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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71258 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:30:37 pm »

Gli scenari

Il sostegno di Veltroni: il premier fa miracoli, il Paese deve ringraziarlo

Prodi: basta con gli ultimatum

Il Professore ai suoi: o si trova un'intesa oppure tutti a casa

La «diplomazia» di Palazzo Chigi cerca di ricucire con il Prc

DAL NOSTRO INVIATO


LISBONA — «Che succede in Italia?». Romano Prodi sbarca in serata a Lisbona, dopo aver fatto tappa a Londra per incontrare il primo ministro britannico Gordon Brown, e si esibisce in una delle sue migliori interpretazioni da sfinge. «Non so nulla...» sibila all'indirizzo di telecamere e taccuini. Naturalmente non è vero. Naturalmente sono arrivate anche sull'Airbus presidenziale, diretto al vertice Ue-Africa, le grida di Mastella contro il Prc sull'emendamento omofobia e il rinnovato pressing dei quattro ministri della sinistra radicale sulla base americana di Vicenza. In realtà, il Professore sta preparando da alcuni giorni la verifica di gennaio, dalla quale dipende il destino del governo. E il suo sarà un approccio tutt'altro che morbido: «Non si può andare avanti a colpi di ultimatum — ha spiegato ai suoi, anticipando quelle che saranno le linee portanti della sua strategia —. La coalizione non è una fune che possa essere tirata in continuazione...».

È un Prodi preoccupato, ma per nulla disposto a gettare la spugna, rincuorato dalle parole di Walter Veltroni. Per il leader del Pd «il governo ha fatto miracoli e il Paese deve essere grato a chi, come Prodi, sta governando il Paese con la fragilità data da una legge elettorale voluta dalla precedente coalizione che ha avvelenato i pozzi». Il premier spiega: «Sono un lottatore, ho grande resistenza e credo di averlo dimostrato in tutti questi mesi». A tutto però c'è un limite. O, come dicono i suoi, «non è che siamo disposti ad accettare ogni cosa». Ecco allora che la frontiera sulla quale il premier si attesterà di fronte agli alleati diventa una sorta di linea di fuoco: «O si trova un'intesa o è meglio andare tutti a casa ». A quel punto, la palla passerà a Rifondazione e a quegli spezzoni di centristi e cattolici in fibrillazione. «Le possibilità sono due — spiegano gli uomini del Professore —: o accettano di rilanciare l'azione del governo, trovando una sintesi tra le varie posizioni, oppure ognuno si assumerà di fronte ai cittadini la responsabilità delle proprie scelte».

La speranza di Prodi, il cui obiettivo resta quello di «terminare la legislatura, o comunque andarci molto vicino», è che l'ennesimo salto mortale di due giorni fa in Senato, con la maggioranza salvata da Cossiga, abbia fatto capire a tutti che c'è il forte rischio di fare «un regalo al centrodestra». L'obiettivo primario del Professore è ora quello di portare a casa la Finanziaria e il ddl sul welfare: «È un dovere verso il Paese». Nel frattempo la diplomazia prodiana cercherà di smussare gli angoli con Rifondazione, mettendo sul tavolo un'agenda di cose sul sociale, a partire da contratti e salari. Infine, le riforme. Secondo il resoconto dell'inviato del «New York Times», Ian Fisher, che ha intervistato il premier mentre faceva jogging a villa Borghese, Prodi avrebbe detto che «le modifiche alla legge elettorale e la successiva entrata in vigore richiederanno molto tempo, lasciandogli la possibilità di completare i 5 anni di mandato». Una versione rettificata da Palazzo Chigi: «È frutto di un equivoco». Francesco Alberti Londra, l'ora del tè con Brown Il premier Romano Prodi prende il tè con il primo ministro inglese, Gordon Brown, ospite nella residenza di campagna a Chequers. In serata Prodi è arrivato a Lisbona per il vertice Ue-Africa

Francesco Alberti
08 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #61 inserito:: Dicembre 10, 2007, 07:06:09 pm »

09 Dicembre, 2007

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Romano Prodi

In un momento così difficile, i Cittadini per l'Ulivo manifestano la loro sincera solidarietà.




Al Presidente del Consiglio Romano Prodi

Caro Presidente,

in un momento così difficile per Lei e per il suo governo, noi "Cittadini per l'Ulivo" desideriamo manifestarLe  la nostra sincera solidarietà.
 
Non abbiamo dimenticato la straordinaria giornata delle primarie dell'Unione, da Lei volute,  in cui oltre  tre milioni di cittadini con il loro voto Le affidarono la speranza di un futuro migliore  e siamo consapevoli che è per non deludere queste attese e per realizzare responsabilmente  il mandato popolare e parlamentare ricevuto, che Lei non ha ancora abbandonato la battaglia.
 
La Sua fermezza nell'azione di governo, la Sua concezione di una politica alta, la sobrietà nella comunicazione ed infine il perseguimento continuo ed indefesso del bene del Paese, ci infondono coraggio ogni giorno.

Ma gli attacchi continui che Le arrivano da un'opposizione incapace di assumersi le necessarie responsabilità di fronte ai problemi dell'Italia, e ancor più quelli provenienti dalla Sua stessa maggioranza, ci indignano perchè denotano, nel migliore dei casi, una visione politica di cortissimo respiro,  nel peggiore, piccoli calcoli che non hanno certo come fine quello di restituire speranza e futuro agli Italiani.

Non era certo questo che ci aspettavamo dalla coalizione di governo per la cui vittoria ci siamo tanto prodigati.
 
In questa fase stiamo lavorando per il Partito Democratico, perchè nasca sano e forte, scevro dai vizi antichi della politica italiana, ma siamo consapevoli che Sua è l'idea di dar vita ad un  partito  in cui si fondono le grandi culture democratiche del secolo scorso e le nuove sensibilità di questo tempo  e che Suo è stato l'impulso affinché questo partito nuovo vedesse presto la luce, nonostante i rischi prevedibili per il Governo.

Noi non dimentichiamo quanto grande sia il debito dei Democratici e dell'intero Paese nei Suoi confronti.
 
Per questo invitiamo tutti i cittadini cui stanno a cuore le Istituzioni della Repubblica e l'opera faticosa di risanamento e sviluppo da Lei intrapresa, a sostenerLa oggi e in ogni momento della Sua azione per il bene dell'Italia.
 
La Rete Nazionale dei Cittadini per l'Ulivo

9 dicembre 2007

da cittadiniperlulivo.com
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« Risposta #62 inserito:: Dicembre 18, 2007, 06:26:58 pm »

La ragion distante

Luigi Bonanate


Quando uno statista fa una cosa diversa da quella che ritiene buona e giusta, si appella alla «ragion di Stato», cioè alla regola secondo cui la sicurezza dello Stato, la sua immagine, e la tenuta stessa delle istituzioni valgono più di ogni verità: per salvaguardare tutto ciò conviene mentire piuttosto che rischiare di indebolire il proprio Paese. Si tratta di un precetto che non soltanto ha dominato la storia del pensiero politico e della prassi politica universale, ma che è ancora ogni giorno applicato con la massima noncuranza.

È ben vero che è esattamente la linea che ha scelto il governo Prodi nei confronti del Dalai Lama, massima autorità spirituale e politica del Tibet, premio Nobel per la pace nel 1989, in visita in Italia. Ma — prima di approfondire la circostanza — lasciatemi ricordare che la settimana scorsa il Presidente della repubblica francese Sarkozy ha coccolato per 5 giorni consecutivi il leader libico Gheddafi che non è notoriamente il tipo di persona che più Sarkozy ama (e tutto sommato, neppure la maggior parte di noi), ma con il quale è riuscito a firmar contratti e combinare affari da capogiro. Per diversi giorni il governo francese ha concesso a Gheddafi di presenziare a riunioni, partecipare a banchetti, pronunciare discorsi che di tutto parlavano fuor che di democrazia, di beni pubblici, di giustizia sociale e di pace tra i popoli, e via dicendo, costringendo i suoi imbarazzati ospiti a far finta di non aver capito o non aver sentito... Se la giustificazione di Sarkozy era l’opportunità, il desiderio di fare ben figurare l’industria e la tecnologia francesi per accattivarsi la simpatia e il ben volere (finanziario) di Gheddafi, ebbene questa avrebbe dovuto chiamarsi e in effetti è stata una colossale (e deteriore) manifestazione di «ragion di Stato», che si trasforma nella fattispecie in vero e proprio opportunismo e indifferentismo ideologico e morale.

