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Autore Discussione: VALENTINA CONTE.  (Letto 8315 volte)
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« inserito:: Dicembre 10, 2011, 10:26:18 am »

DOSSIER

Anziani, soldi cash solo sotto i 500 euro due milioni costretti alla carta di credito

Ministero dell'Economia e Abi definiranno le condizioni di un conto corrente "di base" e a basso costo.

Protestano le associazioni dei consumatori: "Una violenza sulla parte più debole della popolazione"  

di VALENTINA CONTE


ROMA - "Da oggi le pensioni sopra i 500 euro non si pagano più in contanti". Il messaggio allo sportello potrebbe essere più o meno questo. Rivolto a due milioni e duecentomila pensionati italiani che non hanno né conto corrente né carte elettroniche. E che in fretta dovrebbero provvedere, se vogliono assicurarsi pensione e tredicesima.

Sì, perché il decreto legge 201 - il "salva-Italia" - è entrato in vigore già il 6 dicembre, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. E all'articolo 12, quello che limita l'uso del contante all'ormai famosa soglia dei mille euro, prevede una pillola avvelenata per chi riceve stipendi, pensioni o compensi dalla Pubblica amministrazione. Superata la soglia di 500 euro, addio banconote.

"Una vergogna e una violenza sui poveri pensionati costretti dallo Stato ad aprire un conto corrente", tuona Elio Lannutti, senatore Idv e presidente di Adusbef. Pensionati come evasori?

MA NIENTE PANICO
In realtà c'è tempo. Lo farebbe intendere lo stesso articolo del decreto. Entro tre mesi il ministero dell'Economia e l'Associazione bancaria italiana definiranno con una convenzione le caratteristiche di un conto corrente di base da offrire ai pensionati "vecchio stile" - quelli che fanno la fila ogni mese alla Posta o in banca e poi infilano guardinghi i pochi euro ricevuti in borsa - ad un costo accettabile: struttura semplice e trasparente e carta di debito. E zero spese per "le fasce socialmente svantaggiate".

Così come entro tre mesi l'Abi dovrebbe definire le regole per "una equilibrata riduzione" delle commissioni sulle carte. Sempre il decreto riferisce che il limite di 500 euro non è blindato, ma "può essere modificato con decreto del ministero dell'Economia". Una via di fuga?

LA POLEMICA INFURIA
 Il livello della protesta è già alto. Imporre bancomat, carte prepagate, pin, token - e tutto l'armamentario bancario fatto di scartoffie infinite da firmare, con postille scritte a corpo otto - a 2,2 milioni di anziani pensionati Inps "analfabeti" bancari (su 16,9 milioni totali) non significa solo "incrementarne i livelli di sicurezza fisica", come sembra darsi premura il decreto. Ma cambiare un mondo. Fatto di abitudini, relazioni, tradizioni. E poca dimestichezza con la tecnologia.

ITALIANI PIGRI CON LE CARTE
E' anche vero che nel 2010 ciascun italiano ha usato strumenti alternativi al contante solo 66 volte, rispetto alle 176 rilevate in media nei Paesi dell'Eurozona. Con un divario - spiega Bankitalia - molto forte tra Nord e Sud (84 operazioni contro 39), anche per una diffusione inferiore al 40 per cento di sportelli, Atm, Pos, carte di pagamento, collegamenti telematici per l'e-banking. Un utilizzo modesto. Lo stesso governatore Ignazio Visco, ieri in audizione alla Camera, ha auspicato "un'ulteriore riduzione" della soglia per il contante, da affiancare a "un taglio dei costi" per la moneta elettronica.

Privilegiare gli scambi telematici, poi, aiuta a monitorare e scoraggiare riciclaggio ed evasione. Ma che a questo contribuisca anche l'azzeramento dell'imposta di bollo da 34,20 euro, promesso dal decreto Monti, a chi ha una pensione minima o un assegno sociale, purché apra un conto corrente, è più dubbio.
 

(10 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2011/12/10/news/pensioni_conti_correnti-26368984/?ref=HREA-1
« Ultima modifica: Giugno 20, 2013, 04:43:50 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 15, 2011, 06:21:47 pm »

IL CASO

Pensioni d'oro, seconde case, titoli così pagano i redditi più alti

Non ufficiale e dispersa nei vari capitoli del decreto rispunta la tassazione sulla ricchezza.

Un'unica tassa sui patrimoni sarebbe stata difficile da introdurre subito e per questo il governo ha deciso di intervenire con più provvedimenti

Pensioni d'oro, seconde case, titoli così pagano i redditi più alti

di VALENTINA CONTE

Se proprio non piangono, certo non ridono. Anche i "ricchi" pagheranno "lo sforzo dell'emergenza", precisa il premier Monti, illustrando la manovra in commissione Bilancio alla Camera. Lusso, capitali scudati, pensioni d'oro, super-liquidazioni, seconde case e attività finanziarie (in Italia e all'estero): su questi capitoli si abbatterrà un prelievo. Piccolo o medio, una tantum o strutturale. Comunque sia, "un intervento sul patrimonio - dice Monti - equo e razionale". Così, avversata da destra, evocata da sinistra, alla fine la patrimoniale nella manovra Salva-Italia - benché non "ufficiale" e dispersa nei vari capitoli del decreto - c'è. Contribuirà a salvare l'80% delle pensioni, le più basse, dal mancato adeguamento all'inflazione. E a introdurre il quoziente familiare nell'Ici-Imu. Quanto richiesto anche dai sindacati.

Ne va fiero il presidente Monti. Che ha sfidato critiche agguerrite sulla scarsa equità del provvedimento. "Riteniamo di aver introdotto, senza drammi, l'imposta patrimoniale fattibile per il nostro Paese in questo momento", rivendica Monti. Il presidente del Consiglio spiega di aver "chiesto ai tecnici" se una patrimoniale secca sulle grandi ricchezze fosse praticabile da subito. "Mi hanno risposto che servivano due anni di lavoro". Inutile farla ora, in fretta e male: "Avremmo abbaiato e non morso". In più, il rischio di fuga di capitali. Invece ora "non pagheranno i soliti noti, abbiamo cercato i "nuovi noti"".

I "nuovi noti", in attesa di un intervento organico, sono dunque individuati. Chi ha barche, auto molto potenti, aerei personali o elicotteri, immobili anche all'estero, cospicue ricchezze finanziarie in Italia e fuori. E chi riceve pensioni e liquidazioni notevoli. La tassa sul lusso, innanzitutto. Un emendamento dell'ultima ora riesce in realtà a mitigarla (con sconti che scattano dopo 5, 10 e 15 anni dalla data di costruzione dell'auto e della barca, dopo 20 anni non è più dovuta). Ma rimane. Per le auto sopra i 185 chilowatt, c'è l'addizionale erariale: 20 euro per ogni chilowatt in più dal 2012. Per le barche, arriva la tassa di stazionamento (dal primo maggio 2012): da 5 a 703 euro al giorno, a seconda della lunghezza degli scafi. Per gli aeromobili privati, in base al peso massimo al decollo: da 1,50 a 7,55 euro al chilo (il doppio per gli elicotteri).

Il capitolo immobili è severo e pesa per 10 miliardi (ma solo 2,4 dalla prima casa). Rendite catastali rivalutate del 60 per cento, aliquota del 4 per mille sulle prime abitazioni e del 7,6 per mille su seconde e terze. Stesso prelievo (7,6 per mille) anche per gli immobili all'estero, ma calcolato sul valore d'acquisto o di mercato. I capitali scudati alla fine verseranno il 10 per mille nel 2012 e il 13,5 per mille nel 2013. Ma, altra novità, il 4 per mille ordinario, strutturale, dal 2014 in poi: il bollo per l'anonimato, è stato soprannominato.

L'imposta di bollo sul deposito titoli, introdotta da Tremonti qualche mese fa, viene estesa a tutte le tipologie di attività finanziarie: non più fissa per scaglioni (da 34,2 a 680 euro), ma proporzionale sul valore (1 per mille nel 2012 e 1,5 per mille dal 2013). Non solo. Dal 2013 salterà il tetto fissato in 1.200 euro. L'imposta dunque colpirà anche i capitali oltre 1,2 milioni di euro. In modo proporzionale: più hai, più paghi. Bollo anche sulle attività finanziarie all'estero: 1 per mille per il 2011 (retroattivo) e il 2012, sale all'1,5 per mille dal 2013. Le pensioni d'oro verseranno ancora: 15% sulla parte che eccede i 200 mila euro (si aggiunge al contributo di solidarietà in vigore: 5% oltre i 90 mila euro, 10% oltre i 150 mila). Le liquidazioni sopra il milione di euro, infine, formeranno il reddito tassato ai fini Irpef con l'aliquota massima del 43%.

