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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71212 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:21:52 pm »

Il piano del premier al consiglio dei ministri, si tratta sulle quote

Il ministro del Lavoro: i tempi per l'accordo sono maturi

Spiraglio sulle pensioni oggi il "patto" di Prodi

Previste finestre per chi lascia l'attività con 40 anni di contributi

Ieri sera lungo vertice tra Letta, Damiano e i leader sindacali
 
di ROBERTO PETRINI


ROMA - Sarà un "patto" quello che Romano Prodi illustrerà oggi al consiglio dei ministri. Una proposta rivolta alla maggioranza, alle parti sociali, ma soprattutto al paese e alle generazioni. La "sintesi" arriva dopo giorni di trattative e di telefonate riservate e dovrebbe ripercorrere i termini emersi negli ultimi giorni: due scalini crescenti da 18 e 24 mesi per portare l'età a 58 anni e poi a 59, l'arrivo delle quote (ma tra "96" e "97" c'è ancora un braccio di ferro), l'allargamento della platea dei lavori usuranti (recependo le richieste di Rifondazione) e il ritorno delle 4 finestre per consentire a chi ha 40 anni di lavoro di poter uscire senza attese snervanti. Novità dell'ultima ora: una "clausola di salvaguardia" che, se i risparmi non funzionassero, entrerebbe in vigore con intensità proporzionale alle necessità finanziarie (dunque senza automatismi o date capestro).

I contatti sono proseguiti fino alla tarda serata tra il sottosegretario Enrico Letta, i ministri Padoa Schioppa e Damiano e i tre leader sindacali, con l'obiettivo di rivedersi stamattina per arrivare all'accordo. Il premier si è mostrato ottimista: "I tempi sono maturi", ha detto. Ai suoi collaboratori ha aggiunto una battuta: "Vedrete che ce la faccio". Ai leader della Cisl Bonanni e della Cgil Epifani che gli hanno passato la palla chiedendo una proposta e una convocazione, ha replicato: "Gli assist di solito si raccolgono". Fiducioso anche il leader dei Ds Fassino: "Accordo vicino, ragionevole la proposta di Damiano (gli scalini, ndr)".

Il costo della soluzione-scalini andrebbe da 1,5 a 2 miliardi (molto meno dell'abolizione che arriva a Fico e i fondi sarebbero recuperati con una razionalizzazione degli enti previdenziali: sarebbero unificati i servizi ispettivi, snelliti gli organismi e costituita una unica centrale di acquisti. A fare da corollario alla difficile trattativa le cifre che cadono sul dibattito: positive quelle che arrivano dall'Inps che ha reso noto che nei primi cinque mesi del 2007 le entrate sono cresciute di 3,8 miliardi (per effetto dell'aumento dei contributi). Negative quelle che giungono dalla Banca d'Italia secondo cui il debito pubblico ha battuto un nuovo record toccando ad aprile quota 1.609,1 miliardi.

Resta aperta la questione della sinistra radicale che ieri ha continuato a dare segnali di nervosismo, ma con minore intensità: Rifondazione riunirà il comitato politico nel fine settimana, giusto in tempo per dare una valutazione del piano Prodi. Ieri il leader Giordano ha accennato all'eventualità della crisi e Rizzo (Pdci) ha ribadito che bisogna "abolire lo scalone".

Anche sull'eventuale percorso non si va oltre le ipotesi: se la mossa di Prodi avrà un tono squisitamente politico, pur recependo ipotesi gradite ai sindacati, potrebbe tradursi in un emendamento al decreto "tesoretto" o, molto più probabilmente, in una norma della prossima Finanziaria. I sindacati, che non hanno ancora firmato formalmente l'intesa sulle pensioni basse perché attendono il pacchetto complessivo, potrebbero dopo il confronto politico.

La possibile schiarita ha fatto alzare il tono della polemica della Cdl: "Prodi ha fatto un patto con il demonio, è stato eletto con l'impegno di eliminare lo scalone e lo deve eliminare altrimenti andrà a casa", ha detto Tremonti.

(13 luglio 2007)
 
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« Risposta #16 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:24:20 pm »

Il retroscena

Sulle pensioni Prodi si gioca il tutto per tutto

L'offensiva: risolvere i nodi di previdenza e legge elettorale   
 

ROMA - Prodi è convinto di chiudere oggi, «sono convinto di chiudere l'accordo sulle pensioni con i sindacati ». E certo il suo ottimismo stride con l'ennesimo bollettino di guerra, al termine di un'altra giornata in cui il governo non ha trovato un porto in cui riparare. Al Senato è andato sotto sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. Alla Camera si appresta a mettere la fiducia sul «tesoretto » perché non c'è accordo nell'Unione, mentre la sinistra radicale è pronta ad astenersi sul Dpef nelle commissioni Ambiente e Trasporti, contro i progetti delle Grandi Opere.

Il Professore convive ormai da tempo con i fantasmi del '98, e per una volta concorda con il Cavaliere, secondo cui Prodi non cadrà per un incidente di percorso in Parlamento ma per una trama politica ordita dai suoi alleati. «Io però non mollo, andrò fino in fondo », ha ripetuto ieri il premier, sfidando lo sguardo dell'interlocutore di turno: «E dopo di me non c'è nulla. Ci sono solo le elezioni». Anche su questo punto è in sintonia con l'eterno rivale, sebbene nessuno al momento possa ipotecare il futuro, mentre impazza la lotteria sul prossimo capo di governo, e un potentissimo funzionario dello Stato - depositario di molti segreti e confidenze - scommette che «non saranno né Marini né Dini né Veltroni i successori di Prodi a palazzo Chigi, bensì Giuliano Amato, che porterà il Paese alle elezioni».

Il premier vuole smentire le profezie. Certo, sono molti i nodi politici che si sono aggrovigliati e che stanno togliendo il fiato al suo esecutivo. Anche se in realtà la crisi in cui versa è determinata da due problemi: «Le pensioni e la riforma della legge elettorale ». Perciò non si preoccupa più di tanto per quel che sta accadendo al Senato, dove il Guardasigilli ieri ha minacciato le dimissioni sull'ordinamento giudiziario, dopo aver subito «lo schiaffo» di un emendamento presentato da alcuni dissidenti dell'Ulivo, che è stato votato dal centrodestra per mettere in scacco il governo. Oggi si replica. E malgrado la preoccupazione sia palpabile, con Mastella che definisce le proposte di modifica annunciate da Manzione «un vero e proprio atto eversivo», con Mussi che annuncia ai suoi «il rischio molto alto di saltare», c'è la sensazione che si arriverà a un'intesa in extremis. «La verità è che abbiamo già evitato la trappola», spiegava infatti il ministro della Giustizia nei giorni scorsi, con il sorriso di chi la sa lunga: «La trappola era la fiducia. Se Prodi l'avesse messa, allora sì che sarebbe caduto. Magari ci sarebbe mancato un voto... Per fortuna mi ha dato retta e abbiamo sventato la minaccia». D'altronde Mastella sapeva in questi giorni di poter fare affidamento sui centristi dell'opposizione, che però oggi in Aula a palazzo Madama non potranno assentarsi.

Così ha ordinato Casini: «Tutti presenti o verremo additati come il soccorso bianco di Prodi. Stavolta non è come sul decreto per le missioni militari».
Resta da capire come possa Prodi continuare a lungo così, e se davvero c'è un piano per sostituirlo in autunno. L'altra sera l'argomento è stato al centro di una discussione tra Rutelli e i suoi fedelissimi: dai ministri Gentiloni e Lanzillotta, a Lusetti e Realacci, a Polito e Bobba. Il vicepremier ha allargato le braccia: «Qui si naviga a vista, ogni questione può diventare una buca ».

Certo Rutelli non sembra far nulla per impedire il passo falso, anzi nel documento che ha redatto per il Partito democratico, tratta l'esecutivo alla stregua di un «governo amico»: gli addebita «la delusione dei ceti popolari», «l'insofferenza dei ceti medi, dei piccoli imprenditori, dei professionisti, dei commercianti, degli artigiani». Praticamente di tutto il Paese. In più prospetta la rottura del Pd con l'ala massimalista dell'Unione per non restare «imprigionati dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra». E nella chiosa sottolinea addirittura che Veltroni «a queste ragioni si ispira».

