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Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Giugno 11, 2007, 10:21:44 pm



Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA -
Inserito da: Admin - Giugno 11, 2007, 10:21:44 pm
Che fine farà la sinistra smarrita?

Bruno Gravagnuolo


Che fine ha fatto la sinistra? Esiste ancora come campo attivo di valori, oppure è andata smarrita senza che ce ne accorgessimo?

Inevitabile porsi queste domande dopo la sconfitta del centrosinistra alle elezioni amministrative, dopo il caso «Visco-Speciale» e le fibrillazioni della maggioranza che abbiamo visto. Tutte cose che ribadiscono un dato ormai inconfutabile, di là della fragilità di questo governo, frutto di elezioni vinte a metà e pressato da una destra montante.

E il dato è questo: il deficit di egemonia del centrosinistra. Vale a dire, una mancanza di capacità persuasiva verso le forze produttive del paese. In ordine alla necessità e all’utilità delle ricette adottate.

Le quali appaiono al più inevitabili, dure e «razionali», ma altresì inadeguate a rilanciare lo sviluppo e ad alleviare le condizioni di vita del lavoro dipendente, gravato nell’ultimo quindicennio da perdita del potere d’acquisto, peggioramento del quotidiano e da regresso della mobilità sociale verso l’alto.

Non intendiamo entrare nel merito delle scelte tecniche adottate negli ultimi quindici anni, a partire dai governi Amato e Ciampi e proseguite con qualche continuità dagli esecutivi di centrosinistra fino ad oggi. Scelte segnate dall’emergenza dei conti e dal peso del vincolo internazionale, con gli obblighi dell’Euro in primo piano. E che hanno contribuito a salvare il paese dalla deriva.

Ma è chiaro che la cultura virtuosa dell’emergenza di bilancio non basta. A superare l’ingovernabiltà del paese e il suo bipolarismo selvatico. E ad aiutare questo governo a uscire dalla secche della precarietà, evitando le tante tagliole di cui è disseminata la sua strada. Non basta se la sinistra è smarrita. Se è divenuta ininfluente sul senso comune degli italiani. Incapace di progettualità e visione. Sgretolata e scarsamente radicata. Impotente a costruire consenso attorno a un alfabeto di valori, priva di soggettività di massa e forza propria, debole nel prospettare emancipazione generale e utilità collettiva (non il teologico «Bene comune»). Ebbene, su tutto ciò è giunta l’ora di aprire una discussione seria, senza infingimenti ed eufemismi. Alla quale l’Unità intende riservare ampio spazio, invitando a intervenire chiunque riconosca almeno l’urgenza del tema. Compresi ovviamente coloro che non condividono le considerazioni che stiamo per esporre.

Dunque «sinistra smarrita». Che significa? Significa innanzitutto la fine di un insediamento storico, cementato nel dopoguerra in prevalenza dal Pci. E che gli eredi del Pci sono stati incapaci di rinnovare e aggiornare, senza buttare il bambino e l’acqua sporca. Sicché sull’onda di trasformazioni dirompenti e non governate - che hanno inciso sul suo Dna di massa - la sinistra è approdata via via a un rovesciamento di valori profondo. Che ne ha alterato profilo e vocazione, rendendola subalterna ad altri valori e ad altri paradigmi. Cioè irriconoscibile o insostenibilmente «light», intimamente depotenziata. Proviamo allora a delineare alcuni punti d’approdo di questa «mutazione». Punti che assumiamo in negativo come emblemi di ciò che ai nostri occhi non è sinistra, e né può esserlo.

Primo: «il leaderismo». Ovvero la politica di massa incentrata sul leader carismatico come risolutore e «chiave di volta» del bipolarismo. Una tendenza particolarmente esasperata in Italia, inaugurata simbolicamente da Craxi e scissa per lo più dal contrafforte partitico, programmatico e parlamentare. E proprio la particolare versione italica del leaderismo - connessa alle assurdità sul cosiddetto e inesistente «premierato» - ha avuto un ruolo determinante nello «squagliare» la partecipazione quotidiana e di massa nel segno di appartenenze vissute e responsabili. Le quali poi non sono affatto in contrasto con la cittadinanza, ma anzi la potenziano. Come l’esperienza del 900 dimostra. E i risultati sono stati, personalismo, microleaderismo notabilare (in periferia) e infine il «leaderismo senza leader», da cui è affetta l’attuale discussione sul leader del Partito democratico, sorta di cantiere sull’abisso dove di tutto si parla fuorché di politiche per l’Italia. Dunque il leaderismo all’italiana non è di sinistra.

Secondo: «Legge elettorale e mito della governabilità». Non sono di sinistra. Perché quel che conta non è il maggioritrario in sé come panacea. Poiché anche un maggioritario secco - specie nella versione insensata dell’attuale referendum - può confermare e complicare le divisioni di uno schieramento. Può restituire tutta la frammentazione del territorio, rafforzando i capicordata locali, come abbiam visto ad abundantiam. E può moltiplicare i ricatti nei singoli collegi, stante l’utilità marginale anche di poche centinaia di voti. Al contrario, ciò che assicura un minimo di stabilità sono «partiti a baricentro culturale forte», modernamente identitari e laici, e in grado di arginare il sempre risorgente trasformismo.

Terzo: «Monetarismo e politiche di bilancio ermetiche». Non sono di sinistra. Né sotto forma di alti tassi di interesse e bassi salari. Né in termini di blocco della spesa pubblica legata a investimenti, formazione e infrastrutture. Non per caso Jacques Delors propose anni fa di defalcare quelle spese dal calcolo dei parametri di Maastricht. Bene, che ne è stato di quelle raccomandazioni, in una con quelle di Prodi di non impiccarsi a «parametri stupidi»? Perché Berlusconi ha goduto di tante franchigie nel rientro (mancato) dal deficit, e invece Prodi è così «sotto tutela»? Altro invece è il discorso sulle spese improduttive, come quelle di una politica sopradimensionata. E altro gli sprechi, l’assenteismo, e i diritti senza doveri. È qui che occorre intervenire a sanare e a far cessare privilegi scandalosi del ceto politico. Che nulla hanno a che fare con la dignità della politica e delle istituzioni. Inammissibile ad esempio che una legislatura, o due anni di essa, diano diritto a una pensione e non a contributi da sommare. E insostenibile che un assessore di una media città costi allo stato, portaborse inclusi, 20mila euro netti al mese! E sono cose che si conoscevano ben prima del best seller La casta. Queste le vere riforme istituzionali, «di sinistra».

Quarto: «Lavoro e flessibilità». Così come mediamente vengono «declinati» dalla sinistra riformista essi non rispondono a criteri di sinistra. Il lavoro infatti dovrebbe essere il caposaldo e la prima ragione sociale della sinistra, quella da cui nasce e di cui si alimenta. Non già dunque un «fattore» tra gli altri, ma un diritto primario e un orizzonte di valore. Quale? L’emancipazione stessa del lavoro, la sua «auto-padronanza». La sua priorità gerarchica dentro le trasformazioni dell’economia, che non possono ruotare attorno al predominio dell’azienda privata, i cui fini non sono di per sè «interesse generale». Né in linea di fatto né in linea di principio. Quanto alla «flessibilità», è l’economia che deve rendersi flessibile alle esigenze del lavoro, e non il contrario. Legittimandosi la prima - e in termini costituzionali- solo se assicura sviluppo e occupazione, nel rispetto dei vincoli ambientali e dei diritti della comunità. La competizione globale? Un vincolo, certo non aggirabile. Ma un vincolo appunto, e non un obiettivo, una finalità. Vincolo da rispettare facendo crescere insieme impresa e lavoro, nella prospettiva di estendere regole e diritti universali anche ai paesi che non li rispettano. Ed è esattamente questa «l’esportazione della democrazia» che compete alla sinistra. Il resto? È liberismo, magari con la copertura di politiche imperiali e di guerra.

Quinto: «Laicità». Non è di sinistra una laicità intesa come «dialogo» puro e semplice, o come «sana laicità» che assuma al suo interno le «radici cristiane» da privilegiare comunque. Laicità viceversa è la «neutralità attiva» dello stato tra le fedi. Promozione di regole che sono anche valori civici di libertà, solidarietà, criticità della cultura, autonomia della ricerca. Ben venga l’apporto della «sfida religiosa» sui grandi problemi, ma non al punto da comprimere e compromettere quei valori, avanzando la pretesa di penalizzare giuridicamente gli «stili di vita» dei singoli difformi dalla tradizione.

Sesto: «Privatizzazioni». Bene quelle volte all’interesse dei consumatori, e contro privilegi corporativi. Male quelle che annullano il ruolo propulsivo del pubblico nelle alte energie, nei trasporti di massa, nella scuola, nella sanità. E anche nei settori tecnologici avanzati. Nessuno stato nazione - di sinistra o di destra - rinuncia al suo ruolo in molti di questi campi, specie nell’ultimo. Laddove da noi molte privatizzazioni sono state un vero assalto alla diligenza da parte di concentrazioni finanziarie che hanno riversato il debito sugli utenti, e non hanno investito né innovato. Un’amara vicenda, dettata dall’emergenza dei conti, ma che non può essere assunta a stella polare della sinistra. Tutt’altro: molte di queste privatizzazioni erano agli antipodi di un orizzonte di sinistra. Erano «destra». E in più, proprio nel corso di tali processi di privatizzazione, sono emerse a sinistra tendenze a favore dei nuovi contendenti, per ridefinire la geografia del potere economico, e al fine illusorio di tracciare la mappa di un «nuovo capitalismo» (ma era vecchissimo!)

Infine, il «Partito democratico». Nelle intenzioni dei promotori doveva essere un’occasione straordinaria, una «fusione di riformismi» per dare stabilità e forza al centrosinistra. E invece rischia di apparire come un «errore di sistema»: destabilizzante e non aggregante. Una ricaduta fatale nel vecchio schema dei partiti parlamentari, notabilari e leaderistici dell’Italia post-unitaria. Si compendiano infatti nella «forma» di questo partito tutte le tendenze neoliberali e mercatistiche imposte dal ciclo neoliberista di fine anni ottanta ed esplose fragorosamente nell’Italia dei primi anni novanta. Vuol dire: fine della politica organizzata sul territorio. Della capacità di costruire un blocco sociale democratico attorno al lavoro dipendente, da contrapporre al nuovo blocco dell’individualismo proprietario di destra e al suo «neo-sovversivismo». Fine della selezione dei quadri dirigenti e della trasmissione della memoria tra le generazioni. Fine della sinistra con testa, braccia e gambe, come organismo pensante dotato di autonoma personalità e ideali. Della sinistra intesa come emancipazione delle classi subalterne: tutto a favore di una sinistra della mera inclusione liberale al banchetto dell’economia. Una sinistra «light» e di opinione. Ovvero: cittadinanza e consumi rescissi dal lavoro e dal potere. Non solo quindi si è liquefatto il cattolicesimo democratico e laico, assieme alla tradizione organizzata della sinistra storica. Ma si sono accresciute le divisioni in seno al nuovo aggregato in costruzione. Cantiere sull’abisso e «Azione parallela» generica, i cui conflitti interni si ribaltano sull’esile tenuta dell’esecutivo. Con il risultato acclarato di aver ristretto il potenziale del cosiddetto «timone riformista» dentro la coalizione. A vantaggio di disincanto, astensioni e scissioni, e del rafforzamento del versante più radicale del centrosinistra. Dubitiamo che il lancio delle primarie - dimidiate e frenate dalla leadership in carica - possa far lievitare il «cantiere sull’abisso». Fatto sta che al momento tutto si concentra su giochi procedurali chiusi, e rivalità personalistiche. Mentre intanto la destra lavora alla spallata contro il «governo delle tasse e dei tagli» («lavoro sporco» di cui si gioverà). Governo inviso all’impresa, e che non sfonda tra il popolo. Sinistra smarrita: eccolo il vero «riformismo senza popolo». Al quale non s’è posto rimedio, dopo il tanto parlarne. Eppure è tempo di trovarlo quel rimedio e ripensare tutto quel che non funziona, anche a costo di clamorose conversioni ad U. Di questo è urgente parlare, di questo vogliamo discutere. Su l’Unità, adesso.

Pubblicato il: 11.06.07
Modificato il: 11.06.07 alle ore 8.42   
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Titolo: Tiene la sinistra estrema, l’Ulivo mostra debolezza
Inserito da: Admin - Giugno 12, 2007, 10:19:41 pm
Tiene la sinistra estrema, l’Ulivo mostra debolezza 



Gli esiti del secondo turno avvalorano diverse tendenze già emerse quindici giorni fa. 1) il calo ulteriore di partecipazione, di circa il 13%. In parte, ciò è dovuto alla normale assenza di una quota di elettori al secondo turno. Ma, anche in questo caso, il trend dipende dalla disaffezione nei confronti dei partiti. Non a caso, l’affluenza è diminuita in misura maggiore là dove una parte dell’elettorato stentava a riconoscersi nel candidato proposto dalla coalizione cui tendeva a riferirsi. 2) L’importanza della figura del leader. Nella gran parte dei contesti, il candidato (sindaco o presidente) ha ottenuto più voti di quelli riportati dal complesso dei partiti che lo sosteneva. Il leader riesce a coinvolgere in misura maggiore di quanto, ormai, non riescano a fare i partiti.

Anzi, in certi casi è proprio la figura del candidato a frenare la tendenza alla disaffezione e, di conseguenza, all’astensione. Ciò avviene però in misura maggiore al Nord. Nel Centro- Sud, specie nel centrodestra, sono talvolta i partiti ad ottenere più voti dei candidati. Dipende sia dalle differenti logiche che presiedono la vita politica al Sud, sia, talvolta, dalla minore popolarità (o, in certi casi, addirittura dall’impopolarità) dei candidati stessi. 3) Il dato politicamente piu significativo: la debolezza dell’Ulivo. Solo lievemente temperata dalla tenuta della Provincia di Genova. Qui sono stati gli elettori del capoluogo a «salvare » il centrosinistra. Diversamente da quanto accadde nel 2002, infatti, la provincia genovese si è schierata ancor più con il centrodestra, «compensata» in ciò dal comportamento opposto del capoluogo. Nel complesso, il centrosinistra ha perso più tra Ds eMargherita che tra la sinistra estrema.

Non si tratta, tuttavia, di una critica dell’elettorato dell’Unione per una politica troppo poco «di sinistra», dato che i consensi per le forze dell’area radicale sono rimasti sostanzialmente stabili, cio che indica come gli elettori più orientati verso il centrosinistra (o il centro tout-court) si siano astenuti per esprimere la loro delusione, senza però voler rafforzare la sinistra estrema. Un fenomeno analogo aveva coinvolto a suo tempo Berlusconi. Anche in quel caso le Amministrative punirono l’esecutivo in carica. Le motivazioni di allora e di oggi appaiono per certi versi simili, anche se messe in atto da segmenti diversi di elettorato. In entrambi i casi, i cittadini hanno voluto significare il loro disappunto per la mancata attuazione di gran parte dei provvedimenti promessi nel corso della campagna elettorale.

E in ambedue le occasioni, il governo motivava la carenza di produttività con l’azione di ostacolo delle sue componenti più estreme. In definitiva, da molti anni gli elettori si lamentano perché il governo, sia esso di centrodestra o di centrosinistra, non governa veramente. E passa da un annuncio a un proclama a una recriminazione. Dal punto di vista del consenso elettorale (e non solo da quello), a Prodi è toccata sin qui la stessa sorte di Berlusconi.

Renato Mannheimer
12 giugno 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: Tiene la sinistra estrema, l’Ulivo mostra debolezza
Inserito da: Admin - Giugno 12, 2007, 10:21:07 pm
Le partite da giocare

di Massimo Franco
 

La sindrome del tracollo è stata tamponata a Genova. La vittoria del centrosinistra nel ballottaggio alla provincia non è stata trionfale. Ma simbolicamente addolcisce le sconfitte collezionate dall’Unione alle amministrative, sebbene non le compensi. Se il berlusconismo avesse prevalso anche lì, era già pronta la resa dei conti a Roma. E dal punto di vista psicologico, la maggioranza di governo avrebbe rischiato il «si salvi chi può».

La prospettiva, adesso, appare un po’ meno disperata. La stessa visita che Silvio Berlusconi vuole fare a Giorgio Napolitano, per additare al Quirinale un’Italia condannata al voto anticipato, assume un segno diverso. Rimane da vedere se per l’Unione sia l’interruzione di una crisi politica e d’identità, o soltanto il suo prolungamento. I numeri dicono che la coalizione prodiana ha vinto i ballottaggi alla provincia di Genova, e a Piacenza, Pistoia e Taranto; e il centrodestra a Parma, Lucca, Latina, Matera e Oristano.

Fra province e capoluoghi, 13 a 25 per la ex Cdl: nel 2002 era finita 16 a 22. L’impressione prevalente è che il governo di Romano Prodi rimanga appeso a un filo. Non c’è solo la frustrazione vistosa dell’estrema sinistra, bruciata dal divorzio con la «sua» piazza nelle manifestazioni contro la visita di George Bush. La novità è che sembra consolidarsi una tenaglia, minoritaria ma insidiosa, fra tutti gli alleati esclusi dal Partito democratico. L’obiettivo è di imputare l’instabilità e le sconfitte al progetto voluto da Ds, Margherita e premier; e di lavorare ai fianchi le due principali forze di governo, per impedire una riforma elettorale nel segno del maggioritario. Si tratta di una manovra che risulterebbe di retroguardia e inutile, se la coalizione andasse bene e i soci fondatori del Pd si mostrassero concordi. Ma di fronte alle voci di crisi, alimentate da un centrosinistra bocciato nel nord del Paese, le critiche diventano colpi dolorosi.

L’offensiva fa leva sui timori che serpeggiano fra gli stessi diessini dopo la scissione a sinistra; e in una Margherita preoccupata dalla possibile erosione di elettorato cattolico. Il martellamento di Rifondazione e Comunisti italiani contro il ministro Tommaso Padoa-Schioppa si sta intensificando, secondo le previsioni. E il fallimento dell’iniziativa anti-Bush di sabato a piazza del Popolo sembra condannare il radicalismo antagonista ad inseguire il suo elettorato più irriducibile: un magma ostile a qualsiasi compromesso di governo. L’obiettivo minimo è quello di piegare Palazzo Chigi ad una politica economica più «di sinistra». Con quale determinazione, si capirà presto.

La decisione sulla Tav (treno ad alta velocità Torino-Lione) e la riforma delle pensioni sono ostacoli sui quali Prodi si gioca la sopravvivenza. E dire che Palazzo Chigi è ottimista sarebbe una bugia. L’irrigidimento dell’estrema sinistra è dato per scontato. Ma è soprattutto il contorno di precarietà a rabbuiare le prospettive. Ci sono le intercettazioni dei vertici diessini sul caso Unipol-Bnl; la scia imbarazzante del caso Visco-Guardia di finanza, con la Corte dei conti che certifica il proprio scetticismo; ed i sondaggi impietosi sul governo. Per questo, ogni indizio in controtendenza è accolto come un balsamo: anche se è forte il sospetto che si tratti di palliativi.

12 giugno 2007
 
da corriere.it


Titolo: Sinistra senza piazza
Inserito da: Admin - Giugno 13, 2007, 06:46:45 pm
Sinistra senza piazza

Michele Ciliberto


Non c’è da rallegrarsi sul fatto che le manifestazioni organizzate dalle sinistre radicali a Roma siano state un sostanziale insuccesso nonostante i vari tentativi che vengono fatti per offuscarne l’effettivo fallimento.

Una sinistra radicale forte e bene organizzata sarebbe un bene anche per il consolidamento dello schieramento di centrosinistra; e più in generale, per uno sviluppo equilibrato di tutto il nostro Paese.

Tanto più c’è da preoccuparsi perché il sostanziale fallimento delle manifestazioni di Piazza Navona e di Piazza del Popolo viene dopo una significativa flessione elettorale causata, per quanto riguarda le forze del centro-sinistra, da un forte astensionismo. Se si riflette sull’insieme degli eventi di queste ultime settimane è precisamente questo il punto che appare più in rilievo e che preoccupa maggiormente anche per la tenuta democratica del nostro Paese: c’è una tendenza sempre più forte a ritirarsi dalla partecipazione politica anche quando si tratti di importanti scadenze elettorali. Non si arriva a cambiare campo ma ci si mette fuori dal gioco manifestando il proprio disinteresse per come viene giocata la partita. È un gesto politico anche questo che bisogna saper cogliere in tutta la sua profondità senza cullarsi in illusioni che sono alla fine di breve respiro.

È vero: il governo Prodi esce rafforzato dalla visita del presidente Bush anche per la mirabile prova di capacità e di correttezza data dalle forze dell’ordine della quale bisogna tener conto. Ma se si esce dalla logica politica strettamente intesa appare evidente, a mio giudizio, che il governo Prodi continua a essere legato a un filo e che in qualunque momento un refolo di vento può trascinarlo via. Come è stato rilevato molte volte - e anche in questi giorni - paradossalmente la sua forza consiste proprio nella sua debolezza, nell’essere dunque un ossimoro politico. Un governo che voglia però avere ambizioni strategiche - come dovrebbe essere quello di Prodi - non può reggersi su condizioni politiche di questo genere. E qui il problema diventa complicato e merita di essere analizzato in tutta la sua complessità.

Un politico assai autorevole ha sottolineato in questi giorni che il problema essenziale per il nostro Paese è di assecondarne la crescita e «di tarare l’azione del centro-sinistra su un’idea di una e vera e propria “ripartenza”. Questo serve - ha detto Massimo D’Alema - mentre non servono nuovi conflitti. La gente vuole che il Paese sia governato. La gente è stufa dei casini...». Non sono d’accordo; anzi, credo che porre le questioni in questo modo non ci aiuti ad uscire dalle difficoltà in cui ci troviamo. I conflitti, quando sono ordinati e disciplinati, sono sempre positivi per lo sviluppo di una democrazie e, in generale, di un Paese. Non è dunque auspicando la riduzione o la fine dei conflitti che si fa la scelta politicamente giusta.

Il problema di fondo che si esprime nel fallimento delle iniziative contro Bush e nell’astensionismo che ha segnato anche il secondo turno elettorale - due eventi, lo ribadisco, che a mio giudizio vanno considerati insieme - concerne anzitutto la fondamentale crisi di rappresentanza politica che il nostro Paese continua a vivere e che si accentua giorno dopo giorno con una separazione sempre più grave ed evidente di governanti e governati. In Italia è questo il problema che è aperto ormai da qualche decennio, ed esso riguarda direttamente la questione delle fonti e delle forme della sovranità nel nostro Paese; riguarda dunque il problema della nostra democrazia. Ed è nel quadro di questo problema che a mio giudizio va collocata la questione della sinistra in Italia, della sua funzione nazionale, e dello stesso Partito democratico.

Questo partito ha un senso nazionale profondo se ristabilisce su basi nuove il nesso tra “politica” e “società” (per usare due termini classici) costituendo un circuito virtuoso tra governanti e governati; ha un senso cioè se riesce a porre e risolvere in modi nuovi il problema della rappresentanza nel nostro Paese scendendo coraggiosamente anche sul terreno del federalismo. È questa la vera sfida che abbiamo di fronte; ed è proprio su questo terreno che si sono prodotti i danni più gravi. Molte di queste speranze si sono infrante infatti contro le dure repliche di una realtà sorda immobile e incapace di rimettersi in discussione. Le piazze che si erano riempite di gente desiderosa di partecipare si stanno svuotando e cominciano ad essere abbandonate. Se si pensa all’esperienza delle primarie e al valore che avevano assunto le piazze come incontro di partecipazione e di vita democratica sembra che siano passati alcuni secoli invece di pochi mesi. La velocità del cambiamento non può e non deve però sorprendere: sappiamo tutti che i tempi della politica contemporanea sono velocissimi e che non è facile saperli controllare.

Bisogna sempre stare attenti a non stabilire rapporti meccanici tra avvenimenti diversi: una cosa naturalmente è la partecipazione alle primarie per l’elezione dei sindaci; un’altra la partecipazione a una manifestazione contro Bush. Sono ovviamente eventi diversissimi da non confondere. Ciò non toglie che la campana dell’astensionismo abbia suonato in questi giorni anche per il Partito democratico. Come sempre la storia sa essere paradossale: nato per incrementare le speranze di un cambiamento, il Partito democratico, proprio per la fiducia che aveva acceso, rischia di diventare un elemento di distacco e di vero e proprio disincanto che precipita nella crisi della partecipazione politica. Ma anche qui bisogna saper sollevare l’occhio dalla parte e guardare all’intero, cioè al destino di tutta la sinistra italiana.

Sarebbe infatti certamente sbagliato concentrare la propria attenzione solo sulle difficoltà del Partito democratico e non tener conto che il quadro della sinistra va considerato unitariamente, senza dimenticare, naturalmente le differenze profonde che pur ci sono e che vanno dichiarate a viso aperto. Non è però interesse del Partito democratico la frantumazione della sinistra radicale; né è interesse della sinistra radicale il fallimento del Partito democratico.

Bisogna imparare a ragionare in termini sistemici. Se il Partito democratico riesce a crescere in modi positivi esso avrà effetti benefici sull’insieme della sinistra italiana e del nostro Paese, mentre una sua crisi precoce contribuirebbe a un’ulteriore frantumazione del quadro politico italiano nella sua complessità. Allo stesso modo se la sinistra radicale riesce a “ordinarsi” può svolgere una funzione positiva per l’insieme del movimento riformatore italiano. Entrambi, Partito democratico e sinistra radicale, possono e devono dare un contributo alla soluzione al problema centrale della società italiana, quello di una nuova rappresentanza politica - e di nuove forme e modelli di sovranità - che il Paese sta chiedendo con forza e che ancora non riesce ad avere con le conseguenze che sono in questi giorni sotto gli occhi di tutti. È su questo terreno che si gioca la partita decisiva, come dimostrano anche i risultati elettorali e specialmente i colpi che il centro-sinistra ha subito nell’Italia settentrionale. Non è molto, però, il tempo che resta a nostra disposizione.

Pubblicato il: 13.06.07
Modificato il: 13.06.07 alle ore 9.34   
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Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA -
Inserito da: Admin - Giugno 16, 2007, 06:17:37 pm
intervista a Fabio Mussi pubblicata da Il Manifesto
venerdì 15 giugno 2007

USCIAMO DALLE TRINCEE
di Loris Campetti


"Scudo spaziale: D'Alema, Italia non è contraria". Quando gli viene consegnato l'ultimo lancio dell'Ansa, datato 14 giugno ore 12,31, il ministro Fabio Mussi sbotta: "E invece io sì che sono contrario". E ne spiega le ragioni: "Hai voglia a parlare di sistema di sicurezza, ma sicurezza contro chi? E perché in Polonia e in Repubblica Ceca? In realtà è soltanto uno strumento di accelerazione della corsa al riarmo. Oggi nel mondo si bruciano in armamenti molte più risorse di quante non se ne spendessero negli anni della guerra fredda". Ma non è di politica estera che parliamo con Mussi, se non a commento delle agenzie di stampa che gli vengono recapitate nel corso dell'intervista ("In Palestina c'è il primo colpo di stato senza stato"). Parliamo della sinistra e della sua multiforme crisi, parliamo del progetto del suo "movimento" di ricostruire un soggetto di sinistra senza aggettivi. Gli aggettivi non servono, dal momento che il nascente partito democratico neanche pretende di essere di sinistra. Insieme a Valentino Parlato incontriamo Mussi nel suo ufficio all'Eur, al ministero dell'Università e della Ricerca.

