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Autore Discussione: SINISTRA DEMOCRATICA -  (Letto 66232 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Marzo 21, 2008, 12:15:07 am »

Bertinotti: «La lotta di classe? È viva e vegeta...»

Simone Collini


Scrive Giovanni Sartori sul Corriere della Sera che lei è rientrato nella mischia elettorale più cattivo che mai.
«Sono categorie psicologiche da cui mi tengo lontano», dice il presidente della Camera e candidato premier della Sinistra arcobaleno Fausto Bertinotti

Stiamo allora all’essenziale: Sartori contesta il suo predicare la guerra tra sfruttatori e sfruttati.
«E io contesto la tesi sostenuta da Sartori, secondo la quale il punto fondamentale è la crescita, la formazione della ricchezza, perché altrimenti crolla l’intera impalcatura. Questa idea è stata contraddetta non solo da Marx ma da Keynes. E come ha spiegato uno dei più grandi economisti italiani, Claudio Napoleoni, è invece proprio l’aumento dei salari a determinare una necessaria frusta sull’economia, altrimenti ripiegata dal peso della rendita. Livelli salariali alti determinano una scossa sul sistema delle imprese affinché battano non la strada pigra del vantaggio competitivo ma quella dell’innovazione, della ricerca, dell’aumento della produttività non attraverso lo sfruttamento del lavoro».

È una teoria minoritaria.
«Non è vero. Negli anni 70 non è stato così. Per un intero ciclo, dal ‘68-‘69 fino a tutti gli anni 70 proprio il paradigma dello sfruttamento è stato messo in discussione non da questa o da quella teoria ma dalla pratica sociale. Tanto è vero che le retribuzioni italiane erano diventate tra le più alte d’Europa».

Oggi non è così.
«Hanno vinto i liberisti, speriamo che perdano. Appunto, è una lotta di classe».

Come si vincono i liberisti?
«Modificando i rapporti sociali. Esattamente come accadde negli anni 70».

Sartori le domanda: che facciamo degli sfruttatori?
«Li rendiamo meno sfruttatori».

Come?
«Gliel’ho detto, mutando i rapporti sociali. La storia industriale, come spiegano diffusamente i sociologi americani, è la storia del conflitto. Quelli che non la definiscono lotta di classe la definiscono contesa industriale. Ha al suo centro le politiche redistributive, visto che l’espressione dei rapporti sociali è data dal rapporto tra salario, prezzi e profitto. Quando i lavoratori sono forti cresce il salario, quando gli imprenditori sono più forti di loro cresce il profitto e cala il salario. Il salario registra i rapporti di forza».

Le politiche economiche, in tutto questo?
«Naturalmente i padroni, gli imprenditori, sono favoriti se i governi sono di laissez faire. Invece i lavoratori sono favoriti se ci sono governi interventisti, che usano anche il fisco al fine di una migliore redistribuzione».

Il governo Prodi se lo aspettava più interventista?
«Molto, certo. Lo abbiamo iniziato a dire da giugno».

Perché non lo è stato, secondo lei?
«Per le sinistre divise all’interno del governo, per il ricatto delle forze moderate e anche per un pilotaggio del governo tutto indirizzato all’accordo tra le parti sociali, e quindi ad attribuire un peso alla Confindustria superiore a quello che avrebbe potuto avere».

Con il prossimo governo le sinistre saranno unite ma verosimilmente staranno all’opposizione.
«Vedremo, ne riparleremo dopo il voto».

Nel senso?
«Che la destra può perdere».

Quindi non esclude un accordo della Sinistra arcobaleno con il Pd?

«Noi pensiamo che staremo all’opposizione, ma ci sono molti modi di stare all’opposizione»

Dice che la Sinistra arcobaleno può influire anche da questa posizione?
«La storia del dopoguerra in Italia è la storia dell’influenza dei partiti della sinistra all’opposizione. Hanno ottenuto molto di più che non stando al governo. Pensi allo statuto dei diritti dei lavoratori, alla riforma sanitaria, alla chiusura dei manicomi, alla riforma pensionistica che dava ai lavoratori l’80% della retribuzione, alla legge sull’aborto, sul divorzio, a tutte le conquiste realizzate dal Partito comunista all’opposizione».

Era diversa la società?
«No, c’era una sinistra molto più forte».

Come si torna a una sinistra forte?
«Ricominciando un cammino, con pazienza. La sinistra deve tornare ad essere consapevole che il tempo della semina è diverso dal tempo della raccolta».

A proposito di semina: non pensa che la Sinistra arcobaleno potesse fare di più con le candidature, mettere in lista più personalità esterne ai quattro partiti fondatori?
«Assolutamente sì. Avrebbe potuto fare molto di più se fosse stata un fenomeno compiuto. Purtroppo le elezioni hanno beccato questo processo all’inizio ed è prevalsa una logica federativa, cioè dell’accordo fra i partiti. Cosa che la Sinistra arcobaleno dovrà superare. E che sono sicuro che farà, perché il suo destino non è quello di essere un cartello elettorale, ma quello di essere un nuovo soggetto politico unitario e plurale che vada al di là dei quattro partiti».

Per lei che ruolo prefigura, dopo il voto?
«Quello di partecipe a questo processo, senza alcun incarico di direzione».

L’obiettivo di medio termine della Sa?
«Avere una massa critica che consenta di intervenire sulla formazione del senso comune».

Dopo un voto giocato sulla contesa tra Pd e Pdl?
«Il bipartitismo rappresenta una grande questione democratica. C’è un vestito totalmente incongruo con le culture politiche del paese che si vuole far indossare a un corpo non in grado di sopportarlo. Se si prosegue su questa strada o si straccia il vestito o si producono delle tensioni difficilmente governabili democraticamente».

Che vuole dire?
«Primo: senza la sinistra si depriverebbe di rappresentanza una parte importante della società italiana. Secondo: pensare che si possa fare un deserto nella rappresentanza politica vuol dire condannarsi all’idea che forze che esprimono disagio prenderanno la forma di antisistema. Ogni tentativo di drogare la realtà per imporre un esito innaturale come il bipartitismo dovrebbe essere guardato con molta preoccupazione da chiunque abbia un minimo di vocazione democratica».

Chi è che droga la realtà?
«Non ci sono macchinazioni, ma c’è una cultura di fondo, una grande onda che la sinistra dovrebbe riuscire a spezzare. E che vedo in un’operazione massmediatica costruita con grande potenza di mezzi. Chiunque guardi con animo sgombro da pregiudizi un telegiornale o un grande quotidiano vede che è come se la competizione fosse a due. A due più delle frattaglie. Così si produce volutamente un effetto distorcente sulla campagna elettorale».

L’obiettivo, secondo lei?
«Una riforma che non si è avuta la forza di realizzare per via istituzionale. C’è una cultura di riferimento che spinge verso la riduzione della politica al duopolio e verso una logica personalizzata e presidenzialista. Questa cultura è prevalente nelle classi dirigenti, ed è la stessa che ha un’attitudine alla grande coalizione».

Il nesso?
«C’è una propensione delle classi dirigenti a riproporre il pensiero unico duramente incrinato dai fatti, visto che la globalizzazione doveva essere portatrice di magnifiche sorti e progressive e invece porta guerre, diseguaglianze, adesso anche la recessione. È un po’ traballante l’edificio apologetico, ma proprio per salvare il salvabile si pensa alla grande coalizione. In modo che il conflitto venga espulso e quindi malgrado la smentita dei fatti possa essere continuata una manovrabilità che non metta in discussione l’essenziale, cioè il primato della competitività così com’è».

Pubblicato il: 20.03.08
Modificato il: 20.03.08 alle ore 13.31   
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« Risposta #106 inserito:: Marzo 22, 2008, 09:37:38 pm »

Più poveri, più a destra

Nicola Cacace


I dati del sondaggio Demos-Coop, pubblicati da Repubblica secondo cui gli operai da anni tendono a spostarsi verso destra non sono una sorpresa.

Dagli anni Ottanta la finanziarizzazione dell’economia mondiale ha prodotto una profonda redistribuzione della ricchezza a favore di una minoranza delle famiglie senza che i partiti riformisti facessero molto per contrastarne gli effetti. Società dei due terzi, così è stata chiamata quella prodotta dalla fianziarizzazione, nel senso che i due terzi delle famiglie, operaie e ceto medio, peggiorava la propria condizione economomica a vantaggio del terzo più ricco.

Per avere un’idea della finanziarizzazione dell’economia il Fondo Monetario Internazionale stima che negli ultimi dieci anni i flussi finanziari si sono triplicati a 6,4 trilioni di dollari, il 15% del Pil mondiale rispetto al 5% precedente (Finance end Development, March 2007). La finanziarizzazione che il perno della nuova globalizzazione - la globalizzazione esisteva già nel 1929 quando la grande depressione americana colpì il mondo intero con caratteri simili: sia negli Usa che in Italia il Pil impiegò quasi dieci anni per tornare ai valori pre-crisi - è stata accettata dai governi sia conservatori che riformisti con poche varianti ma con gli stessi effetti sociali, la società dei due terzi sempre più poveri.

