LA-U dell'OLIVO
Novembre 27, 2024, 01:25:26 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 ... 3 4 [5]
  Stampa  
Autore Discussione: VITTORIO ZUCCONI,  (Letto 44345 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #60 inserito:: Ottobre 28, 2017, 05:59:18 pm »

Lo spogliarello della verità

Di VITTORIO ZUCCONI
27 ottobre 2017

Con vile efferatezza e con il sicuro risultato di alimentare la fantasia dei complottisti che da cinquantaquattro anni vivono di teorie alternative alla verità ufficiale sull’omicidio Kennedy (quella che anche Bob Kennedy accettava dopo aver studiato a fondo il caso) il governo americano ha scelto di bloccare la pubblicazione di 209 dei 3100 documenti ancora segreti e di nascondersi dietro “omissis”.

Le agenzie di spionaggio e controspionaggio, la Cia e l'Fbi, hanno chiesto di esaminarle ancora e di decidere se la loro diffusione possa nuocere alla sicurezza nazionale o creare incidenti internazionali, scoprendo altarini di collaborazionisti, potenze straniere, metodi di spionaggio. Il Presidente Trump, che aveva annunciato la desecretazione di tutte le carte ha ceduto, concedendo altri 180 giorni a Cia e Fbi per studiarle e oggi lamenta di non aver potuto pubblicarle. Come se non dipendesse da lui, e da lui soltanto, decidere, essendo Cia e Fbi agenzie dell’Amministrazione alle sue dirette dipendenze. La legge del 1992 che aveva fissato alla mezzanotte di ieri 26 ottobre 2017 la scadenza per togliere il segreto gli concedeva completa discrezione.

Il risultato di questa proroga, grottesca dopo 25 anni di tempo per esaminare e riesaminare questa montagna di carte e di foto, è di avere infittito e non dissipato la nebbia dei sospetti. Come nella famosa metafora del bikini, quelle 2.890 “files” scoperte diventano istantaneamente irrilevanti perché la curiosità punta su quello che rimane ancora coperto. Fra oggi e il 26 aprile del 2018, scadenza (forse) finale per completare lo strip-tease degli archivi, niente di quello che è ancora nascosto cambierà di importanza e sarà servito soltanto ad accedere le fantasie.

Trump, che aveva scelto con discutibile teatralità il suo volo di ieri verso Dallas per dare il via libera a bordo dell’Air Force One si è lasciato convincere dai generali e dai consiglieri che lo circondano a concedere il riesame, probabilmente senza sapere che cosa contengano quei documenti, rimasti segreti. E i “misteri” sull’assassinio Kennedy resteranno misteri, almeno per chi crede che sotto l’inchiesta Warren e poi l’inchiesta parlamentare ci siano complicità impronunciabili.

Mentre esperti, storici, giornalisti spulciano furiosamente le 2.890 pagine senza ancora trovarvi niente di nuovo (i ridicoli piani per uccidere Castro anche attraverso Cosa Nostra e il boss di Chicago Sam Giancana erano noti da anni) ciascuno può restare della propria opinione, appesa a quelle carte ancora occultate. Un complottista avrebbe il diritto di sospettare che dietro questa inspiegabile dilazione ci sia un complotto per tenere viva l’attenzione e per distrarre il pubblico. Centottanta giorni non cambieranno la verità, ma saranno l’occasione per un’altra puntata del più appassionante romanzo verità dell’America del XX Secolo: chi ha ucciso John Fitzgerald Kennedy?
 
© Riproduzione riservata 27 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/27/news/lo_spogliarello_della_verita_-179443608/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #61 inserito:: Gennaio 12, 2018, 11:53:00 am »

Il patto col diavolo, l'America razzista
Il suo e quello dei suoi supporter è puro, distillato razzismo, attizzato dal rancore e dall'ansia di vendetta contro quell' "africano", quell'usurpatore con la pelle nera che ossessiona questa base e Trump

Di VITTORIO ZUCCONI
12 gennaio 2018

In una piazza di Savannah, la storica e bella città della Georgia sull'Atlantico, si erge, da dieci anni, un monumento del quale il Presidente Donald Trump non deve avere mai sentito parlare: è il momento che commemora il contributo e il sacrifico dei Chasseurs-Volontaires de Saint-Domingue, i fucilieri volontari che nel 1779 parteciparono alla Rivoluzione Americana combattendo al fianco dei ribelli di George Washington contro le truppe coloniali inglesi.
 