Partiamo dalla crisi della politica e dei suoi linguaggi. Girando come una trottola l'Italia per incontrare i militanti di Sinistra democratica, aprire sedi, dibattere con le altre forze della sinistra, hai ripetuto che non andrai a "Porta a Porta", sottintendendo che non è quella la forma della politica che ti interessa.
E' dal '98 che non ci vado e penso che dovremmo tutti ridurre le apparizioni televisive che sembrano gratificanti perché la gente ti ferma per strada per dirti che ti ha visto, ma mentre fanno crescere il leaderismo abbassano la qualità della politica. I leader sono ridotti a telepredicatori e i militanti a spettatori. Non esiste un altro paese al mondo in cui i leader politici accettino di essere ridotti ad attori di uno spettacolo circense, sempre con la stessa compagnia di giro. Non è spettacolo - e non penso soltanto a "Porta a Porta" - è avanspettacolo.

Nostalgia delle rarissime conferenze stampa di Togliatti in abito scuro e stile sobrio?
Di Togliatti e anche di Berlinguer. Nostalgia degli articoli di Giorgio Amendola. La politica deve avere solennità, mistero, carisma, altro che questo circolo mediatico. Qualche decennio fa fece scandalo a sinistra Milovan Gilas che, parlando del socialismo reale e della Jugoslavia, denunciò la nascita di una "nuova classe" dei politici. Anche qui è nata una nuova classe che va ben oltre la ovvia necessità, nel tempo in cui viviamo, di una professionalità della politica. Qui siamo alla politica come moltiplicatore di posti di lavoro. Una volta chiesi a un giovane ricercatore che cosa avrebbe voluto fare nella vita, mi ha risposto "il consigliere di circoscrizione". E sai perché? Perché un consigliere di circostrizione guadagna più di un ricercatore. Quando gli ho chiesto per quale partito avrebbe voluto farlo mi ha guardato con aria interrogativa e ha risposto "per chi mi prende".

Al tempo della svolta della Bolognina ti rivolgesti a chi difendeva le ragioni del Pci parlando di attaccamento all'orsacchiotto di peluche. Ora, alle riunioni di Sinistra democratica non mancano i nostalgici del Pci.
Avevo parlato della paura di perdere il bambolotto di pezza. Ciò di cui oggi si sente la mancanza è la scuola politica di allora, la sua qualità. Nessuna nostalgia invece per i vecchi riti. Il Pci era un luogo di democrazia, persino il vituperato centralismo democratico era migliore dei metodi attuali di formazione delle decisioni politiche.

La nascita di Sd si vuole finalizzata alla ricostruzione di una sinistra, unendo in un processo i frammenti esistenti. Come pensi di riuscirci?
Lo so che è un'impresa difficilissima, ma vedo il bisogno diffuso, ascolto le domande di tantissime persone: abbiamo il dovere politico di tentare una risposta positiva. Se alla fine della fiera, dopo 15 anni di stallo, l'edificio politico dovesse essere costituito da un Partito democratico al 20-25%, più un arcipelago alla sua sinistra fatto di forze dell'1-2 o magari 6% e tutti insieme 20 punti sotto la destra, avremmo fatto una bella frittata. E penso a Gramsci e alla tragedia della democrazia liberale: è possibile che da una bilancia che da troppo tempo non pende da una parte escano soluzioni autoritarie, bonapartiste. Vogliamo provare a non farla, questa frittata? Penso non a un partito ma a un'aggregazione politica pesante, di massa, per tornare dentro la società. Ci rendiamo conto che ormai anche a sinistra si parla degli operai come fanno gli antropologi con le tribù amazzoniche?

Ma gli operai esistono ancora? Forse volevi dire i precari...
Non c'è soltanto il precariato, il nodo centrale è la svalorizzazione del lavoro, pagato a prezzi orientali e rivenduto a prezzi occidentali. Mai come oggi sono stati tanto numerosi i lavoratori salariati classici, milioni in Italia, miliardi nel mondo. E' in atto poi un processo - avremmo detto un tempo - di proletarizzazione, con i ricercatori che guadagnano meno di 1000 euro. La scommessa è come rimettere insieme queste figure. Come, se non con un'idea politica forte e semplice? Dobbiamo muoverci in fretta...

Anche perché il degrado della politica e il suo sradicamento dalla società produce anche degrado sociale.
Un operaio di Piombino, già dirigente della Fiom, mi ha scritto una lettera che mi ha tolto il fiato: non vi seguo più, dice, ormai vi occupate solo di carcerati, di finocchi e di negri. Il radicamento sociale, però, non lo ricostruisci con una risposta economico-corporativa ma ridandoci un progetto. Si è straparlato di fine delle ideologie, ma solo la nostra è introvabile, sono fallite le macroideologie. Ma in un mondo che si vuole secolarizzato trionfa la potenza delle idee, per quanto misere e di seconda mano possano essere. Berlusconi non ha vinto soprattutto grazie ai mezzi di comunicazione ma grazie alle idee. Idee medievali, se lui è ricco può far diventare ricchi anche noi, hanno pensato in tanti. E' attualissima la lezione di Adorno sulle semi-ideologie di seconda mano. Si vince con le idee semplici.

Ti aspettavi la rapidità con cui si stanno liquefacendo i Ds?
Mi colpisce ma, purtroppo, non mi sorprende. Quando c'è un cedimento strutturale viene giù tutto. I centri veri di potere che detengono banche, imprese, gruppi editoriali, dove c'è gente che ancora studia Gramsci e il concetto di egomonia, hanno costruito un arco di trionfo allo scioglimento dei Ds. Come hanno ottenuto il risultato voluto, scomparso il maggior partito della sinistra, è arrivata la stangata, persino il dileggio. Ciò aumenta le nostre responsabilità. Noi abbiamo fatto un movimento, non siamo interessati al ventitreesimo partitino. Stiamo raccogliendo un insperato consenso, moltissimi giovani si avvicinano, moltissime donne. Arrivano anche molti eletti nelle istituzioni, e sanno di fare una scelta a loro rischio e pericolo. Oggi Sd è il terzo gruppo dell'Unione e ovunque ci siamo presentati è andata molto bene. Pur in un contesto politico ed elettorale preoccupantissimo.

I tempi sono stretti, dici, ma smantellare strutture, partiti, persino rendite di posizione non è la cosa più semplice del mondo. Come vanno i rapporti con Prc, Pdci e Verdi?
Per costruire un nuovo soggetto della sinistra ciascuno di noi deve cambiare profondamente, rimettersi in discussione, abbandonando nicchie e trincee combattendo in campo aperto. Se resti sempre in trincea, prima o poi chi combatti viene a prenderti. Attenzione però, la sinistra è in crisi in tutt'Europa, bisogna cercarne le cause.

Da dove ripartite in questa ricerca?
Rispondo con le frasi pronunciate alla nostra assemblea del 5 maggio da Massimo Salvadori: 1) non nasce una sinistra nuova senza una critica del comunismo novecentesco; 2) ciò che però sopravvive del Novecento è l'idea socialista; 3) non si esce dalla crisi senza una critica puntuale al capitalismo contemporaneo. Un capitalismo diventato incompatibile con il pianeta Terra.

Ci sono le idee e ci sono le azioni. A che punto siete nella costruzione di pratiche unitarie a sinistra?
Ci siamo incontrati con tutti. Anche con lo Sdi, con cui condividiamo le battaglie per i diritti civili ma abbiamo differenze sulla politica internazionale e sull'economia. Abbiamo stretto rapporti con Prc, Pdci e Verdi - ma non c'è solo questo a sinistra, ci sono i movimenti, ci sono tanti uomini e donne impegnate nell'associazionismo e nel volontariato verso cui dobbiamo avere uno sguardo largo - e abbiamo incontrato le confederazioni sindacali. Infine, abbiamo riunito i 150 parlamentari che si collocano a sinistra del Partito democratico e andiamo verso una collegialità delle decisioni. Oggi (ieri, ndr) portiamo un punto di vista condiviso all'incontro sul Dpef. Non siamo pentiti dei sacrifici chiesti con la Finanziaria per avviare il risanamento dei conti, cosicché oggi è possibile e doveroso ridefinire un'agenda forte e credibile per garantire un risarcimento sociale: le batterie del governo si possono ricaricare puntando su riforme sociali ed economiche efficaci.

Ma la destra dello schieramento si mette di traverso. Percorrerete questa strada anche a rischio di una crisi di governo?
Il rischio di una crisi, con i numeri che abbiamo al Senato, esiste fin dal primo giorno di governo. Il rischio di morire è connesso alla nascita. Abbiamo un governo che si regge su una coalizione molto ampia e ogni volta va trovato un punto di equilibrio. Sapendo che se salta questo governo non c'è all'orizzonte qualcosa di meglio.

Quale risarcimento, quali riforme sociali?
Bisogna guardare in giù, verso il basso, e in su, verso l'alto. In giù, nella sofferenza di ampi strati della popolazione, lavoratori precari, lavoratori dipendenti, pensionati. In su, alla scuola, alla formazione, alla ricerca, all'innovazione. L'Europa è il fanalino di coda rispetto agli Usa e all'Oriente sugli investimenti verso l'alto, e l'Italia in Europa non è certo messa bene. L'Italia è l'unico paese con gli Stati uniti in cui cresce la disuguaglianza, crescono i poveri e crescono i ricchi. In Italia i redditi si sono ulteriormente spostati dai salari ai profitti. Se si avvia questo cammino, se sapremo guardare verso il basso e verso l'alto, sarà anche meno complicato un ritorno nella società, tra gli operai che votano Lega.

Nel vostro incontro prima del Dpef, come forze di sinistra avete detto che sulle pensioni sosterrete un eventuale accordo sindacale. Non sarebbe meglio garantirvi un'atonomia politica e di giudizio?
Se si arriverà a un accordo tra le parti sociali non cavalcheremo la logica del più uno, non scavalcheremo i sindacati. Ma finalmente, usciamo dall'ossessione pensionistica. Pensiamo alla ricerca scientifica. La sinistra deve lavorare sui contenuti, sulle politiche e sui valori fondativi.

Quali sono i tempi della nascita del nuovo soggetto di sinistra?
Avremo bisogno di qualche prova elettorale, già in autunno e nella prossima primavera quando andrà al voto metà del corpo elettorale.

Sempre che non cada il governo. Quali sono i passaggi più pericolosi?
Il rischio, lo ripeto, è quotidiano. Ma le alternative - governi tecnici, governi istituzionali - sono peggiori del presente. Per questo bisogna difendere il governo Prodi. Per difenderlo, però, bisogna correggerlo.

15 Giu 2007
da sinistra-democratica.it


Titolo: Il progetto di unità a sinistra prosegue.
Inserito da: Admin - Giugno 17, 2007, 11:45:06 am
Dall'intervento della Capogruppo di Sd alla Assemblea di Sinistra Europea

Sinistra Democratica è nata per riunificare la Sinistra

di Titti di Salvo

S.E.
INTERVENENDO ALL'ASSEMBLEA DI NASCITA DI SINISTRA EUROPEA TITTI DI SALVO, CAPO GRUPPO DI SINISTRA DEMOCRATICA LLA CAMERA, HA TRA L'ALTRO DETTO:

"Sinistra democratica nasce  per contribuire con altri a unire la sinistra: un obiettivo difficile in sè  e per l'ambizione attraverso di esso di cambiare l'italia per renderla più libera, più giusta, più ospitale.

Bisogna farlo presto, perchè l'Italia frantumata ne ha bisogno. Bisogna farlo pensando che la somma delle formazioni politiche che a sinistra oggi esistononon risolve, e bisogna farlo parlando alla sinistra diffusa:alle persone che si sono allontanate dalla politica, che  nella politica non hanno più investito tempo e intelligenza, nemmeno per votare.Dando rappresentanza e voce a chi non ne ha, donne e uomini,  e in questo modo rinnovando la politica e rafforzando la democrazia.

Bisogna farlo senza ignorare le differenze, nel solco a nostro avviso del socialismo europeo, di cui non nascondiamo limiti e segni di difficoltà, ma che ci  appare oggi l'unica cultura politica capace di aprirsi ad altre culture: al femminismo al pacifismo, all'ambientalismo per questo capace di rinnovarsi, interpretare e rispondere ai bisogni di una società globale in movimento.

Per questa ragione sostengo che chi parla di "cosa rossa "intende sminuire  l'ampiezza di un progetto e la sua ambizione, esorcizzandone la capacità di attrazione.

La nascita del partito democratico per le sue scelte annunciate, quell'oltre  il socialismo europeo, l'equidistanza nella rappresenza tra imprese e lavoro, la  rinuncia ad una visione laica della politica con tutte le conseguenze di caduta di autonomia anche dalle gerarchie ecclesiatstiche, lascia a sinistra un vuoto evidente e molto ampio: vale la pena di riempire quel vuoto, un passo alla volta e partendo dalle cose concrete, quelle che riguardano la vita delle persone, le scelte di valore.

Così abbiamo fatto insieme allo Sdi, al Pdci, ai verdi e a Rc comunicando che avremo disertato la conferenza sulla famiglia di Firenze per la discriminazione che aveva alle spalle; cosi ancora insieme ma senza lo Sdi per chiedere al Governo  giustizia sociale nella destinazione dell'extragettito fiscale e poi  ancora Sinistra Democratica ha scelto una propria posizione diversa dalle altre rispetto alla visita di Bush in Italia: un passo alla volta senza nascondere le differenze, ma contemporaneamente guardando avanti verso l'unità della sinistra necessaria per cambiare l'Italia".

16 Giu 2007
da sinistrademocratica.it


Titolo: Paolo Leon I confini della sinistra
Inserito da: Admin - Giugno 19, 2007, 06:05:09 pm
I confini della sinistra

Paolo Leon


Se leggo bene Gualtieri su Gravagnuolo (l’Unità del 14/6), la sinistra è definita dalle condizioni materiali e storicamente determinate - classe, industrialismo, stato-nazione - realizzate pienamente nel secondo dopoguerra per (casuali?) circostanze propizie. Non ho difficoltà ad usare un’impostazione di questo tipo - da materialismo storico - salvo per il fatto che la si può allungare o restringere a piacimento, a seconda della tesi da dimostrare o dei propri pregiudizi. Infatti, Gualtieri afferma che «è venuta meno la classe» perché «il capitalismo... realizza l’estrazione del plusvalore... in gigantesche fucine», in pratica in Estremo Oriente.

Ne deriverebbe che, in Europa, negli USA, in Giappone, non si estrae più plusvalore - e, perciò, o noi siamo diventati i camerieri del capitale, oppure abbiamo già raggiunto il comunismo.

Opporrei che se in Cina si estrae plusvalore, ma la Cina è in concorrenza con l’Europa, allora si estrae inevitabilmente plusvalore anche dal lavoratore europeo - che questi sia applicato alla macchina, in cucina o allo sportello. Del resto, lo sfruttamento è palese, da noi: lo dimostrano la riduzione della quota del lavoro nel reddito nazionale, la differenziazione salariale, la divisione tra lavoratori (pubblici e privati, autonomi e dipendenti, part time e a tempo pieno, donne e uomini, immigrati e nazionali, precari precari e precari provvisori, per non continuare). Tutte forme di esercito industriale di riserva, per di più presente anche in piena occupazione.

Nessuno di questi eventi è naturale: devono molto, ma non tutto, alla tecnologia; molto, ma non tutto, alla globalizzazione, molto, ma non tutto, alla cecità della sinistra e alla sua involuzione piccolo borghese. Devono moltissimo alla feroce reazione antisindacale di Thatcher e Reagan - questa sì causa del declino della sinistra.

Insomma, credo necessario uscire dal feticismo delle macchine e dal ritenere che solo il nesso classe/ macchina fosse la base della sinistra. A ben vedere, anche con poche macchine, la classe è tornata alla grande, se non quella operaia, certo quella capitalista; e non si è trovato il modo di mobilitare i nuovi sfruttati, ancorché scolarizzati, proprietari di case e lontani dalla sussistenza, abbandonandoli alla destra. Gualtieri sembra ignorare l’onda di violenza che accompagna l’espansione universale del capitalismo: la reazione di chi è lasciato indietro si manifesta nella chiusura dei clan, nel razzismo, nel fondamentalismo delle religioni, nel ritorno a mitiche identità tradizionali. Le pulsioni avverse alla globalizzazione danno luogo a populismo, tendenze autoritarie, avversione nei confronti della sinistra. Questa, in Europa, cerca di sopravvivere pensando di adattarsi alla globalizzazione, accettando la riduzione del ruolo dello Stato (e, per definizione, della democrazia) e facendo proprie le ideologie proprietarie dei liberali - mentre questi, come è spesso avvenuto, si acconciano ad accettare il populismo della destra, come male minore.

Gualtieri afferma che si esce dalle difficoltà della sinistra se:

- si uniscono i riformismi , ma non li definisce, perché non sono il risultato delle nuove condizioni materiali né sono storicamente determinati;

- si rilancia l’Europa con la costituzione, ma paradossalmente senza Stato, fondandola sul principio di sussidiarietà - un principio inventato per ridurre il potere fiscale degli Stati, e che si svolge secondo un processo di devoluzione senza fine, che ricorda Talete e la tartaruga;

- si supera l’identificazione della sinistra con lo Stato, per assumere «l’orizzonte dell’unità del genere umano», che o è il ritorno a «proletari di tutto il mondo unitevi» o è soltanto una classica osteria del futuro.

Piacerebbe anche a me che la democrazia post-nazionale fosse europea: ma ciò implicherebbe uno Stato europeo, un bilancio europeo, tasse europee, welfare europeo, politica industriale europea, banca centrale orientata allo sviluppo. Cosa c’entri con tutto ciò il partito democratico, Gualtieri lo lascia del tutto oscuro. Anch’egli, come il manifesto del PD, naufraga negli ossimori (universalismo selettivo, europeismo e esecutivo nazionale rafforzato, democrazia e meno Stato, individualismo solidale, proprietà ed eguaglianza), come quando si riempiono i fogli con il verbo "coniugare" - in genere, il diavolo e l’acqua santa.

PS. Come far entrare nel ragionamento di Gualtieri l’Unipol è veramente arduo: ritenere che si abbia ragione perché si è attaccati, implica essere molto sicuri di aver ragione - ma in quel caso non avevano ragione i dirigenti DS a rallegrarsi per l’OPA o le cooperative nel veder annacquata la storica diversità tra impresa cooperativa e impresa capitalistica.

Pubblicato il: 18.06.07
Modificato il: 18.06.07 alle ore 8.42


Titolo: Insulti al sindaco Cofferati: i Ds rompono con Rifondazione
Inserito da: Admin - Giugno 22, 2007, 04:26:23 pm
Insulti al sindaco Cofferati: i Ds rompono con Rifondazione

A Bologna i no global spaccano la giunta

Al corteo anche il segretario provinciale del Prc.

L'assessore diessino Merola: non ho intenzione di restare in questa compagnia 


BOLOGNA - Una manifestazione antifascista contro il corteo di Forza Nuova, con la partecipazione di Rifondazione comunista, e con slogan pesanti sul sindaco di Bologna: «Cofferati pezzo di m...». Il risultato di questa miscela è una probabile crisi della giunta comunale e una rottura - forse irreversibile - tra Ds e Rifondazione all'ombra delle due torri.

Il motivo dell'acredine tra i due gruppi che - almeno formalmente - sostengono Sergio Cofferati in Comune è che nel corteo che insultava il sindaco c'era il segretario provinciale di Rifondazione, Tiziano Loreti: «Noi lo diciamo da tempo, c'è un segmento di questa città che non si sente più rappresentato da questa amministrazione». Abbastanza, oltre agli insulti, per provocare la reazione dell'assessore ds Virginio Merola, fra i più vicini a Cofferati. «Così ci si fa del male da soli, non ho nessuna intenzione di rimanere in questa compagnia. Sarà un loro problema spiegare ai cittadini la compatibilità tra lo stare in maggioranza e costantemente bombardarla. Mi pare non si rendano conto della profonda insoddisfazione di tutto il mondo del centrosinistra per questo modo di procedere». Alle critiche e alla crisi di consensi (il gradimento di Cofferati è sceso al 39%) Merola ha replicato: «Comincerei a preoccuparmi delle migliaia e migliaia che in piazza non ci vanno. Non capisco perché una parte della sinistra continui a considerare la sicurezza un tema di destra. Serve uno sforzo per capire i sentimenti dei bolognesi».

Il rischio, ormai più di una semplice eventualità, è che a Bologna la tensione tra riformisti e radicali dell'Unione sfoci nella crisi della giunta. Nel corteo tra l’altro i momenti imbarazzanti per l’amministrazione comunale sino stati molteplici: a un certo punto una ragazza al microfono ha fatto un lungo elenco di tutto ciò che è «fascismo»; tra le altre cose c’era anche «l'amministrazione pubblica che se ne fotte di chi vive questa città» e «i poliziotti davanti e dietro di noi». Poco dopo, un altro ragazzo ha gridato slogan contro «lo sceriffo Cofferati», colpevole insieme alla questura di aver autorizzato il corteo di Forza nuova.

22 giugno 2007
 
da corriere.it


Titolo: Mussi rivendica toni e contenuti della lettera a Prodi.
Inserito da: Admin - Giugno 25, 2007, 10:08:14 pm
Intervista a Fabio Mussi pubblicata da L'Unità il 24 giugno 2007

Non siamo ministri estremisti
di Simone Colini

Mussi rivendica toni e contenuti della lettera a Prodi.

Veltroni candidato al Pd? Una buona notizia


«È IMPRESSIONANTE che si definiscano estremisti quattro ministri che chiedono al proprio governo di rispettare il programma». Fabio Mussi giudica «a dir poco sorprendenti» le reazioni alla lettera che insieme ai ministri Ferrero, Pecoraro Scanio e Bianchi
ha inviato venerdì al presidente del Consiglio. «Qualche commentatore ci ha definito irriducibili, termine utilizzato per le Br», scuote la testa il ministro per l’Università e la Ricerca. «E questo perché chiediamo di conoscere il Dpef prima di votarlo? Perché richiamiamo l’attenzione su punti essenziali di una piattaforma costruita non nel covo dei soviet ma nella Fabbrica del programma di Prodi?».

La lettera inviata al premier ha suscitato diverse reazioni critiche. Se l’aspettava, ministro Mussi?
«E perché avrei dovuto? Abbiamo richiamato il governo alla coerenza con il suo programma. A cominciare dall’abolizione dello scalone e dal superamento della legge trenta. La lettera ha contenuti chiari. Parte dall’ennesimo intoppo che c’è stato nella trattativa sulle pensioni tra governo e parti sociali. Una trattativa che ha prodotto risultati, ma che ora sta andando avanti con cifre che ballano e con il metodo delle docce scozzesi. Servono cifre chiare e la determinazione del governo a raggiungere l’accordo».

C’è però chi vi ha definito “irriducibili”.
«Sì, termine usato per le Br. E il fatto che siano giornali diciamo democratici a farlo è sorprendente. Se abbiamo sentito l’esigenza di scrivere questa lettera è perché siamo preoccupati che in una situazione politica difficile come quella attuale la trattativa con le parti sociali possa andare in fumo. E questo sarebbe un guaio grandissimo per il governo, che è di fronte all’esigenza di un rilancio».


Nella lettera si parla anche di Dpef, e il portavoce del governo Sircana ha richiamato al “rispetto delle prerogative di ciascun ministro”.
«Bene. Ma a parte che la Costituzione prevede il principio di collegialità nel governo, cioè che siamo tutti responsabili di ogni provvedimento dell’esecutivo, è proprio per quello che dice Sircana che voglio sapere cosa prevede il Dpef su ricerca e università. Siccome ho una responsabilità, devo essere messo in grado di esercitarla. E quindi devo sapere qual è il documento fondamentale su cui il governo orienterà le sue politiche economiche. Siccome siamo a cinque giorni dal Consiglio dei ministri che si occuperà del Dpef, vorremmo vederlo prima per poterlo valutare, discuterlo e poi approvarlo. Non si può fare il bis dell’anno scorso, quando il testo ci venne dato a poche ore dall’inizio del Cdm».


Il ministro Turco vi obietta che simili discussioni si devono affrontare appunto nel Consiglio dei ministri, non con lettere pubbliche.
«Ma qualcuno crede che queste questioni non siano state sollevate nei precedenti Cdm? Crede che non abbiamo già discusso del livello di informazione con cui a volte passiamo alle decisioni? La questione è stata sollevata, più volte direttamente col presidente del Consiglio. Questa volta abbiamo compiuto un atto politico per vedere se la situazione migliora»


Così però si dà un colpo all’immagine del governo, si rischia di indebolirlo.
«Non capisco perché. Noi vogliamo rafforzarlo. Penso che non ci siano alternative a questo governo. Che sia il punto di equilibrio politico più avanzato. Ma bisogna farlo funzionare. Dobbiamo chiamare a raccolta le forze, coinvolgere, lavorare sulle idee. C’è un problema di rilancio, lo vedono tutti. Le amministrative sono state non un campanello ma un campanone d’allarme. Un certo malumore nei nostri confronti può essere connesso al fatto di governare, però forse ora ha superato la misura. C’era chi diceva “molti nemici molto onore”. Ma “tutti nemici” non si può, scontentare tutti non si può».


Epifani ha detto all’Unità che sente aria da 1919, che vede gli industriali come novelli agrari di allora, che guarda con preoccupazione alla sollecitazione degli istinti più bassi.
«È un allarme forte quello di Epifani. È una persona riflessiva e attenta a ciò che dice. Non ha sparato a caso. Il suo è un allarme che coglie un punto. E che condivido. L’ultima uscita di Montezemolo è inquietante. Non può essergli scappata. E se gli è scappata è freudiano. La sua è stata una doppia battuta. La prima, tremenda e intollerabile, è che i sindacati rappresentano i fannulloni. Un insulto ai lavoratori italiani, una cosa che il presidente di Confindustria non può né dire né pensare. L’altra battuta è che rappresenta più lui i lavoratori dei sindacati, quando è uno degli elementi della vita democratica la capacità dei grandi sindacati confederali di rappresentare il lavoro. Anche questa battuta ha un sapore politico. È l’idea di un blocco proprietario che attrae i consensi popolari. Oggi c’è una sommossa dei ricchi e il disincanto dei poveri. E Montezemolo suona la carica».

Come giudica la candidatura di Veltroni a segretario del Pd?
«Una buona notizia. Il Pd stava andando a infrangersi fragorosamente. Con Veltroni c’è la possibilità di un esito più solido. Dopodiché, non è che cambia il mio giudizio su carattere e natura dell’operazione Pd. Il dissenso resta».