Non è un caso che oggi in paesi diversissimi come gli Usa e l’Italia il 30% delle famiglie possiede quasi tutta la ricchezza nazionale, immobiliare e finanziaria, lasciando le briciole alla stragrande maggioranza delle famiglie che quindi fa fatica ad arrivare a fine mese. Certamente con motivazioni diverse riformisti e conservatori agivano, chi giustificava la finanziarizzazione con una visione politica precisa come i neoconservatori americani e la signora Thatcher, chi con le esigenze di risanamento come Blair, Ciampi e Prodi. Resta il fatto che la classe operaia e il ceto medio si sono impoveriti dovunque negli Usa come in Gran Bretagna, in Francia come in Italia.

Di fronte al declino delle condizioni di vita e alla fine del sogno di ascesa sociale, operai e ceto medio produttivo spostavano il voto da sinistra verso destra. Perché? Per motivi oggettivi e per errori della sinistra riformista che ha governato nel mondo quegli anni come e più della destra conservatrice.
Ecco i motivi oggettivi dello spostamento a destra. La sinistra riformista ha tardato a capire e a contrastare la profonda redistribuzione della ricchezza cui la finanziarizzazione conduceva mostrando un grave ritardo culturale e politico. Questo avveniva purtroppo in tutto il mondo con l’eccezione dei paesi scandinavi e dell’Olanda, unici paesi dove sviluppo ed eguaglianza sociale sono andati insieme. La sinistra non ha saputo combattere il processo di redistribuzione della ricchezza né sotto il profilo etico, l’ingiustizia sociale che produceva era insopportabile, né sotto il profilo economico, il calo dei consumi di massa e quindi della domanda interna è alla base della grande crisi del 1929 come di quella che si profila oggi, speriamo con esiti meno gravi.

Gli errori soggettivi. La deindustrializzazione è stata erroneamente interpretata a sinistra come una sorta di deoperaizzazione. Niente di più sbagliato! Tutte le statistiche dicono che se l’industria dimagrisce operai e tecnici aumento nei servizi in un modo più che proporzionale. E infine un avvertimento a Walter Veltroni: ha ragione a dire che senza imprenditori non c’è sviluppo ponendo fine al vecchio e superato scontro di classe, farebbe bene ad aggiungere che gli imprenditori sono sì lavoratori come gli altri ma con una differenza, lavoratori con conto in banca.

Pubblicato il: 22.03.08
Modificato il: 22.03.08 alle ore 14.51   
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« Risposta #107 inserito:: Marzo 25, 2008, 03:55:12 pm »

Una buona affermazione de La Sinistra l'Arcobaleno frenerà la vocazione compromissoria di Veltroni

La campagna elettorale per il voto politico del 13 e 14 aprile si è trasformata in una competizione ampiamente drogata.


Veltroni e Berlusconi  la intendono come un confronto esclusivo tra il Partito Democratico e il Partito delle libertà, relegando tutti gli altri ad un ruolo marginale, senza alcuna possibilità di condizionamento.

In questo senso , sono supportati da quasi tutti i media che, manipolando l’informazione, fanno credere che per battere Berlusconi è necessario votare per Veltroni , che può così fruire del cosiddetto voto utile a danno della Sinistra l’Arcobaleno e dei Socialisti, e viceversa,  per sconfiggere la sinistra, è necessario sostenere Berlusconi, in quanto i voti dati agli altri sono “inutili o peggio dannosi”, come lui stesso ha detto.

Le cose non stanno così.

Per Veltroni vincere su Berlusconi è impossibile,  soprattutto al Senato,  dove il premio di maggioranza si attribuisce su scala regionale e dove non può raccogliere tutti i voti che aveva preso l’ Unione.

Prodi aveva cercato di coniugare le due sinistre: quella cosiddetta radicale e quella moderata. Veltroni  ha inventato  il partito a vocazione maggioritaria , autoreferenziale ed autosufficiente, riaprendo la cesura tra le due sinistre e spostandosi fortemente al centro, al punto di dichiarare a El Pais che il suo non è più un partito di sinistra.
In Italia la sinistra fatica a vincere anche se è unita. Una sua parte, per quanto grande, da sola non potrà mai farcela.
Berlusconi può distanziare Veltroni alla Camera e assicurarsi il premio di maggioranza per poter governare da solo. Ma al Senato, contrariamente a quanto sostiene, potrebbe avere un margine ristretto  e , comunque, tale da non garantirgli una sicura governabilità.
Se il raggruppamento al centro guidato da Casini venisse fortemente ridimensionato e comunque non fosse  in grado di  garantire un numero sufficiente di senatori,  potrebbero non esserci alternative ad un compromesso.
Sono tutti concordi nel sostenere che la prossima legislatura dovrà essere costituente, nel senso che il Parlamento dovrà varare una nuova legge elettorale e approntare alcune modifiche alla Costituzione che prevedano, tra l’altro, il Senato delle Regioni , la riduzione del numero dei  parlamentari, più poteri al Presidente del Consiglio.
Per di più è all’orizzonte una congiuntura economica  a dir poco drammatica.
Un governo come quello tedesco della grosse koalition  o una politica delle larghe intese sarebbero, pertanto,  sia da Veltroni che da Berlusconi ampiamente giustificati . Non sono pochi,  infatti,  gli esponenti di entrambi  i partiti che ne hanno cominciato a parlare.
Le stesse gerarchie ecclesiastiche hanno auspicato un’ampia convergenza su temi come il salario, che non concernono le regole del gioco, ma la politica economica, di competenza non del Parlamento, ma dell’Esecutivo.
I programmi,  come è a tutti noto, non si distanziano di troppo e sono fortemente caratterizzati da una ricetta unica, che accomuna tanto il pensiero del centro che della destra.
Innanzitutto le ambiguità sui temi della laicità dello Stato, sui diritti delle donne, gli attacchi alla legge sull’aborto,  in un rinnovato ossequio alle posizioni più arretrate del Vaticano.
Sul piano economico, il benessere della società viene interpretato attraverso un antiquato ed ingannevole indice di crescita economica : il PIL. Primeggia l’idea di un mercato capace di comprendere in sé tutte le risposte, capace di coniugare la redistribuzione della ricchezza con una produzione inesauribile,  palesemente incompatibile con la crescente riduzione delle risorse ambientali .
Purtroppo ai maggiori profitti per le aziende non corrispondono più maggiore occupazione, maggiore potere d’acquisto dei salari, incremento della sicurezza.
La precarietà è la manifestazione più evidente e brutale di queste contraddizioni . Le imprese vengono liberate da tutti i lacci e lacciuoli , ma il risultato non è l’aumento della competitività e della ricchezza, ma una vera e propria devastazione sociale  a carico dei giovani e dei più deboli.
Da entrambi gli schieramenti ci viene prospettata una società con uno Stato più leggero, con meno tasse per tutti. Ma questo significa riduzione della spesa pubblica sociale, radicamento delle attuali ingiustizie e diseguaglianze, riduzione del Welfare State,   indispensabile per chi ha di meno.
Il Partito Democratico, dunque, ha rinunciato a chiare scelte di sinistra e, per di più, ha voluto caratterizzare la sua lista come uno schieramento interclassista, che ospita operai ed imprenditori , anche tra i più conservatori.
L’interclassismo trovava la sua giustificazione nella Dc, Partito centrale del sistema politico in una condizione di democrazia incompiuta e bloccata, come è stata la nostra per alcuni decenni a causa di quello che Ronchey chiamava il fattore K, vale a dire la presenza in Italia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale,  nel periodo della guerra fredda.
Non si giustifica nella democrazia compiuta dell’alternanza, che faticosamente abbiamo conquistato. Un partito interclassista fuoriesce dallo schema sinistra-destra, come è nel resto d’Europa.
Veltroni , che si tiene, come sol dirsi,  le mani libere, con un partito di tale natura può fare,  dopo le elezioni,  qualunque politica e qualunque alleanza.
Lo scontro con l’antagonista  di centro destra serve solo a polarizzare il voto utile,   ridimensionando così gli altri concorrenti che potrebbero sbarrare la strada a quello che , in molti, hanno definito un  grande inciucio.
Tutto depone, dunque, a favore delle larghe intese,  che non costituiscono certo la risposta più idonea ed efficace ai problemi che affliggono il nostro Paese, in materia soprattutto di giustizia sociale ed equità.
Con una larghissima maggioranza  in Parlamento  si potrebbe snaturare, inoltre, la nostra democrazia.
Innanzitutto promuovendo, come è già stato da più parti annunciato, una legge elettorale come il cosiddetto Vassalum , che mira a trasformare il quadro politico italiano , per tradizione storica ampiamente articolato,  in un sistema sostanzialmente bipartitico, conferendo agli altri soltanto un mero diritto di tribuna. E sul piano costituzionale realizzando una vera e propria repubblica presidenziale. Già si parla del Sindaco d’Italia.
L’obiettivo è quello di trapiantare nel nostro Paese  il sistema americano, riducendo fortemente lo spazio della politica ed il ruolo dei partiti, che sono il baluardo di un’autentica democrazia. Con la conseguenza di dilatare il peso delle lobbies e dei poteri forti sul piano economico,  quello della Chiesa sul piano dei temi eticamente sensibili e dei diritti civili,  quello degli USA sul piano della politica estera.
La formazione che, più di ogni altra, può sbarrare la strada alle tentazioni compromissorie  di Veltroni,  è la Sinistra l’Arcobaleno.
Per di più il suo successo  ne vanificherebbe la strategia autoreferenziale e costringerebbe il PD a tornare ad una alleanza di centro-sinistra. Questa volta non più frammentata come l’abbiamo conosciuta, ma semplificata a due grandi partiti , uno di centro che guarda a sinistra ed uno in grado di rappresentare una sinistra fortemente rinnovata , di governo, che  sappia guardare al futuro.
Una considerazione a parte meritano i socialisti che hanno dato vita al PS. Le elezioni dimostreranno che non c’è spazio per una terza forza tra il PD  e la Sinistra Arcobaleno e che, dunque dovranno scegliere.
Sono convinto che moltissimi di loro si orienteranno, come è naturale che sia, sulla sinistra, per rafforzarne la parte più moderna ed avanzata e per contribuire a trasformarla dall’interno in una grande forza che, se di governo, dovrà collocarsi nel campo valoriale del socialismo e partecipare al rinnovamento del PSE.

