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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229020 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Febbraio 14, 2011, 04:06:16 pm »

Politica

14/02/2011 -

Nella partita col Colle il Pdl sceglie la linea dura

Il partito: «La confusione tra poteri dello Stato può aggravare le difficoltà»

UGO MAGRI
ROMA

Mentre Fini lo sfidava da Rho, mentre la rivolta al femminile riempiva le piazze, ieri il Cavaliere se ne stava in Sardegna con la testa altrove, tutto fuorché preso dagli accadimenti politici. Poche telefonate di routine, commenti con sbadiglio sul congresso Fli, silenzi gonfi di sprezzo per le manifestazioni di donne, via libera ai capigruppo Pdl che molto insistevano per una risposta secca a Napolitano, e mettere dei paletti (o perlomeno provarci) circa il potere presidenziale di sciogliere le Camere. Che cosa vada maturando nella mente del premier lo capiremo stamane, quando Berlusconi si collegherà con il programma condotto su Canale 5 da Belpietro, il quale è anche direttore di «Libero», giornale di punta nella polemica contro il Capo dello Stato.

Questa scelta di confidarsi con lui, anziché ricorrere ai soliti videomessaggi, viene considerata già parecchio indicativa degli orientamenti berlusconiani. Quello che pensano i gerarchi, invece, è illustrato nel lungo, puntiglioso comunicato diffuso con firma in calce di Cicchitto, Corsaro, Gasparri e Quagliariello. Due i passaggi da segnalare. Il primo, dove si dice che siamo in presenza di un «governo legittimo» con tanto di «sostegno della maggioranza parlamentare» come si è dimostrato nelle ultime votazioni; l’altro, dove si afferma: «Alimentare il senso di confusione tra i poteri dello Stato rischia di aggravare le difficoltà piuttosto che contribuire alla loro soluzione».

Con chi ce l’ha, il Pdl? Con un signore domiciliato in via del Quirinale, che l’altro ieri aveva minacciato di mandare tutti a casa casomai si aggravasse lo scontro nelle istituzioni. I capigruppo ribattono: caro Napolitano, attento, perché così il gioco si fa pesante, se proseguirai lungo questa strada non esiteremo a darti prima o poi del golpista... Confida l’estensore materiale del documento: «Abbiamo scelto un tono grave e misurato anche perché ci siamo confrontati con Letta», il quale notoriamente è una super-colomba e incarna il galateo delle istituzioni, mai avrebbe consentito attacchi senza creanza al primo cittadino della Repubblica.

Però non si fa mistero, nel Pdl, che l’uomo del Colle ha preso una piega decisamente ostile. E senza scavare sui veri perché (circolano al riguardo parecchie ipotesi più o meno fondate), scatta subito il riflesso pavloviano di spianare i fucili, se non i cannoni.

Non è un caso che torni in auge l’ipotesi, lungamente accarezzata dal premier ma sempre rinviata, di promuovere una grande manifestazione nazionale, i muscoli della destra contro quelli della sinistra, in un braccio di ferro dagli esiti avventurosi, e tuttavia sempre più inevitabile nella logica degli strateghi berlusconiani: «Perché noi non possiamo porgere l’altra guancia ai pm, a Fini, a Di Pietro, ora anche a Napolitano, senza mai reagire»; soprattutto, «non possiamo perdere la piazza e scomparire come vorrebbero i nostri avversari».

E’ una logica cieca, disperata, senza prospettiva, ma tant’è: se prendono piede questi propositi, si annunciano mesi di enorme stress per le istituzioni. Rispetto a venti giorni fa, i dubbi sembrano spariti. Anche chi manifestava disagio per la condotta del leader (nella cerchia ristretta praticamente tutti) ora se ne sta ben allineato e coperto. La falange berlusconiana in apparenza è compatta, pronta allo scontro finale. Unico motivo di apprensione resta la Lega.

Perché non è sfuggita l’offerta di Fini, federalismo in cambio di una nuova legge elettorale, elezioni tra un anno con un governo diverso... Se i terzopolisti hanno un piano, Fini l’ha messo in chiaro: corteggiare Bossi. Poi, certo, la storia mai si ripete identica, Napolitano non è Scalfaro, escluso che il Capo dello Stato voglia promuovere ribaltoni. E poi l’Umberto mai si farebbe traviare, mette la mano sul fuoco Osvaldo Napoli, «dei Fini e dei Casini lui mica si fida».

Eppure... Un brivido ha solcato la schiena a molti, nel quartier generale Pdl, quando Maroni ieri se n’è uscito dicendo: «Napolitano ha ragione, per la legislatura il rischio è reale». Se la Lega cambia idea, non c’è piazza berlusconiana che tenga: avanti un altro e tanti saluti ad Arcore.

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« Risposta #121 inserito:: Febbraio 16, 2011, 04:45:29 pm »

Politica

16/02/2011 - RETROSCENA

Più delle toghe il premier teme un ribaltone leghista


In serata vertice con Bossi che lo rassicura: non ci sarà nessun voltafaccia

UGO MAGRI

Per uno strano scherzo del destino Gabrielli, l’erede di Bertolaso a capo della Protezione civile, era sul posto ieri mattina quando Berlusconi è stato colpito a Catania dall’ultima calamità politica, processo immediato per Ruby e per concussione. Ma pure Maroni stava lì e, volendo, potrebbe raccontare la reazione del premier: letteralmente impassibile. Il Cavaliere non ha battuto ciglio. Giusto la mascella gli s’è irrigidita un po’, ma niente di più. La notizia che fa il giro del mondo lui, evidentemente, in cuor suo la dava già per scontata; anzi si sarebbe stupito se quelle «toghe rosse» l’avessero tolto dai guai...

Tutt’al più Berlusconi immaginava che la botta da Milano sarebbe arrivata qualche ora dopo, «nel pomeriggio» gli avevano assicurato, o addirittura stamane, anziché pochi minuti prima della conferenza stampa convocata sull’emergenza profughi. Che fare, tenerla ugualmente per sentirsi chiedere dai cronisti che cosa ne pensa dei magistrati e della probabile condanna, o invece eludere le domande dando forfait? Risposta facile facile: Berlusconi, d’istinto, avrebbe gradito presentarsi davanti alle telecamere. Per ripetere quanto tutti già sappiamo: che è solo una manovra politica tesa a farlo fuori. Che le sue feste sono state sempre parecchio chic. Eccetera eccetera. Però da Roma le «vecchie zie», Letta e Bonaiuti, si sono subito precipitate a frenarlo. «Silvio non lo fare» gli hanno detto con tono d’implorazione, poiché lo sfogo pubblico sarebbe stato due volte da matita blu. Avrebbe inasprito i rapporti (già pessimi) col Capo dello Stato, il quale ha raggiunto il limite di sopportazione ed è pronto a sciogliere le Camere se giudici e politici continueranno la zuffa. Ma soprattutto, una conferenza stampa sguaiata sulla giustizia avrebbe avuto l’effetto-boomerang di «oscurare» la spedizione a Catania, studiata apposta da Berlusconi per mostrare all’Italia un governo operoso che prova ad arginare gli sbarchi dei clandestini.

Insomma: alla fine Berlusconi ha rinunciato. Quanto a malincuore, nessuno può dirlo. Nè dalla sua bocca sono usciti commenti una volta sbarcato a Roma. Ore e ore chiuso a Palazzo Grazioli con l’avvocato Ghedini. Hanno studiato insieme le mosse ma senza decidere nulla, perché ancora non è ben chiaro come mandare avanti il ricorso (conflitto di attribuzione, nel linguaggio giuridico) davanti alla Corte costituzionale, onde statuire che Milano è incompetente, toccherebbe invece al Tribunale dei ministri... Ma soprattutto, confida un’autorevole personaggio, Berlusconi e il suo legale hanno passato ai «raggi x» le tre donne del collegio giudicante: chi sono queste signore? Berlusconi che cosa deve aspettarsi da loro? Niente di buono, pare sia stata la triste conclusione. Non perché risulti un orientamento politico ostile. Nessuna delle tre domenica è scesa in piazza contro il Cavaliere sventolando bandiere. Però è bastato informarsi sulle loro sentenze (parla chiaro il curriculum) per capire che si tratta di tre magistrate «toste», implacabili. Il che non promette davvero nulla di buono.