«Conoscendo il carattere di Prodi, starà fuori dalla grazia di Dio», ha commentato il segretario del Prc con i suoi: «Quella di Rutelli è una posizione da ribaltonista, da tradimento del mandato elettorale». Ma la «forzatura » del leader diellino — secondo Giordano — «può esserci di aiuto perché ci tira fuori dall'angolo, spinge il premier a proporsi nel ruolo di garante e magari può far ripartire il feeling tra noi e lui». Il pensiero, ovviamente, va alla trattativa sulle pensioni. Al momento restano le divergenze tra il capo del governo e gli alleati, né le mediazioni finora hanno ridotto la distanza. A dire il vero, hanno irritato persino gli esponenti dell'area riformista: «Io non sono mai stata femminista — diceva giorni fa la Lanzillotta — ma ipotizzare l'aumento dell'età pensionabile per le donne, così da consentire agli uomini di andare a riposo prima, mi pare una bestialità ».

È sulle pensioni che Prodi si gioca molto se non tutto.

Sulle pensioni e sulla legge elettorale, che è all'origine della instabilità della maggioranza. «Sono pronto a impegnare il governo sul sistema tedesco», ha sussurrato il premier ai dirigenti del Prc: «Però dovete convincere i partiti più piccoli ad accettare lo sbarramento al 4%». Verdi e Pdci non ne vogliono sapere, Mastella men che meno. Intanto il tempo passa, e senza accordo il tic-tac del referendum avvisa che la bomba ad orologeria si appresta a esplodere. Ieri il Cavaliere ha criticato il ricorso alla consultazione popolare, che in realtà sta segretamente sostenendo, come lascia intendere Rotondi, suo fedelissimo alleato democristiano: «Io sto raccogliendo le firme, e ho capito che può venire utile a Berlusconi. Lui non si può muovere perché altrimenti si scatena la Lega».

Sarà una coincidenza, ma è l'ennesima: i percorsi dei due rivali coincidono. Entrambi non vogliono concedere spazio agli alleati che puntano al cambio della guardia. Prodi deve contrastare il passo a Veltroni per restare a palazzo Chigi, mentre Berlusconi deve stroncare la resistenza di Casini per tornarci. Il resto è ammuina, tattica, annusamento. Basta pensare a quello che è avvenuto sere fa, alla festa in onore di Valentino, durante la quale il Cavaliere ha corteggiato Rutelli: «È ora di metterci d'accordo... Troviamo un'intesa anche sulla legge elettorale... Se voi abbandonate i comunisti noi tagliamo i nostri rami secchi...». Il giorno dopo il vicepremier l'ha raccontato ai suoi. Commento finale: «E mica crederete a Berlusconi?». Nessuno crede più a nessuno. Succede tra avversari, ma anche tra alleati.

Francesco Verderami
13 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:26:42 pm »

13/7/2007 (7:36) - RETROSCENA

La crisi? Ora è caccia a chi la fa
 
Il segretario di Rifondazione Giordano: «Non escludo che il governo possa cadere anche se non è il nostro obiettivo»

Governo in bilico

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Lentamente e per progressione quasi impercettibile, la discussione tra i partiti dell’Unione sulla tenuta e sul futuro del governo ha fatto un salto di qualità che Romano Prodi sbaglierebbe a sottovalutare (ammesso e non concesso che l’abbia sottovalutato): il confronto, chiamiamolo così, si è infatti spostato dal «se» il governo incapperà prima o poi in una più che paventata crisi, al «chi» sta lavorando per quell’epilogo. In questo senso, la difficile giornata vissuta ieri dall’esecutivo (battuto al Senato su un emendamento alla riforma dell’ordinamento giudiziario e ancora stretto nelle spire mortali del confronto su scalini, scaloni e pensioni) è assai più che istruttiva, essendo stata una rappresentazione perfetta di come si prepara e poi si scivola verso una crisi. Gli elementi, infatti, sono stati messi in campo tutti. A cominciare dal più importante: l’accusa all’alleato di star lavorando per mandare tutto gambe all’aria. Vediamo.

Ha cominciato «Europa», aggressivo quotidiano della Margherita (e apripista per molte sortite rutelliane) che - a proposito di pensioni - deve aver mandato il caffè di traverso a Prodi con un titolo a tutta pagina di questo tenore: «Veltroni sta con i giovani, vediamo con chi sta Prodi». Ha subito risposto Giordano, leader di Rifondazione, con una battuta inutilmente sibillina: «Non escludo che il governo possa cadere sulle pensioni. Non è l’obiettivo per cui stiamo lavorando, piuttosto sono altri che lo stanno facendo». Dicevamo inutilmente sibillina perché bastava aver letto «Liberazione», quotidiano di Rifondazione, per sapere Giordano con chi ce l’aveva. Nel grande titolo d’apertura, infatti, spiegava in chiaro chi sarebbero gli «altri» che lavorano per la crisi: «Pensioni, il Pd non vuol trattare, nell’Unione tensione altissima». E lo scambio d’accuse intorno a chi lavora per la caduta del governo prendendo a pretesto la riforma della previdenza, sarebbe certamente continuato, se non si fosse improvvisamente aperto un nuovo e perfino più concreto scenario di crisi: l’Unione battuta al Senato su un emendamento alla legge di riforma dell’ordinamento giudiziario presentato da un suo senatore (governo contrario) e passato con i voti del centrodestra e di due altri parlamentari della maggioranza.

Immediata la polemica. E visto che il senatore in questione (Manzione) annuncia per oggi un altro emendamento non concordato con l’Unione, ecco lo scambio di accuse. Comincia il partito di Di Pietro: «Se passa l’emendamento, l’Italia dei valori non voterà la riforma». Continua Anna Finocchiaro: «Se accadesse l’irreparabile, le responsabilità saranno chiare». Conclude il ministro Mastella: «Non so se c’è più la maggioranza, voglio sapere se c’è o non c’è e ne prenderò atto». Si potrebbe continuare. Ma ieri, intanto, s’è capito che Rifondazione accusa il Pd di volere la crisi sulle pensioni, che il Pd accusa Rifondazione di voler far cadere il governo sempre sulle pensioni, che sulla giustizia il sospettato di volere la crisi è Di Pietro mentre il partito di Di Pietro sospetta che sia il Partito democratico a volere che Prodi cada su una riforma considerata troppo «tenera» con i magistrati.

E teniamo da parte, giusto per carità di patria, la mossa a sorpresa fatta ieri da Francesco Rutelli che ha lanciato il suo «manifesto dei coraggiosi» per il Partito democratico. Ci sarà infatti tempo per registrare le polemiche che determinerà. E che ne determinerà sembra abbastanza scontato: visto che si apre con l’annuncio che il Pd «deve aiutare il governo a cambiare rotta» (ne sarà felice Prodi...) e si conclude con l’avvertimento che «il Partito democratico dovrà proporre un’alleanza di centrosinistra di nuovo conio, per non riconsegnare l’Italia alle destre ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra».

Questo ieri. E non è affatto detto che oggi andrà meglio. Infatti, al di là delle note divisioni che segnano dall’avvio il profilo della coalizione, sta cominciando a pesare il processo innescato dai primi passi del Partito democratico. In realtà, non era difficile prevedere che la sua nascita, con l’incoronazione di un nuovo leader (Veltroni) e l’acuirsi della polemica con la sinistra radicale, avrebbe potuto arrecare più danni che benefici al governo in carica. Anzi, la dinamica va facendosi così chiara, che perfino Berlusconi ha cambiato la sua analisi: «Questo governo non cadrà per una imboscata parlamentare ma per una operazione politica - ha annunciato ieri -. Per ora è a bagnomaria, ma i tempi vanno facendosi maturi: penso che cadrà in autunno...». In serata, però Cicchitto smentisce: «Berlusconi non ha mai detto quella frase».

da lastampa.it
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« Risposta #18 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:31:48 pm »

La Nota

Massimo Franco

Crisi in incubazione.

Tempi imprevedibili

La tesi di Berlusconi: cadrà per un incidente ma dietro c’è un’operazione politica 


Nella stessa maggioranza adesso comincia a circolare il termine «agonia ». E ci si chiede quanto potrà resistere il governo di Romano Prodi dopo l’ennesima bocciatura al Senato; e stavolta per iniziativa di tre parlamentari dissidenti dell’Ulivo. Gli appelli allarmati ad evitare «l’irreparabile» fanno pensare che anche nelle votazioni di oggi sull’ordinamento della giustizia la maggioranza rischi. Ma proprio perché ormai s’è capito che se la crisi si aprirà, almeno in apparenza sarà per un incidente legato ai numeri di palazzo Madama, qualunque previsione suona azzardata.

