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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229134 volte)
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« Risposta #135 inserito:: Giugno 08, 2011, 04:22:02 pm »

Politica

08/06/2011 - GOVERNO

Fisco, vertice notturno tra Pdl e Lega. Bossi a Berlusconi: abbassate le tasse

All'incontro anche Tremonti

UGO MAGRI

Sarà pure andata «benissimo» come cerca di far credere Berlusconi, ma dopo l’incontro di lunedì con Bossi e Tremonti i problemi erano rimasti tutti sul tavolo. Ingarbugliati. Il risultato è che stanotte, senza preavviso, si sono rivisti quei tre: il Cavaliere, il Senatur e il Super-ministro, col concorso di Calderoli, e nulla hanno lasciato trapelare dei loro discorsi. Perché grande è il disordine sotto il cielo.

Il taglio delle tasse si farà più avanti, certamente, anzi forse, e comunque adesso si deve tirare la cinghia; sopravvivere fino al 2013 sarebbe l’intenzione del governo, però la vox populi parla di elezioni già il prossimo anno; Alfano vorrebbe lasciare la Giustizia per diventare segretario del Pdl (ieri ha avuto una folla di incontri), sempre che Berlusconi scelga il suo successore. Chi ieri si è recato in visita dal Cavaliere riferisce che ha le idee chiarissime solo sulle «primarie»: Quagliariello gli ha studiato una legge che le rende obbligatorie per sindaci, presidenti di provincia e di regione, non per il candidato premier. Berlusconi vi scorge l’inizio di un nuovo movimentismo, la scintilla di una seconda rivoluzione dopo quella del «predellino».

Bilancio in rosso
Dice Bossi: «Lunedì ero ad Arcore e assicuro che la nostra volontà è di andare avanti». Sul taglio delle tasse: «Si farà di tutto per arrivarci». Su Tremonti sotto assedio: «Fantasie di voi giornalisti...». Peccato che il Bossi parlante in questo caso sia Renzo, per gli amici «Trota». Suo padre invece fa discorsi che mettono a nudo l’impasse: «Sono Berlusconi e Tremonti a dover trovare la quadra» sul fisco, per ora la stanno cercando. Rincara Bossi (senior): «Bisogna essere cauti, ma alla fine Tremonti dovrà trovare il modo di ridurre un po’ le tasse per le famiglie e per le imprese». È l’ammissione onesta che siamo ancora al carissimo amico. Spiega privatamente Tremonti: «L’importante era confermare l’obiettivo del pareggio di bilancio per una questione di sopravvivenza. Poi più avanti vedremo...». Agli occhi del ministro molto dipende da come evolverà la crisi dell’eurozona, da ciò che farà la Grecia in settembre. Prima di allora Berlusconi e Bossi non debbono fargli proposte indecenti.

Lo sfogo di Silvio
Napolitano vuole mettere bocca su tutto», si lamenta con l’entourage il premier, «quando gli ho parlato del successore di Alfano alla Giustizia, mi ha detto chiaro che ne devo discutere prima con lui...». E in effetti la settimana scorsa, quando Berlusconi fece visita al Colle, ci fu un rapido cenno sull’argomento. Nel senso che il Cavaliere stava incominciando a snocciolare una fila di nomi per sondare l’atteggiamento del Presidente. Napolitano però fu rapido nello stopparlo: «Adesso», disse all’incirca al premier, «sarebbe fuor di luogo svolgere una disamina dei candidati. Lei si chiarisca e ne riparleremo con calma. Sappia», aggiunse Napolitano nell’occasione, «che mi deve portare una proposta adeguata all’incarico di Guardasigilli», mica può ricoprirlo chicchessia. Per primo Berlusconi si era rivolto a Cicchitto, capogruppo alla Camera, ricevendone un no risoluto. Adesso pare che nemmeno Lupi voglia prendersi la grana, perché di grana si tratta: riparte al Senato l’esame del processo breve, con la norma ad personam sulla prescrizione. Il nuovo ministro si insedierà giusto in tempo per trovarsi nell’occhio del ciclone. Lupi: «Non sono interessato, non farò il ministro della Giustizia». Crescono le chances della Gelmini, ammesso che gradisca traslocare dall’Istruzione. Nel frattempo circola una scommessa: Alfano resterà in via Arenula chissà ancora per quanto.

Fini torna a destra
Dinanzi alla crisi del berlusconismo, spiega ai suoi il presidente della Camera, «bisogna cancellare ogni residua ambiguità politica» e spiegare bene d’ora in avanti che «non siamo una costola della sinistra». Botte di Bocchino in testa ai Briguglio e (soprattutto) ai Granata: «Fli è ancorato a destra, altre strade sono velleitarie e fallimentari».

da - lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/406032/
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« Risposta #136 inserito:: Giugno 20, 2011, 08:31:18 am »

16/6/2011

Berlusconi teme un nuovo '92

UGO MAGRI

Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen.

La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta.

A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...».

Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto.

Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe».

Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai».

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/
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« Risposta #137 inserito:: Giugno 21, 2011, 09:48:37 am »

Politica

21/06/2011 - RETROSCENA

E il premier: la missione in Libia finisce a settembre

Riunione notturna, Berlusconi verso l'intesa con il Carroccio

UGO MAGRI
ROMA

Un ministro dell’Interno che rimbecca il Capo dello Stato ancora mai si era visto nella galleria degli orrori istituzionali. Ieri la lacuna è stata colmata: sulla guerra libica Maroni ha sostenuto il rovescio esatto del Presidente, che tra parentesi è il comandante supremo delle Forze armate. Logico che al Quirinale non ne siano lieti.

Ma il vero attentato politico è contro il primo ministro. La richiesta di una data, entro cui sganciarsi dalla missione, innesca una bomba sotto la poltrona del Cavaliere; pare di udirne il «tic-tac». Può esplodere entro il mese, quando il governo dovrà rifinanziare le missioni. Oppure lo scoppio può tardare fino a settembre, se nel frattempo Gheddafi non si sarà arreso. La speranza del Cavaliere è proprio questa, che il Colonnello tolga il disturbo. Oggi pomeriggio in Senato venderà come certezza questo suo desiderio: sicuramente tutto sarà finito, dirà il premier nel «discorso della verifica», prima ancora di dover chiedere al Parlamento ulteriori denari

(quelli stanziati bastano per tre mesi). E se invece il Colonnello per dispetto si ostinasse a restare oltre quella data? Maroni, con lui la Lega, vuole che Berlusconi dica qui e subito: comunque vada, a settembre l’Italia si sfila. Molla gli alleati e stop ai bombardamenti. Un impegno solenne. Pur di tirare avanti, Berlusconi è disposto a prenderlo. Oggi annuncerà che il nostro impegno militare scade a settembre, così come fu stabilito in sede Nato. Proverà a convincere Napolitano nel Consiglio Supremo di Difesa il 6 luglio.

Gran consiglio fino a notte nello studio del Cavaliere. Ogni singola parola del discorso l’hanno soppesata in dieci, capigruppo ministri e «consigliori». Escluso che Berlusconi dica cose scioccanti (leggenda messa in giro dalla Zanicchi e ancora ieri propalata da ministri); chi ha lavorato al testo giura «non ce n’è traccia». Tono alto e nobile, rammarico per una legislatura iniziata con altre ambizioni e declinata in peggio, elogio a Tremonti per aver tenuto i conti pubblici in sicurezza, forte consapevolezza del momento drammatico, impegno strenuo per le riforme tra cui quella della giustizia scivola in fondo alla lista, verrà solo accennata... Il discorso è un patchwork di apporti coordinati da Bonaiuti. Chi ne ha letto l’ultima stesura vi scorge l’impronta stilistica prevalente di Giuliano Ferrara. Poi, si capisce, Silvio vi ha messo del suo. Di rado, garantiscono i suoi, Berlusconi è apparso così presente a se stesso, altrettanto conscio che la barca lentamente affonda, non fa in tempo a turare una falla che un’altra se ne apre.

Alle 11 del mattino l’hanno chiamato da Roma (lui stava ancora ad Arcore): «Alemanno pianta una grana sui ministeri al Nord». Stupore e irritazione del premier, lo dava per capitolo chiuso, «che bisogno c’è di riaprirlo se perfino Bossi a Pontida non ha calcato la mano?». Corsa di Cicchitto a parlamentare col sindaco in Campidoglio, trattative con la Lega per una mozione in grado di «parare» quella del centrosinistra senza mandare in briciole il Pdl. Lunghe discussioni intorno al tavolo notturno, presente Calderoli, per stabilire se è opportuno che Berlusconi ne parli in Aula.