E allora perché una buona notizia?
«Un Pd che galleggia al 20% e una sinistra frammentata sarebbe un disastro. Ho concluso il mio intervento al congresso dei Ds dicendo buona fortuna, speriamo che tutti e due i progetti, quello del Pd e quello dell’unificazione della sinistra, abbiano successo, perché in questo modo è ragionevole immaginare le coalizioni del futuro in un quadro bipolare e non trasformistico. Continuo a pensarla così, e penso che Veltroni sia un interlocutore migliore di altri».

da sinistra-democratica.it


Titolo: Vademecum critico per la «sinistra smarrita»
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2007, 09:43:24 pm
Vademecum critico per la «sinistra smarrita»

Adriano Guerra


«Il leaderismo non è sinistra», ha scritto Bruno Gravagnuolo aprendo, finalmente!, una discussione sulla sinistra - sulla natura, l'identità, la politica della sinistra - fuori dai temi e dagli schemi imposti dalla precarietà e dall'emergenza. E da qui vorrei incominciare. Il leaderismo, dunque, «ovvero la politica di massa incentrata sul leader carismatico come risolutore e "chiave di volta" del bipolarismo». Diciamola tutta: il leaderismo non solo «non è sinistra», ma non ha funzionato. E non solo non ha funzionato ma ha fatto danni. Ha reso difficile in primo luogo ai cittadini, incominciando da quelli più politicizzati, dai membri di partito, di partecipare effettivamente alla vita politica: come può un cittadino contribuire, come è suo diritto e dovere, a fare avanzare questa o quella scelta, quando c'è un leader - per giunta inascoltato - che dice «decido io», «parlo solo io»? Quando i programmi di governo vengono preparati da un gruppetto di «saggi», come è avvenuto nel centro-destra, o riunendo in una «fabbrica del programma» - come è avvenuto col centro-sinistra - a turno gruppi di specialisti lasciando ai partiti - invitati a fare continui passi indietro - il compito di accettarli o di uscire dall'alleanza?

Del resto l'idea che si sia di fronte ad una crisi del sistema politico e dunque alla necessità di introdurre all'interno del sistema stesso misure di riforma (attraverso modifiche delle leggi elettorali, del ruolo delle Camere, dei ruoli del Presidente della Repubblica o del capo del governo, del rapporto centro-periferia, ecc.) è largamente diffusa. Si tratta sempre però di progetti di riforma che non toccano il dato essenziale del «potere personale» e del modello di bipolarismo che lo ha prodotto. La soluzione viene anzi cercata puntando su «volti nuovi», preferibilmente di giovani e di donne da inserire ai vertici di un partito del quale le uniche cose certe non sono gli elementi programmatici di fondo, i meccanismi per dar vita ad un visibile programma di partito da discutere con altre forze così da dar vita ad un programma di governo, e ancora una chiara visione del sistema di alleanze da mettere in piedi, ma... il nome del suo futuro Presidente.

Ora, se «il leaderismo non è sinistra», una forza di sinistra per essere tale dovrebbe proporsi anzitutto come obiettivo quello della riforma radicale del sistema politico. Ma se questo è il problema - Gravagnuolo non giunge a questa conclusione ma non vedo altra strada per la «sinistra smarrita» - quel che occorre è far si che il bisogno di dar vita ad un sistema politico nuovo diventi volontà politica e cioè partito. Un partito di sinistra a «baricentro culturale forte».

Ma come può nascere un partito? Intanto in modo diverso, opposto - è la mia opinione - rispetto alla via proposta su queste colonne da Roberto Gualtieri («La sinistra c'è se guarda avanti»). Un partito nuovo, come è sempre accaduto nella storia, non può nascere che sulla base della critica del passato (di quel che l'ha preceduto nel passato) e del presente (il mondo, la società), attraverso cioè la via delle scissioni e non delle aggregazioni (che verranno dopo per essere seguite da nuove scissioni. Si pensi a come sono nati i partiti socialisti dall'interno dei movimenti anarchici, proudhoniani, mazziniani; alla denuncia di Gramsci delle «piaghe» del partito socialista, ecc.).

Un partito nuovo di sinistra in Italia non può nascere dunque che sulla base della critica radicale del Pci (perché il partito del «comunismo democratico» è crollato nonostante la sua «diversità» rispetto al modello sovietico?) e del Psi (perché la sua «diversità» non lo ha preservato dal craxismo?). Una critica radicale. Quel che si deve chiedere ai potenziali fondatori del nuovo partito è dunque di non limitarsi alle critiche e autocritiche personali e alle abiure semplificatrici. Queste abiure da una parte liberano il campo alle nostalgie e dall'altra tolgono di mezzo il percorso col quale la sinistra in Italia è pervenuta col Pci ad acquisire come valori propri, insieme alle regole del gioco della democrazia parlamentare e ai diritti di cittadinanza, il ruolo del mercato e delle imprese, la lotta contro l'inflazione, contro gli sprechi, i parassitismi e i privilegi. (L'elenco è negli interventi di Berlinguer che si apprestava - era il 1977 - a far entrare il suo partito nell'area di governo e che qualche anno dopo si chiedeva «se l'obiettivo del socialismo» potesse essere considerato «ancora valido» o se si poneva «il nodo storico di ripiegare verso altri obiettivi»). Nel passato della sinistra italiana ci sono insomma fila da recidere e fila da continuare.

Si dirà che non si può chiedere ad un partito di fare storia. Gli si può chiedere però di prendere atto dei risultati già raggiunti dai lavori di numerosi giovani studiosi che al tema hanno dedicato e stanno dedicando grandi energie.

La critica del Pci, dunque. E poi la critica dei tentativi, sempre falliti, di dar vita a formazioni, a «cose» nuove, messi in piedi dal 1991 in poi.

E infine dov'è la critica del presente, di quella che Gualtieri ha definito «la più trita teoria liberista» al di là delle tante parole sugli operai che sarebbero scomparsi, sulla flessibilità che sarebbe un'occasione ecc. ecc.? Dov'è un'analisi della «questione settentrionale» e di quella meridionale che ci dia un quadro a livello, ad esempio, dei risultati conseguiti da ricerche sparse sui giornali, spesso vituperati e proprio quando mettono in chiaro i legami più nascosti fra affari e politica; dei momenti di verità-realtà fornitici da certi film sulla mafia, sul Nord Est, sull'immigrazione; e ancora di certe inchieste televisive della Terza rete, o da libri come quello di Roberto Saviano? (Può succedere, succede, - mi dicono - che in seguito alla trasmissione di un'inchiesta di Milena Gabanelli, si muovano i carabinieri o le guardie di finanza. I partiti no. È già molto se non danno querela). La «sinistra smarrita» vive nella «terra di nessuno» nella quale ci si è continuati a muovere pensando a «cose» senza identità o con identità («partito democratico», «partito socialdemocratico») che non erano il risultato di percorsi reali, di analisi critiche o anche soltanto di dibattiti seri. E intanto si camminava inesorabilmente verso l'idea che identificava «sinistra» e «centro-sinistra», che - come riconosce ancora Gualtieri - alcuni capisaldi del pensiero conservatore (tra questi oltre alla «personalizzazione della politica», «l'idea bizzarra secondo cui la politica non si dovrebbe occupare dell'economia ma limitarsi a "dettare le regole"») diventassero «veri e propri assiomi» fatti propri anche dalla sinistra.

Così la ritirata dello Stato, con le privatizzazioni selvagge non contrastate quando andava fatto, è diventata una rotta, e, ad esempio, la ricerca di un rapporto fra le forze di sinistra e la cooperazione - che è nata dalla sinistra e con la sinistra - è divenuta un delitto indifendibile. Si andava, si va, verso il «pensiero unico», verso l'idea che per ogni problema esistano non soluzioni diverse ma una soluzione ottimale.

Ora un partito per essere tale deve essere anzitutto «parte». Chi scrive, per raggiunti limiti di età, può essere portavoce- me ne rendo conto - di vecchi modi pensare. Vorrei chiarire però che non sto riproponendo il ritorno al partito nomenclatura di classe. E neppure alla semplice identificazione della sinistra con i valori indicati da Norberto Bobbio in quel suo dimenticato libretto del 1994.

Ci sono valori nuovi, quelli ad esempio più volti indicati - insieme ai compiti nuovi determinati dai profondi mutamenti intervenuti nel mondo e nella vita degli uomini - da Alfredo Reichlin. Ma è pensabile che un partito nuovo possa nascere come risultato dell'aggregazione di partiti e gruppi (e come aggregazione burocratica, usando il manuale Cencelli) che, come si è detto, non solo partecipano del sistema politico in vigore ma si propongono di salvarlo?

Porre questo interrogativo non vuol dire - va chiarito - sottovalutare il ruolo che forze e uomini che operano all'interno dei Ds possono svolgere per far vivere una sinistra autonoma. Gravagnuolo ha avanzato l'idea di una possibile «conversione a U» di coloro che stanno lavorando per dar vita al Pd. Ed è auspicabile che ciò possa avvenire. (Né lo si può escludere: penso a D'Alema, o a Reichlin, nei cui articoli le ragioni per dire «basta» al partito democratico ci sono spesso tutte). Sembra certo tuttavia che si stia andando, indipendentemente della sorte del governo Prodi, verso la formazione di un'aggregazione di centro sinistra. All'interno della quale non tutti saranno lì per difendere il vecchio sistema coi suoi privilegi.

E poi ci sono altre forze ancora. Ci sono i delusi del centro-sinistra che già hanno fatto lo «sciopero del voto». Se è vero, come credo sia vero, che un' ondata di protesta contro l'attuale sistema politico stia montando, e che alla base di questa ondata vi sia, insieme al fallimento del sistema politico, il quadro impressionante degli aspetti degenerativi a cui il sistema stesso è giunto, perché non raccogliere - sottraendola al «partito della non politica», e far diventare «politica» «sinistra» e «partito», la spinta al cambiamento che tutti avvertiamo nell'aria? La mia opinione è che solo una forza popolare di sinistra, e di «sinistra di governo», autonoma, possa fare questo. Ma evidentemente non può farlo da sola. Occorre un sistema di alleanza che vada ben al di là della sinistra. E questo vorrei dire a Mussi e ad Angius che mi sembrano troppo occupati - nel momento in cui c'è da parlare a milioni di cittadini, anzi, diciamolo con una parola grossa, al paese - a incontrarsi con i dirigenti dei partiti della sinistra radicale come se per uscire dalla crisi ci si potesse limitare a contrapporre ad un'aggregazione moderata un'aggregazione della vecchia sinistra.

Pubblicato il: 26.06.07
Modificato il: 26.06.07 alle ore 13.56   
© l'Unità.


Titolo: Sxnet.it, sinistra unita, almeno virtualmente
Inserito da: Admin - Luglio 03, 2007, 10:04:43 pm
Sxnet.it, sinistra unita, almeno virtualmente

Wanda Marra


«Sinistra (sx)»: da qualche giorno dei grandi manifesti rossi 6x3 campeggiano per le strade di alcune grandi città. Sotto c’è un richiamo internet: www.sxnet.it. E chi digita questo indirizzo internet si ritrova su una home page dove si alternano le traduzioni della parola sinistra in varie lingue: «Left», «Gauche», «Izquierda», «Linke». “Declinazioni” della parola sinistra che da ieri campeggiano anche sui manifesti 70x100 e 100x140 distribuiti da Rifondazione su tutto il territorio. Sì, perché, il sito al quale rimandano in realtà risponde a un progetto ben preciso: essere l’agorà, la piazza virtuale a disposizione di chi si sente di sinistra. E anche di chi alla costruzione in corso della sinistra-sinistra vuole contribuire. D’altra parte, nel messaggio di «Benvenuti» l’invito è chiaro: «Un sito è più facile navigarci dentro che spiegarlo. Per noi è nata così: immaginare uno spazio aperto ad una comunità di sinistra. Sentimentalmente di sinistra. Ovvero non un sito della politica di sinistra, ma un sito per le persone di sinistra». Promosso dalla Sinistra europea e con i fondi di questa, curato dall’agenzia di Marketing, Sister (la stessa che ha fatto la campagna elettorale di Rifondazione) in realtà il progetto vede coinvolta, oltre che Rc, anche gli altri soggetti che stanno lavorando alla costruzione della cosiddetta «Cosa rossa». E infatti il sito, che da ieri è nella sua versione ufficiale, raccoglie interventi anche di esponenti di Pdci, Verdi, della Fiom. E si rivolge anche a Sd.

Sull’«unità a sinistra» scrive la responsabile Cultura del Pdci, Patrizia Pellegrini, nella sezione «Con sorpresa». Dichiara che «la lotta ai cambiamenti climatici deve essere un tema centrale, anche e soprattutto per chi si riconosce in un’ idea della politica a sinistra», Angelo Bonelli nella sezione «Per paura». «Palestina: l’ultimo frutto della guerra permanente di Bush in Medio Oriente» si intitola l’intervento di Roberto Giudici dell’Ufficio internazionale della Fiom di Milano, nella sezione «Con rabbia». «Abbiamo bisogno ancora una volta d’immaginare partendo da lì, in alto a sinistra», dichiara nel suo intervento Michele Palma, della Segreteria nazionale di Rc nella sezione «Per amore».

Questo il lancio. Ma in realtà, volendo essere una piazza virtuale, il sito più che a interventi “dall’alto” è aperto a quelli dal basso. Tra le altre idee, quello di dar vita a un alfabeto di sinistra. Per adesso, la A è legata ad Amore. Ma l’intenzione è quella di costruire un alfabeto che funzioni come una sorta di Wikipedia, l’enciclopedia online in cui chiunque può inserire una voce nuova o aggiungere definizioni a voci già esistenti. La risposta ad ora è stata lusinghiera: la versione ufficiale è online da ieri, ma da lunedì scorso si poteva accedere ad una pilota. Ed a scrivere sono stati circa in 2000. L’obiettivo è arrivare a gennaio e, dopo un momento di verifica dell’iniziativa, offrire il sito a tutti i soggetti della sinistra-sinistra: perché questo diventi uno strumento non “per” la sinistra, ma “della” sinistra.

Pubblicato il: 03.07.07
Modificato il: 03.07.07 alle ore 9.04   
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Titolo: Da Piero idee oniriche. Io non entrerò nel Pd
Inserito da: Admin - Luglio 04, 2007, 10:31:27 am
Intervista rilasciata da Fabio Mussi e pubblicata su La Stampa martedì 3 luglio 2007

Da Piero idee oniriche. Io non entrerò nel Pd
di Riccardo Barenghi


Nell’intervista pubblicata ieri sulla Stampa Piero Fassino ha accusato Mussi e la sua Sinistra democratica di usare due pesi e due misure: «Non capisco perché quando a Firenze io lavoravo per il Partito democratico, stavo liquidando la sinistra. Mentre oggi va bene Veltroni che sostiene la stessa prospettiva da molti anni. (...) Tornino pure tutti quelli che vogliono tornare ma ammettano di essersi sbagliati su di me».

Allora Ministro Mussi, torna nel Pd adesso che c’è Veltroni?
«Queste di Fassino mi sembrano opinioni oniriche. Sono assai preoccupato perché vedo con qualche dispiacere che il mio amico Piero non solo non domina gli eventi, ma non capisce esattamente neanche quello che succede».

Quindi non è vero che lei e suoi compagni state pensando di rientrare nel Partito democratico?
«Ma neanche per sogno. Non capisco come a Fassino possa venire in mente una prospettiva del genere: mai come ora sono stato convinto delle mie scelte. Naturalmente ho apprezzato la candidatura di Walter, visto che fino a quel momento il progetto del Pd era una nave che correva verso gli scogli. Lui forse può evitare il naufragio, che certo io non mi auguro: se fallisse il Pd, perderebbe tutto il centrosinistra. Tanto è vero che all’ultimo Congresso dei Ds ho augurato ai miei ex compagni buona fortuna. Ma questo non cambia la mia opinione su quell’avventura politica: il Partito democratico non è e non sarà il mio Partito. Non aderirò mai e non lo voterò».

Eppure Veltroni le ha rivolto un appello diretto...
«Lo ringrazio ma mi sembra sempre più chiaro, anche grazie a lui, che il profilo che assume il Pd non ha nulla a che fare con la sinistra, non è l’ennesima metamorfosi della sinistra. Non sarà un Partito di sinistra ma un qualcosa che va verso il centro, tanto che persino Walter ventila, sbagliando, alleanze variabili in futuro. E qui vorrei dire a Fassino che semmai sono io che pretendo le sue scuse, visto che c’era una volta il più grande Partito della sinistra italiana e oggi non c’è più».

Ma del discorso di Torino cosa pensa?
«Come si dice, luci e ombre. Mi è piaciuta l’agenda di priorità, dal precariato alla formazione, alla ricerca. Non mi è piaciuta invece la parte sulla democrazia che deve decidere. Non credo che la crisi della politica possa essere affrontata con un assetto iperpresidenzialista. A me interessa sapere soprattutto su cosa deve decidere la democrazia, e il cosa per me è l’estrema diseguaglianza che esiste nel nostro Paese».

Dal 14 ottobre in poi avrete un premier in carica (Prodi) e un premier in corsa (Veltroni): saranno guai per il governo?
«Io sostengo da tempo che il Partito democratico è un fattore destabilizzante per il quadro politico, e infatti ne abbiamo avute parecchie conferme. Ricordo che D’Alema lo chiamò il Partito di Prodi, invece sarà il Partito di Veltroni. E’ evidente che in autunno si aprirà un problema da trattare con molto garbo, bisognerà sforzarsi tutti per mantenere un equilibrio che si preannuncia piuttosto delicato. Ma bisogna fare di tutto per evitare che il governo cada, altrimenti gli eventi precipitano».

Nel frattempo la vostra Cosa rossa, che potrebbe colmare quel vuoto che il Pd apre a sinistra, sembra marciare piuttosto a rilento.
«E’ evidente che si tratta di un processo difficile. Non sarebbe giusto limitarsi a sommare le quattro forze in campo, cioè Rifondazione, Pdci, Verdi e noi della Sinistra democratica, senza ingaggiare una battaglia politica, provocare spostamenti di forze, confrontarsi sui contenuti. Tuttavia la Cosa va e io non penso a tempi biblici, anche perché sono convinto che il bipolarismo potrà sopravvivere solo se dalla nostra parte del campo avremo un Partito democratico dal profilo riformatore ma alleato con una forza di sinistra».

Una forza che si presenterà insieme alle elezioni? E quando?
«Alle amministrative dell’anno prossimo. Altrimenti il progetto fallirebbe».

Da www.sinistra-democratica/dalla.stampa/interviste-356


Titolo: Edmondo Berselli Chi terrà insieme le due sinistre?
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2007, 10:53:11 am
PORTE GIREVOLI

Chi terrà insieme le due sinistre?
di Edmondo Berselli

Se il Partito democratico, come dice Veltroni, dovrà essere a 'vocazione maggioritaria' la leadership dovrà essere conquistata sul terreno di una competizione interna all'alleanza  Il presidente della Camera Fausto BertinottiDi qui al 14 ottobre, data di fondazione del Partito democratico, ci sarà la possibilità di analizzare le prospettive del 'partito nuovo', e di capirne le potenzialità. Ma c'è un problema che finora è stato solo sfiorato, e che è a suo modo un problema eterno, cioè strutturale, per il centrosinistra. Vale a dire la convivenza fra le due sinistre, quella liberal-riformista e quella 'alternativa'.

A essere meticolosi le sinistre sono ben più di due, dal momento che andrebbero considerate le componenti ambientaliste e neosocialiste. Ma se il Pd, secondo la formula più volte espressa da Walter Veltroni, dovrà essere un partito "a vocazione maggioritaria", la linea di confine del conflitto possibile, all'interno del centrosinistra, corre nei pressi dei Comunisti italiani e di Rifondazione comunista.

Quindi oltre a marcare una piattaforma esplicitamente riformista, come Veltroni ha fatto nel discorso al Lingotto di Torino, occorrerà anche provare a immaginare come dovrà svilupparsi il rapporto con l'altra sinistra. Finora infatti si è assistito a un incepparsi dell'azione di governo (esemplare, e preoccupante, nel caso delle pensioni), in cui le resistenze dell'ala oltranzista si sono intrecciate con la posizione della Cgil, che non può farsi scavalcare dai partiti, con la conseguenza di una impasse assai negativa per l'immagine dell'esecutivo.

La situazione è stata riassunta con lucidità lievemente sadica da Giulio Tremonti, il quale ha dichiarato: Prodi non è uno qualsiasi; ha governato il Paese; è stato, bene o male, alla presidenza della Commissione europea. Se si è piantato in un anno, vuol dire che nessun altro, nel centrosinistra, può illudersi di farcela. In altre parole: il problema del centrosinistra è irrisolvibile.

In realtà, Prodi ha tentato di risolvere la questione attraverso il suo voluminoso programma, le famose 281 pagine di super-mediazione. Ma il totem del programma rischia di diventare un vincolo, se non è sottoposto al vaglio della realtà e del contesto economico in evoluzione. Ad esempio: il taglio del cuneo fiscale alle imprese era stato pensato in una fase in cui c'era la sensazione di una perdita di competitività da tamponare a ogni costo. Per rispettare la promessa alle imprese, si sono impegnate risorse mentre l'apparato produttivo italiano stava riprendendo a fare profitti. Ne è venuta fuori una misura 'pro-ciclica', di quelle che il centrosinistra aveva spesso rimproverato al centrodestra (come nel caso della detassazione degli utili reinvestiti nel primo governo Berlusconi).

In sostanza, il programma è uno strumento che può diventare un vincolo ulteriore, come prova anche la discussione infinita sullo scalone. E allora, se non basta un accordo di programma, qual è la risorsa chiave che può garantire la gestione di un rapporto non paralizzante con la sinistra alternativa?

Non c'è una risposta unica. È possibile che a dispetto delle apparenze (e agli appelli di Fassino a Pier Luigi Bersani a non infrangere "l'unità riformista") a Veltroni possa far comodo una candidatura alle primarie che si dislochi alla sua 'destra': nel senso che la presenza di una piattaforma industrial-liberalizzatrice (come quella di Enrico Letta, per intenderci), potrebbe assicurargli una posizione di maggiore centralità nel Pd e nell'intera coalizione, e quindi un ruolo più dinamico nella trattativa con la sinistra meno riformisticamente malleabile.

Ma a prendere sul serio l'etichetta di "partito a vocazione maggioritaria", viene da dire che non si diventa partiti maggioritari senza sistema maggioritario. Per il centrosinistra, le future elezioni politiche avranno due fronti, non uno solo: il primo sarà quello del confronto, durissimo, con il centrodestra; il secondo sarà quello che designerà i rapporti di forza interni all'Unione.

Non è pensabile in questo momento che il Pd possa diventare maggioritario semplicemente in base alla propria condizione di partito dei riformisti più volonterosi. La leadership di coalizione dovrà essere conquistata sul terreno di una competizione interna all'alleanza. E allora è inutile illudersi che riforme elettorali all'acqua di rose possano rendere centrale il futuro partito di Veltroni. Se c'è una strada, per il Pd, è quella segnata dal referendum di Guzzetta e Segni. Che imporrebbe regole severissime e una torsione formidabile del sistema politico: ma poiché l'alternativa è la vittoria semiautomatica della destra, e simmetricamente una grande palude a sinistra, vale la pena di correre l'avventura. Anche perché un partito nuovo non nasce nella bambagia, bensì nell'asprezza del confronto. E allora, se il Pd vuole vincere, innanzitutto non deve avere paura di giocarsi la partita senza riserve mentali.

(18 luglio 2007)
da espresso.repubblica.it


Titolo: Il progetto di unità a sinistra prosegue.
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2007, 07:39:23 pm
Politica
 
Mussi: «La minaccia al governo non viene da sinistra»Simone Collini


Non c’è un conflitto sulle pensioni tra giovani e vecchi. Fabio Mussi vede invece dispiegarsi oggi in Italia «una lotta di classe»: «Dei ricchi, in forza, contro i poveri». Il ministro per l’Università e la ricerca guarda con preoccupazione alla «fune tirata da settori del centro dello schieramento» sullo scalone. Attenzione a questa «linea oltranzista», dice il leader di Sinistra democratica, attenzione a dipingere come nemici dell’accordo sulla riforma previdenziale i sindacati. «Su una linea così non solo salta il governo ma si alza fino all’incandescenza il conflitto sociale. Questo si vuole?».

Quando l’accordo sulle pensioni sembrava in dirittura d’arrivo è arrivata la mossa di Emma Bonino. Come la giudica ministro Mussi?
«È un episodio di guerra preventiva. Voglio bene alla Bonino, però ha utilizzato una forma stravagante».

Ha detto che rimetteva nelle mani di Prodi il suo incarico chiedendogli di decidere se il suo permanere nel governo è compatibile con la proposta che presenterà ai sindacati.
«Un chiaro tentativo di condizionamento. Non consapevole dell’importanza per il governo, per la sua tenuta e durata, di un accordo con le parti sociali. Il governo non agisce mai sotto dettatura di un altro soggetto. Ma senza concertazione si va alla guerra di tutti contro tutti».

Il dubbio della Bonino è che si siano ascoltate troppo le “posizioni reazionarie della sinistra comunista e sindacale”.
«Madonna santa. Noi partiamo dal programma. Si fa un gran discutere di crisi della politica. Uno dei modi per non aggravarla è fare in modo che tra le parole, gli annunci, le promesse, e i fatti, le azioni, ci sia coerenza. Immagino che quelli che nella Fabbrica del programma di Prodi hanno scritto “abolire lo scalone” sapevano quel che facevano».

Il programma dice però anche che bisogna tenere conto dei cambiamenti demografici.
«Certo. E io aggiungo anche i cambiamenti della struttura del mercato del lavoro, il fatto cioè che i giovani sono sempre più impegnati in lavori atipici, precari, a tempo determinato, discontinuo. Questo pone un problema enorme in relazione all’entrata in vigore del sistema contributivo. Mi sono battuto per la riforma Dini e nel 2012 si supererà il sistema dell’età in quanto si andrà in pensione prendendo in proporzione i contributi versati. Se per i giovani il lavoro continua a essere così precario si crea un problema esplosivo che va affrontato precocemente».

C’è anche chi dice che sarà un problema tenere in ordine i conti dell’Inps se non ci sarà un innalzamento dell’età pensionabile.
«Intanto, nella precedente Finanziaria abbiamo già aumentato il prelievo contributivo sul lavoro dello 0,3%, il che ha dato 800 milioni di euro. E poi oggi c’è un attivo dell’Inps di 3 miliardi e mezzo di euro, con il quale si finanziano i passivi di altre casse previdenziali. Per esempio si finanzia il deficit della cassa previdenziale dei dirigenti d’azienda. Cioè questo è un paese in cui i lavoratori con i loro contributi finanziano le pensioni ai loro capi. E la cosa appare normale».

Tenuto conto di tutto questo?
«Si tratta di lavorare a un onorevole compromesso».

L’ipotesi che circola circa lo scalino di 58 anni più le quote contributi-più-età possono portare a un accordo?
«Se c’è anche la messa in sicurezza dei lavoratori precoci, quelli che hanno 40 anni di contributi, gli usuranti».

E se a un’ipotesi del genere ci fosse oggi l’accordo con le parti sociali?
«Credo che il governo dovrebbe nella sua collegialità sostenerlo. Servirebbe a garantire la sua tenuta».

Nella sua collegialità vuol dire anche dai partiti di sinistra, come il Prc, che nelle passate settimane si sono mostrati scettici?
«La minaccia, nonostante la monumentale costruzione ideologica, non viene da sinistra. Rifondazione comunista ha avuto la tentazione di scavalcare il sindacato. Mi pare che sia rientrata».

Da dove dice che viene la minaccia?
«La fune viene tirata da settori del centro dello schieramento. Settori del costituendo Partito democratico e dintorni. È da lì che sono venute le più esplicite minacce, compresa quella di aprire una crisi di governo. E questo su una linea oltranzista: i nemici sono i lavoratori e i sindacati, non vogliono fare l’accordo, l’unica cosa che conta è il dato economico. Su una linea così non solo salta il governo ma si alza fino all’incandescenza il conflitto sociale. Questo si vuole?».