"Con le ultime modifiche la manovra è diventata più equa - ammette il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - ma il peso delle nuove tasse è eccessivo e aumenterà in modo drammatico per gli italiani. Mentre i tagli alla spesa risulteranno insufficienti".

(15 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2011/12/15/news/patrimoniale_dispersa-26633387/
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 01, 2012, 06:20:32 pm »

IL DOSSIER

Quindici milioni dichiarano zero scatteranno i controlli sui conti


Si prepara il provvedimento che consentirà il travaso periodico delle informazioni dalle banche all'Agenzia delle entrate.

Passera: "Il nostro impegno contro l'evasione sarà senza pace, sono soldi rubati".

Il Fisco può adesso incrociare le dichiarazioni Isee per accedere ai servizi agevolati con i dati bancari

di VALENTINA CONTE

ROMA - Un italiano su quattro dichiara zero attività finanziarie. Zero titoli di Stato. Zero obbligazioni. Zero libretti di risparmio. Ma anche zero depositi bancari. Uno zero tondo. Possibile? Possibile che quasi 15 milioni di persone, oltre cinque milioni di famiglie, non abbiano neanche un conto corrente? Secondo la Banca d'Italia, no. Non è possibile. Visto che il 90 per cento delle famiglie italiane ne possiede almeno uno. E vi custodisce quasi 500 miliardi di euro.

Eppure l'80 per cento di quanti usufruiscono di sconti e aiuti su asili nido e università per i figli, assistenza a domicilio per gli anziani o tessere dell'autobus e bollette di luce e gas a prezzi ridotti, non ha nulla, ma proprio nulla da parte, nemmeno pochi spiccioli in banca o alle poste. Anche se è un professionista o un lavoratore dipendente. Un 80 per cento, 15 milioni di italiani, che nel 2010 ha presentato e firmato presso i Caf sparsi sul territorio nazionale la dichiarazione Isee, l'Indicatore della situazione economica equivalente, indispensabile per ottenere quelle agevolazioni. Bisognosi veri o scaltri evasori?

E' proprio da qui, da questa domanda, che parte la prossima offensiva del governo Monti: stanare i disonesti ed estirpare il cancro dell'evasione che sottrae ogni anno allo Stato e alla comunità 120 miliardi di euro. "Il nostro impegno contro l'evasione sarà senza pace", ha confermato ieri il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. "Si tratta di soldi veramente rubati, da recuperare per investire sulla crescita".

E anche l'Agenzia delle entrate è pronta a scendere in campo. "Prontissima, già nei primi mesi dell'anno nuovo", rivela il direttore Attilio Befera che nelle prossime settimane, assieme al Garante per la Privacy, stenderà il provvedimento necessario a innescare il travaso periodico dei dati dei conti correnti degli italiani dalle banche all'anagrafe tributaria.

Isee potenziato. L'Isee è uno strumento perfetto, da questo punto di vista. L'unico canale esistente in Italia in grado di fotografare allo stesso tempo reddito e patrimonio (mobiliare e immobiliare) del contribuente singolo o della sua famiglia. Una vera autostrada a due corsie. Che infatti il governo ha deciso di percorrere e potenziare. Entro il 31 maggio del 2012 - si legge all'articolo 5 della manovra Salva-Italia appena votata dalla Camera - cambieranno modalità di calcolo e campi di applicazione dell'indicatore, proprio per migliorarne "la capacità selettiva".

Includendo anche le somme esenti da imposizione fiscale (pensioni di invalidità, assegni sociali), valorizzando il patrimonio collocato "sia in Italia che all'estero", modificando le soglie oltre cui dall'1 gennaio 2013 alcune provvidenze non saranno più riconosciute, rafforzando il sistema di controllo con la costituzione di una "banca dati delle prestazioni sociali agevolate" presso l'Inps. Un bacino di raccolta delle informazioni su chi beneficia di cosa, inviate dagli "enti erogatori" (Comuni, Regioni). I risparmi ottenuti smascherando i finti bisognosi, dice il decreto, saranno riassegnati al ministero del Lavoro "per l'attuazione di politiche sociali e assistenziali".

Come funziona. L'Isee esiste dal 1998. Ed è ben noto agli italiani. Nel 2010 il 30,7 per cento dei cittadini, 18,5 milioni di persone (di cui quasi 11 al Sud) hanno autorizzato i Caf a fare i calcoli (ma si può andare anche presso i Comuni e le sedi Inps). L'Isee è un numero. E si ottiene sommando il reddito di tutti i componenti della famiglia (incluse le attività finanziarie) al 20 per cento del patrimonio immobiliare (la prima casa è esclusa fino a 51.646 di valore Ici). Quanto ottenuto si divide per un parametro numerico che cresce al crescere dei componenti e in presenza di figli minori, disabili, monogenitori.

Il risultato è il passepartout per le agevolazioni. "La non congruenza tra bassi redditi ed elevati patrimoni non di rado riflette fenomeni di evasione", scrivono Corrado Pollastri, esperto di fisco e ricercatore dell'Ifel, e Salvatore Tutino, fondatore del Cer (Centro Europa ricerche), in uno studio recente. E questo spiegherebbe il primo posto in Europa assegnato all'Italia, nella graduatoria della Banca d'Italia di qualche giorno fa, in base al rapporto tra ricchezza netta degli italiani e reddito lordo disponibile (8,3 nel 2009).

Italiani molto più ricchi di quanto ammettono. Soprattutto al Fisco. Sempre Bankitalia calcola in 3.600 miliardi il totale delle attività finanziarie possedute dagli italiani nel 2010. Quasi il doppio del debito pubblico. Solo nei depositi bancari ci sono 657 miliardi.

Gli strumenti contro l'evasione. "L'impianto Isee - scrivono ancora Pollastri e Tutino - è reso fragile dall'incapacità di escludere i falsi poveri dall'accesso ai benefici del welfare. E tale limite è in larga parte imputabile alla difficoltà di intercettare il patrimonio mobiliare". Ma con i nuovi strumenti tutto cambia. Già la manovra d'agosto di Tremonti faceva un bel salto in avanti, consentendo all'Agenzia delle entrate di muoversi a prescindere dalle segnalazioni della Guardia di Finanza e chiedere agli istituti di credito "liste selettive" di contribuenti sospetti per incrociare i dati (liste ancora possibili).

La manovra Monti fa di più. "Allarga lo spettro del nostro intervento, lo completa", ammette il direttore dell'Agenzia, Befera. Dal primo gennaio del 2012 (articolo 11 del decreto Salva-Italia) le banche saranno obbligate a "comunicare periodicamente all'anagrafe tributaria" le movimentazioni sui conti, ma anche gli stock (i saldi) e lo storico, se richiesto (le annualità precedenti). Finisce così il segreto bancario. Ma riparte alla grande (o dovrebbe ripartire) la lotta all'evasione. Senza più alibi, né ostacoli. Nei prossimi giorni, l'Agenzia stabilirà i "criteri obiettivi", li definisce Befera, "per la selezione dei soggetti da controllare che presentano anomalie".

Potenziali evasori. Tra questi anche i presunti "furbetti", mimetizzati nei 15 milioni dell'Isee con zero attività finanziarie? Sul punto, Befera non si pronuncia: "Occorrerebbe un'autorizzazione di legge per iniziare da lì". Che potrebbe arrivare. Perché se è vero che tanti onesti cittadini usufruiscono legittimamente, anche gratis, di mense scolastiche, scuolabus, borse di studio, assegni di maternità, tanti altri mentono sapendo di mentire sulla loro situazione patrimoniale. E rendono i sacrifici di questo tempo di crisi insopportabili per tutti.

(19 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2011/12/19/news/fisco_caccia_evasori-26847517/
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 13, 2012, 05:10:22 pm »

DOSSIER

Liberalizzazioni, ogni famiglia risparmierà novecento euro all'anno

Il decreto sulla concorrenza verrà varato entro la prossima settimana.

Soddisfazione delle associazioni dei consumatori. Secondo l'antitrust si guadagna un punto e mezzo di Pil

di VALENTINA CONTE


"FINALMENTE il governo ha ascoltato i consumatori". Esultano tutte le associazioni - da Adusbef a Federconsumatori, da Altroconsumo ad Adoc, dal Codacons al Movimento di difesa del cittadino - dopo la diffusione della bozza di decreto sulla concorrenza. L'arma segreta del governo Monti per rilanciare la crescita nella "fase due" dovrebbe vedere la luce entro il 20 gennaio e per ora raccoglie il plauso dei consumatori. "Le liberalizzazioni proposte, seppur non ancora confermate - dicono le associazioni - si allineano a quanto da noi richiesto". Motivo di tanto entusiasmo è il risparmio atteso dagli interventi a 360 gradi su benzina, farmacie, professioni, taxi, ferrovie, autostrade, servizi pubblici, treni, negozi. L'intera operazione di "deregulation" riporterebbe nelle tasche di ogni famiglia italiana almeno 900 euro l'anno grazie all'apertura dei diversi mercati e al conseguente abbassamento di prezzi e tariffe. Una ricaduta totale pari a 21,6 miliardi, un punto e mezzo di Pil, come confermato dall'Antitrust. Un dato tuttavia sottostimato, dicono gli esperti. I risparmi potrebbero essere più generosi anche per i benefici in termini di qualità dei servizi offerti.