Erano neri di pelle, africani di origine o di nascita, soggetti di una terra che allora era colonia francese e oggi è diventata Haiti, anche grazie a quella rivoluzione che i reduci dalla Guerra d'Indipendenza americana videro e imitarono. Provenivano da quella nazione che oggi il leader degli Stati Uniti d'America ha definito uno "shit hole", un'espressione che l'Agenzia Ansa ha tradotto eufemisticamente in "cesso" ma che all'orecchio di qualsiasi americano suona molto, molto più volgare. Uno "shit hole" è un "buco del culo". Nella più benevola delle traduzioni, un "merdaio".
 
Un merdaio, secondo l'uomo che neppure si rende conto del ruolo di simbolo vivente e pontefice laico della "religione americana" che le sfortune della storia gli hanno assegnato, come è tutta l'Africa, continente fatto di 54 nazioni e di una vertiginosa varietà di etnie, di diversi colori di pelle, storia, cultura, religione, grado di sviluppo industriale, urbanizzazione, come un "merdaio" sono l'Honduras, la più povera della nazioni del Centro America o il Salvador, la più violenta, come sono tutte le terre dalle quali adulti, bambini, vecchi tentano di fuggire precisamente perchè sono "buchi del culo". Nessuno fugge dalla Norvegia di oggi, la nazione che Trump ha citato come esempio di paese dal quale vorrebbe immigrati, forse perchè poche ore prima aveva incontrato la Presidente del Governo di Oslo Erna Olsberg e come tutti i bambini, o i più deboli di mente, anche lui tende a ricordare e a conservare l'impressione dell'ultima persona con la quale ha parlato, fino alla successiva che lo distrarrà.
 
Dopo avere notato che la Casa Bianca e i cortigiani, compresi quei generaloni che dovrebbero essere gli adulti nell'asilo infantile e contenere i capricci del bambinone, tacciono come marmittoni intimiditi quando il Boss ne spara una delle sue, non hanno smentito quelle sue espressioni, non ci sono commenti adeguati per un Capo dello Stato americano che considera "merdai" l'intera Africa e nazioni vicine e sventurate come Haiti.
 
La sola spiegazione che viene data dai suoi sostenitori in Parlamento e dai leccapiedi della Fox News Network è che queste cose sono dette per massaggiare "la base", i caproni più razzisti e zotici fra i suoi elettori ancora aggrappati a lui ed è una spiegazione che ancora più terrorizzante della frase. Il suo e quello dei suoi supporter è puro, distillato razzismo, attizzato dal rancore e dall'ansia di vendetta contro quell' "africano", quell'usurpatore con la pelle nera che ossessiona questa base e Trump, intento a demolire ogni tesserina del Lego faticosamente costruita dal predecessore.
 
Ê disprezzo per chiunque non appartenga all'immaginaria tribù dei "bianchi puri", formata in realtà da un mosaico di popoli fuggiti in America da altri "buchi del culo" del mondo, i ghetti della Polonia, dell'Ukraina, della Bielorussa, la miseria più divorante del Sud d'Europa, Italia inclusa, dalla Germania che gli antenati di Trump, quando ancora si chiamavano Drumpf lasciarono per mangiare, dall'Irlanda devastata dalla carestia delle patate.
 
Siamo oltre alla vergogna di un anziano signore che crede di vivere ancora in uno studio televisivo dove conta soltanto la capacità di raccogliere audience e marcare ratings, dunque ricorre ai trucchi dello "shock" per attirare pubblico. Siamo alla minaccia diretta al cuore di ciò che gli Stati Uniti d'America sono e decisero di diventare 240 anni or sono, anche con il sacrificio dei fucilieri haitiani.
 
Trump si sta rivelando il peggior amico che gli americani possano avere. Una minaccia diretta a ciò che il mondo ha sempre creduto fossero gli Usa, rischiando la vita pur di raggiungerli.
 
Quest'uomo che trabocca di odio per tutti coloro che non sono come lui, che sta ogni giorni ferendo l'immagine, il prestigio, l'onore di quella nazione che proclama di amare, non sapendo che cosa significhi diventare americani, essendo lui nato a New York già con il "cucchiaio d'argento in bocca", milionario prima di imparare a camminare, è il migliore alleato di chi odia l'America.
 