Importanti giornali soffiano sulla crisi di governo, quello di Confindustria suggerisce a determinati ministri di dimettersi.
«È la prima volta che il Sole 24 Ore fa degli articoli in cui auspica una crisi di governo. Non gliel’ho mai visto fare. Quando l’esecutivo era presieduto da uno degli associati di Confindustria, di nome Silvio, con il debito pubblico in ripresa, il deficit sopra le soglie del Patto di stabilità europeo, la crescita zero, non è stata chiesta la crisi di governo».

Questo per dire cosa?
«Voglio fare un appello per fermare la lotta di classe. La lotta di classe in forza dei ricchi contro i poveri».

Più che altro oggi si parla di un conflitto di generazioni.
«Sì, una volta c’erano le dispute tra gli antichi e i moderni, ora c’è la disputa giovani-vecchi. Rutelli ha persino invocato la protesta dei giovani contro i sindacati, poi ci ha provato Giachetti e hanno partecipato in venti».

La teoria non la convince?
«L’atto più ostile della società attuale contro i giovani si chiama precarietà. Sono state approvate leggi che hanno enormemente moltiplicato la condizione precaria dei giovani. E anzi ormai non si può dire neanche più dire che il fenomeno riguardi solo loro, perché la vita precaria continua in età matura, con redditi e stipendi da fame. Io guardo al mio settore, a chi si occupa di ricerca scientifica: un dottorando riceve 800 euro al mese, un assegnista di ricerca 1100, un ricercatore 1200. Questo è un clamoroso oltraggio sociale al principio del merito, che è l’ospite d’onore in tutti i convegni della domenica. Se interessa una politica che disarmi l’eventuale guerra tra anziani e giovani dobbiamo prendere di petto la questione del precariato. Per esempio le norme sul lavoro a tempo determinato. Non si può importare in Italia una delle regole d’oro della globalizzazione: pagare il lavoro a prezzi orientali, vendere le merci a prezzi occidentali».

Che ne pensa del manifesto di Rutelli e del centrosinistra di “nuovo conio”?
«Intanto, non si può non notare che il documento di Rutelli comincia con un attacco al governo. Poi presenta uno schema programmatico piuttosto distante dal programma dell’Unione. E alla fine appare l’espressione alleanze di nuovo conio. Confesso di non capire cosa voglia dire. Perché se l’intenzione è quella di scaricare la sinistra dello schieramento, per sostituirla e fare maggioranza non basta l’Udc. Bisogna andare più in là. Molto più in là».

E delle primarie per il Partito democratico?
«Ho fatto gli auguri a Veltroni, alla Bindi, li faccio a tutti gli altri. Con la pluralità dei candidati si è evitato il plebiscito. Però con questo sistema elettorale di liste che si collegano non è facile evitare una rete feudale. E poi mi sembra una bizzarria un partito che nasce con le primarie, che sono uno strumento per selezionare i candidati per le cariche pubbliche».

Il suo giudizio sul Pd rimane negativo anche dopo la discesa in campo di Veltroni?
«Li ha salvati dal naufragio, ma per quanto mi riguarda non cambia nulla. Anzi, ci sono cose che continuano a sorprendermi».

Per esempio?
«Che alle ultime uscite di Papa Ratzinger, la riabilitazione della preghiera per la conversione degli ebrei e l’affermazione che l’unica vera Chiesa è quella cattolica apostolica romana, ci sia stato un tale silenzio da parte della cultura cattolico democratica. Il Pd si è fatto per fondere la cultura riformista di matrice socialista con quella di matrice cattolica. Ma se il cattolicesimo democratico è silente di fronte a una spinta reazionaria di questa portata, che partito è quello che nasce? Non vorrei dover rimpiangere la Dc».

Non è che sia tanto positiva la situazione a sinistra. L’obiettivo di unificare ciò che oggi è diviso appare alquanto lontano.
«Certo, comporta un processo, anche una lotta politica, perché bisogna che tutti i reparti dei vari eserciti escano dalle trincee, bisogna che tutti si rimettano in discussione e che si guardi alla sinistra che verrà, non semplicemente a quella che è stata».

È quello che sostiene Bertinotti in un articolo della rivista “Alternative del socialismo”.
«È un articolo a doppio taglio. Non condivido il giudizio liquidatorio sulla socialdemocrazia in Europa. Ne avessimo ora, oltre che di Enrico Berlinguer, di Olof Palme e Willy Brandt. Poi non condivido che ci siano due sinistre, una riformista e una di alternativa. Dopodiché si entra nella parte interessante del suo discorso, che è quella che chiama del socialismo del XXI secolo. Lì si può lavorare. Sapendo che non sarà un rapporto bilaterale Prc-Sd, perché in questo campo della sinistra ci sono forze politiche - spero compreso lo Sdi, che ha fatto una scelta infeconda con l’idea di rimettere insieme i pezzi di una diaspora socialista di 15 anni fa con il nome Psi - ma poi c’è anche un pezzo d’Italia che oggi non è rappresentato politicamente e che è in attesa della buona novella».


Pubblicato il: 19.07.07
Modificato il: 19.07.07 alle ore 13.01   
© l'Unità.


Titolo: Il segretario di Rifondazione: «L'accordo sulle pensioni tende solo a ...
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2007, 07:53:41 pm
Pdci: presenteremo modifiche al provvedimento in Parlamento

Rifondazione: «Accordo da respingere»

Il segretario di Rifondazione: «L'accordo sulle pensioni tende solo a diluire gli effetti della Maroni».

Possibile no in Aula   

 
ROMA - L'intesa sulle pensioni raggiunta a Palazzo Chigi tra governo e sindacati e poi approvata dal Consiglio dei ministri è un primo passo importante verso la nuova riforma pensionistica. Ma il cammino per l'entrata in vigore delle nuove norme è ancora lungo e dovrà affrontare, oltre al giudizio dei lavoratori che Cgil, Cisl e Uil consulteranno nelle aziende, anche le insidie dei passaggi parlamentari. E qui Rifondazione, ma anche il Pdci, avanzano già un netto no ( i primi) e molti dubbi (i secondi). «In questi casi è bene fare un'operazione di verità e sulle modalità dello scalone il giudizio è critico e negativo perchè si tende a diluire gli aspetti della Maroni e non va bene» afferma il segretario del Prc Franco Giordano.

IL NO DEL PRC - Dopo Giordano è un altro esponente del Prc, il senatore di Rifondazione Comunista Claudio Grassi, a dire più nettamente no all'accordo. «Il giudizio che diamo dell'accordo sulle pensioni è negativo. Si tratta di una intesa in netto contrasto con il programma dell'Unione una proposta che, in pratica, dilaziona lo scalone di Berlusconi in quattro anni». Spiega Claudio Grassi: «Al posto dello scalone abbiamo gli scalini, cioè ciò che abbiamo sempre detto che non avremmo mai accettato». Ciò non significa, prosegue il senatore, «non apprezzare la resistenza opposta da Rifondazione Comunista e dalla Fiom contro le proposte dei settori moderati della maggioranza di governo, ma ciò che conta è il senso generale dell'intesa e dobbiamo riconoscere che il governo si è piegato ai diktat arrivati negli ultimi giorni da Draghi, dalla Bonino e della Confindustria». Per Grassi «dobbiamo evitare di commettere l'errore fatto con la legge Finanziaria, quando non abbiamo riconosciuto, fin da subito, che non andava bene». E conclude: «Questo accordo non va bene e va respinto. Rifondazione Comunista deve dirlo in modo chiaro».
 
PDCI: VIA A MODIFICHE - Più drastica la reazione dell'altro partito della sinistra radicale, il Pdci. «Mi riservo di valutare testi precisi e non solo note di agenzia - ha detto il segretario Oliviero Diliberto -, ma non nascondo che a una prima valutazione la delusione sembra grande. Appare abbastanza chiaro che il governo sembra aver ceduto alle indebite pressioni del governatore della Banca d'Italia, di Confindustria, e all'esplicito ricatto della parte conservatrice della nostra coalizione, fino alla farsa delle finte dimissioni di Emma Bonino».
A questo punto il Pdci si è detto pronto a presentare modifiche al provvedimento quando verrà discusso in Parlamento.

L'OPPOSIZIONE - Decisamente negativo, invece, il giudizio che arriva da Maurizio Sacconi, di Forza Italia, già sottosegretario al Lavoro nel governo Berlusconi. Per l'esponente azzurro l'accordo segna l'ennesima vittoria della sinistra politica e sindacale. Si tratta di un «regresso - ha spiegato in un'intervista al Gr3 - rispetto alla riforma che noi abbiamo realizzato e l'Italia è l'unico paese che invece di alzare l'età pensionabile la riduce». «L'intesa - ha detto ancora Sacconi - è, non a caso, con il solo sindacato. Alla faccia della concertazione: tutte le altre associazioni sono state escluse e ciò la dice lunga a proposito della visione classista della società che caratterizza questo governo».

20 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Romano in bilico tra Walter e la pasionaria
Inserito da: Admin - Luglio 20, 2007, 07:55:31 pm
20/7/2007 (7:46)

Romano in bilico tra Walter e la pasionaria
 
Il bivio tra due mondi

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Da una parte il prodismo delle origini, cioè l’ulivismo della prima ora col suo arredo politico-ideale - fatto di primarie, bipolarismo e il massimo d’apertura alla «società civile» - rappresentato dal duo Bindi-Parisi, col sostegno delle «liste uliviste» cui starebbe lavorando il ministro Giulio Santagata. Dall’altra, la proiezione futura dell’ulivismo, cioè il centrosinistra di domani, senza Prodi, più pragmatico, spregiudicato, incarnato dal ticket Veltroni-Franceschini, col supporto di Rutelli e dei suoi «coraggiosi» che già chiedono mani libere sul fronte delle alleanze. In mezzo, probabilmente, Enrico Letta, che è per Prodi quel che lo zio Gianni fu per Berlusconi; più le candidature (e attenzione a considerarle di sola testimonianza) di Furio Colombo, del blogger Adinolfi e di Jacopo Gavazzoli Schettini, direttore dell’Agenzia europea di investimenti Standard Ethics.

Ecco, questo è - al momento - il parterre. E se questo è il parterre, per chi voterà il 14 ottobre Romani Prodi? Non è la prima volta che il Professore è chiamato a spiegare per chi o per cosa voterà. Gli accadde all’epoca del boicottato referendum sulla procreazione assistita (e in quella occasione si limitò a dire che avrebbe comunque votato, che era poi l’aspetto fondamentale della questione, considerata la campagna astensionistica che fu lanciata); e ancora, con meno insistenza, alle ultime politiche, quando Ds e Margherita presentarono liste autonome alla Camera. Stavolta, però, l’interrogativo per Prodi è forse ancor più imbarazzante perché rischia di metterlo in possibile rotta di collisione con un pezzo del suo mondo e del suo passato (già in fila a raccogliere firme per Rosy Bindi) oppure, paradossalmente, di farlo finire in minoranza nel nascente Pd se, come tutto lascia prevedere, le primarie incoroneranno come leader Walter Veltroni.

Non è questione, naturalmente, di rapporti personali. E’ che, a differenza di quel che si poteva forse immaginare, nella corsa alle primarie si vanno ormai nettamente delineando piattaforme politiche diverse. Infatti, la dichiarazione con la quale Walter Veltroni ha assunto e fatto proprio il «manifesto dei coraggiosi» di Francesco Rutelli sta cambiando il profilo di una candidatura all’inizio applaudita da tutti. Se Veltroni, come il leader della Margherita, pensa che il governo in carica sia al di sotto delle aspettative e che per il futuro il Pd debba aprirsi ad alleanze diverse, che lo sottraggano al «ricatto» della sinistra radicale, è evidente che introduce nella campagna per le primarie un elemento di assoluta (e rilevante) novità politica: soprattutto se, per render possibili quelle alleanze diverse, uno dei passaggi obbligati è l’abbandono del sistema elettorale maggioritario.

E’ contro questa ipotesi politica - e dunque non semplicemente per arricchire il parterre dei partecipanti - che il duo Bindi-Parisi ha deciso di scendere in campo, con il sì al referendum elettorale ed un chiaro avvertimento: «Il programma del Pd - ha sottolineato ieri la Bindi - deve partire da un sostegno forte al governo Prodi, senza ambiguità e tatticismi. In più dico: all’Italia serve un bipolarismo maturo, non un ritorno al passato». E’ anche per questo che tutti gli uomini di Prodi - da Parisi a Santagata e da a Barbi a Monaco - sono schierati con Rosy Bindi, verso la quale Flavia Prodi, ascoltata «consigliera» del premier, nutre affetto e stima particolari. Così, la pressione sul Professore cresce: «Se sono la candidata di Prodi? Assolutamente no - ha correttamente chiarito ieri la Bindi -. Ma a tutti farebbe piacere avere il suo sostegno». E dunque: chi sosterrà, alla fine, Romano Prodi? O meglio ancora, perché in fondo questo è il punto: per quale tipo di Partito democratico voterà il premier? E se scendesse in campo anche Enrico Letta - braccio destro di Prodi e possibile punto di equilibrio tra le due posizioni finora in campo - ciò agevolerebbe o renderebbe ancor più complicata la scelta che il premier dovrà compiere? Difficile, per ora, rispondere.

Ma va forse annotato lo sfogo riservato ieri ai giornalisti da Angelo Rovati, amico e consigliere di Romano Prodi, dopo aver firmato per il referendum elettorale: «Ho deciso di firmare dopo le dichiarazioni dei maggiori responsabili del nascente Partito democratico che si sono dichiarati a favore di una riforma alla tedesca con sbarramento al 5 per cento, per cui il maggioritario non ci sarà più e si tornerà al vecchio proporzionale... Ora dovrò pensare bene se aderire o no al Pd, che non sarà altro che una riedizione della Dc, partito al quale mi onoro di appartenere». Questa è l’aria che tira, insomma, in quello che viene definito il «clan Prodi». Dal che si può dedurre che stavolta non sarà facilissimo per il premier tenere assieme - come tante altre volte in passato - il diavolo e l’acqua santa...

da lastampa.it


Titolo: Re: Mussi: «La minaccia al governo non viene da sinistra» (sei sicuro??)
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2007, 11:59:32 pm
Ma per la sinistra radicale l'accordo è restrittivo e va cambiato

Rizzo: "E' un vero e proprio tradimento delle ragioni dei lavoratori"

Pensioni, Marini: "Dopo molta attesa raggiunto un punto di approdo positivo"

Bondi: "Solo chi non ama l'Italia e gli italiani può parlare bene della riforma"

Maroni: "E' un vero disastro, un pasticcio assoluto che scontenta tutti"
 

ROMA - Il presidente del Senato Franco Marini manifesta apprezzamento per la riforma delle pensioni, al centro di molte polemiche: "C'era molta attesa - ricorda Marini - è stata una trattativa difficile, e mi pare che, conclusivamente, dopo molta fatica si sia raggiunto un punto di approdo positivo".

"Mi pare - ha aggiunto Marini, a margine di una cerimonia in onore di Siro Riccioni, comandante degli alpini che, nel 1943, a Creta salvò 272 persone da morte certa per mano dei tedeschi. riferendosi alla riforma - che così sia largamente capito dalla nostra opinione pubblica".

Ma le posizioni della sinistra radicale non si sono certo ammorbidite: "L'accordo è un vero e proprio tradimento delle ragioni dei lavoratori, per certi versi è peggio della controriforma Maroni", denuncia Marco Rizzo, capo delegazione del Pdci all'europarlamento.

"Il progetto è restrittivo - sostiene ancora Rizzo - Il sistema delle quote che avrebbe dovuto garantire più elasticità di scelta ed evitare altri scalini successivi al primo, in realtà non è molto vincolante. Lo scalone viene diluito in 3 scalini e poi si va anche oltre, riducendo fortemente i margini di scelta dei lavoratori. Insomma, pagano i soliti noti. Serve la mobilitazione generale e l'impegno totale di tutti quelli che si dichiarano ancora di sinistra".

Di battaglia parlamentare parla anche il segretario del Partito dei comunisti italiani Oliviero Diliberto: "Non nascondo di essere molto irritato", ha ribadito oggi a Pordenone. "La delusione è grande - ha aggiunto - perchè da un governo di centrosinistra ci saremmo aspettati politiche a favore dei lavoratori non contro i lavoratori. Qui si aumenta l'età pensionabile e la si aumenta fino a 62 anni. Non mi sembra un gran risultato. Siccome questo è un accordo sindacale, ma va tradotto in una legge la battaglia proseguirà in Parlamento".

E mentre la rabbia della base arriva attraverso le lettere pubblicate oggi da Liberazione, con le quali i lettori chiedono che "Prodi torni a casa", il segretario di Rifondazione Comunista Franco Giordano attenua la durezza del giudizio espresso a caldo sulla riforma approvata dal governo: "Abbiamo espresso - ha dichiarato Giordano - un giudizio politico molto critico sullo scalone, un giudizio che però raccoglie anche elementi positivi, come l'innalzamento del rendimento delle pensioni dei giovani. Ci impegniamo naturalmente nel dibattito parlamentare e nelle attività sociali, a modificare l'impianto dello scalone che ora lenisce le sofferenze ma non modifica l'impianto di fondo".

Nessun ammorbidimento invece da parte dell'opposizione: "Solo chi non ama l'Italia e non rispetta gli italiani, ed è interessato unicamente al mantenimento del suo potere - ha scritto in una nota il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi - può parlare dell'accordo sulle pensioni, peraltro un accordo non concluso e messo in discussione da varie componenti della maggioranza di governo, come di una scelta riformista, con il coro greco dei grandi quotidiani".

E anche l'ex ministro del Welfare Roberto Maroni, in un'intervista al quotidiano Il Messaggero, definisce l'accordo sulle pensioni "un vero disastro, un pasticcio assoluto che non accontenta il palato raffinato della Ue, nè quello più rustico della sinistra radicale".

(21 luglio 2007)
 da repubblica.it


Titolo: Ma dove sta questa sinistra radicale massimalista estremista che vince sempre?
Inserito da: Admin - Luglio 22, 2007, 02:43:21 pm
22/7/2007
 
La disfatta della sinistra
 
RICCARDO BARENGHI

 
Ma dove sta questa sinistra radicale massimalista estremista che vince sempre? Ma chi l'ha vista questa invincibile armata che condiziona il governo, gli tarpa le ali, gli impedisce di dispiegare tutta la sua potenza riformista? Al di là del leit motiv, ormai quasi un luogo comune, che da più di un anno anima il dibattito politico e giornalistico - interviste di leader politici, editoriali, interventi televisivi che seguono sempre lo stesso schema - vediamole le vittorie dei nostri radical. E scopriremo che sono molte di più le loro sconfitte, anzi che sono quasi esclusivamente sconfitte.

L'ultima, cocente, è ovviamente quella sulle pensioni, tanto che i dirigenti di Rifondazione minacciano fuoco e fiamme, non solo una battaglia in Parlamento per cambiare l'accordo ma addirittura un referendum tra i loro elettori per farli decidere se ha ancora senso restare nel governo. Se avessero vinto, direbbero tutt'altro. E se torniamo a un anno fa, ci ricordiamo che sul Dpef di allora il ministro Ferrero votò contro. Poi, certo, arrivò la Finanziaria che fu all'inizio corretta in senso redistributivo, così da suggerire quell'infelice manifesto, «Anche i ricchi piangono». Peccato che poi piansero anche i poveri, non a caso i fischi a Mirafiori se li beccarono sia i leader sindacali sia quelli del Prc, accolti nelle fabbriche non certo come vincitori. Nel frattempo - e questa può essere una mezza vittoria - riuscirono a bloccare l'offensiva di Fassino e Rutelli sulla Fase due del governo, ma fu una magra consolazione.

Poche settimane dopo infatti la sinistra radicale lanciò la sua parola d'ordine: risarcimento sociale. Che tra l'altro era un'implicita ammissione di sconfitta: finora abbiamo pensato al risanamento, quindi ai sacrifici, adesso dobbiamo aumentare salari e pensioni. Ma i salari sono rimasti fermi, le pensioni non aumentano (tranne quelle minime, un euro al giorno, grande vittoria), lo scalone viene trasformato in scalini, l'età per uscire dal lavoro cresce. Il risarcimento insomma non è arrivato e nemmeno si intravede all'orizzonte.

Così come non arriva la cancellazione della «famigerata» legge Biagi, e nemmeno la sua profonda modifica. Così come non è stata ancora neanche discussa la nuova legge sulle droghe che dovrebbe sostituire quella considerata super repressiva voluta da Fini. Per non parlare dei Dico, battaglia che non è stata magari la bandiera della sinistra radicale (concentrata troppo sulle questioni sociali e poco sui diritti civili) ma che comunque è andata male: i Dico non ci sono, e forse non ci saranno nemmeno i loro sostituti Cus.

Si dirà, ma c'è la politica estera. Giusto, il ritiro dall'Iraq per esempio. Peccato però che fosse stato deciso già prima delle elezioni. La missione in Libano? Perfetto, ma non è stata certo una battaglia della sinistra radicale, semmai del ministro degli Esteri. Così come è stato Massimo D'Alema a decidere di cambiare la linea della nostra diplomazia, in senso più antiamericano, più antiisraeliano e più filopalestinese. Rifondazione e gli altri possono al massimo applaudire, concordare, appoggiare, ma non certo rivendicare una loro vittoria. Se poi ci spostiamo in Afghanistan, altro che vittorie: i nostri soldati sono sempre lì, di ritiro non si parla più, sono arrivati anche i terribili Predator, e la tanto agognata Conferenza di pace, grazie alla quale la sinistra del centrosinistra si è autocostretta a votare e rivotare la missione, è morta prima di nascere. Vogliamo aggiungerci anche la base di Vicenza? Aggiungiamocela.

Sarebbe ingeneroso tuttavia non segnalare i (pochi) risultati ottenuti da questa parte della coalizione di governo, la nuova legge sugli immigrati, il piano sulla casa e l'indulto. Che purtroppo non si è rivelato una grande iniziativa, visto che gli stessi elettori del centrosinistra (e della sinistra) non hanno affatto gradito, e infatti nessuno dei suoi leader politici ha poi avuto il coraggio di rivendicarlo come una battaglia vinta, meglio stenderci sopra un velo pietoso.

Morale della favola. La sinistra radicale ha scelto il governo per cambiare il Paese secondo le sue idee ma si ritrova al massimo a ridurre il danno (sempre dal suo punto di vista), ossia a frenare gli eventuali eccessi di riformismo. Nulla di più. Non molto viste le sue ambizioni, anzi molto poco: e ne è così consapevole che si prepara a chiedere ai suoi elettori se deve restare o andarsene dal governo.

da lastampa.it


Titolo: Mussi: «Non è stato un colpo di testa, lo scalone di Maroni andava superato»
Inserito da: Admin - Luglio 24, 2007, 06:11:59 pm
Fabio Mussi: «Non è stato un colpo di testa, lo scalone di Maroni andava superato»
Maria Zegarelli


L’unità a sinistra è un progetto che traballa prima ancora di essere compiuta. Franco Giordano, segretario Prc, critica duramente l’accordo governo-sindacati sulle pensioni, mentre Oliviero Diliberto, Pdci, promette una calda estate sullo stesso tema. Fabio Mussi, Sd, ministro dell’Università e della Ricerca controbatte: «Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare le condizioni che minacciano l’apertura di una crisi di governo da sinistra».

Ministro, ha letto l’intervista rilasciata da Giordano?
«Sono abituato a considerare le situazioni concrete. Sulle pensioni esistono due leggi in vigore: la Dini che prevedeva la revisione dei coefficienti, cioè la riduzione delle prestazioni pensionistiche; la Maroni, che prevedeva dal 1 gennaio 1998, il salto di 3 anni per tutti i lavoratori. Dunque, occorreva correggerle, in modo favorevole ai lavoratori, non si è trattato di un colpo di testa del governo».

Giordano critica lo scalone...
«Il salto previsto da Maroni viene spalmato in quattro anni, un provvedimento che riguarda qualche centinaio di migliaia di lavoratori che andrà in pensione prima di quanto previsto dalla legge; la quota 97, con i 61 anni di età è prevista per il 2013, previa verifica sullo stato dei conti della previdenza. Attualmente l’età di pensionamento media reale supera i 60 anni. Il giudizio deve essere dato considerando tutti gli aspetti dell’accordo».

Su quali di questi lei ha ancora riserve, o promuove a piene voti?
«Questa partita tra governo e sindacati non è ancora chiusa. Ci sono due aspetti importanti: competitività e mercato del lavoro. Il modo in cui verranno risolte queste due questioni sarà decisivo per la valutazione finale. Non sono d’accordo sugli sgravi fiscali per il lavoro straordinario e ritengo l’intervento sul lavoro a tempo determinato debba essere risolutivo, in grado cioè di contrastare davvero la precarizzazione dei giovani».

Diliberto annuncia battaglia contro la controriforma. Sembra che parliate di cose diverse.
«Analizziamo qualche punto: la pensione di vecchiaia delle donne non viene toccata - anche se l’Europa chiede il contrario - e alla base di questa resistenza italiana c’è una particolare attenzione alla condizione delle donne che, a parità di qualifiche hanno stipendi più bassi e quindi più bassa contribuzione; nella vita lavorano due volte, perché hanno a carico anche il lavoro di cura, una funzione sociale di primario valore. Vengono salvaguardati i lavoratori precoci, quelli con 40 anni di contribuzione e aumentano le finestre di uscita. Per la prima volta viene applicata una tabella dei lavori usuranti, la tabella Salvi allargata. Infine, c’è, sia pure in una forma non perentoria, il minimo del 60% dello stipendio per i i giovani che hanno lavori discontinui. Certo, si poteva fare anche di più, ma il complesso di questi provvedimenti, non giustifica questa opposizione frontale. È una condotta che rischia di far saltare il banco».

Perché, secondo lei?
«Mi preoccupa il fatto che ai fari accesi sulle pensioni corrispondano sempre più spesso luci basse sul tempo di lavoro, sulla qualità del lavoro».

Sicuri di riuscire a fare l’unità a sinistra?
«Sono abituato ad assumermi la responsabilità politica per tenere una posizione quando viene meditatamente presa, per più di 24 ore. Voglio dire a questi compagni che non abbandono il progetto dell’unità a sinistra. Vanno prese sul serio le parole quando sparliamo di unità e rinnovamento della sinistra. E voglio ricordare anche che all’incontro politico del 7 giugno tra Rc, Pdci, Verdi e Sd, ha fatto seguito quello con i segretari delle tre confederazioni sindacali. Lì si è preso un doppio impegno: pretendere che il governo di cui facciamo parte e sosteniamo lavorasse non alla rottura ma a un accordo con i sindacati; e nel caso di raggiunto accordo, che non avremmo giocato al più uno. Poi, Rc ha scartato, mentre in un incontro successivo il Pdci ha confermato questa posizione politica. Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare condizioni che minaccino un’apertura della crisi di governo da sinistra».

Sarebbe la seconda volta. Non c’è il pericolo che gli elettori non vi seguano più?
«Stavolta non capirebbero. Si sono già espressi un anno fa, a noi spetta l’assunzione di responsabilità di scelte essenziali per il paese. L’arretratezza sociale italiana non è sul sistema previdenziale. Siamo indietro su altro. Dal tasso di occupazione, soprattutto femminile; ai servizi sociali efficienti per tutti ; al livello di qualità della rete delle infrastrutture; università, ricerca scientifica, innovazione tecnologica».

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.53   
© l'Unità.


Titolo: Toni duri da Rifondazione: «In autunno sarà battaglia»
Inserito da: Admin - Luglio 29, 2007, 12:02:53 pm
Toni duri da Rifondazione: «In autunno sarà battaglia»

Welfare e precari, Prodi gela la sinistra

Sircana: «Nessun passo indiettro. Protocollo non si tocca».