Un governo così debole potrebbe, proprio per questo, andare avanti per un po’. Il problema riguarda il costo che il centrosinistra sta pagando in termini di consensi. Il tramonto di Prodi avvicinerebbe drasticamente la fine della legislatura, seppure attraverso un passaggio intermedio. Ma il suo lungo logoramento si proietta sull’Unione, erodendone i margini di credibilità. L’indizio più vistoso della voglia di parlare al passato del premier è offerto dalla fioritura di scenari alternativi. Non si tratta soltanto della proposta di unità nazionale, rilanciata dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e bocciata da Silvio Berlusconi con un lapidario: «troppo tardi».

L’archiviazione si coglie nel «manifesto » del vicepremier Francesco Rutelli, che non esclude un nuovo centrosinistra senza i partiti dell’antagonismo. E nella reazione iniziale del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, dopo l’approvazione dell’emendamento di ieri con l’appoggio del centrodestra: «Ci rimettiamo alla sovranità del Parlamento». Formula obbligatoria per evitare la caduta; e ammissione di un Senato dove la maggioranza ha contorni volatili, soprattutto sul fronte moderato.

La tesi del Guardasigilli, tuttavia, rilanciata dalla capogruppo diessina Anna Finocchiaro, ha provocato l’altolà del partitino di Antonio Di Pietro. E Mastella ha dovuto dire che potrebbe dimettersi. Rispetto al passato, la novità sta in uno scontro non dovuto alle assenze o ad una trappola del fronte berlusconiano. La modifica sulla quale il governo è scivolato nasce nei meandri moderati della maggioranza. Fa affiorare i problemi di un’Unione che sente la pressione del’Associazione nazionale dei magistrati con la minaccia di sciopero. E allo stesso tempo deve fare i conti con i suoi settori meno inclini ad assecondarla.

Berlusconi accarezza «il disagio» di singoli esponenti di una coalizione appesa a «senatori che vanno alla toilette o ai senatori a vita». L’allusione è a Giulio Andreotti, decisivo mercoledì scorso per salvare il governo. Ma all’ex premier interessa soprattutto la polemica con la magistratura. Un’eventuale caduta di Prodi, tuttavia, sarebbe legata solo incidentalmente alla riforma della giustizia. Ormai, qualunque provvedimento diventa un’incognita quando approda nell’aula del Senato. E uno diventerà l’incidente fatale, che per Berlusconi servirà a mascherare «un’operazione politica».

Massimo Franco
13 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #19 inserito:: Luglio 13, 2007, 03:37:30 pm »

Le mosse di Dini

Spunta il «partito dei guastatori»

La Finocchiaro: vogliono far cadere il governo.

L'Udc: non saliremo su un carro funebre 

 
ROMA - «Ditelo a Prodi, è molto meglio andare alle feste che ai funerali...». Stravaccato su un divanetto del Senato, Clemente Mastella rilancia (a suo modo) l'invito al premier per la festa Udeur di Telese e, al tempo stesso, pronostica al governo del Professore un avvenire nient'affatto luminoso. Pochi metri più in là il presidente dei senatori udc Francesco D'Onofrio dedica un epitaffio all'inquilino di Palazzo Chigi: «Noi i guardaspalle di Mastella? E perché mai dovremmo salire sul carro funebre di Prodi?».

Matrimoni (mancati) e funerali, a Palazzo Madama. All'ora di pranzo sembrava quasi che il Guardasigilli, con quella frase «d'ora in avanti il governo si rimette all'Aula», avesse colpito con freccia di Cupido il cuore dei senatori di Casini prolungando così la vita della legislatura, ma a sera nessuno parla più di amorosi inciuci al centro. Il tema, tra i senatori stremati dalla maratona sull'ordinamento giudiziario, è un altro. É il partito dei guastatori, i soliti post—ulivisti e post—prodiani cui ancora una volta sono appesi i destini dell'intera Unione. Anna Finocchiaro, già inviperita senza darlo a vedere per l'uscita di Mastella, lo ha detto ai suoi con una frase secca, inequivocabile: «A che gioco giocano Bordon e Manzione? Semplice, stanno cercando di far cadere il governo ». E non da soli.
L'appuntamento col destino è per la tarda mattinata di oggi. Se l'emendamento Manzione sugli avvocati nei consigli giudiziari non sarà ritirato Prodi potrebbe davvero non avere scampo, tanto che ieri si è dato da fare di persona per scongiurare il peggio, ha chiamato e redarguito Mastella, rabbonito Di Pietro, schivato accuratamente le telefonate allarmate della Finocchiaro e perfino spronato a convocare i senatori a vita latitanti.

«L'emendamento Manzione è la buccia di banana su cui il governo può cadere» certifica il rischio il capogruppo di Rifondazione, Giovanni Russo Spena. Il quale si è convinto che dietro ai due pasdaran — che coltivano il sogno di tenere a battesimo un Pd alternativo e d.o.c., senza Prodi senza D'Alema e senza Veltroni — si muova l'ex presidente del Consiglio, Lamberto Dini: «Qualcuno dice che il burattinaio sia Marini, ma io non ci credo...». Che interesse avrebbe la seconda carica dello Stato a far da traghettatore a Veltroni al timone di una scialuppa delle larghe intese? Dini, invece. Ieri lo si è visto scivolare via a passi felpati tra le boiserie del Palazzo, elegantissimo e silente, la faccia di uno che aveva altro a cui pensare. E invece, nelle stanze ristrutturate di fresco della commissione Esteri, i suoi collaboratori lo descrivono «determinatissimo a far cadere il governo» e rivelano che del bellicoso proposito, covato «per il bene del Paese » e «per puro senso di responsabilità», Lamberto avrebbe «per correttezza» informato il presidente del suo partito, Francesco Rutelli.

Nei piani di Dini la pietra tombale dovrebbe calare sul governo Prodi col voto sulle pensioni, ma il presidente ha fretta, «i mercati non aspettano e l'Europa nemmeno». E così uno scivolone sull'ordinamento giudiziario non gli sarebbe sgradito, convinto com'è che un'area liberaldemocratica che va dai frondisti ex ulivisti a scampoli di Forza Italia, passando per i centristi di Casini, sia pronta a seguirlo col nobile intento di «liberare il Paese da un governo ostaggio delle sinistre».

Bordon si gode lo spettacolo. «Se voterò l'emendamento Manzione? C'è tutta la notte per pensare». Notte lunga e intensa, trascorsa a trattare e ancora trattare, con la speranza di convincere Manzione a ritirare il suo emendamento e Bordon e Barbieri, ex ds in avvicinamento a Enrico Boselli, a non votarlo. In cambio di cosa? Un seggio sicuro, sospettano i più. Un «aiutino» da parte di Marini per mettersi in proprio, con un gruppo che accolga anche Dini? La presidenza della commissione Giustizia, cui aspira Manzione? O ancora, come chiosa il capogruppo dell'Udeur Nuccio Cusumano, «sufficienti garanzie dentro il Partito democratico». Quello vero, però.

Monica Guerzoni
13 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #20 inserito:: Luglio 14, 2007, 12:10:05 pm »

POLITICA - IL DOCUMENTO

Pd, il documento di Rutelli


Il Partito Democratico deve aiutare il Governo a cambiare rotta e a rivolgere un messaggio chiaro al Paese. Dopo il primo anno, i risultati positivi vengono incrinati da un rapporto via via più difficile con l'opinione pubblica. E' finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall'antagonismo verso Berlusconi.

Non è possibile esaurire la missione di questa legislatura nel risanamento economico. Già l'esperienza del 1996-2001 ha insegnato che non appena è stato raggiunto l'ambizioso traguardo dell'Euro la crisi politica è stata immediata. Occorre indicare con nettezza agli italiani gli obiettivi e comunicarli in modo preciso, chiaro, bene organizzato.

Le difficoltà non vanno sottovalutate, ma esplicitate, per essere risolte. C'è delusione tra i ceti popolari: non si colgono ancora i benefici per chi ha un reddito fisso; le conseguenze dei tagli degli anni passati incidono sui servizi. Si sta radicando un'insofferenza nei ceti medi, tra piccoli imprenditori, commercianti, artigiani, professionisti; l'eccesso di adempimenti fiscali e amministrativi rende mal difendibile la sacrosanta azione contro l'evasione fiscale.

