protesta Grillo, dovrebbe essere «un contratto tra elettore ed eletto». Non è l’unico a pensarla così. 

Berlusconi ha fatto firmare ai candidati un contratto, appunto, dove gli promettono di «non tradire il mandato». E di astenersi dai cambi di casacca. «Voltagabbana», «opportunisti», «saltafossi»... Quanti epiteti vennero lanciati da destra contro Fini, dopo il celebre «mi cacci».
Come in altri campi, il berlusconismo ha stravolto costume e politica, cosicché adesso sembra scontato che il deputato sia messo lì a pigiare i bottoni. 

Invece per la Costituzione tanto normale non è. L’articolo 67 stabilisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», con la maiuscola, «ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». I padri della patria repubblicana ebbero zero dubbi in proposito.
All’Assemblea costituente, la norma fu approvata in tre minuti, Terracini la lesse e nessuno si alzò per obiettare. Eravamo nel marzo 1947. Qualche mese prima se n’era discusso in commissione. Anche lì, tutti d’accordo con l’eccezione del comunista Grieco, ostilissimo alla formula «senza vincoli di mandato» in quanto i deputati «sono tutti vincolati: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma»... Proprio gli argomenti odierni di Grillo (e di Berlusconi). Aggiunse l’uomo di Mosca: «Sorgerà il malcostume politico». Ma nemmeno il suo partito gli diede retta, sebbene il «mandato imperativo» fosse la regola all’Est nelle cosiddette democrazie popolari, canonizzato dalla Costituzione sovietica e perpetuato in Ucraina perfino dopo la caduta del Muro: lo rispolverò nel 2007 il presidente Yushenko per far sciogliere il Parlamento, dopo che un gruppo di deputati l’aveva piantato in asso.

Meglio la disciplina o meglio il libero pensiero? Nobile diatriba, che risale all’epoca dei Lumi. Fu primo il britannico Burke a teorizzare che chi viene eletto rappresenta l’intera nazione e non soltanto i propri sostenitori. Dunque conserva il sacrosanto diritto di mutare idea, di cercare compromessi con gli avversari senza per questo essere disprezzato, anzi. Rousseau, il filosofo, la vedeva esattamente al rovescio.
L’Ancien Régime ammetteva solo il mandato «imperativo», invece i rivoluzionari francesi lo vollero libero, e così pure lo Statuto Albertino.
Ci sono Paesi dove chi delude può essere sostituito con nuove elezioni, e forse proprio questo congegno ha in mente Grillo, sul suo blog se n’è molto discusso. Negli Usa si chiama «recall», permette di mandare a casa perfino i governatori degli Stati (è accaduto due volte). Stessa storia in sei cantoni svizzeri. In Venezuela ci hanno provato per scalzare Chavez, ma senza successo. Nella vecchia Europa è diverso. Regna la democrazia rappresentativa, l’autonomia di giudizio è considerata un bene prezioso, il dissenso viene tutelato in ogni Parlamento, da noi perfino troppo come fa osservare il costituzionalista Ceccanti: al punto che si scade nel trasformismo o peggio (vedi De Gregorio).

Eppure fu grazie ai casi di coscienza di Calamandrei, di Codignola e di altri 7 deputati che nel 1953 venne infilata una zeppa dentro
l’ingranaggio della «legge truffa». Dal Patto Atlantico al divorzio, dalla Guerra del Golfo agli euromissili, l’articolo 67 ha rappresenato sempre l’antidoto al pensiero unico, la ragione vera e forse unica per tenere aperto un Parlamento. Laddove abbiamo oggi un sistema che permette ai leader di scegliersi i rappresentanti del popolo, a uno a uno... E se il nostro dramma stesse proprio qui?

da - http://lastampa.it/2013/03/05/cultura/opinioni/editoriali/le-radici-del-libero-pensiero-Kw0eH3OAXvUG431H6E97kN/pagina.html
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« Risposta #254 inserito:: Marzo 06, 2013, 12:29:08 pm »

Editoriali
05/03/2013

Le radici del libero pensiero

Ugo Magri


Mancano 36 anni e 9 mesi al 2050 quando, scommette il profeta grillino Casaleggio, «l’intelligenza sociale collettiva permetterà di risolvere i problemi complicati del mondo». Quel giorno basterà un clic per decidere, facile come dire su Facebook «mi piace». Non servirà più eleggere rappresentanti, provvederà la «web-democrazia». Ma già oggi, che siamo nel 2013, al Movimento 5 stelle questo Parlamento appare giurassico. 