Diversamente da Sarkozy che ha preferito accogliere un ospite scomodo pur di fare dei buoni affari, il nostro premier Romano Prodi ha evitato di ricevere il Dalai Lama per l’inopportunità diplomatica che ciò nascondeva. Il nostro governo non se l’è sentita di dispiacere a quello cinese, al soglio del quale anche l’Italia (come del resto tutto il mondo) si prosterna nella speranza di essere meglio accolto dell’agguerrita concorrenza. Ma nello stesso tempo Prodi ha calpestato proprio la regola fondamentale del gioco della «ragion di Stato», che dice: anche se stai mentendo non lo ammettere. Prodi ha invece confessato chiaro e tondo, chiacchierando con Fazio in televisione, che la decisione presa non lo confortava ma che ogni tanto «si possono fare delle eccezioni». Come dire: avevo a cuore l’interesse di tutti noi e ho ritenuto che l’un danno (una scortesia diplomatica) fosse più facilmente sanabile che non l’altro (il dispetto alla Cina).

Se noi ora cerchiamo di restar fuori del «teatrino della politica» (come dice uno che ormai sta per cascar dal palcoscenico), possiamo osservare con il dovuto distacco che la figura del Dalai Lama è comunque quella di un personaggio che non viene intaccato dal mancato invito, e che incarna una dignità politico-morale di altissimo valore, dotato di un carisma che lo rende ben visibile a tutto il mondo e di fronte al quale tutti, Prodi compreso, si trovano in imbarazzo e un po’ intimiditi perché in fondo nessun paese si è finora impegnato nella sua difesa. Non c’è neppur bisogno di dire che questa sensazione è giusta proprio perché ci può aiutare a smascherare il presupposto della «ragion di Stato». Prodi ha infatti anche avuto l’onestà intellettuale di auto-denunciarsi, per così dire, perché alla domanda che forse altri anchorman (un nome a caso? Bruno Vespa) non gli avrebbero fatto (autocensurandosi: che brutta cosa) ha semplicemente risposto che sì, non aveva fatto la cosa teoricamente più corretta ma che insomma ogni tanto ci si deve rassegnare in vista di altri superiori interessi, veri e propri o quanto meno ritenuti tali nello specifico momento.

Dovrebbe essere discusso a questo punto quanti e quanto sovente altri statisti, italiani e non, se la sentano di confessarsi così bonariamente di fronte a qualche milione di elettori, ma finiremmo per cadere negli stereotipi più banali della personalizzazione della politica. Lo stesso Prodi del resto non si è accontentato di un sorriso e di uno stropicciamento di mani, come ha altre volte fatto, ma ha incassato il colpo, risposto dicendo la verità, confessando che dir bugie, cioé obbedire alla «ragion di Stato», non dà la felicità e non riempie di gioia, ma talvolta ci aiuta a sopravvivere e a superare ostacoli che in un primo momento appaiono insuperabili o comunque pericolosissimi e poi (e questo è un pizzico di saggezza che tutti possiamo ben accettare), a cose fatte, a oneste risoluzioni prese seppur insoddisfacenti, ebbene ci accorgiamo che esse ci hanno consentito di procedere lungo il nostro cammino e forse anche di migliorare il nostro standard politico. Prodi è stato troppo opportunista e il Dalai Lama si è offeso? L’accoglienza torinese lo avrà ben consolato e in ogni caso neppure lui si è lasciato andare a dichiarazioni risentite o aggressive. Diciamolo alla buona: non se la sono cavata male, né il primo né il secondo, al quale sapremo pure rendere i meriti della sua dignità e della purezza della sua scelta politica; non sarebbe stato egli stesso per primo a consigliarci di tener a bada la Cina? Dal canto suo, Prodi ha anche saputo ammettere che non c’è «ragion di Stato» che possa giustificare le scorrettezze o gli errori. E per uno statista questa è davvero una novità, neppure brutta!

Pubblicato il: 18.12.07
Modificato il: 18.12.07 alle ore 8.59   
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« Risposta #63 inserito:: Dicembre 25, 2007, 06:56:20 pm »

POLITICA

Da Reggio Emilia il premier rassicura il Paese, stiamo andando in direzione di una crescita "che ha obiettivi buoni"

Prodi attacca Berlusconi "Fa molto male agli italiani"

I continui "al lupo al lupo" del centrodestra, ha detto il presidente del Consiglio

si sono rivelati infondati e seminano inquietudine e stanchezza

 
REGGIO EMILIA - Il presidente del Consiglio Prodi ha colto l'occasione degli auguri di Natale per lanciare un altro messaggio di fiducia nelle potenzialità del Paese, ma anche un monito all'opposizione e in particolare al suo leader Silvio Berlusconi. "Non hanno fatto altro che dire 'al lupo al lupo al lupo': basta, siamo stanchi di queste continue grida, che fanno molto agli italiani. Io ho il diritto di poter andare all'estero come lo ha avuto Berlusconi, tranquillo che non ci sia una continua insidia, questa continua gioia della spallata. E' il desiderio di mettere il Paese nell'inquietudine, secondo me è sbagliato", accusa Prodi.

E invece il Paese va nella direzione giusta, sostiene il premier: "Sarà un Natale buono, un Natale sereno nel paese, molto sereno, anche se è chiaro che c'è tutto il mondo in sconvolgimento, sia economico che politico: è chiaro che queste inquietudini si sentono, ma è un'inquietudine che ha come obiettivo la crescita, verso obiettivi buoni, non verso obiettivi cattivi".

"Certamente - ha aggiunto Prodi, che si trova a Reggio Emilia, dove parteciperà al pranzo di Natale con la famiglia - la gente che pensa che si possa vivere sempre tranquilli e andare avanti senza problemi rimane inquieta, molto inquieta nel momento in cui tutto cambia: ma il cambiamento ormai ce lo dobbiamo avere dentro di noi".

Le accuse di Prodi a Berlusconi sono ingiuste, replica il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto, che accusa il premier di "mescolare le carte": "Prodi poteva risparmiarci almeno a Natale la sua predica che è funzionale ad un ostinato attaccamento al potere, mentre, invece, il governo fa acqua da tutti i punti di vista".

Rispondendo a una domanda di un giornalista di Sky Tv sulle sorti di Alitalia, Prodi ha detto: "Abbiamo un'analisi della compagnia, decideremo tenendo conto degli interessi della compagnia e dell'Italia".

E sulla vicenda Saccà-Berlusconi, ha replicato: "Lasciamo fare alla magistratura. Ricordatevi che prima delle elezioni mi hanno fatto uno spionaggio sistematico, durissimo, illegale, come ho sempre detto, lasciamo fare alla magistratura, credo che un uomo politico debba fare queste cose".

Ieri Prodi aveva lanciato invece un messaggio di fiducia sulle possibilità d'integrazione degli immigrati, andando a trovare la famiglia rom Draghici, che ha perso un figlio un mese fa in un incendio.

(25 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #64 inserito:: Dicembre 29, 2007, 12:35:50 am »

Tutte le sfide del Professore

Bruno Miserendino


Veltroni lo incoraggia: «Ha fatto moltissimo per il risanamento e i suoi obiettivi per il 2008 sono i nostri». Anche il resto della maggioranza lo sostiene.

Insomma, se l’obiettivo era scacciare il fantasma del governo istituzionale, e isolare Dini, che continua a minacciare defezioni, Prodi sembra aver segnato un punto a favore. Almeno per ora. Alla fin fine quell’accenno un po’ misterioso del premier alla «maggioranza cospicua della Camera», che ieri ha scatenato i cultori del retroscena, vorrebbe solo significare che Prodi continua a considerarsi senza alternative. Una maggioranza c’è, afferma, è quella voluta dagli elettori, e alla Camera è chiarissima, perché occuparsi solo del Senato, dove i numeri permettono il gioco dei ricatti individuali? È una sfida chiara a Dini: sfiduciami, ma non solo al Senato, e sarà chiaro che nessuno nella mia maggioranza vuole la crisi e il governo istituzionale.

È la realtà, probabilmente. Eppure ieri, alla fine della conferenza stampa, è aleggiata anche tra gli alleati un’impressione di debolezza. Come se quel puntello che ha sostenuto Prodi negli ultimi mesi, ossia la mancanza di alternative credibili, da solo non fosse più sufficiente a descrivere un futuro accettabile al governo e alla maggioranza. Indicativa la reazione di Veltroni alle parole di Prodi: pieno sostegno per i progetti economici di rilancio, silenzio sulla parte riguardante le riforme. È ovvio che quella parte del discorso del premier non può aver entusiasmato Veltroni ed è chiaro che qui si nasconde il punto debole. Prodi ha tranquillizzato i «piccoli» partiti, sostenendo che non può essere fatta una legge «che li penalizzi». Ha ricordato nuovamente il «Mattarellum», «legge che funzionava bene e che il centrodestra ha cancellato» per mettere i bastoni tra le ruote a chi governa. Ma poi quando ha risposto sull’eccessivo numero dei ministri e sulle fibrillazioni della maggioranza, il premier ha spiegato che molto dipende proprio dalla legge elettorale e dall’eccessivo numero dei partiti. Insomma, Prodi è il primo a sapere che una riforma elettorale ha senso solo se riduce la frammentazione, costringendo i piccoli ad aggregarsi e impedendo che si ridividano in frammenti dopo le elezioni. Solo che al momento vuole o deve per forza di cose interpretare il ruolo di paladino dei «piccoli» partiti. È questo che gli garantisce una verifica meno burrascosa, è questa la sua polizza per l’immediato futuro. Qualcuno al loft la mette così: «Al momento, se si stesse alle parole di Prodi, non si farebbe nessuna legge elettorale, oppure si tornerebbe al Mattarellum, che però costringe in ogni caso all’ammucchiata, perché solo così si vince...» Il problema è che c’è il referendum e quindi il nodo andrà sciolto. «Ma se l’intenzione è garantire con una riforma elettorale la presenza anche dei piccoli partiti è chiaro che non si fa nemmeno il sistema tedesco annacquato». Al Pd, o almeno a Veltroni, questa prospettiva continua a non piacere.

