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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71269 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:40:59 pm »

Pecoraro Scanio: «Bene Prodi, ora dialogo aperto»

Il leader dei Verdi apprezza l’intervento del premier: «Una risposta alla mia sollecitazione»

Eduardo Di Blasi


È l’unica persona citata (per cognome) nella lettera di Prodi. Il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, appare sostanzialmente soddisfatto.

«Questa è una bella botta anche a chi pensa che noi siamo quelli che dicono no». Soddisfatto anche perché la lettera di Prodi risponde, tra l’altro, a una missiva sul programma ambientale dell’Unione inviata al premier il giorno prima. «Io non posso che essere contento che Prodi dica che abbiamo fatto solo una parte del lavoro che ci eravamo ripromessi. La vertenza ambientale è per noi fondamentale».

Di che si tratta?

«Al primo punto c’è la modifica della Legge obiettivo. Siamo arrivati a un compromesso di opere che è quasi di 300 miliardi di euro: evidentemente non si faranno mai. Rispondono alla fame di apparati, a pressioni di lobbies e di realtà territoriali. Dobbiamo saper scegliere: il territorio è la prima infrastruttura. Poi bisogna investire su ferrovie e mobilità sostenibile nelle città».

Prodi dice che tutta la maggioranza deve essere «verde»...

«E allora dobbiamo subito dire che il carbone è in contrasto con il protocollo di Kyoto. Nel nostro programma c’è scritta un’altra cosa. È per questo che abbiamo aperto la vertenza».

Lei usa la parola «vertenza»: queste lettere tra esponenti del governo sono una risorsa o un elemento di attrito?

«Io credo siano una risorsa, perché se uno scrive una lettera vuol dire che vuole risolvere i problemi. Chiamiamolo dialogo intenso. Certo siamo preoccupati: la legge obiettivo è stata considerata un fallimento nel programma dell’Unione. Dopo un anno non si è mosso nulla. Siamo affetti da “Lunardismo”».

La battaglia a sinistra è diventata un richiamo al programma...

«Il programma dell’Unione è ben fatto: è che non c’è il coraggio riformatore, perché la verità è che noi siamo la sinistra riformatrice mentre abbiamo una serie di moderati che non vogliono alcuna riforma. Anche il tema della biodiversità trova resistenza nella maggioranza. O il diritto all’acqua bene comune. L’abbiamo messo nel programma ma a tutt’oggi non siamo riusciti a scrivere la norma che ne stabilisca la proprietà pubblica».

Secondo lei dopo la lettera di Prodi cambia qualcosa?

«Mi sembra una disponibilità maggiore al dialogo. Mi auguro lo sappia esplicitare in Consiglio dei ministri».

Lei ha sottolineato solo temi «Verdi». Non parla dei temi della sinistra, chiamiamola «radicale»...

«Chiamiamola sinistra arcobaleno, oppure sinistra riformatrice...».

A ottobre questo soggetto dovrebbe dar vita a una manifestazione unitaria...

«No, questo lo vediamo con calma. Quello che serve è un’intesa su 10 riforme vere, e consultare i cittadini su questo. Noi dobbiamo essere quelli dei contenuti. Io ho questo mandato dal mio partito, all’unanimità: devo fare la riforma dell’energia, dei trasporti, dell’edilizia, il reddito di cittadinanza, una riforma che ristrutturi il meccanismo della spesa militare utilizzando anche le forze armate per abbattere gli abusi edilizi. pacs...».

Però sulla prima «cosa concreta», le pensioni, vi siete trovati divisi...

«È normale, perché non si è discusso prima. Noi avevamo preso un impegno con i sindacati che non li avremmo lasciati scoperti. Noi e Sd abbiamo mantenuto l’impegno. Prc e Pdci hanno avuto più difficoltà. Però io non capisco come invece di parlare di 300 miliardi buttati sulla legge obiettivo che non funziona, discutiamo di cose che hanno il valore di 2-3 miliardi...».

È il tema politico oggi in discussione...

«Sì, ma se noi non vediamo svolte serie sull’ambiente può essere che qualcosa cambi, e quello diventa il tema politico. Perché il governo cade pure se i Verdi a un certo punto dicono basta. Oggi Prodi ha dato disponibilità: vediamo. Sennò la corda siamo costretti a tirarla noi».

Il tema resta quello del «chi tira la corda». Ma la maggioranza è vera o virtuale?

«La maggioranza è vera perché ha retto più di un anno. E regge se rispetta il programma. La corda la tira il centro, perché il programma dice esattamente quello che diciamo noi. Prodi scrive che il Pd vuole collaborare con la sinistra. Adesso alla prova dei fatti rispondano questi moderati della coalizione e rispettino quello che dice il loro leader, perché, in attesa di quello che sarà il segretario, Prodi resta il fondatore del Pd».

Pubblicato il: 03.08.07
Modificato il: 03.08.07 alle ore 8.19   
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« Risposta #31 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:44:38 pm »

Il bilancio del premier prima delle vacanze: «Non potevano fare di più»

Prodi: «L'Udc non entrerà nel governo»

Il presidente del Consiglio: «Non ho intenzione di cambiare maggioranza e poi i loro voti non basterebbero» 
 

ROMA - Romano Prodi, in un'intervista a SkyTg24, ha escluso la possibilità dell'ingresso dell'Udc nel governo. «Sono al governo con questa alleanza - ha detto il presidente del Consiglio - rimango leale e non ho intenzione di cambiarla. E poi i voti di Casini non basterebbero nemmeno lontanamente».

IL GOVERNO DECIDE - Con l'attività dell'ultimo periodo il governo «ha sfatato il concetto che si è tentato di imporre e cioè che non è capace di decidere» aveva spiegato Prodi durante la conferenza stampa al termine dell'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva. «Abbiamo una maggioranza risicata al Senato - ha aggiunto il premier - ma le decisioni sono state copiose: in un anno e tre mesi di più non potevamo fare. Questo governo, nonostante le difficoltà e le contrapposizioni in Parlamento, va avanti con un piano organico, nella messa in atto del programma», ha detto il primo ministro. ««C'è ancora una contrapposizione durissima tra maggioranza e opposizione, le occasioni di collaborazione sono state scarse: mi auguro che in futuro ci siano più occasioni per collaborare».

A BERLUSCONI: «CONTINUA COSI'» - «Continua così, che a me va bene così ». È questo il messaggio che Romano Prodi, intervistato da Sky tg24, ha detto di voler mandare a Silvio Berlusconi. Il premier ha spiegato che Berlusconi, come capo dell'opposizione, gli va più che bene: «Meglio di così... Questo scontro continuo, questo continuo minacciare la possibilità che qualche senatore della maggioranza passi con lui...». «Le posizioni politiche - sottolinea Prodi - si costruiscono con la politica, non dicendo che c'è qualche senatore in procinto di passare con lui. La politica si fa capendo le ragioni degli altri e immaginando una strategia».

LIBERALIZZAZIONI - Alla ripresa dell'attività politica, la priorità del governo saranno le liberalizzazione, ha aggiunto il Professore. «Questi pacchetti ci potranno portare a obiettivi crescita superiori al passato».

SOCIALE - «È visibilmente migliorata la condizione sociale. Per oltre 3 milioni di persone tra pochi mese aumenteranno le pensioni minime. Non c'è più l'incubo della quarta settimana», ha aggiunto Prodi.

BILANCIO - «Alle Camere è stato approvato il decreto sull'extragettito. E poi la risoluzione sul Dpef, la riforma dell'ordinamento giudiziario, la riforma dei servizi, il provvedimento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la legge sull'intramoenia. E ci sono stati anche i dibattiti sulla politica estera», ha elencato il capo del governo. «Nello stesso periodo di tempo il governo ha siglato l'accordo sulle pensioni, il protocollo sul welfare. C'è il rinnovo del contratto per il comparto sicurezza e difesa e quello per il parastato, il provvedimento per l'assunzione di 60 mila precari nella scuola. Abbiamo licenziato il testo per la sicurezza stradale e il ministro Bersani ha presentato a Bruxelles il piano per l'energia».