Insorge la sinistra. Ma Damiano apre: «Si può scrivere meglio»   
 

ROMA - Sulla strada del Welfare Romano Prodi non è disposto a far soste o rallentare. A chiarirlo è il portavoce del governo Silvio Sircana, che in una nota precisa: «Nessun passo indietro da parte del presidente Prodi sul protocollo sul Welfare. Il presidente, nel corso dell'incontro di ieri (venerdì, ndr) - prosegue Sircana - ha confermato quanto già scritto nella lettera al segretario generale della Cgil, resa nota nei giorni scorsi, ribadendo la sostanziale non emendabilità del protocollo».

FERRERO E PECORARO SCANIO - Dura la replica del sottosegretario all'Economia, il verde Paolo Cento: «Il protocollo sul Welfare - dice - va cambiato radicalmente». Cento ricorda come quel testo «non è condiviso né dalla Cgil, per cui è evidente il problema sociale, né da quattro forze della maggioranza e questo pone un problema politico». Gli fa eco il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero. «A questo punto - dichiara l'esponente di Rifondazione comunista - prevedo che in autunno ci sarà una grande battaglia politica in Parlamento e anche nel Paese». E poi, minaccioso, aggiunge: «Prodi dice che il protocollo sul Welfare non si può cambiare? Noi non ci rassegnamo all'idea che il programma con cui l'Unione è stata votata sia stravolto con il plauso di Confindustria e le proteste dei lavoratori». Smorza i toni invece Alfonso Pecoraro Scanio: «Sul protocollo del governo su pensioni e welfare - sostiene il ministro dell'Ambiente - non vogliamo procurare strappi interni alla coalizione, il protocollo del 23 luglio va migliorato ma seguendo il programma di governo».
 
DAMIANO - Intanto il ministro del Lavoro Cesare Damiano sostiene che le condizioni per una revisione del modello contrattuale del 1993 sono «mature» e sarebbe «utile» un cambiamento della durata dei contratti riportandola a tre anni sia per la parte economica che quella normativa. Il governo, dichiara Damiano, è «pronto» ad aiutare le parti sociali nel percorso di revisione del sistema contrattuale ma «l'impulso» deve arrivare da loro. Intervistato in serata dal Tg3 Damiano apre ai contestatori: «Un accordo fra governo e parti sociali è fatto di concertazione e quello è l'accordo. Naturalmente si può scrivere meglio nel momento in cui lo si traduce in legge per dissipare eventuali timori o incomprensioni. Poi il Parlamento è sovrano e potrà decidere autonomamente quali ulteriori valutazioni e modifiche portare ad un accordo».

CGIL - La dichiarazione di Sircana arriva all'indomani dell'incontro tra il premier e i quattro ministri "dissidenti" Ferrero, Bianchi, Mussi e Pecoraro Scanio. La Cgil intanto non ha ancora firmato per intero il protocollo presentato il 23 luglio. Fonti vicine al segretario generale Guglielmo Epifani spiegano che per il leader sindacato la lettera inviatagli da Prodi con l'invito a sottoscrivere il protocollo «non risponde a molte questioni poste».

29 luglio 2007
 
da corriere.it


Titolo: Re: Mussi: «La minaccia al governo non viene da sinistra» (sei sicuro??)
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2007, 04:28:03 pm
Russo Spena: «Macché ’98. Il problema c’è, ma anche gli spazi per risolverlo»

Luca Sebastiani


«Certo è sorto un problema, ma per risolverlo ci vogliono i nervi saldi». Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione Comunista al Senato, non si nasconde dietro a un dito, ma allo stesso tempo, pur considerando «complicato» il problema della maggioranza, invita alla calma e rifiuta di parlare di riedizione del ‘98. Questa volta, dice, il contesto è diverso e gli spazi di mediazione ci sono.

Senatore, dopo le posizioni assunte dalla sinistra radicale sull’accordo sulle pensioni e il protocollo Damiano, in molti cominciano a parlare di spettro del ‘98. È d’accordo?
Al di là di come viene montata la situazione, credo che la situazione sia completamente diversa da allora e anzi mi sembra anche un po’ irresponsabile chi voglia dimostrare il contrario. Oggi abbiamo punti di riferimento abbastanza precisi sui quali orientarci, innanzitutto il lavoro di unità e di mediazione che la coalizione ha condotto fin qui. Certo, ora c’è un problema, ma ci vogliono i nervi saldi per risolverlo.

Qual è il problema visto da voi?
Il problema è un punto di politica sociale importante su cui le forze della sinistra alternativa, firmando un programma, avevano puntato molto, ma credo che fare una campagna contro Rifondazione o Diliberto sia un po’ fuori dal tempo perché, invece, non ci si accorge che c’è un malessere incredibile nel popolo dell’Unione, come confermato i sondaggi. Il vero tema oggi non è il ‘98, ma capire come il governo guidato da Prodi possa recuperare il consenso e, avrebbe detto Gramsci, la connessione sentimentale con il proprio popolo. Noi pensiamo che si possa fare attraverso un progetto di redistribuzione sociale forte. Questa è la nostra proposta, nessuna rottura.

Qual è la strada per evitare la rottura, ci sarà la trattativa o si arriverà in Parlamento?
La trattativa ci dev’essere necessariamente, ma noi non ci rassegnamo alle posizioni che il governo ha espresso in questi giorni. Perlomeno sui punti della decontribuzione delle ore straordinarie e sulla legge 30 vi sarà, credo, conflitto sindacale e certamente emendamenti.

Il rischio del ‘98 è anche quello di arrivare in Parlamento e non trovarvi i numeri. Ci sono gli spazi per arrivare prima ad un accordo?
Damiano ha detto che alcune cose sono riscrivibili. Prodi stesso si dice tranquillissimo. Insomma, io credo che gli spazi ci siano oggettivamente, bisogna vedere se le volontà politiche permetteranno l’accordo.

Secondo lei che cos’è che può ostacolarlo?
Temo due cose. Da un lato credo che la Confindustria e altri poteri forti abbiano deciso che questo governo non va bene e che questa maggioranza dev’essere cambiata.

Si sta riferendo anche al manifesto dei Coraggiosi e alle maggioranze di nuovo conio?
Penso che certamente il manifesto dei coraggiosi in qualche modo facesse sponda, anche se timidamente, a queste esigenze di alcuni settori della borghesia. E questo è un problema che Prodi forse dovrebbe capire. Guidando la collegialità del governo come ha fatto negli ultimi due accordi affossa se stesso e il governo.

Qual è il secondo ostacolo all’accordo cui faceva riferimento?
Credo che sia stia creando una specie di cabina di regia dentro il governo di cui fa parte Prodi, Padoa Schioppa e i due vicepresidenti. Questo significa che da un lato decidono in pochi con una mediazione interna e dall’altra parte la sinistra alternativa viene chiamata a ratificare. Questo non l’accettiamo

Insomma Senatore, è ottimista o no sul rientro?
Proprio ottimista direi di no, nel senso che la vedo di fronte una situazione complicata, ma sono convinto che utilizzeremo tutti gli spazi di mediazione.


Pubblicato il: 30.07.07
Modificato il: 30.07.07 alle ore 7.51   
© l'Unità.


Titolo: Il progetto di unità a sinistra prosegue.
Inserito da: Admin - Agosto 22, 2007, 10:45:51 pm
Ferrero: «Non vogliamo la crisi, ma rispettateci»

Felicia Masocco


Il rischio di crisi «esiste nella misura in cui il programma dell’Unione diventa carta straccia». Per il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero «il Partito democratico ha in mano il pallino, deve decidere se accettare i diktat di Bonino e di Dini che nulla hanno a che vedere con il programma, o se stare nel solco che quel programma ha tracciato». Il protocollo sul welfare è un compromesso interno al Pd, afferma, «la sinistra non è stata coinvolta». «L’ultima cosa che voglio è rompere la coalizione», «lo riterrei una sconfitta». «Ma una coalizione non è una caserma, riconosce la pari dignità e media».

Tira aria di crisi economica, mentre il protocollo sul welfare divide la coalizione. Damiano dice di fare attenzione a non tirare troppo la corda. Si spezzerà secondo lei?
«Penso di no. Il protocollo che pure ha elementi positivi, su due punti non è coerente con il programma: non tira via le norme che permettono che la flessibilità diventi precarietà, mentre lo scalone si è trasformato in scalini molto ravvicinati. Su questi punti chiediamo di cambiare. Credo peraltro che sugli elementi di crisi, sia Padoa-Schioppa che Prodi diano risposte sbagliate».

Il rigore non va bene?
«L’austerità non risolverebbe i problemi. Seppure applicassimo in modo thatcheriano la via del rientro dal debito per evitare spese più alte per gli interessi, si avrebbe, poniamo, una riduzione di 10 miliardi di euro a fronte di 1600 miliardi di debito complessivo, lo 0,6%, è inessenziale».

Lei quale strada indica?
«Occorre rafforzare l’economia reale sul terreno della ricerca, del potenziamento dell’apparato industriale, seguendo la via alta allo sviluppo, e questo nel protocollo non c’è. Occorre rendere più stabile e sicuro il lavoro e redistribuire reddito, cosa che nei ragionamenti di Padoa-Schioppa mi pare scomparsa. Penso che chiedere di migliorare il protocollo in sede di discussione parlamentare e dare risposte effettive ai problemi posti dalla finanziarizzazione dell’economia, vadano nella stessa direzione. È una ricetta coerente con il programma dell’Unione che tiene assieme politiche sociali ed economiche».

È un punto di vista a fianco di altri all’interno della coalizione. Farlo valere può portare alla crisi di governo. Se la sente di assumere questo rischio?
«Il rischio esiste nella misura in cui il programma dell’Unione diventa carta straccia. Secondo me il Partito democratico, che ha in mano il pallino, deve decidere se accettare i diktat della Bonino e di Dini che nulla hanno a che vedere con il programma dell’Unione, o se stare nel solco che ci siamo dati con il programma. Noi vogliamo andare nella direzione su cui abbiamo chiesto i voti per dare una risposta al berlusconismo. Non è stata una campagna elettorale moderata. E tentiamo di evitare che il tutto si trasformi in un braccio di ferro tra partiti. Anche la manifestazione risponde alla necessità di non sequestrare la discussione nelle sedi partito, ma farne un confronto di società».

La manifestazione sulla precarietà del novembre scorso si trasformò in un corteo contro il governo, Cioè contro voi stessi. Ha torto chi dice che è un paradosso?
«Intanto non ho sentito mai argomenti di questo tipo quando Mastella, Fioroni e pressoché tutti i sottosegretari della Margherita sono andati al Family Day che mi risulta fosse una manifestazione contro un disegno di legge approvato dal governo. Questo avere due pesi e due misure per cui se lo fa l’asse centrista della coalizione è un contributo al dibattito, se lo fa la sinistra ci sono i barbari alle porte, è inaccettabile. Ci vuole almeno pari dignità politica».

Non c’è stata nel caso del protocollo?

«Quel compromesso è sostanzialmente interno all’orizzonte politico del Partito democratico. La parte sinistra dell’Unione, un terzo dei parlamentari, a spanne un terzo dei voti dell’Unione, non è stata coinvolta nella gestione del protocollo. Non si può fare prima l’accordo senza tener conto di una parte consistente della coalizione e poi, in nome della patria, dire che non si tocca nulla. Esiste una coalizione. Ripeto, il pallino ce l’ha in mano il Pd. Deve decidere se guida una coalizione di carattere riformatore e quindi fare i conti con le posizioni della sinistra, non dico di accettarle, ma di mediare con queste posizioni e quelle del movimento operaio, visto che mi risulta che anche la Cgil abbia qualche sofferenza».

Le sorti del governo sarebbero in mano al Pd?
«Deve scegliere se dialoga di qua oppure se dialoga con i poteri forti e spacca il movimento operaio. L’ultima cosa che voglio è rompere la coalizione, ma è una coalizione, appunto, non una caserma in cui qualcuno sottoscrive un accordo e qualcun altro che non è stato tenuto in conto deve semplicemente votarlo. Una coalizione chiede una mediazione. Il programma era una mediazione, non era il programma di Rifondazione. Sul lavoro a tempo determinato ci abbiamo passato le giornate a limarlo, come mai adesso è carta straccia? Mi dispiace, la coalizione riconosce la pari dignità, sia pure con pesi diversi».

Damiano afferma che il programma si sta applicando...
«Le propongo di fare uno specchietto di cinque righe mettendo a confronto quello che dice il programma sui contratti a termine e quello che dice il protocollo così gli elettori si fanno un’idea se ho ragione io o Damiano».

Non è che alla fine ha ragione chi afferma che la manifestazione di ottobre sia più un messaggio per il Pd che altro?
«No, parla al governo, solo che l’azionista di maggioranza è il Pd, non si prescinde. E per quanto mi riguarda l’obiettivo non è nei termini “o la va o la spacca”, ma produrre coerenza del governo rispetto programma. Per far coesistere le diverse anime della coalizione bisogna avere un’idea di società: nel programma c’era e c’è. Io sulle liberalizzazioni la penso diversamente da Bersani, ma abbiamo fatto un compromesso e non chiedo di nazionalizzare Alitalia. Chiedo il rispetto di quel compromesso. Invece si media sul programma come se fosse la mia posizione, spingendo i risultati sempre più a destra».

Ministro, lei non sembra molto turbato, eppure...
«Sono tranquillo perché se noi non dicessimo nulla sulle cose che non vanno, succederebbe che le persone che hanno votato l’Unione la prossima volta non andrebbero a votare. E si rafforzerebbe la presa della destra populista sui ceti più deboli. Si porrebbero le condizioni per perdere le prossime elezioni a mani basse».

È la stessa conclusione a cui arriva Damiano, lui però parte dal rischio di una replica del ‘98. Rifondazione uscirà dalla coalizione?
«Nel ‘98 un programma non c’era per cui valeva solo la dialettica tra forze politiche. Oggi ci attacchiamo come pazzi al programma perché è quella la strada per evitare il rischio. Io lavoro per scongiurarlo, lo riterrei una grave sconfitta».

Pubblicato il: 22.08.07
Modificato il: 22.08.07 alle ore 10.29   
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Titolo: PECORARO Scanio: «Non vado a un corteo contro il governo»
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2007, 12:17:01 pm
Pecoraro Scanio: «Non vado a un corteo contro il governo»

Wanda Marra


Un concerto va bene, un corteo no. Così il Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, interviene sulla polemica in corso nella sinistra radicale, e non solo, sulla manifestazione del 20 ottobre. Dopo che Mussi ha lanciato l’idea di un’assemblea al posto di un corteo e Mastella ha minacciato la crisi di governo se qualche ministro scende in piazza, Pecoraro, dunque, propone una terza via.

Ministro, Mussi ha proposto di trasformare la manifestazione del 20 ottobre in un’assemblea. Voi siete d’accordo?

«Noi, come Verdi, saremmo per un grande concerto, una grande iniziativa musicale e di dibattito, una Woodstock a favore dei giovani. Insomma, siamo per un nuovo modo di manifestare, non per il vecchio corteo, che si trasforma automaticamente in una protesta contro il governo».

Ma se il corteo alla fine si farà, voi parteciperete?

«Né io, né i Verdi partecipiamo a una manifestazione contro il governo».

Quindi, siete sulla posizione di Mussi?

«Io sono d’accordo con quello che aggrega più persone e che mette insieme le forze sociali che vogliono partecipare. Sarei per una sorta di Young day a favore dei precari. Un’assemblea andrebbe anche bene, ma è chiaro che si tratterebbe di qualcosa di più ristretto. Sono per una grande manifestazione, ma non per un corteo che, ripeto , finirebbe automaticamente per essere contro il governo».

Mastella ha detto che se il 20 ottobre ci saranno dei Ministri in piazza sarà crisi di governo. Cosa replica?

«Se la manifestazione è contro il governo, io non ci andrò. Ma Mastella, che è andato al Family day, è l’ultimo che può dare lezioni. E né lui né altri possono dare indicazioni. Se c’è una forza leale al governo e a Prodi sono proprio i Verdi, che in questa materia sono i primi della classe. Lavoriamo perché il 20 ottobre non ci siano iniziative che danneggino la coalizione. Un grande concerto potrebbe essere un segnale positivo. Ma il rischio è che si trasformi tutto in un gossip su come si manifesta, in un dibattito che si alimenta sul chiacchiericcio. Invece, facciamo una seria Finanziaria innovativa».

Mastella a Telese ha anche detto alla sinistra radicale che se fosse seria come lui, si starebbe al governo non per 5 anni ma per 50. E ha ribadito che dire che le alleanze non sono eterne non è più un’eresia...

«A Mastella vorrei dire che è al governo anche grazie a noi. Se cambia il sistema bipolare ognuno è libero di scegliersi le alleanze che vuole. Se invece questo resta, le alleanze devono essere di centrosinistra».

Le diverse posizioni sulla manifestazione del 20 ottobre sembrano mettere già a dura prova il percorso della Cosa Rossa. Si tratta di una strada ancora percorribile?

«La Cosa Rossa non esiste, è un’invenzione dei giornalisti. E i Verdi, che comunisti non sono mai stati, non partecipano alla Cosa rossa, ma a un’Alleanza arcobaleno. Siamo per una grande alleanza, che riunisca un’area del 15-20%. Se no, noi facciamo i Verdi».

Pubblicato il: 01.09.07
Modificato il: 01.09.07 alle ore 8.37   
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Titolo: "Cosa Rossa", accordo della Sinistra dell'Unione
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2007, 09:09:40 pm
"Cosa Rossa", accordo della Sinistra dell'Unione


Unità della sinistra per contrastare il Partito Democratico. In poco più di due ore i segretari della sinistra dell’Unione hanno riposizionato la bussola su un obiettivo comune: la nascita di un nuovo soggetto unitario, una priorità che corre parallelamente al lavoro da impostare tutti insieme sulla Finanziaria.

Certo, alcuni nodi da sciogliere restano ancora sul tavolo: la manifestazione del 20 ottobre contro il protocollo sul welfare, che non convince del tutto Fabio Mussi ed Alfonso Pecoraro Scanio, e poi i distinguo sulla riforma della legge elettorale. Il tema, accennato solo marginalmente, sarà affrontato in un'apposita riunione forse già la prossima settimana. La riunione di venerdì, la prima dopo la pausa estiva, è servita però a serrare le file dopo i contrasti degli ultimi giorni sulla manifestazione del 20 ottobre, divisioni che avevano rischiato di mettere in serio pericolo il futuro dell'unità a sinistra.

Il punto sui cui Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Fabio Mussi e Alfonso Pecoraro Scanio hanno rinsaldato l'intesa è il rischio che il governo diventi un monocolore del Partito democratico. Un pericolo reso ancora più reale da una sinistra divisa che non riesce a incidere sull'azione di governo. Il problema posto all'attenzione dei presenti da Fabio Mussi, che ha tenuto la relazione introduttiva, ha subito trovato il consenso di tutti. Per contrastare il Pd, il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio avrebbe proposto di dare vita nel più breve tempo possibile ad un gruppo di lavoro che si occupi delle forme attraverso cui poter organizzare un soggetto unitario.

Convinto che si debba al più presto avviare la fase unitaria è anche il segretario del Pdci Oliviero Diliberto. Un soggetto unico della sinistra, avrebbe spiegato il segretario dei Comunisti Italiani, serve per contrastare la politica messa in campo dal Pd, bisogna accelerare visto che fino ad ora, è l'opinione di Diliberto, la “Cosa Rossa” ha dato una brutta dimostrazione. Il banco di prova per tastare concretamente l'unita della sinistra sarà la costruzione della legge finanziaria. Di fronte ad un'assenza di «collegialità nelle decisioni» all'interno del governo, i vertici di Prc, Verdi, Sd e Pdci hanno deciso di affidare ai capigruppo la stesura di un documento in cui saranno contenute le proposte della sinistra per la manovra economica.

«Non siamo l'intendenza che segue il Partito democratico», avverte il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena, mentre il leader di Rifondazione Franco Giordano è ancora più chiaro: dobbiamo evitare che «il Pd detti legge in campo economico e sociale». Oliviero Diliberto ribadisce che «nessuno vuole aprire un braccio di ferro con il governo», ma quest'ultimo «deve tener conto delle istanze della sinistra». Quello che deve essere chiaro agli alleati insomma è che «l'esecutivo non finisce con il Pd».

Il calendario dei prossimi giorni dunque è già segnato: la stesura del documento, che già sabato sarà presentato al vertice dell'Unione nelle sue linee generali, e poi la presentazione del testo in un'assemblea pubblica a cui prenderanno parte tutti i parlamentari dei 4 partiti. Se la “battaglia” sulla finanziaria è il collante per l'unità della sinistra, restano le riserve di Sd e Verdi sull'appuntamento del 20 ottobre. Prc e Pdci ribadiscono che la manifestazione si farà, Pecoraro Scanio e Fabio Mussi non chiudono la porta ma chiedono chiarimenti sul programma alla base della manifestazione.

Pubblicato il: 08.09.07
Modificato il: 08.09.07 alle ore 17.04   
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Titolo: Marina Sereni:«La svolta deve essere confermata nei fatti»
Inserito da: Admin - Settembre 08, 2007, 09:11:27 pm
Marina Sereni:«La svolta deve essere confermata nei fatti»

Federica Fantozzi


Belle armonia e collegialità, ma domani non sia un altro giorno. Marina Sereni, vicecapogruppo dell´Ulivo alla Camera, apprezza l´«atteggiamento unitario» ma avverte: «Questa svolta non sia subito sconfessata. La competizione a sinistra non può varcare il confine che mette in pericolo la vita del governo».

Un vertice da cui tutti sono usciti contenti. Quanto durerà l´happy end?
«Ognuno è entrato con le sue priorità forti ed è uscito con un atteggiamento unitario e collegiale. Speriamo che questa svolta non venga smentita dalle dichiarazioni del giorno dopo. Dobbiamo immedesimarci nello stato d´animo del Paese. Stiamo ottenendo risultati su welfare e lavoro, ma la tensione perenne tra le forze della coalizione li offusca».

Quale è stata la causa del miracolo della collegialità ritrovata?
«C´è una data precisa: a fine settembre bisogna varare la Finanziaria. Nel dibattito estivo sono state contrapposte espressioni che non lo sono come riduzione della pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica, o equità per le fasce più deboli e attenzione allo sviluppo. Sembrava che ogni componente della maggioranza avesse priorità tali da escludere le altre. Spero ci si sia resi conto che non è così».

Non sembra semplice conciliare rigore e manovra leggera.
«Padoa Schioppa pone una questione gigantesca: la spesa pubblica è mal distribuita e va riorganizzata. È un processo complesso, sarebbe irrealistico pensare di poterlo costruire con una Finanziaria. Bene il Libro Verde del ministro, ma la sfida proseguirà».

Amato vuole risorse per il pacchetto sicurezza. Mastella avverte che senza soldi non si cantano le messe. Fioroni deve pagare i docenti. E si potrebbe continuare.
«Le priorità non sono dei singoli ministri. La sicurezza è un´esigenza di tutti. E non servono solo risorse ma anche riforme legislative e riorganizzazioni: ha ragione Padoa Schioppa».

La coperta per qualcuno sarà comunque troppo corta.
«Sui temi caldi bisogna fare delle scelte. Lo sviluppo è l´albero da cui fare discendere i rami: infrastrutture, scuola, ricerca, reddito delle famiglie. E se si agisce sulla sicurezza servono certezza della pena e rapidità dei processi».

D´Alema ha detto che ci sono troppi dipendenti pubblici ma non si possono cancellare. Che fare?
«Una spesa grande non è sempre efficiente. Sulla P.A. abbiamo firmato un memorandum: il governo ha trovato le risorse, ora il sindacato rispetti il patto».

Non è che i buoni propositi di armonia si infrangeranno il 20 ottobre?
«La responsabilità di tutti sta nel cercare equilibrio e coesione anziché scontro distruttivo. Non può prevalere la competizione a sinistra. Il Pd è competitivo perché imbraccia la bandiera dell´innovazione, da sicurezza a welfare, ma non si può mai varcare il confine che mette in pericolo il governo».

Mutatis mutandis, è il ragionamento che vale per le primarie?
«Esatto. È utile il confronto tra le differenze finché non diventano insormontabili».

Pubblicato il: 08.09.07
Modificato il: 08.09.07 alle ore 12.40   
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Titolo: Il progetto di unità a sinistra prosegue.
Inserito da: Admin - Settembre 14, 2007, 11:54:19 pm
Sd al bivio: "Cosa rossa" o "Costituente socialista"?

Mussi: una sinistra unita e plurale



«Tra Rifondazione e il nascente Pd c’è spazio per una Costituente socialista». Valdo Spini, vicecapogruppo alla Camera di Sinistra democratica, manda un messaggio al compagno di schieramento e leader della corrente fuoriuscita dai Ds. L’auspicio è che si abbandoni il «difficile processo unitario» che la Sd sta faticosamente percorrendo insieme a Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi per una “Cosa Rossa” della sinistra. Hanno sottoscritto l’appello, tra gli altri, anche Gavino Angius, Enrico Boselli e Franco Grillini. E altri si starebbero preparando a farlo. È il presidente onorario dell'Arcigay a ribadire che «ci sono altri indecisi dentro Sd. Sarà decisivo il consiglio di domani (sabato 15 settembre) e penso che da sabato avranno tutti le idee molto più chiare». Quanti siano i transfughi non si sa. O nessuno si vuole sbilanciare. Il presidente della Rnp Roberto Villetti, uno dei sospetti, non ha voluto fare numeri.

La proposta comunque sarà presentata ufficialmente al Comitato promotore Nazionale di Sinistra Democratica convocato per sabato 15 settembre. «Nonostante gli sforzi generosi di Sinistra Democratica, appare chiaro - si legge nel comunicato di Spini - che le condizioni delle forze politiche di quella che si chiamava un tempo sinistra alternativa, hanno bisogno di momenti non facili né semplici di chiarificazione, così come dimostra la tormentata vicenda della manifestazione del 20 ottobre».

Per questo, lasciate da parte le velleità di una grande area di sinistra, gli esponenti di Sd devono «prendere il coraggio a quattro mani» scrive Spini, e aprire «un cantiere della costruzione del Socialismo europeo in Italia» che non sia solo «ricomposizione dei residui della diaspora socialista Italiana, proponendolo come campo di lotta e di mobilitazione politica». Si vedono dei margini di manovra: «Sd peraltro deve capire che c'è un spazio potenziale importante tra Pd e Rifondazione che non si presta ad essere coperto dalla “Cosa Rossa”, ma che chiede una rappresentanza per le sue esigenze di coerenza riformatrice, di laicità, di pluralismo». Sostegno al cantiere socialista arriva anche da Lanfranco Turci, vicecapogruppo della Rosa nel pugno alla Camera, convinto che «non si tratta di una operazione nostalgica». E chiede a Mussi di «decidere se restare in una “Cosa rossa” che si va radicalizzando sulle posizioni della Fiom o essere coerente con l'opzione socialista dichiarata all'ultimo congresso dei Ds».

