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Autore Discussione: MALVIKA SIGH. "Acque internazionali? Ma i morti sono indiani"  (Letto 1660 volte)
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« inserito:: Marzo 10, 2012, 04:18:16 pm »

10/3/2012 - QUI INDIA

"Acque internazionali? Ma i morti sono indiani"

MALVIKA SIGH

Mentre il mondo diventa più «piccolo», cresce la carenza di qualsiasi tentativo da parte dei «negoziatori» di comprendere diverse realtà socio-culturali.

Realtà socio-culturali che hanno creato le situazioni di conflitto, portando al fallimento di un sano confronto, perché tutte le parti affrontano le trattative partendo da posizioni preconcette. Spesso non si è disposti a lasciar correre e a concedere qualcosa in cambio di qualcos’altro e questo porta allo scontro. Si agisce come bambini che giocano al tiro alla fune, si diventa inesorabilmente testardi. L’uccisione dei due pescatori indiani da parte di «guardie» sul ponte di una nave italiana è un esempio di questa insostenibile polarizzazione delle posizioni, che ha portato a interventi politici nella speranza di far saltare il doveroso percorso legale.

Le informazioni disponibili sembrano confermare che non c’è stato un attacco alla nave, non ci sono segni di proiettili né della pretesa aggressione. Come sempre accade in casi come questo, la «storia» continua a cambiare e questo rende l’intero episodio piuttosto sordido. Se questa nave fosse vicina alla costa indiana, nelle acque indiane, o in acque internazionali, non fa alcuna differenza rispetto all’atto terribile che è stato commesso. Sparare senza provocazione, in base a una valutazione personale, è inaccettabile in una società civile. Il fatto che un gruppo di uomini di «pelle scura» fosse stato avvistato sulla sua barca, vicino alla grande nave italiana, non dava all’equipaggio italiano la libertà di dedurre che gli uomini «sembravano» pirati somali per via del colore della pelle e che quindi si poteva sparare su di loro per ucciderli. È abbastanza assurdo che qualcuno faccia una cosa del genere senza essere fisicamente provocato o attaccato.

Correttamente l’India ha arrestato il colpevole, come avrebbe fatto qualsiasi nazione occidentale o orientale se la sparatoria avesse avuto luogo nelle sue acque territoriali o al loro limite. Dal momento che i confini marittimi non sono definiti con una linea tangibile, sicuramente il governo interessato dovrebbe credere a quello che dice l’India, soprattutto perché i pescatori morti non avevano sparato, gridato o provocato la grande nave in qualsiasi forma maniera o forma. I pescatori indiani sono stati uccisi. E che siano stati uccisi fuori o dentro le acque territoriali non cambia la sostanza dell’atto.

I tribunali indiani emetteranno il loro giudizio e la legge farà il suo corso proprio come se un incidente del genere fosse avvenuto, a parti invertite, sulla Costiera Amalfitana! Non dimentichiamolo, uomini innocenti sono stati uccisi e le loro famiglie distrutte. Nel mondo attuale, dove la «supremazia» coloniale è cosa del passato e i fondamenti della democrazia, libertà e fraternità, regolano le nostre vite, dobbiamo fissare standard corretti per rispettare tali principi, indipendentemente da chi sia la vittima dell’«assalto»: ricco o povero, del terzo o del primo mondo, di qualunque razza o credo.

Questo «incidente» in alto mare è diventato un contenzioso politico e diplomatico tra due nazioni. E via via che i negoziati si dissolvono in «nostri» e «vostri», senza riuscire a definire ragioni né torti o raggiungere un adeguato compromesso, la situazione si polarizza sempre di più, rendendo impossibile qualsiasi soluzione semplice e sensata. Si tratta del fallimento di due gruppi di negoziatori che fanno valere i propri primati culturali sulla pelle da un lato di famiglie che senza alcuna ragione hanno perso i capifamiglia e dall’altro di due italiani che devono dimostrare che non sono colpevoli, ma che si è trattato di un grossolano errore di giudizio basato su una valutazione approssimativa di «pirata somalo», qualcosa di molto simile al mito diffuso che vuole tutti i musulmani terroristi, ipotesi ridicola che ha danneggiato irreparabilmente il mondo! In un tribunale indiano, il caso deve essere rapidamente valutato e chiuso con un verdetto.

È importante per Paesi come i nostri il rispetto reciproco e delle rispettive istituzioni. Abbiamo bisogno di cambiare il corso di un mondo ferito dalla sfiducia e dal disprezzo per le differenze culturali, che hanno portato a posizioni rigide, inflessibili, polarizzate, che hanno distrutto la pace e l’armonia tra persone che hanno molto in comune. Due grandi e straordinarie civiltà, l’Italia e l’India, hanno bisogno di mostrare al mondo che possono fidarsi l’una dell’altra con negoziati in cui prevalgano il dare e il prendere piuttosto che tentare di riscuotere facili consensi nei rispettivi Paesi con una semplicistica retorica nazionalista. Sicuramente questo tipo di «diplomazia» serve solo a distruggere e a cancellare intelligenti partnership internazionali che sono essenziali per la crescita, lo sviluppo e la pace in questa difficile congiuntura economica e socio-politica.

Traduzione di Carla Reschia

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9865
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