I consumatori. La vera, inaspettata, novità del decreto liberalizzazioni è l'articolo 6 della bozza sulla class action. La normativa viene potenziata con l'eliminazione di alcuni meccanismi insidiosi che spesso bloccano le cause collettive. Non sarà più necessario che tutti i ricorrenti abbiano una posizione "identica" (ad esempio uno stesso importo del danno da risarcire). Basterà la più logica "omogeneità". Solo un'apparente formalità, usata tuttavia dalle aziende come arma di difesa per ritardare i contenziosi. Viene anche reintrodotta una misura presente nella legge Prodi, poi annacquata dal successivo governo Berlusconi: la possibilità di aderire all'azione collettiva fino al giudizio di appello (oggi fino a 120 giorni da quando il giudice ammette la causa). Innovativo anche l'articolo 5: a decidere se una clausola di un contratto è vessatoria o meno non sarà più solo il giudice su ricorso del consumatore o dell'associazione, ma l'Authority.

I carburanti. La misura più attesa dai consumatori era senz'altro quella sulla benzina, visto i continui rincari alla pompa che falcidiano i bilanci familiari. La possibilità per i benzinai (sia proprietari che non, ma in misura diversa) di acquistare benzina, gasolio o gpl in modo libero e dunque da grossisti e rivenditori diversi dal marchio dell'impianto, apre squarci di possibili ribassi. Così come la possibilità dei proprietari di trasformare l'impianto in self service. E quella di vendere giornali, tabacchi, caramelle e altri beni. Altroconsumo calcola in 3 miliardi il risparmio totale annuo (tra benzina e gasolio) che si traduce in 144 euro di minori aggravi per ogni famiglia. Adoc, Codacons, Unione nazionale consumatori e Movimento difesa del cittadino alzano il "bonus" a 200 euro. Almeno 18-19 centesimi in meno al litro, 216 euro annui, per Federconsumatori-Adusbef, grazie alla trasformazione dei distributori in "plurimarchio".

Le farmacie. L'abbassamento del "quorum" consentirà una maggiore capillarità di farmacie sul territorio: una ogni 3 mila abitanti, dice la bozza di decreto. Contro i 4 mila attuali per i Comuni sopra i 12.500 abitanti e 5 mila per quelli al di sotto. Questo comporterà l'obbligo per le Regioni di mettere a bando, entro l'1 marzo 2013, 3.891 nuove sedi, di cui 882 nelle città più grandi (con più di 70 mila abitanti). Se almeno l'80 per cento di queste nuove aperture non saranno assegnate, perché la Regione non organizza i concorsi o li fa per una percentuale inferiore, allora la vendita dei farmaci di fascia C (quelli con obbligo di ricetta medica, ma a totale carico del cittadino) sarà liberalizzata e dunque possibile anche nelle parafarmacie e nei corner degli ipermercati, sempre alla presenza di un farmacista. Roma dovrà assegnare 198 sedi in più, Palermo 49, Verona 20, Milano 11, Napoli 10, Firenze 5. Ma Bologna e Genova un tondo zero.

Il commercio. Saldi liberi tutto l'anno, senza limiti di tempo, durata né ampiezza degli sconti praticati. E senza chiedere preventive autorizzazioni al Comune. La misura piace moltissimo ai consumatori e riguarda 750 mila piccoli negozi, 10 mila supermercati, 600 ipermercati. Secondo il Codacons, le mancate liberalizzazioni nel settore del commercio costano ai consumatori 8 miliardi di euro l'anno: 5,5 miliardi nel commercio al dettaglio alimentare, il restante 2,5 in quello non alimentare. La deregulation dei saldi consentirebbe al commerciante di scegliere quando, come, per quanto tempo offrire il proprio magazzino prodotti a sconto. I clienti avrebbero, così, un ventaglio di scelta più ampio e probabilmente più a buon mercato. La spesa delle famiglie per i saldi stagionali, come li conosciamo, si è dimezzata dal 2007 ad oggi. Un 50 per cento in meno dovuto certo alla crisi e che i venti di recessione sembrano confermare.

I professionisti. L'abolizione delle tariffe professionali (quelle minime erano state tolte da Bersani nel 2006, ma era rimasto il riferimento), accompagnata dall'obbligo per il professionista di produrre un preventivo, prima di ricevere il mandato, nel quale indicare sia la tariffa offerta secondo un "criterio di equità", sia l'esistenza di un'assicurazione per eventuali danni provocati al cliente, dovrebbero portare ulteriori vantaggi per il consumatore. Secondo Altroconsumo, il risparmio generale sulle tariffe applicate dai professionisti sarebbe del 30 per cento. Nel caso dei notai, se allineassero la parcella di un rogito per l'acquisto di un appartamento, ad esempio, alle tariffe più basse del mercato, si avrebbe un risparmio di 579 euro su una parcella di 2 mila euro. Una causa di separazione da 1.500 euro, invece, scenderebbe a mille. Secondo Codacons e Adoc il risparmio medio a famiglia sarebbe di 200 euro.

(13 gennaio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/01/13/news/conti_liberalizzazioni-28018086/?ref=HREA-1
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 25, 2012, 11:45:45 am »

Il dossier

Precari, quasi un milione esclusi dall'assegno di disoccupazione

La mini-Aspi si applicherà solo ai lavoratori subordinati, non agli "indipendenti" come i cocopro.

Nel documento approvato dal governo c'è soltanto l'impegno a rafforzare le una tantum previste oggi dalla legge

di VALENTINA CONTE


UN MILIONE di precari senza rete. La nuova riforma del mercato del lavoro, targata Monti-Fornero, rischia di lasciare a piedi ancora una volta i molti già esclusi dalle tutele, gli intermittenti, gli ex milleuristi, le vittime di un mercato "segmentato" tra protetti e non protetti. Proprio coloro che, nelle intenzioni, questa riforma doveva accompagnare nel tunnel della flessibilità "buona" verso la luce della stabilità. E invece abbandona nel "deserto" evocato dal ministro Fornero come il nemico da sconfiggere.

FUORI DA ASPI E MINI-ASPI
Uno su due è sotto i 40 anni e guadagna meno di 10 mila euro lordi l'anno. Quando il lavoro finisce, nessun sostegno. Né Aspi, né mini-Aspi. Zero. Come prima e peggio di prima. L'Assicurazione sociale per l'impiego - l'assegno unico di disoccupazione che dal 2017 sostituirà mobilità e indennità - copre i soli lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, e in più apprendisti e artisti (oggi esclusi da ogni sostegno), che hanno un contratto a termine (determinato, formazione lavoro, part-time, ecc). I requisiti sono stringenti: due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane lavorate nel biennio. La mini-Aspi è invece la versione aggiornata dell'attuale assegno "con requisiti ridotti", riservato ancora una volta ai soli lavoratori subordinati che hanno lavorato poco, almeno 78 giorni in un anno, ora diventato "almeno 13 settimane
di contribuzione negli ultimi 12 mesi" con durata massima "pari alla metà delle settimane" lavorate nell'anno, dunque al massimo sei mesi, come ora.  A conti fatti, però la mini-Aspi è più generosa del trattamento attuale, per una retribuzione media di 9.855 euro l'anno (quella di un precario): chi ha lavorato 3 mesi prenderà 926 euro in tutto (contro i 731 di oggi), ma chi ha lavorato un anno raddoppierà l'assegno (3.700 euro contro 1.800). Il calcolo è lo stesso previsto per l'Aspi: il 75% della retribuzione (fino a 1.150 euro), il 25% dopo, con abbattimento del 15% ogni sei mesi.

L'ESERCITO DEI NON PROTETTI
La mini-Aspi, dunque, non amplia la platea dei protetti, ma sostiene chi oggi ha già un ombrello. Al palo restano 945.141 lavoratori atipici, intermittenti, precari (dati Isfol, 2010). Quasi la metà sono co. co. pro (675.883). Ma si contano anche 52.459 associati in partecipazione, 54.210 co. co. co statali, 49.179 dottorandi e assegnisti di ricerca, 24 mila venditori porta a porta, 27 mila "collaboratori", 8.913 occasionali.