*Candidato per Alla Camera in Toscana

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« Risposta #108 inserito:: Aprile 01, 2008, 12:10:21 am »

Il voto al Pd non è un voto utile, anzi!


Veltroni ha più volte detto senza Occhetto e la sua svolta noi non saremmo qui, ma oggi tu sei nella Sinistra Arcobaleno, che vuol dire?
Appunto, l’unico errore di questa affermazione è che io non sono lì ma in modo coerente con la sinistra.

La svolta della Bolognina non voleva essere una fuoriuscita dalla sinistra, ne tantomeno dalla tradizione comunista ma semmai ma dal comunismo autoritario che stava crollando in tutto il mondo per dar vita ad una nuova sinistra, quindi un’uscita da sinistra dalle macerie di quella politica, un’uscita da sinistra per salvare i contenuti più alti della tradizione del socialismo italiano nella quale c’era anche la grande esperienza democratica di una parte rilevante degli innovatori del PCI. Ben altra cosa è quella che sta facendo Veltroni e il PD, quasi che loro avessero preso dalla svolta l’occasione per scrollarsi di dosso tutta la tradizione, non solo quella comunista e socialista ma di tutta la sinistra per entrare nel salotto buono. Questo io l’ho sospettato, ma il tipo di campagna elettorale lo conferma in modo clamoroso sia sulla base dei contenuti che sulla scelta delle candidature e di alcune clamorose affermazioni.

La scelta del PD è quella di avere un partito pigliatutto all’americana, ma con una variante trasformistica italiana, che da un lato ha la pretesa di sussumere dentro di se tutta la sinistra eliminando le parti che ne rimangono al di fuori per poi guardare prevalentemente al centro.

Ora chiunque abbia letto la carta d’intenti con cui io feci la svolta capisce che la differenza è come quella tra il giorno e la notte, il PD in modo esplicito non è un partito di sinistra, come spiegare altrimenti l’esigenza di togliere dal nome la parola sinistra, ma si colloca in una tradizione che ci porta fuori e lontano dall’Europa per collocarsi in un sistema politico più simile a quello americano.

Non credi che il PD tenterà di portare l’anomalia italiana in Europa?
Sicuramente per dare una collocazione internazionale non potranno non fare i conti con l’esistenza dei partiti socialisti, che sono l’unica cosa concreta che esiste. Per questo tenteranno di esportarlo ma sebbene trovino alcune porte socchiuse, troveranno molte porte chiuse. So bene che sia Martin Schulz che gran parte del gruppo dirigente francese e della SPD nutrono forti sospetti nei confronti del PD, sospetti che si attutiscono da parte di Blair, solo che il Blair degli ultimi tempi come è noto è stato un punto di contraddizione rispetto alla tradizione socialista europea. Sarà poi difficile che questa operazione possa cambiare il socialismo europeo, al massimo determinerà delle contraddizioni ma anche di questo c’è poco da vantarsi, queste contraddizioni, infatti, non rappresentano un’esperienza anzi alla prova della verità, quando dopo le elezioni europee dovranno scegliere il gruppo in cui entrare le potremo meglio valutare, sarà difficile infatti che i teodem o i radicali oppure gli imprenditori possano fare una scelta in campo socialista.

Il tema dello sviluppo sostenibile è recentemente e prepotentemente entrato nel dna della sinistra cosa ne dici?
Per precisione storica questo passaggio per l’Italia è avvenuto nel XVIII congresso del PCI, quando da Segretario aprii la relazione, fra lo stupore di tutti, sui temi dello sviluppo sostenibile e sull’Amazzonia. In quell’occasione fu considerato una cosa curiosa, tanto che alcuni compagni ebbero la sensazione che avessi sbagliato congresso, e cioè che piuttosto che parlare dei temi dell’imperialismo e delle questioni internazionali, ponessi il drammatico problema del rapporto tra sviluppo ed esistenza del pianeta e facessi della morte dell’Amazzonia l’emblema di questa grave crisi. Ricordo le critiche di quelli che utilizzarono il mio terzomondismo per dimostrare che noi non eravamo una forza di governo. Adesso è chiaro che non esiste alcun programma di governo che sia pure in modo mistificato o falso non parli di Kyoto o non si ponga questi problemi. Ritengo quindi che la cultura ambientalista che ha avuto il merito di nascere anche al di fuori del movimento operaio con una propria autonomia, allo stato attuale faccia parte essenziale della sinistra. Anzi in prospettiva sinistra e ambientalismo non possono che essere la stessa cosa, o meglio non immagino una sinistra che non sia ambientalista, una sinistra che non parta dalla critica al capitalismo, che io ritengo tuttora valida e necessaria, partendo appunto dalla critica al modello di sviluppo, al modo di come si produce e si consuma anche in funzione della difesa dell’ambiente della consapevolezza che se andiamo avanti con una concezione antica della crescita in puro senso materiale e non qualitativo il pianeta nel giro di cinquant’anni salta.

Ma oggi che anche da destra e dal mondo cattolico si alzano critiche al mercatismo, cosa resta da dire alla sinistra?
Credo che la critica al mercato costituisca ancora una parte essenziale della posizione di sinistra. La sinistra ha sbagliato, quando ha voluto contrapporgli degli strumenti che si sono dimostrati inadeguati dal punto di vista economico e anche dell’elevazione umana e sociale, cioè lo statalismo esasperato e il collettivismo autoritario, ma che il mercato lasciato da solo produca ingiustizia e uno sviluppo che può distruggere l’umanità e le relazioni umane, ed essere tremendamente alienante per la persona umana è un dato di fatto che è fondamentale per tutti gli uomini della sinistra.

Porre la critica sul terreno ambientale poi, come ho detto, è come entrare a piedi pari nel piatto del mercato perché è una critica che dice: non lasciamo che gli spiriti selvaggi e animali del mercato continuino a distruggere la nostra umanità e il nostro ambiente. Quindi la critica al mercato è fondamentale, e quando Sartori se la prende con la sinistra che non vuole il mercato e vorrebbe eliminare gli imprenditori dice il falso. La sinistra vuole qualche cosa di fondamentale importanza, ovvero un rapporto nuovo tra regole e mercato, e io aggiungo che sono diffidente verso il fatto che oggi quando si parli di riforme si parli di privatizzazioni, questo mi fa accapponare la pelle perché le vere riforme sono quelle capaci di trovare un rapporto virtuoso fra pubblico e privato dove non c’è la negazione del privato, ma c’è una capacità di ricondurlo, anche alla luce dell’articolo 3 della nostra Costituzione che dice che bisogna rimuovere tutti gli ostacoli allo sviluppo della persona umana, alle sue esigenze sociali e pubbliche.

Come vedi e quali prospettive per la sinistra italiana e per la SA?
Molto francamente la sinistra che emerge da questa lista non è ancora la sinistra che io avrei voluto. Avrei desiderato un passaggio molto più coraggioso, dopo la fuoriuscita dai Ds di Mussi e degli altri compagnia,  c’era una grande speranza. Poi abbiamo avuto momenti, soprattutto nella formazione delle liste, dove sono prevalse le vecchie botteghe non si è andato avanti fino in fondo nelle unioni di valori piuttosto che nell’unione d’apparati. So che questa è una critica diffusa, però proprio a quelli che fanno questa critica voglio dire non è il momento di fare gli schizzinosi quello che noi dobbiamo costruire con queste elezioni è una trincea, scavare una trincea di difesa, perché se questa trincea di difesa non c’è la sinistra italiana, anche quella nuova più bella, quella che ciascuno di noi vorrebbe, non ci sarà.

E’ quasi una questione di vita o di morte, e in questo senso la campagna elettorale è ancora sotto tono rispetto alla drammaticità, e vorrei che questo fosse sottolineato, c’è troppo buonismo a sinistra. Abbiamo i due massimi partiti che danno botte da orbi e c’è una risposta che su questo terreno è insufficiente, anche sulla questione del voto utile io vorrei che si dicesse con estrema chiarezza che il voto al PD non è un voto utile, perché i dati ogni giorno dimostrano che quello scarto non è colmabile, e che uomini e donne di sinistra, ai quali negli ultimi tempi non è piaciuto qualcosa, devono essere consapevoli che se si vota il PD si compiono due delitti: primo non si impedisce alla destra di vincere, secondo si favorisce la distruzione della sinistra, cosa che è grave ancor di più alla luce del fatto che proprio qualche giorno fa Veltroni in un’intervista sul quotidiano il manifesto alla domanda se si alleerà prima o poi con la Sinistra Arcobaleno ha detto che non se ne parla al governo ma nemmeno domani all’opposizione, il che ritengo una cosa clamorosa.