Qualche chiacchiera è circolata a Montecitorio su una presunta tentazione del premier: dimettersi, per cedere il testimone a Letta e in prospettiva ad Alfano. Ma di chiacchiere si tratta, appunto: Silvio non molla. Lo condannano? Lui tira dritto. E se la tegola giudiziaria lo colpirà prima del G8 in Francia (fine maggio), proverà a giustificarsi coi Grandi come sempre ha fatto finora, qualche barzelletta e via... Diverso il caso se gli mancasse la maggioranza. Se la Lega decidesse di staccare la spina. In questo caso (e solo in questo) per Berlusconi scenderebbe davvero il sipario. Ecco perché grande allarme ha suscitato nel governo l’intervista a Bersani comparsa ieri mattina sulla «Padania». Tutti si sono chiesti che cosa volesse significare. «Niente di speciale», strizzano l’occhio alla Lega. Nell’incontro serale con Calderoli e Rosy Mauro in via del Plebiscito, Bossi ha personalmente escluso a Berlusconi qualunque voglia di ribaltone: «Non preoccuparti per le voci che circolano, sto con te». Inoltre, pare che il Senatùr abbia confidato: «Abbiamo ospitato sul nostro giornale Bersani, ma non so se abbiamo fatto bene o male». Però la sensazione diffusa dalle parti del premier è che il Carroccio abbia iniziato una lunga marcia. E che Bossi scruti intensamente oltre Berlusconi. Dove, lui solo lo sa.

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« Risposta #122 inserito:: Marzo 02, 2011, 06:47:23 pm »

Politica

02/03/2011 - IL RETROSCENA

Per Berlusconi la forza dei numeri in Aula è soltanto un'illusione ottica

Il premier vuole mettere in moto il conflitto tra poteri dello Stato: ma il risultato resta un'incognità

UGO MAGRI
ROMA

Qualche indizio fa pendere la bilancia sul piatto di Berlusconi. Fini che coinvolge la Giunta del Regolamento (tagliando fuori l’Ufficio di presidenza dove il Cavaliere sarebbe messo in minoranza) fa immaginare che lo sbocco conclusivo della querelle del conflitto di attribuzione possa essere l’Aula di Montecitorio, come desidera il premier.

Tra parentesi, secondo l’ex responsabile Giustizia del Pd Tenaglia, in fondo è giusto che a pronunciarsi sia l’assemblea della Camera anziché Fini personalmente. Così molti danno per scontato che Berlusconi riuscirà a far valere la forza dei numeri, stoppando la Boccassini e gli altri pm milanese decisi a processarlo per Ruby Rubacuori. In realtà, è solo un’illusione ottica, le cose stanno diversamente. Semmai l’impressione tra gli addetti ai lavori è che venga messa in moto dal Cav una macchina infernale, il conflitto tra poteri dello Stato, senza la minima certezza su quale potrà essere l’esito.

E infatti: 1) non è detto che la Corte Costituzionale ritenga ammissibile la richiesta eventuale della Camera, in quanto potrebbe pure rigettarla senza prenderla in esame (così ha fatto intendere, salvo rimangiarselo, qualche fonte in alto loco) e la vicenda morirebbe lì; 2) nessuno può giurare che la Consulta, una volta ammesso il conflitto di attribuzione, sposerebbe nel merito le ragioni del premier dichiarando competente il Tribunale dei ministri; 3) non esiste certezza che i giudici milanesi, in pendenza del giudizio davanti alla Corte costituzionale, sospenderebbero il processo immediato su Ruby (potrebbero farlo, volendo, per rispetto della Corte, ma la loro scelta sarebbe discrezionale); 4) se i tre giudici mandassero avanti comunque il processo, la sentenza di primo grado arriverebbe prima che si pronuncino i “vecchioni” della Corte costituzionali, abituati a ponderare con cura le loro decisioni. Nel frattempo il caso Ruby verrebbe sopravanzato da altre emergenze giudiziarie berlusconiane, in quanto la probabile condanna del Cavaliere per il caso Mills è attesa tra pochi mesi, al massimo dopo l’estate.

Insomma, la montagna del conflitto di attribuzione rischia di partorire un topolino. E forse nemmeno quello.

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« Risposta #123 inserito:: Marzo 19, 2011, 11:05:08 am »

Politica

19/03/2011 - RETROSCENA

Libia, Napolitano: "Non possiamo restare indifferenti alla repressione"

Il ruolo decisivo del Colle per superare i dubbi del premier

UGO MAGRI

ROMA
La decisione di aggiungersi ai «Volenterosi», e di recidere l’ultimo legame col Tiranno Gheddafi, è stata presa giovedì sera dal governo Berlusconi. Su questo non ci sarà dubbio, un domani, tra gli storici. Quando il Cavaliere si rende conto che l’Onu sta per decidere la «no-fly zone», in pratica l’intervento militare, di corsa provvede a emendarsi. La scena è quella di un retropalco dell’Opera dopo il «Nabucco», presenti ministri, diplomatici e generali: lì matura la svolta, e il Presidente della Repubblica (che si trova a teatro) viene reso immediatamente partecipe con un invito alla riunione informale.

Questa è la sequenza dei fatti. E tuttavia, una volta dato a Silvio quel che è di Silvio, nessuno degli sviluppi successivi sarebbe stato possibile senza l’intervento di Napolitano. Il suo richiamo alle «decisioni difficili» attese nella giornata di ieri, ma soprattutto l’appello a valori più alti della pura realpolitik («non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo») hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da ostacoli su cui Berlusconi sembrava destinato a inciampare. Senza le parole del Presidente, Bersani forse non avrebbe offerto con altrettanta prontezza quel vasto ombrello parlamentare che il governo nemmeno s’è premurato di chiedere in prestito. L’astensione della Lega, a quel punto, sarebbe risultata paralizzante, con conseguenze immaginabili... E del resto, quando fa sapere di aver concordato passo passo ogni valutazione col Capo dello Stato, in fondo Berlusconi manifesta una gratitudine che non gli è molto abituale. Per lui si tratta di un passaggio intimamente contrastato. Si vede a occhio nudo che intervenire contro Gheddafi non lo convince per niente. Intendiamoci: il mitico baciamano, con i dubbi del Cavaliere, c’entra poco. Chi vive di fianco al premier giura che sopra Gheddafi ha messo una croce, troppo grossa l’ha combinata l’amico Muhammar per considerarlo ancora tale. Piuttosto Berlusconi si adegua alle decisioni Onu in quanto costretto, forzato dalle circostanze, senza l’ìntima convinzione di chi sventola una bandiera ideale, e senza neppure la certezza di fare la scelta giusta.

L’intervento militare non lo persuade per i rischi annessi e connessi. Perché «chi lo dice che ci sbarazzeremo in fretta di Gheddafi?». Perché l’arrivo di profughi sulle nostre coste può assumere proporzioni bibliche. E poi per quel surplus di instabilità politica collegato al malessere della Lega. Chi ha sentito l’intervento di Calderoli, unico rappresentante del Carroccio nel Consiglio dei ministri, lo riassume così: «Un conto è mettere a disposizione le nostre basi, e già non facciamo i salti di gioia; altra cosa sarebbe mandare aerei e soldati, il che ci sembrerebbe davvero troppo». E poi: «Attenti a non infilarci in un’altra Somalia», bisognava fare come la Germania e starne fuori...
Berlusconi in cuor suo la pensa come Bossi, come Calderoli. Ma allora, perché sposa la coalizione dei «volenterosi»? La spiegazione sta nelle parole di Frattini in Consiglio dei ministri: «Capisco tutte le perplessità, ma non possiamo restare tagliati fuori».

Il terrore è che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia caccino Gheddafi e poi, presentandosi come benefattori, sistemino le cose in Libia secondo i propri interessi. La Francia in special modo. Dilaga nel Palazzo una vera e propria psicosi di sospetto verso i cugini d’Oltralpe. Come se Sarkozy, avendo perso posizioni strategiche in Tunisia causa rivoluzione, stesse brigando per mettere un piede in Libia spodestando le nostre aziende, in special modo l’Eni. La cui posizione finora è stata privilegiata assai. Oggi il Cavaliere si precipita al vertice europeo con i Paesi arabi e africani convocato proprio da Sarkozy: in termini calcistici parleremmo di marcatura a uomo. Tra Roma e Parigi volano avvertimenti. Tremonti si è premurato di spiegare all’ambasciatore de La Sabliere che, se la francese Lactalis insiste per papparsi Parmalat, e l’azienda energetica Edf vuole a tutti costi Edison, potremmo adottare in Italia le stessi leggi protezioniste francesi che impedirono a noi di acquisire Danone... In Libia, stessa storia: siamo pronti a combattere Gheddafi, dopo averlo blandito, per difendere il «nostro» petrolio.

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« Risposta #124 inserito:: Marzo 20, 2011, 03:27:05 pm »

Politica

20/03/2011 - RETROSCENA

Il Cavaliere equilibrista salda l'asse con il Colle

Il capo del governo in bilico tra le richieste dei lumbard e la necessità di non essere tagliato fuori dall'operazione

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi consulta in continuazione il Capo dello Stato, come sarebbe normale in fondo, ma nel suo caso tanto normale non è. La prima cosa che ha fatto, tornando in ambasciata dopo il vertice di Parigi, consiste nella telefonata al Presidente della Repubblica per ragguagliarlo sui suoi colloqui. Napolitano non gli ha fatto mancare un pubblico incoraggiamento, che mette il governo automaticamente al riparo sul fianco sinistro, dove molto aveva lavorato nei giorni scorsi pure il ministro degli Esteri Frattini, scegliendosi astutamente come interlocutore D’Alema. Sul fianco destro (cioè la Lega), Berlusconi sa di poter stare relativamente tranquillo, nonostante le intemperanze serali di Bossi. Non risulta a Silvio che l’Umberto possa o voglia farlo cadere. A patto però di non tirare bombe su Tripoli.