Alla fine la decisione: Silvio dirà che, purtroppo, l’articolo 114 della Costituzione vieta di trasferire ministeri al Nord, la Capitale è Roma come è scritto pure nella legge n.42 sul federalismo fiscale, fortemente voluta dalla Lega, dunque gli organi istituzionali lì debbono risiedere. A meno che non si voglia cambiare la Costituzione. Ma sarebbe un processo lungo. «Nel frattempo emanerò un decreto», pare orientato a dire il premier, per trasferire al Nord certi uffici di rappresentanza, compreso «il personale di diretta collaborazione» (segretarie, portaborse) e quello che accetterà di spostarsi...

Sondaggi fatti sul Colle confermano che tale formulazione non incontrerebbe ostacoli presidenziali. Insomma: il governo sui ministeri pare in grado di sfangarla. Ma è il clima generale che inquieta il premier. E come potrebbe stare sereno con Maroni che svillaneggia Tremonti? «Ho impegni più piacevoli che vedere lui», è la battuta rimbalzata fino a Lussemburgo, dove si trovavano il Professore e Frattini. «La verità», sospira un dirigente tra i massimi del Pdl citando il poeta Ungaretti, «è che si sta come d’autunno sugli alberi le foglie... Oggi ci siamo, domani chi può dirlo?».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/408049/
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« Risposta #138 inserito:: Luglio 01, 2011, 06:38:51 pm »

Politica

01/07/2011 - RETROSCENA

Metamorfosi di Tremonti da ragioniere a mediatore

Il ministro sorprende il premier e gli sfila il ruolo di pontiere

Sorrisi con Brunetta, spiegazioni alla Meloni, sintesi con Bossi

UGO MAGRI
ROMA

Nella distrazione collettiva, è in corso un trasferimento di poteri. In apparenza resta un uomo solo al comando, cioè Berlusconi: è lui l’Onnipresente che assume tutte le decisioni. Ma se si dà retta a chi ne conosce la genesi, apprendiamo che il Cavaliere sempre meno le adotta. Nel Consiglio dei ministri di ieri, riunito per mettere il timbro sui sacrifici, «deus ex machina» è risultato Tremonti. Il quale inaugura una linea duttile, flessibile di cui pochi lo ritenevano capace, che non è più quella del ragioniere arcigno, preoccupato di difendere solo l’equilibrio dei conti, semmai del politico capace di mediazione e di sintesi. Ha vestito i panni che dovevano essere del premier. Il più sorpreso, alla fine, è risultato Berlusconi. In privato si è detto deluso, «in questa manovra manca il timbro del sogno, io non l’avrei fatta così»; in pubblico ha ringraziato Giulio «per la pazienza» dimostrata. Gli ha perfino riconosciuto lo «spirito di collaborazione con i colleghi di governo» di cui si è avuta prova sui tagli ai costi della politica.

Immaginiamo la scena: Consiglio dei ministri interrotto a metà, tavolo «tecnico» convocato su due piedi, riuniti personaggi che con Tremonti una settimana fa si sarebbero presi a botte. Invece niente. Addirittura sorrisi tra il superministro e il suo competitor più agguerrito, Brunetta. L’unica discussione sgradevole ieri è scoppiata sul commercio estero, protagonisti il titolare dello Sviluppo (Romani) nervosissimo, «ho tutti gli industriali addosso», e quello della Farnesina Frattini (al quale verranno conferiti in dote i dipendenti dell’Ice). Tremonti se n’è tenuto estraneo. Due ministre, la Meloni con la Carfagna, gli si sono lanciate contro come Erinni per sapere dove aveva nascosto i fondi per la tutela della donna, ma il Professore ha replicato affabile, «ne parleremo con calma, vi spiegherò». Alla scuola niente amputazioni, la Gelmini (che nel Pdl ha un certo peso) è stata graziata. E il malcontento della Lega si è scaricato senza danni sul parafulmine-rifiuti: protesta vibrata di Calderoli contro il decreto salva-Napoli, Bossi ha pure fatto la scena di andarsene un paio d’ore, ma la sensazione è quella di una «combine».

L’unico argomento su cui ieri la Lega poteva piantare la grana, i tagli ai Comuni, è filato via liscio. Osvaldo Napoli, che nell’Anci fa funzioni di presidente, è disperato per il miliardo di euro in meno nel 2012, 2 miliardi nel 2013. Invece il Carroccio niente, al massimo qualche rimostranza. Tremonti se la cava rivedendo per i Comuni virtuosi il Patto di stabilità, come chiedeva Bossi. Un tempo era Berlusconi che metteva pace tra Giulio e il resto del pianeta; stavolta Silvio non ha toccato palla, il ministro ha gestito la mediazione in proprio trovando appoggi altissimi. L’uscita di Napolitano da Oxford, quando il Presidente l’altro ieri ha certificato che la concentrazione dei sacrifici nel 2013 e 2014 corrisponde ai «desiderata» europei, toglie il ministro dal mirino di Bersani. Ma soprattutto smentisce i «berluscones», che vantavano stoltamente lo slittamento dei tagli come una loro conquista.

La verità crudele narrata nelle segrete stanze è quella di un premier «evaporato», distratto, addormentato spesso in senso tecnico. Capita con una frequenza che nei fedelissimi allarma e fa quasi tenerezza. Berlusconi con gli occhi chiusi, la testa poggiata sul mento, durante il vertice a Palazzo Grazioli di martedì; poi di nuovo l’altro ieri nella riunione a Montecitorio dopo la bocciatura del decreto comunitario; e ancora ieri, semi-assopito a tratti nell’incontro con Regioni ed Enti locali sui rifiuti in Campania. Unico trasalimento verso la fine, quando Berlusconi è ritornato nei panni del «ghe pensi mi», correrò sotto il Vesuvio una volta ogni settimana, in un anno e mezzo del problema non resterà traccia...

Nel governo il pallino ce l’ha Tremonti. E oggi un quarantenne che sa gestire il potere come i vecchi draghi democristiani, Alfano, prenderà l’intero mazzo nel Pdl. In queste ore Angelino ha respinto l’assalto dei capicorrente che volevano metterlo sotto tutela, il «niente direttorio» è stata la sua prima vittoria. Oggi l’investitura da circa mille delegati ed eletti, «per certi aspetti vale perfino più di un congresso», annota Quagliariello. Berlusconi come la prende? «Ah, mi sa che dovrete cercarvene un altro, io ormai sono vecchio...», sospirava ieri con la civetteria di chi si attende dal popolo un coro di «nooo, non ci lasciare». Ma il tempo passa per tutti, compreso lui.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/409506/
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« Risposta #139 inserito:: Luglio 28, 2011, 05:29:52 pm »

Politica

27/07/2011 - RETROSCENA

Da dieci giorni il Quirinale chiedeva spiegazioni al Cavaliere

Il premier ora lamenta: "Il Colle vuole costringermi a litigare con la Lega"

UGO MAGRI
ROMA

Prima di prendere carta e penna, il Presidente le aveva tentate tutte. Addirittura sabato, prima che a Monza andasse in scena la cerimonia dei ministeri, tramite il centralino del Quirinale aveva cercato Letta. E col braccio destro del premier Napolitano era stato di una chiarezza adamantina: un trasferimento al Nord sarebbe «fuori delle regole e dei parametri costituzionali», davvero non si può fare. Ma già prima il Capo dello Stato ne aveva parlato direttamente con Berlusconi, l’ultima volta lunedì 18 luglio, quando il Cavaliere era andato a sciorinargli una lista lunga così di candidati per la poltrona di Guardasigilli... Parole al vento, tuttavia, perché Bossi e Calderoli, con Tremonti e la Brambilla, hanno dato vita ugualmente a quella che la sinistra e un po’ di destra considerano una «pagliacciata».

Che cosa doveva fare, a quel punto, Napolitano? Far finta di niente, e magari ricevere oggi o domani Berlusconi per la nomina di Nitto Palma a ministro della Giustizia? L’uomo del Colle non è certo tipo da farsi prendere in giro. Il testo della sua lettera resta riservato. Nel comunicato ufficiale tuttavia si parla di «rilievi e motivi di preoccupazione». In che cosa consistano le preoccupazioni è facile intuire: Napolitano teme la proliferazione delle rappresentanze ministeriali, dopo il Nord anche al Sud. Una volta incrinato il principio di Roma Capitale, è come se un fiume rompesse gli argini, ogni governo aprirebbe sedi dove gli pare. Napolitano vuole impedirlo.