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« Risposta #109 inserito:: Aprile 03, 2008, 04:49:26 pm »

Bertinotti: «Sinistra alleata del Pd? Mai dire mai»


Amici come prima? Dipende dai punti di vista. Il Partito Democratico e la Sinistra Arcobaleno guardano al dopo elezioni da angolazioni differenti. Molto differenti. Il leader del Pd Walter Veltroni chiude le porte: «La nostra decisione di correre liberi non è strumentale», sottolinea. E dunque, ferma restando la disponibilità a «discutere con tutti, non ci saranno ritorni a vecchie alleanze». Il candidato della Sinistra Fausto Bertinotti, invece, concede una chance: «Mai dire mai: può darsi che dopo le elezioni il Pd cambi strategia e guardi a sinistra e magari si possa aprire un dialogo che oggi, con le posizioni che il Pd ha, non sarebbe possibile».

La strategia di Bertinotti è, intanto, chiara: non disperdere voti, raccogliere consenso intorno al progetto unitario della sinistra. Non a caso il presidente della Camera rivolge un appello ai «tanti indecisi di sinistra, che lo sono per delusione del governo Prodi. Li invito a pensarci bene, perché se non cresce la sinistra non ci sarà mai nessuna possibilità di influire».

Rispondendo ad un elettore, Bertinotti ammette che il suo obiettivo non è diventare presidente del consiglio. Spazio quindi alle proposte. Al primo posto nel programma della Sinistra Arcobaleno, «l'innalzamento del minimo pensionabile» a ottocento euro al mese: «Una cifra al di sotto della quale non si può stare». Ma attenzione anche al tema delle riforme istituzionali: «Abbiamo camera e senato che fanno esattamente le stesse cose. Questo bicameralismo perfetto ormai è assolutamente obsoleto».

Pubblicato il: 03.04.08
Modificato il: 03.04.08 alle ore 16.08   
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« Risposta #110 inserito:: Aprile 07, 2008, 10:10:27 am »

Caro Franceschini, se ragioni così allora è Berlusconi che ha già vinto in te

Adesso bisognerà cambiare opinione su Dario Franceschini. Spiace doverlo dire, ma se l’è cercata. Un uomo come lui ritenuto fin qui equilibrato, uno dei migliori prodotti del cattolicesimo democratico, capace di ragionare con le categorie della politica. Una cosa così, da uno come lui, non te la aspetti. Perché certo la battaglia elettorale ha le sue regole e anche i suoi colpi bassi. Ma la mistificazione è un’altra cosa e fin qui non gli apparteneva.

Bertinotti come Nader, arriva a dire. Quanto errori in una frase sola, quanta reputazione ti sei dissipata, caro Dario. Possibile che tutto deve avere per te e il tuo Partito Democratico l’orizzonte della politica americana? Passi lo slung lessicale newyorkese, ma l’ossessione arriva al punto di paragonare Bertinotti a Nader. Trattasi di una vera e propria cazzata politica che mi fa pensare  - fino ad oggi ero convinto del contrario – che tu sia meglio come romanziere di secondo livello che come dirigente politico.

Nader è un magnate americano che con una certa puntualità  ogni quattro  anni, a ridosso delle votazioni, depone sul tavolo un fracco di dollari e si lancia nella corsa. Così, dall’oggi al domani, poi scompare. E in quel sistema politico che tu dimostri di amare a tal punto da volerlo sostituire con quello della nostra storia italiana ed europea, uno come Nader può segnare la vittoria o la sconfitta, per una manciata di voti, di questo o di quel candidato. In un Paese – l’America – che certamente ha nel suo DNA il senso della democrazia, ma dove va a votare – te lo sei dimenticato? – meno della metà dei cittadini e dove il ruolo dei soldi anche in politica sta sopra ogni altra cosa.

L’Italia non è ancora così, con tutti i suoi immensi difetti. Dire che Bertinotti e La Sinistra l’Arcobaleno stanno dentro questa partita elettorale italiana come ci sta in America Nader, cioè lì per far vincere Bush e qui per far vincere Berlusconi, vuol dire compiere uno strappo politico di cui ti assumi, per l’oggi e per il domani, l’intera responsabilità.  La Sinistra italiana ha una storia, non devi dimenticarlo, una storia che ha le sue radici nel tempo, nella difesa degli umili e dei diseredati, nella liberazione del nostro Paese, nella scrittura della sua Carta fondamentale, nella lotta per i diritti delle donne.

Questa Sinistra ha commesso, nel suo cammino politico, diversi errori e ha conosciuto profonde divisioni.
È stata anche in questo pienamente dentro una vicenda e una storia europea con cui sta facendo i conti. Non a tavolino, ma nella testa e nel cuore di milioni di persone, perché è stata una cosa grande e importante e vuole, attraversando quegli errori, tornare ad essere una forza politica che mette il suo peso per riscattare l’Italia dal declino attuale.

Cosa c’entra Nader, questo rincoglionito rompiscatole? E soprattutto, caro Franceschini, cosa mai ti ha spinto a ragionare così?
Alle elezioni politiche italiane il tuo partito e la Sinistra vanno divisi perché tu e Veltroni avete voluto correre da soli, senza tentare la via – l’unica che veramente avrebbe potuto far perdere la destra – di dare vita ad un nuovo centrosinistra. Ma a Roma, in Friuli Venezia Giulia, in Sicilia, in migliaia di altri comuni italiani ci presentiamo insieme e si vota lo stesso giorno delle elezioni politiche.

Ti sei chiesto, prima di paragonare una forza politica che trae vita dalla società italiana al miliardario rincitrullito che fa vincere il cowboy dalla guerra facile, con quale spirito adesso tante elettrici ed elettori guarderanno al momento del voto in questi comuni alla tua geniale pensata?
A leggere bene però la tua intervista si giunge a capire qual è per te il punto vero. Il punto vero del tuo ragionamento è che questa legge elettorale comincia a piacerti.

Ti stai accorgendo che è funzionale alla scorciatoia politica che ha intrapreso il tuo partito.
Riveli, in questa intervista, che un nuovo partito, il tuo partito, il Partito Democratico, ora che la legge intanto c’è la sfrutta fino in fondo per costruire su di essa , cioè sul porcellum, un nuovo sistema politico in Italia, a cominciare   da quello che la Costituzione Repubblicana non prevede, cioè l’elezione diretta del premier. Un sistema politico che darà vita alla nuova era, la data c’è già, è IL 15 aprile.

La storia, il passato, non c’è più e se qualcosa ne rimane ha sempre e solo il segno negativo.
Ci sono diverse forze politiche che si presentano al voto, anch’esse come le due maggiori con un programma, con una storia, con donne e uomini che ci credono? Stronzate, ci dice oggi Franceschini, contano solo il suo partito e quello di Berlusconi. Poco importa se – questo lo dice l’intera stampa estera – i due programmi elettorali sono simili e simile è anche il cumulo di promesse giornaliere volte a conquistare indecisi e indifferenti. E allora vedi, caro Dario, se tu avessi ragionato con le categorie della politica che pure hai dimostrato altre volte di possedere, avresti visto con rispetto e interesse storie, programmi, donne e uomini di altre realtà politiche diverse dalla tua e un eresia come quella che ti è capitata di dire oggi non l’avresti neppure saputa pensare. Ma purtroppo la propaganda ha talmente preso in te il sopravvento rispetto alla politica da non farti accorgere che non è Bertinotti, come Nader, quello che può far vincere Berlusconi, ma piuttosto è Berlusconi che già vinto in te.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #111 inserito:: Aprile 07, 2008, 05:52:52 pm »

IL PREMIO NOBEL 

Appalto delle coop rosse per Camp Ederle 2, Dario Fo «indignato»
 
 
Dario Fo si dice deluso e indignato dal fatto che la 'coop rosse' abbiano vinto l'appalto per la messa in opera della base militare Usa al Dal Molin di Vicenza .

«È una vittoria, questa, che corrisponde a una dura sconfitta per la storia del mondo del lavoro - afferma il premio Nobel in una dichiarazione diffusa dal Presidio permanente contro la base Usa - È doveroso ricordare che nel loro statuto le coop si impegnano a contribuire in modo costruttivo alla tutela del patrimonio ambientale, ma a Vicenza, aggiudicandosi questo appalto, si impegnano invece a realizzare un impianto militare, con depositi d'armi all'uranio impoverito e forse anche atomiche sopra la più grande falda acquifera del nord Italia».