Un incessante e coraggioso processo riformatore è indispensabile per superare le difficoltà competitive dell'Italia e agganciare il mondo che corre. La missione di questi anni per l'Italia è il ritorno alla crescita: la capacità di far crescere l'economia, produrre più ricchezza e benessere, ridurre la pressione fiscale, creare più lavoro, migliore e meno precaria occupazione.

Crescita però è una parola che va declinata in modo comprensibile ed efficace: bisogna mostrarne i benefici per i cittadini e soprattutto dare una spinta di ottimismo e fiducia.

La nascita del Partito democratico rappresenta in sé una svolta. È una decisione coraggiosa; è stato coraggioso il superamento di DS e Margherita per dare vita a un partito nuovo e aperto. Questo partito avrà l'ambizione di costruire alleanze europee ed internazionali innovative. Avrà un impianto pluralista e laico, per cui l'ispirazione religiosa e i valori ideali avranno libertà e forza, senza integralismi. Coraggioso e nuovo è l'appuntamento popolare del 14 ottobre. La candidatura di Walter Veltroni ha esordito con una chiara e positiva discontinuità.

Per battere i riflessi egoistici della destra, che parlano al ventre di molti italiani, ma soprattutto per scongiurare che nasca un "blocco sociale" potenzialmente maggioritario e a noi avverso - che già si vede in alcune aree più dinamiche del Paese e specialmente nel Nord - occorre che il PD sia molto più che un partito nuovo. Proporrà una forte ispirazione nazionale dei compiti dell'Italia. Incontrerà le vocazioni, i talenti, i problemi dei territori con un'organizzazione autonomistica e federale corrispondente alla nostra moderna visione delle istituzioni.

Il Partito Democratico deve produrre un sano shock politico e progettuale per il centro sinistra. La sua nascita deve accompagnarsi con il nuovo messaggio al Paese. Senza porre mano al programma generale di governo, che dovrà procedere con l'impegno di tutta la coalizione, indichiamo 7 programmi d'azione prioritari da mettere in campo per i prossimi 4 anni:

L'ambiente, in primo luogo, terreno del nuovo umanesimo del XXI Secolo. No al localismo esasperato e alle ideologie della crescita zero; sì a far respirare la natura e le città, migliorare la vita delle persone, dare all'Italia e all'Europa una leadership nella difesa del clima e della terra.

Modernizzare l'Italia è non solo indispensabile ma può essere popolare. Tutela del paesaggio, buona progettazione, tecnologie moderne debbono sposare un programma, con tappe precise entro la fine della legislatura, di costruzione di infrastrutture per la mobilità bloccata, termovalorizzatori ed impianti energetici avanzati.
       
Coesione sociale è futuro. Nell'oggi, tutelare il potere d'acquisto di stipendi e pensioni; migliorare i servizi per le persone. Per l'Italia di domani: i nostri figli sono un bene pubblico; è urgente uscire dall'inverno demografico. Il welfare sia amico delle famiglie con più occupazione femminile, più equità tra le generazioni, una vecchiaia più attiva e sostegni ai non autosufficienti.

Etica pubblica della responsabilità. Oggi in Italia chi delinque è premiato. Le vittime non sono risarcite e di fatto vengono punite più degli autori dei delitti, che godono troppo spesso i benefici del crimine subendo sanzioni irrilevanti. Qui sta la radice dell'insicurezza: senza certezza dei diritti e delle pene non c'è Repubblica.

Per le imprese, una burocrazia più snella, subito. Una regolazione liberale e liberalizzazioni in economia, con totale separazione tra politica e affari. Ma, molto di più: il messaggio che siamo dalla parte di chi crea ricchezza, di chi ama fare. Siamo dalla parte di chi innova, ricerca, rischia, crea l'eccellenza della qualità italiana.

Potere alla creatività dei giovani, che hanno diritto a un ascensore sociale, che torni a far salire talenti, merito, lavoro. Grazie al sapere, alle tecnologie, alla garanzia di accesso alla rete. Con la cultura, espressione del patrimonio e dell'identità della patria e protagonista dello sviluppo del XXI Secolo.

L'Italia nel mondo sa da che parte stare: costruisce pace, diritto, diritti umani, sicurezza, contrastando il fondamentalismo terrorista con la forza necessaria. In Europa promuoverà politiche comuni - ambiente, energia, immigrazione, difesa - con i paesi che vogliono cooperare senza restare schiavi dell'unanimismo né dell'antieuropeismo. Sarà dinamica nella politica di solidarietà con l'Africa, in una visione di comune destino.

La maggioranza che ha vinto le elezioni deve governare i cambiamenti. Sappiamo che potrà essere confermata solo se soddisferà le attese degli elettori.
Altrimenti, il Partito Democratico dovrà proporre una alleanza di centrosinistra di nuovo conio. Per non riconsegnare l'Italia alle destre, ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra, né dalla paralisi delle decisioni.

Noi firmatari sosteniamo Walter Veltroni che a queste ragioni si ispira e che può dare loro forza e consenso.

(13 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #21 inserito:: Luglio 14, 2007, 12:11:51 pm »

POLITICA

La Bindi e gli ulivisti attaccano: "Quel documento non è conciliabile con il sostegno a Prodi"

Non convinto neppure il ministro Bersani: "Le proposte devono essere precise e gli orizzonti più lunghi"

Manifesto di Rutelli, si agita la maggioranza

Veltroni: "Non indebolisca il governo"

Si moltiplicano intanto le sottoscrizioni.

Tra gli altri Cacciari, Bassanini e Chiamparino


ROMA - Il manifesto di Francesco Rutelli, il nuovo sasso gettato nello stagno del Partito democratico, agita le acque della maggioranza e raccoglie più perplessità che consensi. A non piacere è soprattutto il punto in cui il vicepremier e leader della Margherita parla di "alleanze di nuovo conio" da sperimentare nel caso in cui l'attuale maggioranza non si mostrerà in grado di "governare i cambiamenti". Il passaggio è parso a molti almeno inopportuno. Il documento di Rutelli non piace a Rifondazione. Non convince Bersani e preoccupa la Bindi e gli ulivisti. E Veltroni è assai prudente: "Non indebolisca il governo". Intanto però si moltiplicano le adesioni.

Franco Giordano non ha gradito il riferimento di Rutelli alla sinistra "minoritaria e conservatrice". Il segretario ha poi attaccato: "E' chiaro ormai che i pericoli per il governo non vengono da sinistra, ma da qualche altra parte".

Anche i Ds prendono le distanze. Bersani invita a guardare più lontano e non fermarsi alle tattiche di breve termine. "Non riesco a ragionare in un'ottica così di breve periodo - scrive il ministro Pierluigi Bersani - stiamo facendo il partito del secolo, dunque le proposte devono essere precise e gli orizzonti più lunghi. Il Pd può anche accettare una traversata del deserto, altro che alleanze".

Per il ministro della Famiglia Rosy Bindi l'ipotesi di nuove alleanze "non è conciliabile con il sostegno al governo Prodi". La Bindi poi sollecita Veltroni e Dario Franceschini a pronunciarsi sul documento che suo avviso mette in discussione il governo.

Franceschini difende il documento e replica parlando di dietrologie. "Francamente - ha detto Franceschini a margine del convegno degli Ecodem - sono stanco delle dietrologie quotidiane, di chi vuole distinguersi a tutti i costi. Il documento di Rutelli ha un buon impianto riformista e non credo proprio che tutte quelle persone che l'hanno firmato intendano far cadere il governo".

Veltroni, che ha cercato di evitare dapprima di rilasciare commenti, ha poi ammesso che il "manifesto contiene elementi di programma di grande interesse, coincidenti con la piattaforma che ho espresso a Torino". Ma poi il sindaco di Roma ha ritenuto opportuno precisare che il "Pd sostiene con grande forza l'azione di questo governo e il suo impegno di risanamento e riforma del paese".

L'ipotesi di Rutelli non piace neppure agli ulivisti vicini ad Arturo Parisi. Franco Monaco, il loro portavoce, dice che "l'iniziativa non solo mette a rischio il governoma in più "esprime una particolare visione del Pd che dovrebbe concretarsi in una candidatura distinta e in competizione con Veltroni". Preoccupate anche le dichiarzioni di alleati come Angelo Bonelli dei Verdi e Pino Sgobio del Pdci.