Poi, spiega il comunicato quirinalizio, la lettera contiene svariati «rilievi». Osservazioni di natura costituzionale. Pare che i consiglieri del Presidente, sempre così «puntigliosi» (definizione del premier), stavolta abbiano superato se stessi. Scoprendo certi mostri giuridici, tipo quello contenuto nei decreti che Calderoli e Bossi hanno emanato l’uno per l’altro, dove eleggono la Villa Reale di Monza a «sede distaccata di rappresentanza operativa» per i rispettivi ministeri. Fanno notare dalle parti del Colle: le sedi distaccate sono previste dall’ordinamento, così pure quelle di rappresentanza. Ma «distaccate», «di rappresentanza» e al contempo pure «operative» è un controsenso inaudito. Berlusconi deve chiarire subito il pasticcio. O sono sedi dove si lavora, oppure semplici salottini per ricevere gente: entrambe le cose insieme non è possibile. La Costituzione lo vieta. Napolitano si attende per le prossime ore una risposta univoca dal presidente del Consiglio.

Spostiamoci dunque dal Quirinale a Palazzo Chigi. Bonaiuti, portavoce berlusconiano, molto flautato assicura che la lettera presidenzialeè «valutata con attenzione e con grande rispetto». Né lui né Letta la prendono sottogamba, questo è sicuro. Altro atteggiamentoquello del Cavaliere. E’ tornato dalla Sardegna con un chiodo fisso, quasi una paranoia: il maxi-assegno a De Benedetti. In aereo parlava di questo, e dell’altra che gli è capitata: visto che dispone di liquidità sufficiente per risarcire l’Ingegnere, pure la servitù ora ne profitta per battere cassa. Pare che i più stretti collaboratori di Arcore, dal maggiordomo all’autista, chiedano al premier aumenti dello stipendio, molto meno lauto di quanto si pensi. Berlusconi se n’è lamentato pure con Lino Banfi, ricevuto a Palazzo Chigi subito dopo il sindaco di Napoli De Magistris (col quale Silvio ha trovato, dicono, un’intesa naturale venata di simpatia).

Diversamente dalle «vecchie zie» (Letta e Bonaiuti), il premier è tentato di snobbare la lettera del Presidente. Vi scorge un’insidia politica: Napolitano «vuole costringermi a smentire Bossi e Calderoli sui ministeri, a dire che Monza è solo una messinscena, insomma a litigare con la Lega». Disegno che il Quirinale persegue con pervicacia, secondo il Cavaliere, sin da quando Napolitano gli fece sapere che mai e poi mai avrebbe consentito il trasferimento dei ministeri in Padania per decreto-legge. Il barometro politico torna a indicare maltempo. E chi rischia di farne le spese è Nitto Palma: la sua nomina a Guardasigilli sembrava fatta. Ma prima di metterci la firma, Napolitano pretende risposte alla sua lettera. E venerdì sera il Presidente parte per le vacanze.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413212/
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« Risposta #140 inserito:: Luglio 28, 2011, 05:32:33 pm »

Politica

28/07/2011 - RETROSCENA

Il Cavaliere medita: torno a Forza Italia


"Si riparte. Mi aspetto altri colpi legali ma non ci fermeranno"

UGO MAGRI
ROMA

Il futuro berlusconiano è un ritorno al passato, il sole dell’avvenire un carico di nostalgia. Qualcuno della cerchia di Arcore sussurra che l’amore con Veronica non si sia mai spento e gli amanti del gossip vagheggiano un impossibile ritorno di fiamma con la non ancora ex moglie: sai che colpo di teatro sarebbe, specie se si andasse presto a votare... Di certo Berlusconi prepara un altro clamoroso ritorno, quello della creatura politica più amata, Forza Italia.

Il «secondo predellino» da tanti invocato consisterebbe, per uno dei paradossi di cui Silvio è recordman, nel ripudio del predellino numero uno, quando stufo della nomenklatura interna Berlusconi decise a Piazza San Babila di fondare il Popolo della libertà. Da allora quattro anni sono trascorsi, ma il Pdl non ha ancora attecchito tra gli elettori. «Pensate», è il ragionamento svolto da Berlusconi a tavola con un gruppo di Governatori fedeli, «che nel Sud d’Italia addirittura declinano la sigla al femminile, “la” Pdl anziché “il” Pdl». Orrore, sacrilegio. Ma pure la dimostrazione che l’acronimo proprio non va.

Scientifico, il premier ha fatto svolgere dei sondaggi. Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) glieli ha confezionati in segreto. E, insomma, alla fine ecco saltar fuori la sorpresa: «Potremmo tornare a chiamarci come una volta», Forza Italia appunto. Oltretutto, argomenta da giorni il premier, «la fusione con Alleanza nazionale ormai è digerita, non ha più senso continuare nella logica che portava a spartire gli incarichi di partito nella percentuale del 70 e 30». Chi era d’ostacolo (Fini) se n’è andato per la sua strada. E quanti restano (gli ex An) sono ormai più berlusconiani dei vecchi forzisti... Insomma, proprio nel giorno in cui Alfano si dimette da ministro e diventa segretario del partito a tutti gli effetti, Berlusconi torna a vestire i panni del Padre Fondatore. Gelosia? Pentimento? Dalle parole del premier non si direbbe. Ad Angelino dedica sperticati elogi, se lo coccola, indubbiamente lo sostiene. Però si capisce che al Cavaliere non va di interpretare la parte di Tutankhamon (il nomignolo della mummia già circola nel partito e pare gli sia giunto all’orecchio).

Tutankhamon continua a ritenersi indispensabile per il partito, insostituibile nel governo. Usa coi Governatori riuniti intorno al desco (dalla Polverini a Caldoro, da Chiodi a Scopelliti) l’apologo ipocrita della immensa gioia che provarono Blair, Bush e Aznar quando lasciarono il potere («il giorno più bello della loro vita, mi hanno confidato») per aggiungere con un sospiro che a lui questa fortuna purtroppo non è ancora toccata, e deve dunque sobbarcarsi la fatica di mandare avanti l’Italia. «Si riparte», è l’atto di fede del Cavaliere. Prevede «altri colpi, nuove azioni legali» dopo il maxiassegno a De Benedetti che gli ha sottratto «i risparmi di una vita». Però «non ci fermeranno».

Tremonti è sotto tiro? «Non si dimetterà», garantisce ai Governatori. Le categorie economiche reclamano una svolta, un passaggio di mano al governo; invece Berlusconi rinsalda la sua fortezza, completa la squadra ministeriale, lancia in pista Nitto Palma che gli apre relazioni nuove con certi vecchi ambienti giudiziari della Capitale. Chi se ne intende prevede scintille tra il Guardasigilli e l’avvocato Ghedini, due galli nello stesso pollaio, «porto delle nebbie» contro «rito ambrosiano», l’eterna dialettica che si ripropone all’ombra del Cavaliere.

Alfano è riuscito a chiamarsi fuori dalle guerre sulla Giustizia con stile e con un tocco da Prima Repubblica (quando ha definito la carica di ministro «incompatibile con un così rilevante incarico politico», quello di segretario del partito). Si è subito spellata le mani una claque dove spiccano le congratulazioni per il «nobile gesto» da parte di Cicchitto e di Frattini, di Capezzone e di Rotondi, di Napoli e di Paniz, di Fitto e di Formigoni: segno che il giovane Angelino ha già un seguito nel partito, c’è chi scommette apertamente su di lui. «Potrà concentrarsi a tempo pieno sul partito», si compiace Berlusconi con tono paterno e paternalista. Sottinteso: se Alfano ha i numeri, d’ora in avanti lo dovrà dimostrare.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/413380/
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« Risposta #141 inserito:: Agosto 02, 2011, 11:51:50 am »

Politica

02/08/2011 - RETROSCENA

Alfano e gli emergenti del Pdl spingono Silvio al tutto per tutto

Bypassati Bossi e Tremonti, che non sapevano nulla

UGO MAGRI
ROMA

Questo sperano quanti si sono battuti per convincere un premier riluttante, solleticandone l’ego («solo tu puoi farcela»), rilanciandone le ambizioni («Sarkozy e la Merkel hanno saputo osare»). Tra i fautori del rischiatutto si segnalano numerose agguerrite ministre, il neosegretario del Pdl Alfano, il titolare dello Sviluppo Romani e, sotto sotto, colui che nel Pdl tutti indicano come il potenziale rimpiazzo di Tremonti, casomai la sua posizione dovesse precipitare, vale a dire Sacconi.