Secondo Fo, che oggi sarà a Vicenza e per sostenere la candidatura di Cinzia Bottene e della lista 'Vicenza Libera- No Dal Molin' alle elezioni amministrative, «delude e indigna rendersi conto come associazioni nate per consorziare e difendere i lavoratori dallo sfruttamento di arroganti speculatori, si ritrovino oggi coinvolte in prima persona dentro azioni di profitto spregiudicato e privo di ogni codice etico».


da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #112 inserito:: Aprile 08, 2008, 06:04:08 pm »

«Purtroppo sull'Universita' l'Unione ha disatteso le promesse e tagliato le risorse»

«Noi i killer di Prodi? Una balla colossale»

Fabio Mussi, candidato di SA, in videochat su Corriere.it: «Facciamo la sinistra perché nel Pd non c'è

 

MILANO - «La differenza con il Pd? Intanto che ci chiamiamo sinistra, mentre il Partito democratico è orfano sia della parola sia del concetto. E io trovo inconcepibile che in un grande Paese europeo come l'Italia possa in futuro non esserci più un soggetto che si autodefinisca come sinistra politica». Lo ha detto Fabio Mussi nel corso della videochat con i lettori di Corriere.it. «Lavoro e precariato; ambiente e sistema economico; e diritti civili: sono questi - ha aggiunto - i punti in cui le differenze programmatiche tra noi e il Pd sono più rilevanti». «Non è sano - ha poi sottolineato il ministro dell'Università - un sistema politico in cui tutti si ammucchiano al centro».

«UNA BALLA COLOSSALE» - Del resto, ha fatto notare Mussi, è stato proprio il centro a mettere in crisi l'esecutivo di Romano Prodi. Ed è «una colossale balla» l'idea che sia stato il blocco di sinistra a causare il dissolvimento della coalizione. Quanto alle accuse che lo stesso Prodi avrebbe rivolto all'ala più estrema dell'ex Unione, il ministro ha spiegato che «Prodi non ha né confermato né smentito e mi piacerebbe che lo facesse» e che quindi la ricostruzione fatta dalla stampa potrebbe benissimo non corrispondere al vero.

CROLLO AL CENTRO - «Il governo lo hanno fatto cadere Mastella e Dini - ha poi precisato -, mentre i ministri della sinistra non sono mai stati in piazza contro l'esecutivo e mai i suoi parlamentari gli hanno votato contro in Parlamento. Certo, nel consiglio dei ministri abbiamo fatto alcune battaglie su questioni su cui oggi in campagna elettorale si promettono cose sbalorditive: intervento sui salari e sui redditi più bassi, interventi a favore dei precari, più soldi all’università e alla ricerca. Ma non si potevano fare queste cose che oggi si promettono già nella Finanziaria, come chiedevamo noi? I ministri del Pd erano 20, avevano il premier e i due vicepremier, i ministri chiave, i due gruppi parlamentari di maggioranza. Qualcuno che ha avuto tutto questo potere si assuma un po’ delle proprie responsabilità».

«PD-SA? RIAVVICINAMENTO POSSIBILE» - Quello che poi è certo, secondo Mussi, è che il centrosinistra pagherà la scelta di Veltroni di correre da solo, «anche se poi non è vero visto l'incorporamento dei radicali e l'alleanza con Di Pietro». Il Pd, ha evidenziato il ministro, un obiettivo lo ha però raggiunto: «tagliare ogni legame con ogni tipo di sinistra, la nostra e quella dei socialisti». Tuttavia, a differenza di molti esponenti democratici che non intravedono possibilità di accordi post-elettorali con Sa, Mussi non esclude che in futuro ci possa essere un riavvicinamento tra le componenti del centrosinistra: «Se avremo un grande consenso - ha precisato - potremo anche pensare di cambiare la posizione politica del Pd e ricreare le condizioni per un'alleanza». Una correzione di rotta è però necessaria: a chi gli chiedeva come mai non avesse imboccato la strada nuova dell'adesione al Pd, Mussi ha spiegato: «in politica il nuovo e il vecchio non vogliono dire niente, esistono solo i concetti di destra e di sinistra». E il Pd «è un partito di cui non capisco identità, collocazione storica e internazionale e cemento».

UNIVERSITA' E RISORSE - Mussi, parlando del sistema universitario, ha poi ammesso che «violando gli annunci e le promesse dell'Unione anche il governo di cui faccio parte ha tenuto bassi gli investimenti in questo settore» arrivando addirittura a fare dei tagli e lasciando così risorse inferiori a quanto previsto dalla Moratti e da Berlusconi. Il ministro ha però rivendicato il merito di avere iniziato a rimettere mano alla giungla delle lauree, proliferate a dismisura negli ultimi anni, e di avere «svincolato le grandi nomine della ricerca dal controllo e dal condizionamento dei partiti politici». E ha puntato il dito contro il numero eccessivo di atenei sul territorio nazionale e, in particolare, sulle loro sedi distaccate: «In Italia abbiamo 105 province e ben 360 sedi universitarie - ha fatto notare -. E' una cosa pazzesca che nessuno ha mai fermato. Io, da ministro, ci ho provato».

L'ESPERIENZA DEL TRAPIANTO - Mussi ha infine parlato dell'operazione chirurgica recentemente subita, per un doppio trapianto di rene. Un intervento, ha spiegato rispondendo ad un lettore che glielo chiedeva espressamente, che ha effettuato agli Ospedali Riuniti di Bergamo perché «l'Italia ha un sistema sanitario pubblico di alta qualità». Un'esperienza, quella del ricovero e della convalescenza, che gli ha cambiato la vita. Mussi ha evidenziato che «un trapianto di organi non è acqua fresca», neppure per il significato che porta in sé: «una persona sconosciuta che con un gesto gratuito di amicizia ti consente di vivere». Anche per questo, al di là dell'impegno in politica, il ministro ha spiegato di voler fare «il testimonial» a favore della cultura della donazione di organi: «uno straordinario gesto di umanità, una cosa fantastica, il miracolo di una vita che finisce ma che al tempo stesso aiuta ad allungarne un'altra».

Alessandro Sala
08 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #113 inserito:: Aprile 11, 2008, 03:04:12 pm »

POLITICA

Il prossimo passo sarà il lancio della costituente. "Il voto utile?

È una droga pesante immessa nella campagna elettorale"

Bertinotti: "Dal voto nasce la nuova casa della sinistra"

di UMBERTO ROSSO

 

ROMA - "Siamo agli sgoccioli. Adesso toccherà a voi, avanti le giovani generazioni". Arriva in piazza Navona, per chiudere a Roma la sua lunga cavalcata, e Fausto Bertinotti già immagina la staffetta, pensa al dopo-voto. Quando, qualunque sia il responso delle urne, fatto il passo indietro da leader operativo, lancerà il suo appello: non si farà retromarcia dalla sinistra unita. E già lunedì sera il presidente della Camera potrebbe annunciare quest'ultima sfida: un'assemblea costituente al più presto per dar vita al nuovo partito. Un buon risultato metterà le ali ai piedi al progetto, se no la battaglia sarà tutta in salita.

Così, con Dario Vergassola nel ruolo di intervistatore-provocatore, e davanti a qualche migliaio di militanti e non (si affacciano anche Minoli e la cantante Tosca), consegna il messaggio per la sfida di domenica ma pure quello per il futuro della Cosa rossa. Il voto utile? "Droga pesante". Immessa da Veltroni e Berlusconi in campagna elettorale per "distorcerne l'andamento", e dunque "mistificare la realtà". Il bersaglio della sfida di domenica è il "Veltrusconi", con le magliette-gadget della "creatura" che passano di mano in mano. Il duopolio, accusa Bertinotti, che non è "nè innocente né neutro" e che punta a azzerare la sinistra, la cui affermazione viceversa è proprio la condizione preliminare per "far saltare l'inciucio".

Dalle urne, ecco qui il senso di marcia che il candidato vuol dare all'operazione, "può nascere una nuova sinistra, la sinistra arcobaleno, la casa di tutti noi. Non ci chiuderemo in una riserva". Per cui, come si usava nei comizi di una volta, compagni "andate casa per casa, strada per strada e chiedete un voto per quel giorno". Lungo applauso liberatorio, Vergassola non si lascia sfuggire l'occasione, "e a casa date anche una carezza ai vostri bambini, dite che è di Fausto...". Al quale, fra l'altro, chiede: "Ma Bossi con quella frase sui fucili non è stato un po' un pistola?". Oppure: "Fini diceva che Berlusconi era alle comiche finali, ma ora lui che fa, Stanlio?".

Bertinotti si diverte. Ma poi distribuisce equamente fendenti al capo del Pd e a quello del Pdl. "Volgare" l'accusa di Veltroni al Prc per la crisi del governo Prodi, "su quel ramo non c'eravamo seduti solo noi ma tutte le forze che si erano unite contro Berlusconi". Mea culpa per i risultati ottenuti con il governo del Professore, ma dopo cinque anni devastanti del Cavaliere "dovevamo provarci a stare a Palazzo Chigi, ma non è andata come volevano". Ma, citando Gramsci, il compito è di provarci e riprovarci, "lo abbiamo fatto con il governo, ora riproviamo dall'opposizione perché questo è il nostro dovere". Il generale Del Vecchio non vuole gay nell'esercito? "Se fosse stata approvata la legge sull'omofobia sarebbe stato denunciato e condannato".

Berlusconi e Dell'Utri considerano Mangano un eroe? "E' la loro idea di giustizia: condannano i comunisti e assolvono i mafiosi". Oggi ultimi fuochi per la campagna elettorale del candidato premier della Sinistra arcobaleno: prima Genova poi in serata chiusura a Torino, dove sul palco ci sarà anche Sergio Cammariere.