SOLO UN IMPEGNO
La riforma approvata dal Consiglio dei ministri venerdì scorso contiene solo un impegno a rendere strutturale ("a regime") l'una tantum oggi riservata ai co. co. pro. E questa viene considerata una vittoria dai sindacati, visto che le ultime versioni del testo la escludevano. L'una tantum oggi è pari al 30% del reddito dell'anno precedente, con un tetto di 4 mila euro. I requisiti sono molto restrittivi e di fatto l'83% dei fondi stanziati per il triennio 2009-2011 non è stato utilizzato (35 milioni su 200), con il 69% di domande respinte (28.674 su 42.550). Senza una revisione, questo paracadute continuerà ad essere inutile, oltre che limitato.

LE BUSTE PAGA
Il confronto parlamentare sulla riforma dovrebbe tenerne conto, considerando poi che l'aumento dell'1,4% delle aliquote contributive su tutti i contratti a termine - quindi anche del milione di parasubordinati - rischia di scaricarsi su buste paga già ridotte all'osso. Un rincaro che finanzierà proprio Aspi e mini-Aspi, da cui i precari sono tagliati fuori. Beffa e paradosso. E che potrebbe ingrossare - nonostante la stretta che la riforma intende mettere in campo - le fila delle 4 milioni di partite Iva, escluse da tutto, da sempre. Ma ancora "convenienti".
 

(25 marzo 2012) © Riproduzione riservata

     da - http://www.repubblica.it/economia/2012/03/25/news/precari_quasi_un_milione_esclusi_dall_assegno_di_disoccupazione-32158922/?ref=HREA-1
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 12, 2012, 05:15:53 pm »

L'intervista

"I nuovi tagli ci soffocano da gennaio fermerò l'Istat"

Il presidente Enrico Giovannini: il governo nega il nostro ruolo di scienziati dello Stato.

I miei numeri a Bondi: Forniti al commissario dati su dati per la sua spending review.

Ora rilancio: un censimento l'anno se avrò i mezzi

di VALENTINA CONTE

ROMA - "Dal prossimo primo gennaio non effettueremo più statistiche. Continueremo a pagare stipendi e affitti, ma non riusciremo ad assolvere alla nostra funzione: fornire dati di qualità, affidabili, tempestivi". Enrico Giovannini è molto preoccupato per il futuro dell'Istituto di statistica che guida dall'agosto del 2009. "Un problema che va oltre le nostre capacità".

Presidente, perché questo allarme?

"Il taglio ai finanziamenti mette l'Istat realmente a rischio. Nel 2013 si scenderà dai 176 milioni del 2011 a 150-160 milioni. Metà delle risorse francesi. Un terzo dei Paesi nordici. Andiamo verso un buco di 20 milioni. Insostenibile".

Tagli del passato?

"La legge di Stabilità di novembre ci ha tolto 29 milioni in tre anni. E ora la spending review altri 3 milioni l'anno".

Deluso dai professori al governo che sacrificano la ricerca?
"
Mi sarei aspettato un maggiore riconoscimento della funzione essenziale della statistica quale Scienza dello Stato, come vuole la sua etimologia. Invece...".

Invece?

"Le richieste aumentano, noi produciamo di più, ma le risorse sia umane che di bilancio calano. Vorrei ricordare che il 70% del nostro output deriva da obblighi presi con l'Unione europea".

Cosa succede allora a gennaio?

"Non daremo più dati
su inflazione, contabilità, condizione di vita delle famiglie, forza lavoro. E allora scatterà il tassametro Ue: multe salatissime sul Paese per ogni giorno di ritardo. Non penso che il governo e il Parlamento vogliano arrivare a tanto".

Sembra arrabbiato.

"Diciamo fiducioso. L'ora delle scelte è da qui a ottobre, quando si farà la Finanziaria".

Conta su una retromarcia di Monti?

"Com'è successo altre volte, occorrerà affrontare la nostra fragilità di bilancio. Ma il ritardo si paga comunque. Le statistiche non nascono sugli alberi. Vanno pianificate".

Sembra un ribelle della spending review.

"Tutt'altro, se vista come l'inizio di un processo per guadagnare efficacia e risparmi. Ma noi i compiti a casa li abbiamo fatti, tagliando il possibile, dalla carta all'accorpamento di uffici, al passaggio al digitale. E poi l'Istat ha lavorato moltissimo con il commissario Bondi, fornendo cifre su cifre".

Si può sacrificare la ricerca?

"Sì, se non porta a niente. Errore clamoroso se è essenziale".

Come quella prodotta dall'Istat?

"Abbiamo intercettato un cambiamento epocale. C'è una domanda enorme dei cittadini di verità e di fatti per superare il bla-bla di dibattiti sterili. Il 76% degli italiani si fida dell'Istat".

Fiducia ben riposta?

"Produciamo 300 comunicati, un quarto in più in due anni. Oltre alle stime ufficiali, nel primo semestre già 2 mila dossier di "microdati", mirati a enti locali, ricercatori, università, contro i 1.500 di tutto il 2011. Registriamo un boom di accessi al sito e di gigabyte scaricati. Letteralmente esplosi, poi, i contributi a trasmissioni radio e tv, interviste ai media".

Come mai, secondo lei?
 "Siamo passati dal retroscena alla scena. Gli italiani vogliono capire come cambia la loro vita. E l'informazione è diventata finalmente più accurata, a livello europeo con dossier e approfondimenti".

Ma il censimento, però, lo fanno 419 precari, il 17,5% della forza lavoro Istat.

"Precari di altissima qualità, con dottorati e master, che hanno superato un concorso. Motivo ulteriore di preoccupazione, visti i tagli. Per questo dico, investiamo in conoscenza per crescere. E rilancio: l'Istat è pronta a fare un censimento ogni anno, anziché dieci, spalmando il relativo costo. Per avere dati ancora più territoriali e ricchi. Ma basta tagli. Abbiamo bisogno dei ricercatori".

(12 luglio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/07/12/news/i_nuovi_tagli_ci_soffocano_da_gennaio_fermer_l_istat-38919613/?ref=HREC1-6
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« Risposta #6 inserito:: Ottobre 04, 2012, 03:52:00 pm »

Dossier

Italia al top per le ore lavorate ma indietro per produttività

L'italiano medio lavora 1.774 ore l'anno contro le 1573 della zona euro.

I norvegesi sono quelli che hanno maggiore "resa" pur essendo terzultimi nell'Ocse per tempo passato al lavoro

di VALENTINA CONTE


ROMA - Dimezzare lo spread di produttività con la Germania è il "sogno" del presidente di Confindustria. E per farlo sarebbe utile "lavorare qualche ora in più", suggerisce Squinzi. Sì, ma quante ore? "Se vogliamo recuperare il 10%, si fa presto a fare i conti". Ma poi i conti non li fa. E in effetti non è così agevole farli.

MESSICO-NORVEGIA
A leggere i più recenti dati Ocse emerge subito un paradosso. Nella classifica dei 34 Paesi membri, il lavoratore messicano è al top per ore annue dedicate al suo impiego, ma ultimo in produttività. Indefesso, sebbene poco efficace. Al contrario, il collega norvegese è il più produttivo in assoluto, un superman nel suo campo. Ma in compenso è al terzultimo posto per ore di lavoro. Molto tempo libero e grande contributo al Pil nazionale. Un vero sogno. E in Italia?

GLI STAKANOV
L'italiano lavora tantissime ore: 1.774 in un anno, in media Ocse (1.775), ma ben 200 ore sopra la media dell'Eurozona (1.573) e addirittura 363 aggiuntive rispetto ad un tedesco. Con ritmi analoghi all'operoso giapponese (1.728). Eppure la sua produttività, che l'organizzazione parigina calcola come Pil per ora lavorata, stenta. Nel 2011 erano 45,6 dollari contro quasi il doppio della prima della classe, la Norvegia (81,5), che però totalizza il 20% di ore in meno, al livello della "virtuosa" Germania. Ore lavorate e produttività, a quanto pare, non si muovono nella stessa direzione: aumentare le prime non sempre spinge la seconda. Anzi, l'opposto. Perché?

TRE VIE
Lo spiega la stessa Ocse nel Rapporto sull'Italia di qualche giorno fa. Se il Pil italiano è in picchiata dal 1995 è per la scarsa crescita della produttività, "il cui tasso è tra i più deboli". La crisi c'è per tutti. Eppure non solo la Germania, ma tutti i Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) nel biennio 2010-11 hanno fanno meglio di noi. E questo ci penalizza in termini di competitività. Per rafforzarla, suggerisce l'Ocse, ci sono tre strade: moderazione salariale, produttività più forte, meno tasse sul lavoro. In particolare, comprimere il cuneo fiscale e chiudere contratti di secondo livello contribuirebbero, per l'Ocse, a mettere più soldi in tasca ai lavoratori, legando la busta paga alle performance. Accrescere le ore, però, non sembra una soluzione. Se non si investe in tecnologia, ricerca e sviluppo, aggiungere 60 o 120 minuti in più al giorno rischia di non sortire effetti.