Naturalmente bisogna aspettare la verifica di gennaio, anche se la parola non piace a Prodi. La scontata riluttanza a parlare di riforme non potrà durare a lungo. E probabilmente non basterà che Prodi dica agli alleati “io mi occupo del rilancio del governo, le riforme le fa il parlamento”. Si sa cosa pensa Veltroni: una prospettiva di riforme nel 2008 aiuta il paese e il governo Prodi, non lo indebolisce. Quanto all’ipotesi di un esecutivo istituzionale per fare la riforma elettorale, il leader del Pd la considera al momento inesistente. Si prenderà in esame se la caduta di Prodi lo imporrà, ma sapendo che a quel punto il voto resta l’ipotesi più probabile. Del resto, osservano nel Pd, questa è materia del capo dello stato. Ma non si può ipotizzare un governo, tecnico-istituzionale per le riforme sostenuto da una maggioranza sbilanciata verso il centrodestra. Si ricorda il precedente proprio del governo Dini, ex ministro del governo Berlusconi e scelto dal presidente Scalfaro dopo la caduta del Cavaliere per mano di Bossi.

Del resto politicamente è stato questo il leit-motiv del discorso di Prodi. Il mandato popolare, dice il premier, è stato dato a me e a questa maggioranza e non si potrà non tenerne conto. Ieri a Palazzo Chigi hanno passato il pomeriggio a smentire le ipotesi più fantasiose sorte intorno all’accenno di Prodi al tema dei governi alternativi che devono avere una larga maggioranza alla Camera. Persino la vecchia e molto teorica ipotesi di scioglimento del Senato è stata rievocata per spiegare quell’accenno, ma a Palazzo Chigi hanno smontato tutto.

Quanto a Dini «uomo che parla e non chiede», Palazzo Chigi continua a non capire «cosa vuole davvero». Ma tanti brutti sospetti albergano. Infatti facevano notare la dichiarazione di Berlusconi: «Non sembra sua, ha qualcosa di diniano...». Prodi di certo non molla e avverte che non sarà certo Dini a ribaltare un mandato popolare: «Dobbiamo prendere sul serio l’impegno preso con l’elettorato. Non lo possiamo cambiare sulla base di sensazioni».

Pubblicato il: 28.12.07
Modificato il: 28.12.07 alle ore 12.21   
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« Risposta #65 inserito:: Dicembre 29, 2007, 09:48:54 pm »

POLITICA

Il premier parte per qualche giorno di vacanza sulle Alpi.

E spiega che resiste perchè il suo esecutivo fa e realizza programmi

Prodi: "Io duro perché faccio"

D'Amico: "Discutiamo sul da farsi"

Spiragli dal senatore lib-dem: "Il nostro programma non è fatto per essere bocciato"

Proposta di spostare la data della verifica a dopo il verdetto della Consulta sui referendum

di CLAUDIA FUSANI

 
BOLOGNA - La spiegazione sta in una specie di scioglilingua. "Io faccio. Io duro perché faccio. Non è che faccio perché duro. Se no sarei già caduto mille volte". Il premier in partenza per qualche giorno di vacanza a Pontelongo sulle Alpi affida a questo sillogismo le ragioni del suo governo. Un esecutivo che fa, lavora e quindi va avanti, nonostante tutto.

Il "gioco dell'anno" - come lo ha ribattezzato Fabio Fazio, cioè: "quando cade il governo Prodi?" - non va in vacanza neppure in questi giorni. Il Professore non se ne cura e, con la tattica del muro di gomma, rilancia. Non è vero, tanto per cominciare, che il suo personale augurio per il 2008 è quello di "durare": "Nessun governo che vuole durare dura. Un governo dura solo se fa".

Fare, agire, decidere. Il mandato per il 2008 del governo Prodi sembra questo. Alla faccia di chi prevede crisi, nuove elezioni e governi istituzionali. O meglio, ha ribadito il premier nella conferenza stampa di fine anno, "questo è il mio mandato. Altrimenti le regole in democrazia sono chiare: esiste il voto di sfiducia. Nel momento in cui sono sfiduciato mi faccio da parte". Un messaggio chiaro a tutti, maggioranza ed opposizione: se cado, si va al voto, nessuno parli di governi tecnici.

Lo schema è quello di sempre. L'opposizione - Forza Italia, Lega e An - chiede di tornare al voto il prima possibile perchè il Professore non ha più la maggioranza politica. L'Udc chiede un governo istituzionale per fare le riforme, quella del voto e quelle istituzionali.

Il rumore delle lame si sente soprattutto dalle parti dell'Unione, sia sul lato dei cosiddetti centristi capitanati dal senatore lib-dem Lamberto Dini che su quello dei più radicali, Cosa Rossa eccetera. Il governo tecnico viene bocciato sia dal ministro Amato che da Fassino. Il ministro Giuliano Amato in un'intervista al Corriere della Sera dice chiaramente che "in Italia non c'è il clima per esecutivi istituzionali" mentre è necessario riformare portandola verso la nascita di "due grandi forze politiche intorno al 40%". Più che esplicito Piero Fassino che in un'intervista a Repubblica dice che "le ampie intese sono irreali" e "un'altra maggioranza semplicemente non c'è".

Prodi passerà i sei giorni di festa sulle Alpi a cercare la quadra tra centristi e sinistra radicale. Entrambi chiedono di "cambiare qualcosa nell'azione del governo". Solo che i primi vanno nella direzione della crescita, dello sviluppo e della competitività. Gli altri verso il "risarcimento sociale" e la "reditribuzione delle risorse". Un fiorentino come Dini direbbe che è un po' come "mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa". Alla fine sembra proprio lui il problema: "Accetto la sfida di Prodi, noi porteremo il nostro programma, se lo boccia voteremo contro" ha detto Dini.

Ma qual è il programma dei diniani? Il leader lib-dem è in vacanza alle prese con il testo. Il senatore Natale D'Amico, anche lui sulla via delle vacanze, è un po' meno tranchant del suo "capogruppo". "E' chiaro che il nostro programma non è fatto per essere bocciato ma per poter essere discusso e condiviso" spiega D'Amico. "Il punto fondamentale è che Prodi riconosca che qualcosa nell'azione del governo va cambiata".

D'Amico accenna a un programma in "5-6 punti" in cui "centrale sarà la questione fiscale". "Siamo anche noi d'accordo che in Italia è primario in questo momento ridare potere d'acquisto agli stipendi - spiega il senatore lib-dem - il fatto è che noi non crediamo che la strada giusta per risolvere il problema sia quello di affrontarlo per via fiscale. Il punto vero è la contrattazione tra imprese e sindacati". Quello della pressione fiscale, poi, "è un problema che riguarda tutti in questo paese", non solo i lavoratori. Certo, precisa il senatore, se la proposta di partenza sarà quella di un ritorno a una specie di scala mobile (stipendi che aumentano di pari passo al costo della vita così come va dicendo la sinistra radicale), "non si va da nessuna parte".

Possibilista sulla disponibilità a discutere, D'Amico è invece critico "sull'eccesso di ottimismo" mostrato dal premier nella conferenza stampa di fine anno. "L'ottimismo non giova a nessuno" dice il senatore "soprattutto quando i nostri indicatori di crescita per il 2008 sono i peggiori di tutto il mondo sviluppato". Piuttosto, suggerisce D'Amico, "rinviamo la verifica a dopo il 16 gennaio. Poichè buona parte della discussione sarà dedicata alla riforma della legge elettorale, tanto vale aspettare il verdetto di ammissibilità della Consulta e andare al 18 o al 21 gennaio".

Eh già, gennaio: dal 10 in poi sarà un susseguirsi di date cruciali. Il 22 il Senato dovrebbe votare la mazione si sfiducia a Padoa Schioppa sul caso Speciale. D'Amico tranquillizza: "Dini ha già assicurato che in quell'occasione non voterà contro il governo". Per altri voti di fiducia, uno di quelli su cui Prodi sfida la maggioranza dicendo "votatemi contro, se volete", non se ne vedono per ora all'orizzonte. Almeno fino al rinnovo delle missioni militari. Anche Fassino crede che Dini "nonostante tutto non passerà mai al centrodestra".