La loro tesi spericolata (ma non sono tempi normali) ha prevalso su quella dei consiglieri «pavidi» o semplicemente «prudenti», primo tra tutti Gianni Letta. I quali temono viceversa che se dopo il discorso del premier lo spread dovesse allargarsi, e magari crollasse di nuovo la Borsa, allora sarebbe chiaro urbi et orbi che il problema ha un nome (Silvio) e un cognome (Berlusconi). Un fiasco parlamentare sarebbe la piattaforma politica ideale per l’ultimo assalto dall’opposizione, dove affilano i coltelli. Rutelli già prevede che Berlusconi «sarà costretto a un passo indietro per una pressione drammatica dei mercati». La sorte del governo italiano può essere realmente decisa tra Londra e Hong Kong, in base al calcolo della speculazione. E Bonaiuti, portavoce berlusconiano, con onestà ammette: «Il mercato finanziario è sempre una gran brutta belva».

L’azzardo del Cavaliere non si esaurisce qui. Ha preso la decisione di parlare davanti alle Camere senza nemmeno informare a) il principale alleato di governo, vale a dire la Lega, e b) il ministro dell’Economia. Ieri mattina Bossi, Calderoli e Tremonti erano a colloquio nella sede milanese del Carroccio. Raccontano a via Bellerio che d’improvviso è piombata la notizia, Berlusconi andrà in Parlamento.

I tre si sono guardati in faccia, nello sbalordimento. Telefonata seduta stante al presidente del Consiglio per dirgli che è una vera follia, che è come infilare la testa sotto la ghigliottina, che per mettere le cose a posto bastava attendere giovedì i dati (positivi) sul Pil, che l’idea del campus estivo per trattare con le parti sociali quella sì è la strada giusta, che sarebbe una tragedia nella tragedia se dopo il dibattito alla Camera venisse per caso approvata qualche mozione contraria al governo...

Pare che dall’altro capo del filo Berlusconi abbia risposto balbettando un «posso ancora tornare indietro», o giù di lì: cosa che poi comunque non ha fatto perché a questo punto il dado è tratto, o la va o la spacca. Falso che sia stato Napolitano a pretendere un suo intervento in Aula: tutt’al più il Presidente gli ha chiesto per le solite vie diplomatiche di mostrarsi presente e vigile, cosa alquanto diversa. L’insistenza è venuta dal partito, dalla pressione forte di un Pdl che non ne può più di morire lentamente, e tenta di sterzare anche sulla scia degli eventi in America, dove Obama e i Repubblicani hanno stretto l’accordo antidefault dopo una battaglia dura ma corretta.

E’ sembrato, allo stato maggiore Pdl, che Berlusconi possa pretendere da Bersani, Di Pietro e Vendola, o quantomeno da Fini e Casini, la stessa ruvida lealtà. «Sfidiamoli», è la parola d’ordine, «dimostriamo che il governo agisce concretamente ed è pronto a discutere le loro proposte, casomai ne abbiano». Quelle del governo sono state anticipate da Alfano, 7 miliardi di euro in grandi opere pubbliche da decidere domattina nel Cipe, basta con il tremontismo che strangola l’economia, si cominci a investire sullo sviluppo.

Superfluo aggiungere Tremonti come l’ha presa (malissimo). Ma quello che da lontano può sembrare un pasticcio, una commedia degli equivoci, nell’ottica dei protagonisti è il limpido disperato tentativo di scaricare l’« uomo del no» profittando del caso Milanese, altrimenti nel 2013 non ci sarà storia, «andremo tutti a casa» ammette uno stratega del Pdl nuova gestione. Prova del nove sarà il discorso alla Camera e poi in Senato: per metterlo nero su bianco Berlusconi chiederà un contributo a Giulio, e magari a Grilli, direttore generale del Tesoro? Oppure se lo confezionerà oggi da solo, con i suoi ghost-writer e la consulenza di Sacconi? A Palazzo Grazioli ancora non è dato sapere.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/414048/
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« Risposta #142 inserito:: Agosto 12, 2011, 09:10:01 am »

Politica

12/08/2011 - RETROSCENA

Berlusconi: spalmare la manovra tra tutti

Berlusconi, Letta e Tremonti «convocati » da Napolitano

Il braccio di ferro notturno con Bossi "annacqua" i provvedimenti

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi cerca di trasformarsi nel Mago Otelma: la manovra c’è ma, oplà, non si vede. Tra tutti i sacrifici che il Consiglio dei ministri potrebbe adottare, il Cavaliere sceglierà solo quelli «invisibili», di cui la gente meno si accorge. Perché mascherati. Perché diluiti nel tempo. Perché li pagano in tanti, una goccia ciascuno... Per esempio, nella sua mente sarebbe stato perfetto un aumento dell’Iva. «Un punto percentuale in più, due al massimo», va sostenendo da giorni il premier, «porterebbero nelle casse dello Stato 12 miliardi di euro, cosicché la manovra chiesta dall’Europa sarebbe in buona parte già fatta». In questa logica Silvio benedice i tagli, specie quelli alla politica che gli suggerisce la mente insonne di Calderoli, perché tanto lui non ha bisogno di finanziamenti pubblici, né gli interessa mantenere folle di galoppini. Berlusconi accetta perfino qualche imposta mirata per le classi più alte, una sorta di eurotassa alla Prodi, come spruzzatina di equità, in quanto la considera utile per imbonire le parti sociali: a Napolitano l’ha data per certa, così come sicuro è l’aumento delle imposte sulle rendite finanziarie.

Berlusconi, viceversa, assolutamente non vuole che domani i giornali titolino sulla «stangata». È l’unica sua vera e grande ansia. Infatti pare stia pensando a un videomessaggio per spiegare agli italiani le sue ragioni. Si finge sereno, ma tanto tranquillo non è. Sente che la maggioranza rischia di sfaldarsi nel Parlamento. Se la manovra verrà percepita come «macelleria sociale», altro che elezioni nel 2013... La Lega non riuscirebbe a reggere, si andrebbe alle urne nella prossima primavera. Ecco perché i capelli si rizzano, sulla testa del Cavaliere, al solo proporgli una patrimoniale. Idem per interventi drastici sulle pensioni. Su questa linea lo sostiene a spada tratta il partito. L’intero gruppo dirigente comprende che qui si gioca il futuro del Pdl. La parola d’ordine collettiva è «spalmare» la manovra tra i vari ceti sociali secondo quella logica interclassista che fu tipica della Dc.

Peccato che Tremonti non sia d’accordo. O perlomeno: il titolare dell’Economia recalcitra all’idea berlusconiana secondo cui «due punti in più di Iva, e passa la paura...». Si è opposto perché un aumento delle imposte indirette avrebbe l’effetto di frenare la domanda interna, ma gli avversari interni (vedi Crosetto) sospettano che Giulio giochi al tanto peggio tanto meglio. Una delegazione del partito, guidata dall’attivissimo Alfano e composta dai capigruppo, ha tentato invano a sera di convincere l’uomo di via XX Settembre. Il braccio di ferro è proseguito a notte, con il premier sempre più pressante e con Tremonti in una condizione di solitudine aggravata da un paio di fatti. Il primo: Berlusconi ha avuto l’astuzia di farsi «commissariare» in sede europea. Quello che a sinistra è motivo di biasimo, per il premier costituisce l’ancora di salvezza. Nei diktat della Bce, lui cercherà giustificazione agli occhi degli elettori: «L’ho dovuto fare, non avrei voluto...». E nella persona di Draghi, Berlusconi sta trovando un contrappeso allo strapotere di Tremonti, fin qui assoluto. Una leva per piegare il ministro. La prova? Mai si era visto finora un premier «commissariato », e al tempo stesso felice ieri pomeriggio di ricevere il «commissario», cioè il futuro presidente della Bce. Un incontro definito a Palazzo Chigi «cordiale », anzi di più: «amichevole». Pare che Draghi abbia dato a Berlusconi graditi consigli e qualche utile conteggio sulla manovra, questo va bene e quello no. Dicono pure che l’incontro tra i due non abbia ben disposto Tremonti che considera Draghi, nei conciliaboli privati, alla stregua di un agente tedesco sotto mentite spoglie (Cicchitto l’ha duramente rimbeccato). Tutto ciò spiega, secondo il circolo stretto berlusconiano, come mai il Professore fosse teso al punto, ierimattina nell’audizione alla Camera, da dare pagelle a tutti, leader dell’opposizione compresa: altra circostanza che lo rende politicamente più debole.

Il risultato finale è praticamente a somma zero. Il vertice notturno con Bossi ha deciso di non decidere, in fondo come gradisce il premier: niente aumento dell’Iva, però nemmeno interventi risolutivi sulle pensioni (il governo ne caverà al massimo un miliardo). Il grosso dei risparmi promessi all’Europa viene affidato alle due deleghe, quella fiscale e l’altra assistenziale, ancora senza impegni chiari. Si torna alla casella di partenza. Ora la domanda è: chi glielo va a dire, ai mercati?