(11 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #114 inserito:: Aprile 12, 2008, 10:42:45 am »

Sinistra Arcobaleno, Bertinotti: «Faremo l'opposizione»


Genova 2008. A sette anni dalle tragiche giornate del G8, Fausto Bertinotti sceglie il capoluogo ligure per la penultima tappa del suo tour elettorale. Venerdì sera, la festa di parte conclusiva a Torino, patria del lavoro, purtroppo anche di quello che uccide. Il candidato della Sinistra Arcobaleno è a Genova «per continuare a tenere viva la richiesta di verità»: «Naturalmente è giusto che la magistratura faccia il suo corso – spiega – ma avere impedito la commissione d'inchiesta è un punto oscuro nella storia del Paese. Anche per questo sono qui».

Insomma, Bertinotti fa una scelta di parte anche sui luoghi che ha scelto di visitare. Ed è da Genova che il presidente della Camera tiene a sottolineare «i momenti di questa campagna elettorale in cui riemergono nella destra scampoli di cultura fascista. Scampoli – aggiunge – che per tanto tempo la destra stessa aveva cercato di allontanare».

Basta pensare a giovedì, quando prima che iniziasse il comizio della Sinistra Arcobaleno in piazza Navona a Roma, camper de La Destra hanno impunemente scorrazzato per la piazza vietata al traffico. Solo un episodio apparentemente innocuo ma sintomatico della destra senza regole che vuole tornare al potere.

Bertinotti lo sa, «faremo l´opposizione». E non ha troppe speranze nell´ipotesi di un accordo futuro con il Pd: «È il Pd – ha ricordato – che ha detto no ad una coalizione con la sinistra, andando da solo e con una piattaforma sostanzialmente neocentrista. In ogni caso – aggiunge – noi traiamo dalla esperienza del governo di centrosinistra di Prodi, che ha fatto anche delle cose utili, penso in particolare alla politica internazionale, un elemento di delusione molto presente nel popolo per quello che non è stato fatto in termini di cambiamento radicale di politica economica e dei diritti della persona».

Per convincere gli indecisi e i delusi, Bertinotti punta tutto sulla sua ricetta economica: «Bisogna ridurre le rendite e i profitti – ha spiegato – I salari sono sempre aumentati a scapito di rendite e profitti sia per via contrattuale sia fiscale. Non è difficile sapere come ma è difficile realizzarlo. Basterebbe intanto introdurre l'indicizzazione di salari e pensioni come c'è già in Francia».

Pubblicato il: 11.04.08
Modificato il: 11.04.08 alle ore 19.41   
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« Risposta #115 inserito:: Aprile 15, 2008, 02:30:08 pm »

POLITICA

SA e il Ps non raggiungono il quorum. In un colpo escono dalle istituzioni la sinistra storica e quella dei movimenti

La fine di un'epoca, un Parlamento senza comunisti né socialisti

di ANDREA DI NICOLA

 
ROMA - Sono passati 60 anni da quando un comunista, Umberto Terracini, firmava la Carta costituzionale della neonata repubblica. Sei decenni dopo, e per la prima volta da quando il fascismo li aveva messi fuorilegge, nel Parlamento italiano non siederanno né comunisti, né socialisti. Il poco più del 3% preso alla Camera dalla Sinistra e l'Arcobaleno e lo 0,9% raccattato dagli eredi di Pietro Nenni e Bettino Craxi non lasciano possibilità. A Montecitorio e Palazzo Madama nessuna targhetta adornerà le stanze dei gruppi parlamentari con i simboli del lavoro che hanno percorso tutto il '900.

I socialisti hanno provato a fare breccia battendo la via del laicismo, della contrapposizione netta, diretta e frontale alllo "Stato clericale" che da Boselli in giù gli eredi del garofano indicavano come il pericolo massimo per il Paese. Ma non ha pagato.

Gli eredi del comunismo nelle sue varie forme ci hanno provato. Hanno provato a rinunciare a nome e simboli per resistere ancora una Legislatura, per portare questo fardello novecentesco nella storia politica del XXI secolo, ma non è bastato. Dalle politiche del 2006, dopo due anni di governo, i partiti che formavano la cosidetta "sinistra radicale" hanno perso il 9%. "Una sconfitta di proporzioni impreviste" ha detto desolato il leader Fausto Bertinotti.

Una sconfitta che lascia senza rappresentanza parlamentare non solo la "sinistra storica" ma anche tutto un mondo che prima fra Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani trovava un suo riferimento nelle istituzioni. La sinistra dei comitati, dei centri sociali, dell'antagonismo. Via i pacifisti che appena 5 anni fa riempivano le piazze e le strade, fermavano i treni che portavano armi all'Iraq, che riempivano le finestre d'Italia di bandiere arcobaleno. Via i comitati del no: niente rappresentanza per i vicentini che non vogliono la base Usa né per i valligiani che vogliono fermare la Tav che dovrebbe invadere le loro terre. E i centri sociali? Quante volte Rifondazione o i Verdi erano intervenuti per tenere a freno questi compagni un po' troppo esuberanti? Anche per loro niente più lacci, lacciuoli, equilibri di partito o di coalizione da tenere insieme. Caruso torna a casa nel suo Sud Ribelle, Daniele Farina al Leoncavallo di Milano. Che farà ora l'area dell'antagonismo militante? In molti fra loro, in realtà, tirano un sospiro di sollievo.

In un colpo solo, insomma, sono scomparsi la vecchia e la nuova sinistra. Ha pesato l'astensionismo, certo, molti compagni che piuttosto che beccarsi Berlusconi hanno preferito "turarsi il naso" e votare Veltroni, due anni di governo con poche prede nel carniere da esibire al momento della campagna elettorale; un leader un po' appannato dagli stucchi e dagli ori degli appartamenti riservati al presidente della Camera. Pesi diversi e tutti influenti ma resta il fatto che una stagione è finita nel modo più brusco. Nichi Vendola che sarà probabilmente chiamato a ricostruire dopo il terremoto e che è anche il leader più immaginifico che si agita nella sinistra, ormai, extraparlamentare, lo ha detto subito, a caldo: "Il Novecento ci è precipitato addosso".

(14 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #116 inserito:: Aprile 16, 2008, 12:06:49 pm »

POLITICA

Sinistra Arcobaleno, la sfida del ministro nel week end

Verdi, Pecoraro dimissionario. Si chiede l'azzeramento del vertice

Rifondazione, è resa dei conti e Ferrero punta al ribaltone

di UMBERTO ROSSO

 

ROMA - "Benissimo il congresso straordinario anticipato. Ma da qui a luglio compagni che facciamo, tiriamo avanti con questa linea disastrosa?".
Quando il ministro Paolo Ferrero nella riunione di segreteria prende la parola, invocando l'immediata convocazione del parlamentino di Rifondazione, e sparando alzo zero su Bertinotti, Franco Giordano e i suoi capiscono subito che la sfida del ministro ormai è lanciata. E che la resa dei conti, ancora prima di arrivare all'appuntamento congressuale di inizio estate, potrebbe scattare in tempi assai più ravvicinati.

Già in questo week end, appunto sabato e domenica nella riunione del comitato politico nazionale, dove il ministro e i suoi alleati - l'area ex Dp di Russo Spena ma anche le due minoranze dell'"Ernesto" guidate da Grassi e da Giannini - potrebbero chiedere la conta per sconfessare la rotta fin qui seguita dai vertici del partito. Magari accendendo, a quel punto, la miccia del ricambio immediato alla testa del Prc. Con un organismo collegiale di transizione verso il congresso, se non con un vero e proprio nuovo leader subito.

Franco Giordano ci ha provato in riunione a stanare lo sfidante, "potresti anche dirci chiaramente se stai avanzando una tua candidatura al mio posto", ma naturalmente il ministro ha volato alto. "La sconfitta è colpa di tutti quanti, non ne faccio un fatto personale. Quel che certo, è che io ero e resto assolutamente contrario allo scioglimento di Rifondazione".

Nelle stesse ore, il terremoto scuote gli altri compagni della sfortunata avventura elettorale. Ognuno per sé comunque, l'autocritica nel chiuso delle rispettive stanze, nessuna riunione è convocata né per il momento prevista nella casa comune della Sinistra di via Veneto, frettolosamente svuotata. Se Diliberto abbandona il condominio che brucia ("non l'abbiamo più visto, ci ha comunicato l'addio - si lamentano gli ex soci - con un titolo di Rinascita, "bye bye Bertinotti"), fra i verdi va all'attacco Marco Boato, che chiede l'azzeramento del vertice del Sole che ride. "Pecoraro Scanio - accusa l'ex deputato - avrebbe già dovuto rassegnare il suo incarico molte ore fa".

Il ministro, il presidente del movimento De Petris e il resto dello stato maggiore annunciano piuttosto che si "presenteranno dimissionari" alla riunione del consiglio federale, e comunicano che anche i verdi sono pronti ad affrontare le prova del fuoco di un congresso straordinario. "Ripartiremo dalle piazze", spiega Pecoraro.

Fabio Mussi riunisce la presidenza di Sd, e comunica di trovarsi sull'orlo delle dimissioni da segretario, "tutto è precipitato cogliendomi in un momento difficile della vita, tuttavia mi sento politicamente corresponsabile del disastro, e ne trarrò le conseguenze". Sinistra democratica, fra i vecchi compagni di strada della Cosa rossa, è l'unica che mantiene l'asse con Bertinotti sulla strada della costituente per la nuova sinistra. Solo che dentro il Prc, scosso perfino dalle proteste del popolo rifondarolo del web, l'aria per la maggioranza si fa pesante.