03 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #32 inserito:: Agosto 04, 2007, 10:01:40 pm »

Deboli ma Prodi

Antonio Padellaro


Si dice che il direttore di "Liberazione" (e non solo lui dentro Rifondazione) sospetti che la l´appello alla sinistra dell´Unione sia stato escogitato da Romano Prodi per giocare d´anticipo. Obiettivo: la manifestazione indetta da partiti, movimenti e associazioni per il prossimo 20 ottobre la cui piattaforma stava per essere pubblicata dal giornale del Prc e dal "Manifesto". Di qui la richiesta di far slittare di un giorno la lettera del premier. Di qui il diniego di palazzo Chigi che ha provveduto subito alla divulgazione della lettera. Di qui la risposta di Piero Sansonetti che ha definito «arrogante e autoritario» il gesto del presidente del Consiglio. Se così fosse, se cioè di mossa tattica si è trattato, il Professore avrebbe dimostrato una volta di più la sua capacità politica di trarre forza dalla debolezza. O meglio, di trasformare la debolezza in un fattore di forza, come ebbe a scrivere mesi fa Pierluigi Battista sul "Corriere della sera". Battuta azzeccata, ma che alla luce dei fatti andrebbe così corretta: è Prodi che si rafforza sulle debolezze degli altri. Infatti, mentre la parte più antagonista della coalizione si preparava a mobilitare la piazza contro il governo di cui pure fa parte (peculiarità questa della sinistra italiana), il premier ha realizzato comunque tre risultati. Ha mostrato «attenzione» e «rispetto» nei confronti di quella sinistra spesso protestataria che va da Rifondazione, ai Comunisti italiani, ai Verdi al nuovo partito di Mussi e Salvi.

E anzi, per conferire maggiore dignità politica a quell´area e alle critiche «costruttive» che da essa provengono, ha cambiato denominazione alla sinistra «radicale» omaggiandola come sinistra «popolare». Un aggettivo appropriato visto che si tratta non di un gruppo isolato di esagitati, come qualcuno vorrebbe far credere, bensì di forze che rappresentano complessivamente quasi cinque milioni di italiani e che contano in parlamento circa centocinquanta tra deputati e senatori.

Cordiale nella forma, l´appello prodiano contiene tuttavia un nocciolo duro poco conciliante. Sulle questioni di merito (come il sistema di welfare) che, scrive Prodi, non deve essere giudicato tutti i giorni da riformisti o radicali come un qualcosa da cambiare comunque. C´è poi un avvertimento, esteso a tutti i naviganti dell´Unione che si può riassumere così: non esagerate con le critiche e con gli attacchi perché a furia di agitarsi si rischia di mandare a fondo la barca. Insomma: se c´è qualcuno che preferisce un ritorno agli «anni bui» di Berlusconi, si faccia avanti.

Con questa esperta tecnica (si può dire democristiana?) della carota e del bastone, il premier prova a disinnescare la manifestazione di ottobre dalle contraddizioni che essa già presenta. E quindi, par di capire, niente di grave se accanto a tanta brava gente che lotta per i suoi diritti scenderanno in piazza ministri ed esponenti della maggioranza. Anzi, leggiamo, «considerarsi i difensori della società meno fortunata è un compito nobile».

Un testo che per tono e contenuti difficilmente sarà piaciuto all´ala riformista dell´Unione. Anche perché in un passaggio che non sarà sfuggito a chi corre nelle famose primarie, Prodi rivendica in pieno e a lettere maiuscole il suo ruolo di leader dell´Unione e di presidente del Partito democratico. Ponendosi cioé in alto e al centro dello schieramento. Assumendo un ruolo equilibratore tra le varie anime dell´Unione che nessun´altro in questo momento può esercitare. Ma dando anche l´impressione di voler riportare un po´ più a sinistra la rotta del Pd, correggendo gli entusiasmi centristi (con un occhio all´Udc) dei cosiddetti «coraggiosi». A palazzo Chigi, scriveva ieri mattina Massimo Franco sulla prima pagina del Corriere, ironizzano sulle maggioranze di nuovo conio ipotizzate da Francesco Rutelli, e fanno sapere che il governo continuerà a battere la sua moneta. Restando ben fermi su questa maggioranza, come ha ripetuto ieri sera il presidente del Consiglio a Sky..

Così, tra ministri litigiosi e spallate a vuoto, tra laicisti e teodem, pro-dico e antidico, filoisraeliani e filopalestinesi, liberisti e statalisti, al Senato sempre sull´orlo del tracollo che non arriva, al minimo dei consensi sulla Finanziaria, tra Visco, Speciale e Padoa Schioppa, Prodi taglia il traguardo dei quattordici mesi. Sempre facendosi forte delle altrui debolezze. quelle di una maggioranza che non ha alternative. Quella di un´opposizione vincente nei sondaggi ma riluttante sulle elezioni anticipate da quando Berlusconi non ha più una leadership condivisa, e si prende i ripetuti no di Casini. In queste condizioni, traballanti ma sempre in piedi, Prodi e il suo governo (a parte le scivolate impreviste) il solo avversario che sembrano dover temere è un nuovo sistema di voto che renda praticabili nuove maggioranze e nuovi governi. Chissà perché ma si ha l´impressione che prima che l´Unione concordi la famosa riforma elettorale passerà del tempo. Molto tempo.

apadellaro@unita.it



Pubblicato il: 04.08.07
Modificato il: 04.08.07 alle ore 13.05   
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« Risposta #33 inserito:: Agosto 10, 2007, 05:15:49 pm »

Peccato Capitale

Paolo Leon


Quando Romano Prodi chiede alla Chiesa italiana un maggiore impegno contro l’evasione fiscale, l’Avvenire reagisce sostenendo che i partiti hanno a loro volta delle colpe.

Il giornale cattolico, nella sua argomentazione, dimentica importanti insegnamenti di Cristo, in particolare quello del fuscello (il costo della politica) e della trave (l’evasione fiscale).

Tra l’altro, ci viene insegnato di non giudicare, e questo è vero soprattutto per chi non vuole essere giudicato.


Il problema dell’Avvenire è che effettivamente l’evasione fiscale non è considerata dalla Chiesa italiana un peccato così grave: se lo fosse, avremmo visto, negli anni, stuoli di evasori restituire il maltolto, come ogni confessore li avrebbe obbligati a fare, prima di assolvere; allo stesso modo, premier cattolici non avrebbero potuto promettere condoni. Invece, l’evasione fiscale è un peccato grave, oltre che un reato: per chi, come talvolta l’Avvenire e tanti cattolici tradizionalisti, ritiene che un peccato dovrebbe essere un reato (aborto, preservativo, fecondazione assistita, ecc.), svalutare l’evasione fiscale come peccato, implica svalutarla anche come reato. Ora, la Chiesa ha tutto il diritto di insegnare alle coscienze, ma deve rassegnarsi ad essere criticata quando l’insegnamento è insufficiente. Qui è in causa un comportamento generale, dietro il quale si nascondono prevaricazione, fuga dalle responsabilità, ipocrita critica allo Stato, finanziamenti illeciti, e soprattutto, grande ingiustizia tra chi paga e chi non paga le tasse. Se non pagare le tasse è una lieve scorrettezza per la Chiesa, è possibile che i cattolici non si rendano conto delle conseguenze dell’evasione; e al consigliere tributario che suggerisce scappatoie illegali, la coscienza gli rimorderà solo poco. Più in generale, se è moralmente consentito chiudere un occhio sulle tasse, come si impedisce che si chiuda un occhio su molte altre illegalità? Perfino Valentino Rossi è più corretto dell’Avvenire, quando afferma che lo Stato fa il suo dovere nel contestargli l’evasione, e non si nasconde dietro i fallimenti dello Stato.