GLI AUTONOMI
Se le ore lavorate sono così elevate in Italia, lo dobbiamo anche al contributo degli autonomi, il 22% del totale dei lavoratori, che certo dedicano alla professione più tempo dei dipendenti. Percentuale altissima e piuttosto rara in Europa (14% in media), dove siamo superati solo dalla Grecia (30%). Ma allora perché il Pil non cresce?

(03 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2012/10/03/news/ore_lavorate_italia_al_top_in_eurolandia-43749350/
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« Risposta #7 inserito:: Giugno 20, 2013, 04:36:52 pm »

Ddl semplificazioni, nei cantieri la sicurezza diventa a rischio

Salta la valutazione dei pericoli. Ecco la deregulation che passa insieme alle norme del decreto del "fare".

Il problema delle lavorazioni in luoghi di lavoro dove convivono più ditte

di VALENTINA CONTE


ROMA  -  Più facile aprire i cantieri, anche a costo di sorvolare sulla sicurezza dei lavoratori. L'obiettivo annunciato dal governo di semplificare la vita alle imprese - e di risparmiare in questa materia 3,3 miliardi di euro, si legge nella relazione tecnica - rischierebbe, a detta degli esperti del settore, di trasformarsi in un pericoloso boomerang, tutto giocato sulla pelle delle persone. Le norme in questione erano state dapprima inserite nel disegno di legge sulle semplificazioni, approvato ieri dal Consiglio dei ministri. Poi a sorpresa, transitate quasi tutte nel decreto del Fare, ora al vaglio della Ragioneria. E dunque presto in vigore. Ma cominciano a suscitare più di una perplessità.

Chi si occupa di sicurezza sul lavoro lo definisce un terremoto che ripiomba l'Italia indietro di anni in termini di prevenzione e tutela, in un Paese dove muoiono di lavoro 3-4 persone al giorno. Proprio perché dietro un'apparente taglio a scartoffie e adempimenti, si nasconderebbe una deregulation assai pericolosa. Si parte con i "settori di attività a basso rischio" che nessuno sa cosa sono, da fissare con decreto del ministro del Lavoro.

Ebbene per questi settori il Duvri non è più obbligatorio. Ovvero il documento di valutazione dei rischi, che fin qui serviva a separare le lavorazioni in cantieri dove convivono più ditte e dove i rischi di intralci e incidenti sono altissimi. Niente più documento formale datato e firmato dal datore, dunque. Al suo posto un
"incaricato", pure un operaio in teoria. Il Duvri salta anche in generale, senza limiti di settori quindi anche in quelli ad altissimo rischio - purché "la durata non sia superiore ai dieci uomini- giorno": cioè un giorno con dieci lavoratori o dieci giorni con un lavoratore, o due operai in cinque giorni e così via. Ma è chiaro che il rischio non è legato alla durata, quanto all'attività in sé.

E ancora. Se un'impresa apre un locale nuovo - un sottoscala senza aria né finestre - l'organo di vigilanza, come la Asl, a cui viene notificato l'apertura, non potrà più chiedere modifiche per violazioni di norme di urbanistica. Viene poi abolito il "titolo IV" del testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Questo significa che nei cantieri mobili ("realizzazione o manutenzione di infrastrutture per servizi", quindi ponti, strade...),
purché anche qui la durata non superi i dieci uomini-giorno, i lavori potranno iniziare anche senza direttore lavori o responsabile della sicurezza. In più, Psc e Pos (documenti obbligatori in cui le aziende esplicitano le cautele prese per evitare rischi) saranno "semplificati". Mentre per denunciare la fuga di un virus dal laboratorio o il rischio amianto o di sostanze cancerogene basterà un "invio telematico ": una mail e neanche certificata. La norma più critica infine è quella che cancella l'obbligo per il datore di comunicare alla polizia un grave infortunio (inabilità sopra i 3 giorni) o la morte di un dipendente. Basterà il database Inail. La Asl già oggi informa la Procura (ma solo per inabilità sopra i 40 giorni).

Ieri intanto il governo ha approvato il ddl Semplificazione "a costo zero" per la "sburocratizzazione dell'amministrazione", complementare al decreto Fare, con risparmi stimati a regime per 9 miliardi. "Si completa così la prima fase dei provvedimenti in materia di semplificazione per i cittadini", ha detto ieri il ministro D'Alia. Mentre l'atteso decreto sul lavoro slitta dal Consiglio dei ministri di venerdì alla prossima settimana (forse martedì).

(20 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2013/06/20/news/ddl_semplificazioni_nei_cantieri_la_sicurezza_diventa_a_rischio-61471584/?ref=HREC1-6
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 01, 2013, 12:24:08 pm »

Lavoro e tagli alla spesa, il piano del governo

Il Tesoro riparte da revisione degli incentivi alle imprese e delega fiscale.

Saccomanni mercoledì alla Camera illustrerà la la strategia per trasformare in strutturali i rinvii degli aumenti di Iva e Imu.

Dal summit di Berlino Letta e Giovannini annunceranno altre misure europee contro la disoccupazione

di VALENTINA CONTE


ROMA - Il governo prova ad aprire la "fase due". Dopo la prima, all'insegna del rinvio dei dossier più scottanti (Imu, Iva, Tares, F35, precari della pubblica amministrazione), l'espressione chiave per definire la seconda sarà "riforme strutturali". Ne parlerà il ministro dell'Economia Saccomanni, mercoledì prossimo alla Camera per illustrare le linee della politica economica del governo. Mentre nelle stesse ore il premier Letta e il ministro Giovannini saranno a Berlino per il summit speciale sul lavoro ai giovani, assieme a Merkel e Hollande. Con l'obiettivo di consolidare il risultato del Consiglio europeo di fine giugno e rilanciare nuove politiche comuni.

Abbassare il cuneo fiscale sul lavoro e tagliare la spesa pubblica sono dunque gli obiettivi principali della nuova fase del governo Letta. I risparmi serviranno a cancellare in modo "strutturale" anche l'Imu sulla prima casa e l'Iva, mentre ben prima della pausa estiva - dunque entro i primi di agosto - potrebbe arrivare l'altra riforma "strutturale" che cambierà volto all'imposta sul mattone. Quella così attesa sull'Imu.
Saccomanni prova dunque ad accelerare senza entrare nelle polemiche quotidiane. Finito nel gorgo degli attacchi politici trasversali per i rinvii delle tasse nonché per le coperture individuate al decreto Giovannini - che questa settimana arriva in Parlamento, dove sarà battaglia - utili a sterilizzare l'aumento dell'Iva dal 21 al 22%, previsto proprio da oggi e spostato al primo ottobre,
il ministro dell'Economia ha incassato ieri un gradito sostegno proprio dal capo dello Stato che ne ha difeso l'operato improntato al realismo. "Ho molto apprezzato il ministro che ha dimostrato in modo puntuale quello che si può fare e quello che non si può fare, naturalmente senza pensare di avere la bacchetta magica", ha scandito Giorgio Napolitano da Zagabria.

Nessuna bacchetta magica, dunque. Questo ripeterà Saccomanni in Parlamento, chiedendo alle forze politiche un atteggiamento responsabile per il nuovo capitolo da affrontare: i tagli alla spesa pubblica, circa 200 miliardi "aggredibili", necessari per evitare, oltre a Imu e Iva, anche l'aumento dei ticket sanitari dal prossimo gennaio. E per rilanciare la crescita, cuore della "fase due", rafforzando il piano nazionale sul lavoro con un taglio significativo al cuneo fiscale. Ai blocchi di partenza, dunque, torneranno vecchi dossier: la delega fiscale (con il riordino del catasto), quello di Giavazzi per sforbiciare le agevolazioni alle imprese, l'altro di Ceriani per sfrondare gli sconti fiscali, un piano di risparmi nella sanità (il ministro Lorenzin punta a rivedere il sistema di esenzione dal ticket perché "la metà degli assistiti non li paga, ma consuma l'80% delle prestazioni"). Ancora spending review, dunque. Revisione e taglio di spesa, "non indolore", anticipa già il ministro, "ma necessaria".

(01 luglio 2013) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/economia/2013/07/01/news/lavoro_e_tagli_alla_spesa_il_piano_del_governo-62165807/?ref=HRER2-1
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« Risposta #9 inserito:: Luglio 06, 2013, 07:49:32 pm »

Evasione, scontrini e spese detraibili spunta il "contrasto di interessi"

Convergenza di esecutivo e Parlamento sulla legge delega.

In un anno saranno trovati altri settori a cui allargare il modello usato sulle ristrutturazioni edili. 