Salvi: Spini non si preoccupi
«Le preoccupazioni del compagno Spini sul carattere riduttivo che avrebbe la cosiddetta “Cosa rossa” sono condivisibili, ma abbiamo già reso chiaro che non è questo il nostro progetto politico». La risposta, decisa ma interlocutoria, arriva da Cesare Salvi, capogruppo di Sd al Senato. «Ritengo al tempo stesso altrettanto riduttiva la proposta della Costituente socialista, perché elude pregiudizialmente il tema della costituzione di un grande partito che sappia far vivere al suo interno, in modo plurale, le diverse culture, tradizionali e nuove, della sinistra italiana. La nostra collocazione nel socialismo è una scelta serie e definitiva: proprio partendo da qui la nostra funzione deve essere quella di sostenere la più ampia unità della sinistra» ha concluso Salvi.

Mussi: La “cosa rossa” cammina
La risposta di Fabio Mussi alla sollecitazione di Spini non è arrivata. Ma sul futuro del soggetto politico unitario della sinistra si era espresso con un giorno di anticipo. A chi gli chiedeva a che punto fosse la “Cosa rossa” il ministro dell’Università, ospite a Torino alla Festa di Rifondazione giovedì sera, aveva assicurato che «cammina», annunciando «un documento con il quale condurremo insieme la battaglia per la legge finanziaria». Quando al dna del nuovo soggetto politico, Mussi ha dato le coordinate: «Sarà una sinistra unita, plurale e federata. È un passo che si può fare».

Pubblicato il: 14.09.07
Modificato il: 14.09.07 alle ore 20.07   
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Titolo: Il progetto di unità a sinistra prosegue.
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2007, 10:54:32 pm
La Sinistra democratica sceglie l'unità della sinistra "plurale"

Ma non sarà in piazza il 20 ottobre

Pasquale Colizzi


Il progetto di unità a sinistra prosegue.

Con qualche piccola fibrillazione l'assemblea del Comitato nazionale della Sinistra democratica ha approvato a larghissima maggioranza la linea proposta dal coordinatore Fabio Mussi. Su circa 250 componenti, ci sono stati solo 5 voti contrari e 5 astenuti. Si sono tenuti fuori Valdo Spini e alcuni esponenti che venerdì avevano lanciato un appello per traghettare la Sd verso una Costituente socialista. Il documento proposto dal ministro dell’Università invece conferma la validità del programma di convergenza di Sd con Prc, Pdci, Verdi per una forza «che abbia un peso alla sinistra del nascente Partito democratico e che risponda alle spinte che in questo senso arrivano da vasti settori della società e della cultura». Lo strumento però, come si legge nel documento, «non sta nella Costituente socialista nè nella “cosa rossa”», formula invisa a larga parte del movimento ambientalista ma più pragmaticamente in una «federazione», un «soggetto pesante» che possa aspirare a consensi «a due cifre». Perchè è vero che questo non è «un progetto con una scadenza» ma esiste pur sempre «una questione di tempi» e la nascita di un nuovo soggetto politico «implica realisticamente delle difficoltà». La piattaforma su cui lavorare secondo Mussi sono i quattro principi enunciati al seminario di Orvieto: pace, ambiente, lavoro e libertà.


La manifestazione del 20 ottobre: nè aderire, nè cannoni contro

A margine del suo intervento l’ex leader della Sinistra Ds ha avuto tempo di toccare molti punti dell’attualità politica. A cominciare dalla manifestazione del 20 ottobre. All’appello di Rifondazione, Liberazione e manifesto hanno risposto la Fiom e tessere della sinistra in ordine sparso. La Sd ha scelto la formula del «né aderire, né cannoni puntati». Spiega: «Non sono superate le nostre obiezioni, ma è un passaggio sul quale non c'è identità di vedute». Però riconosce la libertà di tutti di portare in piazza le proprie ragioni: «Non si può pensare – ha precisato a margine della riunione - che manifestare sia una specie di attentato a governare, è una sciocchezza». Anche perchè non si tratta «dell’alfa e l’omega della storia».


Lo strappo della Fiom

«La Cgil ha una lunga storia di dialettica interna anche se lo strappo della Fiom è preoccupante», rientra nel gioco della dialettica. Tuttavia «nessuno vuole una crisi del sindacato» soprattutto in periodi in cui «è ingiustamente attaccato per la presunta incapacità di rappresentare i lavoratori». Piuttosto, precisa il leader Sd «non vorremmo nemmeno vedere il “partito della Cgil” e il “partito della Fiom”», che non farebbero un buon servizio alla politica del paese.


Documento unitario sulla Finanziaria

Il banco di prova per l’unità a sinistra, secondo Mussi, non è la manifestazione del 20 ottobre ma ci sarà molto prima. Infatti si prepara una iniziativa unitaria - con Rc, Pdci e Verdi - in vista del varo della Finanziaria, che si voterà a partire dal 28 settembre. Mussi assicura che c’è già un documento firmato che sarà presentato al premier Prodi. I punti sui quali si tenta di intervenire sono la questione dei “lavori usuranti”, per i quali si chiede di superare la soluzione prevista dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa che vorrebbe un contingentamento a quota 5mila per questo tipo di pensioni. Si vorrebbe poi far passare il principio che nessuno può avere una pensione inferiore al 60% del suo stipendio: una misura che verrebbe incontro a tutti quelli, soprattutto giovani e precari, che attualmente e per molto tempo sono restati fuori dal sistema contributivo.

Sul fronte pensioni però bisogna dare una stretta: ci deve essere un «esito legislativo» entro il 31 dicembre. Dal 1 gennaio infatti scatterebbe la riforma Maroni. Quanto poi alla questione del lavoro, le misure di correzione alla Legge 30 non sono assolutamente adeguate, con l’abolizione di forme contrattuali “atipiche” già poco utilizzate e quindi ininfluenti per un cambiamento radicale della situazione attuale. Il fronte a sinistra proporrà un collegato «fuori dalla sessione di bilancio (e quindi dalla legge Finanziaria) in modo da avere più tempo per una discussione.


Valdo Spini: il progetto di Costituente socialista continua

«Fino al 14 ottobre Mussi doveva restare liquido», non forzare il processo di unione a sinistra e prendere qualsiasi decisione dopo la nascita della Costituente del Partito democratico. Ci sarebbe stato un tentativo di prendere tempo nell’appello di Valdo Spini per una Costituente socialista. L’appello è poi diventato un documento allegato al tavolo di presidenza non messo ai voti. Tra le venti adesioni alla sua proposta c’erano le firme del leader dello Sdi Enrico Boselli, di Gavino Angius (oggi assente), Siso Montalbano e i deputati Fabio Baratella e Franco Grillini, Lucio Villari e Paolo Bagnoli, esponenti politici come Alberto Nigra e Franco Benaglia. A questo punto Spini conferma l’intenzione di andare avanti, lavorando con i colleghi europei per una Costituente del socialismo europeo. Dal leader Sd comunque c’è una mano tesa ai socialisti: «Ho chiesto allo Sdi di vederci. Hanno declinato l’invito, per ora». Però resta l’apertura ad un loro apporto nel campo della «laicità» su temi come la legge 194, i Dico ormai affossati, il ruolo invasivo della chiesa su scienza ed eutaniasia. «C'è da raccogliere milioni di firme». E cita un articolo di Ugo Intini appena uscito su Liberazione, che sostiene: «Basta divisioni tra sinistra radicale e socialisti: ci sono più cose che ci uniscono che differenze».


Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 19.05   
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Titolo: MUSSI -
Inserito da: Admin - Settembre 27, 2007, 10:04:40 am
Il retroscena Rifondazione guida la rivolta «Siamo stanchi di berci tutto»

Giordano: «Stavolta andremo fino in fondo».

Mussi: «Pronti a strappare».

In Transatlantico si «gioca» a chi farà la crisi: Di Pietro e Dini «i pericolosi»
 

Ministri che vanno, ministri che vengono nel Transatlantico. La Finanziaria non piace a nessuno e il governo sembra quasi non essere affar loro. «Io questa Finanziaria non la voto e se Prodi non cambia idea, strappiamo»: Fabio Mussi, titolare dell'Università, trattiene a stento la rabbia parlando con i compagni della «Cosa rossa».

Mussi è pronto a rompere, i ministri della Cosa rossa potrebbero non votare la finanziaria se non cambia radicalmente, i malumori, però, non riguardano solo l'ala sinistra. «Qui sopravviviamo, ma per quanto? Forse Tommaso Padoa-Schioppa più che dei conti dovrebbe preoccuparsi dei voti che ci resteranno dopo questa finanziaria»: Beppe Fioroni, ministro della Scuola, reduce da una visita a palazzo Chigi, si sfoga con i colleghi della Margherita davanti all'aula di Montecitorio. Ma è soprattutto la «Cosa rossa» che è partita all'attacco. Ancora alla Camera, questa volta tra i parlamentari di Rifondazione, nel cortile di Montecitorio.

Il leader Franco Giordano si sfoga con i compagni di partito: «Noi abbiamo fatto delle aperture anche sull'Ici. Sull'Afghanistan ci siamo comportati correttamente. E Prodi per tutta risposta incontra Lamberto Dini e subito dopo ci viene a dire che le rendite finanziarie non possono essere tassate. Bene, allora noi gli rispondiamo che questo non lo possiamo accettare. Loro pensano che noi non possiamo fare cadere il governo e che quindi dobbiamo berci tutto?
Non è così. Non siamo più disposti a subire, sbagliano se lo credono: non è che per paura di una crisi di governo o del voto noi non andiamo fino in fondo questa volta».

L'atmosfera è surriscaldata dalle parti di Rifondazione comunista. L'onorevole Ramon Mantovani è scatenato: «Perché non ci prendiamo il merito di mandare a casa questo esecutivo? Io, del resto, non avrei votato neanche la finanziaria dello scorso anno». Ce l'ha con tutti, Mantovani, anche con Ferrero: «Ho visto che vuole far scrivere sul vino: fa male alla salute. Io farei tatuare sulla sua fronte: il governo fa male alla salute». E il leader del Pdci Diliberto non è meno duro: «Io questa finanziaria non me la posso intestare e non voglio ascoltare una mediocre lezione universitaria sulla finanziaria da Padoa Schioppa».

Si torna in Transatlantico. Continua il via vai dei ministri. Ma ministri per quanto? Il guardasigilli Clemente Mastella è grigio in volto, cambia colore (e diventa rosso) solo quando gli si parla del volo sull'aereo di Stato. E le sorti del governo? «Non mi interessano. Mi sono indifferenti ». Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, uno dei pezzi grossi di Rifondazione comunista, cammina lesto per i corridoi della Camera e spiega a chiunque incontri: «Il no di Prodi alla tassazione delle rendite finanziarie non è accettabile».

Ancora Fioroni, con un sorriso forzato, cerca di stemperare la tensione...come può: «Sulla finanziaria non si cade. Poi il governo si troverà di fronte a un bivio. Ma una cosa mi sembra del tutto evidente: se Prodi cade si va al voto perché un governo tecnico o istituzionale Berlusconi non lo sosterrà e lì decide lui, perché tutti gli altri suoi alleati sono dei quaquaraqua». Sempre in Transatlantico. Tra i leader politici ci si chiede: chi staccherà la spina? La sinistra radicale rompe per ricucire, dicono quasi tutti. «Se fossi in Prodi mi preoccuperei di Di Pietro e Dini» ragiona Mastella. «No, Di Pietro non ce lo vedo, ma effettivamente Dini potrebbe essere il killer», riflette ad alta voce Giordano.

Dagli Usa Dini continua a dire ai suoi di tener duro. Di Pietro invece è a Roma. Ha incontrato Prodi. Un colloquio non del tutto rassicurante. Il ministro delle Infrastrutture ha spiegato al presidente del Consiglio che lui non giocherà di conserva con la Cdl, mercoledì prossimo, al Senato, ma in cambio le deleghe di Visco hanno da essere congelate. Ben più rassicurante per Prodi il colloquio che Di Pietro ha avuto con Fini: «Finché nel centrodestra c'è Berlusconi io non mi posso muovere».

A Palazzo Chigi, intanto, Prodi rimugina su difficoltà e pericoli. La lettura dell'intervista di Marco Follini al Corriere della Sera in cui l'ex leader dell'Udc lo invita a dimettersi dopo la finanziaria lo ha insospettito («bella riconoscenza! ». Perché Follini fa questa sortita proprio adesso? Ma le falle nella maggioranza sono tante e tapparle tutte è impresa improba. Amara la constatazione del premier, costretto a mediare, negare, concedere: «Ogni forza politica cerca visibilità e fa rivendicazioni, ognuno gioca per sé, possibile che non si rendano conto che la caduta di questo governo non equivale a una mia sconfitta ma a una sconfitta di tutto il centrosinistra!?».

Maria Teresa Meli
27 settembre 2007
 
da corriere.it


Titolo: La sinistra radicale nella morsa
Inserito da: Admin - Ottobre 02, 2007, 05:35:30 pm
2/10/2007
 
La sinistra radicale nella morsa
 
FEDERICO GEREMICCA

 
Adesso che le posizioni sono tutte note e gli attori in campo hanno definito e annunciato tattiche e strategie per la guerra in tre tempi attorno al cosiddetto protocollo del Welfare (assemblee nelle fabbriche, referendum e manifestazione della «cosa rossa» il 20 a Roma), è probabile che Fiom e sinistra radicale si stiano chiedendo come è stato possibile ficcarsi in un tale cul de sac. Infatti, in ragione della ferma posizione in difesa degli accordi di luglio assunta da Prodi («Il protocollo è immodificabile») e da decisivi settori della maggioranza (che minacciano la crisi se l’intesa sancita a suo tempo andasse per aria) davvero non si capisce quale dei possibili epiloghi sia più imbarazzante per i leader della sinistra radicale. Il dato emerso con disarmante nettezza è oggi del tutto chiaro: la sorte del protocollo sul Welfare e quella del governo Prodi sono ormai indissolubilmente legate.

Perché ciò sia avvenuto - a parte la rilevanza dell’intesa che sancisce, come è noto, anche il superamento del cosiddetto «scalone» in materia di pensioni - è presto detto: gli accordi di luglio sono diventati una sorta di cartina al tornasole dell’interminabile sfida tra la parte riformista e quella radicale della maggioranza di governo, oltre che il terreno di esercitazione per gruppi e «microrganismi» (dall’Udeur all’Italia dei valori, fino ai liberaldemocratici di Lamberto Dini) insofferenti verso gli attuali equilibri della coalizione e forse verso la coalizione tout-court. È questo irrigidimento delle posizioni che rende assai improbabili modifiche sostanziali al protocollo sul Welfare. Ed è appunto tale dinamica ad avere spinto la sinistra radicale in un vicolo cieco: una strada quasi senza uscita anche nel caso - dai più considerato assai improbabile - di vittoria dei «no» nel referendum operaio voluto dalla Fiom.

È quasi una morsa, infatti, quella nella quale si è lentamente ritrovata stretta la sinistra radicale. Da una parte, l’ipotesi di una sconfitta nelle fabbriche, che toglierebbe qualunque senso alla sua azione in sede di governo e Parlamento (e forse perfino alla manifestazione già indetta per il 20 ottobre) per una modifica dell’intesa di luglio; dall’altra, la quasi certezza che anche una improbabile vittoria dei «no» al protocollo non sortirebbe o quasi effetti sul piano della modifica degli accordi sottoscritti tra governo e parti sociali l’estate scorsa: salvo, naturalmente, precipitare l’esecutivo verso una crisi il cui sbocco più probabile appaiono oggi le elezioni e il conseguente (stando ai sondaggi) ritorno del centrodestra al governo.

È in fondo anche per questo che toni e argomenti dei leader della Fiom e della sinistra radicale stanno lentamente cambiando col passar delle ore: per i primi, quel che ora è soprattutto importante «è che i lavoratori vadano a votare, perché la cosa peggiore sarebbe una scarsa partecipazione» (Gianni Rinaldini); i secondi, invece, mettono l’accento sul valore di una «prova di democrazia» e sul fatto che «lavoratori che chiedono un diritto sono i migliori alleati di un governo progressista». Del resto, se su uno dei due piatti della bilancia c’è la concretissima ipotesi di una crisi di governo e di una possibile sconfitta elettorale, la prudenza crescente è comprensibile. Già una volta Rifondazione mandò a gambe all’aria Romano Prodi (1998): ne seguirono una lunga agonia politica e poi cinque anni di governo Berlusconi. Ripercorrere oggi l’identica strada sarebbe incomprensibile: forse e prima di tutto proprio per gli elettori della costruenda «cosa rossa».

 
da lastampa.it


Titolo: Bologna, Prc e Verdi abbandonano Cofferati
Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2007, 04:10:34 pm
Bologna, Prc e Verdi abbandonano Cofferati

Adriana Comaschi


Servono al Prc per mettere fine a quello che il segretario bolognese Tiziano Loreti chiama «un matrimonio che Cofferati non voleva più». È l'epitaffio dell'Unione a Bologna: il Prc esce dalla maggioranza (dalla giunta era uscito da tempo), Verdi e occhettiani sono sulla stessa linea. E il Pdci non esclude, visto il nuovo quadro, di ritirare dalla giunta il suo assessore.

Il sindaco non si scompone, anzi ribalta l'accusa: «Erano già fuori di fatto, sono arrivati ponendo pregiudiziali del tutto incomprensibili, "se parli o scrivi una lettera ad An per noi equivale a una rottura con la sinistra". Prenderò atto delle loro decisioni». E «andrò avanti», spiega Cofferati: con Ds, Dl, un consigliere Ecodem e quelli che tra le altre forze di sinistra volessero continuare il confronto.

Come i due consiglieri Sd, Gian Guido e Milena Naldi, che hanno scelto di accettare la proposta del sindaco. Perché Cofferati al vertice si presenta con un rilancio. Certo, sul dialogo con An nessuna marcia indietro. Il sindaco ribadisce le sue ragioni: il tema della sicurezza è «di interesse generale», dunque su quello raccoglierà «anche valutazioni e consensi delle forze politiche di opposizione». Prima però (e dunque prima di dare una risposta ad An sulle proposte avanzate dai finiani) di sicurezza discuterà con la maggioranza.

Cofferati si dice anche disponibile ad approfondire il documento portato dai "ribelli", magari per arrivare «a un eventuale testo integrativo del programma di mandato». Uno spiraglio per Gian Guido Naldi, secondo cui ieri sono rimasti da sciogliere «nodi politici fondamentali».

Cofferati lancia un messaggio distensivo anche ai collettivi, che sabato sono pronti a manifestare a Bologna proprio contro le politiche della giunta. Come Crash, che sgomberato ad agosto è alla ricerca di un nuovo spazio e accusa il sindaco di saper solo reprimere, ignorando le esigenze dei giovani. Cofferati sceglie la linea soft contro gli occupanti di case, vicini al Prc, che pure ha bacchettato più di una volta: «Se vogliono incontrarmi e parlare dei loro obiettivi e delle loro rivendicazioni, io sono disponibile».

Un'apertura che può pesare anche nel confronto interno alla maggioranza: la Margherita in Comune aveva invitato «tutti» a «non alzare ancora i toni del dibattito» proprio in vista del corteo di sabato.

E dopo l'attacco di Cofferati al questore per la sua gestione della manifestazione dei centri sociali di sabato scorso, la vicesindaco Dl Scaramuzzino e due assessori Ds (tra cui Libero Mancuso) chiedono che «il confronto tra le istituzioni possa riprendere speditamente».

Intanto Rifondazione consuma il suo addio. «Cofferati ha delegittimato la maggioranza - accusa il capogruppo Roberto Sconciaforni - . Noi avevamo chiesto un segnale preciso: che chiarisse i termini del rapporto con An di cui nessuno della maggioranza ha la minima idea». Da Roma il presidente dei senatori Prc Giovanni Russo Spena plaude: «C'è poco da dire, Cofferati ha portato avanti provvedimenti securitari, anche d'intesa con An: è evidente che non può avere il consenso di Rifondazione. La responsabilità è sua. Ha espresso una linea inaccettabile per noi e per ogni democratico».

Il capogruppo finiano Enzo Raisi invita Cofferati a dare tempi certi alla sua risposta ad An. Ma allo stesso tempo si dice pronto a «sfiduciare» il sindaco in Consiglio, se i numeri lo consentissero.


Pubblicato il: 04.10.07
Modificato il: 04.10.07 alle ore 9.18   
© l'Unità.


Titolo: La sinistra e i 5 autogol in diretta
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2007, 11:54:04 am
7/10/2007 - ANALISI
 
La sinistra e i 5 autogol in diretta
 
Errori a ripetizione
 
PAOLO MARTINI

 
Tanto per onor di battuta, è nel protomartire SanToro che l’autolesionismo mediatico del centrosinistra trova sempre una sorta di santo protettore all’incontrario. Come se fosse il patrono della pulsione tele-suicidale di un’intera classe dirigente. Come dimostra anche quest’ultima vicenda di Anno Zero.

1 Il presidente del consiglio che la sera deve specificare: «Qualcuno ha scambiato una semplice critica ad una trasmissione televisiva con un attentato alla libertà», la mattina lamentava «la scarsa professionalità» di Michele Santoro. Forse non aveva visto che straordinario teatro Quel «qualcuno» nella smentita ricorda tanto il celebre «Michele chi?» pronunciato dal povero Enzo Siciliano appena piazzato presidente della Rai da Veltroni. Correva l’anno 1996, il primo tempo del lontano primo governo Prodi. Sono passati più di dieci anni ma non sembra cambiato niente: la sinistra Frankenstein alle prese con i suoi «mostri» televisivi...

2 L’altro giorno c’è stato persino il giallo delle critiche contro Anno Zero sul sito barricadero anti-censura Articolo 21. Un occhiuto osservatore che si firma prima Salamandra e poi Gianni Rossi, lamenta: «il conduttore si sente una sorta di “proconsole civile”, più sensibile al vento dell’antipolitica che ai dettami della corretta informazione». E prosegue mettendo sotto accusa persino Giovanni Floris, che invero è noto per lo stile nient’affatto santoriano: «I conduttori, talvolta, sembrano utilizzare quegli spazi come mezzi privati per poter influenzare il pubblico, più che essere dei “mediatori” con il compito di spiegare gli eventi». Aiuto! Manca solo l’aggettivo «criminoso», ma questa è addirittura la più classica delle argomentazioni bulgare di Berlusconi. Passano poche ore e per fortuna interviene Beppe Giulietti, che rimette le cose a posto: giù le mani da Santoro. 3 Ma è possibile che caschi così anche un personaggio figlio della tv e navigato come Walter Veltroni? Alla vigilia della proclamazione, il leader del nuovo Partito Democratico si mette lì a scegliere tra Clemente e Clementina. E con la critica all’esordio in tv della Forleo, «Veronico» Veltroni ha sbagliato bersaglio. E dire che il Gip di Milano aveva appena bucato così bene il video santoriano, affermandosi come nuova icona della donna forte del Sud bella, autentica e coraggiosa. Ma, quel che è peggio ancora, per l’opinione pubblica più avvertita la Forleo resta pur sempre la bestia nera di D’Alema e dei Ds.

4 A forza di lamentarsi dell’antipolitica, ci si dimentica che riempie le piazze. Per non dire di quanto domina sulle piazze virtuali di Internet. Anche Santoro in fondo ha riconquistato il centro della scena mediatica proprio ripartendo dalle piazze, dai ragazzi di Catanzaro, dalla gente di Potenza, dalla più classica versione elettronica dell’agorà che ha imparato a fare nella tv di Angelo Guglielmi con Samarcanda. Non è stata una semplice trasmissione televisiva, ma una messa in scena da teatro civile, un Brecht postmoderno, e ad autenticarne la forza non c’erano i Borsellino e le Alfano, ma tante facce di ragazzi veri del Sud.

5 C’è una grande e singolare somiglianza tra i volti generosi e battaglieri genere movimento «Ammazzateci tutti» e i due simboli che rinnovano il mito dell’eroismo del giudice, così come sono apparsi sulla scena santoriana. E certo non c’è gara tra l’impatto visivo al telegiornale di un Mastella stressato con tanto di relativo contorno d’improbabili giacche blu della nomenklatura Udeur al fianco. Al confronto de Magistris e la Forleo lontani, solitari e fieri sembrano persino discendenti dei Bronzi di Riace. Per non parlare dell’autogol mastelliano dell’ante-antipuntata di Porta a Porta, che ha tirato la volata ad Anno Zero. Tra l’altro sono sempre le bianche poltrone di Vespa ad accogliere i leader del centrosinistra quando hanno problemi e devono comunicare. Prodi ci si è seduto persino per replicare al Vaffa-Day. Dal contratto con gli italiani di re Silvio alla resa mediatica dell’Unione.

da lastampa.it


Titolo: MUSSI - Il Corteo del 20? Meglio non farlo
Inserito da: Admin - Ottobre 15, 2007, 10:04:51 am
“Non si può non tenere conto del voto di 5 milioni di lavoratori” intervista a Fabio Mussi, ministro dell’Università e ricerca e Coordinatore nazionale di Sd, pubblicata da Il Sole 20 ore il 13 ottobre 2007

Il Corteo del 20? Meglio non farlo

di Emilia Patta


“Non si può non tener conto del voto di 5 milioni di lavoratori. Fina dall’inizio abbiamo detto che la manifestazione del 20 ottobre contro il precariato non ci sembrava giusta nella forma e nella piattaforma. Dopo il referendum e il si dei lavoratori al Protocollo di intesa sul welfare ci sembra ancora meno opportuna”. Fabio Mussi, leader di Sinistra Democratica e ministro della Ricerca del Governo Prodi, prende nettamente le distanze dal corteo di protesta organizzato dal Prc e dal Pdci. “Io non ci sarò, noi non ci saremo, il nostro movimento non aderisce”. Insomma, “la manifestazione sarebbe meglio non farla”.

Divisi sul corto, e divisi anche in Consiglio dei Ministri. Il 12 ottobre non è la tomba della “cosa rossa”?
“il si con riserva mo e di Pecorario Scanio e l’astensione di Ferrero e Bianchi sono posizioni molto più vicine di quello che appaiono. Le nostre critiche sugli usuranti e sui contratti a termine sono simili. Credo che sul voto di oggi in Consiglio abbia pesato soprattutto la manifestazione del 20: fra otto giorni, passato lo scoglio, le posizioni si ricomporranno. Insomma deve passare il 20 ottobre. Io credo ancora nel progetto di riunione tutta la Gauche fuori dal Partito democratico. insieme abbiamo già ottenuto risultati, con la finanziaria e con le modifiche al Protocollo, in favore della parte più debole e più povera della popolazione. Proprio il Sole 24 ore ha titolato “la sinistra strappa 2 miliardi sul welfare”. Continueremo su questa strada. D’altra parte ci sarà concessa qualche piccola divisione nel momento in cui una candidata alle primarie dei Pd accusa gli altri di brogli e un altro candidato dichiara di tenere il fucile sotto il cuscino.

Perché la riserva in Consiglio? Non le sembra una anomalia?
Sono soddisfatto delle modifiche sui contratti a termine e considero il Protocollo un buon punto di compromesso sulle pensioni, sui giovani e sulle donne.la mia perplessità, e da qui la mia riserva, , è sugli usuranti: non c’è più il numero massimo di pensionamenti anticipati c’è però il tetto di spesa. Dubito che possano indicare gli eventi diritto e poi dire, a un certo punto, che i soldi sono finiti. Se non lo si farà in Parlamento sarà il primo degli esclusi per mancanza di fondi a cambiare la norma rivolgendosi alla Corte Costituzionale.