Vorrei ricordare all’Avvenire una delle conseguenze dell’evasione fiscale. Se i cittadini non pagano le tasse, diventa difficile assicurare a tutti un servizio sanitario universale, che non guardi al reddito, alla razza, alle convinzioni di ciascuno. In effetti, negli ultimi decenni, l’evasione fiscale ha determinato un’erosione nell’universalità del diritto alla salute. Molti, nella destra italiana, che tanto piace all’Avvenire, sono in realtà favorevoli ad una sanità pagata direttamente dai malati, accompagnata da un sussidio per i poveri; non più un servizio nazionale, ma una beneficenza pubblica, che ridurrebbe fortemente il deficit pubblico. In questo modo si ridurrebbero le tasse, i ricchi pagherebbero per la loro salute, i poveri verrebbero aiutati da un’assistenza pubblica che inciderebbe poco sulle finanze dello Stato. Sembra l’uovo di Colombo. Ora, che questo sistema non funzioni affatto, è ampiamente dimostrato negli Usa: i ricchi sono pochi, la classe media non è mai tanto ricca da potersi permettere di sopportare il costo della malattia, la beneficenza pubblica (compresa la filantropia privata) acuisce lo stigma dei poveri, perché li classifica come tali e li fa oggetto di disprezzo da parte di chi paga le tasse. Tuttavia, il punto che vorrei fare è che, anche se il nostro paese dovesse avviarsi su questa pessima strada, i ricchi continuerebbero a non pagare le tasse, dato che l’evasione fiscale sarebbe sempre considerata una leggera scorrettezza dalla Chiesa, e perciò non contribuirebbero a finanziare nemmeno la salute per i poveri.

Papa Giovanni Paolo II ha fatto molte autocritiche: l’Avvenire ci pensi.

Pubblicato il: 10.08.07
Modificato il: 10.08.07 alle ore 10.12   
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« Risposta #34 inserito:: Agosto 20, 2007, 05:50:42 pm »

POLITICA

Il presidente del Consiglio: "Condivido tutte le parole del cardinale"

Opposizione compatta: "Il suo governo ha aumentato le tasse a tutti"

Fisco, Prodi d'accordo con Bertone

E la Cdl va all'attacco: "Un ipocrita"

Federmeccanica: "Lo sciopero fiscale è uno shock. Ma a mali estremi, estremi rimedi"

 
SIENA - "D'accordo con tutte le parole del cardinale Bertone". Romano Prodi, in partenza per Bologna dopo la pausa estiva, a San Casciano dei Bagni si presta alle domande dei cronisti e commenta quanto detto dal segretario di Stato vaticano a proposito di tasse e evasione fiscale, parole che, con un seguito di polemica, hanno animato la giornata di ieri. D'accordo, dunque, il presidente del Consiglio con il prelato che ha invitato a "fare il nostro dovere" pagando le tasse ma ha invocato, tuttavia, leggi giuste e maggiore attenzione alle esigenze delle fasce più deboli. Anche il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, apprezza "la sensibilità civile" di Bertone ma "è decisivo che ciascuno, governo, parlamento, forze sociali, cittadini, faccia la sua parte perché prevalga il rispetto della legge e dall'altro lato vengano migliorate le norme che regolano la vita civile". Ed è di nuovo polemica, con il centrodestra compatto nell'accusare il presidente del Consiglio di ipocrisia.

Metteoli: "Prodi ha scontantato tutti". Il presidente dei senatori di An, Altero Matteoli, si chiede in che modo Prodi possa dirsi d'accordo con Bertone "se il suo governo ha aumentato le tasse a tutti, e si appresta a rifarlo con la prossima Finanziaria, senza alcun beneficio neppure i meno abbienti. Ha scontentato tutte le categorie, colpendo particolarmente le classi più svantaggiate, massacrate dalle sue leggi ingiuste e immotivate. Bertone - conclude Matteoli - ha sostenuto considerazioni condivisibili, ma se Prodi se ne dice d'accordo è solo un ipocrita".

Cesa: "Governo Prodi, freno per il Paese". Sulla stessa linea il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. Per il quale "il governo Prodi si è rivelato il più potente freno allo sviluppo economico del Paese". E "non è un caso che mentre gli altri Paesi europei crescono, i principali indicatori economici italiani sono al ribasso. L'aumento della pressione fiscale e la deriva ideologica di Caruso e Giordano, che vogliono scardinare la legge Biagi, sono la prova di una nave senza timone".

Lega: "Niente prediche". Roberto Calderoli se la prende con "tutti coloro che, intervenendo in questi giorni cercano, mistificando, di tradurre la rivolta fiscale promossa dalla Lega Nord in 'evasione': se qualcuno vuole fare prediche rispetto agli evasori, le indirizzi a quelle parti del Paese dove le filiere del nero raggiungono il 75-80%". "La nostra protesta - sottolinea - comporterà comunque il pagamento delle tasse e quindi la non evasione, ma costringerà un governo che si comporta come lo sceriffo di Nottingham a riscrivere le leggi e a farle giuste".

Schifani: "I senatori a vita non votino con l'esecutivo". Per Renato Schifani, presidente dei senatori di Forza Italia, il governo Prodi "continua a caratterizzarsi per l'utilizzo spregiudicato della leva fiscale per la soluzione dei problemi del paese e ci aspetta un'altra finanziaria lacrime e sangue". Per questo si augura che "i senatori a vita prendano la distanza da un esecutivo criticato dalla stragrande maggioranza degli italiani e che ha posto il freno alla crescita economica del paese"


Federmeccanica: "A mali estremi, estremi rimedi". Lo sciopero fiscale è un'ipotesi possibile anche per gli industriali del Nordest. Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, ha detto che l'idea di Bossi è "uno shock: però a mali estremi, estremi rimedi". L'imprenditore, pure se dichiara di non credere che si arriverà a tanto, ha spiegato che "quando si continua a caricare il mulo, alla fine anche il mulo cade. Bisogna ricordarsi che c'è un'Italia che lavora e un'Italia che vive su chi lavora".

(20 agosto 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #35 inserito:: Agosto 20, 2007, 05:55:27 pm »

L’esponente della Quercia: senza i fondi venuti dal voto non avremmo battuto la Cdl «Più soldi pubblici ai partiti»

La proposta ds agita l’Ulivo

Il tesoriere Sposetti: bisogna tornare al finanziamento statale

Prodiani all’attacco: greve, sul Pd ha idee opposte alle nostre

 
ROMA — Incurante del ciclone dell’antipolitica che chiede di abbattere i costi del sistema, il cassiere dei Ds Ugo Sposetti si tuffa controcorrente e, intervistato dal Giornale, rilancia il suo cavallo di battaglia: tornare al finanziamento pubblico, elargire, come titola il quotidiano in prima pagina, «più soldi ai partiti». Immediata e furente la protesta di prodiani, dipietristi, radicali e di tanti nel centrodestra, una levata di scudi che Sposetti liquida come «belle animelle che storcono il naso», per «opportunismo» o per «malafede ».

Il teorema del deputato che da cinque anni lavora con innegabile successo per risanare i disastrati bilanci della Quercia è noto, negare risorse alla politica per lui significa «colpire al cuore la democrazia». Ma nel Partito democratico sono tanti a non pensarla così. Da Arturo Parisi a Romano Prodi, che da quando si è insediato a Palazzo Chigi si è messo al lavoro per tagliare le spese della politica.

Non a caso il commento più aspro alla proposta di rispolverare il finanziamento pubblico arriva da Franco Monaco. Per il deputato vicinissimo a Prodi lodare le virtù delle norme sul rimborso elettorale e concludere, come fa Sposetti, che senza i soldi incassati dall’Ulivo grazie a quella legge «la vittoria contro Berlusconi sarebbe stata impossibile», è cosa «greve e insolente», degna della massima indignazione: «Possiamo anche perdere ma non perderci, vendendo l’anima — stigmatizza Monaco —. Il Pd che vogliamo noi è opposto a quello di Sposetti».

Per i prodiani come Marina Magistrelli, insomma, il cassiere è «l’anima nera dei Ds», perché è vero che la politica ha un prezzo ma i costi «devono scendere e non salire ancora». I Radicali si dicono «allibiti e indignati», parlano di «rapina » e anche l’Italia dei valori respinge con enfasi l’idea del tesoriere.   