Ferrero lavora apertamente al ribaltone. Accusa lo stato maggiore della sua organizzazione: "L'errore è stato di aver voluto annacquare il ruolo del nostro partito dentro la casa comune. Il Prc invece deve restare forte, con la sua identità dentro un soggetto più grande. Ma se mi riproponete tale e quale il progetto della Sinistra arcobaleno, allora davvero volete lo scioglimento di Rifondazione".

E' il punto dello scontro, il nodo che accende gli animi nel confronto in segreteria. Con Giordano, Migliore, Ferrara, De Cesaris e gli altri bertinottiani a spiegare che indietro non si può tornare, che "l'idea di una grande Rifondazione dentro una grande sinistra è vecchia e deve purtroppo fare i conti con la realtà del voto", e che comunque nessun vuol dare l'addio alla storia del partito. Ma non convincono i "ferreriani" della segreteria, Fantozzi, Fraleone, Barbarozza. L'aria è quella della conta e della spaccatura. Fausto Bertinotti, come promesso, ha ceduto il passo e resta dietro le quinte. Ma se nella battaglia per la leadership del partito l'opposizione dovesse mettere insieme le forze per far traballare Giordano, il grande vecchio è pronto a giocare la sua carta vincente: Nichi Vendola.

(16 aprile 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #117 inserito:: Aprile 16, 2008, 06:25:44 pm »

Vendola: «Per gli elettori è solo un logo che copriva roba vecchia»

Simone Collini


«L’Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie. E anche probabilmente inefficaci rispetto all’agire politico».
Nichi Vendola è impietoso nell’analisi del perché Prc, Pdci, Verdi e Sd sono rimasti fuori dal Parlamento. Adesso, dice il governatore Puglia, quello su cui si concentrano le speranze di risalire la china, «dobbiamo accelerare quel cantiere che è stato solo annunciato sulla scheda elettorale, ma che non è mai partito».

Veltroni giudica un limite che la Sinistra arcobaleno non sia rappresentata in Parlamento. È anche lei tra quanti lo giudicano corresponsabile, per via dell’appello al voto utile, di questo risultato?
«A me piace indagare le cause piuttosto che i colpevoli. L’analisi così può essere più limpida e meno grondante di risentimenti».

E la sua analisi a che conclusioni porta, presidente Vendola?
«Il terremoto è stato provocato dalla delusione per il governo Prodi, che diventa un giudizio folgorante per noi tenendo a casa una percentuale elevata di elettori, dall’attrazione fatale verso il voto utile in un Paese che ha evidentemente metabolizzato più di quanto non immaginassimo tendenze culturali di tipo americano, e dal fatto che una parte del nostro elettorato operaio e popolare ha trasformato la propria insoddisfazione in un salto verso il voto leghista. Queste sono le spiegazioni di quanto avvenuto, la radiografia di un collasso».

E questo collasso, come dice lei, non vi era stato preannunciato in qualche modo?
«Diciamo che l’indebolimento cardiaco ha ragioni di lungo periodo. E chiaramente era insufficiente, di fronte al cuore debole della sinistra, un mero cartello elettorale».

Era soltanto questo la lista Sinistra arcobaleno, secondo lei?
«L’Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie, cose probabilmente inefficaci rispetto all’agire politico. Non è stato metabolizzato come il segno di un processo nuovo, come la prima prova del cantiere della sinistra che verrà».

Come ripartire?
«Ci sono due strade. Una è quella del suicidio, attraverso la ritirata burocratica negli accampamenti ridotti dell’identità».

Una risposta a quanti, come i vertici del Pdci, sostengono che avete perso perché avete abbandonato i simboli tradizionali e propone di ripartire dalla falce e martello?
«Se c’è qualcuno che intende consolarsi con questo tipo di elucubrazioni è libero di farlo. Però mi sembrano riti di esorcismo, piuttosto che analisi della realtà. Si può anche dire: è stato quel che è stato perché non c’era bisogno di una nuova sinistra, bisogna sventolare le bandiere della vecchia sinistra, riorganizzare le tende e gli eserciti. È un’ipotesi, certo. Ma io la considero un suicidio. E devo anche dire che non mi stimola molto, né culturalmente né umanamente».

L’altra ipotesi, allora?
«Per chi ha ancora dentro la propria testa una lezione di marxismo non dogmatico è l’analisi spietata del mondo di oggi, la costruzione di un cantiere che non è il museo della gloria del passato ma che è il luogo plurale e aperto in cui una nuova soggettività possa interloquire con le domande e i problemi del ventunesimo secolo. Bisogna ricostruire il proprio campo, i propri strumenti dell’agire politico, cioè il cantiere dell’Arcobaleno, quello che non è mai partito, che è stato solo annunciato su una scheda elettorale».

Non è mai partito dice? E gli stati generali, il simbolo unitario, il lavoro comune per le liste?
«Allora diciamo che è partito lentamente, molto lentamente, ma che ora deve ingranare la marcia del coraggio innovativo. Questa è l’unica prospettiva che io considero utile per la sinistra, per una sinistra che voglia essere utile al paese. Tutto il resto mi pare appartenere al folclore».

Questo processo richiede un ricambio delle classi dirigenti?
«L’ho detto prima della sconfitta elettorale. Ho parlato di me, ho detto che abbiamo il compito di lavorare per passare il testimone a una nuova generazione, e farlo in tempi rapidi. Ci vuole un nuovo alfabeto della sinistra, una nuova conoscenza della geografia del lavoro e dei lavori, c’è bisogno della disseminazione di luoghi nuovi che diano significato alla politica intesa come costruzione di una comunità».

Passare il testimone a una nuova generazione dice, eppure in molti si aspettano che sia lei a guidare la fase costituente della nuova sinistra.
«In questo momento dobbiamo decidere che cosa fare, e quindi prima di tutto dobbiamo scegliere una delle due strade indicate prima. Poi, insieme, in un lavoro molto collegiale, dobbiamo edificare il cantiere. E in esso tutto deve essere messo in discussione, anche le forme di costruzione delle leadership. Perché può darsi che un nuovo soggetto della sinistra plurale abbia bisogno di una leadership eterodossa rispetto a quelle conosciute».

In che senso eterodossa?
«Si può pensare a una leadership duale, o a rotazione, cioè a meccanismi diversi da quello carismatico e anche autoritario del leader e che invece esaltino la dimensione del lavoro collegiale».

A luglio il Prc andrà a congresso e si profilano almeno due mozioni contrapposte, quella di Giordano sul soggetto unitario e quella di Ferrero sulla federazione di forze: diamo per scontato che lei sosterrà la prima mozione?
«Di scontato c’è un principio di realtà, una consapevolezza del passaggio d’epoca che già ci ha travolti e che ora ci chiede una straordinaria capacità d’invenzione. Perché altrimenti qualcuno in questa galassia potrà anche sopravvivere, ma senza il significato che la sinistra deve avere. La sinistra ha significato nel rapporto con mondi vitali. Fuori da questo, se è soltanto la perpetuazione di pezzi di ceto politico e di burocrazie, che naturalmente tendono a riprodursi incuranti degli snodi reali della storia, finisce di avere significato. Dopodiché, naturalmente, ognuno si accontenta delle ambizioni che è capace di coltivare».

C’è chi dice che se invece di Bertinotti a candidarsi fosse stato lei avreste dato un maggiore segnale di novità.
«La novità è un processo molto più complesso, e trovo molto ingeneroso caricare Fausto Bertinotti di una responsabilità che invece grava sulle spalle di tutti. Una responsabilità che riguarda la difficoltà di leggere una fase, una transizione. Ci siamo trovati improvvisamente con un Parlamento svuotato di importanti culture democratiche del Novecento. Una cesura. E noi l’abbiamo attraversata senza accorgercene. Anzi, è quando ci siamo inciampati rovinosamente che ci siamo accorti che c’era».

Pubblicato il: 16.04.08
Modificato il: 16.04.08 alle ore 8.18   
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« Risposta #118 inserito:: Aprile 17, 2008, 08:49:14 pm »

Paolo Ferrero: «Incapaci di incidere sull’azione di governo. E l’abbiamo pagato»

Eduardo Di Blasi


Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale nel governo Prodi ed esponente di Rifondazione, nell’affrontare l’analisi della sconfitta elettorale, va subito al dunque: «Abbiamo pagato il fatto che, non avendo realizzato il governo Prodi le cose che avevamo comunemente messo nel programma, molta della gente che ci aveva votato ha pensato che noi non avessimo un ruolo politico».

Lei è stato ministro di quel governo...
«Io credo che il problema fondamentale sia stato sulle politiche economiche. Il governo ha attuato un enorme programma di risanamento. Il rapporto deficit-Pil è passato dal 4,6% all’1,9%. Gli accordi di Maastricht ci obbligavano ad arrivare al 2,5%. Che vuol dire che nel 2007 si potevano spendere 8 miliardi di euro in riduzione delle tasse su stipendi e pensioni, misure degli anziani, e invece non si è fatto. La logica dei due tempi, prima il risanamento e poi si vede, che ha visto realizzato solo il primo tempo, è stata devastante per noi. Come l’accordo di luglio. La sinistra è stata schiacciata, e noi siamo usciti schiacciati anche dalle urne. Legato a questo c’è il fatto che il Pd ha lavorato a fare il pigliatutto a sinistra ed è riuscito nello splendido risultato di massacrare noi e di perdere a mani basse con Berlusconi».