Professionisti e prestazioni da lavoro autonomo i campi dove si aspettano i maggiori risultati

di VALENTINA CONTE


ROMA  -  Si avvicina il momento in cui le famiglie italiane potranno "scaricare" in dichiarazione dei redditi anche le fatture dell'idraulico, del tecnico della lavatrice, del carrozziere. E perché no, le parcelle dei professionisti. Il "contrasto di interessi", inserito a fine novembre dal Senato nella delega fiscale confezionata dall'allora governo Monti, rispunta ora alla Camera. E stavolta con buone possibilità di arrivare in fondo.

Il testo, caduto a Natale assieme all'esecutivo dei tecnici e risorto con Letta, racchiude nei suoi 15 articoli importanti riforme. In primis, quella "epocale" del catasto. Ma anche attese semplificazioni fiscali, il codice unico dei giochi, le norme sulla certezza del diritto e quelle sulla tassazione ambientale. E appunto il contrasto di interessi. Ovvero quella situazione, così frequente nella vita di tutti, in cui a me conviene la fattura, a te il nero. In Italia, ad oggi, esistono solo due campi, entrambi legati alla casa, in cui la divaricazione si ricompone  -  le ristrutturazioni edilizie e il risparmio energetico  -  grazie ai generosi "bonus" statali, di recente rafforzati e prorogati, che rendono ben più appetibile la fattura rispetto all'evasione proprio perché il 65% e il 50% della spesa, nei due casi, è detraibile dall'Irpef in dieci anni. Campi ora allargati agli acquisti di mobili e grandi elettrodomestici.

E domani chissà anche a quei settori sommersi in cui si paga in contanti e con una stretta di mano. Con buona pace di tasse e Iva. La delega fiscale  -  già calendarizzata per il suo passaggio in aula, a Montecitorio, per l'ultima settimana di luglio o la prima di agosto  -  gode di un ampio consenso parlamentare. Più ampio della stessa "strana" maggioranza. A parte Sel, sono tutti coesi per un passaggio rapido, inclusa Lega, Cinque Stelle, Fratelli d'Italia. Tuttavia la norma sul contrasto d'interessi, contenuta nella delega, è "solo" una delega, appunto.

Una delega al governo perché entro dodici mesi dalla legge delinei le "opportune fasi applicative", trovi le "eventuali coperture" e gli ambiti, fissi soglie, plafond e meccanismi di detrazioni (dall'imposta) o deduzione (dall'imponibile). La misura  -  al contempo antievasione e pro-crescita  -  sarà di fatto sperimentale e "selettiva", dunque mirata. Si individueranno i settore più fragili sotto il profilo dell'evasione, quelle "aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell'obbligazione tributaria ". Come le spese per la manutenzione della casa e le prestazioni da lavoro autonomo, decisamente sensibili alle sirene dell'evasione e in grado di proporre "sconti" di rado rifiutati.

I bonus però costano, si sa. E qui la nota dolente, in tempi di coperture sempre più ardue. Molti fiscalisti ritengono poi il contrasto d'interessi inefficace ai fini della lotta all'evasione e addirittura dannoso per lo Stato, il cui gettito fiscale rischia di crollare. Vi è infine tutta la questione dei controlli. Già Tremonti si era accorto, grazie alle segnalazioni di Agenzia delle entrate e Guardia di finanza proprio sul bonus edilizio (allora al 36%), che le imprese facevano fattura, ma poi non la inserivano in contabilità. E a quel punto fu costretto a mettere una trattenuta  -  al 10% poi portata nell'estate del 2011 al 4  -  operata dalle banche sulla fattura. Un anticipo di tassazione che obbligava le imprese a dichiarare tutto. In Italia, va così.

(06 luglio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2013/07/06/news/evasione_scontrini_e_spese_detraibili_spunta_il_contrasto_di_interessi-62485083/?ref=HREC1-2
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« Risposta #10 inserito:: Agosto 06, 2014, 05:11:50 pm »

Torna lo spettro recessione: crescita zero nelle stime Istat. Sul deficit si riapre il fronte Ue
Domani i numeri sul Pil 2014: si prevede tra -0,1 e +0,1%.
Sempre più lontano il pareggio strutturale chiesto da Bruxelles.
A rischio il rispetto del fiscal compact, cioè le rigide regole di riduzione del debito inserite in Costituzione

Di VALENTINA CONTE

ROMA - L'Italia di nuovo in recessione? Possibile. Lo sapremo domani alle 11. Quando l'Istat comunicherà la variazione del Pil nel secondo trimestre dell'anno. Se dopo il -0,1% dei primi tre mesi arriverà un altro -0,1%, sarà recessione tecnica. Due segni negativi in due periodi consecutivi. Non si scappa. Il governo lo teme. Al punto da aver ristretto la forchetta anticipata dall'Istituto di statistica a fine giugno. L'Istat prevedeva allora un Prodotto interno lordo oscillante tra -0,1% e +0,3%: quasi inferno e promessa di paradiso. Intervallo ora compresso, nelle valutazioni dello staff economico di Palazzo Chigi, tra -0,1 e +0,1%. Parlare di decimali, di zero virgola, certo non fa una grande differenza per il Paese reale fermo. Per chi cerca e non trova lavoro. Per le famiglie che stentano a quadrare i conti, bonus o non bonus. Ma per il governo Renzi sì.

E non solo per una questione di comunicazione: i titoli sulla recessione da spiegare, gli italiani da tranquillizzare. Ma per una strategia di politica economica tutta da reimpostare, con variazioni importanti da apportare entro settembre al Def, il Documento di economia e finanza, laddove il Pil per quest'anno è dato a +0,8%. E forse con una manovra correttiva da mettere in pista, non più esclusa nemmeno dallo stesso Renzi che, nell'intervista di ieri a Repubblica, assicurava che "in ogni caso non toccheremo le tasse". D'altro canto un secondo segno meno per il Pil non è certo un bel lasciapassare con l'Europa. Il premier è certo che "resteremo sotto il 3%" nel rapporto tra deficit e Pil (quest'anno il Def lo fotografa al 2,6%). Ma per Bruxelles potrebbe non bastare. In prospettiva, camminare sul filo significa far saltare nei prossimi due anni il rispetto del pareggio di bilancio strutturale corretto per il ciclo economico (0,6% è il livello inserito nel programma di convergenza spedito alla Ue). E soprattutto del fiscal compact, le rigide regole di riduzione del debito pubblico, inserite in Costituzione.

Con un semestre di Pil sotto zero e con pochissime possibilità di ribaltare la situazione nella seconda metà dell'anno, le richieste di deroghe e flessibilità extra che il governo si preparava a fare all'Europa della Merkel, durante il semestre di presidenza italiano, in virtù dei compiti fatti a casa, rischia di trasformarsi in una domanda di sconti perché il Paese non ce la fa. E torna ad essere la Cenerentola dell'Europa, visto che la Spagna ha innescato il turbo della crescita (sopra l'1%) e persino dalla Grecia trapelano segnali positivi. È vero, non siamo al tracollo del Pil come negli anni bui della crisi post 2007. E neanche al livello del 2012 (-2,4%) e 2013 (-1,9%). Ma i decimali ora contano più che mai.

Per trattare in Europa, ma anche sul fronte interno. Se la crescita viene ridotta dallo 0,8% allo 0,3%, modificando il Def, il deficit sale da 2,6 a 2,8%. Un filo sotto il tetto e addio sconti sul cofinanziamento dei fondi europei. Addio risorse in più per bonus e investimenti facendo lievitare il deficit. Tanto questo si alzerà da solo, perché il Pil scende. Ma anche il quadro politico ne risentirà. Inevitabile. Conti non più in sicurezza, l'Italia di nuovo vulnerabile. E qualcuno, anche nella maggioranza, potrebbe cogliere l'occasione per trarne vantaggi. Attaccando la politica degli annunci del governo. I pasticci dei decreti scritti e riscritti. E il fronte europeo che torna caldo. Che sia recessione o stagnazione il tema è già priorità, se non urgenza, sul tavolo del governo. A prescindere da cosa dirà domani l'Istat.

(05 agosto 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/08/05/news/anticipazioni_pil_crescita_zero-93139983/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_05-08-2014
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« Risposta #11 inserito:: Novembre 17, 2014, 05:15:54 pm »

Un tesoretto da 14 miliardi per i forzieri dell’Economia
Cassa elettrica "dirottata". Un emendamento alla legge di Stabilità trasferisce al ministero di via XX settembre le risorse dell’organismo, oggi autonomo, che sostiene il settore dell’energia

Di VALENTINA CONTE
17 novembre 2014

ROMA - Spunta un gruzzolo inatteso per le prosciugate casse dello Stato. Il gentile omaggio trova casa nell'emendamento 34.2 alla legge di Stabilità, ora in discussione nella commissione Bilancio della Camera. E non è un emendamento qualsiasi, ma un "segnalato". Uno cioè dei sopravvissuti alla tagliola di prassi e dunque con buone possibilità di approvazione. Ebbene il 34.2 dispone che le risorse della Cassa conguaglio per il settore elettrico (Ccse), alimentata con i soldi delle bollette pagate dai cittadini italiani, confluiscano quasi tutti (ne resterebbe un 3%) nel conto corrente della nazione, chiamato sistema di Tesoreria unica e gestito dal ministero dell'Economia.