Berlusconi è sospeso su un filo perché, dunque, anche volendo la Lega gli vieterebbe di sguinzagliare i Tornado (La Russa scalpita, anche troppo secondo certi consiglieri del premier: meglio andarci piano con le parole). Nello stesso tempo il Cavaliere deve impedire che l’Italia venga tagliata fuori dal gruppo di comando delle operazioni. Oltre che uno smacco d’immagine, sarebbe rischioso per i nostri interessi laggiù, casomai la vittoria baciasse gli insorti. E la linea decisa con il Colle non è affatto quella di restare inerti dinanzi al massacro delle popolazioni civili. Per il momento Berlusconi pare sia riuscito nel suo scopo: formalmente l’Italia è tra i 5 partecipanti all’operazione «Odissea all’alba», quella anti-contraerea, che fa capo al comando Usa di Napoli-Capodichino. Le 7 basi messe a disposizione dal governo e dal Parlamento sono state giudicate sufficienti per entrare a pieno titolo nella coalizione dei «volenterosi». Ancora ieri mattina non ve n’era alcuna certezza. Un margine di dubbio ancora sussisteva, secondo il personale diplomatico di supporto al premier, perfino quando l’Airbus di Stato con Berlusconi a bordo ha decollato da Parigi sulla via di casa. Nella capitale francese il Cavaliere era andato apposta: aveva tirato in disparte Cameron e la Clinton, si era raccomandato col cuore in mano che il comando delle operazioni fosse assunto dall’Alleanza atlantica, dove ci sentiamo meglio garantiti anche nella prospettiva di costruire un dopo-Gheddafi favorevole all’Eni e alle nostre imprese.

Di traverso ci si era messa la Francia. Con i cugini d’Oltralpe i motivi di incomprensione da un po’ di tempo si moltiplicano, sebbene fonti di governo super-qualificate tengano a chiarire un potenziale equivoco: l’iniziativa del ministro Tremonti per difendere dallo shopping parigino le nostre imprese (quelle strategiche, non le «commodities») «nulla c’entra con le questioni libiche». La coincidenza è stata solo temporale, i due piani sono «completamente diversi». Quale fosse ieri l’atteggiamento di Sarkozy, lo si è colto anche plasticamente. Accogliendo i leader stranieri all’Eliseo, il Presidente francese è sceso e risalito dai 12 gradini del portone per ricevere la Clinton e, con tanto di abbraccio, il britannico Cameron. Con tutti gli altri (Berlusconi compreso), Sarkozy ha risparmiato la fatica degli scalini, attendendo gli ospiti lassù. Quindi il Cavaliere è stato snobbato dal padrone di casa: gli incontri sono stati solo con Hillary, col canadese e col britannico. Silvio è rimasto in compagnia della Merkel. Con una differenza, però: la Germania ha deciso di tenersi fuori dalle operazioni militari, proprio come vorrebbe fare Bossi. Il quale teme (lo ha detto quasi con la bava alla bocca) che di immigrati i bombardamenti «ce ne mandino milioni», oltretutto con lo status di rifugiati di guerra. Come dire che non potremmo nemmeno rimandarli a casa, andrebbero accolti punto e basta.

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« Risposta #125 inserito:: Aprile 01, 2011, 10:35:31 pm »

Politica

01/04/2011 - REPORTAGE

Un'altra rivolta nel Pdl

A ribellarsi sono i fedelissimi di Silvio

Gli ex di Forza Italia contro Ignazio, l’anello debole del "triumvirato" dei coordinatori che vogliono rovesciare

UGO MAGRI
ROMA

C' era una volta il mulino bianco di Forza Italia, cieli azzurrini, tanta felicità. Poi nel 2008 sono arrivati gli ex fascisti.
Brutti sporchi cattivi. Abbiamo dovuto accoglierli in casa nostra...». Questa è la favola politica che si racconta nel partito di Berlusconi. Agli occhi degli ex forzisti La Russa, il ministro del «vaffa», incarna l’Ospite Indesiderato. La fa da padrone, sporca il salotto, ma soprattutto saccheggia il frigo. Lui e i «camerati» amici suoi (ecco il lamento) arraffano il 30 per cento dei posti nel partito, nel governo, nel sottogoverno, e ciò nonostante Fini abbia tolto il disturbo, dunque in percentuale la componente ex An dovrebbe pesare di meno. Con soli due consiglieri regionali in Lombardia, invece, beccano altrettanti assessori e uno è Romano, fratello di La Russa. Così succede dovunque...

Prosegue la favola che si raccontano i deputati azzurri: «Adesso ci tocca fare posto pure ai Responsabili. Sono ancora più brutti, più sporchi e più cattivi. Altro che frigorifero, quelli svuotano la cantina. Mentre noi, i fedelissimi, i sempre-presenti, pronti a dare il sangue per Silvio, non veniamo ricompensati della nostra lealtà. Anzi, un bel calcio nel sedere». Già sanno che nel rimpasto di governo non è il turno loro, per qualche strapuntino dovranno mettersi in fila. Un delirio di rabbia e di frustrazione che, pesando le parole, Piero Testoni prova a spiegare così: «Ci sono nel partito e nella classe dirigente delle energie, delle personalità, delle capacità che non sono ancora state messe a regime». C'è chi, in preda al pessimismo, già scommette che alle prossime elezioni gli verrà chiesto di farsi da parte, perché la candidatura serve a compensare qualche «responsabile». Non c'è niente di vero, giura Verdini, «anzi ci sarà gloria per tutti». Eppure è tutto un pianto, tutto un malessere.

Vai alla Camera e vedi Scajola, che il giorno avanti aveva apostrofato duro La Russa, solcare il Transatlantico con un codazzo di venti, forse trenta deputati, neanche fosse il Messia. Ti sposti in buvette e osservi Bonaiuti (il Portavoce) mentre cerca di placare gli animi di «peones» azzurri in processione. A «quelli» tutto, a noi le briciole, Silvio non ci ama più... Un senso di abbandono che cova da mesi ora si sfoga su La Russa, parafulmine umano. «Peperino» Pepe, deputato costretto a trasferirsi tra i Responsabili per fare massa, dichiara impertinente: «La Russa è un po’ stanco, non si possono occupare di questi tempi due cariche come ministro della Difesa e coordinatore nazionale». La Armosino è stata «placcata» mentre raccoglieva firme tra i colleghi per farlo dimettere: come se il macigno del rinnovamento Pdl, scuote la testa il senatore Augello, si affrontasse così...

Ma più delle dichiarazioni «grida» il silenzio dei vertici Pdl. Non uno che giustifichi La Russa o perlomeno gli poggi la mano amica sulla spalla. Sembra che nel partito l'unico estremista sia lui, tutti gli altri invece dei lord britannici a cominciare dal premier.
Il quale rimprovera nei conciliaboli al suo ministro di fargli perdere voti, specie quando col suo vocione grida in tivù, «troppe apparizioni» da Floris e da Santoro i quali, furbi, lo invitano apposta... Silvio, con La Russa, ha un rapporto duplice: tanto è profonda la stima politica, quanto è viva l’antipatia personale. «Dei suoi modi non se ne può più», è la battuta che gli attribuiscono i cortigiani. Però poi ingrana la retromarcia quando Ignazio minaccia di pigliare cappello e andarsene con una sessantina di deputati.

Su questo terreno fertile s’innesta la congiura. Certi potentati Pdl vedono in La Russa l'anello debole, su cui far leva per rovesciare il triumvirato con Bondi e Verdini. Diverse le finalità, però tatticamente si salda un vasto fronte che dalla Sicilia (gruppo di Miccichè) passa dalla Liguria (Scajola) e giunge in Lombardia (formigoniani). Con il supporto logistico del gruppone ministeriale, dove rientrano Alfano e Frattini, Sacconi e Brunetta, Romani e la Gelmini. Alcuni di questi personaggi si sono riuniti l’altra sera, segretamente. «Abbandonare la faccia feroce», è la parola d’ordine. L'obiettivo far dimettere La Russa per far cadere pure Verdini.

Magari non ora perché Denis ha in mano le pratiche del «calciomercato», la settimana prossima sono attesi 7 nuovi acquisti dall'opposizione, altri 5-6 nelle settimane successive... Ora agli occhi del Capo Verdini è intoccabile: meglio sfidarlo dopo le amministrative di maggio.
Per piazzare al posto dei Triumviri un coordinatore unico, di fatto il Delfino.