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/415476/
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« Risposta #143 inserito:: Agosto 22, 2011, 04:17:46 pm »

Politica

22/08/2011 - INTERVISTA

Casini: "Berlusconi osi senza subire i veti di Bossi. Il Parlamento lo sosterrà"

"La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo: ormai la previdenza deve adeguarsi alla durata della vita"

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi la smetta di giocare a nascondino. Prenda l’iniziativa. Rifiuti di subire i veti della Lega. E se troverà il coraggio di chiedere all’Italia i sacrifici necessari con misure veramente serie ed eque, allora troverà pure i voti che gli servono in Parlamento», assicura Pier Ferdinando Casini, leader del Terzo Polo.

Un momento, scusi: la manovra del governo non è già abbastanza severa? Qui si parla di 45 miliardi levati dalle nostre tasche...
«Intanto faccio notare che le tensioni interne alla maggioranza rischiano di rendere tutto quanto inutile, sacrifici compresi. L’Europa ci tiene d’occhio, certi atteggiamenti divaricati non sfuggono. Hanno fatto di corsa la manovra per dare un segnale ai mercati e a chi compra i nostri titoli di Stato, in primis la Bce. Ma oggi la babele di linguaggio nella maggioranza è tale che rischia di azzerare i vantaggi della rapidità».

Fantastico. E poi?
«La manovra è iniqua. Colpisce quanti non evadono nemmeno un euro. Non si capisce perché chi circola in yacht con un reddito dichiarato di 30 mila euro non debba pagare niente, e lo Stato se la prenda con i soliti che è più facile spennare».

Cioè i redditi sopra i 90 mila euro. Però il governo pare intenzionato a salvare chi ha figli a carico.
«Il quoziente familiare mi va benissimo, ma è la tassa che va levata. Colpisce il ceto medio e finisce per rendere addirittura più equa la patrimoniale».

Quindi pure lei la pensa come Montezemolo...
«Con tutto il rispetto per Montezemolo, già due mesi fa in Parlamento io dissi: chi più ha più deve dare. La patrimoniale è un nome odioso, ma un prelievo sulle grandi ricchezze sarebbe la cosa giusta».

Allora anche la Chiesa dovrebbe pagare l’Iva, dicono dal fronte laico...
«Ma che laicismo, questo è anticlericalismo d’accatto. Si ignora la straordinaria dimostrazione giornaliera di solidarietà da parte del volontariato, la supplenza che viene svolta nei confronti di uno Stato assente. Via, non si può considerare la Chiesa alla stregua di un imprenditore immobiliare...».

Torniamo alla manovra. Dove trovare le risorse per renderla più equa?
«Si potrebbe agire sull’Iva, piccolissimi aggiustamenti a livello di decimale sull’aliquota del 20 per cento. Oppure, meglio ancora, si possono fare quelle riforme strutturali che l’Europa ci chiede, e sono assenti da questa manovra. Incominciando dalle pensioni. L’adeguamento dell’età pensionabile alla durata della vita è ormai ineludibile, per uomini e donne».

Lei si sta attirando i fulmini della sinistra.
«Dire "le pensioni sono tabù" è l’argomento più conservatore e retrogrado che possa esserci. Abbiamo messo al sicuro i diritti acquisiti, tutelato chi è già in pensione, levato i lavori usuranti... Adesso dobbiamo farci carico dei giovani, dei non garantiti: c’è un problema di equità nei loro confronti. Non capisco perché la sinistra sia così reticente».

Anche Bossi fa muro sulle pensioni...
«La Lega fa muro contro tutto ciò che è innovativo. Perché le province non si sono ancora cancellate? Perché non si sono liberalizzati i servizi pubblici locali? Bossi si oppone a tutti i fattori di modernità».

Lo dice perché l’altra notte Bossi le ha scagliato un insulto...
«No, quello fa parte del folklore e poi in un certo senso è un regalo, in quanto fa capire la differenza tra chi fa politica seriamente e chi urla slogan da osteria. Il vero dramma è che chi usa questi toni da bar sport tiene in ostaggio l’Italia grazie a un’alleanza che il Pdl ha coltivato in modo dissennato».

Berlusconi, dunque, dovrebbe superare i veti di Bossi e procedere sulle pensioni...
«Il presidente del Consiglio non può continuare a fare lo spettatore, oppure giocare a scaricabarile con Tremonti. Vuole portare avanti il tema dell’età pensionabile? Vuole gradualmente abolire le province, ma tutte e senza quella buffonata di togliere solo le più piccole? Ebbene, abbia il coraggio di dire quello che pensa. Si presenti alle Camere, faccia un discorso lineare, limpido e chiaro, e una maggioranza la troverà».

Perché dovrebbe trovarla?
«Perché a quel punto anche l’opposizione non potrà che fare una scelta a favore della nazione. Ma ciò richiede da parte del premier una chiarezza d’intenti, una coerenza di propositi che per ora si fa fatica a vedere».

Mettiamo che non accolga il suo suggerimento.
«Non si meravigli poi se il fossato tra il governo e il Paese crescerà ancora».

Berlusconi l’ha mai chiamata per dire: affrontiamo uniti questa emergenza?
«L’unico che ha usato la cortesia di farsi sentire è stato Alfano, persona che stimo, ma che si trova a sbrogliare delle contraddizioni tutte addebitabili a Berlusconi: un compito poco invidiabile, il suo».
Napolitano denuncia le semplificazioni propagandistiche e le visioni consolatorie...
«Il Presidente ci invita a parlare il linguaggio della verità. A smetterla con le furberie, con gli spot elettoralistici, con i tentativi di compiacere la gente. Questo è il momento delle scelte impopolari troppo a lungo rinviate».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416445/
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« Risposta #144 inserito:: Agosto 31, 2011, 11:55:04 pm »

Politica

31/08/2011 - RETROSCENA

Buco miliardario nella manovra: i ministri temono di pagare loro

Il ministro Tremonti si è detto soddisfatto dell'esito del vertice di Arcore che ha modificato al manovra

Sindaci in corteo a Milano contro la manovra

Tagli ai dicasteri in vista per far quadrare i conti?

UGO MAGRI
ROMA

Un brivido corre lungo la schiena dei ministri, specialmente di quelli «con portafoglio». Pure tra loro comincia a diffondersi il timore che ci sia un problema serio di copertura; che dopo le ultime correzioni decise ad Arcore si sia aperto un «buco» da 5 miliardi nei conti; e che Tremonti, per farvi fronte, abbia in serbo qualche strana sorpresa. Lui, il Professore, è a Lorenzago, il suo telefono non ha campo per cui risulta irraggiungibile (altra circostanza sospetta). Vuoi vedere, cominciano a domandarsi i suoi colleghi di governo, che il caro Giulio sta già pensando di rifarsi su di noi? Scommettiamo, si sfogano sommessamente, che alla fine presenterà il conto sotto forma di tagli aggiuntivi ai nostri ministeri? Voci incontrollate dalla Ragioneria generale dello Stato fanno sapere che questa preoccupazione non è del tutto infondata, anzi. Ma pure senza l’ausilio dei tecnici, il problema si coglie ad occhio nudo: la Lega non regge la stretta sulle pensioni. E' lì che si sta aprendo una falla grossa così.

Quando Calderoli aveva dato via libera, nel vertice dell’altro ieri, pensava che il divieto di computare gli anni di studio e di leva riguardasse soprattutto il Sud, invece pure in Padania sono tanti quelli arrabbiati. Stamane ci saranno incontri al ministero del Lavoro, però già ieri era tutto un turbinio di ipotesi su come porre rimedio, dove trovare altri denari casomai la retromarcia sulle pensioni fosse obbligata. Persone vicine a Tremonti buttano lì, non si sa se per scherzo o per gusto di provocare: «Beh, nel caso saltino le pensioni non c’è problema: rimettiamo nella manovra il contributo di solidarietà...». Cioè proprio la tassa che ieri Berlusconi si vantava su «Studio Aperto» di aver cancellato. Però c’è pure chi, nel Pdl, torna alla carica sull’Iva, «potremmo aumentarla di un punto e saremmo a posto»: come se sette ore di discussione ad Arcore fossero trascorse invano.
Mettere nero su bianco le decisioni del vertice sarà un’impresa pure sul piano tecnico. «Nella stesura degli emendamenti si rischia», ammettono autorevoli fonti parlamentari, «un gigantesco pasticcio». Non a caso giovedì alle 9 e 30 è convocato il Consiglio dei ministri per apportare in corsa eventuali ulteriori variazioni. E ancora: ai piani alti del governo si teme, senza dirlo pubblicamente, un intervento a gamba tesa del Quirinale. Il terrore che Napolitano scateni i suoi consiglieri giuridici e faccia a pezzi la manovra spiega lo zelo con cui viene perorata, specie dal presidente del Senato Schifani, la teoria del dialogo con l’opposizione: un modo per far contento l’uomo del Colle. In pratica l’intenzione è di non mettere la fiducia sul decreto, accogliendo qualche proposta dall’altra sponda. Bonaiuti, portavoce del premier, la mette come sfida in positivo a Pd e Udc. Ma c’è il rischio che, senza fiducia, perfino al Senato nella maggioranza si scateni la fiera del distinguo. Alemanno, sindaco di Roma, sollecita già la quarta versione della manovra, suscitando l’ira del premier («vuole scaricare sul governo la colpa delle sue difficoltà»). Invocazione raccolta ai vertici del Pdl: «Che il Cielo ce la mandi buona»

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417544/
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« Risposta #145 inserito:: Settembre 01, 2011, 08:38:15 am »

Politica

01/09/2011 - RETROSCENA

"E' stata colpa di Sacconi"

"Sulle pensioni è stato fatto un errore", Sacconi indiziato numero uno.