Cofindustria ha giudicato le modifiche sui contratti a termine “non lievi e peggiorative” dell'intesa di luglio. Questo può creare problemi alla validità del Protocollo?
La formulazione del Protocollo sui contratti a termine era ambigua: nel Ddl ci siamo limitati a sostituire “eventuali reiterazioni” con “reiterazione”. L’obiettivo di limitare l’uso dei contratti a termine a termine per contrastare la precarietà del lavoro, che nella maggior parte dei casi passa proprio attraverso questo strumento, era nel Programma dell’Unione. Così come era nel programma dell’Unione l’eliminazione dello staff leasing, che invece è rimasto. È anche il Programma dell’Unione, mi permetterei di ricordarlo, era un buon protocollo votato da alcuni milioni di persone. Quanto poi all’ “assistenza di un rappresentante di un sindacato comparativamente più rappresentativo a livello nazionale” per ottenere la proroga del contratto a termine dopo i tre anni credo che Confindustria stessa non abbia interesse alla proliferazione dei sindacati “gialli”.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Scomporre e ricomporre. Per unire e rinnovare
Inserito da: Admin - Ottobre 18, 2007, 06:18:30 pm
I compagni di provenienza socialista e Sinistra Democratica (17 ottobre 2007)

Scomporre e ricomporre. Per unire e rinnovare

di Ernesto Fedi*


I compagni di Sinistra Democratica di provenienza socialista, per la massima parte, non hanno seguito Angius e Spini ed hanno deciso di continuare il loro impegno nel movimento, non ravvisando, ora ed in questo modo, le condizioni per una fuoriuscita ed un’adesione alla Costituente ed al nuovo Partito Socialista, che sarà varato all’inizio dell’anno prossimo.

Quando nacque Sinistra Democratica tutti fummo d’accordo nel rifiuto del Partito Democratico, che nasceva sostanzialmente come partito di centro a tendenziale vocazione cattolica e non si collocava nel contesto del socialismo europeo.

Tutti convenimmo sulla necessità di realizzare una grande sinistra unita e plurale, capace di contribuire fortemente alla semplificazione del quadro politico, superando l’attuale frammentazione.

Tutti concordammo che il nostro referente europeo restava il PSE.

E’ lecito domandarsi ora che cosa è cambiato di sostanziale rispetto ad allora. Poco. E comunque non a sufficienza per rimettere tutto in discussione.

Se escludiamo, come escludiamo, la formazione nel breve periodo di un partito unico della sinistra sotto l’egemonia di Rifondazione e dei Comunisti Italiani, collocato nella Sinistra Europea anziché nel PSE, la scelta della Costituente, per chi milita in Sinistra Democratica, appare senza costrutto e, quel che è peggio, rischia di spostare a sinistra il baricentro del movimento, privandolo sul fianco destro di una componente di primaria importanza.

La Costituente segna un passo avanti sulla strada della semplificazione. Ha senza dubbio il grande merito di aver ridotto la diaspora socialista. Vi sono confluite personalità  come Formica. Ha aderito, con Turci, l’insieme dei circoli che si sono ritrovati nei convegni di Montecatini, Bertinoro e Chianciano. Ma l’ingresso dei Socialisti Italiani di Bobo Craxi e Zavettieri e del Nuovo PSI di De Michelis e Del Bue, che nella passata legislatura si erano collocati nel centro destra, qualche problema lo pone.

Ho detto ridotto e non ricomposto la diaspora, perché non sono entrati a far parte della Costituente socialisti come Amato, Ruffolo, Benvenuto, Del Turco, Carniti, Signorile e tanti altri.

E’ dunque un quadro interessante, ma è ancora un microcosmo. Siamo ben lontani da quel socialismo largo caro a Formica.
 Per avere anche in Italia un grande partito socialista che, per dimensioni, almeno si avvicini agli altri partiti europei, bisogna andare oltre. Bisogna lavorare ad aggregazioni più vaste.

E se intendiamo partire dai contenuti, è doveroso far chiarezza.

Il socialismo non è solo un contenitore o un’etichetta. Deve soprattutto essere, nel contesto della sinistra, un comune campo di valori, un comune progetto, una stessa rappresentanza sociale.

La Costituente si è nettamente distinta dal Partito Democratico soprattutto per quanto riguarda la laicità e i diritti civili. E non è poca cosa. Non possiamo sottovalutarla.

Ma in merito alla politica economica ha dato finora la sensazione di stare sulla stessa lunghezza d’onda del Partito Democratico.
Soprattutto nella difesa delle conquiste dello Stato sociale contro l’assalto degli interessi privati, nella lotta al precariato che sta mortificando un’intera generazione ed ha reso precaria la stessa società, le differenze con noi e gli altri partiti della sinistra rimangono non irrilevanti.
E poi deve essere sciolto l’equivoco della Rosa nel Pugno. Non sono stati pochi gli esponenti della Costituente che hanno rilanciato, nella recente conferenza programmatica, il valore strategico dell’alleanza con i radicali, che socialisti non sono, né intendono diventarlo e che in molti casi si collocano addirittura a destra dello stesso Partito Democratico.

Per procedere con successo, dobbiamo tutti far strame di equivoci, incertezze ed ambiguità. E, anziché polemizzare tra di noi, dobbiamo ricercare convergenze consistenti verso obiettivi comuni, se vogliamo realizzare in Italia un grande partito del socialismo europeo in una forte e coesa sinistra. Altrimenti c’è il rischio di dar vita ad un partito modesto, magari anche fuori dalla sinistra.
D’altra parte il PSE, che negli altri paesi europei viaggia livelli che mediamente superano il 30%, in Italia non può essere rappresentato da un partito di minuscole dimensioni.
La strada da percorrere, per noi, è quella di lavorare alla costruzione di una grande sinistra unita che pesi sugli equilibri politici italiani, in sintonia con le altre formazioni della sinistra di governo europea, raccolte in quel PSE di cui già fanno parte tutti gli eurodeputati di Sinistra Democratica.
In Italia la sinistra, che per la prima volta è tutta al governo, non è solo socialista.

Pertanto bisogna far convergere su un comune obiettivo anche movimenti, associazioni e partiti di matrice comunista, ambientalista e pacifista, con lo scopo non solo di unirci, ma di rinnovarci tutti per stare al passo con le sfide degli anni 2000.
Qualcuno penserà che si tratti di una missione impossibile. Comunque va tentata, senza riserve e senza pregiudizi.

Mantenere a sinistra del Partito Democratico una miriade di partitini, in competizione tra di loro,  sarebbe un errore imperdonabile.
Bisogna saper andar oltre l’esistente. Scomporre per ricomporre. Unire per rinnovare. E non basta neanche federare. Federando si unisce, ma non si rinnova. Si garantisce la sopravvivenza, ma si cristallizza l’esistente e si finisce per dare ai problemi del paese una risposta insufficiente e perdente.

Dobbiamo tutti insieme lavorare ad un progetto politico di alto profilo, forte, affascinante,che dia il segno di un cambiamento profondo e che sappia guardare con successo al futuro. Tutto il resto è riduttivo e insufficiente. Non rassegniamoci a   dare per fallito quello che fallito non è. Lavoriamo per l’unità.
Questo vale per tutti, anche per i compagni della Costituente.   

*Componente il Direttivo di Sinistra Democratica

da sinistra-democratica.it


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - Titti Di Salvo, Sinistra, il giorno dopo
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2007, 12:27:34 am
Una riflessione sull'esito della manifestazione del 20 ottobre

Pubblicata da Aprileonile.info (22 ottobre 2007)

Sinistra, il giorno dopo
di Titti Di Salvo


Siamo arrivati al 21 ottobre.
E una riflessione è d’obbligo, accantonando per un momento una situazione politica confusa ed instabile. Infatti gli appuntamenti che precedevano il 21, pur molto diversi tra loro, avevano in comune l’essere una  verifica  del grado di rappresentanza sociale e politica, come antidoto o risposta alla crisi di consenso che attraversa il paese. Il successo di quei singoli eventi rende oggi la democrazia italiana più salda.
Naturalmente ciascuno di quegli appuntamenti ha delle conseguenze. Il referendum dei lavoratori e dei pensionati rassicura il sindacato sul gradimento della mediazione raggiunta con il protocollo sul welfare. Il voto di Walter Veltroni rafforza quella leadership dandogli una investitura che può essere solo limitata dall’autocensura.
Anche la manifestazione del 20 ottobre, molto partecipata, rassicura i promotori della esistenza di un seguito importante alle parole d’ordine con le quali la manifestazione era convocata.
Da lì in avanti, dal 21 in avanti, lungo la strada dell’unità a sinistra, una sinistra larga e rinnovata, si ripropongono gli stessi problemi. Due in particolare: quale rapporto tra la sinistra e il sindacato confederale; il rinnovamento della sinistra.
In primo luogo il rapporto con il sindacato confederale. E’ perfino pleonastico sottolineare come la sinistra politica che ambisce a rappresentare politicamente il lavoro, non possa prescindere dal definire ambito e qualità del rapporto con il sindacato che il lavoro lo rappresenta socialmente, lasciando al passato collateralismi e cinghie di trasmissione.
Il termine “autonomia” qualifica quel rapporto. Ma appunto autonomia non è estraneità, non è competizione. Per definizione l’autonomia intanto è possibile solo sulla base di idee proprie da mettere in relazione ad altre idee.
Dalla astrazione alla concretezza: nella frizione che si è manifestata tra parte della sinistra e  sindacato confederale sul protocollo, il punto a me non chiaro è stato il metro di misura scelto per misurare l’accordo.
Se il metro di misura fosse la distanza tra quel protocollo e il programma di governo dell’Unione, la polemica andrebbe rivolta verso chi si è discostato dal programma.
E’ evidente che sta e stava al governo e alla sua maggioranza l’onere del rispetto del programma.
Se a non essere condiviso fosse il metodo della concertazione (propria delle socialdemocrazie europee più avanzate e che impegna governo e sindacati a comportamenti virtuosi sulla base di obiettivi condivisi) allora la polemica sarebbe sul privilegio della relazione: perché se si è scelta la concertazione, allora i firmatari dell’accordo siglato sono impegnati a tener fede a quell’accordo, pena svuotamento della stessa modalità di relazione.
Il referendum promosso dal sindacato sul protocollo, poi, ne ha approvato i contenuti e anche della legittimità del sindacato stesso.
Rimuovere quell’esito, vedendo solo il valore del referendum in quanto prova democratica, non aiuta a costruire un rapporto positivo e quindi autonomo tra sinistra politica e sindacato.
Peraltro sarebbe miope non vedere come nella consultazione si sia espresso, nei sì e nei no, il malessere di una condizione di lavoro valorizzata socialmente.  La mia opinione è che il protocollo sia stato un terreno di aspra battaglia all’interno della maggioranza perché sui temi da esso affrontati si confrontano due idee di sviluppo; il sindacato ne è stato il parafulmine. Si è trattato di un aspro confronto che il programma pre-elettorale aveva composto e il risultato elettorale ha poi scomposto in modo molto evidente.
D’altra parte stupisce e comunque a me ha stupito l’isolamento culturale delle ragioni del lavoro a quel tavolo di trattative. Liquidare quell’isolamento con un giudizio sul moderatismo sindacale a mio avviso non solo è falso, ma comunque non spiegherebbe il problema. Tentare di rompere quell’isolamento rimuovendo il risultato del referendum, altrettanto: servono alleanze.
Così come le ragioni del lavoro non hanno chance né possibilità di segnare in prospettiva lo sviluppo del paese senza che la politica assuma quelle ragioni come ragioni fondative.
E questo ci riporta all’unità a sinistra e, soprattutto, ci riporta al tema del rinnovamento della sinistra.
Una sinistra larga, femminista, pacifista, ecologista e di governo.
Una sinistra che deve avere l’ambizione di immaginare una prospettiva nazionale e generale per il paese. Rinnovata, perché conosce i propri limiti interpretativi e di rappresentanza. Limpida, coerente, credibile: che sceglie la politica come ascolto e prende le distanza dalla politica mediatica profondamente berlusconiana, anche quando cambiano i protagonisti. Ci vorrebbe il coraggio di uscire dalle trincee della propria identità: ci vorrebbe tempo.
Ma di sicuro due cose non ci servono: identità orgogliose contrapposte in una campagna elettorale permanente, tutta giocata all’interno della sinistra; denominazione di origini controllate, “cose rosse” o scelte analoghe brandite come perimetri.
L’unità a sinistra è ciò di cui ha bisogno il paese; non nascondere i problemi che esistono lungo quella strada o rimuovere i nodi fondamentali, lungi dall’essere un ostacolo verso questa prospettiva, è l’unica condizione per garantirle successo.

da sinistra.democratica.it


Titolo: FEDERICO GEREMICCA - La guerra delle due sinistre
Inserito da: Admin - Novembre 05, 2007, 03:44:33 pm
5/11/2007
 
La guerra delle due sinistre
 
FEDERICO GEREMICCA

 
Gli amanti del genere sappiano che è quasi tutto pronto. Se ne hanno voglia e tempo - dunque - comincino a documentarsi, catalogando per benino la nuova ondata di ultimatum e di minacce, e preparandosi - magari - alla solita diretta tv in arrivo dal Senato: sarà un’altra corrida, è quasi garantito, con urla, strepiti e tumulti in aula. Perché insomma sì, si replica «sinistre contro», pellicola di gran successo in questi primi diciotto mesi di governo dell’Unione. Del resto, essendo state «contro» fino ad ora quasi su tutto, non si sarebbe capito perché non avrebbero dovuto esserlo anche in materia di sicurezza e sull’ultimo decreto varato dal governo.

Dunque, sinistra riformista contro sinistra radicale: che - tradotto - ormai vuol dire Partito democratico contro «Cosa rossa». Con il nemico vero, cioè l’opposizione di Silvio Berlusconi, come sempre seduto lì, in attesa sulla più classica sponda del fiume...

Gli esperti del genere, però, assicurano che il finale dell’ennesimo episodio della saga sia praticamente già scritto, e che la conclusione dovrebbe essere assai simile (e se così fosse, simile fino alla noia) all’epilogo delle grandi battaglie che le due sinistre hanno ingaggiato, per esempio, intorno al rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero.

Insomma, poiché si postula come sicuro che almeno un paio di partiti dell’opposizione (Udc e Forza Italia) finiranno per votare il decreto sui rimpatri coatti, le due sinistre si daranno battaglia ma poi sigleranno la solita traballante tregua: la sinistra riformista provvederà magari a qualche impalpabile modifica del decreto, la sinistra radicale dirà che il tutto resta poco convincente e che qualche dissenso nelle proprie file sarà inevitabile (tanto a fare maggioranza in aula ci penseranno i senatori del centrodestra...).

Si assisterà, dunque, a una nuova grande battaglia virtuale, al centro della quale ci sarà - più che il merito del decreto sulle espulsioni - l’«immagine» delle due sinistre, il loro profilo, il loro futuro, il loro appeal elettorale. La sinistra radicale già accusa quella riformista di xenofobia, razzismo e cedimento alla destra; la sinistra riformista risponde puntando l’indice contro «posizioni ideologiche» e sbandierando il vessillo - ormai fatto proprio - innalzato tempo fa tra mille polemiche dai grandi sindaci dell’Unione (da Cofferati a Chiamparino, da Veltroni e Domenici): legalità e sicurezza sono valori di sinistra. «Attenti a non inficiare il principio della sicurezza come garanzia fondamentale di tutti i cittadini - spiegava ieri Luciano Violante -. La sicurezza è la prima garanzia, soprattutto per i più deboli».

Del resto, alle obiezioni della sinistra radicale (vere o di comodo che siano) risponderebbe già la dettagliata circolare di spiegazione e accompagno al decreto fatta giungere dal Viminale a Prefetti e Questori. Spiega Fabrizio Forquet, portavoce del ministro Amato. «I Prefetti sanno che le espulsioni vanno valutate caso per caso, e disposte con singoli provvedimenti. E i Prefetti possono, a seconda delle esigenze, adottare sia la procedura d’urgenza che quella ordinaria. Quello che è da escludere, insomma, è che l’Italia proceda a espulsioni di massa. E del resto il numero dei provvedimenti adottati dall’entrata in vigore del decreto lo testimonia a sufficienza». Ciò nonostante, poiché il copione reclama la sua parte, lo scontro tra le due sinistre si protrarrà fino al giorno del voto in Senato (per altro, tutt’altro che imminente). E la sinistra radicale lo combatterà al grido «il Pd cerca accordi con la destra piuttosto che con noi».

Due voci per tutte, entrambe in arrivo da Rifondazione. Due voci singolarmente identiche. Il ministro Ferrero: «Risulta per lo meno inquietante la proposta di un voto bipartisan sul decreto espulsioni». Russo Spena, capogruppo al Senato: «Trovo inquietante che il ministro Amato cerchi il dialogo con Fini, e che provi addirittura di rassicurarlo, invece di tentare di dialogare con la sua maggioranza». Salvo colpi di scena sarà questo il Leitmotiv della battaglia della sinistra radicale (che, per altro, si svolgerà nel pieno dell’altro scontro già aperto sulla Finanziaria, a proposito della quale due senatori di Rifondazione, Turigliatto e Rossi, hanno già assicurato che voteranno no, salvo assai congrue modifiche...). Come finirà? Probabilmente, come si diceva all’inizio: i partiti della sinistra radicale saranno recuperati a un voto non negativo sul decreto, salvo libertà di dissenso per i singoli senatori. E chi procederà al recupero della «Cosa rossa»? Probabilmente Romano Prodi, forte di un feeling tutto particolare con Giordano e Bertinotti. In fondo, è come se il premier si fosse un po’ diviso i compiti con Walter Veltroni: come nella storia dei due carabinieri, nei confronti della sinistra radicale uno fa il buono e l’altro cattivo. Magari funziona, non è detto. Ma quanto potrà durare, questo davvero non si sa...
 
da lastampa.it


Titolo: Ovvero: i figli della mamma dei Cretini e il nostro Parlamento.
Inserito da: Admin - Novembre 07, 2007, 08:17:47 am
POLITICA

Il segretario del Pdci è a Mosca per i 90 anni della Rivoluzione d'ottobre

Poi precisa: "Era solo una battuta". Volontè: "Se la porti a casa sua"

Diliberto: "La mummia di Lenin a Roma"

Gasparri: "Ok, ma lui vada a Mosca"


 MOSCA - "La mummia di Lenin? Se la Russia non la vuole potremmo portarla a Roma". Il segretario del Pdci Oliviero Diliberto ha appena finito di visitare il mausoleo di Lenin a Mosca. Ha deposto fiori e ha sostato per alcuni istanti ai piedi del corpo mummificato del padre della Rivoluzione. Poi, in attesa di commemorare, domani, i 90 anni della Rivoluzione d'ottobre, lancia una provocazione. "Se non la vuole, la porto in Italia". E lo fa sapendo che Vladimir Putin sembra deciso a voler sfrattare il sarcofago di Lenin e chiudere il mausoleo. Una proposta che, immediatemente, Diliberto definisce solo una battuta, ma che scatena reazioni, serie, in Italia.

Il più seccato sembra essere il capogruppo dell'Udc alla Camera, Luca Volontè: "La porti a casa sua, l'Italia non può certo permettersi di diventare un ricettacolo di emuli dei genocidi comunisti d'europa". Insinuando che l'uscita del segretario comunista possa essere legata all'ottima vodka che si beve a Mosca. Diliberto viene avvertito e replica: "Un vizio sicuramente più innocenti di quelli che si consumano all'hotel Flora pagando donne e stupefacenti". Con evidente riferimento ad uno scandalo che ha visto protagonista un deputato dell'Udc.

Chi invece la butta sul ridere è Maurizio Gasparri di An che propone uno scambio tra la mummia di Lenin e Diliberto: "Comunque è davvero triste avere personaggi così squalificanti per il nostro paese che girano nel mondo". Ma anche a sinistra la battuta di Diliberto non suscita consensi. "Noi siamo qui a parlare dei problemi e del rilancio della sinistra ma c'è qualcuno che pensa a dove collocare la salma di Lenin..." taglia corto il segretario di Rifondazione Franco Giordano. Di tutt'altro avviso il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio: "A novant'anni dalla rivoluzione d'ottobre, Lenin evidentemente fa ancora paura sia agli anticomunisti. Tutto questo è la dimostrazione che il comunismo è ancora il futuro".

E visto che si parla di rientri e sepolture, Sergio Boschiero, segretario dell'Unione monarchica italiana, rilancia: "Altro che Lenin, in Italia dovrebbero invece trovare la loro storica sepoltura i nostri re e le nostre regine, tuttora sepolti in terra straniera".

(6 novembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Cosa Rossa, alle amministrative Prc-Pdci e Sd corrono insieme
Inserito da: Admin - Novembre 10, 2007, 10:58:01 pm
Cosa Rossa, alle amministrative Prc-Pdci e Sd corrono insieme


Primi passi della Cosa Rossa. Alle prossime elezioni amministrative, Rifondazione, Comunisti Italiani e Sinistra Democratica si presenteranno sotto lo stesso simbolo. Ancora non si sa quale, ma la scelta è in via di «rapida definizione». I responsabili dei dipartimenti Enti Locali dei tre partiti della sinistra hanno evidenziato venerdì «l'auspicio di giungere rapidamente, già a partire dall'assemblea dell'8 e del 9 dicembre, alla definizione, attraverso la partecipazione delle cittadine e dei cittadini, del sindacato e delle associazioni, di elementi programmatici comuni in previsione delle elezioni amministrative del 2008». E lanciano l’alleanza competitiva con il Pd: Unione sì, ma con «pari dignità» tra le forze che la compongono.

Pubblicato il: 09.11.07
Modificato il: 09.11.07 alle ore 20.54   
© l'Unità.


Titolo: Vendola: io leader della Sinistra? Macché, troppo vecchio
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2007, 07:39:18 pm
Vendola: io leader della Sinistra?

 Macché, troppo vecchio

Simone Collini


Sull’unità a sinistra si vedono dei passi avanti e però la strada non sembra tutta in discesa.

Lei che dice presidente Vendola?


«Intanto - dice il governatore della Puglia ed esponente del Prc - è importante che il percorso sia avviato, che i gruppi parlamentari di Rifondazione comunista, Pdci, Verdi e Sinistra democratica abbiano mostrato una progressiva omogeneizzazione dei comportamenti fino alla dichiarazione di voto unitaria, e anche che ci sia una consapevolezza che travalica gli ambiti dei gruppi dirigenti coinvolgendo un popolo molto largo».

Di che tipo di consapevolezza parla?

«Della necessità di una nuova sinistra, di un soggetto unitario e plurale che affronti le sfide che abbiamo di fronte. La manifestazione del 20 ottobre è stato un grande fatto di massa che spinge in questa direzione. E che a dispetto di troppe previsioni affrettate ha dimostrato la maturità politica di questo popolo e di questo processo, liberando le forze della sinistra da quella ipotetica collocazione, per certi versi auspicata dai poteri forti, nell’ambito di una sorta di estremismo testimoniale».

Però la discussione sul simbolo di questo nuovo soggetto ha già segnalato qualche difficoltà, visto che non tutti sono pronti ad archiviare falce e martello.

«La sinistra è fatta di tanti simboli e di tante divisioni anche. È giunto il momento di costruire una casa comune. Ciascuno può tenere nell’articolazione delle esperienze e anche nel cuore il proprio simbolo. Però quando c’è una casa comune servono un nome e un simbolo che rappresentino non un passo indietro per nessuno ma un passo in avanti per tutti. Serve un punto più alto di unità, che abbia in sé quell’elemento di fascinazione progettuale in grado di parlare alle giovani generazioni».

A qualcuno verrà il sospetto che difende in questo modo il progetto di unificazione perché lei potrebbe esserne il futuro leader.

«Non sono candidato perché sono già stato eletto e intendo onorare il mandato ricevuto e completare l’esperienza di governo in Puglia. Secondo, mentre nelle questioni del governo sento l’obbligo morale di esercitare fino in fondo il dovere della mediazione, nella lotta politica e culturale ho sempre espresso con grande autonomia i miei pensieri. Prima di diventare comunista sono stato antistalinista, sono incapace di giustificazionismi ogniqualvolta c’è la lesione di un diritto civile».

E questo le impedirebbe di assumere la guida della sinistra unita?

«Non sarei adeguato. E penso anche di essere vecchio. Nel senso che probabilmente i miei occhi non sono in grado di vedere tante cose nuove e buone che ci sono, perché sono completamente segnato dalla storia del 900. E infine penso che se questo processo cercasse un proprio abbrivio nella questione del leader partirebbe col piede sbagliato. Un leader può essere una bella scorciatoia rispetto ai problemi legati alla rimessa in campo di strumenti analitici, concettuali, di categorie, di idee strategiche, insomma di cultura politica. Qui non si tratta di costruire un compromesso al ribasso tra gli apparati ideologico-programmatici dei diversi attori, ma di capire se sia possibile ragionare di una carta dei valori e del profilo della sinistra del futuro, a partire da un’analisi di questa globalizzazione, di questo capitalismo e da un approfondimento dei dilemmi della nostra epoca, dalla guerra permanente alla mutazione climatica».

Per Pdci e Verdi oltre la federazione non si può andare, Sd ritiene invece il soggetto unico la meta finale. Lei che dice?

«Quando si apre un processo e tutti si mettono in gioco, non si può indicare preventivamente l’esito del processo. Il problema che abbiamo di fronte è molto più grande di quanto non siano le questioni identitarie o le legittime rivendicazioni di appartenenza».

Perché, che cosa c’è in gioco?

«La ragione sociale della sinistra in questa fase della storia. Anche in rapporto alla nascita del Partito democratico con un profilo neomoderato. Qui non c’è una legge fisica da rispettare, non possiamo immaginare che se il Pd lascia un grande vuoto a sinistra ci sarà un automatismo politico-psicologico che consentirà a noi, così come siamo, di colmarlo. Si tratta invece di ricostruire fino in fondo l’immagine precisa non solo della crisi della politica, ma della crisi della società, di guardare nel profondo di quella deriva corporativa e persino di quella mutazione antropologica che ha spezzato corpi sociali organizzati e messo in crisi la democrazia dei partiti di massa».

Come deve far fronte la sinistra a questa crisi della società?

«Non con una politica di riduzione del danno. La destra risponde proponendo un binomio secco, precarietà e deriva securitaria, alimentando una vera e propria società della paura. La sinistra non può pensare di fare una buona precarietà e una buona sicurezza fondata sulla fobia. Deve capovolgere il paradigma, intervenire sulle grandi fratture: quella tra l’individuo e il mercato del lavoro, e quindi deve fare battaglia per un lavoro stabile e competente; quella relativa alla condizione urbana, e quindi serve una grande battaglia per la riqualificazione delle periferie, per la sicurezza sociale, per l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza».

Sulla sicurezza e i diritti di cittadinanza si è mosso bene il governo, secondo lei?

«C’è stata qualche oscillazione emotiva, e questioni strutturali non possono essere affrontate con logiche di emergenza. Tanto più se presuppongono per talune categorie di cittadini la sospensione di diritti costituzionalmente protetti. Avremmo dovuto ricordarci che per un quinquennio le politiche dell’immigrazione sono state quasi esclusivamente un capitolo delle politiche dell’ordine pubblico, quando gli stranieri sono potenzialmente una risorsa piuttosto che un problema. Non abbiamo visto con sufficiente chiarezza che quando le politiche di inclusione funzionano, gli stranieri che delinquono sono percentualmente meno degli italiani che delinquono. E che quindi tutti gli stereotipi fondati sulla criminalizzazione etnica sono non solo un vecchio retaggio parafascista, ma una clamorosa bestialità».

Quindi, la sua opinione sul decreto sicurezza?