Manovre da vecchia Dc. Peccato che non tutti i personaggi ne abbiano lo spessore.

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« Risposta #126 inserito:: Aprile 05, 2011, 10:29:38 pm »

Politica

05/04/2011 -

Responsabili arruolati per la prova di forza

Stamane alla Camera e in diretta tv il conflitto di attribuzione

UGO MAGRI
ROMA

Il Cavaliere chiede un ultimo sforzo alle sue truppe, mercenari compresi. Ancora una vittoria, e poi sarà compiuto o quasi quello che la sinistra denuncia in piazza come sfregio della legalità e della democrazia. Se il piano avrà successo, mezza impunità sarà garantita al premier: per l’altra metà Berlusconi dovrà attendere il voto del Senato sul processo breve (e l’esame «puntiglioso» che della legge farà Napolitano), i pronunciamenti della Corte costituzionale per quanto riguarda il caso Ruby. Questo pomeriggio diretta tivù dalla Camera perché si vota il conflitto di attribuzione. Da domani, al massimo da giovedì, di nuovo in Aula il processo breve che contiene al suo interno norme (prescrizione abbreviata) capaci di azzerare il processo Mills.

Tutti «precettati»
Bombardamento di sms, che ciascun gruppo ha spedito ai propri deputati per obbligarli alla presenza senza accampare scuse. Stufi di sembrare quelli che votano a gettone («prima vedere poltrona, poi sostenere governo...»), anche gli onorevoli «responsabili» hanno deciso di esserci compatti. Anzi, corre voce che sarà l’occasione buona per far venire allo scoperto qualche nuovo acquisto (uno o due) del calciomercato berlusconiano. Pare vengano dall’Mpa, altri dicono dai liberal-democratici che ieri molto si agitavano. Sulla carta, Berlusconi non dovrebbe correre rischi: la Camera domanderà alla Consulta di stabilire chi è competente a occuparsi del processo per concussione e induzione alla prostituzione minorile. «Noi», dicono al Tribunale di Milano; «no, il Tribunale dei ministri», sostiene Silvio. Nel secondo caso ci sarebbe un «filtro» parlamentare, e la maggioranza ce l’ha in pugno Lui.

La mossa su Ruby
Chi sta addentro alle segrete cose, sostiene che la Consulta davvero potrebbe dare ragione al premier. Ma i giudici della Corte non erano tutti «comunisti», come dicono ad Arcore? Tra breve cambierà il presidente. E nella giostra degli equilibri interni, magari il centrodestra si troverà in vantaggio... Nell’attesa di scoprirlo (ci vorranno mesi), il Cavaliere potrà minimizzare il processo Ruby, che domani si inaugura a Milano: vadano pure avanti i giudici meneghini, tanto tra un po’ verrà tutto annullato. Un’operazione mediatica che gli verrà consentita proprio dal voto di oggi. Allarga le braccia disgustato Della Vedova (capogruppo Fli), «per questa settimana Berlusconi ne avrebbe fatte abbastanza». E invece no.

Sprint sul processo breve
Non è ancora del tutto esclusa l’ennesima forzatura (inversione dell’ordine del giorno) per scavalcare i provvedimenti già all’esame dell’Aula. Qualcuno di questi verrà approvato al volo per toglierlo di mezzo, la responsabilità civile dei magistrati sarà rispedita in commissione. Oltretutto per il Csm lede l’autonomia dei magistrati. A quel punto verrà presa la decisione sul calendario, sapendo che gli onorevoli hanno il volo di ritorno a casa prenotato per venerdì sera: se non s’inverte l’ordine del giorno, il voto finale slitta a martedì, ma Berlusconi vuole chiudere ora la partita su Mills... Napolitano riceve stamane il sindacato dei magistrati per ascoltarli e anche per sconsigliare forme di protesta (tipo sciopero) dall’impatto molto dubbio sulla pubblica opinione. S’offende il ministro Alfano per due paroline («arrogante», «servile») del segretario Pd Bersani: «Mi insulta». Chi ha un’età, ne ha sentite di molto peggio e, suvvia, il linguaggio forte è il sale della dialettica. Com’è logico, l’opposizione protesta. Oggi tre manifestazioni, quella del Pd al Pantheon (ore 18), del Popolo viola davanti a Montecitorio, infine Notte bianca ai Santi Apostoli. Risponderà con lo stesso metro il Cavaliere lunedì davanti al Palazzo di giustizia a Milano. La Santanchè gli sta «cammellando» gente perché la volta scorsa erano in pochi e tutti anziani.

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« Risposta #127 inserito:: Aprile 15, 2011, 04:38:59 pm »

Politica

15/04/2011 - CENTRODESTRA: LA LEADERSHIP

Alfano dopo Silvio, Pdl in rivolta

Notabili della coalizione a Palazzo Grazioli.

Berlusconi smentisce ma conferma: non mi ricandido

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi smentisce. Che tra due anni rinuncerà a candidarsi premier per la sesta volta? No.
Questo intendimento, anticipato alla stampa estera, il Cavaliere non se lo rimangia affatto. Cos’altro, allora, corregge delle sue dichiarazioni: che lui vorrebbe ritagliarsi un ruolo di «padre nobile»? Che al massimo farebbe il capolista Pdl, ma ruoli operativi mai più? Niente di tutto questo. Riceve a Palazzo Grazioli una folla di notabili (vertici Pdl, delegazione dei Responsabili, capigruppo della Lega), e sorvola. Evita proprio di parlarne. Viceversa nega di avere mai detto ai corrispondenti stranieri che Alfano sarà il successore.
Lo smentisce, questo sì, perché nel partito s’è scatenata l’iradiddio. Chi non ama Alfano e chi ambisce per sé. Chi si sente mortificato e chi chiede qualcosa in cambio. Chi piange e chi telefona... Basta così. Circola una battuta del premier: «Sarebbe il massimo che, oltre a tutto quanto mi attribuiscono, ora prendessi anche la colpa per chi verrà dopo di me...». Il successore, è la promessa, lo sceglieremo tutti insieme. Però di successione, appunto, si sta ragionando. Cioè della possibile futura metamorfosi di Berlusconi. Da giocatore sul tavolo verde della politica a croupier (che distribuisce le carte agli altri).

Parlandone coi generali berlusconiani, tutti privatamente ammettono che lo scenario è reale. Alcuni semmai contestano al Capo la tempistica dell’annuncio, proprio a ridosso delle amministrative fra 4 settimane. Il rischio, sostengono, è di inoculare tra gli elettori un senso di abbandono. «Silvio poteva aspettare un altro po’». Ecco dunque Bonaiuti spargere dubbi e sinonimi, le intenzioni attribuite al premier sono «semplici ipotesi, ragionamenti, magari deduzioni» a loro volta «forzate, spesso deformate, talvolta addirittura fantasiose». Ed ecco i capigruppo (Cicchitto, Gasparri) scommettere che Berlusconi non lascerà nel 2013 (quando avrà «solo» 77 anni). Bersani dal versante Pd sottoscrive: «Padre nobile? Poi farà il nonno nobile... La verità è che non molla».

Chi ne esce un tantino ammaccato è Alfano. Gettarlo in pasto alle belve non è stata una mossa lungimirante. Si è beccato le unghiate della Lega, causa la sua parlata sicula (è di Palermo); corre voce addirittura che Bossi si sia fatto vivo col Cavaliere per ringhiare i suoi dubbi. Regisce dal Pdl Osvaldo Napoli: «Nell’anniversario dell’Unità d’Italia, mi sembra riduttivo giudicare un uomo politico dalla regione di provenienza». Un osservatore esterno quale il centrista Rao azzarda: «Berlusconi ha esposto Alfano come bersaglio, non si sa se del tutto in buona fede». Il giovane Guardasigilli non vuol credere alle ipotesi più maliziose. Ieri da Berlino ha passato ore al telefono con l’Italia. Resta convinto che Berlusconi l’abbia tirato in ballo, davanti ai corrispondenti stranieri, per essere «gentile nei miei confronti: ciò che avrebbe detto appartiene alla sua generosità e al suo affetto». Ciò chiarito, «se dovessi parlare con lui del futuro, gli consiglierei almeno 5 nomi che ho in mente, e che non dico per non danneggiarli», in quanto subirebbero lo stesso suo trattamento. Basti citare la ruvida reazione del collega di governo Matteoli (ex-An): «Stimo molto Alfano, ma nessuno lo può “investire”, nemmeno un autorevole premier... Berlusconi può indicare chi crede, ma ovviamente ci sarà un congresso e saranno i delegati a votare».