Intanto si moltiplicano le adesioni al documento di Rutelli. Le sottoscrizioni arrivano soprattutto dal territorio e dai rappresentanti del mondo dell'associazionismo. Ma anche da esponenti dell'Ulivo, amministratori locali, imprenditori e protagonisti della cultura e dello spettacolo. Tra le prime personalità che hanno aderito ci sono anche l'ex ministro Franco Bassanini, lo scrittore Alberto Bevilacqua, Luigi Bobba, il primo ballerino della Scala Roberto Bolle, il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, il nutrizionista Giorgio Calabrese, il regista Mimmo Calopresti e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino.

(13 luglio 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #22 inserito:: Luglio 14, 2007, 11:38:24 pm »

2007-07-14 16:53

MARINI, BASTA QUERELLE SUI SENATORI A VITA

 UDINE - Fermare la 'querelle' sui senatori a vita: è l'invito lanciato dal presidente del Senato, Franco Marini, che a margine della cerimonia per i mille anni della Foresta di Tarvisio, ha parlato con i giornalisti del voto di ieri a Palazzo Madama.

"Sui senatori a vita - ha detto Marini - è una lunga 'querelle'. E' una delle cose che mi dispiacciono perché i diritti sono gli stessi. Sono identici. Lo prevede la Costituzione. Quindi - ha affermato - questa cosa la dovremmo fermare, questa è la mia idea e penso che ci possiamo riuscire".

 "Quando in una Camera i numeri pressoché si equivalgono - ha aggiunto Marini - le tensioni debbono essere 'scontate'.

Il Presidente lo deve sapere e deve essere capace di governare lo stesso". "Naturalmente - ha affermato il Presidente del Senato - ieri c'era una discussione importante e devo dire che l' opposizione regolamento alla mano, avrebbe anche la possibilità di ritardare, di fare ostruzionismo" e "questo non l'ha fatto.

Quindi alla fine - ha concluso Marini - si è discusso con toni aspri ma l'ostruzionismo non è stato fatto e la legge, che io ritengo positiva, è stata approvata". 

da Ansa.
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« Risposta #23 inserito:: Luglio 15, 2007, 09:19:55 am »

Il presidente del Consiglio: "Serve un accordo serio e conti in ordine

Unire gli interessi di chi deve andare in pensione e delle nuove generazioni".

Pensioni, la priorità di Prodi "Prima la copertura finanziaria"

"Le urla della Cdl contro i senatori a vita devono far pensare"
 


BOLOGNA - "La copertura finanziaria è il mio punto di partenza". Romano Prodi mette al primo posto dell'agenda del governo la questione della copertura finanziaria della riforma delle pensioni. "Io metto a disposizione le risorse possibili - continua il premier che sta lavorando su una proposta in grado di sciogliere il nodo delle pensioni - .Possibili significa tener conto dello sviluppo di lungo periodo del Paese".

Un lavoro che, si augura Prodi, porterà "a un accordo serio che tenga presente gli interessi di chi deve andare in pensione e delle nuove generazioni". Nessun commento, invece, sui malumori che agitano l'Unione: "Si sta lavorando seriamente per fare i conti". Per le polemiche, fa capire, non c'è spazio.

Gli attacchi ai senatori a vita. "Le frasi e le urla che si sono sentite in Senato ieri devono fare molto pensare". Prodi torna così sugli attacchi, sguaiati, che ieri la Cdl ha riservato ai senatori in vita durante il voto sulla riforma della giustizia. L'accusa dell'opposizione è quella più volte utilizzata: il voto decisivo al Senato dei senatori a vita "che non hanno legittimazione popolare". Ma Prodi non ci sta. "Non è vero che il loro voto è stato decisivo, bastava quello dei senatori non a vita. Ma ricordo ancora che i senatori a vita sono senatori come tutti gli altri, perchè la Costituzione è la Costituzione della Repubblica".

L'inchiesta di Catanzaro. Poche battute invece sul'inchiesta di Catanzaro che lo vedrebbe indagato per abuso d'ufficio nell'ambito di un'inchiesta su finanziamenti illeciti nazionali ed europei: "Nessuna novità. Quello che ho detto ieri".

(14 luglio 2007)
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« Risposta #24 inserito:: Luglio 17, 2007, 04:22:32 pm »

Per l'ex presidente del Consiglio «è giusto guardare altrove»

Dini: «Prodi abbandoni il Prc o cadrà»

«Una piccola minoranza sconfitta dalla storia e che rappresenta il 5-6% non può piegare il Paese a ideologie del passato»

 
ROMA — Se non si candida alle primarie del Pd è solo per raggiunti limiti anagrafici, ma di certo Lamberto Dini, 76 anni, presidente della commissione Esteri del Senato, non rinuncia a prendere per le corna il toro della politica.

Bacchetta Prodi per aver «ceduto alle sirene di Bertinotti», minaccia di non votare le pensioni, bolla la sinistra come «minoranza sconfitta dalla storia» e apostrofa, sarcastico, quel «filosofo » di Arturo Parisi.

Il ministro della Difesa dice che Rutelli si muove da «bella statuina» verso un nuovo assetto centrista. «Reazioni di un filosofo della politica, che poi trovino sostanza nella realtà è un'altra cosa. Capisco Rutelli e Fassino, ma non cosa abbia in testa Parisi».

Per Fassino la maggioranza è fragile, non coesa.
«Sono emerse lacerazioni, differenze molto forti. Ma se prevale la ragionevolezza forse il quadro si può ricomporre ».

La sinistra vi accusa di tentare una offensiva centrista...
«Rutelli non è stato bene interpretato. Se la maggioranza è così divisa da non permettere di fare le riforme che vuole Prodi, con una nuova legge elettorale perché non si dovrebbero cercare nuove alleanze? Non oggi, né domani. Ma dopodomani».

Sembra quasi che Rutelli e Fassino abbiano più fretta di lei: il segretario Ds ha aperto con forza a Udc e Lega.
«Se la coalizione è bloccata dalle contraddizioni interne e non consente di fare le riforme, tutte le forze facciano il punto della situazione. Io mi auguro che a sinistra prevalga la ragionevolezza».

A sinistra? E che dice del voto sulla giustizia? Al senato sono stati due ulivisti a portarvi sull'orlo del baratro.
«Il governo poteva esprimere parere favorevole sull'emendamento Manzione. Non vedo cosa ci fosse di sconvolgente, visto che in passato il centrosinistra condivideva quelle posizioni. La norma sugli avvocati nei consigli giudiziari è stata bocciata solo grazie al voto dei senatori a vita convocati per l'occasione».

Ora l'Ulivo vuole espellere sia Manzione che Bordon.
«Non capisco tanta severità, se non si può parlare in dissenso si creano ulteriori tensioni. Due senatori in meno non facilitano la sopravvivenza del governo».

Qualcuno sospetterà che sia davvero lei il burattinaio di Bordon e Manzione.
«Ammesso che ne siano capaci si muovono nella logica di creare un altro gruppo, un movimento di cui non mi hanno mai parlato. Non faccio parte della loro cordata».

Però lei ha detto che anche i riformisti possono far cadere il governo e che 20 senatori bastano...
«Confermo. Fassino e Rutelli, non due cani sciolti, hanno spiegato il clima dentro i nostri partiti. Dl e Ds devono valutare se si può andare avanti in queste condizioni, anche se mi auguro che si permetta al governo di recuperare il terreno perduto».

Dicono i bene informati che dopo Prodi non c'è Dini e non c'è Marini, ma Giuliano Amato.
«Dovrebbe chiederlo a chi mette in giro queste previsioni, io non ne faccio. Marini e Amato sono impeccabili, hanno tutti i titoli per guidare un eventuale governo prima di nuove elezioni».

Voterà le pensioni?
«Faccio affidamento sulla proposta del premier, se Prodi vuole accettare un addolcimento dello scalone si trovino le risorse all'interno del sistema previdenziale per finanziare i minori risparmi. Se questo è non ho difficoltà a votarla, se invece si aumenta la spesa no, non la voto ».

Giordano ha detto che Prodi farà sua la proposta del Prc.
«Prodi ha ceduto alle sirene del Prc, ma andare in pensione alla giovane età di 57 anni non si può. Non credo che Prodi accetterà la proposta di Giordano, non deve accettarla, la soluzione ideale è che lo scalone entri in vigore il primo gennaio 2008. La sinistra antagonista è isolata, sono loro che devono unirsi al resto della maggioranza».