Tra i vostri elettori si contano molti astenuti, e diversi che hanno votato Lega...
«Quando dico che non siamo riusciti a segnare l’utilità sociale della sinistra intendo anche questo...».

Come farete adesso a ritrovare una funzione politica senza rappresentanza parlamentare?
«Dobbiamo ripartire dal sociale. Perché credo che le contraddizioni sociali siano destinate ad aumentare: siamo in una fase non certo di sviluppo e la destra farà politiche non positive per le classi lavoratrici. Le contraddizioni sono destinate ad aumentare. Dobbiamo cominciare da lì. E penso che questa è una partita che ci giochiamo in diretta concorrenza con la destra, perché il rischio che abbiamo è che al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro possano portare a dinamiche di guerra tra poveri o a soluzioni neocorporative in cui ognuno si aggiusta come può con il proprio datore di lavoro. Il nostro problema è nel costruire dei percorsi che invece diano uno sbocco nei termini di ripresa di un conflitto di classe, o, se vogliamo, di un conflitto del basso contro l’alto».

Nichi Vendola afferma che il simbolo della Sa sia stato avvertito solo come un logo che copriva roba vecchia...
«A me non convince la dialettica nuovo-vecchio come spiegazione. Credo che il nostro problema sia che non siamo riusciti a mostrare una nostra utilità sociale».

Per rilanciare questa lotta del basso contro l’alto, questo simbolo può essere rimesso in campo?
«Rimane intatto il problema dell’unità a sinistra e della valorizzazione di tutte le forme in cui si partecipa politicamente. Io ritengo si debba cercare un percorso partecipato e costruito perché è evidente che quello della Sa, così come l’abbiamo fatto, non ha funzionato. E credo si debba fare un percorso che parta più dal basso e più ragionato. Spesso viene fuori la parola “accelerazione”. Io penso che le accelerazioni, quando si è pestato la testa contro il muro, non sono una buona soluzione. Così come ritengo sbagliato l’arroccamento. Sono due reazioni sbagliate alla sconfitta. C’è un problema di radicamento sociale, e di riflessione anche sulle forme. In questo quadro la mia idea è che le forze politiche che ci sono non siano un ostacolo ma una risorsa. E quindi credo sia sbagliato porre il tema dello scioglimento dei partiti o dell’unità “con chi ci sta”».

Resta il problema dei tempi...
«Dopo una scoppola del genere bisogna partire subito, e credo che l’appuntamento di sabato a Firenze, quello convocato da Ginsborg, così come il nostro comitato politico di sabato e domenica siano dei punti di passaggio importati».

La strategia di Rifondazione di portare i movimenti al governo del Paese, lei la giudica fallita...
«Naufragata. Per due elementi. Da una parte le forze della sinistra moderata non sono state coerenti con quanto scritto nel programma. I poteri forti su tutti i punti decisivi sono stati più forti di noi. Il secondo è che mi aspettavo che le organizzazioni sindacali giocassero un ruolo di difesa forte della loro parte».

In che senso?
«Penso alla redistribuzione del tesoretto, ma soprattutto all’accordo sul Welfare. Di fronte a un accordo sindacale che chiedevamo di migliorare, sono rimasto impressionato che le organizzazioni sindacali dicessero “non si tocca”».

C’era stato il referendum dei lavoratori...
«Ma se noi l’avessimo migliorato, secondo lei, quei 5 milioni di lavoratori che hanno votato “sì” avrebbero votato “no”?».

Però il fatto che si fossero pronunciati significa in qualche modo che la pensavate in modo diverso...
«E forse lo si vede anche dal voto di oggi. Nel senso che non mi sembra che il Pd tra i lavoratori sia andato quell’ira di dio. Chi a Mirafiori aveva fischiato Cgil, Cisl e Uil a dicembre 2006, non credo abbia votato tanto a sinistra».

Pubblicato il: 17.04.08
Modificato il: 17.04.08 alle ore 13.02   
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« Risposta #119 inserito:: Aprile 18, 2008, 05:53:58 pm »

Luxuria: senza la Sinistra Dico e diritti fuori dal Parlamento

Roberto Cotroneo


Vladimir Luxuria è stata la prima transgender in parlamento in Italia, candidata e poi eletta alla Camera nelle liste di Rifondazione. Ha lavorato sui temi dei diritti civili, sui Dico, sui diritti delle minoranze, con discrezione e intelligenza. Al punto da essere stimata anche da molti esponenti dello schieramento opposto. A parte le polemiche spicciole con una Elisabetta Gardini che a Montecitorio voleva andasse nel bagno degli uomini anziché in quello delle donne, probabilmente l’ideologa di «Muccassassina» è risultata una delle sorprese positive della scorsa legislatura. Ora anche lei è fuori dal Parlamento.

Il risultato della sinistra Arcobaleno è stato il più clamoroso di queste politiche. Davvero per tutta la campagna elettorale non avete avuto la sensazione che qualcosa non andasse?

«Guardi, io ero candidata in Sicilia, per la Camera. La mia campagna elettorale è stata coinvolgente. Anche nei piccoli paesi dell’entroterra siciliano. Eppure che qualcosa non andasse l’ho scoperto un giorno che mi trovavo a Portella della Ginestra. Lì ho incontrato un anziano militante, che era stato testimone della strage. Mi ha chiamato da parte e mi ha detto, scusandosi: "Io voterò Pd, perché devo dare il mio voto in una direzione utile. Dobbiamo battere Berlusconi"».

Morale della storia?

«Che quel vecchio militante ha sacrificato il suo voto per questo».

Dunque secondo lei voi avete perso per il voto utile. Non perché la sinistra radicale è in profonda crisi e nei due anni di governo Prodi ha creato più di un problema alla stabilità della coalizione...

«Se lei si riferisce a Franco Turigliatto, le posso dire era già stato espulso dal partito allora. Rifondazione ha appoggiato il governo senza esitazioni. Il governo lo ha fatto cadere il centro di Mastella».

Sì, ma Bertinotti, qualche mese fa aveva detto che Prodi era spacciato...

«Questo è vero, ma non possiamo fermarci a questo. In realtà gli errori sono stati altri. Quello di Veltroni di correre da solo. Quello nostro di non essere stati capaci di fare un pezzo di strada che ci portasse a un punto di mediazione con il Pd».

Dunque la responsabilità sarebbe di Veltroni se la sinistra arcobaleno non ha una rappresentanza in Parlamento?

«Non solo ma un po’ sì. Ma li ha visti i risultati delle amministrative? Lì la sinistra arcobaleno è andata molto meglio. Lì non c’era Berlusconi, e non c’era il problema del voto utile».

Forse non siete stati capaci di comunicare davvero il vostro programma...

«Questo è un tema che dovremo affrontare nei prossimi mesi».

Ora cosa succede?

«Bisogna ricostruire tutto».

Cosa pensa delle dichiarazioni di Cossiga, quando ha detto che la sinistra antagonista senza una rappresentanza in parlamento, può creare violenze nelle piazze?

«Che noi vigileremo perché questo non avvenga. Le nostre radici sono nel pacifismo».

Lei è convinta che c’è la possibilità di ricostruire la sinistra. O è invece un capitolo chiuso e andiamo verso un bipartitismo che non vi lascia spazi?

«Ha detto bene: ricostruire la sinistra. Io penso che sia questo il nostro compito. Dai Dico alle unioni di fatto, battaglie che non avranno più voce in questo parlamento, saranno capitoli chiusi».

E lei cosa farà ora?

«Farò politica. Andrò in giro come ho già cominciato a fare, per parlare alla gente. Cercherò di aiutare a ricostruire questo soggetto politico che è necessario nella storia di questo paese».

Cosa la spaventa di questa destra?

«Quasi tutto. Però vede, non è che con il Pd le cose vanno benissimo. Un partito che ha al suo interno una come la Binetti, secondo lei, dove può andare?».

Non la colpisce il fatto che anche l’estrema destra di Storace e della Santanché non sia entrata in Parlamento.

«No. Però vede, la Santanché nonostante la batosta che ha preso, ha trovato il tempo di dare una festa a casa sua a Milano per festeggiare la fine politica della sinistra. Io invece penso che avrebbe dovuto chiudersi un po’ in casa ed elaborare il proprio dolore».

Lei è molto apprezzata dal centro destra?

«Lei dice?».

Beh, Dell’Utri ha dato un’intervista dove la definisce intelligente...

«E poi dice che sono un bravo ragazzo. Se davvero mi stimasse avrebbe detto "brava ragazza”. Nel non riconoscimento della mia identità si capisce tutto quello che pensa davvero».

Sabato e domenica Rifondazione terrà il suo comitato politico. Bertinotti si è dimesso, e si dimetterà anche Giordano. Lei vota?

«No, sono un’indipendente».

E se votasse?

«Lei mi sta chiedendo chi può prendere le redini del partito?».

Sì, ma prima dobbiamo stabilire quale partito. Tornerete Rifondazione o si andrà avanti con l’Arcobaleno?

«Il cammino dell’Arcobaleno è solo all’inizio».

E il leader?

«Nichi Vendola. È in grado di dialogare davvero con il Pd».

roberto@robertocotroneo.it



Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.44   
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