Prove di democrazia interna nel partito più carismatico. Ieri sera la «cena di decantazione», promossa dai soliti Cicchitto e Gasparri, scatenati nel ruolo di pompieri. Invitati tutti i membri del governo (ma Tremonti era via) e pure il bastian contrario

Scajola, nell’intento di stabilire una tregua tra le fazioni. Infatti il capogruppo alla Camera parla poi di «calumet della pace, il gruppo dirigente si è stretto intorno al premier». E tregua sarà: però armata. Basti dire che alla riunione dell’ex-ministro, dimissionario per la nota vicenda della casa al Colosseo, due sere fa si sono presentati in 53 tra deputati e senatori Pdl. Un forte gruppo di pressione che per ora non si trasforma in gruppo parlamentare autonomo. Era già pronta la sigla («Azzurri per Berlusconi»), però Silvio ha chiesto di soprassedere visto che la Camera è già un Vietman. Continua l’equivoco coi Responsabili. Al loro rappresentante Sardelli, che insisteva per il rimpastino subito, il Cavaliere ha risposto: la prossima settimana ne parliamo. E Sardelli è corso fuori ad annunciare: «La prossima settimana si fanno le nomine». Ma non è la stessa cosa.

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« Risposta #128 inserito:: Aprile 20, 2011, 04:28:06 pm »

Politica

20/04/2011 - RETROSCENA

L'ora più buia del Cavaliere lasciato solo dai fedelissimi

Arrabbiatissimo con l'aut aut della Moratti: a Berlusconi non è affatto piaciuta la gestione del caso dei manifestanti anti PM anche se non ha speso una parola per condannare il candidato Pdl Lassini

Si sfoga con gli amici: "Sto malissimo, mi fanno intorno terra bruciata"

UGO MAGRI
ROMA

«Sto malissimo...». Con l’umore a terra. La voce che è un lamento. A metà mattina il Cavaliere viene informato: «Tra poco la Moratti annuncerà che o lei o Lassini», autore dei manifesti anti-giudici. E Silvio, al telefono con un amico di quelli veri, si lascia andare: «Ecco, vedi? Mi fanno intorno terra bruciata», napalm sui pretoriani più coraggiosi. L’ ondata di condanne lo disturba. Capisce di essere lui il bersaglio per interposta persona.

In fondo l’ex sindaco di Turbigo si era limitato a riempire i muri con quello che il premier vomita sui magistrati pubblicamente («cellule rosse») e in privato («brigatismo giudiziario»). Difatti gli è chiaro con chi ce l’avesse Napolitano l’altro giorno, quando ha fulminato i manifesti con la sua scomunica: «Se l’è presa con me, quando la vera vittima sono io. Basti vedere tutte le porcate che questi pm mi fanno, e mai che il Quirinale spenda una parola di esecrazione...».

Da Napolitano, però, in fondo se l’aspettava. Molto più dispiacere gli fanno quanti, nel Pdl, sono corsi dietro all’uomo del Colle.
Facendo propria l’indignazione presidenziale. La Moratti in primo luogo. Che bisogno c’era di mettere l’aut aut? Quando più tardi si sono sentiti al telefono, Berlusconi è stato elusivo perché Letizia ha le sue convinzioni di donna e di sindaco, inutile recriminare. Ma Schifani, presidente del Senato: perché venire perfino lui allo scoperto? Addirittura commettendo, agli occhi del Capo, il sacrilegio di dare solidarietà ai vertici del sindacato magistrati, molto apprezzata da Palamara. Lunga è la lista di quanti nel Pdl hanno bastonato Lassini (da Cicchitto, che pure sull’uso politico della giustizia ha scritto libri, a Rotondi); pochi (la Santanché, Mantovani) hanno osato difendere la causa persa. Ed è qui la radice del malessere berlusconiano, del suo sentirsi il morale sotto i tacchi: per la prima volta Silvio ha scoperto l’esistenza di un limite, di un confine invisibile oltre il quale neppure il grosso dei suoi pare disposto a seguirlo.
Il «caso Lassini» è importante perché fissa le Colonne d’Ercole nella guerra ai giudici, varcate le quali il Cavaliere resterebbe da solo. Gli stessi generali pronti a battersi per far passare entro l’estate alla Camera la riforma Alfano (una «mission impossible»), rifiutano di assecondare in futuro certe mattane del leader e di chi lo sobilla.

Berlusconi capisce che qualcosa non quadra. Avverte una presa di distanze, coglie il gelo dei fedelissimi. Non teme il golpe interno perché mai nessuno di questi ci proverebbe. Tuttavia guarda sospettoso il proliferare di cene e di incontri correntizi nel partito che un tempo era il suo, ora assai meno. Un po’ lo fa sorridere e un po’ impazzire l’idea che questi personaggi (lui li considera cloni, risplendenti di luce riflessa) possano sperare di vivere una vita autonoma senza di lui, riunendosi, accordandosi, riposizionandosi per il «dopo». Coi promotori di queste cene Berlusconi è furioso, specie se si tratta di ministri. Si racconta di un «liscia-e-bussa» alla Gelmini per avere scatenato il correntismo allorché lei e Frattini fondarono LiberaMente. Altri negano la lavata di capo a Mariastella, però confermano che il premier ce l’ha a morte con i «banchettanti» (così li definisce), con quanti «si vedono a cena per litigare l’uno con l’altro»; e peggio ancora se si incontrano per stipulare una moratoria delle liti, proponendosi come gruppo dirigente unito, capace in prospettiva di sopravvivere a Lui: «dove credono di andare?».

Bondi, ventriloquo del Capo, boccia i timidi conati di democrazia interna, esalta in sua vece il metodo della cooptazione quando a esercitarlo, assicura, è «un leader illuminato». Bonaiuti, il portavoce, prova a metterla in positivo: «Basta stare a tavola nelle cene, ora il momento di battersi per prendere voti». Piacciono al Cavaliere i tipi come la Brambilla, che gli organizzano circoli di nuova specie, a metà strada tra sezioni di partito e Caf, dove si erogano servizi ai cittadini insieme con i «santini» di propaganda, e non costano una lira alle sue tasche perché pagano i Comuni, paga l’Erario. Raccontano dalle sue parti che stia preparando una macchina da guerra prodigiosa, una campagna in grande stile per vincere le Politiche casomai si dovesse votare in autunno: ipotesi che Berlusconinon desidera, anzi teme, però non si sente di escludere del tutto dal momento che tra giugno e luglio il clima parlamentare si farà torrido, tra leggine ad personam e scontri col Quirinale può succedere la qualunque. Pure che la maggioranza perda i pezzi faticosamente messi insieme dal fido Verdini.

I Responsabili sono stufi di farsi prendere per il naso. Mesi di gogna politica e mediatica, dipinti come quelli che hanno saltato il fosso per bassi motivi, sottogoverno e poltrone. Sempre più numerosi ma anche impazienti perché il caro Silvio due mesi fa disse: «Tra dieci giorni faccio il rimpasto, tutti i posti disponibili toccheranno a voi». Un mese dopo nuovo incontro, solita promessa, «praticamente ci siamo, la mia moralità è essere di parola». Invece nulla. O meglio: ministero a Romano, che minacciava di andarsene. Strapuntino da sottosegretario a un uomo di Storace (Musumeci) perché la Destra fa troppo comodo alle Amministrative. E gli altri a bocca asciutta.
Perfino Pionati, che per Berlusconi si taglierebbe un dito, allarga le braccia: «Solo chi ricatta riesce a trovare ascolto. Avanti così non può durare».

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« Risposta #129 inserito:: Aprile 21, 2011, 06:03:55 pm »

Politica

21/04/2011 - RETROSCENA

Berlusconi ora promette: rimpasto dopo Pasqua

Ma per dieci posti ci sono 60 pretendenti.

Gasparri: avanti con la riforma Alfano

UGO MAGRI
ROMA

Noi non chiediamo poltrone», esordisce il portavoce dei Responsabili Sardelli nel salottino del premier, «ci interessa semmai un riconoscimento politico visibile». Eccolo qua, si danno di gomito i dignitari berlusconiani fin a quel momento annoiati (perché i «vertici» spesso si risolvono in una rassegna delle grane in sospeso): per essere visibile, il riconoscimento dovrà tradursi in poltrone... Faccia seria e grave del Cavaliere che ascolta Sardelli, di quando il quando annuisce. Si provveda, dunque. Rivolto a Verdini: «Quand’è che ti vedi coi Responsabili per definire i dettagli? Così nel primo Consiglio dei ministri dopo Pasqua faremo le nomine». Ci vediamo martedì, promette Verdini; e a quel punto la riunione si scioglie, a parte qualche ragionamento sulla Giustizia che Gasparri riassume così: «Vogliamo procedere sulla riforma costituzionale di Alfano per dare la prova che c’è un disegno di ampio respiro», non solo leggi per Berlusconi. Sardelli comunica agli altri Responsabili (se ne aggira un manipolo nella Camera deserta) la notizia, «allora è fatta», fine della snervante attesa.