Prima di partire il premier ha fatto gli auguri agli italiani: "Auguro a tutti molta serenità, ne abbiamo bisogno, e anche un minimo di capacità di stare insieme, di lavorare insieme e di sperare insieme". La speranza è in un 2008 "migliore perché è sempre bene puntare in alto". Ottimismo, sempre e prima di tutto.

(29 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #66 inserito:: Dicembre 31, 2007, 05:06:09 pm »

ECONOMIA

Il premier in vacanza sulla neve: possiamo dare una svolta alla dinamica sociale del paese

"Nuova concertazione nel 2008 e faremo correre l'economia"

Prodi: ci riusciremo perché abbiamo risanato i conti

di EDMONDO BERSELLI
 

DA gennaio la parola chiave per spingere lo sviluppo è "nuova concertazione". Nel frattempo le piste di Passo Campolungo sono perfette, anche se il nevischio della mattinata rende difficile sciare bene. Qualche turista passa davanti a Romano Prodi nella sua tuta fiammante e scatta una foto col telefonino, per poi arrischiare la domanda: "Ma lei è un bravo sciatore, presidente?" Risposta allegra, che evoca discese ardite da cartoni animati. "Non sono bravo, ma sono veloce!". Risate. Anche nella mimica Prodi non nasconde la convinzione che dopo la conferenza stampa di fine anno, con l'elencazione puntigliosa dei dati e delle tendenze, qualcosa stia cambiando nell'opinione pubblica.

Qual è il suo atteggiamento, presidente, di fronte alla verifica, ai numeri del Senato, ai sette punti programmatici di Lamberto Dini? Risposta alla Prodi: "Fiducia, fiducia".

Ci vuole l'ostinazione quadrata di "Romano" per ricorrere alla parola "fiducia" per un governo sempre a rischio di essere sfiduciato; e anche di fronte alle cifre di quelli che lui chiama con nonchalance accademica "opinion polls", i sondaggi che lo danno alla miserabile soglia del 25 per cento. "Ma il fatto è che tutti sottovalutano un aspetto fondamentale, e cioè la possibilità di recupero del governo e del centrosinistra". Sulla fiducia di Prodi non esistono dubbi: il premier è davvero convinto, anzi di più, intellettualmente sicuro che lavorando con coerenza il governo non si limiterà a galleggiare, ma risalirà la china.

Ottimismo gratuito? No, dice lui: realismo pragmatico. Eppure in estrema sintesi il quadro è il seguente: una serie discretamente coerente di dati positivi, sui conti pubblici come sui dati dell'economia reale, si è tradotta fra l'opinione pubblica nella percezione di una catastrofe, tanto da avere indotto a una delusione grave anche ampie fasce del voto di centrosinistra.

Com'è stato possibile? Per Prodi il disagio nelle famiglie è reale. Ma è sulle ragioni del disagio che si deve ragionare senza pregiudizi: "Parlare di un effetto dell'inflazione rispetto a salari rimasti bloccati conduce a una diagnosi generica. La realtà appare molto più sfaccettata: oggi le famiglie hanno una struttura dei consumi in cui le componenti nuove rispetto ai consumi tradizionali sono diventate incomprimibili".
Già, ma non ci sono solo i cellulari, la televisione satellitare, la connessione adsl, le rateazioni, i mutui. In realtà si assiste anche a una lievitazione incontrollata delle tariffe (nonché a misure di contenimento dell'aumento del carburante che sono rimaste lettera morta: molti discorsi sulle accise e pochi effetti sui distributori). Ma si ha la sensazione che il premier voglia guardare più in là della contingenza: "Tutto vero, ma noi oggi ci troviamo davanti a una possibilità importante, cioè alla chance di cambiare di segno alla dinamica socio-economica del nostro paese. E questo è praticabile oggi non per un miracolo inopinato, ma perché abbiamo posto le premesse giuste nei diciannove mesi di governo. Abbiamo fatto il risanamento, adesso proviamo a fare il miglioramento".

Nella sua concezione d'ora in avanti c'è l'opportunità di un "irripetibile" salto di qualità. Bisognerebbe spiegarlo bene anche a tutto il centrosinistra: stabilizzato il bilancio pubblico, si può puntare tutto sulla crescita, chiamando a confronto con l'esecutivo le parti sociali, sindacato e organizzazioni imprenditoriali, per impostare un progetto complessivo di ulteriore rilancio, fondato su due capitoli centrali: aumento della produttività e recupero del potere d'acquisto, grazie alla riduzione della pressione fiscale sulle retribuzioni fino alla soglia dei quarantamila euro. Si tratterebbe soltanto di capire come si combina, il "realismo pragmatico" di Prodi, con il realismo esplicito e "impolitico" di Tommaso Padoa-Schioppa, il quale ieri ha fatto sapere che i chiari di luna delle tasse dureranno fin verso il termine della legislatura.

Ma anche su questo punto il premier non si scuote. Esclude di risolvere la questione con una mediazione al ribasso, tipo un bonus fiscale una tantum. "Non se ne parla, non faccio una tantum. Dobbiamo procedere a un mutamento strutturale, niente palliativi". E allora? E allora si segue il metodo Prodi. Una riedizione aggiornata del vecchio "metodo Ciampi". Si fa una ricognizione precisa delle risorse disponibili, si osservano le opportunità di crescita, si chiede il coinvolgimento dei soggetti interessati impostando e decidendo obiettivi reali da conseguire. Un metodo alla giapponese, il noto schema neocorporativo. Eccola, la concertazione. "Sì, non ho esitazioni a definirla "nuova concertazione". Nuova perché non è più difensiva, è tutta orientata alla crescita. Perché sono convinto che un impulso alla ripresa lo dà il sostegno ai lavoratori con stipendi da mille euro, e qui è anche questione di equità, ma ci vuole anche il contributo effettivo e psicologico del lavoro qualificato, quello che fa da traino alla dinamica economica".

Naturalmente ad ascoltare Prodi sembra di vivere su un altro pianeta rispetto alla turbolenza politica quotidiana, ai ricatti parlamentari, agli sbandamenti in Senato, alle manovre trasformistiche in corso, alle proposte più o meno provocatorie di Dini. Già, Dini. Con un piede nella maggioranza e uno all'opposizione. Proiettato verso le larghe intese e la presidenza del Senato, come minimo. Che fare con Dini? Calma innanzitutto: "Noi elaboriamo le nostre proposte, e le collochiamo in un quadro razionale di compatibilità. Dopo di che vediamo se e come Dini potrà dire di no".

Tuttavia a quanto si capisce la preoccupazione primaria del premier, se possibile ancora più forte della tenuta della maggioranza, è di ricostituire un consenso in funzione della crescita. Non solo, come ha riferito ieri su queste colonne Massimo Giannini, per "cercare una blindatura con le parti sociali, e costruire con loro un sistema di paratie stagne che proteggano il governo dalle fibrillazioni della sua maggioranza". C'è un'ambizione in più: "Perché nel primo anno della legislatura io avrei tanto insistito sul taglio del cuneo fiscale? In parte per dare respiro ai ceti medio-bassi. E in parte per imprimere una prima spinta alla crescita. Per questo mi sarei aspettato un atteggiamento diverso da parte dell'establishment. E invece una sua parte consistente si è chiamata fuori, mettendosi all'opposizione, come se volesse investire sulla turbolenza. E i risultati si sono visti, almeno sul terreno del consenso. Non è passato un giorno senza il dileggio sui giornali, senza le manifestazioni più plateali di sfiducia".

Forse l'atteggiamento degli ambienti confindustriali e delle categorie era dettato dall'incertezza della prospettiva politica. E anche adesso viene da chiedersi chi è in grado di scommettere positivamente sui numeri di Prodi. C'è in vista una parte dell'establishment disposta ad assumersi il rischio e la responsabilità di una nuova scelta concertativa? Per dire, su un programma fondato sul recupero di produttività e reddito sarebbe possibile avere l'appoggio di un neokeynesiano come Sergio Marchionne? E quale sarebbe l'atteggiamento di un Montezemolo? "Io mi auguro che sia positivo, e non sulla base di una simpatia maggiore o minore per il centrosinistra, ma sui risultati empirici che possiamo mostrare. Dentro la politica mi sembra che una personalità come D'Alema sia perfettamente d'accordo. E che anche Veltroni condivida l'idea che questo governo è in grado di produrre un risultato favorevole alla competitività del Partito democratico".

L'obiezione fisiologica è già sul tappeto, in realtà: come si fa a credere nella razionalità del metodo Prodi, e all'ambizione della nuova concertazione, con una maggioranza in Senato tenuta con le unghie, e che può cedere alla prima prova, per un voto, per un niente? "Certo, le leggi naturali dicono che se mi cade un mattone sulla testa sono morto". Tuttavia? "Tuttavia non è che non torno a casa perché mi può cadere una tegola sulla nuca. Vado a sciare, torno e vado a dormire. Domani è un altro giorno".