Quanto c'è nella Ccse? Almeno 5 miliardi, più altri 9 miliardi del Gse, il Gestore dei servizi energetici, su cui la Cassa conguaglio esercita il controllo. All'incirca 14 miliardi in tutto. Tanti soldi, destinati a finanziare il fotovoltaico, a scontare le bollette per i redditi bassi o per chi in casa ospita macchinari energivori indispensabili per la salute. Ma anche a conguagliare le piccole società elettriche delle isole minori, come Lampedusa. E più in generale a compensare le imprese del settore quando gli incassi non coprono i costi, e con la crisi capita, visto che i consumi elettrici vanno giù. Denari che arrivano a flusso continuo, ogni mese con le bollette. Dunque sicuri. E, qualora l'emendamento passasse, non più nella disponibilità della Cassa conguaglio, ente pubblico non economico, ma del ministero dell'Economia a cui spetta tra l'altro, assieme all'Autorità per l'energia elettrica, la vigilanza proprio della Cassa.

Il settore elettrico è in allarme, timoroso di perdere un'autonomia importante: i soldi non sarebbero negati per i vari scopi, ma dovrebbero essere richiesti e autorizzati alla bisogna. Un iter non proprio gradito a un mercato caratterizzato da movimentazioni veloci. La legge numero 720 del 1984 inizialmente includeva la Ccse nella tabella B degli enti obbligati a girare i quattrini al bancomat di Stato. Poi un dpcm del 1999 l'aveva esclusa proprio "perché i flussi finanziari della Cassa non interessano, direttamente o indirettamente, la finanza pubblica".

I tempi sono cambiati, la crisi imperversa e ora il governo ha bisogno di risparmiare sugli interessi che paga su Bot e Btp. L'afflusso di risorse fresche e ingenti presso la Tesoreria unica si tradurrà "in minore emissione di titoli del debito pubblico" e garantirà "un risparmio complessivo per il bilancio dello Stato, conseguente ai minori oneri per interessi pagati". Lo scrive la relazione tecnica della Ragioneria alla legge di Stabilità, commentando l'articolo 34 della finanziaria che prevede analoga operazione, ma relativa alle sole Camere di commercio. Se in questo caso si parla di 850 milioni trasferiti in Tesoreria nel 2015, con 15 milioni di risparmio l'anno, figuriamoci quanto si può ottenere da 14 miliardi. Curiosità.

L'emendamento è a doppia firma: Oreste Pastorelli e Lello Di Gioia. Due deputati socialisti, eletti nel 2013 nelle liste del Pd, qualche mese dopo confluiti nel gruppo misto-componente Psi. Interrogati sul punto, entrambi scendono da cielo e negano la paternità: "Ma quale Cassa? Si tratta di previdenza?". Dopo una veloce consultazione, svelato l'arcano: "È stato segnalato da Nencini". Il viceministro alle Infrastrutture e segretario del Psi. Un emendamento a loro insaputa. Ma utile, però.

© Riproduzione riservata 17 novembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/11/17/news/un_tesoretto_da_14_miliardi_per_i_forzieri_delleconomia-100737458/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_17-11-2014
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« Risposta #12 inserito:: Agosto 09, 2015, 10:51:27 am »

Sud, 90 miliardi bloccati e quelli spesi si sono dispersi in 907mila microprogetti
Vecchie risorse inutilizzate, nuovi fondi senza delibere.

Nessun sottosegretario con delega e l'Agenzia resta fantasma

Di VALENTINA CONTE
04 agosto 2015
   
ROMA. Un mare di soldi bloccato. Fermo. Centoquattro miliardi da spendere subito. E di questi, oltre 87 col bollino del Sud. Destinati cioè a quel meridione d'Italia "a rischio di sottosviluppo permanente" e che cresce la metà della Grecia, ricorda lo Svimez. Com'è possibile? Colpa solo delle amministrazioni locali lente e incapaci, magari sin troppo propense ai "piagnistei" rimproverati da Renzi? In parte, certo. Ma la macchina miliardaria dei fondi, europei e nazionali, si è inceppata dalla testa. Burocrazia, ma anche e soprattutto politica.

L'analisi cruda dei numeri racconta un "piano Marshall" per il Mezzogiorno, evocato ieri dalla ministra dello Sviluppo Federica Guidi nell'intervista a Repubblica, che nei fatti e nei denari già esiste. Non solo. Si scopre che la metà del non speso, ben 50 miliardi, si riferisce addirittura al periodo 2007-2013. In questi nove anni l'Italia è riuscita a utilizzare appena il 46% delle risorse a disposizione, polverizzandole tra l'altro in un milione di progetti. Per la precisione, 907 mila 372. Dall'America's Cup di Napoli (5,8 milioni) alla campagna "Voglio vivere così" della Toscana (13,4 milioni). Avanzano dunque 50 miliardi della vecchia programmazione (dei 91 totali iniziali). E se non si corre, una parte andrà restituita.

Entro Capodanno, il governo deve difatti spedire a Bruxelles un maxi-scontrino da 12,3 miliardi di fondi europei (cofinanziati dall'Italia) con la data di scadenza. Il resto dei 50 miliardi - fondi nazionali, questi - non rischia invece il binario morto, dunque non andranno perduti né saranno richieste fatture. Ma la stasi sì. Si tratta del Fondo sviluppo e coesione e del Piano di azione e coesione. Sigle non certo popolari (Fsc e Pac), ma fondamentali bacini per gli investimenti nel Sud in infrastrutture, inclusione, formazione, occupazione. Eredi di quel fondo Fas per le aree sottoutilizzate (dunque il meridione), saccheggiato nel recente passato come bancomat di Stato da governi d'ogni colore, per alimentare un po' di tutto: cassa integrazione in deroga, multe per le quote latte, la Brebemi, il G8 doppio (Maddalena e L'Aquila). Da buona ultima, anche la legge di Stabilità per il 2015 ne ha prelevato una fettina da tre miliardi e mezzo per finanziare gli sgravi contributivi (soldi del Sud che hanno di fatto beneficiato soprattutto il Nord, il più vivace nelle assunzioni).

Centoquattro miliardi fermi, si diceva. Cinquanta per il passato, come visto. Altri 54 per il nuovo periodo di programmazione, 2014-2020. Parliamo dell'Fsc (Fondo sviluppo e coesione): soldi nazionali tradizionalmente destinati alle grandi opere, le infrastrutture strategiche del Paese. L'ultima legge di Stabilità ne ha cambiato la mission, dirottandoli alla "specializzazione intelligente", dunque ricerca e innovazione e agenda digitale. Non riusciamo a spendere i denari per fare le strade, mettiamoli sulle infrastrutture immateriali, è stato il ragionamento. Tra marzo e aprile, però, l'iter si è congelato. Il Cipe avrebbe dovuto procedere con le delibere (la torta di questo Fondo è gestita in toto dal Comitato interministeriale per la programmazione economica). Ma non l'ha fatto. Graziano Delrio, l'allora sottosegretario di Palazzo Chigi con delega proprio ai fondi europei, è stato spostato alla guida del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ha giurato il 2 aprile). Ottenendo di portarsi dietro proprio quel fondo, l'Fsc con i suoi 54 miliardi (e sperando di tornare alla mission originaria, cioè le infrastrutture). Una promessa politica del premier Renzi, ad oggi ancora non attuata. Come pure la delega ai fondi Ue, in teoria slittata nelle mani del nuovo sottosegretario Claudio De Vincenti, mai formalizzata. Tutto fermo.

Chi sovraintende da Roma dunque i fondi Ue? Non certo l'Agenzia della coesione, diretta da Maria Ludovica Agrò, di fatto insediata da appena tre mesi (dopo un anno di gestazione). E ancora alle prese con le assunzioni. Dunque Palazzo Chigi. Il premier Renzi ha ereditato il buon lavoro impostato da Delrio, ma poi forse l'ha un po' accantonato. Di qui la stasi. Certo, va detto che 40 dei 50 programmi di spesa dei nuovi fondi Ue sono stati già approvati da Bruxelles e il governo intende accelerare sui restanti 10. La partita per il 2014-2020 vale in tutto però 138 miliardi (fondi europei più nazionali, Fsc incluso). Una cifra davvero enorme. Da governare.