Ma Silvio manterrà davvero gli impegni, o s’inventerà qualche nuova scusa? A normativa vigente, nel governo c’è posto per 9 sottosegretari e un vice-ministro. Andrebbe calcolata pure la «cadrega» delle Politiche Europee, e l’intramontabile della Prima Repubblica Enzo Scotti vorrebbe sedersi, ma risulta già prenotata: apparteneva a Ronchi che si dimise per seguire Fini, viene tenuta vacante casomai lui e Urso tornassero subito dopo le amministrative. Dunque, 10 poltrone da distribuire. I pretendenti sono una sessantina, ai Responsabili si aggiungono quelli del Pdl e pure la Lega, perché Bossi reclama la sua porzione. Altri potrebbero aggiungersi se è vero che una vittoria a Napoli e a Milano, dove il Cavaliere terrà comizi e s’infilerà nelle cassette postali, spalancherebbe la porta a nuovi arrivi, tutti chiaramente da compensare. Il governo proporrà dunque di allargare la compagine tramite un apposito disegno di legge che richiederà mesi.

Ma non è che le poltrone si possano moltiplicare all’infinito; ogni due pretendenti, Silvio sa di doverne mortificare uno. Per una maggioranza così esile, il passaggio è delicato, dunque il Cavaliere traccheggia. Pare voglia tornare sul Colle e chiedere a Napolitano cosa ne pensa, forse nella speranza che il Presidente gli metta i bastoni tra le ruote, onde poter dire a Sardelli e agli altri: il ritardo non è colpa mia. Se Berlusconi lo spera, resterà deluso. Il Capo dello Stato si terrà fuori dalla partita. L’altro giorno il premier gli aveva chiesto la controfirma sulla nomina di Musumeci, e Napolitano subito ha provveduto. Se la dovranno sbrigare Silvio e Verdini. Che ai Responsabili offrono 4 poltrone, quelli invece se ne aspettano sei. Qualcuno (Calearo) mette condizioni: o mi danno un incarico di tipo economico, oppure fa niente. Da volto noto del tigì, Pionati si sentirebbe a suo agio nel ramo comunicativo. C’è Razzi da accontentare, e non sarà facile, c’è Scilipoti e c’è la Melchiorre... Previsione sottovoce di chi gestisce la trattativa: dei 10 posti ne verranno assegnati solo 6-7. Gli altri tenuti lì, pronti, come esca per chi volesse aggiungersi alla maggioranza in extremis, e come carota per chi già tira il carro del premier.

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« Risposta #130 inserito:: Aprile 23, 2011, 05:26:14 pm »

Politica

23/04/2011 - GOVERNO: LO STALLO

Il Pdl lo attacca ma Tremonti ora è più forte

Smentita anche la voce su Grilli in via XX Settembre, Cicchitto spera in Bossi per ammorbidire il ministro

UGO MAGRI
ROMA

Più cercano di mandarlo giù, e più Tremonti si tira su. L’esito paradossale (ma fino a un certo punto) degli attacchi contro il super-ministro è stato quello di rafforzarlo. Fa testo l’umore: ottimo, nel giudizio di chi ieri ha sentito Tremonti. Non certo lo stato d’animo di chi si sente ridimensionato. Poi qualcuno dirà che la sua vittoria è frutto degli autogol avversari, che la partita non finisce qui, che i nemici del professore dentro il Pdl e dentro il governo torneranno alla carica tra un paio di settimane, appena passate le Amministrative... Tutto vero. Intanto però, è giudizio pressoché unanime, uno a zero e palla al centro. Con Berlusconi obbligato dalle circostanze a manifestare solidarietà. Non solo: anche condivisione per una politica economica di cui privatamente dice peste e corna, quasi autorizzando la fronda nei confronti del suo ministro. Ora il Cavaliere si trova suo malgrado appiattito su Tremonti. E il «merito» (involontario) va riconosciuto a Galan.

Il titolare della Cultura ha dato voce a quanto temono quasi tutti i ministri: «A forza di tagli, perderemo le prossime elezioni». Sennonché la sua intervista al «Giornale» è caduta proprio a tre settimane dal voto, quando di solito i governi cercano di mostrarsi compatti mettendo la sordina alle liti. Che altro poteva fare, il Cavaliere, se non tentare un rammendo? L’altra sera l’ha pure detto a Galan: un rimprovero mite, affettuoso, tutt’altro che una lavata di capo, però sempre di ramanzina si tratta secondo la versione del colloquio che Berlusconi ha diffuso tra i dignitari del Pdl.

La colpa principale di Galan, ai suoi occhi, è proprio quella «di avermi obbligato a difendere Tremonti» per evitare catastrofiche dimissioni del ministro, laddove Silvio si preparava a metterlo sotto pressione. Il premier non vede l’ora di annunciare una riforma del Fisco che tagli le aliquote, come sta scritto nel capitolo più disatteso del suo programma elettorale. Tutto quanto è riuscito a ottenere da Tremonti consiste invece nella leggera pioggia di incentivi e di semplificazioni tributarie che verranno annunciate la prossima settimana: dalle proroghe del piano casa al sostegno per le reti alberghiere, al bonus fiscale per la ricerca. Sempre meglio di niente, però molto meno di quanto il Cavaliere si sarebbe atteso.

Non è il primo assalto a Tremonti che fa un buco nell’acqua. Due anni fa, alla vigilia delle elezioni Regionali, ci fu una manovra coordinata e molto ben organizzata per fargli allargare finalmente i cordoni della borsa. Al ministero di via XX Settembre ancora ricordano il vasto schieramento ostile: coordinatori nazionali del Pdl, capigruppo, vicecapigruppo, ministri, tutti uniti come una falange macedone. Avevano quasi stretto Giulio alle corde. Poi però scoppiò la crisi in Grecia, e nessuno ebbe il coraggio di insistere. Oggi non è che stiamo molto meglio, avverte Bonaiuti, trait-d’union tra Berlusconi e Tremonti, presente alla loro lunga reciproca «spiegazione» di due sere fa: «La realtà è quella di una crisi finanziaria internazionale che non sta ancora alle nostre spalle. Come si fa a non tenerne conto?». Per cui non è con i complotti, le cene tra ministri o le cariche frontali che se ne può venire a capo.

Tra le smentite su cui il Cavaliere s’è dovuto esercitare, c’è la chiacchiera rilanciata da Dagospia, il sito di gossip politico che Tremonti legge (o qualcuno gli segnala, fa lo stesso): si prepara un cambio al dicastero dell’Economia, il candidato di Berlusconi è Grilli, direttore generale del Tesoro... Anche se ci avesse davvero pensato, il premier sarebbe costretto a negarlo. Meglio, molto meglio una strategia flessibile, tipo quella che (tra le righe) suggerisce Cicchitto: convincere Tremonti con le buone maniere e, soprattutto, con l’aiuto di Bossi. Sostiene il capogruppo Pdl alla Camera, che sempre più spesso prende il comando delle operazioni: «Bisogna fare di tutto per aprire una nuova fase che contenga gli elementi di crescita possibili e realistici; c’è l’interesse di fondo del Pdl e della Lega».
Da cui Tremonti non vorrà isolarsi.

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« Risposta #131 inserito:: Maggio 07, 2011, 06:32:40 pm »

Politica

07/05/2011 - RETROSCENA

Ma Berlusconi tira dritto "Vinco le amministrative"

Risposta al Quirinale delegata ai capigruppo: "Nuova fiducia?

Non c’è problema"

UGO MAGRI

ROMA

La rispostaccia al Quirinale è il segno di quanto i berlusconiani adesso si sentano al sicuro, dell’euforia un po’ ribalda che negli ultimi giorni ha preso il posto dei musi lunghi e rassegnati.

Piaccia o non piaccia, il Cavaliere è convinto di avercela quasi fatta: per brindare allo scampato pericolo, magari in una delle sue feste eleganti, attende solo il voto delle amministrative. E poi, se avrà vinto tanto a Napoli quanto a Milano, si troverà la strada tutta in discesa fino al termine della legislatura. Per cui Napolitano che si ritrae schifato dal «rimpastino», che punta l’indice contro il trasformismo e che non accetta di farlo passare sotto silenzio, al premier causa tutt’al più irritazione ma non allarme, tantomeno sorpresa poiché quegli stessi concetti Napolitano li aveva anticipati personalmente in uno dei recenti incontri.

Prova ne sia che a Palazzo Grazioli nessun vertice è stato convocato per soppesare le virgole. Addirittura, Berlusconi è arrivato al punto da delegare la replica ai suoi capigruppo, «sbrigatevela voi» gli ha detto. Il linguaggio spigoloso, il richiamo alle tante volte che si è già misurata la fiducia al governo per cui non si capisce quale senso abbia insistere col termometro, il tono generale di fastidio per un richiamo vissuto ai vertici Pdl come «pretestuoso», tutto ciò è farina del sacco di Gasparri e di Cicchitto. Dà il primo una sua interpretazione: «Dopo aver bacchettato la sinistra dichiarandone l’inadeguatezza, forse al Quirinale hanno pensato di riportare il dibattito sulla destra...». Ringhia Cicchitto, che pure di Napolitano è amico: «Questa volta non ci ha convinto per niente».