Sembra facile...
«Un accordo in questa direzione è la sola possibilità per il governo di sopravvivere. Capisco che Giordano minacci di far cadere Prodi, è stato eletto da movimenti, no global, pacifisti anti-Usa... Una piccola minoranza sconfitta dalla storia e che rappresenta il 5 o 6 per cento della popolazione non può avere la pretesa di piegare il Paese a ideologie del passato, mentre l'Italia perde la battaglia dell'economia».

Bertinotti dice che voi riformisti siete i veri conservatori.
«Il conservatore è colui che vuole mantenere l'età della pensione al di sotto della media europea. I riformisti siamo noi del Pd».

Presenterà una sua lista?
«Ci sto pensando, è bene che ci sia una componente liberaldemocratica in appoggio a Veltroni».

E perché non a Letta?
«Nessuno me lo ha chiesto».

Monica Guerzoni
16 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #25 inserito:: Luglio 19, 2007, 03:30:30 pm »

Casini contro tutti:

«Prodi? E’ morto. Ora un esecutivo di salute pubblica»

«Fini difende bipolarismo per sopravvivere»

Dopo le tensioni tra An e Berlusconi arriva la bordata del leader dell’Udc: «Difende la sua rendita. In campo aperto non ha chance» 
 

ROMA – Il bipolarismo continua a far discutere la Casa delle Libertà. O ciò che ne rimane. Mercoledì sul ring erano saliti Silvio Berlusconi e An. Il giorno successivo è il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini a riprendere le ostilità. E riferendosi direttamente al presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, sostiene che «Il bipolarismo è difeso solo da chi, avendo paura del futuro, ritiene che questo sia un'assicurazione sulla vita. Chi lo difende sa di avere pochi numeri in campo aperto e vuole conservare una rendita di posizione».

REFERENDUM - Per il leader dell’Udc, inoltre, «il referendum (appoggiato dall’ex ministro degli Esteri, ndr) è solo un'illusione, non certamente la soluzione» dei problemi della politica italiana. Dunque, sostiene l'ex presidente della Camera, Gianfranco Fini «difende la propria convenienza e io - aggiunge - non mi scandalizzo. Non vorrei che dimenticasse però che anche lui ha difeso questa legge elettorale proporzionale che con il referendum può essere solo peggiorata». Invece, è il ragionamento di Casini, «serve una nuova legge elettorale» che possa far mettere attorno a un tavolo «coloro che ragionano».

PRODI E’ MORTO – Intanto però Casini non è tenero neanche con l’attuale maggioranza e soprattutto con il governo guidato da Romano Prodi: «Questo governo è un morto che cammina, se ne vada il più presto possibile perché più resta e più alimenta il discredito delle istituzioni e della politica. Serve un governo di salute pubblica», ha ribadito Casini. «La gente ragionevole del centrosinistra – ha aggiunto – deve prendere atto che questo è un caso tipico di accanimento terapeutico». Anche perché. È la tesi del leader dell’Udc, «in nessuna parte d'Europa Di liberto e gli esponenti della sinistra estrema hanno le chiavi della politica italiana. Oggi la battaglia non è tra destra e sinistra ma tra modernizzazione e il conservatorismo. Che è a sinistra».

19 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #26 inserito:: Luglio 26, 2007, 10:52:33 pm »

PRODI, CHIRAC FRENO' SU RADICI CRISTIANE IN COSTITUZIONE
 
"Feci ogni sforzo per inserire le radici giudaico-cristiane nella Costituzione Ue, ma Chirac ed il premier belga mi dissero che non era possibile. Abbiamo rimediato con l'articolo 52". Lo afferma il presidente del Consiglio, Romano Prodi, in una intervista a Radio 24.

Prodi, in una trasmissione dedicata al cammino dei pellegrini verso Santiago de Compostela, rimarca: "Mi fa arrabbiare molto che in Italia non abbiamo piu' il cammino dei pellegrini verso Roma.

Ad esempio la via Francigena, da Canterbury a Roma, attraverso la Francia, la Pianura Padana, la Cisa, la Toscana, il viterbese fino a Roma. Per ricostruire il grande cammino dei pellegrini non abbiamo bisogno della Costituzione, ne' di grandi investimenti, ma di cuore".

Alla domanda su chi debba fare il pellegrinaggio nella sua coalizione, Prodi replica: "Il pellegrinaggio lo dobbiamo fare tutti, cominciando da me.

Nessuno e' esente da questo obbligo".

 (AGI) - Roma, 26 lug.(AGI)
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« Risposta #27 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:00:30 am »

LA "CHIAMATA" DI ROMANO PRODI PER IL 14 OTTOBRE

Care amiche e amici,

chiedo ospitalità al “nostro” sito per salutare la nuova fase della costruzione del Partito Democratico. Abbiamo finalmente i candidati per il grande appello popolare del 14 ottobre, quello che è ormai nei nostri cuori “il giorno del Pd”.

La pluralità di persone, di esperienze e di motivazioni che compongono il ventaglio delle candidature mi fa capire che, ancora una volta, la nostra non è una scommessa ma una certezza. Il 12 luglio, nella lettera aperta scritta sul mio sito, confessavo la mia  soddisfazione perché “a dodici anni dalla nascita dell’Ulivo, sento intorno la stessa voglia di cambiamento, di partecipazione.”  Ebbene, oggi quella soddisfazione è il sentimento con cui saluto tutti i candidati in corsa. Perché sono soddisfatto di vedere esperienze e storie diverse pronte a fare proposte, ma soprattutto perché vedo persone pronte a proporre se stesse e a mettersi in gioco.

Sarà una competizione?, una gara?, una battaglia? Molto più semplicemente sono convinto sarà un confronto, uno di quei percorsi che arricchiscono sia chi vi partecipa che il risultato finale. Vedete, in democrazia ogni sfida – come ho già detto più volte – è “per”, non “contro”. Questo non significa che ci debba essere un appiattimento generale. La visione comune del “nuovo partito” deve assolutamente avere prospettive diverse a confronto. Chi farà emergere la propria avrà poi il compito e l’impegno di farsi contaminare positivamente dalle altre nella costruzione definitiva del progetto.

Agosto è il mese tradizionalmente dedicato al riposo e, possibilmente, al divertimento. I candidati alla segreteria probabilmente si divertiranno lavorando per questo grande progetto, ma sicuramente non si riposeranno. Anche per questo dobbiamo rivolgere loro un sincero grazie per quanto si apprestano a fare. E’ vero che saranno settembre e le prime due settimane di ottobre le giornate calde in vista del voto. Ma sono certo che già durante questo mese si faranno strada idee e proposte.

Anche per questo abbiamo il dovere di stare vicini ai candidati, ascoltare, tenerci informati. In una parola sola: partecipare.

Il Partito democratico, lo ripeto ancora una volta,  non può nascere senza una grande partecipazione popolare. Verrebbe meno tutto il lavoro degli ultimi anni, non solo degli ultimi mesi. Il 14 ottobre, non dimentichiamolo, si scelgono i partecipanti all’assemblea nazionale e a quelle regionali. La mia non è una “offerta di lavoro”. E’ una pressante, determinata e convinta “chiamata”.

Chiunque dei candidati prevalga, qualsiasi linea programmatica adotti, deve sapere che il suo lavoro non può essere disgiunto da quello dei rappresentanti eletti delle assemblee. Abbiamo voluto un partito aperto e lo stiamo costruendo. Agosto servirà anche a molte migliaia di italiane ed italiani per decidere come e con chi concorrere. Contribuendo al confronto e non alle recriminazioni o alle contrapposizioni. E’ una scelta che non solo auspico, ma che appunto chiedo con forza.

Desidero infine rivolgere il mio grazie anche a chi è rimasto escluso dalla possibilità di correre per la segreteria. So che si è trattato di decisioni non semplici, ma so anche che gli amici che avevano dato la loro disponibilità continueranno a guardare con attenzione al Partito Democratico. Chi tra loro ricopre già rilevanti ruoli politici è atteso da una sfida appassionante, quella di arricchire il percorso del nuovo partito al di là delle pur comprensibili reazioni negative per non poter essere, da subito, protagonisti di questa avventura.