"Un Paese normale si può permettere di avere ancora il 50% di vecchi fondi da spendere a meno di sei mesi dalla scadenza, con la più grande area depressa d'Europa?", si chiede Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. La Uil tra l'altro calcola che dei 12 miliardi di fondi Ue in scadenza, almeno 2 sono a rischio concreto di restituzione. Si vedrà.

© Riproduzione riservata
04 agosto 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/08/04/news/sud_90_miliardi_bloccati_e_quelli_spesi_si_sono_dispersi_in_907mila_microprogetti-120378629/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_04-08-2015
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« Risposta #13 inserito:: Ottobre 07, 2016, 08:36:39 pm »

Renzi, ricoverate chi si accontenta di un Pil all'1%
Il premier interviene nello scontro tra governo e Parlamento sui numeri del Def, il documento di economia e finanza. E sulla previsione di crescita del Pil all'1% nel 2017, ritenuta da Bankitalia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio troppo "ottimistica e ambiziosa". Poi annuncia: "Il G7 dell'industria del 2017 sarà a Torino"

Di VALENTINA CONTE
06 ottobre 2016

ROMA - Discussione "affascinante e spassosa" quella sul Pil. Ma la verità secondo il premier Renzi è che "c'è un'inversione di rotta". Il presidente del Consiglio reagisce così alle polemiche di questi giorni sulla crescita del Pil troppo ottimistica e ambiziosa (secondo i giudizi di Bankitalia, Corte dei Conti e Ufficio parlamentare di bilancio), inserita nella nota di aggiornamento al Def. "Il Paese si sta rimettendo in moto con una visione di orizzonte", insiste Renzi, intervenendo all'assemblea degli industriali torinesi, dopo la visita al Cottolengo e allo stabilimento torinese di Thales Alenia Space, società partecipata da Leonardo-Finmeccanica. "Il governo italiano in questi tre anni qualcosa ha fatto. Le cose non vanno ancora bene, ma vanno meglio. Trovo affascinante la discussione sulla crescita del Pil, è un tema spassoso, se 0,8% come dice la Banca d'Italia, 0,9% come dice il Fondo monetario o 1% come dice il ministero dell'Economia. Chi è contento di una crescita dell'1% ricoveratelo, ma c'è un'inversione di rotta". Renzi ha poi anche ricordato che il "centro studi di Confindustria ha detto lo 0,5% ma con delle clausole, rimosse quelle è di più". E comunque i dati sulla crescita italiana "segnano una inversione di tendenza, ma io non mi accontento".

Basta rassegnazione. "L'Italia deve togliersi di dosso l'atteggiamento della rassegnazione", insiste il premier. "Il Paese si è rimesso in moto, cercando di riportate la fiducia tra gli italiani. Non si tratta di dividersi tra ottimisti e pessimisti, ma se uno pensa che la rassegnazione sia la sua cifra stia a casa".  E a proposito di ottimismo annuncia: "Il G7 Industria sarà il prossimo anno a Torino".  Una stoccata poi ai gufi: "Bisogna farla finita di andare in Europa a parlare male dell'Italia, non capendo che quando si va all'estero si difendono i propri colori. E questa è autocritica anche per la mia parte politica".

Relazione umane. "Abbiamo bisogno di investire di più nella qualità delle relazioni umane, che sono ben più importanti della politica", aggiunge Renzi. "Lo so, non entrano nel Pil, non fanno statistiche di crescita, ma sono ciò che rende solido il Paese. Lo dico nella capitale dell'industria italiana, quella storica e noi ci auguriamo anche del futuro: il punto di partenza della forza del nostro Paese è la qualità delle relazioni umane". In questo senso "l'Italia non è seconda a nessuno". E "il cambiamento che vediamo oggi con la globalizzazione non è niente rispetto a quello che ci aspetta a fronte del processo di digitalizzazione in corso". Ecco perché "dobbiamo migliorare la scuola, e lo stiamo facendo, valorizzare l’università, ma siamo in grado di essere competitivi".

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06 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/10/06/news/renzi_ricoverate_chi_si_accontenta_di_un_pil_all_1_-149214571/?ref=HRER2-2
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« Risposta #14 inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:48:58 pm »

Lavoro: si cambia, per scongiurare il referendum sul Jobs Act.
E sui voucher più vincoli e multe
Allo studio dell'esecutivo le ipotesi per evitare la consultazione referendaria.
E da gennaio addio all'indennità di mobilità: 185 mila a rischio

Di VALENTINA CONTE
27 dicembre 2016

ROMA -  Abbassare i tetti, aumentare controlli e sanzioni. Il governo è pronto a una stretta sui voucher, i ticket da dieci euro lordi nati per pagare i lavoretti, diventati dopo la liberalizzazione normativa il simbolo della nuova precarietà e della protesta contro le politiche del lavoro dell'esecutivo Renzi. I margini per intervenire non sono molti, a meno di smontare lo strumento. Ma qualcosa si deve pur fare, ragionano a Palazzo Chigi.

La ripresa non decolla, i disoccupati non schiodano da quota tre milioni, mentre i buoni lavoro si impennano a 121 milioni venduti in ottobre, nuovo record. Non solo. Dal primo gennaio vanno in archivio l'indennità di mobilità, la cassa integrazione in deroga e pure la Discoll, l'ammortizzatore per i collaboratori. Reti importanti di protezione, specie la prima. Che la Naspi, il sussidio unico, potrebbe non soppiantare del tutto, di fronte ai licenziamenti collettivi del settore industriale. Il mercato del lavoro ha dunque bisogno di un segnale urgente. Prima che siano le urne a darlo, con i tre referendum promossi dalla Cgil (ritorno all'articolo 18, abolizione dei voucher, corresponsabilità negli appalti) e sulla cui ammissibilità si esprimerà la Corte Costituzionale.

La parola d'ordine a Palazzo Chigi in queste ore è "attendere". Aspettare cioè il primo (imminente) monitoraggio sulla tracciabilità dei ticket. E la decisione della Consulta dell'11 gennaio. Le tabelle Inps vengono giudicate essenziali per capire se l'obbligo (da ottobre) per il datore di lavoro di mandare l'sms o la mail un'ora prima di impiegare il voucherista funziona da deterrente o no. Senza il conforto di numeri calanti, il ministro del Lavoro Poletti si dice pronto a "rideterminare dal punto di vista normativo il confine del loro uso". Ma sarà solo la pronuncia della Corte a stabilire quanto in profondità incidere. Di fronte all'ammissibilità di tutti i quesiti, la questione dei voucher sembrerà poca cosa rispetto alla possibilità che crolli l'intero Jobs Act. Ma se, come pronostica il governo, dovesse passare solo la richiesta di abolire i voucher, a quel punto una modifica sui ticket diverrebbe obbligata. Si vedrà come. Riportando il tetto massimo di introiti per il lavoratore a 5 mila euro (da 7 mila) o più basso. Inasprendo i controlli mirati, per stanare i datori che rimpiazzano i contratti con i buoni. Aumentando le sanzioni pecuniarie. Soluzioni tutte plausibili, ma bifronti (rischio impennata del nero) se non ben calibrate.

La fine della mobilità - prevista dalla Fornero e confermata dal Jobs Act - viene vista con allarme dai sindacati. La Uil calcola in 185 mila i lavoratori attualmente in mobilità che nel 2017 non entreranno nella lista speciale che da 25 anni consente ricollocazioni agevolate. Insieme allo strumento, spariscono infatti pure gli sconti contributivi riservati alle imprese che assumono lavoratori in mobilità. Cosa ne sarà di loro? "Riceveranno la Naspi, più generosa nella maggioranza dei casi della mobilità", assicura Stefano Sacchi, presidente Inapp, l'ex Isfol. "Le aziende poi risparmieranno sul costo del lavoro, perché non dovranno più versare lo 0,30% per la mobilità, circa 600 milioni". Ma "alle imprese a quel punto converrà licenziare sempre, così risparmiano pure sul ticket per la cassa integrazione, nel frattempo raddoppiato: è un meccanismo infernale", avverte Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. Ci sarebbe l'assegno di ricollocazione che scatta dopo quattro mesi di Naspi. "Le prime 30 mila lettere partiranno a gennaio", conferma Maurizio Del Conte, presidente dell'Anpal, l'agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. "Entro il 2017 puntiamo a contattare tutti i lavoratori - circa 900 mila - con i requisiti. Le politiche attive sono l'unico modo per scongiurare impatti negativi dalla fine della mobilità".
Gli sgravi contributivi per far ripartire le assunzioni nel Sud

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27 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/12/27/news/voucher_mossa_del_governo_ci_saranno_piu_vincoli_e_multe-154911868/?ref=HRER3-1
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