(31 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #67 inserito:: Gennaio 01, 2008, 11:36:50 pm »

 2008-01-01 20:02

Italia-Spagna: la lettera di Prodi all'Ansa


ROMA - Questo il testo integrale della lettera indirizzata dal presidente del Consiglio Romano Prodi al direttore dell'ANSA Giampiero Gramaglia, nella quale il premier nega che il Pil della Spagna abbia superato quello dell'Italia. "Caro Direttore, qualche mese fa il Presidente Zapatero ha annunciato che l'economia spagnola aveva imboccato la corsia di sorpasso e che, entro breve, avrebbe superato la nostra economia. La sfida l'abbiamo raccolta come una gara utile e importante tra due grandi paesi europei. Una sfida tra due economie che tendono sempre più ad integrarsi grazie all'intensificarsi del commercio e degli investimenti.

Basti pensare all'ingresso di Enel in Spagna e di Telefonica in Italia". "E' vero -prosegue Prodi- che negli ultimi anni l'economia spagnola cresce più rapidamente tra tutti i grandi paesi dell'euro.

La crescita della Spagna ha fatto bene all'Europa e all'Italia e di questo risultato ci compiaciamo da veri amici augurando alla Spagna di continuare a crescere come ha fatto in questi anni. Ne continueremo a beneficiare tutti!".

Il premier continua: "Vediamo però di rappresentare correttamente la realtà: nonostante la straordinaria performance dell'economia spagnola, l'economia italiana è ancora ben più grande di circa il 50% di quella iberica. E questo è scontato. Ma anche in termini pro capite il nostro Pil è superiore a quello spagnolo di circa il 13%". "Ma allora -s'interroga Prodi-, questo sorpasso di cui si è parlato nello scorso dicembre è avvenuto o no? Anche se questo annuncio ha alimentato un corposo e per molti aspetti utile dibattito, il sorpasso non è avvenuto. Si è infatti sostenuto che la Spagna abbia superato l'Italia in termine di Pil pro capite calcolato a parità di potere d'acquisto, cioè tenendo conto del livello generale dei prezzi che prevale in ciascuna delle economie. Questo tipo di analisi è, a conoscenza di tutti, del tutto aleatorio, dato che non esiste una metodologia standard con cui si calcola il reale potere d'acquisto nelle diverse economie".

Il premier spiega: "Se usiamo ad esempio la metodologia che impiega l'Fmi nelle sue analisi comparate (e credo che questa sia quella da usare), le conclusione che hanno fatto gridare gli amici spagnoli 'missione compiuta' sarebbero ribaltate. Secondo il Fondo, l'Italia continua ad avere un vantaggio di circa 3000 euro in termini di Pil pro capite espresso a parità di potere d'acquisto. Non parliamo poi del reddito in valori assoluti, il cui confronto è il più certo: Eurostat ci dice che il risultato del 2006 è di 25100 euro in Italia e 22300 in Spagna. Il che fa ancora una bella differenza. La stessa differenza è nelle statistiche dell'Fmi, in cui il dato del Pil pro capite italiano è di 31791 dollari e quello spagnolo di 27767. Ancora una volta una differenza non piccola". "La gara -continua Prodi- sarà dunque ancora lunga, e, soprattutto, molto impegnativa. Non solo per i problemi particolarmente sentiti in Spagna della crisi immobiliare e del troppo elevato tasso di inflazione, ma soprattutto perché l'Italia ha ripreso a far girare il motore dopo troppi anni di fermo ai box, durante i quali abbiamo accresciuto il nostro deficit e il nostro debito pubblico". "Certo -s'avvia alla conclusione il premier-, gli spagnoli continuano ad avere il vantaggio non trascurabile di un deficit pubblico per cui non debbono spendere come l'Italia tra i 70 e gli 80 miliardi di euro all'anno per gli interessi .

Ma noi abbiamo finalmente cominciato a ridurre i debiti e, ciò che più conta, la macchina Italia dopo un cambio gomme ed un rifornimento di fiducia sta uscendo dai box e sta girando ad una velocità che, sebbene ancora inferiore a quella spagnola, non raggiungeva più da anni. La sfida, dunque, continua. Sarà bella ed affascinante. E' certo che si svolgerà in un contesto di accresciuta cooperazione internazionale e che non farà altro che rinsaldare gli antichi e solidi legami di amicizia tra i nostri popoli. Tanti auguri, quindi, alla Spagna perché il suo entusiasmo aiuterà anche a noi.

Cordialmente, Romano Prodi".

La lettera è in data odierna e proviene da Campolongo, nell'Agordino, dove il premier sta trascorrendo alcuni giorni di vacanza.
 
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« Risposta #68 inserito:: Gennaio 03, 2008, 05:28:33 pm »

L'IINTERVISTA

«Ecco il mio piano: più salari e meno tasse»

Prodi alle parti sociali: «Nuova concertazione per il rilancio, nessuno si tiri indietro»


ROMA — «C'è un freddo che pela, siamo a meno 20 gradi, però è magnifico. E poi così mi conservo meglio...». È una minaccia per qualcuno? Risata: «Non so... La resistenza non mi manca e poi di lavoro ce n'è ancora tanto da fare».

Alle 8 di sera del suo quarto giorno sulla neve (Passo Campolongo, Dolomiti bellunesi), Prodi ha il timbro di voce di chi ha già ricaricato le pile e si prepara ad affrontare le ben più insidiose discese della politica italiana. «Un gennaio difficile? Perché forse c'è stato qualche mese semplice finora? Non mi pare che questo governo si sia concesso molti ozii, il nostro è stato un cammino tutto in salita, ma intanto siamo ancora qui...». Se la vuole giocare fino in fondo, il Professore, la sua avventura a 

Palazzo Chigi. Rimessa al suo posto la Spagna («I dati sono dati, non si scappa...») e incassata la lieta novella di un fabbisogno statale in netta diminuzione («Sono cifre migliori del previsto, era importante mettere fieno in cascina »), il premier intende aggredire questi primi giorni del 2008 con una griglia di obiettivi che, visti gli spifferi, definire ambiziosa è il minimo: «Più salari, meno tasse e misure a sostegno della crescita». Queste le carte che calerà sul tavolo della verifica di gennaio, sperando che bastino per spuntare le unghie a Dini e alla sua truppa di dissidenti. La riforma elettorale? Certo, anche quella. «Mandare in soffitta il "porcellum" è fondamentale — mette in chiaro — così come è importante varare un pacchetto di altre modifiche istituzionali». Ma non sarà questo, però, il fulcro degli esami di gennaio.

 «CENTRALI I TEMI ECONOMICI» - «I temi economici sono al centro della nostra azione » puntualizza il Professore. Facendo capire di essere intenzionato, prima di sottoporre all'Unione un nodo esplosivo come la riforma elettorale, ad aspettare la sentenza della Consulta sulla legittimità dei referendum, prevista per metà mese. Giorni cruciali, quelli che attendono il premier al rientro a Roma. Un percorso stretto che andrà, all'incirca, dall'8 al 18 gennaio. Il calendario, ancora ufficioso, è ben chiaro nella mente di Prodi: «Il nostro sarà un lavoro progressivo — spiega —. Il primo passaggio, da effettuare in tempi rapidissimi, ruoterà attorno all'incontro con le parti sociali: imprenditori e sindacati». L'obiettivo è arrivare a stringere «un grande patto, una nuova concertazione per il rilancio» che consenta di far crescere le buste paga, dare una sforbiciata alle tasse sul lavoro dipendente e sui redditi da pensione, rilanciando la competitività. «Tutti — prosegue il capo del governo —, dovranno dare il loro contributo, nessuno si tiri indietro.
Verificheremo i margini di manovra su salari e fisco. E fisseremo gli obiettivi». Impresa non facile, ma il Professore ci crede: «Alla luce degli ultimi dati, ci sono gli spazi per dare risposte concrete ai cittadini, anche se non è il caso di riempirsi la testa di grilli». Poi la palla passerà all'Unione, alla quale Prodi confida di poter sottoporre l'intesa con le parti sociali: «Concorderemo — dice — percorsi e strumenti, cercando il punto di sintesi tra le varie posizioni...». E se con Rifondazione le carte prodiane potrebbero avere successo, centrate su salari, difesa dei ceti meno abbienti e sicurezza sul lavoro, restano due versanti a rischio: Dini e parte del fronte imprenditoriale. Al primo, Prodi sottoporrà una serie di proposte «concrete e compatibili», tali da rendere difficilmente motivabile un eventuale disimpegno. E a quei settori del mondo industriale, che «da mesi coltivano disegni alternativi al mio governo», cercherà invece di far capire che «conviene a tutti fare gioco di squadra».