Il Partito Democratico non esclude. Il Partito Democratico non ha paura di nascere aperto e plurale. Il Partito Democratico è realmente democratico: le regole che ci siamo dati da Orvieto in avanti testimoniano la trasparenza e la perenne ricerca del confronto. A chi oggi si sente “respinto” chiedo solo di non emettere sentenze e di credere in questo progetto, sia prima che dopo il 14 ottobre, perché è un progetto che viene da lontano, è stato generato dall’Ulivo e dagli sforzi congiunti di chi ha già preso decisioni storiche. Saremo felici di abbracciarne altre, perché quella del partito Democratico sarà davvero una storia di tutti e per tutti.

Auguri di buon lavoro “per” il Pd a tutti i candidati. Auguri a noi.


Romano Prodi
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« Risposta #28 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:31:00 pm »

Mobilitazione sì, ma lealtà al governo


Il premier scrive agli elettori della sinistra dell’Unione. Con una lettera, pensata per i due quotidiani d'area: “Liberazione” e “Il Manifesto”, ma poi pubblicata sul suo sito, Romano Prodi si rivolge direttamente al popolo che meno si sente vicino a lui in questo momento. A quanto riferiscono fonti dei due quotidiani, in mattinata Silvio Sircana, portavoce del presidente del Consiglio, avrebbe avuto due colloqui telefonici con i direttori Piero Sansonetti (“Liberazione”) e Gabriele Polo (“Il Manifesto”). I quali hanno fatto presente al premier che entrambi i quotidiani pubblicano l'appello per una manifestazione d’autunno di tutta la sinistra (forze politiche e movimenti) per portare in piazza la delusione nei confronti delle politiche sociali ed economiche del governo. Un appello sottoscritto da diversi esponenti politici e da diverse organizzazioni.

Sansonetti e Polo avrebbero dunque chiesto a Prodi di aspettare 24 ore. La lettera, insomma, sarebbe stata pubblicata sabato e non venerdì. Il premier ha deciso allora di far uscire la lettera sul suo sito personale. Una scelta che nelle redazioni di “Liberazione” e “Manifesto” non è stata particolarmente apprezzata. Anche perché sarebbe stata fatta senza avvertire i giornali.

Diversa la versione di palazzo Chigi su tutta la vicenda. In un primo momento, si rileva, Sansonetti e Polo avevano accettato, sia pure con qualche riserva, di pubblicare subito la lettera del presidente del Consiglio. Salvo poi cambiare idea nel pomeriggio. Insomma, secondo Palazzo Chigi prima ci sarebbe stato un sostanziale “sì”, e poi un “no” da parte dei due direttori. A questo punto Sircana, dopo essersi consultato con il premier, avrebbe avvertito Gabriele Polo, che era in contatto con Sansonetti, della decisione di pubblicare la missiva direttamente sul sito di Prodi.

Nella sua lettera aperta agli alleati e agli elettori di sinistra il premier ricorda agli alleati che in questo periodo manifestano le critiche più dure nei confronti del governo, il percorso fatto insieme. «La sinistra, dopo i cinque anni di devastazione sociale ed etica alimentati dal governo delle destre, ha testardamente voluto - ricorda Prodi - il governo di questo Paese. Ha lavorato per questo obiettivo insieme alle altre forze dell`Unione, costruendo un Programma e un`idea diversa di Italia. Ha fatto tutto questo ben sapendo che al primo posto delle emergenze c`era il risanamento dei conti pubblici. Non senza fatica ha condiviso un Dpef e una Finanziaria che hanno prodotto risultati mirabili a fronte di una nuova richiesta di sacrifici per i cittadini. Sacrifici che, anche grazie a tutti i ministri del Governo e ai gruppi parlamentari che ne rappresentano l`elettorato in Senato e alla Camera, sono stati equi e giusti, diminuendo privilegi ed ingiustizie».

«La critica costruttiva - precisa il capo del governo nella sua lettera aperta - è l`anima di una politica vera. Sia negli editoriali che negli articoli o nei commenti ospitati su quelle colonne si legge spesso la parola “mobilitazione”. In queste ultime settimane, poi, sembra quasi che il mantra della reazione sia una sorta di “liberazione” o “manifesto” (scusate il gioco di parole), con cui la cosiddetta sinistra cosiddetta radicale si prepari ad affrontare la ripresa del dibattito politico e dell`attività di governo».

Dopo aver elencato i meriti del governo e della maggioranza, e il carattere “popolare” delle sue scelte, Prodi si rivolge direttamente ai suoi alleati di sinistra: «Per tutte queste ragioni - dice - vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come sui luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l’orgoglio “popolare”, gli stimoli e naturalmente anche le critiche. Ma ricordando che questo Governo merita fiducia perché in soli 14 mesi ha rimesso a posto il debito, vede ripartire l`economia e tutelare i consumatori grazie alle liberalizzazioni, non teme i giudizi europei e internazionali, combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte. E, appunto, sta ricostruendo un sistema di welfare che non deve essere giudicato tutti i giorni da “riformisti” o “radicali” come un qualcosa da cambiare comunque».

«Se potremo migliorare ancor di più le nostre azioni sociali lo faremo, statene certi. E ascolteremo con attenzione tanto i cittadini quanto il Parlamento. Ma non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi anni bui», conclude Prodi.

Nella parte centrale della sua lettera aperta agli alleati di sinistra, Romano Prodi rivendica orgogliosamente i risultati ottenuti dal suo governo, partendo dalla recente intesa sul welfare con le parti sociali. «Il percorso delle riforme - scrive il premier - ci ha portati nelle scorse settimane a definire con i sindacati il Protocollo sulle pensioni e sul welfare. Non è stato un atto isolato o autoritario, ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata. Il governo precedente aveva imposto, noi abbiamo scelto di condividere. È stato così sulle grandi opere, sui temi ambientali, sulle riforme economiche. Non poteva che essere così anche sul welfare».

«Non mi stupisco - prosegue - quando si dice che si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l`equità sia massima e che si cancellino i favoritismi. Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito». «Lasciatemi sintetizzare in poche parole orgogliose - dice Prodi - quanto è stato siglato il 23 luglio, una data importante. Innanzitutto è stato evitato che, il 31 dicembre, entrasse in vigore una delle leggi più arroganti di sempre, uno “scalone” di disuguaglianze e finte responsabilità. Basterebbe questo, come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare, per considerare un successo quell`accordo. Ma non basta: abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e dei meno giovani attraverso un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni, garantendo assegni più alti e tutele più forti. Abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti, abbiamo limitato le pensioni d`oro, abbiamo, in buona sostanza, fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva il 9 e il 10 aprile del 2006 mettendo la propria croce sul simbolo dell`Unione».

«Ma non è tutto. Ferme restando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici, l`extragettito frutto delle politiche serie di lotta all`evasione e che proprio in queste ore è stato approvato in Parlamento - sottolinea il capo del governo - ci ha permesso di alzare le pensioni minime a milioni di cittadini, far riscattare la laurea senza esborsi folli ai giovani, aumentare la lotta al precariato che già è stato limitato dalle politiche sul cuneo fiscale. Certo, si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come “popolari”».

«Abbiamo ancora molto da fare - ricorda Prodi - e non solo su temi fiscali ed economici. Ci sono da portare a termine le riforme istituzionali imposte dalla destra, da risolvere il conflitto di interessi, da garantire il pluralismo dell`informazione e della formazione. C`è, forte, la necessità di lavorare per le sicurezze, a partire da quelle per i lavoratori. Le Camere hanno approvato una legge che abbiamo fortemente voluto ma non basta. Non è tollerabile piangere ogni giorno vite spezzate dalla mancanza di regole e di tutele. Siamo di fronte a un`emergenza nazionale che va combattuta con provvedimenti forti e controlli severi, come abbiamo iniziato a fare: in questi mesi sono stati assunti 1411 ispettori, sospese 1760 aziende prive dei requisiti di legge in materia e altre 711 regolarizzate. E non dimentichiamo - sottolinea ancora Prodi - che ben 143mila lavoratori sconosciuti all`Inail, metà dei quali stranieri, sono adesso garantiti».