"No a inasprimenti, adesso dobbiamo far pagare a tutti le tasse"

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi ammette l’« errore» del governo sulle pensioni. Ma, ancor più della ricaduta in patria, lo preoccupa l’immagine internazionale. Teme che i mercati giudichino il governo allo sbando.
Oggi profitterà del summit parigino sulla Libia «per tranquillizzare l’Europa e la Bce sulla serietà della manovra».

Appena Berlusconi si troverà davanti il presidente della Commissione Ue Barroso e tutti gli altri capi di governo, dirà loro «che siamo impegnati a rispettare i saldi finali, dunque non devono preoccuparsi delle notizie dall’Italia perché, in collaborazione con Tremonti, abbiamo saldamente in mano la situazione». Stessi concetti, anticipa un premier parecchio determinato, esprimerà oggi per telefono ai vertici Bce coi quali il rapporto è strettissimo da prima di Ferragosto. Furono proprio loro, svela Berlusconi, «ad avvertirci che avevano notizia di un nuovo attacco speculativo cui stavolta si sarebbero associate grandi banche e pure certi fondi d’investimento d’oltreoceano». Momenti difficili e concitati, in cui da Francoforte lanciarono il famoso ultimatum: «Noi possiamo aiutarvi, però prima dovete anticipare di un anno la manovra già decisa». A tal fine, tramite Bankitalia, «ci diedero un elenco di misure» con cui far fronte all’emergenza, «raccomandandosi di procedere in tutta fretta, perché nel weekend dovevano riunire i governatori che a loro volta avrebbero informato i rispettivi governi» sull’anticipo dei sacrifici in Italia. Il governo «fece del suo meglio» ma, invoca ora comprensione il premier, «avemmo meno di 4 giorni per fare la manovra». E sebbene «io avessi lavorato 20 ore al giorno sui provvedimenti», alcuni aspetti lo lasciarono insoddisfatto.

L’idiosincrasia del Cavaliere per la parola «tasse» è a tutti nota. Non si stenta a credere, dunque, che davvero il cuore gli «grondasse sangue» quando varò il contributo di solidarietà. Da subito decise di cancellarlo. Ma come riuscirci a saldi invariati? La via maestra sarebbe stata alzare l’età pensionabile, riconosce. Peccato che ci fosse «il no assoluto» della Lega. Sennonché, colpo di scena. Durante il vertice di lunedì ad Arcore, «arriva a Tremonti la telefonata del ministro Sacconi che gli dice: Cisl e Uil potrebbero accettare un intervento limitato agli anni dell’università e del servizio di leva». A nome della Lega interviene a quel punto Calderoli e annuncia «lo possiamo accettare», cosicché la misura entra nel comunicato finale. Confessa candidamente il premier: «Pensavamo che riguardasse poca gente, invece poi abbiamo scoperto che riguardava oltre 600 mila persone, compresi quanti avevano già pagato». Una misura «troppo odiosa», chiaramente non poteva reggere, tra l’altro «Calderoli è stato completamente sconfessato dagli altri leghisti».

Berlusconi nega che ora sussistano problemi di copertura. Pure lui, come Tremonti, è convinto che la lotta all’evasione darà grandi frutti. Ieri si sono visti Befera (direttore generale delle Entrate) e Ghedini (avvocato del premier) per studiare misure efficaci, un giro di vite spiegato da Berlusconi con queste parole mai udite prima dalla sua bocca: «Al punto cui siamo arrivati, non si può bastonare chi già paga le tasse. E’ tempo che tiri fuori i soldi chi non le ha mai pagate». Lotta senza quartiere all’evasione, dunque. Senza esagerare, tuttavia, poiché «mica possiamo precipitare in un sistema di polizia tributaria», dove si applicano strumenti di tortura alla Torquemada. Al momento il «buco» da colmare viene stimato dal premier in un paio di miliardi o poco più, perché Tremonti sta lavorando alacremente alle coperture, molte le ha già trovate e altre ne troverà. Ma può accontentarsi l’Europa di quxeste promesse? Come reagirà la signora Merkel, sempre così scettica sui nostri impegni di maggior rigore? Come la prenderanno i mercati?

Il Cavaliere ritiene che facciano molto danno all’estero certe dichiarazioni, di Casini in particolare, su un governo in stato confusionale. Tuttavia è sereno perché ritiene di avere un asso nella manica. Si chiama «clausola di salvaguardia» e l’idea, in verità, non è sua ma è nata nella mente fervida di Calderoli. Consiste nell’impegno a varare un aumento dell’Iva nel caso malaugurato in cui la lotta all’evasione non desse i frutti sperati. L’aliquota del 20 per cento «salirebbe al 21 o anche al 22», in modo da garantire entrate rispettivamente per 4 e 8 miliardi. Potrebbe anche trattarsi di un aumento dell’Iva solo temporaneo, per 3-6-12 mesi. L’importante è che in Europa possano fidarsi di noi, e sappiano che «abbiamo un paracadute» sempre disponibile in qualunque momento. Spera di vincere così le inevitabili diffidenze.

I mercati si chiedono anche quando verrà approvata la manovra definitiva. Qui però Berlusconi ha un vincolo: «Ho già detto in maniera chiara che le misure non sono fisse e intoccabili». Casomai se ne dimenticasse durante l’esame parlamentare del decreto, provvederebbe il Presidente della Repubblica a rammentargli il metodo del dialogo che significa, concretamente, niente approvazione a tappe forzate oppure a colpi di fiducia. Ma anche disponibilità all’ascolto nei confronti dell’opposizione e delle parti sociali. L’impegno del premier parrebbe sincero. «Siamo aperti a esaminare al Senato qualunque proposta migliorativache fosse avanzata da chiunque». Il governo intende procedere «non più in una logica di divisione partitica ma sulla base solo del buonsenso». Tutto può essere cambiato, ad eccezione dei saldi finali. In caso contrario, l’esame parlamentare del decreto da 45 miliardi si trasformerebbe nell’ennesimo assalto alla diligenza.

In conclusione: Berlusconi mastica amaro per la cattiva figura sulle pensioni di cui ritiene colpevole Sacconi (il ministro a sua volta ritiene di essere stato a sua volta illuso da Bonanni e da Angeletti, altrimenti mai si sarebbe mosso). Comunque il premier è convinto di avere l’occasione per riscattare il prestigio internazionale del governo. «Alla Bce e all’Europa oggi dirò che la nostra è una manovra seria, e che manteniamo lo stesso impegno di due settimane fa a rispettare tutti gli obiettivi di risanamento».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/417717/
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« Risposta #146 inserito:: Settembre 03, 2011, 11:42:23 am »

Politica

03/09/2011 - RETROSCENA

Il Cavaliere accerchiato sente aria di ribaltone

Sconvolto dall’inchiesta di Bari, teme un governo tecnico

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi è sotto schiaffo nel momento peggiore, mentre la speculazione accerchia l’euro e martella l’Italia (anello debole). Lo sfogo telefonico sul «Paese di m...» sta girando il mondo, ne parla pure la Cnn, e non accresce il nostro prestigio né quello del governo. La mente del premier è quasi totalmente assorbita dall’inchiesta Tarantini-Lavitola; dall’ansia per l’interrogatorio di Marinella, più che una segretaria quasi una figlia. Lo solleva in parte la certezza che «lei è fortissima», reggerà lo stress; lo snerva la prospettiva di doversi accomodare a sua volta davanti ai pm per vuotare il sacco su «Mignottopoli». «E’ l’ennesimo tentativo di farmi fuori», si sfoga con chi lo chiama al telefono per parlar d’altro, principalmente di manovra. L’amarezza lo porta a commettere errori tragici, come l’insulto agli oppositori («criminali» è sbottato l’altra sera da Parigi) che fa inviperire proprio quando dovrebbe chiedere loro una mano. «Fa d’ogni erba un fascio, non distingue più tra Woodcock e Bersani», tenta di giustificarlo un amico. E una ministra a lui fedelissima: «Temiamo le conseguenze di questa sua condizione umorale». Nel pieno delle tempesta abbiamo un premier col cartello «fuori servizio».