 

E obsoleta la Costituzione che autorizza gli eletti a decidere di testa loro. Secondo Grillo è una «circonvenzione di elettore», poiché l’onorevole può fare quanto gli aggrada, perfino «votare una legge contraria al programma». Per cinque anni, il fortunato se la spassa e nessuno gli chiede conto. Viceversa il voto, protesta Grillo, dovrebbe essere «un contratto tra elettore ed eletto». Non è l’unico a pensarla così. 

 

Berlusconi ha fatto firmare ai candidati un contratto, appunto, dove gli promettono di «non tradire il mandato». E di astenersi dai cambi di casacca. «Voltagabbana», «opportunisti», «saltafossi»... Quanti epiteti vennero lanciati da destra contro Fini, dopo il celebre «mi cacci». Come in altri campi, il berlusconismo ha stravolto costume e politica, cosicché adesso sembra scontato che il deputato sia messo lì a pigiare i bottoni. 

Invece per la Costituzione tanto normale non è. L’articolo 67 stabilisce che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione», con la maiuscola, «ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». I padri della patria repubblicana ebbero zero dubbi in proposito. All’Assemblea costituente, la norma fu approvata in tre minuti, Terracini la lesse e nessuno si alzò per obiettare. Eravamo nel marzo 1947. Qualche mese prima se n’era discusso in commissione. Anche lì, tutti d’accordo con l’eccezione del comunista Grieco, ostilissimo alla formula «senza vincoli di mandato» in quanto i deputati «sono tutti vincolati: si presentano infatti alle elezioni sostenendo un programma»... Proprio gli argomenti odierni di Grillo (e di Berlusconi). Aggiunse l’uomo di Mosca: «Sorgerà il malcostume politico». Ma nemmeno il suo partito gli diede retta, sebbene il «mandato imperativo» fosse la regola all’Est nelle cosiddette democrazie popolari, canonizzato dalla Costituzione sovietica e perpetuato in Ucraina perfino dopo la caduta del Muro: lo rispolverò nel 2007 il presidente Yushenko per far sciogliere il Parlamento, dopo che un gruppo di deputati l’aveva piantato in asso.

 

Meglio la disciplina o meglio il libero pensiero? Nobile diatriba, che risale all’epoca dei Lumi. Fu primo il britannico Burke a teorizzare che chi viene eletto rappresenta l’intera nazione e non soltanto i propri sostenitori. Dunque conserva il sacrosanto diritto di mutare idea, di cercare compromessi con gli avversari senza per questo essere disprezzato, anzi. Rousseau, il filosofo, la vedeva esattamente al rovescio. L’Ancien Régime ammetteva solo il mandato «imperativo», invece i rivoluzionari francesi lo vollero libero, e così pure lo Statuto Albertino. Ci sono Paesi dove chi delude può essere sostituito con nuove elezioni, e forse proprio questo congegno ha in mente Grillo, sul suo blog se n’è molto discusso. Negli Usa si chiama «recall», permette di mandare a casa perfino i governatori degli Stati (è accaduto due volte). Stessa storia in sei cantoni svizzeri. In Venezuela ci hanno provato per scalzare Chavez, ma senza successo. Nella vecchia Europa è diverso. Regna la democrazia rappresentativa, l’autonomia di giudizio è considerata un bene prezioso, il dissenso viene tutelato in ogni Parlamento, da noi perfino troppo come fa osservare il costituzionalista Ceccanti: al punto che si scade nel trasformismo o peggio (vedi De Gregorio).

 

Eppure fu grazie ai casi di coscienza di Calamandrei, di Codignola e di altri 7 deputati che nel 1953 venne infilata una zeppa dentro l’ingranaggio della «legge truffa». Dal Patto Atlantico al divorzio, dalla Guerra del Golfo agli euromissili, l’articolo 67 ha rappresenato sempre l’antidoto al pensiero unico, la ragione vera e forse unica per tenere aperto un Parlamento. Laddove abbiamo oggi un sistema che permette ai leader di scegliersi i rappresentanti del popolo, a uno a uno... E se il nostro dramma stesse proprio qui?

da - http://www.lastampa.it/2013/03/05/cultura/opinioni/editoriali/le-radici-del-libero-pensiero-Kw0eH3OAXvUG431H6E97kN/pagina.html
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