Francesco Alberti
03 gennaio 2008

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« Risposta #69 inserito:: Gennaio 10, 2008, 07:34:12 pm »

2008-01-10 17:33

Prodi a Unione: "Paese ci chiede di governare, avanti uniti"

di Chiara Scalise


ROMA - "Il Paese ci chiede di governare, di dire dei sì e dei no, di non tergiversare. E' una lezione di cui fare tesoro". Il presidente del Consiglio Romano Prodi apre il vertice di maggioranza con un messaggio chiaro agli alleati, invitandoli ancora una volta a superare i distinguo, prendendo lo spunto dalla richiesta di governo che viene dall'emergenza rifiuti in Campania. E che vale anche in economia, come in tutti gli altri campi. L'incontro di oggi ha però i fari puntati in particolare sull'agenda economica del governo. Il Professore snocciola, in otto cartelle, le linee guida: stop a nuove tasse e avanti tutta per un taglio a quelle sui redditi più bassi. Ai rigoristi del bilancio sottolinea come il risanamento dei conti sarà sempre un obiettivo di questo governo e sul nodo della tassazione delle rendite finanziarie sceglie una soluzione diplomatica: alzarle dal 12,5% al 20% è una questione di giustizia sociale, ma occorre procedere - avverte - con cautela. L'occhio ovviamente é alla crisi dei mutui subprime di questa estate e al delicato equilibrio dei mercati finanziari.

AUMENTARE POTERE D'ACQUISTO SALARI - "Con gli strumenti che abbiamo a disposizione - dice Prodi - e con le risorse che saremo capaci di generare possiamo muoverci nella direzione di una riduzione concreta del carico fiscale, a vantaggio, innanzitutto dei salari e dei bassi redditi. Dobbiamo fare più affidamento sulla domanda interna, sostenere il potere d'acquisto dei lavoratori e delle famiglie in un quadro di economia competitiva".

EXTRAGETTITO PER MENO TASSE LAVORATORI E FAMIGLIE - "Tutto ciò che sarà recuperato dall'evasione fiscale o da altre forme di extra-gettito dovrà essere indirizzato alla riduzione del carico fiscale dei lavoratori e delle famiglie. Del resto - prosegue il premier - questa è stata la decisione del Parlamento assunta in sede di esame e approvazione della legge Finanziaria".

RISORSE DA TRIMESTRALE - Per conoscere a quanto ammonta esattamente il gruzzolo a disposizione del governo per mettere in campo tutte le misure occorrerà, però, aspettare "la trimestrale di cassa, quando - dice il presidente del Consiglio - avremo dati certi a nostra disposizione".

RENDITE FINANZIARIE - Prodi promette agli alleati un intervento sulla tassazione delle rendite finanziarie, con un occhio però attento ai mercati finanziari. "Pur con tutte le cautele, legate al momento delicato che vivono in questo momento i mercati finanziari, è difficile continuare con l'anomalia di un sistema nel quale il lavoro e l'impresa sono tassati più che le rendite finanziarie. Nessun intento punitivo, naturalmente. Semplicemente la riconduzione delle nostre regole a principi di maggiore semplicità (come l'uniformità dell'aliquota al 20%) e di giustizia distributiva".

LIBERALIZZAZIONI - "Dobbiamo fissare - afferma il presidente del Consiglio - un calendario impegnativo per le riforme già in parlamento e proseguire con politiche che mettono al centro i diritti dei consumatori".

CONCERTAZIONE E NUOVO PATTO PER LO SVILUPPO - "Dopo questo nostro incontro, il governo aprirà una nuova fase di concertazione con l'obiettivo di giungere ad un grande patto per lo sviluppo. Lo dobbiamo fare ora - prosegue - e lo dobbiamo fare noi. Per non sprecare un'enorme opportunità che abbiamo a portata di mano".

EQUILIBRIO CONTI - Il trend delle spese è stato invertito. I dati sono buoni: "Il disavanzo pubblico scende sotto il 2% del Pil e l'avanzo primario supera il 3% del Pil", evidenza il Professore. "Proseguire il riequilibrio finanziario - dice Prodi - è un obbligo non solo economico, ma anche morale nei confronti delle generazioni future dalle cui spalle dobbiamo togliere il peso enorme dei debiti accumulati in passato". P.A.- "Apriremo subito la trattativa per il contratto" del pubblico impiego, "chiedendo piena attuazione del memorandum siglato con sindacato su qualità, mobilità e merito".

RIFORME - "L'incontro di oggi ha lo scopo di condividere scenari ed obiettivi in un quadro generale di riforme che dobbiamo tenere presente - sottolinea il presidente del Consiglio - e che dovremo affrontare nei prossimi mesi. Penso alla riforma istituzionale, alla legge elettorale ed anche al conflitto di interesse ed alla riforma della Rai". 

da ansa.it
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« Risposta #70 inserito:: Gennaio 13, 2008, 06:05:44 pm »

ECONOMIA

Il commissario Ue: il deficit migliora più di quanto previsto

Presto colloqui con Padoa-Schioppa sulla manovra fiscale

Almunia plaude all'Italia "I conti meglio delle attese"

Prodi: "Chiaro apprezzamento alla politica italiana anche dagli osservatori più severi"

Ok anche dalla Bce. Trichet: "Ma serve un attento controllo dell'inflazione"


LA VALLETTA (Malta) - Dopo il plauso di Standard&Poor's di ieri, i conti pubblici italiani raccolgono altri importanti consensi. Dalla Commissione Ue e dalla Bce arriva l'apprezzamento per la capacità di ridurre il deficit del 2007 oltre le attese. Tuttavia, l'organismo di Francoforte ricorda di non allentare la presa sul controllo dell'inflazione, anche perché, sui conti italiani, si staglia l'ombra di una crescita Ue che potrebbe essere più lenta del previsto. Soddisfazione da parte del premier, Romano Prodi, che sottolinea come "è chiarissimo l'apprezzamento che viene fatto in questi giorni alla politica italiana anche dagli osservatori più severi".

Il primo a promuovere il miglioramento del deficit del Paese è il commissario Ue agli Affari Monetari, Joaquin Almunia: "I dati positivi del 2007, migliori delle attese" rappresentano "notizie molto positive e il miglioramento del deficit è assolutamente benvenuto". Se S&P aveva definito "notevoli" i progressi italiani, Almunia ha puntato l'attenzione su un dato "molto buono soprattutto per l'economia italiana e i suoi cittadini" che "aiuterà a gestire in condizioni migliori queste turbolenze finanziarie" e consentirà di "provare a mantenere un tasso di crescita e occupazione adeguato".

Parole che arrivano da un esponente della Commissione non sempre tenero nei confronti dell'Italia, ultima la critica formulata a ottobre su una Finanziaria giudicata "poco ambiziosa" sul fronte della spesa. Un argomento che Almunia vorrà indagare a breve, già nella prossima settimana in cui, annuncia, è in programma un incontro con il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Un'occasione per fare il punto sulle possibili azioni di Palazzo Chigi in tema di fiscalità: "Spero che mi informi sulle intenzioni del Governo, se ce ne sono", ha dichiarato Almunia.

A Malta, Prodi incassa anche l'ok di Jean-Claude Trichet, presidente della Bce che, rende noto il premier al termine di un colloquio informale fra i due, "ha molto apprezzato il cambiamento a 180 gradi della nostra economia". Anche se, "naturalmente dal punto di vista di un banchiere centrale", Trichet non ha perso l'occasione di ricordare all'Italia la necessità di "stare in guardia rispetto al fenomeno inflazionistico".

Un'ulteriore elemento di preoccupazione condiviso da Prodi e Trichet riguarda "l'incertezza" che regna sui mercati, anche alla luce delle recenti turbolenze finanziarie e all'elevato prezzo del petrolio. Situazioni che potrebbero costringere la Commissione Ue a rivedere nuovamente al ribasso le stime di crescita per il 2008. Dopo il taglio di novembre da +2,6% a +2,2%, il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha infatti spiegato che "la Commissione sta considerando che potremo avere una crescita nel 2008 dell'1,8-1,9%".

Juncker ammette: "Non sappiamo quale sarà l'impatto di ciò che stiamo vedendo" in questi mesi. E se "non ho l'impressione - spiega - che ci sia stato un enorme impatto finora, non sono sicuro che lo possiamo escludere per i mesi futuri". Lo stesso Almunia, rivelando tutta la sua preoccupazione per un euro "ormai vicino ai limiti storici", ha sottolineato l'esigenza di "discutere con i nostri partner su strategie di cooperazione per evitare una eccessiva volatilità". Perché "finora siamo stati in grado di assorbire l'apprezzamento dell'euro e di riceverne qualche effetto positivo", ma ulteriori rialzi della moneta unica potrebbero essere più difficilmente gestibili.

L'unica nota positiva arriva sul fronte dell'inflazione: in questo momento viviamo "una situazione di sofferenza per l'aumento dei prezzi del petrolio e degli alimentari. Speriamo che nel 2008 questi shock esterni si riducano e che l'inflazione a fine anno torni a livelli normali", è l'auspicio di Almunia.

(12 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #71 inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:16:50 am »

Papa, Prodi: «Chiudiamo questa tensione»


La messa è finita. L’Angelus-arringa della domenica che deve rimettere in pari i conti con la società civile, è ormai concluso da ore. Dal Vaticano cantano vittoria per come è andata la risposta della Chiesa al dissenso espresso da alcuni professori per la visita del Pontefice all’Università La Sapienza. Il sole che ha baciato Roma questa domenica 20 gennaio ha fatto il resto.