Intorno a lui trionfa la solita doppia verità. In pubblico tutti dicono «non c’è problema, i conti tornano». Nella vulgata governativa, le acque si calmeranno non appena il Senato avrà messo il timbro, una questione di giorni, una settimana al massimo. In privato, viceversa, si riconosce che i tempi parlamentari sono eccessivi, che nella maggioranza regna un bel caos, oltre a sindaci e governatori sono sul piede di guerra i ministri del Pdl, forti di una nota della Ragioneria in cui si definiscono (così vanno dicendo) «insostenibili» i tagli già decisi per i loro dicasteri.

Ma l’ansia più grave sono le Borse, i mercati. Dalle stanze governative si seguiva ieri con trepidazione l’impennata dello spread coi titoli tedeschi. Ministri importanti si domandavano a che gioco sta giocando la Bce, non era impegnata a sostenerci? La «manina» o «manona» di Draghi perché non fa più incetta dei nostri poveri Btp? Nei corridoi di Palazzo Chigi trionfa il complottismo. Si colgono «strane coincidenze» che a chiunque sfuggirebbero, tipo la nuova cascata di rivelazioni sull’Italia da Wikileaks. Si ipotizzano complotti della finanza anglosassone per seminare caos e svaligiare il Belpaese. Semina il panico nel Palazzo l’eventualità che il «caso Milanese», oggi dormiente, possa ridestarsi per effetto delle solite fughe di notizie dalle procure, investendo Tremonti proprio mentre sta negoziando coi partner europei. Già, perché tra una settimana si riuniscono i ministri delle finanze Ue, e sarà un passaggio da brivido. Metti caso che il differenziale con i titoli tedeschi salga ancora di più, ben oltre la quota 326 toccata ieri: c’è il rischio che l’Europa ci ingiunga di fare le persone serie, di prendere misure feroci perché non basta neppure la terza manovra, ne serve una quarta...

Anche qui, ufficialmente valgono le garanzie di Tremonti sulla copertura della manovra, col portavoce berlusconiano Bonaiuti polemico contro quanti alimentano dubbi «da 500 milioni o al massimo un miliardo rispetto a un decreto che di miliardi ne vale 45». Calderoli brandisce come una clava contro i giornali le dichiarazioni rasserenanti del portavoce di Angela Merkel. E casomai dovesse proprio servire, è pronta la carta di riserva sotto forma di aumento dell’Iva. Poi però, negli stessi ambienti governativi, circola la domanda: «Come mai D’Alema e Bersani si dicono pronti a sostenere un governo tecnico? Perché improvvisamente l’ex banchiere Profumo dà la propria disponibilità a impegnarsi in politica?». Risposta: «C’è puzza di bruciato», il Cavaliere è sulla graticola, c’è chi punta a seminare il panico, alla crisi, per poi mettere in piedi un ministero tecnico che nel clan berlusconiano ha già un nome: sarebbe il governo Monti-Scilipoti. Perché a quel punto i Responsabili nessuno li fermerebbe più. Pur di non andare a casa, sosterrebbero qualunque governo. Come hanno già dimostrato.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418415/
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« Risposta #147 inserito:: Settembre 04, 2011, 05:24:51 pm »

Politica

04/09/2011 - IL CASO



Il premier Silvio Berlusconi

Il ministro dopo gli attacchi del Pdl: sei tu il regista? Il premier: non c’entro. Alfano: nel 2013 Silvio leader

UGO MAGRI

Una buona notizia: tra Berlusconi e Tremonti ritorna il sereno. Deve far piacere a tutti perché, se continuassero le tensioni dei giorni scorsi, sarebbe come viaggiare a bordo di un jet mentre i piloti si prendono a sberle. Perlomeno adesso sappiamo chi sta alla cloche nella tempesta finanziaria, cioè Tremonti. Berlusconi pare gli abbia garantito quei margini ampi di manovra che il Professore aveva sempre avuto, ma che gli erano stati erosi dall’attivismo di Alfano. Non per nulla ieri mattina i giornali traboccavano di polemiche targate Pdl nei confronti del ministro. Il quale ha chiamato Arcore, si è fatto passare il padrone di casa e gli ha chiesto, sostanzialmente: a che gioco giochiamo? Sei tu il regista degli attacchi nei miei confronti? Parliamone un momento...

La smentita del premier
«Io non c’entro nulla», ha protestato con veemenza. Tra l’altro la sua testa è realmente altrove, assorbita dall’ultimo exploit di porno-politica, l’inchiesta Tarantini-Lavitola che Berlusconi considera un’«aggressione assurda» nei suoi confronti, «con la scusa di difendermi in realtà quei pm vogliono mettermi in mezzo». Di manovra il premier si sta occupando, tiene i contatti coi capigruppo e con le commissioni, però «Giulio stai sereno, ti sto aiutando nei limiti del possibile». Tremonti ha avuto il sentore (raccontano amici suoi) che Berlusconi fosse sincero. E a rafforzare l’impressione sono intervenuti due fatti. Prima una nota del portavoce Bonaiuti, per spiegare che certe cose il premier non solo non le ha dette ma «nemmeno pensate». Poco dopo, Alfano in persona ha manifestato fiducia nell’operato di Tremonti, dichiarazione che non è parsa casuale.

Silvio forever
A fare però rumore è stata una previsione del segretario politico Pdl: alle elezioni del 2013 «Berlusconi sarà nuovamente candidato», quindi non avrebbe molto senso fare le primarie «per sapere che lui è il leader». Ha pure escluso, Alfano, che Berlusconi miri al Colle più alto. Bene, evviva, hanno manifestato giubilo dirigenti del partito e ministri. Spiegano sottovoce a via dell’Umiltà: Alfano vuole scrollarsi da dosso il sospetto (circola nella corte di Arcore) che lui voglia fare le scarpe al Capo profittando del suo momento no. Angelino è sinceramente devoto a Berlusconi, questo chiacchiericcio lo disturba, di qui l’uscita. Si è aperto così un dibattito che al leghista Calderoli sembra un filo surreale, in quanto «al 2013 penseremo dopo esserci arrivati, nel presente affrontiamo e superiamo la crisi». Oppure, per usare la cautela diplomatica di Frattini, «sarà Berlusconi a decidere se candidarsi e non altri», nemmeno i suoi fan più scalmanati. Tra l’altro, non si è appena fatto sfuggire il premier che vorrebbe andarsene da questo «Paese di m...»? Perplesso Bersani, segretario Pd: «Stanno fantasticando sull’orlo dell’abisso». Sarcastico Enrico Letta: «Berlusconi si ricandida? Che bella notizia per noi...». Indignato Bocchino: «Stupisce che Alfano ricandidi Berlusconi proprio mentre emerge che il premier e Lavitola usavano metodi da criminalità organizzata».

L’«ora della verità»
Scatterà domani, all’apertura dei mercati finanziari quando capiremo se e fino a che punto regge l’impianto della manovra. Dovesse impennarsi lo «spread» oltre una certa quota, dice Rutelli alla festa dell’Api, «l’avvitamento della situazione economica potrebbe cambiare l’agenda politica», aprendo la via a un altro governo. Per certi versi concorda nella diagnosi Cicchitto, capogruppo Pdl, il quale lancia una sorta di «avviso ai naviganti»: cari amici del partito che protestate contro il decreto, fate bene attenzione perché «il quadro internazionale resta assai grave», potrebbero farne le spese l’Italia e il governo. Intanto mettiamo gli egoismi da parte, poi per fare i conti ci sarà tempo...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418518/
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« Risposta #148 inserito:: Settembre 06, 2011, 03:17:17 pm »

Politica

06/09/2011 - MANOVRA LE MISURE

Senato, governo tentato dalla fiducia

Il presidente del Senato, Renato Schifani, si è pronunciato per un percorso parlamentare della manovra senza forzature

Le condizioni del Pd per ritirare gli emendamenti: via i tagli ai Comuni e la norma sui licenziamenti

UGO MAGRI
ROMA

Casini dice che «dovremmo fare come in Germania, dove in momenti difficili le forze agli antipodi si sono unite». Il leader del Terzo Polo si spinge a proporre un governo di responsabilità nazionale, con tutte le energie migliori di questo Paese. L’idea è suggestiva, ma in attesa che maturi prepariamoci a una giornata di alta tensione in Senato sulla manovra. Pareva che questa venisse approvata senza l’ennesimo voto di fiducia, in quel clima di responsabilità collettiva che il Presidente della Repubblica invoca.