E dal centrodestra Maurizio Gasparri prepara una proposta di legge, condivisa dal capogruppo di An Ignazio La Russa, per abolire ogni forma di esborso statale ai partiti. Ne avrebbe di cose da dire (contro il finanziamento) anche Rosy Bindi e lo farà presto, ma intanto l’aspirante leader del Pd incassa «onorata e commossa» il sostegno di Francesco De Gregori, il già testimone di nozze di Veltroni che voterà per lei alle primarie del 14 ottobre: «Lo ringrazio per le parole di apprezzamento e stima, è il mio cantautore preferito...».

M.Gu.
20 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #36 inserito:: Agosto 20, 2007, 06:00:10 pm »

Il premier sulla crisi finanziaria Usa: «La lezione serva per il futuro» «D'accordo con tutte le parole di Bertone»

Così Romano Prodi all'indomani del monito del segretario di Stato vaticano sulle tasse.

Sui conti pubblici: «Aiutare la ripresa» 

 
SAN CASCIANO DEI BAGNI - Appoggio pieno del premier Prodi alle dichiarazioni del cardinale Tarcisio Bertone sulle tasse. Il presidente del Consiglio si dice d'accordo «con tutte» le parole pronunciate domenica dal segretario di Stato vaticano al Meeting di Rimini. Bertone ha fatto un richiamo a pagare le tasse, ha citato San Paolo, ma ha anche sottolineato la necessità di leggi giuste. Prima di lasciare San Casciano dei Bagni e tornare a Bologna, il premier Prodi ha risposto a chi gli chiedeva se fosse concorde con le dichiarazioni di Bertone: «Sì - ha detto il Professore - soprattutto sono d’accordo con tutte le parole di Bertone», scandendo la parola «tutte» come a far capire che quel monito va letto nella sua interezza e non per singole parti.

CONTI PUBBLICI E CRISI DEI MUTUI - Da San Casciano dei Bagni il premier fa accenno anche ai conti pubblici. «Adesso - è l'invito di Prodi - bisogna aiutare la ripresa». «Da domani - ha osservato - incominciamo a ragionare sulla strategia». Sulla crisi dei mutui americani il presidente del Consiglio sottolinea la necessità di «monitorare il mercato finanziario». «Spero proprio - ha detto il premier - che la paura per i mercati internazionali si sia definitivamente allontanata. Ma non si sa mai. Bisogna sempre tenere gli occhi aperti e soprattutto apprendere la lezione». Secondo il presidente del Consiglio «le società di rating sono nate per fare un controllo preventivo e bisogna che questo controllo lo facciano».

20 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #37 inserito:: Agosto 21, 2007, 12:10:29 pm »

21/8/2007 (6:57)

Un solo tributo da versare

Il piano per le partite Iva
 
Prodi risponde agli autonomi e applaude Bertone: condivido in pieno

ROSARIA TALARICO


ROMA
Le parole del segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone sul fisco («tutti dobbiamo fare il nostro dovere nel pagare le tasse secondo leggi giuste») riescono nell’impresa singolare di mettere sulla stessa linea la Lega che promuove lo sciopero fiscale e il premier Romano Prodi.

Sì, perché l’affermazione del cardinale è stata interpretata in maniera opposta a seconda dell’ascoltatore. Se Umberto Bossi vi scorge una benedizione dello sciopero da lui proposto («perfino il cardinale dice che le tasse vanno pagate, però devono essere giuste. Se però un cittadino deve lavorare otto mesi l’anno per mantenere lo Stato, non sono mica tanto giuste»), Prodi parla di piena sintonia tra il programma di governo e il Vaticano sul nodo fisco dicendo di «condividere dalla prima all’ultima riga le parole del cardinale».

Legittimazioni vaticane a parte, sarà un caso, ma sulla prima pagina del Sole-24Ore di ieri si annunciava il piano del fisco per quanto riguarda gli autonomi. In sostanza, una semplificazione degli adempimenti fiscali che interesserà almeno 900 mila titolari di partita iva. Che dovrebbero versare un importo fisso (proporzionato alla capacità contributiva di ciascuno) al posto di Irpef, Ires, Irap e Iva. Un bel risparmio anche dal punto di vista dei calcoli per determinare gli imponibili. La misura riguarderebbe però solo i contribuenti minimi, coloro cioè che hanno ricavi annui inferiori ai 30 mila euro. Coro di approvazione dalle associazioni di categoria, per un piano che potrebbe apparire quasi come un condono mascherato.

Il più critico è Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato che sente «puzza di minimum tax». Mentre per Marco Venturi di Confesercenti si tratta di «un passo positivo che può far emergere molti redditi, pensiamo agli ambulanti che oggi non pagano nulla». Il presidente di Confesercenti aggiunge però che si deve trattare di imprese davvero marginali e che «se dobbiamo semplificare davvero, allora bisogna arrivare al superamento dello scontrino». Sulla stessa linea Luigi Taranto, direttore generale di Confcommercio: «Una soluzione utile a semplificare purché il contribuente sia effettivamente nella fascia minima». Gian Carlo Sangalli della Cna (da non confondere con il quasi omonimo presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli) ricorda che «quando facemmo l’accordo sugli studi di settore l'idea era di aumentare la fascia degli esenti».

Tornando invece sul versante politico, in materia fiscale si registra tutt’altro che unanimità. E ancora sono le parole del cardinale a infiammare il confronto tra i due schieramenti. Il viceministro all'Economia Vincenzo Visco, fautore della tolleranza zero in tema di evasione fiscale, sostiene che Bertone dovrebbe essere «ringraziato per la sensibilità civile dimostrata. Concordo pienamente con le sue dichiarazioni sulle tasse, sulle buone leggi, sulla necessità di aiutare coloro che hanno di meno, temi che furono peraltro anche al centro di un nostro breve colloquio qualche mese fa».

Da Alleanza nazionale per bocca del capogruppo al Senato Altero Mattioli arriva l’accusa di «ipocrita» per Prodi, colpevole di aver «scontentato tutte le categorie colpendo particolarmente le classi più svantaggiate, massacrate dalle sue leggi ingiuste e immotivate». Fosche le previsioni di Renato Schifani, presidente dei senatori di Forza Italia convinto che «ci aspetta un'altra finanziaria di lacrime e sangue». Il Carroccio non ritira la proposta di sciopero fiscale, ma Roberto Calderoli precisa che è «una forma di protesta che però niente ha a che vedere con l'evasione fiscale». L’Udc da un lato critica l’operato del governo Prodi («il più potente freno allo sviluppo economico del Paese», lo definisce il segretario Lorenzo Cesa), ma dall’altro prende le distanze dalla proposta leghista. L’invito alla Cdl a mettere da parte proposte «bolse» arriva dal senatore Maurizio Ronconi che spinge a «pensare fin dalla prossima legge finanziaria a soluzioni per una fiscalità più giusta, sottoponendole anche agli esponenti della maggioranza disponibili».

da lastampa.it
« Ultima modifica: Agosto 30, 2007, 11:58:40 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 21, 2007, 05:54:34 pm »

Damiano: «Chi tira la corda fa cadere il governo»
Felicia Masocco


«Attenzione a non tirare troppo la corda perché si spezza», «il rischio è che il governo cada e si riconsegni il Paese alla destra». Cesare Damiano ammonisce chi il 20 ottobre sarà in piazza e difende il protocollo sul welfare: con l’aria che tira «meno male che c’è». Austerità o no, il governo è impegnato a spendere quasi 40 miliardi in 10 anni per pensionati, giovani e lavoratori. «Se lo negoziassimo oggi avremmo un risultato inferiore».

La crisi dei mutui americani minaccia la crescita economica. Il ministro Padoa-Schioppa indica l’austerità come strada obbligata. Non è il massimo delle prospettive. Non c’è alternativa?
«La crisi finanziaria americana arriva anche in Europa, seppure in modo più rallentato. Gli interventi delle banche centrali hanno fatto riprendere le Borse ma la situazione non è automaticamente risolta. Per fortuna questi prodotti finanziari non hanno una influenza forte sui fondi pensione, quelli contrattuali in particolare. Con la loro condotta prudente sul mercato azionario e la forte vocazione agli acquisti obbligazionari, il Tfr dovrebbe essere al riparo».