Secondo la gendarmeria vaticana erano in duecento mila domenica mattina a piazza San Pietro, e anche il mondo politico ha sgomitato per essere in prima fila tra le braccia del Colonnato del Bernini. Il centrodestra era al completo: i vertici dell’Udc, Casini e Cesa, Cicchitto di Forza Italia, Gasparri, Ronchi e Alemanno di An, Borghezio della Lega.

Ma non manca anche qualche esponente dell’Unione. Non poteva mancare il vicepremier Francesco Rutelli, che chiarisce però che «la politica non c'entra: oggi c'è stato un gesto di riconciliazione, di affetto e di amicizia dei romani verso il Pontefice». C’era come ovvio Clemente Mastella, rammaricato perché «anche mia moglie avrebbe voluto essere qui» e polemico con il premier e il ministro degli Esteri che «avrebbero dovuto chiamare il Segretario di Stato Bertone per scusarsi». Presente anche il vicesegretario del Pd Dario Franceschini, che ha voluto compiere un «atto di solidarietà», perché «le basi di uno Stato laico sono la libertà di parola, di pensiero e delle idee altrui». Ci sono anche i cattolici del Pd, Paola Binetti, Enzo Carra, Pierluigi Castagnetti e Giorgio Tonini. Assente la ministra per la Famiglia Rosy Bindi, che ha detto: «Non ci sarò anche per non essere accomunata a chi, non andando mai a sentire l'Angelus, domani sarà invece presente allo scopo di strumentalizzare».

Non era all’Angelus, ma ha commentato la vicenda, nemmeno il premier Romano Prodi, che invita a spegnere i riflettori sulla vicenda: «Adesso pensiamo a lavorare per il futuro – ha detto da Bologna – a chiudere definitivamente questa tensione, a renderla temporanea come deve essere: un fatto episodico, non una ferita costante». Più amaro il commento del segretario del Prc Franco Giordano che ha provato «una certa tristezza vedere tutto l'establishment politico del centrodestra utilizzare l'Angelus del Papa a fine di polemica politica interna. Così – ha aggiunto – come la perdita di autonomia complessiva di una classe politica che dimostra sempre più un deficit di identità progettuale».

In sostanza quella del Papa è stata una diretta risposta alla contestazione degli studenti: «Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene».

Ma le polemiche non sono finite. Il comitato NoVat- Facciamo Breccia ha indetto per sabato 9 febbraio una manifestazione nazionale a Roma per denunciare «il crescente restringimento degli spazi di laicità». Ancora critico anche l’Arcigay: secondo il presidente nazionale, Aurelio Mancuso, «è necessario riflettere bene su cosa è accaduto oggi: l'assemblea che sancisce la nascita del clerical party, cui si sono iscritti, senza alcun rispetto per le cariche pubbliche che ricoprono, diversi politici italiani».

Pubblicato il: 20.01.08
Modificato il: 20.01.08 alle ore 18.24   
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« Risposta #72 inserito:: Gennaio 22, 2008, 04:25:36 pm »

Lo strappo di mastella

Lo sfogo di Prodi: se cado sarà in piedi

Il premier verso la conta alle Camere: voglio vederli in faccia.

Dopo di me? Il voto

 
ROMA — «Se cado, sarà in piedi. Voglio vederli in faccia mentre mi voteranno contro... ». Serata muscolare. Sanguigna. Un ribollir di umori. Romano Prodi guarda il baratro che si è aperto davanti a lui e si prepara ad affrontarlo. Come ha sempre detto: «Se questo governo deve finire, che siano le Camere a sfiduciarlo. Altri giochetti non sono ammessi, almeno questo risparmiamolo agli italiani...». Oggi il Professore sarà alla Camera.

Ma non per parlare di giustizia: «È finito il tempo delle pezze, una per Mastella, l'altra per Pecoraro Scanio: di pezze si muore...». Appunto. No, sarà a Montecitorio, il premier, per guardare dritto negli occhi i mastelliani dell'Udeur mentre gli votano contro. Per ripetere che dopo di lui, dopo questo governo che per 20 mesi «ha vissuto a dispetto dei santi», ci può essere solo e unicamente il ritorno alle urne: «No a governi istituzionali o a larghe intese: la parola va restituita ai cittadini ». Fine delle trasmissioni, almeno di quelle a banda prodiana. Anche se ancora non c'è l'ufficialità, perché in questa serata da basso impero tutto è troppo convulso per capire, Prodi sa bene che la sua avventura a Palazzo Chigi ha raggiunto l'ultima stazione.
E ne ha parlato a lungo con il presidente Napolitano. La storia si ripete, dieci anni dopo.

Stavolta è Mastella a fare il Bertinotti. Allora fu questione di un voto. Oggi invece lo sfratto è arrivato per lettera. Senza tanti complimenti. Modi spicci, per la serie: fatti più in là. La raccontano così a Palazzo Chigi. Prodi aveva appena finito di incontrare il presidente della Repubblica di Timor Est (che risponde al nome di José Manuel Ramos Hosta) quando alcuni collaboratori gli hanno fatto le leggere le agenzie che annunciavano l'uscita dalla maggioranza dell'Udeur. «Il presidente — racconta chi era con lui — ha letto il dispaccio, ci ha guardati e, senza dire una parola, è rientrato nel suo ufficio». Pochi istanti dopo, un commesso di Palazzo Chigi ha consegnato allo staff del premier la lettera ufficiale dell'Udeur. «Potevamo immaginare qualcosa del genere ma non certo di leggerlo prima sulle agenzie...» è stato l'amaro e inevitabile commento dell'entourage prodiano. E visto che il galateo in politica ha un suo valore, «almeno per Romano», è anche giusto dire che Prodi, il gesto di Mastella, l'aveva messo in conto: quello che invece non si aspettava, «e che l'ha ferito profondamente» dicono i suoi, è stato il modo: «Erano due giorni che Clemente non si faceva trovare da Romano... » raccontano. E Prodi, che le antenne le ha sensibili, «una mossa a sorpresa se l'aspettava».

Come dicono attorno al Professore, cercando di farlo sorridere, «siamo il primo governo che cade perché colpito negli affetti familiari». Dove il riferimento è all'arresto della moglie di Mastella, alla rabbiosa reazione del marito, a quella simbiosi tra partito, famiglia e clan che ha fatto di Ceppaloni un'enclave della politica italiana. Si sente tradito e «ferito», Prodi, dal capo dell'Udeur: «Non mi aspettavo un comportamento del genere. Abbiamo lavorato insieme per quasi due anni, l'ho difeso tante volte, le sue baruffe con Di Pietro erano all'ordine del giorno... La politica, almeno come la intendo io, è fatta anche di rapporti umani ».

Ma ormai è andata. Il filo è rotto. E ora su Mastella piovono parole come proiettili. «È chiaro che si era già accasato — mormorano attorno al Professore —: ha visto che molti dei suoi passavano con il centrodestra e, temendo che gli si svuotasse il partito, ha giocato d'anticipo». È il fantasma di Berlusconi, del mercato della politica, del «complottone» tanto volte evocato durante le battaglie sulla Finanziaria a prendere corpo in questa notte di pensieri cupi, atmosfera da ultima stazione, mentre i grandi capi dell'Unione entrano a testa bassa a Palazzo Chigi per un vertice che dovrà formalizzare la fine di un governo e l'inizio di una fase ancora tutta da costruire.

Ci sarà tempo per le recriminazioni. E per le coltellate. Dietro lo strappo di Mastella c'è la storia di un centrosinistra che, da oggi, non sarà più lo stesso. «Peggio: rischia di non essere più, e basta...» mormorano attorno al Professore. Che, aldilà dell'ottimismo di facciata e della grande tenacia, da almeno 10 giorni sentiva avvicinarsi pericolosi scricchiolii. «Non se ne può più — si è sfogato con i suoi — di questi veti incrociati, un tutti contro tutti che non tiene in alcuna considerazione l'interesse del Paese...». E poi la battaglia sulla riforma elettorale.
Con Veltroni a scuotere l'albero dell'Unione: «Certo non ha aiutato — dicono attorno al Professore — l'ultima sortita sul Pd che va da solo alle elezioni: Mastella non aspettava altro... ». Notte di veleni. E voci in libertà. Qualcuno già ipotizza un Prodi ricandidato in caso di voto anticipato. «Neanche a parlarne, Romano è una persona coerente» tagliano corto a Palazzo Chigi. Perché, a volte, anche i diesel si fermano.


