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Autore Discussione: Davide Matteucci. La violenta ascesa dei Boko Haram in Nigeria  (Letto 2259 volte)
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« inserito:: Marzo 11, 2012, 03:57:24 pm »

La violenta ascesa dei Boko Haram in Nigeria

di Davide Matteucci

La setta islamica è responsabile dei recenti attentati contro i cristiani nel Nord del paese. Nella lotta per il potere la spaccatura religiosa si somma a quella etnico-regionale. Il governo non sembra in grado di fermare la violenza.


In Nigeria le violenze contro la comunità cristiana presente nelle regioni settentrionali, a maggioranza musulmana, si susseguono ormai con una cadenza quasi giornaliera. Dopo gli attentati di Natale, nei quali hanno perso la vita circa quaranta persone, i morti continuano ad aumentare: negli ultimi giorni del 2011 il numero delle vittime era più che raddoppiato, mentre tra mercoledì e sabato della scorsa settimana, nel nord-est del paese, l’esplosione di tre ordigni nella città di Maiduguri - capitale dello Stato di Borno - e almeno altrettanti attacchi contro alcune chiese e un rito funebre hanno ucciso trenta persone.

 

Gli attentati sono stati rivendicati dal gruppo integralista islamico dei Boko Haram, dopo che lo stesso movimento, con comunicato apparso il 2 gennaio su un quotidiano locale, aveva intimato a tutti i cristiani residenti al Nord di trasferirsi altrove.

 

Fondata nel 2002 dall’imam Mohammed Yusuf e ispirata ai talebani afgani, la setta (il cui nome in lingua hausa significa “l’educazione occidentale è peccato”) è rimasta nell’ombra fino al 2009, quando la violenta repressione dell’Esercito ha dato il via a una serie di attacchi diretti principalmente contro obiettivi governativi e in particolare nei confronti della polizia locale; l’arresto di Yusuf, morto in cella, sembra poi aver lasciato spazio a una leadership collegiale, i cui reali componenti non sono ancora stati identificati, oltre ad aver prodotto una divisione del movimento; è emersa una componente più estremista, responsabile del sempre più sistematico ricorso alla violenza.

 

L’attività dei Boko Haram si è intensificata nel corso dell’ultimo anno, in particolare dall’aprile del 2011, quando alla presidenza del più popoloso paese africano è stato eletto il cristiano Goodluck Jonathan. Inoltre, se fino a pochi mesi fa il gruppo agiva ricorrendo a tattiche rudimentali e all’uso di sole armi leggere, limitando il suo raggio d’azione alle regioni nordorientali, nell’ultimo semestre le sue capacità operative hanno compiuto un evidente salto di qualità. Gli attentati del 16 giugno e del 26 agosto nella capitale Abuja, rispettivamente contro il quartier generale della polizia e la sede delle Nazioni Unite, con autobomba e attacchi suicidi, hanno dimostrato che la setta è ora capace di colpire nel cuore della Federazione nigeriana con modalità tipiche del terrorismo islamico.

 

Sebbene questa evoluzione sia considerata la prova dell’esistenza di legami con organizzazioni quali al Qaida nel Maghreb islamico e gli al Shabaab somali, e sebbene l’attacco all’Onu abbia fatto temere l’internazionalizzazione dei suoi obiettivi, l’accresciuta attività dei Boko Haram va inserita nel contesto dei fragili equilibri politici e sociali della Nigeria.

 

La contestata elezione di Jonathan ha rappresentato una svolta nella storia del paese, poiché ha di fatto capovolto gli storici equilibri che fino ad allora avevano visto le élite settentrionali bilanciare efficacemente la maggiore ricchezza e dinamicità delle regioni meridionali. Nel 2010 la morte di Umaru Yar’Adua, musulmano del Nord eletto presidente tre anni prima, aveva lasciato la Nigeria in un vuoto di potere, per lungo tempo alimentato dall’incertezza sulla legittimità della candidatura di Jonathan a prenderne il posto, a causa della sua provenienza da un gruppo etnico del Sud. Un accordo interno al partito di governo prevedeva infatti che la massima carica dello Stato sarebbe spettata a un esponente del Nord fino al 2015, quando Yar’Adua avrebbe dovuto completare il suo secondo mandato: d'altronde dal 1999 al 2007, la poltrona presidenziale era stata occupata da Olesegun Obasanjo, originario della zona sudoccidentale.


Jonathan appartiene invece agli Ijaw, un'etnia cristiana minoritaria a livello nazionale, ma che rappresenta la maggioranza della popolazione nel Delta del Niger; gli Ijaw sono anche il gruppo etnico nel quale ha avuto origine il Movement for the emancipation of the Niger Delta (Mend), la formazione ribelle che per anni ha messo a ferro e fuoco la regione petrolifera nigeriana.

 

La contrapposizione tra Nord e Sud è chiaramente emersa dalla distribuzione dei voti espressi alle elezioni di aprile: dei 36 Stati che compongono la Federazione, l’attuale presidente non ne ha conquistato nemmeno uno tra quelli collocati a nord di Abuja, dove la maggioranza degli elettori ha votato per Muhammadu Buhari, suo principale sfidante e originario di quelle terre. Jonathan si è aggiudicato la vittoria finale solo grazie alle percentuali bulgare raggiunte nel Sud del paese.