Una parte dell'America ha firmato un patto con il diavolo quando lo ha eletto grazie alla bizzarria del sistema elettorale presidenziale. In cambio di un apparente favore fiscale che beneficerà principalmente chi non ne ha bisogno, ancora tutto da dimostrare, di una Borsa che continua a gonfiarsi verso l'inevitabile scoppio, della retorica di una grandezza perduta che ha sempre significato soltanto il ritorno alla supremazia bianca, ha venduto la propria anima di "nazione di nazione", di città sulla collina che richiama gli stanchi, gli affranti, i poveri, i perseguitati come recita il poema alla base della Statua della Libertà.
 
Poche ore dopo i suoi commenti sull'Africa, Haiti, il Centro America come "merdai" del mondo, Trump aveva registrato per la tv il messaggio di saluto e di commemorazione per la Festa di
Martin Luther King, che sarà commemorato lunedì prossimo, in un orgasmo di ipocrisia che offende quella memoria che a parole vorrebbe onorare. King fu ucciso 50 anni or sono, nel 1968. Se il "trumpismo" dovesse infettare la nazione intera, sarebbe morto invano.
 

© Riproduzione riservata 12 gennaio 2018

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2018/01/12/news/il_patto_col_diavolo-186320943/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T2
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #62 inserito:: Aprile 17, 2018, 06:33:55 pm »

Attacco in Siria un'operazione dimostrativa. Il rischio è l'incidente, l'imprevisto

I pianificatori di questa campagna hanno cercato di minimizzare i rischi utilizzando quelle che nel gergo si chiamano armi 'stand-off', sparate da navi, sottomarini, aerei fuori dalle acque o dai cieli siriani e facendo le solite, desolanti promesse di 'evitare danni collaterali'

Di VITTORIO ZUCCONI
14 aprile 2018

No, non è l'inizio della Terza Guerra Mondiale. L'attacco di Cruise e altri missili e bombe teleguidate sulla Siria e sulla capitale Damasco è finito ed emerge quello che si era capito da giorni, da quando impulsivamente Donald Trump aveva preannunciato un attacco "entro 24 o 48 ore":  i militari americani e russi aveva avuto cura di 'deconflict', di evitare le condizioni di un confitto diretto.

Nei piani abbozzati da Trump alle 21 di Washington e confermati da Londra e Parigi l'intenzione è quella di eventualmente ripetere questi attacchi a distanza avendo estrema cura nell' evitare scontri diretti con aerei o truppe russe che ormai infestano la Siria e hanno il vero controllo della forze armate siriane.

L'attacco è dunque, per tragico che sia dirlo in questi momenti, sostanzialmente dimostrativo, un'operazione di 'deterrenza' come ha detto Theresa May contro il futuro impiego di armi chimiche da parte del dittatore - il 'mostro' lo chiama Trump - Bashar Assad, ammesso che sia state effettivamente usate.

È il genere di operazioni militari a distanza già tentato in passato senza nessun altro risultato che rafforzare la presenza dei forza russe e iraniane a sostegno di Assad.

Ma nella vaghezza degli obiettivi strategici, nella totale mancanza di risultati concreti da poter sfruttare per risolvere l'osceno gomitolo di sangue siriano, la campagna aerea voluta da un presidente americano che aveva bisogno di un tremendo diversivo per uscire dalla gabbia dell'inchiesta che si sta stringendo attorno a lui, sta il tremendo rischio di questa operazione.

Il rischio è l'incidente, l’imprevisto, il missile stupido che colpisce un reparto russo, una base iraniana, un base aerea con velivoli russi o, al contrario, il missile antiaereo russo che abbatte un caccia bombardiere americano o inglese o colpendo una nave al largo.

I pianificatori di questa campagna hanno cercato di minimizzare i rischi utilizzando quelle che nel gergo si chiamano armi 'stand-off', sparate da navi, sottomarini, aerei fuori dalle acque o dai cieli siriani e facendo le solite, desolanti promesse di 'evitare danni collaterali', civili uccisi. Ma solo due risultati possono uscire da queste avventure: il nulla, lasciando Assad nel guscio protettivo dei russi che gli

Usa non osano attaccare. O l'incidente, la scintilla involontaria che scatena l'incendio.

La Storia ha un lungo elenco di guerre cominciati "per caso". E l'operazione, annuncia il Pentagono, potrebbe riprendere. Dunque il rischi di imprevisti cresce.
 
© Riproduzione riservata 14 aprile 2018

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2018/04/14/news/un_operazione_dimostrativa_il_rischio_e_l_incidente_l_imprevisto-193814269/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S4.3-T1
Registrato
Pagine: 1 ... 3 4 [5]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!