Francesco Alberti
22 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #73 inserito:: Gennaio 25, 2008, 04:49:41 pm »

IL PROFESSORE

Prodi: non sgomiterò per un altro incarico

«E' la fine di una stagione politica. Centrosinistra sfilacciato, non sarà più lo stesso»
 
 
ROMA — «E bravo Mastella, ce l'ha fatta, bel pasticcio, complimenti...». Uno sbuffo. Un'aggiustatina agli occhiali. E il sigaro in bocca. Attorno a lui, gli amici di sempre: Rovati, Parisi, Ovi, Santagata. Da via del Corso rimbalzano i cori da stadio dei ragazzi di An, che brindano e cantano l'inno di Mameli. I telefoni di Palazzo Chigi squillano in continuazione. «E bravo Mastella, bel colpo...»: Romano Prodi, in una di quelle sere che la Roma politica consegnerà alla storia, assiste in diretta, sprofondato in poltrona, al funerale del suo governo. «Si torna a casa, ragazzi...» sibila prima ancora che al Senato il presidente Marini legga il verdetto finale: 161 a 156. Numeri che il Professore conosce a memoria, se li è sognati per due notti: «L'unica speranza era che Mastella tornasse indietro e allora anche i diniani avrebbero fatto retromarcia, vabbé...». Un incubo, certo. Ma ormai esorcizzato. Stavolta, a differenza del '98, non ci sono Gianburrasca (leggi Parisi) a cui dare la colpa di aver sbagliato i conti: «Stavolta sapevamo tutto da almeno 24 ore. Sono andato al Senato ben consapevole di non avere speranza. Ma dovevo farlo. Chiamatela onestà istituzionale. Chiamatela come volete... Spero solo che l'Italia, o almeno una parte, abbia capito che l'ho fatto per coerenza, per rispetto verso gli elettori e le regole».

 Non c'è rabbia, piuttosto un'infinita stanchezza, in questa notte prodiana. Morte annunciata di un governo. Quasi cercata. «Sapendo che molti non capiranno. E altri faranno finta di non capire...». Fine del Prodi Due. Fine del prodismo. «Fine di una stagione politica. D'ora in poi, tutto sarà diverso, il centrosinistra non sarà più lo stesso. E' tutto così sfilacciato...»: il sigaro ancora acceso, il Professore ragiona a voce alta, mentre la Roma dei palazzi guarda al Colle, costruendo il solito Totocalcio attorno alle prossime consultazioni. Un giochino al quale Prodi non intende minimamente partecipare: «Eh no, adesso basta, mi tiro fuori. La mia partita l'ho fatta. E non sarò certo io a sgomitare per avere un reincarico. Spetta ad altri fare il gioco: io non mi metterò di traverso, non farò nulla che possa impedire di trovare soluzioni che consentano di riformare l'attuale legge elettorale». Arriverà, è sicuro, l'onda dell'amarezza personale. Ma per ora c'è solo una grande preoccupazione. «Il destino dell'Italia è appeso a un filo. Andare al voto con questo sistema, con il "porcellum", sarebbe da irresponsabili: bisogna fare qualcosa». Il Professore sa benissimo che proprio alle urne, invece, punta Berlusconi: «Sarebbe un disastro, ricadremmo in quel tunnel in cui mi sono trovato io, che mi ha costretto in questi 20 mesi di governo a mediare in continuazione, un tiramolla estenuante...». Un governo di tregua è la soluzione che il premier dimissionario ha in mente. E di cui ha ripetutamente parlato con il presidente Napolitano, trovando una sponda. «E lì che bisogna arrivare. Io, a questo punto, resto alla finestra. Il Quirinale farà il suo lavoro...».

E' un Prodi a bordo campo. In panchina, diciamo. Una sorta di riserva della Repubblica: «I giochi, in casi come questi, non sono mai chiusi, si sa. Vedremo come andranno le consultazioni». Di più non dice. Ma fa chiaramente capire che, in assenza di alternative e a determinate condizioni, potrebbe anche accettare di essere lui a traghettare il Paese alle urne, con una nuova legge elettorale. Scenari comunque lontani, evanescenti. Neanche particolarmente interessanti per uno che, fino all'altro giorno, ancora credeva «di poter costruire qualcosa di importante per questo Paese». E invece la realtà è che, dopo quasi due anni, il pallino della politica non è più nelle mani del Professore. I giochi si fanno altrove. E il premier, nelle inedite vesti di spettatore, vede attorno a sé orizzonti tutt'altro che incoraggianti. «Una delle cose che mi hanno più rattristato, durante il dibattito al Senato, è stato il clima di scontro che si respira nel centrosinistra » confessa ai suoi. La sinistra radicale contro il Pd. Le correnti del Pd una contro l'altra. L'Unione ridotta a un cumulo di macerie. Spaccati anche sul futuro. Veltroni che non vuole il voto. Di Pietro che lo invoca. «Brutto spettacolo, che mi fa soffrire» mormora Prodi. Che naturalmente un'idea ce l'ha sul perché si è arrivati a questo punto, ma per ora se la tiene per sé. Atmosfera sospesa a Palazzo Chigi. «Ci sarà tutto il tempo per esaminare la situazione...» avvertono minacciosi attorno al premier dimissionario, facendo capire che qualche conto da regolare c'è, soprattutto con il Pd.

Non è affatto piaciuto a Prodi il modo in cui si è mosso Veltroni. «E' chiaro che da quel versante non è arrivato il sostegno che ci aspettavamo...» dicono i suoi, tenendo a freno un'irritazione inevitabilmente destinata a montare. Una tensione che montava da settimane, ma poi esplosa quando Veltroni ha ufficializzato l'intenzione di correre da solo alle elezioni. «Da quel momento, è iniziato il tracollo...» commentano attorno al Professore, convinti che l'accelerazione del sindaco abbia giocato un ruolo non da poco sulla decisione di Mastella di mandare per aria l'Unione e il governo. Il resto l'ha fatto la crisi, con Prodi deciso a morire in Parlamento e Veltroni invece a spingere per le dimissioni. «Non sarà semplice ricomporre i cocci » confessa un prodiano di lungo corso. Notte infinita, mentre fuori anche i ragazzi di An si sono stancati di brindare. La luce del Professore tarda a spegnersi, c'è tanta adrenalina ancora da scaricare: «Stasera qualcosa è finito, ma non mi pento: ho fatto la cosa giusta».

Francesco Alberti
25 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 26, 2008, 05:55:52 pm »

«Non posso certo essere io a guidare un governo istituzionale»

Prodi: «E adesso farò il nonno»

Il premier dimissionario: «Quando si perde, anche per un voto, vuol dire che ha perso lo schema che si aveva»

 
ROMA - E adesso chissà se alla piccola Chiara regaleranno una nuova maglietta. Quella di due anni fa, con la scritta «nonno for president», oramai le va decisamente stretta. Lei è cresciuta e magari un bel «President for nonno» lo gradirebbe di più, se non altro perché avrebbe più tempo da trascorrere con lui. E del resto Romano Prodi è stato chiaro: «Non sono disponibile ad un reincarico, non posso essere io a guidare un governo istituzionale».
E a chi gli chiedeva che cosa avrebbe fatto dopo l'uscita di scena dalle stanze di Palazzo Chigi ha risposto senza esitazioni: «il nonno».

«HA PERSO TUTTO LO SCHEMA» - Chiara a parte, Prodi ha ammesso con molto realismo che il voto con cui è stato sfiduciato al Senato non può non lasciare il segno. «Io sono andato in minoranza - ha spiegato al termine del vertice del Pd a Sant'Anastasia -. Quando si va di fronte al Parlamento e si perde, anche per un voto, vuol dire che lo schema che avevo ha perso». Prodi è poi tornato sulla decisione di affrontare il voto in aula: «Ho deciso di andare di fronte al Parlamento non, come qualcuno ha detto, per tigna, ma perchè questo è il mio concetto di democrazia. E quindi, non credo di essere io la persona che può adempiere a questo ruolo di creare un governo che ci porti ad una legge elettorale che possa evitare le elezioni immediate».

«NO, IL PORCELLUM NO» - Prodi, in ogni caso, è favorevole come il resto del partito all'ipotesi di un esecutivo di larghe intese che possa portare a compimento almeno la riforma elettorale, perché se si tornasse alle urne con l'attuale legge elettorale, il cosiddetto «porcellum», «riprodurremmo tutte le tragedie italiane e la frammentazione politica di oggi». Non ha voluto però sbilanciarsi, il Professore, sul nome di un possibile candidato alla guida di un governo istituzionale, evitando di commentare anche l'ipotesi Gianni Letta con cui qualche cronista ha provato a stuzzicarlo: «Decide il presidente della Repubblica», è stata la sua laconica risposta. Identico abbotonamento di fronte alla domanda su eventuali altri «papabili»: «Vi posso assicurare che non si è assolutamente parlato di nomi. Si è parlato di disegni politici e di formule».

«PERIODO BELLISSIMO» - Prodi sembra dunque pronto ad uscire di scena, almeno temporaneamente. Prima di partecipare al summit del Pd aveva spiegato sorridendo che questi venti mesi a Palazzo Chigi sono stati «un periodo bellissimo». E adesso? «Ora andiamo avanti».

25 gennaio 2008

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