«Anche sull`ambiente - scrive Prodi rivolgendosi agli alleati più sensibili ai temi dell'ecologia - abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. E che dobbiamo intensificare assolutamente dopo la pausa di agosto. prefissati. Proprio in queste ore il ministro Pecoraro Scanio ha ricordato gli impegni programmatici su Kyoto, la Legge obiettivo, la lotta all`inquinamento, le biodiversità. Tutto il governo, tutta la maggioranza devono essere 'verdì, perché è in gioco il futuro delle nuove generazioni e lo stesso sviluppo del Paese. Abbiamo investito in un piano sull`energia di grande profilo, ci siamo attivati nelle tutele e nella ricerca. Ma sappiamo di poter dare e fare di più, perché anche in questo - rivendica il premier - siamo più responsabili e motivati di chi ci ha preceduto».

In serata, la replica del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero: «Non posso che valutare positivamente il fatto che Prodi dialoghi con la parte sinistra dell'Unione», ma «ho con Prodi una evidente differenza di valutazione su quello che il governo ha fatto fin qui».

Pubblicato il: 02.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 9.39   
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« Risposta #29 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:38:44 pm »

Il Governo merita Fiducia

Romano Prodi


Questa lettera aperta è rivolta in modo particolare a quanti, sostenendo l’Unione, hanno espresso la loro preferenza per i partiti della sinistra. Al tempo stesso è una riflessione comune che credo doverosa e che forse era giusto fare anche prima.

Leggo spesso sulle pagine dei quotidiani di riferimento di questo elettorato parole pesanti e preoccupate.

Non vengono da un'opposizione preconcetta, ma vengono da chi, con lealtà, sostiene il governo di centrosinistra, lo stesso governo che gli elettori-lettori di questi giornali hanno contribuito ad eleggere nell'aprile dell'anno scorso. Sono quindi parole da considerare con attenzione. E rispettare.

La critica costruttiva è l'anima di una politica vera. Sia negli editoriali che negli articoli o nei commenti ospitati su quelle colonne si legge spesso la parola «mobilitazione». In queste ultime settimane, poi, sembra quasi che il mantra della reazione sia una sorta di «liberazione» o «manifesto» (scusate il gioco di parole), con cui la cosiddetta sinistra cosiddetta radicale si prepari ad affrontare la ripresa del dibattito politico e dell'attività di governo.

Chiariamo subito un primo concetto. Io non credo affatto all'idea di una sinistra «radicale». Ve lo dico come leader dell'Unione e come presidente del futuro Partito Democratico, un partito che non deve essere visto come un avversario ma al contrario come un motivo in più per una coabitazione rispettosa e serena. Ho troppa stima per le donne e gli uomini che compongono la grande area della sinistra (e che stanno giustamente lavorando affinché ci sia in questa area una forma di riunificazione moderna ed europea) per considerare come «radicale» qualcosa che invece è a mio avviso estremamente «popolare». L'idea stessa di considerarsi i difensori della società meno fortunata è un compito nobile. Specie quando si è chiamati a farlo ricoprendo incarichi di responsabilità.

La sinistra, dopo i cinque anni di devastazione sociale ed etica alimentati dal governo delle destre, ha testardamente voluto il governo di questo Paese. Ha lavorato per questo obiettivo insieme alle altre forze dell'Unione, costruendo un Programma e un'idea diversa di Italia. Ha fatto tutto questo ben sapendo che al primo posto delle emergenze c'era il risanamento dei conti pubblici. Non senza fatica ha condiviso un Dpef e una Finanziaria che hanno prodotto risultati mirabili a fronte di una nuova richiesta di sacrifici per i cittadini. Sacrifici che, anche grazie a tutti i ministri del Governo e ai gruppi parlamentari che ne rappresentano l'elettorato in Senato e alla Camera, sono stati equi e giusti, diminuendo privilegi ed ingiustizie.

Il percorso delle riforme ci ha portati nelle scorse settimane a definire con i sindacati il Protocollo sulle pensioni e sul welfare. Non è stato un atto isolato o autoritario, ma il frutto di mesi di concertazione, una parola che non vorrei venisse sottovalutata. Il governo precedente aveva imposto, noi abbiamo scelto di condividere. È stato così sulle grandi opere, sui temi ambientali, sulle riforme economiche. Non poteva che essere così anche sul welfare.

Non mi stupisco quando si dice che si poteva fare di più e che a settembre è necessario lavorare ancora per fare in modo che l'equità sia massima e che si cancellino i favoritismi. Ma vorrei che a quel mese di settembre si arrivasse dopo aver analizzato con trasparenza e serietà quanto è stato fatto finora in questo ambito.

Lasciatemi sintetizzare in poche parole orgogliose quanto è stato siglato il 23 luglio, una data importante. Innanzitutto è stato evitato che, il 31 dicembre, entrasse in vigore una delle leggi più arroganti di sempre, uno «scalone» di disuguaglianze e finte responsabilità. Basterebbe questo, come il Programma firmato insieme ci stimolava a fare, per considerare un successo quell'accordo. Ma non basta: abbiamo deciso di investire sul futuro dei giovani e dei meno giovani attraverso un progetto da 35 miliardi di euro in dieci anni, garantendo assegni più alti e tutele più forti. Abbiamo allargato la platea dei lavori usuranti, abbiamo limitato le pensioni d'oro, abbiamo, in buona sostanza, fatto quelle politiche sociali che la sinistra ci chiedeva il 9 e il 10 aprile del 2006 mettendo la propria croce sul simbolo dell'Unione.

Ma non è tutto. Ferme restando le esigenze di riequilibrio dei conti pubblici, l'extragettito frutto delle politiche serie di lotta all'evasione e che proprio in queste ore è stato approvato in Parlamento ci ha permesso di alzare le pensioni minime a milioni di cittadini, far riscattare la laurea senza esborsi folli ai giovani, aumentare la lotta al precariato che già è stato limitato dalle politiche sul cuneo fiscale. Certo, si può fare di più, ci mancherebbe. Ma sfido chiunque a non definire queste scelte come «popolari».

Abbiamo ancora molto da fare e non solo su temi fiscali ed economici. Ci sono da portare a termine le riforme istituzionali imposte dalla destra, da risolvere il conflitto di interessi, da garantire il pluralismo dell'informazione e della formazione. C'è, forte, la necessità di lavorare per le sicurezze, a partire da quelle per i lavoratori. Le Camere hanno approvato una legge che abbiamo fortemente voluto ma non basta. Non è tollerabile piangere ogni giorno vite spezzate dalla mancanza di regole e di tutele. Siamo di fronte a un'emergenza nazionale che va combattuta con provvedimenti forti e controlli severi, come abbiamo iniziato a fare: in questi mesi sono stati assunti 1411 ispettori, sospese 1760 aziende prive dei requisiti di legge in materia e altre 711 regolarizzate. E non dimentichiamo che ben 143mila lavoratori sconosciuti all'Inail, metà dei quali stranieri, sono adesso garantiti.

Anche sull'ambiente abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. E che dobbiamo intensificare assolutamente dopo la pausa di agosto. prefissati. Proprio in queste ore il ministro Pecoraro Scanio ha ricordato gli impegni programmatici su Kyoto, la Legge obiettivo, la lotta all'inquinamento, le biodiversità. Tutto il governo, tutta la maggioranza devono essere «verdi», perché è in gioco il futuro delle nuove generazioni e lo stesso sviluppo del Paese. Abbiamo investito in un piano sull'energia di grande profilo, ci siamo attivati nelle tutele e nella ricerca. Ma sappiamo di poter dare e fare di più, perché anche in questo siamo più responsabili e motivati di chi ci ha preceduto.

Per tutte queste ragioni vorrei davvero che in autunno ci fosse quella mobilitazione di cui si parla: nelle piazze, come sui luoghi di lavoro. Portando sì le vostre istanze, l'orgoglio «popolare», gli stimoli e naturalmente anche le critiche. Ma ricordando che questo Governo merita fiducia perché in soli 14 mesi ha rimesso a posto il debito, vede ripartire l'economia e tutelare i consumatori grazie alle liberalizzazioni, non teme i giudizi europei e internazionali, combatte la propria guerra alle guerre e si batte per la moratoria sulla pena di morte. E, appunto, sta ricostruendo un sistema di welfare che non deve essere giudicato tutti i giorni da «riformisti» o «radicali» come un qualcosa da cambiare comunque.

Se potremo migliorare ancor di più le nostre azioni sociali lo faremo, statene certi. E ascolteremo con attenzione tanto i cittadini quanto il Parlamento. Ma non dimentichiamo mai, prima di giudicare o attaccare, quello che stiamo riuscendo a fare insieme dopo tanti, troppi anni bui.

Pubblicato il: 03.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 8.17   
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