La sua elezione è stata percepita come una rivincita dagli abitanti del Delta, che fino ad allora non avevano mai espresso un presidente, e ha coinciso, al di là di alcuni episodi rimasti isolati, con l’assopimento delle attività del Mend. Le élite settentrionali hanno invece visto ridimensionato il loro peso politico, mentre tra la popolazione la sconfitta di Buhari ha generato un forte malcontento, sfociato nei giorni immediatamente successivi alle elezioni in pesanti manifestazioni di protesta durante le quali hanno perso la vita centinaia di persone.


In questo contesto, il fattore religioso che vede la Nigeria divisa tra il Nord musulmano ed il Sud cristiano si sovrappone alla competizione per il potere e per la spartizione delle risorse su base etnico-regionale, senza rappresentare quindi la principale ragione della costante insicurezza che affligge il paese. Per quanto i Boko Haram siano fondamentalisti islamici e abbiano come obiettivo dichiarato quello di istituire un nuovo califfato, estendendo la sharia a tutto il territorio nazionale (la legge coranica è già in vigore in 12 Stati della Federazione), le ragioni dell’accresciuta attività del movimento vanno rintracciate nei rapporti che i suoi componenti avrebbero stretto con politici locali e membri delle forze di sicurezza appartenenti alle etnie del Nord, interessati alla radicalizzazione della violenza al fine di rendere lo Stato ingovernabile.


È poi evidente che i Boko Haram abbiano trovato terreno fertile nel diffuso sentimento di alienazione nei confronti del governo centrale e nella povertà estrema in cui versa la gran parte dei nigeriani, con maggiore incidenza proprio nei territori settentrionali, dove i molti giovani disoccupati costituiscono un ampio serbatoio nel quale reclutare nuovi adepti. La crescente frequenza con cui i Boko Haram hanno colpito a partire dall’elezione di Jonathan è dunque il sintomo piuttosto che la causa dell’instabilità.


Tuttavia, il governo non ha manifestato la volontà di affrontare i problemi del Nord con politiche in grado di migliorarne le condizioni di vita, né sembra avere le capacità per implementare un reale processo di dialogo con le élite settentrionali. Di fronte all’escalation dell’attività dei Boko Haram, Jonathan ha reagito facendo ricorso ai medesimi strumenti repressivi con i quali le precedenti amministrazioni avevano inutilmente tentato di domare le rivendicazioni del Mend. Lo stesso corpo speciale dell’Esercito (Joint task force), famoso per la spregiudicatezza delle sue azioni e utilizzato da Obasanjo e Yar’Adua contro i ribelli del Delta del Niger, è stato ora inviato negli Stati nordorientali roccaforti della setta. Come prevedibile, i soldati nigeriani si sono macchiati di numerose uccisioni tra i civili, contribuendo a esasperare la frustrazione popolare e a rafforzare la propaganda degli estremisti.


La strategia dell’uso della forza è stata confermata da Jonathan, che il 31 dicembre ha dichiarato lo stato di emergenza in quattro Stati (Borno,Yobe, Niger e Plateau), avviandone un’ulteriore militarizzazione, che prevede anche la chiusura dei confini con il Niger, il Ciad e il Camerun, paesi dai quali si sospetta i Boko Haram ricevano assistenza. Ciò dopo aver annunciato che ben un quinto del budget previsto per il 2012 sarà destinato alle spese militari per la sicurezza interna. Un enorme impegno di risorse, che stride con l’impopolare decisione, entrata in vigore dal primo gennaio, di abolire il sussidio con il quale il governo manteneva basso il prezzo dei carburanti - più che raddoppiato nel giro di poche ore. Un provvedimento giustificato con esigenze di bilancio e con la promessa di realizzare numerosi progetti per lo sviluppo, ma che di fatto cancella forse l’unica reale misura di redistribuzione delle enormi entrate petrolifere in un paese in cui la quasi totalità della ricchezza è concentrata nelle mani dell’1% della popolazione.


La decisione del governo ha aggiunto così un ulteriore motivo di tensione sociale in uno scenario già lacerato dalle continue violenze, provocando un’ondata di proteste e la dura presa di posizione dei sindacati, che hanno convocato uno sciopero generale a partire da lunedì 9 gennaio.


Non sembra esserci spazio per l’ottimismo: mentre Jonathan anche ieri ha difeso l’abolizione del sussidio, le associazioni cristiane hanno chiesto al governo maggiore durezza nei confronti degli estremisti islamici, definendo quanto sta accadendo un vero e proprio tentativo di pulizia etnico-religiosa ed esortando i fedeli a difendersi autonomamente contro le aggressioni; nel frattempo, Dokubo Asari, controversa figura legata al Mend, ha ipotizzato rappresaglie nei confronti dei musulmani - il 27 dicembre nel Delta del Niger è peraltro scoppiata una bomba in una scuola coranica, ferendo sei bambini; infine i Boko Haram hanno minacciato di realizzare un nuovo attacco che avrebbe come obiettivo addirittura Lagos, la capitale economica della Nigeria, affacciata sull’Atlantico.


Tutto ciò fa temere che la violenza dilaghi e che i rapporti regionali nel paese perno dell’Africa Occidentale si inaspriscano ulteriormente.

(9/01/2012)

da - http://temi.repubblica.it/limes/la-violenta-ascesa-dei-boko-haram-in-nigeria/31151
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