L’economia però rischia. Ci si prepara a un periodo di vacche magre?
«Infatti il problema fondamentale è il rallentamento della crescita che, come dice Padoa-Schioppa, impone maggiore rigore. Senza però smarrire la rotta della crescita nell’equità».

Ma ci può essere equità senza nulla da redistribuire, senza neanche un tesoretto?
«A maggior ragione, alla luce dei fatti recenti, il protocollo del 23 luglio acquista un valore ancora più alto. Abbiamo messo al riparo, nel decennio 2008-2017, quasi 40 miliardi di euro di redistribuzione sociale che andranno a vantaggio della parte più debole del Paese, i pensionati a basso reddito, i giovani a lavoro discontinuo, e andranno agli ammortizzatori sociali e al salario di produttività. Non solo abbiamo realizzato il miglior protocollo di concertazione da 25 anni a questa parte, ma dobbiamo essere doppiamente impegnati per attuarlo con la Finanziaria. A partire dall’aumento delle pensioni che già da questo autunno migliorerà le condizioni di più di 3 milioni di pensionati al di sotto dei 600 euro mensili».

Sta dicendo che con l’aria che tira...
«...Meno male che c’è il protocollo, rappresenta una formidabile rete di protezione sociale che impegna il governo anche se l’economia rallenta e vuole rigore».

Ministro, sa bene che quel documento rischia di aprire una crisi di governo.
«So anche che se dovessimo negoziare quel protocollo oggi avremmo risultati inferiori. L’Unione anziché girare le mille piazze d’Italia per illustrare il grande risultato di concertazione è dilaniata al suo interno con una sinistra radicale che addirittura prepara una manifestazione contro il protocollo e contro il governo».

Sul mercato del lavoro la sinistra radicale vuole di più. Ma c’è anche il polo più moderato della maggioranza che contromanifesta, con la destra, il 20 ottobre. Non è paradossale per una maggioranza di governo?
«Infatti. Intanto non è vero che la sinistra radicale si mobilita solo sul mercato del lavoro. Ed è ancora più paradossale che la nascente Cosa Rossa sia profondamente divisa al proprio interno: mentre Mussi e Pecoraro Scanio condividono la parte sulle pensioni, Rifondazione comunista è persino contraria al superamento dello scalone. Quasi che 10 miliardi di euro in dieci anni a vantaggio delle pensioni e dei lavori usuranti siano poca cosa».

Insisto, ci saranno anche i moderati in piazza, secondo loro la legge 30 andava mantenuta così com’era.
«È il bel risultato prodotto dall’attacco ad alzo zero sferrato ai risultati della concertazione. Una contro-manifestazione gestita dal centrodestra con l’adesione di componenti della maggioranza che vedono di buon occhio le cosiddette coalizioni di nuovo conio. Di fronte a tutto questo il governo ha il dovere di mantenere la rotta e di difendere a spada tratta i contenuti del protocollo. Questo non vuol dire, comunque, che sia perfetto».

Che cosa può essere cambiato e chi deve farlo, il governo? Il Parlamento?
«Bisogna distinguere l’azione di governo da quella del Parlamento, dai quella dei partiti, da quella delle parti sociali. Un governo che ha concluso un accordo di concertazione è vincolato e lo può cambiare solo con il consenso delle parti che lo hanno sottoscritto. Se per il mercato del lavoro e in particolare per i contratti a termine, la scrittura del protocollo lascia margine a dubbi li risolveremo consultando le parti sociali».

Il Parlamento non starà a guardare, in tanti sono pronti a dare battaglia, c’è poi chi minaccia di uscire dalla maggioranza se il protocollo si cambia, chi promette di non votarlo se non si cambia. E dati i numeri...
«Il Parlamento è sovrano e potrà richiedere modifiche. Attenzione però, non tiriamo troppo la corda, né da una parte, né dall’altra, perché si strappa. Noi vogliamo attuare il programma e lo stiamo attuando, chi dice il contrario afferma il falso».

Questo tiro alla fune può far cadere il governo?
«Il rischio c’è, certo, se la corda si spezza il governo può cadere. E bisogna sapere che se cade e viene meno questa esperienza di centrosinistra, è molto probabile che dopo non ce ne sarà un’altra. C’è il rischio di riconsegnare il paese alla destra, sarebbe una gravissima responsabilità. È un rischio che non dobbiamo assolutamente correre se vogliamo fare gli interessi del Paese e della sua parte più debole e non quelli di partito come qualcuno sta facendo».

A complicare le cose ci si mette la crisi e la necessità di stringere la cinghia. Il ministro dell’Economia invoca austerità anche per le retribuzioni pubbliche. I sindacati già alzano gli scudi. Il ministro del Lavoro?
«L’obiettivo del contenimento della spesa pubblica è da perseguire. Ma non procedendo con tagli orizzontali, indistinti. Ci sono spese che rappresentano un investimento. Faccio l’esempio degli ispettori del lavoro: non avevano un minimo di indennità, e neanche le risorse per la benzina per fare il loro mestiere, abbiamo sbloccato risorse e in dieci mesi solo nell’edilizia sono emersi 143 mila lavoratori e l’Inps ha incassato 56 milioni di euro di contributi previdenziali in più. Ecco, credo che in questo settore l’attuale tetto di spesa di 3 milioni vada superato. Vanno tagliate le spese improduttive, quelle produttive vanno incentivate. Per le retribuzioni pubbliche, le intese prevedono incentivi al merito e alla produttività individuale e di gruppo, anziché distribuire in modo uniforme premi di risultato a prescindere. Io sono d’accordo».

Cosa c’è nella sua agenda delle prossime settimane?
«Oltre agli impegni ministeriali sarò occupato nella costruzione dei Forum del lavoro per il Partito democratico. Con Treu e Gasperoni il 22 settembre saremo al teatro Brancaccio di Roma per il Forum nazionale del lavoro al quale invitiamo tutti i candidati alla segreteria del Pd. Per quello che ci riguarda il protocollo sul welfare è l’architrave del lavoro del futuro Pd».

Radici che non vanno tagliate. E del «taglio» delle feste dell’Unità che dice? Vanno sacrificate in nome del nuovo?
«No. Seguo di malavoglia queste polemiche, francamente sono altri i problemi del paese. Mi pare poi che coloro che criticano le feste dell’Unità e pretendono la loro cancellazione usando termini come “stalinismo” non si accorgono di assumere a loro volta un atteggiamento stalinista: pretendono di cancellare con un colpo di penna una tradizione che è nel cuore e nella testa di decine di migliaia di volontari, iscritti e no. Non confidano nella capacità di queste persone di trovare loro la via per l’unità. Io ho fiducia, e poi mi passi una battuta: lei cambierebbe il nome alla Nutella?».

Pubblicato il: 21.08.07
Modificato il: 21.08.07 alle ore 10.50   
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« Risposta #39 inserito:: Agosto 22, 2007, 10:43:46 pm »

L’industriale e il Cardinale
Paolo Leon


Non so perché Romano Prodi, della cui laicità non si può dubitare, abbia dichiarato che sottoscrive tutte le parole del Cardinal Bertone. Il Cardinale ha detto che le tasse da leggi giuste vanno pagate, che il ricavo deve andare ad opere giuste e all’aiuto ai più deboli (nemmeno l’8 per mille della Chiesa Cattolica può andare tutto ai poveri!). Ora, lo Stato non può cedere su un punto di principio: le leggi fiscali approvate dal Parlamento e dai Consigli degli enti territoriali sono giuste finché non vengono cambiate, anche se sembrano ingiuste a cardinali e cittadini.

Così, le tasse vanno sempre pagate, anche se possiamo criticarne la struttura e la dimensione, che è poi il giudizio di Cristo: si dà a Cesare quel che è di Cesare, senza chiedersi cosa ne farà (e Cristo sapeva che Cesare avrebbe martirizzato i cristiani).