Se poi l’opposizione pretendesse a tutti i costi un dibattito, nel campo berlusconiano si dichiarano pronti, «un nuovo voto di fiducia non potrebbe che rafforzare il governo». Nessuno che scorga nubi nere all’orizzonte. Anzi le cose per il Pdl stanno prendendo una piega che nemmeno i più ottimisti avrebbero mai sperato. Sostiene Quagliariello, numero due berlusconiano a Palazzo Madama: «Siamo usciti molto meglio di quanto noi stessi prevedevamo dalla crisi libica, dalle difficoltà con la Lega, dal rimpasto». Il vero banco di prova sarà tra 8 giorni, alle Amministrative. E i segnali che giungono al Cavaliere dalle città contese sono tutti favorevoli. Nel suo giro si discute se la Moratti e Lettieri passeranno al primo turno o se invece servirà il ballottaggio: ma la vittoria di entrambi non è in discussione, quantomeno nei dati in possesso del Cavaliere (Napolitano ne ha di molto diversi). E «se facciamo bingo in quelle città, non ce n’è più per nessuno», già pregusta il trionfo Osvaldo Napoli.

E i processi, che terrorizzavano il premier? Non c’è più il timore di una pronta condanna per Ruby, per Mills? L’entourage assicura di no, ci informa che è tutto svanito. A liquidare il processo Mills provvederà, spiegano sottovoce, la prescrizione breve che il Senato si appresta a timbrare; sull’accusa di favoreggiamento della prostituzione minorile pensa invece una leggina (non ancora presentata ma pronta) che impone ai giudici di sospendere il dibattimento nelle more dell’attesa che la Corte costituzionale si pronunci sul conflitto di attribuzione…

Ma la mossa che più entusiasma l’« inner circle» berlusconiano, gli scudieri al Cavaliere più fedeli, è l’investitura di Tremonti quale «successore in primis». La considerano vincente per una somma di ragioni proiettate al futuro (una fattiva collaborazione tra Silvio e Giulio, dicono, farà fiorire la riforma fiscale e le misure per lo sviluppo in vista delle Politiche nel 2013) e di altre motivazioni molto tattiche, più legate al presente. Una su tutte: Berlusconi finalmente riprende a fare politica e delinea per se stesso una «exit strategy», una via d’uscita, che obbliga tutti a rifare un po’ i conti. Opposizione compresa. Che senso ha prendere a testate il Cavaliere se tre due anni il candidato del centrodestra magari non sarà lui? E quale logica avrebbe un governo tecnico, se il compito di guidarlo toccasse proprio a colui che Berlusconi indica quale premier dopo di sé? «Il governo tecnico è defunto», se la ride Bonaiuti, «e dopo le amministrative ne vedremo di belle…».

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« Risposta #132 inserito:: Maggio 10, 2011, 12:04:43 pm »

Politica

10/05/2011 - AMMINISTRATIVE VERSO IL VOTO

Pdl-Berlusconi, interessi diversi

Nelle comunali di domenica l'imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli


Qual è la posta in palio alle prossime elezioni?

Un’analisi partito per partito per capire chi, e in quale occasione, potrà cantare vittoria.

A cominciare dal Pdl: il partito che Berlusconi è pronto a sacrificare pur di salvarsi

UGO MAGRI

Per la prima volta gli interessi del Pdl coincidono solo in parte con le fortune elettorali del Fondatore (una volta erano in due, ma
l’altro ha fatto la fine di Remo). Mai come ora Berlusconi è parso pronto a sacrificare il partito pur di salvare se stesso.

Nelle Comunali di domenica l’imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli. Espugnare entrambe al primo turno sarebbe una prova di salute politica inaspettata; ma pure vincere i ballottaggi all’ombra tanto del Vesuvio che della Madunina gli andrebbe di lusso. E in fondo in fondo perfino un pareggio, che equivarrebbe a riprendersi solo Milano lasciando Napoli alla sinistra, darebbe al Cavaliere la chance di tirare avanti con il governo, ammaccato ma ancora vivo, fino al capolinea della legislatura (primavera 2013). Se tra sette giorni Berlusconi avrà centrato almeno uno di questi obiettivi, potrà dire: «Io cado sempre in piedi». Per il Pdl è diverso. Quasi l’opposto.

Nell’ansia di sfangarla, Silvio mette in secondo piano la sorte della sua creatura politica. Anziché aiutarla a crescere, a piantare radici sul territorio, a tirar su una nuova classe dirigente, in qualche caso Berlusconi la trascura; in altri la sacrifica senza pietà. Col risultato che il Pdl affronta il voto con la gioia del cappone sotto Natale, quasi vittima designata dal padre padrone. E’ possibile, per fare un piccolo esempio, che la decisione berlusconiana di correre capolista a Milano possa rappresentare una spinta alla candidata Moratti. C’è chi ne dubita e anzi teme l’effetto-boomerang della campagna ossessiva contro i magistrati, questo eccesso di personalizzazione sul premier tirata al punto che gli spot radiofonici pro Cavaliere implorano: «Se mi vuoi bene, votami». Berlusconi teme la scarsa affluenza, l’astensionismo. Il suo nome si perde in fondo alla scheda, bisogna cercarlo con cura... Sta di fatto che Silvio si comporta come un’idrovora, asciuga lo stagno delle preferenze (se ne può esprimere al massimo una), i candidati Pdl boccheggiano tutti tranne l’unico che non dovrebbe nemmeno figurare in lista, quel Lassini venuto alla ribalta coi manifesti anti-pm.

Ma il vero conflitto d’interessi tra il premier e il suo partito riguarda essenzialmente Bossi. Per quieto vivere, il Cavaliere consentì mesi fa alla Lega di presentarsi con candidati propri, contrapposti a quelli del Pdl, dove meglio credeva. In pratica, Berlusconi diede il via a una sfida dove i suoi campioni sono destinati al massacro. Per il semplice motivo, dicono in via dell’Umiltà, «che noi combattiamo con le mani legate». Bossi fa una campagna spregiudicata, ormai si distingue su tutto, specie sulle decisioni impopolari, da Parmalat al nucleare. Il caso più eclatante? La Libia, che provoca al premier vistosi cali di immagine. Il Carroccio non si fa scrupoli di condannare la guerra. Il Pdl invece non ha scampo, può solo trangugiare le scelte governative, subendone gli alti (pochini) e i bassi (parecchi).

Ricapitolando con le parole di Osvaldo Napoli il quale, tra l’altro, da domenica sarà vicepresidente vicario Anci e di contese locali ne capisce: «Tolte Milano e Napoli, che sono affare di Berlusconi, tutto il resto andrà in carico al partito. Ed è lì che il Pdl dimostrerà di esserci o no». Specie nel confronto diretto con la Lega. A Bologna. A Trieste. In quello che sta diventando il simbolo della disfida, con Bossi che vi comizia un giorno sì e l’altro pure, cioè Gallarate. Guerra crudele perché, se al primo turno la spunta il candidato sindaco del Pdl, poi non è detto che la Lega dia un sostegno compatto nel ballottaggio, specie a Trieste. E comunque lo scontro fratricida è destinato a spingere in alto i padani nel voto di lista, a detrimento di chi si capisce.

In generale la prospettiva del Pdl è grama. Ben che vada al partito del Cavaliere, può liberare Rimini dai «comunisti», e allora giù il cappello. Tuttavia rischia di perdere Latina, mai a sinistra negli ultimi 90 anni, comprendendo l’era del Fascio. Ai vertici Pdl si spera in un colpo di reni a Catanzaro e a Cosenza, si teme invece per Reggio Calabria... I triumviri Pdl (Verdini, Bondi, La Russa) incrociano le dita ma sanno già come va a finire: salvo miracoli, Berlusconi darà la colpa a loro.

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« Risposta #133 inserito:: Giugno 01, 2011, 06:12:36 pm »

Elezioni 2011

29/05/2011 - AMMINISTRATIVE: LA POSTA IN GIOCO

"Partito da rifare" Berlusconi prepara il capro espiatorio

È tornato a Villa Certosa, come ai vecchi tempi e lascia filtrare l'ipotesi di un predellino-bis

UGO MAGRI

L'unica vera forza del Presidente del Consiglio è di non avere un vero e proprio partito alle spalle. Perché se il Pdl fosse l’erede della vecchia Democrazia cristiana, già domani sera una folta delegazione di notabili andrebbe da Berlusconi a dirgli: «Nell’interesse di tutti, farai un passo indietro». Ma Silvio conosce i suoi polli, e sa già che nessuno ne avrà il coraggio. In fondo se li è fabbricati così. Né gli risulta che Bossi voglia aprire nell’immediato una crisi senza aver chiari gli sbocchi. Per cui il Cavaliere va incontro alla probabile doppia legnata a Milano e a Napoli relativamente certo di sopravvivere pure stavolta. Si narra che stia trascorrendo in letizia questo weekend a Villa La Certosa, come ai vecchi tempi. Inutile immaginarsi dunque un remake (l’ennesimo) de «Gli ultimi giorni di Pompei»: certe atmosfere decadenti nel centrodestra richiamano semmai il pasoliniano «Salò e le 120 giornate di Sodoma».