Viceversa c’è il rischio di assistere all’ennesima prova di forza (o di impotenza) da parte del governo, perché i tempi stringono, per rispettare il calendario imposto dai mercati e la manovra deve essere approvata entro domani sera: così reclama con forza il ministro Tremonti. Venerdì se la dovrà vedere con i colleghi del G7 e teme di presentarsi a mani vuote. Ma le procedure parlamentari sono tali, per cui si può far presto solo in un clima di sostanziale concordia tra gli schieramenti. Bisognerebbe che tutte le opposizioni ritirassero gli emendamenti, o tenessero solo quelli concordati con l’altra sponda, in modo da affrettare le conclusioni del dibattito in aula. Il Pd sarebbe disposto. C’è una dichiarazione della capogruppo Finocchiaro molto esplicita e molto seria al riguardo. Piccolo particolare: il Pd chiede in cambio alla maggioranza di rinunciare ai tagli nei confronti degli enti locali, ma soprattutto di cancellare il famoso articolo 8, quello che da sinistra viene inteso come facoltà di licenziare e da destra come flessibilità del mercato del lavoro.

Che Bersani avanzi queste richieste, non deve stupire. Il segretario Pd, leader del maggior partito di opposizione, non può farsi scavalcare nella protesta contro la manovra da sindaci e presidenti di Regione, oltretutto targati Pdl. Ieri, in una sala vicino alla Camera, è partita una maratona oratoria non-stop inaugurata proprio da un discorso di Alemanno, cui sono seguiti gli attacchi violentissimi contro il governo da parte di Formigoni (C’è il rischio di una rivolta sociale») e della Polverini («Non ho più intenzione di prendere schiaffi, questa manovra è un pasticcio»). Una rinuncia del governo ai tagli per Regioni e Comuni è il minimo, a questo punto, che Bersani possa esigere, se non vuole fare la parte del complice di Berlusconi. Idem sull’articolo 8: come potrebbe il Pd mollare la presa proprio nel giorno in cui la Cgil tiene il suo sciopero generale? Impossibile.

Altrettanto difficile, tuttavia, è che il Pdl faccia marcia indietro su quei due punti. Quagliariello, capogruppo vicario al Senato, definisce le richieste dal Pd «paradossali», sarebbe come pretendere che il governo rinunci alla manovra. Ma se il Pdl rimarrà sulle sue posizioni, allora anche il Pd conserverà i suoi 390 emendamenti. Col risultato che non si farà in tempo a votare il decreto entro domani sera, come vorrebbe Tremonti. Il quale ieri s’è visto in via Bellerio a Milano con Bossi e con Calderoli. Si è vociferato che avessero discusso di manovra, ma una smentita da via XX Settembre ha chiarito: solo amicizia e rapporti personali.

Insomma, nonostante il personale impegno del presidente di Palazzo Madama Schifani per creare il clima parlamentare adatto, nonostante il capogruppo Pdl al Senato Gasparri voglia evitare il ricorso del governo alla fiducia («Avevamo sempre detto che non l’avremmo messa»), ieri sera la sensazione era che proprio alla fiducia, inesorabilmente, si andasse a parare. Per inerzia. Per mancanza di una regia politica. L’intervento serale di Napolitano, con la richiesta di rafforzare la manovra, è volto proprio a suscitare un sussulto di responsabilità nei protagonisti, e a evitare un finale della vicenda che sembra già scritto.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/418874/
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« Risposta #149 inserito:: Settembre 11, 2011, 03:38:22 pm »

Politica

11/09/2011 - RETROSCENA

La grande paura di Berlusconi: perdere la pazienza davanti ai pm

Silvio potrebbe aggredire verbalmente Woodcock

Per questo starebbe lavorando a un memoriale

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi va in Europa per schivare i pm, questo è sicuro. Le dimissioni del consigliere Bce Stark, che sarebbero la scusa del viaggio, sono intervenute quando lui aveva già chiesto a Barroso di incontrarlo a Strasburgo proprio martedì, in modo da poter dire ai pm napoletani: non ho il dono dell’ubiquità, la crisi ha precedenza. Uno strano mutismo del suo entourage accompagna la mossa, forse perché pure la lealtà ha un limite. Però qualcosa filtra. Silvio cerca di guadagnare tempo perché spera di trovare un codicillo giuridico che gli consenta di scansare per sempre certe domande. L’avvocato Ghedini pare stia valutando se il suo cliente potrà negarsi all’interrogatorio in quanto già imputato a Milano di reato connesso: sarà Ruby, non sarà la D’Addario, ma sempre di «bunga-bunga» si tratta...

Vorrebbe cavarsela, il Cavaliere, con un memoriale. Qualche pagina per illustrare ai pm la sua verità: da Tarantini niente ricatto, l’aiuto da 850 mila euro fu generoso e spontaneo. Più della minaccia di manette seduta stante, casomai gli si allungasse il naso, Silvio teme se stesso, quello che potrebbe uscire dalla sua bocca quando si trovasse davanti Woodcock. Potrebbe aggredire verbalmente il pm anglo-partenopeo, rinfacciargli le fughe di notizie, sebbene alcuni dei suoi strateghi l’abbiano messo in guardia: nemmeno i magistrati hanno un controllo pieno e totale, il segreto istruttorio a Napoli è un colabrodo, nessuno ferma più la pioggia di indiscrezioni. Comprese quelle più devastanti, i cui echi sono giunti perfino sul Colle più alto, dove i consiglieri quirinalizi tremano al pensiero di come reagirebbe la Merkel, se davvero il premier avesse detto su di lei quanto viene riportato dal «Fatto quotidiano» e a Berlino stanno già traducendo in tedesco, sebbene il gossip sia irriferibile. Da mettersi le mani nei capelli: proprio mentre la Cancelliera si sta battendo per aiutare l’Italia, ecco che da Roma la centra un insulto goliardico...

E qui scatta la grande paura del clan berlusconiano: il viaggio in Europa, concepito per evitare le domande su Tarantini, rischia di diventare un boomerang. L’incontro con Barroso avrà luogo al Parlamento europeo quel giorno particolarmente affollato, poiché il gruppo socialista designerà a futuro presidente dell’Assemblea una vecchia conoscenza di Silvio, quello Schulz al quale il Cavaliere aveva dato del «kapò». Anche se il cerimoniale eviterà al premier un passaggio in Aula, facile immaginare che transitando in un’adunata di socialisti l’accoglienza sarà memorabile. L’incidente è garantito al limone.

Il meno preoccupato di tutti dicono sia lui. A chi è andato a trovarlo ieri (a parte Letta e Ghedini) non ha fatto che ripetere con tono di chi conosce l’Italia: «Le intercettazioni? Bah... La gente ormai è assuefatta, faranno rumore un giorno tutt’al più». A fare un passo indietro non pensa neanche, addirittura ha presieduto una riunione di partito sulle modalità di svolgimento dei congressi comunali e provinciali, roba da pisolino e invece lui nemmeno uno sbadiglio. Proclami affidati alla trasmissione di Vespa: «Siamo sicuri che resteremo fino a fine legislatura, come è logico che sia». Non va scambiata per boutade, lui lo pensa sul serio. Gli hanno riferito che qualche altro «responsabile» potrebbe passare in maggioranza, così Berlusconi pensa che (a parte i fastidi giudiziari) tutto proceda a gonfie vele.

E’ il solo a vedere rosa. Chi gli sta intorno, si sente all’ultimo atto della commedia. Secondo Osvaldo Napoli, che assorbe gli umori del centrodestra, «era tutto calcolato, si sapeva che l’assalto giudiziario sarebbe ripartito dopo le vacanze». Nessuno avrebbe immaginato il leader a contatto con certa gente, dire certe altre cose al telefono, addirittura pensarle. Un generale della vecchia guardia si sfoga in privato: «Di questo passo, Berlusconi va incontro alla rivolta, la rivolta del disgusto. Parlamentari che nemmeno si presentano a votare, e il governo va sotto su qualche legge importante, pur di girare pagina». Guarda caso, l’astuto Casini tende la mano, «disponibile a concordare l’agenda di fine legislatura» a patto che il Cav si ritiri. Un paracadute per il gruppo dirigente Pdl. Dove c’è chi pensa di mandare Casini per premio tra due anni sul Colle più alto.

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