Il Cardinal Bertone ha tutto il diritto di dire quel che vuole ed esprimere una sua regola che egli vorrebbe generale, ma egli dovrebbe sapere che il suo insegnamento è uno strumento importante di evangelizzazione: se dalle sue parole si diffonde l’idea che solo le tasse da leggi giuste vanno pagate, e poiché per chi paga le tasse è sempre difficile sostenere che le leggi sono giuste, egli è responsabile (non solo di fronte alla propria coscienza, ma anche di fronte alla comunità) della deriva demagogica che ne discende, come puntualmente si riscontra nelle reazioni della destra. Prodi sa bene che, come cattolico, può anche sottoscrivere ciò che dice il Cardinale, ma come presidente del Consiglio non deve sottoscrivere alcunché in proposito, e per la stessa ragione per la quale, quando rappresenta lo Stato, non gli bacia l’anello. Tra l’altro, Prodi ammetterebbe implicitamente che le sue tasse e le sue spese sono ingiuste, o, peggio, che il Parlamento, e la sua stessa maggioranza, hanno fatto leggi ingiuste.

Non stupisce, perciò, che con tali esempi Massimo Calearo, Presidente di Federmeccanica (l’associazione imprenditoriale di settore), si senta in diritto di affermare che lo sciopero fiscale di Bossi è uno shock, ma che «a mali estremi estremi rimedi». Non capisco a quali mali estremi si riferisca Calearo, ma è ovvio che egli ritiene di poter fare questa affermazione, perché sostenuto dalle diverse voci del mondo cattolico che si sono recentemente espresse sul tema. La Confindustria si è dissociata dal Presidente della Federmeccanica, ma il danno è stato fatto, e la demagogia può continuare a seminare i suoi danni. Allo stesso tempo, chiunque sia propenso a criticare il governo sulle politiche economiche e di bilancio, è immediatamente spinto a difenderlo, quale che sia il suo operato.

La mia impressione è che Bossi abbia invocato lo sciopero fiscale perché la Lega è ormai all’angolo: l’ideale federalista è troppo debole rispetto ai problemi economici e sociali della gente, e si deve trasformare in un’orgia localistica, parente stretta dei fanatismi, razzismi, fondamentalismi che nascono come reazione ai guasti della globalizzazione. Non credo che questa idea dello sciopero fiscale andrà da qualche parte, ma la demagogia che scatena non si fermerà, se coloro che sono responsabili di una funzione collettiva, come la Federmeccanica e il Cardinal Bertone, non se ne rendono conto.

Pubblicato il: 22.08.07
Modificato il: 22.08.07 alle ore 10.28   
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« Risposta #40 inserito:: Agosto 29, 2007, 05:44:47 pm »

Dietro le quinte

Il Professore faccia a faccia col sindaco «Ora vorrei sapere qual è la rotta».

E il «padre del Pd» ottiene garanzie   


ROMA — «È importante capire dove stiamo andando e con chi». Romano Prodi, incontrando ieri a Palazzo Chigi Walter Veltroni in un faccia a faccia fissato prima delle vacanze e durato più del previsto (un'ora e mezza), ha di fatto spalancato i cancelli alla lunga corsa che porterà alle primarie del 14 ottobre, facendo pesare il suo ruolo di padre nobile del Pd, «equidistante» dalle varie candidature, ma intenzionato «a tutelare il Dna» del nuovo soggetto.

Obiettivo del premier, che ha apprezzato il passaggio dell'intervista di Veltroni al Corriere della Sera nel quale il primo cittadino esclude di poter andare a Palazzo Chigi senza elezioni («Lo davo per scontato, ma fa sempre bene sentirlo dire...» il commento del Professore), un po' meno là dove il sindaco afferma che «questo è il miglior governo possibile nelle condizioni date», era quello di far uscire il segretario in pectore allo scoperto, cercando di trovare un filo conduttore nella matassa di parole che hanno sinora avvolto la sua candidatura, al punto da spingere Arturo Parisi a rinfacciargli di voler tenere insieme «tutto e il contrario di tutto». «Caro Walter, qual è la rotta?».

Domanda tutt'altro che innocua, quella del Professore. Che prende forma da un sospetto e da una necessità: stanare il sindaco di Roma, cercando di sottrarlo alla morsa «centrista » del vicepremier Rutelli e di tutti coloro che, teorizzando alleanze di nuovo conio e aprendo continui fronti polemici con la sinistra radicale, «non si rendono conto — è il ragionamento stizzito di chi lavora con Prodi — di farsi del male da soli, di fatto dando già per fallita l'attuale formula di maggioranza e il governo che la rappresenta ». Insomma, dopo un agosto senza dire una parola sul Pd e sulla sfida spesso acida tra Veltroni, Bindi e Letta, ciò che a Prodi ieri premeva capire era se, dietro l'ecumenismo buonista di Veltroni e il suo insopprimibile desiderio di accontentare tutti, vi fosse in realtà un'intesa con Rutelli per spostare l'asse del Pd verso lidi diversi da quelli che per anni lo stesso sindaco di Roma aveva indicato. Saranno i fatti a dire se il pressing del Professore ha dato frutti. I resoconti di giornata parlano di «un incontro segnato dall'impronta ulivista». Che, nella terminologia della corsa al Pd, sembrerebbe significare qualcosa di molto distante, se non antitetico, ai progetti centristi di Rutelli. «Veltroni ha dato garanzie» hanno aggiunto i prodiani, senza però entrare nello specifico.

Nel frattempo i rapporti tra il Professore e i rutelliani sembrano tornati a livelli di notevole incandescenza. Ieri, è partita da Palazzo Chigi una telefonata bollente al giornale «Europa», quotidiano dei Dl. Sotto accusa un editoriale non firmato che indica «nelle componenti prodiane alle quali dà efficacemente voce Rosy Bindi» i principali avversari di Rutelli e Veltroni, rei di aver prospettato nuove alleanze. L'avversione dei prodiani, è la tesi dell'articolo, nascerebbe dalla consapevolezza che, «in caso di discontinuità con l'era Prodi-Berlusconi (altro passaggio che ha mandato su tutte le furie il Professore, ndr)», per il premier e i suoi «sarebbe difficile trovare spazi». I prodiani hanno risposto per le rime: «Toni sgradevoli e contenuti inaccettabili, attenti a non tirare troppo la corda...». Così vanno le cose all'ombra del Pd.

Francesco Alberti
29 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #41 inserito:: Agosto 29, 2007, 06:01:14 pm »

Fisco e Chiesa, Bagnasco: «Non abbiamo privilegi»


La Commissione europea vuole vederci chiaro sui benefici fiscali concessi dallo Stato italiano alla Chiesa, e per questo si prepara a chiedere nuove informazioni, più approfondite. «Non sappiamo ancora se aprire un'inchiesta o meno, anche perché non abbiamo abbastanza informazioni e ne chiederemo delle altre, per via scritta o verbale», ha spiegato il portavoce del commissario per la Concorrenza Neelie Kroes, ricordando che una prima richiesta, subito soddisfatta dalle autorità italiane, era stata già presentata a giugno.

Si difende il presidente della Comunità episcopale italiana, monsignor Angelo Bagnasco. La Chiesa ha fatto e fa molto per aiutare le popolazioni sia in Italia sia in Europa, e «questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico. La parola privilegio - ha detto riferendosi alle critiche sulle agevolazioni fiscali - è una parola totalmente sbagliata».

Alla domanda se questo provvedimento possa essere stato ispirato dall'Italia, Bagnasco ha risposto: «Non saprei proprio dire questo, mi sembra strano». «Credo - ha aggiunto mons. Bagnasco - che sia sotto l'occhio di tutti, in Italia, ma direi in tutta Europa, quanto la Chiesa fa e ha sempre fatto per la povera gente, per i ragazzi, per l'educazione, per i più disagiati. Lo fa con tutti i fondi e con tutte le risorse di cui dispone. Quindi questo dovrebbe essere considerato con molta attenzione per non cadere poi in posizioni pregiudiziali di tipo ideologico».