Insomma, per quanto incredibile possa sembrare, a Berlusconi il ballottaggio aggrava l’umore fino a un certo punto. Perdere le elezioni, soprattutto in casa, piacere non gli fa, questo è scontato; pare che ieri sera coltivasse ancora qualche speranziella di recuperare, specialmente a Milano gli hanno raccontato che l’aria è cambiata, a Napoli vai a capire. Ma molto più importante ai suoi occhi è che nessuno stacchi immediatamente la spina, cosicché comunque vada lui possa farsi qualche altro giro di giostra. I Responsabili sbandano, la Melchiorre se ne va? «La sua uscita non ci aggiunge nulla e non ci toglie nulla», alza le spalle il portavoce Bonaiuti. La figuraccia politica? Lo smottamento di immagine? «Chi spera che il Cavaliere vada a nascondersi rosso di vergogna proprio non lo conosce», scuotono il capo nel suo giro stretto. Pare abbia già trovato un capro espiatorio: il partito, appunto. Il Cavaliere ne parla con sprezzante distacco. Dice: «Loro» riferendosi ai gerarchi; oppure «voi» (quando ce li ha davanti, cioè il meno possibile).

Ha «scaricato» la Moratti e Lettieri senza nemmeno attendere il verdetto degli elettori, la colpa è di chi ha spinto per candidarli, lui più di tanto non poteva fare. E lascia circolare la voce di un secondo «predellino», azzerare tutto, tabula rasa per ricominciare daccapo con un partito nuovo di zecca, via la vecchia insegna che in fondo non gli piaceva, avanti con un altro nome (ce ne sono diversi allo studio, il marketing ha le sua regole). Poi magari non ne farà nulla poiché spostare una sola pedina nel Pdl significherebbe compromettere la maggioranza alla Camera che si regge su pochi voti. Ma intanto Berlusconi potrà mettere sotto accusa il suo gruppo dirigente. E non è che manchino gli argomenti. Pare l’abbia molto colpito la descrizione visiva dei suoi «gazebo», confrontati con quelli di Pisapia: questi ultimi colorati e traboccanti di depliant, volantini, manifesti; quelli della Moratti tristi, sconsolatamente vuoti di volontari e di materiali propagandistici (a proposito, che fine hanno fatto con tutto quello che gli son costati?).

Nel Pdl circolano altre idee. Nessuno crede che tutto continuerà come prima. «Business as usual» per Berlusconi, forse, ma non per quelli che sono diventati onorevoli grazie al premio di maggioranza, se tra due anni vince la sinistra addio: tenerli in riga sarà un’impresa. Qualunque deputato, avendo poco da perdere, alzerà il suo prezzo o si guarderà intorno. Le menti più fini del Pdl invocano un colpo d’ala, una ripresa d’iniziativa politica. Quagliariello, capogruppo vicario in Senato, giura che il Pdl non tradirà, sostiene convinto che «la risposta semmai debba venire anzitutto dal governo e dall’economia», un modo elegante per chiamare in causa Tremonti. Osvaldo Napoli ci crede meno, e immagina un partito che perlomeno «abbia il coraggio delle sue idee», e sappia tenere posizioni diverse dal governo «ad esempio sul nucleare, sui servizi pubblici locali, sui rapporti con la Lega...». Berlusconi ascolta tutti i discorsi e sbadiglia. Giorni di lavoro del «sinedrio» per suggerirgli di puntare su riforma del fisco e Mezzogiorno; sembrava persuaso, invece poi è andato da Obama a parlargli dei suoi processi. L’uomo è così, prendere o lasciare.

da - www3.lastampa.it/focus/elezioni2011/
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« Risposta #134 inserito:: Giugno 06, 2011, 12:51:12 pm »

Politica

06/06/2011 - GOVERNO - DOPO IL KO ELETTORALE

Lo sgambetto di Bossi, l'incubo di Berlusconi

Oggi a pranzo, vertice decisivo ad Arcore. Pressing su Tremonti perché si ammorbidisca

UGO MAGRI
ROMA

Oggi a pranzo la Lega rivolgerà a Berlusconi tutte quelle domande che aveva fin qui rinviato. Va bene tirare avanti altri due anni, gli chiederanno anzitutto, ma facendo che cosa? La riforma del fisco, okay, però con quali soldi? E la manovra per pareggiare i conti entro il 2014, non è che farà perdere al centrodestra le prossime elezioni? Non sarà il caso di andare alle urne l’anno prossimo, prima che i tagli producano i loro effetti? Bossi vorrebbe capire qual è la rotta, l’incontro è fissato proprio per discuterne a cuore aperto. Si vedranno col Cavaliere ad Arcore, come di consueto. Garantita la presenza al vertice del segretario Pdl in pectore, Alfano. Bossi porterà con sé Calderoli e Maroni. Non mancherà Tremonti, anzi tutto lascia immaginare che sarà lui il grande protagonista.

Tremonti non ci sta a recitare la parte del cattivo. Sembra che sia lui a negare i soldi per abbassare le tasse. Il superministro sostiene invece che la manovra da 40 miliardi in tre anni è la conseguenza del pareggio di bilancio promesso da Berlusconi. Ce la impone l’Europa e, prima ancora, serve per tenere l’Italia fuori dal mirino della speculazione. Non pare disponibile a fare sconti, sebbene una scuola di pensiero molto prossima al Cavaliere sostenga che oggi «Giulio verrà messo in mezzo, dovrà subire la pressione congiunta di Berlusconi e dello stesso Bossi in quanto pure la Lega sta perdendo voti per colpa della pressione fiscale, insomma Silvio e Umberto hanno lo stesso interesse ad ammorbidirlo». Per il momento Tremonti rimane parecchio rigido. E quale sia il suo atteggiamento lo conferma paradossalmente una smentita. Ieri il quotidiano «Libero» aveva dato per plausibile il taglio delle tasse sulla base del compromesso tecnico di cui si vocifera da giorni (sforbiciata alle agevolazioni fiscali per abbassare Irpef ed Irap). Tremonti poteva lasciar correre, far finta di non aver letto i quotidiani domenica; invece è subito intervenuto: l’articolo «è lievemente privo di fondamento economico e politico», ha fatto precisare dal Tesoro. Come dire: siamo lontani assai da un accordo sulla materia.

Chi colloquia con Berlusconi lo descrive «prudente e preoccupato», racconta che in queste ore Silvio «riflette» senza sbilanciarsi sulle sue prossime mosse. Dicono anche che il premier appare «consapevole che la strada è stretta» e per la prima volta «nutre dei dubbi sulle reali intenzioni della Lega». La quale Lega oggi gli chiederà di allargare la maggioranza ai centristi, o quantomeno di provarci, perché con 10 voti di maggioranza il governo andrà incontro a un autunno tragico. Pionati per telefono ha suggerito a Berlusconi il rovescio, «non ha senso andare appresso a Casini, noi Responsabili saremo una garanzia». Osvaldo Napoli non ha parlato col premier, però scuote il capo e spiega: «Se le condizioni dell’Udc restano quelle che conosciamo, anzitutto le dimissioni del governo e di Berlusconi, mi sembra inutile farsi troppe illusioni su un’apertura ai centristi». E’ molto probabile che il Cavaliere, con la Lega, voglia adottare una linea soft. «La maggioranza c’è ed è salda, possiamo fare tutte le riforme che vogliamo», dirà senza affatto convincere i suoi interlocutori. Salvo aggiungere qualcosa del tipo: «Non ho niente in contrario a fare un passo verso l’Udc, Alfano l’ho nominato segretario apposta per ricucire i rapporti… Anzi provateci pure voi. Ma ho servi dubbi che sia sufficiente. E certo io non posso aprire una crisi di governo in questo momento senza nemmeno la garanzia che possa servire…».

E’ convinzione profonda del Cavaliere, sostiene chi gli sta intorno, che senza di lui la Lega non andrebbe da nessuna parte. Con un Pd trascinato a sinistra dalla vittoria di Napoli e di Milano, il Carroccio non ha più sponde. Un modo per rompere le sue catene, si mette nei panni di Bossi il centrista Rao, sarebbe quello di imboccare la via della riforma elettorale. Quagliariello (Pdl) ne dubita, cambiare il «Porcellum» gli sembra un’arma spuntata. Fatto sta che la Lega è inquieta. Da Berlusconi si attende risposte. Né si fida delle parole. Di morire per Silvio in via Bellerio non se lo sogna nessuno.

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