Il portavoce del ministro per le Politiche europee, Emma Bonino, ha garantito che il governo esaminerà le richieste di Bruxelles, osservando come l'Italia rischia «una procedura di infrazione proprio quando sì è finalmente riusciti a ridurne il numero».

Il caso, sollevato da Maurizio Turco settimane fa, della Rosa nel Pugno, riguarda le esenzioni del pagamento dell'Ici per le attività commerciali della Chiesa, in teoria abolite dal decreto Bersani dello scorso anno e di fatto sopravvissute per quanto riguarda gli immobili commerciali. Le esenzioni ammonterebbero a circa 400 milioni di euro all'anno. «A partire dal momento in cui si ha davanti un organismo che svolge delle attività economiche, occorre valutarle dal punto di vista della concorrenza, e quindi in questo caso degli aiuti di Stato», ha aggiunto Todd, ricordando che un dossier analogo è stato aperto ed è tuttora in corso con la Spagna.

La vicenda ha suscitato l'interesse della stampa straniera, anche sulla base dell'intervista a "La Stampa" di monsignor Karel Kasteel, segretario del pontificio consiglio «Cor Unum», che ha parlato di «possibili ritocchi» al testo del Concordato fiscale, scritto nel 1984. La sala stampa della Santa Sede ha però subito preso le distanze dalle dichiarazioni del prelato, sottolineando che «non è all'ordine del giorno alcuna revisione del Concordato», e in una nota diffusa in serata, lo stesso monsignor Kasteel ha smentito «di aver mai affrontato la questione fiscale nell'intervista».

Monsignor Giuseppe Betori, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha sottolineato in un editoriale su "Avvenire" «che l'esenzione dall'Ici è materia del tutto estranea agli accordi concordati» e che «si applica alle sole attività religiose e di rilevanza sociale». Per Betori contestare questo atteggiamento dello Stato corrisponde a manifestare «una sostanziale sfiducia nei confronti di molteplici soggetti sociali di diversa ispirazione, particolarmente attivi nel contestare il disagio e la povertà».

Un aspetto, questo, sottolineato anche dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ha spiegato come l'esenzione si applica a «tutti gli enti no profit, mentre pagano integralmente l'Ici le strutture alberghiere, i ristoranti e i negozi di proprietà di enti ecclesiastici. Spero - ha aggiunto - che anche in questo caso non si alzi il solito polverone anticlericale a fronte di una semplice e legittima richiesta di approfondimento dell'Ue». Ovviamente soddisfatti della richiesta preliminare di informazioni di Bruxelles sono invece i radicali e Maurizio Turco, così come Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, che ha annunciato «un pacchetto di proposte da inserire in finanziaria per eliminare l'esenzione fiscale e Ici per gli immobili ecclesiastici che hanno attività commerciali».

Per Marina Sereni, vicepresidente gruppo l'Ulivo alla Camera «gli accordi tra Stato e Chiesa che governano i rapporti tra l'Italia e la Santa sede sono materia che riguarda due Stati sovrani». «Daremo, tuttavia, i chiarimenti necessari a Bruxelles così come avremmo e abbiamo fatto per qualsiasi altra richiesta legittimata dal fatto che l'Italia ha scelto di far parte dell'Unione europea e dunque di accettare regole sovranazionali anche in materia economica e di concorrenza tra Stati».

Per Lorenzo Cesa, dell'Udc, occorre «affrontare questo argomento con la dovuta maniera, ragionando tra di noi con tutti i partiti». Per Gianfranco Rotondi, della Democrazia Cristiana, la richiesta di Bruxelles è sintomo di tendenze «anticlericali», mentre per Maurizio Gasparri, di An, «vanno respinti gli attacchi morali e materiali che offendono tradizioni e valori profondamente radicati nella realtà italiana». Infine, secondo il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, è «sconcertante» l'intenzione dell'Unione Europea, che dimostra di non conoscere la situazione italiana e di cedere senza colpo ferire alle idee più oltranziste e false che circolano sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia».

Pubblicato il: 28.08.07
Modificato il: 29.08.07 alle ore 12.48   
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« Risposta #42 inserito:: Agosto 30, 2007, 11:59:08 pm »

In un'intervista al Gr1 il premier annuncia una "Finanziaria di pace e di sviluppo"

"Ci saranno tagli alle spese ma arriveranno risorse anche dalla lotta all'evasione"

La promessa di Romano Prodi "Ora possiamo tagliare le tasse"

Sul manifesto di Veltroni: "Nove punti su 10 sono quelli del nostro programma"
 

ROMA - Romano Prodi prima fotografa la situazione dei conti pubblici: "Il Paese l'anno scorso era in disordine, ma ora sta meglio". Poi arriva la promessa tanto attesa dei cittadini: "Possiamo cominciare a dire che le tasse possono diminuire". Il presidente del Consiglio parla al Gr1, in un'intervista che andrà in onda domattina.

Una Finanziaria di pace. Il premier è sicuro. La prossima Finanziaria non sarà di tregua, "perchè non c'è stata alcuna guerra". L'anno scorso per le finanze italiane era allarme rosso, dopo il quinquennio berlusconiano. E allora l'Unione ha dovuto mettere in ordine "un Paese che era in disordine". Quest'anno, invece, dopo la cura Padoa-Schioppa i conti pubblici non fanno più acqua e il rigore si può mettere da parte. Ecco perché la Finanziaria sarà "di sviluppo e di pace". Insomma, anche se ci saranno dei tagli, "nel senso di riduzione delle spese", le tasse potranno diminuire.

La lotta all'evasione. Per ridurre le tasse, ovviamente, ci vogliono le risorse. Dove recuperarle? Prodi è chiaro su questo punto. I tagli alla spesa ci saranno, perché "tutta l'Europa ci ha rimproverato un eccesso di spesa dello Stato oltre ai costi della politica". Ma il premier indica un'altra fonte di equilibrio, la lotta all'evasione fiscale, che "è il vero cambiamento di cui il Paese ha bisogno". Combattere gli evasori per "alleggerire il peso per le persone oneste".

Il manifesto di Veltroni. Walter Veltroni, in una lettera a Repubblica aveva lanciato la campagna per un Fisco amico, in dieci punti. "Serve un nuovo patto fiscale", aveva scritto il sindaco di Roma. Ma per il presidente del Consiglio il manifesto veltroniano non sa di novità. Perché la strategia del leader in pectore del Pd è la stessa dell'esecutivo, perché "nove punti su dieci sono specifici del nostro programma". Delle proposte veltroniane di sostegno al governo dice: "Sono un'assicurazione sulla vita". E sul Pd dichiara: "E' condizione perchè io duri 5 anni".

La replica a Berlusconi. Oggi a Telese, alla festa dell'Udeur, Berlusconi aveva lanciato l'ennesima profezia: "Il governo cadrà e si andrà a votare a primavera". Il premier rispedisce al mittente il pronostico, non senza una punta di ironia: "Berlusconi in questo è come un calendario perpetuo, il governo cade sempre sei mesi dopo...". E a proposito del leader di Forza Italia, che aveva giudicato "ottima" l'attuale legge elettorale, commenta: "E' già la quarta volta che cambia idea, domani darà un altro parere...".

(30 agosto 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #43 inserito:: Agosto 31, 2007, 11:14:05 pm »

La morte, la pena, l’arbitrio

Romano Prodi


Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita?

(Dei Delitti e delle Pene. Cesare Beccaria, 1764).



Gli italiani - lo dimostrano queste considerazioni di Cesare Beccaria - hanno compreso prima di altri il valore civile e morale di una battaglia contro la pena capitale. E il nostro Paese ha il merito, fin dal 1994 e grazie a tutti i Governi che si sono da allora succeduti, di aver guidato la lotta contro la pena di morte nel mondo, registrando sulla nostra proposta di moratoria universale il sostegno dell’opinione pubblica, una convergenza straordinaria in Parlamento di forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione e incontrando negli anni il crescente sostegno di Paesi in ogni continente. Con l’abolizione della pena di morte dai codici militari nel 1994, l’Italia infatti non solo cancellava l'ultimo retaggio ancora presente nell'ordinamento interno, ma intraprendeva un percorso che l'ha portata ad essere il Paese che più ha fatto in concreto, nelle sedi internazionali e nei confronti di Paesi mantenitori, per fermare le esecuzioni capitali.

Una Risoluzione per la moratoria fu presentata per la prima volta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite già nel 1994. Anche se battuta (per soli otto voti!), ciò non impedì alla Commissione dell'ONU per i Diritti Umani, tre anni dopo e su iniziativa del Governo da me presieduto, di approvare a maggioranza assoluta una risoluzione che chiede «una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte». Con ciò, per la prima volta, un organismo delle Nazioni Unite stabiliva che la questione della pena di morte attiene alla sfera dei diritti umani e che la sua abolizione costituisce «un rafforzamento della dignità umana e un progresso dei diritti umani fondamentali». Da allora, per nove anni, la Risoluzione è stata ininterrottamente approvata a Ginevra, ed è anche grazie a questo se la situazione della pena di morte è oggi decisamente mutata, con abolizioni e moratorie stabilite ovunque nel mondo che hanno salvato dal patibolo migliaia di persone.

In questi anni l'Italia ha fatto valere la sua posizione contraria alla pena di morte anche nei confronti dei Paesi che ancora la praticano. Il 25 giugno 1996, con una sentenza storica, la Corte Costituzionale del nostro Paese ha posto una riserva assoluta a estradare verso i paesi mantenitori persone che lì rischiano di essere condannate a morte, italiani o stranieri che siano, che risiedano o vivano sul nostro territorio. Un Paese che ha abolito totalmente la pena di morte - ha stabilito la Corte - non può cooperare alla sua applicazione ovunque nel mondo.

È giunto ora il tempo di affrontare il passaggio decisivo per portare a compimento la nostra iniziativa: la moratoria universale delle esecuzioni capitali. L'impegno mio e del Governo affinché questa moratoria venga attuata è forte, sulla base anche della decisa mobilitazione del Parlamento italiano. Su questo tema ho chiesto innanzi tutto uno sforzo dei Paesi europei a riaprire la questione in Assemblea Generale alle Nazioni Unite. Abbiamo in questi mesi ingaggiato una significativa azione a Bruxelles e a livello internazionale e con la nostra proposta di moratoria ci siamo confermati capofila di una grande battaglia di civiltà. Sono per questo particolarmente soddisfatto per la decisione presa il 18 giugno scorso dall'Unione Europea di presentare, nell'ambito di un'alleanza interregionale, la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali all'apertura della prossima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. È stato un grande successo dell'Italia, delle associazioni, di chi su questo non ha mai cessato di battersi, del Parlamento e del Governo. Ritengo doveroso ringraziare il Ministro Massimo D'Alema per aver insistito coi partner europei sull'esigenza di procedere il più presto possibile con un atto concreto per una battaglia di civiltà che ci vede in prima linea.

L'Italia e l'Europa non sono sole. Molti Paesi nelle diverse aree del mondo hanno nel frattempo deciso di sostenere la nostra iniziativa. Nel gennaio scorso, intervenendo al vertice dell'Unione Africana ad Addis Abeba, ho rivolto un appello ai leader africani a lavorare insieme sulla moratoria universale. Ritengo particolarmente straordinario l'impegno dell'Africa: Sud Africa, Mozambico, Angola, Senegal, ma anche Paesi come la Liberia, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, che nella loro storia recente hanno conosciuto le più gravi violazioni al diritto umanitario internazionale, si sono uniti alla nostra campagna globale. Con questo impegno l'Africa dimostra di non voler più essere solo terra di colpi di stato, di esecuzioni sommarie e di esecuzioni capitali; anzi, di essere capace di lanciare al mondo anche segnali di nonviolenza e messaggi di civiltà. Il conferimento al Presidente Paul Kagame del Premio di Nessuno tocchi Caino «L'Abolizionista dell'Anno» coglie lo straordinario valore simbolico, oltre che giuridico e politico, dell'abolizione della pena di morte in Ruanda, una terra dove la catena perpetua della vendetta e l'eterna vicenda di Caino e Abele hanno avuto forse una delle rappresentazioni più tragiche e attuali. L'esempio del Ruanda e di altri Paesi africani dilaniati dalla violenza, spesso fratricida, è espressione di una via da seguire per giungere alla fine della pena capitale nel mondo. Chiedere l'abolizione tout court in situazioni particolari come quelle di Paesi nei quali vige uno stato di emergenza o sono in corso conflitti internazionali o sono appena terminate guerre civili, sarebbe una mera petizione di principio. La moratoria universale decisa dalle Nazioni Unite, invece, può essere una via pragmatica e efficace contro questo flagello.

Conseguire l'obiettivo di una moratoria avrà un significato politico di enorme portata. Una decisione a favore della moratoria in vista dell'abolizione da parte dell'organismo maggiormente rappresentativo della Comunità Internazionale, presa anche solo a maggioranza, avrà l'indiscutibile effetto di consolidare l'opinione mondiale della necessità di mettere al bando le esecuzioni capitali così contribuendo allo sviluppo dell'intero sistema dei diritti umani. Molte e autorevoli voci si sono levate in Italia e nel mondo a sostegno in questa battaglia di civiltà. Di questo vorrei ringraziare i Premi Nobel e le prestigiose personalità internazionali che nei mesi scorsi, rivolgendomi un Appello personale, hanno sostenuto il Governo in questa iniziativa, e tutti gli esponenti del Partito Radicale e di Nessuno tocchi Caino, a partire da Marco Pannella, che su questo obiettivo continuano la loro lotta nonviolenta a testimonianza di uno straordinario impegno politico e civile.

Dall’introduzione al Rapporto 2007 a «La pena di morte nel mondo» a cura dell’associazione «Nessun Tocchi Caino» edito da Reality Book



Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 31.08.07 alle ore 10.05   
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« Risposta #44 inserito:: Settembre 07, 2007, 12:35:28 pm »

6/9/2007 (19:9)

Prodi: "Nuovo slancio alla politica"
 
Il premier: la riforma della legge elettorale deve avvicinare i cittadini


ROMA
«Il sentimento di disaffezione per la politica davvero mi rattrista. Ho cominciato a lavorare al progetto del Pd, e sono passati ormai più di dieci anni, proprio nella speranza di rivedere una reale e sentita partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Nella speranza di respirare un nuovo entusiasmo. Guai a perdere fiducia nella democrazia. Rimbocchiamoci piuttosto le maniche per regalarle un nuovo slancio». Lo afferma il premier Romano Prodi, in un’intervista sul mensile senese Metis.

Sui mutamenti dei rapporti fra eletti ed elettori, Prodi sottolinea che «il sistema maggioritario, quello che abbiamo conosciuto in Italia prima della riforma voluta dal governo Berlusconi, garantiva un rapporto diretto tra eletto ed elettore. È stato sostituito, ahimè, da un sistema che, al contrario, esalta la mediazione delle segreterie dei partiti e favorisce la frammentazione. Credo sia davvero necessario approvare una nuova legge che sappia riavvicinare cittadini e politici, perchè tornino a conoscersi, a guardarsi negli occhi, a scegliersi. Mi auguro che questo possa portare anche ad una maggiore responsabilizzazione di tutti. Le primarie, uno strumento in cui continuo a credere fermamente, sono state pensate proprio per un nuovo avvicinamento, un nuovo punto d’incontro tra eletti ed elettori».

Secondo Prodi, infine «la classe politica ha un ruolo cruciale, essenziale, nella vita democratica, e fare politica ha un costo. Sempre che non la si voglia lasciare nelle mani di chi le risorse le ha già in partenza. Ragioniamo piuttosto sulle possibili riduzioni dei costi della politica, sui possibili tagli. Il disegno di legge approvato prima dell’estate dal mio governo cerca di andare prpprio in questa direzione: ridurrà infatti i costi di circa 1,3 miliardi».

da lastampa.it
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