«Credo che nella conversione in legge si possano correggere gli aspetti a rischio di costituzionalità e sottolineare invece alcuni passi in avanti, per esempio dal punto di vista della lotta ai poteri mafiosi. Perché francamente si fa fatica a immaginare qualunque politica della sicurezza che non parta dalla strategia di sradicamento delle grandi organizzazione criminali».

A Genova ci sarà una manifestazione per chiedere verità su quanto avvenuto al G8 del 2001.

«È importante che si faccia questa manifestazione, ed è importante che si dia una risposta di decenza a quello che è stato un buco nero nella storia d’Italia. Non si chiede una condanna preventiva di nessuno. Si chiede una commissione d’indagine. Ed è incredibile che in un Paese che ha partorito grottesche commissioni parlamentari, come quelle della scorsa legislatura alimentate dai falsi dossier di personaggi torbidi, oggi non si abbia il coraggio di aprire uno squarcio su una storia che ha visto per 48 ore sospese le regole dello stato di diritto».


Pubblicato il: 16.11.07
Modificato il: 16.11.07 alle ore 9.54   
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Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - Mussi incontra Veltroni: prove tecniche di dialogo
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2007, 07:46:16 pm
Mussi incontra Veltroni: prove tecniche di dialogo


Amicizia e rispetto, ma parole chiare in politica.

Fabio Mussi e Walter Veltroni, inseparabili ai tempi della Fgci, si ritrovano di buon mattino al Campidoglio (una consuetudine per il segretario del Partito Democratico) per una colazione che termina con una promessa («ci vedremo di frequente con rapporti regolari») e una constatazione: «Sulla legge elettorale le distanze rimangono intatte».
Il ministro della Ricerca - nel faccia a faccia con il segretario - boccia la proposta Vassallo-Ceccanti che introduce, dice, «un sistema italo-tedesco-israelo-spagnolo» nella discussione sul nuovo sistema di voto. «Non ci siamo ancora - dice Mussi - e in particolare sul sistema "delle mani libere"» che rende possibili coalizioni dopo il voto.

«Qualunque sistema elettorale - spiega - deve dire non solo quale programma si immagina, ma anche quale sistema di alleanze. Bisogna dire prima dove si sta. Lo spazio del bipolarismo va tutelato politicamente, prendendo in parola quel che si dice: temo che l'autosufficienza di Veltroni nasconda le mani libere. Una cosa che per il centrosinistra sarebbe un errore strategico».

Mussi ha infatti riconfermato al segretario del Partito Democratico il suo impegno nella costruzione di un'aggregazione a sinistra. «È importante per tutti quelli che credono ad una prospettiva di centrosinistra - ha detto Mussi - e non credono invece a confuse nuove fasi». Ogni riferimento, come si dice, è casuale.

Senza contare, ha spiegato Fabio Nussi a Walter Veltroni nell'incontro di sabato mattina, che la nuova legge elettorale «è cucita con perizia sartoriale sui soggetti proponenti. la correzione del modello tedesco non può prevedere uno sbarramento all'8 per cento e penalizzare le formazioni nazionali a discapito di quelle con forte insediamento localistico». Su questo terreno, Mussi trova un alleato, all'interno del PD, piuttosto in Massimo D'Alema, anche lui amico di "infanzia politica". «Vedo - dice il ministro in riferimento al convegno di ieri promosso da italianieuropei- che nel pd non mancano critiche anche molto forti...», alcune delle quali vengono appunto dal ministro degli esteri.

Altro punto nodale delle riforme, che piacciono a Veltroni e non piacciono invece a Mussi, è l'indicazione diretta del premier. Su questo Veltroni è stato sempre molto chiaro. Altrettanto esplicito è Mussi: «Così si passa al modello italo-tedesco-israelo-spagnolo. Capisco - spiega - che introdurre il vincolo di coalizione con il sistema proporzionale è difficile, ma bisogna fare attenzione a introdurre mix esagerati e macchine che non funzionano. Serve una riflessione critica».

In realtà il leader di Sinistra Democratica è scettico su tutto l'impianto delle correzioni al modello tedesco. Su questo, dice, occorre una posizione comune nella maggioranza. «Ho detto a Walter che serve una discussione collettiva. La convocazione di un vertice non c'è ancora, ma è chiaro che prima di aprire il dialogo con l'opposizione dobbiamo trovare una convergenza all'interno dell'Unione».

Al termine dell'incontro con Veltroni, è lo stesso Mussi a sottolineare che «le distanze restano» anche se, spiega, «io sono interessato ad un avanzamento a sinistra ma in un quadro di alleanze future con il Partito Democratico». Si lasciano da buoni amici, dunque, e quando Veltroni propone «di stabilire degli incontri sistematici» con SD, Mussi accetta.

Non accoglie invece l'invito pressante, che anche questa volta il segretario del PD gli ha rivolto, affinché i due si ritrovino uniti sotto lo stesso tetto politico. «Sono lusingato - dice Mussi - ma si possono prendere percorsi diversi pur mantenendo rispetto e amicizia. Rivendico questo come una cosa normale anche se so che molti concepiscono la politica come il campo degli hostess, dei nemici» dunque Mussi e Veltroni non torneranno a lavorare insieme?

«Io - risponde Mussi - non ho ragione di cambiare natura. la mia amicizia con Veltroni resta. Abbiamo lavorato a stretto contatto in passato, nel '96, nella costruzione dell'Ulivo. Ma ora l'Ulivo non c'è più e il primo a dirlo è lui, che ha tolto il simbolo dall'insegna del PD. Una cosa legittima, ma ora siamo in un'altra fase, totalmente cambiata».

Pubblicato il: 17.11.07
Modificato il: 17.11.07 alle ore 16.44   
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Titolo: Giordano: «Welfare da cambiare Dini non potrà fermarci» (sicuro? ndr).
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2007, 07:09:34 pm
Giordano: «Welfare da cambiare Dini non potrà fermarci»

Simone Collini


«Il protocollo sul welfare va migliorato». Franco Giordano ne è convinto. Il segretario di Rifondazione comunista vede delle modifiche «assolutamente necessarie» da apportare tanto sul fronte welfare che su quello pensioni, ed è sicuro che la battaglia parlamentare sarà combattuta in modo unitario dall’ala sinistra dell’Unione. Da quelle forze cioè, dice il leader del Prc, che daranno vita a un soggetto «unitario e plurale che vada oltre la mera federazione» e che dovrà presentarsi con «un simbolo nuovo, perché nuovo è il percorso che abbiamo avviato».

Dice Bersani che per il governo il testo del protocollo resta così com’è. È così anche per il Prc, onorevole Giordano?
«Il protocollo deve essere migliorato. E sono convinto che la possibilità per farlo ci sia, anche con il coinvolgimento e il consenso delle organizzazioni sindacali».

Dov’è che sarebbero necessari i miglioramenti?
«Sugli effetti dello scalone dilazionato, innanzitutto. E poi serve un intervento serio sui lavori usuranti, va definitivamente superato il vincolo del tetto. L’ultima formulazione del testo avvantaggia in maniera smaccata Confindustria. Noi dobbiamo evitare che un giovane possa entrare nel percorso lavorativo e magari fare tre anni di contratti a termine, poi altri anni di lavoro interinale, magari sperimentare qualche altra diavoleria precaria e non trovare mai neanche l’avvio di un qualche principio di stabilizzazione».

Il protocollo è stato però siglato dalle parti sociali e approvato col referendum a stragrande maggioranza. Sinistra democratica non ha partecipato alla manifestazione del 20 ottobre sottolineando il rischio di una forma di contrapposizione al sindacato.
«Non c’è nessuna contrapposizione. E ripeto, le modifiche possono esserci con il consenso del movimento sindacale».

E quanto a Sd?
«Abbiamo lavorato unitariamente come forze della sinistra, anche laddove inizialmente c’erano diversità. Oggi tutti stiamo verificando le possibilità di miglioramento. E ora è più concreta la capacità di incidere. Fattore che ci spinge a guardare oltre».

Che cosa intende dire?
«Che chiusa la fase della Finanziaria e del protocollo si deve aprire un confronto. La manovra è stata migliorata grazie all’intervento attivo delle forze di sinistra, e lo stesso sarà per il protocollo. Ma poi va avviata una fase politica nuova, che deve essere segnata da una nuova dialettica tra le forze della sinistra e il Partito democratico. Perché l’agenda politica non può essere dettata dal Pd. Vanno ridefinite le priorità. Solo così si può ridare efficacia al governo».

Chiusa questa fase, diceva. Questo significa che dà per scontato che il governo passerà indenne tra le vostre richieste di modifica e gli altolà di Dini?
«Se il confronto su protocollo e anche sul prosieguo dell’iter della Finanziaria avvengono nella dialettica tra noi e il Pd, con il consenso dei sindacati, e in un confronto che coinvolge la vita materiale di tanti lavoratori e di tanti precari, dubito che Dini possa avere la forza di modificare questo percorso».

Secondo lei sarebbe opportuno o no scorporare pensioni e welfare, oggi contenute in un unico testo?
«Sarebbe opportuno e persino più pulito dal punto di vista della forma. E poi dobbiamo convertire rapidamente, entro il 31 dicembre, il decreto sulle pensioni se vogliamo evitare che entri in vigore l’inaccettabile scalone Maroni».

Avete convocato per l’8 e 9 dicembre gli stati generali della sinistra: l’obiettivo?
«Mostrare che ci sono tutte le condizioni per un soggetto unitario e plurale in grado di aprire una sfida strategica con il Pd sul terreno dell’idea di società».

Unitario e plurale, dice. Non ci aggiunge federato, come fanno Pdci e Verdi.
«Quello che nasce deve essere un soggetto aperto e che non sia la semplice sommatoria delle singole forze politiche, che sarebbe sì un passo importante, ma in definitiva ben poca cosa. Anche nella fase di preparazione dell’8 e 9 bisogna coinvolgere realtà associative, movimenti, esperienze, perché solo così la sinistra acquista dimensione di massa e può contendere al Pd la sfida sul governo della società italiana».

Ma la federazione a cui state per dar vita è il traguardo finale, come dicono Verdi e Pdci, o una tappa intermedia come dice Sd?
«Dobbiamo andare oltre l’idea classica dei partiti. In questo senso io critico sia la pura sommatoria dei partiti sia l’idea di un partito unico. Dopo aver discusso per trent’anni sulla crisi della forma partito non possiamo riproporre quel vecchio modello. Per questo immagino un soggetto che vada oltre la mera federazione dei quattro partiti e in grado di coinvolgere nelle forme partecipative una pluralità di soggettività. Un soggetto radicalmente nuovo, persino nella forma».

Leggendo le lettere a Liberazione, non tutti nel Prc sono contenti di votare la prossima volta un simbolo senza falce e martello.
«Questa è una banalità, non è il centro della nostra discussione. L’8 e 9 dicembre ci sarà una presenza di massa di realtà anche esterne alle forze politiche, verrà varata una carta di intenti e poi verrà anche presentato un segno grafico comune. Come è ovvio che sia. Perché se ci presentiamo ovunque unitariamente ognuno avrà i propri simboli, che non sono in discussione, ma è ovvio che il segno grafico comune deve essere nuovo, perché nuovo è il percorso che abbiamo avviato».


Pubblicato il: 19.11.07
Modificato il: 19.11.07 alle ore 8.52   
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Titolo: Franco Giordano - L’alternativa mediterranea
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2007, 03:25:36 pm
L’alternativa mediterranea

Franco Giordano


Sono affascinato, oserei dire professionalmente oltre che intellettualmente, dalla parola alternativa. E ho vissuto in un milieu di cultura mediterranea. Poche volte, dunque, ho potuto condividere la lettura di un libro che, a mio avviso, è così importante da risultare decisivo al fine di ricostruire i fondamenti di una cultura politica. E persino delle forme della convivenza democratica. L’alternativa mediterranea, a cura di Franco Cassano e Danilo Zolo, Milano, 2007, Feltrinelli, pp. 660, euro 40, è insieme saggio e antologia del pensiero di una civiltà bisognosa di rinnovamento.

Questi sono infatti i tempi in cui un leader della destra europea, Gianfranco Fini, può impunemente e quasi naturalmente dire che «i rom non sono compatibili con le nostre società», immemore - almeno mi auguro - che gli zingari sono finiti assieme agli ebrei nelle camere a gas naziste. Tanto da far giustamente constatare a Predrag Matvejevic che noi abbiamo un debito irrisolto con il popolo rom e che il virus della demonizzazione dell’altro rispetto a sé può solo introdurre veleni nell’opera di ricostruzione di un cultura della convivenza.

Torna quindi utile la definizione, riportata nell’introduzione di Danilo Zolo, in cui Gabriel Audisio descrive «una razza mediterranea impura, felicemente contaminata da un molteplice, secolare meticciato». Mentre Franco Cassano indaga nel suo saggio introduttivo una via alternativa tra gli erodiani e gli zeloti: un tempo Umberto Eco avrebbe detto né apocalittici né integrati.

Io penso in effetti che la ricostruzione di una cultura politica di una soggettività di sinistra o è mediterranea o non è. E che per combattere l’etnocentrismo imperante e lo scontro di civiltà si debba dar forza e valore globale alle culture che si affacciano sulle due sponde del mare nostrum; contrastando le politiche securitarie, fondate sulla costruzione sistematica del nemico, che accompagnano il processo di valorizzazione del capitale.

Proprio a tal riguardo Zolo, citando Fernand Braudel, rileva come le civiltà mediterranee siano sopravvissute all’atlantismo americano precisamente in virtù di una sorta di «pluriverso culturale», vale a dire una forma irriducibile di resistenza al modello omologante. Persino la trasmissione della cultura cosiddetta «occidentale» è in effetti rimbalzata da una sponda all’altra del Mediterraneo.

La stessa identità dell’Europa si gioca dunque in questa scommessa culturale. Qui si gioca infatti la partita tra il vecchio pensiero economico separatista e segregazionista e una nuova cultura: diversa, pluriversa appunto, in cui donne e uomini rimangono padroni del proprio tempo, del proprio spazio geografico e sociale, della propria esistenza. D’altronde, Europa era una dea della fenicia rapita da Zeus.

Solo se riscopre le proprie radici mediterranee, e ne risolve i conflitti, l’Europa può avere una prospettiva e vantare un’autonomia dal modello americano per ritornare ad affermare una soggettività politica nel mondo.

Anche l’ultima guerra irachena ha finito col destabilizzare tutta l’area: rendendo più esplosive le contraddizioni all’interno di quel paese, inasprendo le tensioni in un Libano invaso dallo stato israeliano, portando il conflitto israelo-palestinese ai livelli più acuti mai conosciuti, favorendo l’affermazione di potenze aggressive e connotate di un fondamentalismo religioso senza eguali come sono l’Iran e la Siria attuali. Senza autonomia dagli atteggiamenti egemonici statunitensi l’Europa non potrà avere voce in capitolo su questi focolai e rischierà di importare rapidamente un drammatico scontro di civiltà.

Ecco dunque che la dimensione pacifista può proporsi come la chiave interpretativa nelle relazioni politiche tra due sponde interne al Mediterraneo, che decidano di non competere ma di cooperare sul terreno economico. Perché un’alternativa economica è decisiva per prosciugare le sacche di povertà ed equilibrare le profonde disparità sociali. Ma questa alternativa non può inseguire modelli perequativi e imitativi: l’ambizione dei popoli che si affacciano sulla sponda meridionale non può essere quella di inseguire il fallimento dei modelli di sviluppo del continente settentrionale. Qui si può giocare una partita che riguarda una modifica degli stili di vita, la riduzione dei consumi, l’investimenti su produzioni non energivore e su energie alternative. Qui si può giocare la partita della sottrazione al mercato di beni comuni indivisibili. Qui il tema della valorizzazione ambientale può rappresentare non una forma di bricolage marginale, ma la chiave di volta di una alternativa economica.

D’altronde il Mediterraneo, coi suoi 46 mila chilometri di coste, 5 mila isole, 23 stati, 500 milioni di donne e uomini, vede affacciarsi sulle proprie rive il 50 per cento di costiera cementificata, 600 città, 700 porti turistici, 286 porti commerciali, 13 impianti di produzione di gas, 55 raffinerie, 180 centrali termoelettriche, mentre 300 petroliere al giorno ne solcano le acque. Eppure la «fabbrica della paura» si alimenta dei pochi barconi di disperati che affrontano un drammatico viaggio della speranza e non delle 150 mila tonnellate di greggio scaricate illegalmente ogni anno in acque che vengono così private di ogni forma di vita.

La ricostruzione della cultura mediterranea è la fondazione di uno spazio critico: non frontiera, non confine, non luogo di separazione. I processi di globalizzazione hanno ovviamente avviato forme di ibridazione culturale, ma che non possono perciò essere ritenute una «cura» rispetto alle differenze. Rischiano, anzi, di stemperare i conflitti in modo solo superficiale, alimentando invece profondi rancori di natura identitaria. Può capitare, infatti, che giovani discendenti di migranti stabilmente integrati in Gran Bretagna decidano di far esplodere se stessi e il proprio odio nutrito di fondamentalismo religioso pur essendo figli della modernizzazione. E qui si va al cuore della riflessione di Franco Cassano, che parla per la prima volta di un problema decisivo qual è «il differenziale di potere delle culture». Questo è il cuore dell’asimmetria: è infatti questo differenziale che alimenta i serbatoi in cui crescono gli zeloti e gli erodiani. A questo proposito Emanuele Severino mette in giustamente guardia: guai se dalla faglia sempre più marcata tra ricchi e poveri, alimentata dal fondamentalismo del mercato, apparisse che il difensore dei poveri sia il fondamentalismo religioso.

Le attuali forme di globalizzazione sono dunque parte del problema, non la soluzione. E allora Cassano propone tre ipotesi di lavoro per superare quel «differenziale di potere». Primo: il riconoscimento culturale dell’altro. Secondo: la rimozione delle asimmetrie. Terzo: una nuova sintesi tra terra e mare, ovverosia tra la sicurezza antica dell’identità e la libertà individuale dei singoli. Cassano propone insomma un procedimento dialettico di definizione di una nuova cultura politica teso a costruire figure inedite. Ed è questa la sfida che sento più forte per una nuova soggettività di sinistra. Come scrive Pietro Barcellona nel suo Critica della ragion laica (Roma, Città aperta, 2006), «la cultura mediterranea è una cultura della contraddizione, del conflitto, dove i diversi elementi, però, arrivano a coesistere in una sorta di gestione produttiva del conflitto. Che ci fa vedere la tragedia greca? Un pensiero non lineare, che si muove con le stesse fluttuazioni manifestate dall’inconscio. Essere contemporaneamente più cose: essere figlio e al tempo stesso essere padre. La logica scientifica ci impone che A non può essere B e B non può essere A. Qui invece siamo di fronte a una logica assolutamente paradossale propria delle associazioni che si fanno in psicanalisi: A e B sono C».

Una nuova cultura a sinistra in grado di produrre «figure inedite» passa per la ricostruzione del legame tra uguaglianza e libertà. E prima ancora del rapporto dialettico tra uguaglianza e differenza, a cominciare dalla differenza di genere. A questo proposito sono brillanti quanto illuminanti le parole della femminista Fatema Mernissi, la quale critica apertamente la cultura dell’harem e le forme di misoginia presenti nella cultura islamica, ma non per questo ritiene che la cultura occidentale sia il modello da perseguire, tanto da contestare di quella cultura ciò che chiama «la tirannia della taglia 42», tutta interna alla logica di mercato e che disvela il dominio dello sguardo concupiscente del maschio sulla donna.

Ma lo stesso concetto di libertà, come quello di uguaglianza, ha bisogno di una rifondazione a fronte di un capitalismo totalizzante che fa della precarietà lavorativa e esistenziale l’elemento dominante, che riduce la dimensione del tempo a un istante freddo, separandolo dallo scorrere dialettico tra passato e futuro. Al ché la parola libertà può assumere il significato di liberazione da tutte le forme di asservimento psicofisico, nel lavoro come nella vita. E dallo spazio mediterraneo può riproporsi un’idea di comunità aperta, non contrappositiva, in cui si ricostruisce un legame sociale. Uno spazio in cui disegnare una geografia delle felicità possibili, come dice Jean Claude Izzo: «Il mio Mediterraneo non è quello delle cartoline - scrive Izzo in Aglio, menta e basilico, Roma, edizioni e/o, 2006 - La felicità non ti viene mai regalata, te la devi inventare. I viaggiatori non possono avere tutti gli stessi gusti. C’è chi viaggia per vedere, chi per godere e chi per entrambi. Ma basta aver preso almeno una volta un pullman per raggiungere un’oasi lontana, nelle sabbie, e sai che qui nel mediterraneo ti verrà sempre dato tutto, a condizione di volerlo e di protendere lo sguardo e le mani».

Pubblicato il: 21.11.07
Modificato il: 21.11.07 alle ore 9.16   
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Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - La "Cosa Rossa" nasce con gli Stati Generali
Inserito da: Admin - Novembre 22, 2007, 11:11:01 pm
La "Cosa Rossa" nasce con gli Stati Generali


La prima tappa costitutiva verso un partito unico della Sinistra sarà l'8 e 9 dicembre a Roma, con gli Stati Generali. Per quella data dovrà essere pronto il simbolo a cui sta lavorando un gruppo di "tecnici" che ha compiuto un altro passo verso la bozza definitiva. Si sono visti e l'attenzione - a quanto si è appreso - si sta ora concentrando sul bozzetto che reca la scritta «La Sinistra» (si sta ragionando se mantenere solo «Sinistra», ndr) su sfondo rosso per metà con l'altra occupata dall'arcobaleno del movimento pacifista. Diliberto, intervistato da La7, ha fatto capire di essere pronto a rinunciare alla falce e al martello: sembra proprio, dunque, che alla fine sarà questo il nuovo simbolo della Sinistra unita. «Attenti a non fare saltare il banco», avverte il leader del Pdci. Ma i Verdi tengono duro su un altro "dettaglio": il leader del Sole che ride, Alfonso Pecoraro Scanio, insiste e continua ad avanzare la richiesta che nel simbolo ci sia un richiamo all'ecologismo.


Gli Stati Generali sono un'idea cara a Franco Giordano, che immagina questo evento sul modello dei Forum Sociali con i loro temi e le loro idee di democrazia partecipativa. Dopo la svolta «azzardata ma molto pericolosa» di Berlusconi, la sinistra deve «accelerare» sulla nascita della Cosa Rossa, dice il segretario di Rifondazione comunista in un'intervista apparsa sul quotidiano del partito, "Liberazione".

«Il rischio della marginalizzazione è reale», è l'analisi che il segretario del Prc Giordano fa in vista degli Stati Generali della sinistra. «È urgente un soggetto nuovo alternativo al populismo di Berlusconi e al conservatorismo del Partito Democratico», dice. Per questo - continua - serve un nuovo soggetto politico «che sappia indicare una alternativa non solo strategica, ma sociale e persino emotiva... e ridare una casa al popolo della sinistra».

È stata costruita una rete di singoli e associazioni «per una sinistra partecipativa e democratica» che ha messo in piedi il sito web Uniti a Sinistra. Intanto, nei giorni scorsi si è tenuta la prima riunione, presso l'ufficio del leader di Sd Fabio Mussi al ministero dell'Università, con Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Alfonso Pecoraro Scanio e lo stesso Mussi. In sintesi, le decisioni prese sono state che i quattro leader hanno deciso di proporre ai gruppi parlamentari di federarsi e fare un lavoro comune, come è accaduto nelle dichiarazioni di voto finali in Senato sulla Finanziaria, dove per tutti ha parlato il portavoce del gruppo della sinistra Natale Ripamonti (Verdi). Ma se i Comunisti italiani sembrano intenzionati a rinunciare alla falce e martello e i Verdi probabilmente al richiamo di qualche icona ambientalista, le conclusioni spetteranno alla fine ai segretari.

Il percorso verso gli Stati Generali. Si parte - come detto - sabato 8 dicembre con la certificazione del patto federativo e con l'avvio di un'assemblea, condotta da quattro testimonial, due di partito e due esterni, sulle grandi questioni tematiche. Quindi domenica 9 dicembre la presentazione del nuovo simbolo e i discorsi dei leader. Per Bertinotti la questione decisiva sarà quella di «affrontare la questione della formazione della coscienza, cioè dell'organizzazione della politica, capace di porre il tema dell'egemonia di porre il tema dell'egemonia, cioè della determinazione di quei sensi comuni, di quelle culture entro i quali il conflitto possa ritrovare una capacità riformatrice, propositiva di organizzazione, di fuoruscita dall'assedio in cui, invece, siamo oggi».


Pubblicato il: 22.11.07
Modificato il: 22.11.07 alle ore 20.10   
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Titolo: Sul welfare il governo non cade ma la «Cosa rossa» inciampa pericolosamente.
Inserito da: Admin - Novembre 30, 2007, 06:12:44 pm
Sul welfare va in scena la «Cosa Rotta»

Simone Collini


Sul welfare il governo non cade ma la «Cosa rossa» inciampa pericolosamente.

Tanto che Fausto Bertinotti deve intervenire con un richiamo all’unità della sinistra, che il presidente della Camera definisce «una necessità esistenziale in questa fase».

Succede che il giorno dopo la fiducia, quando si tratta di votare il testo del disegno di legge, il Pdci si sfila: votano a favore soltanto Oliviero Diliberto e il capogruppo Pino Sgobio, mentre tutti gli altri deputati del gruppo lasciano l’aula. Ma se Palazzo Chigi non si preoccupa della mossa dei Comunisti italiani («singoli aspetti non prioritari»), Rifondazione comunista, Verdi e Sinistra democratica assistono con un misto di stupore e rabbia alla scena. Di lì a poco è fissato in agenda un incontro per preparare gli stati generali della Sinistra dell’8 e 9 dicembre, e attorno al tavolo si ritrovano Franco Giordano, Alfonso Pecoraro Scanio e Fabio Mussi. Diliberto arriva con un po’ di ritardo e gli sguardi che lo accolgono nella stanza di Montecitorio vanno dal gelido al furibondo.

La porta che si chiude alle spalle viene riaperta una manciata di minuti dopo. Cos’è successo? «È stata una discussione breve», dice Diliberto andandosene. Il fatto è che quei pochi minuti sono bastati per far salire la tensione alle stelle. «Questo è un modo scorretto di comportarsi», attacca Giordano, «la vostra è stata una decisione puramente strumentale», dice Mussi, «una mossa incomprensibile che ora ci devi chiarire», incalza Pecoraro Scanio. Diliberto si alza e se ne va. Poco dopo viene diffusa una nota congiunta siglata dai tre sul non voto del Pdci: «È una scelta sleale verso il processo unitario in corso e la collaborazione in atto tra i gruppi parlamentari della sinistra. È stata una iniziativa propagandistica, assunta sapendo che comunque non avrebbe avuto effetti sulla coalizione e sul governo».

Nelle ore che seguono le voci si rincorrono, si ipotizza anche che saltino gli stati generali di dicembre, poi che si faranno senza il Pdci. L’unico segnale di distensione arriva per bocca di Bertinotti, per il quale «l’unità è per tutte le forze di sinistra una necessità esistenziale di questa fase storica, per cui non può subire alcuna alterazione dalle contingenze o da qualsiasi elemento di turbativa piccola o grande che sia». È necessario un incontro in serata per far tornare la situazione come era prima del voto della mattina, ma solo per quanto riguarda l’appuntamento dell’8 e 9: si farà e parteciperanno tutte e quattro le forze.

Per quanto riguarda i sospetti e le reciproche accuse, invece, il colpo di spugna non riesce. La risposta di Diliberto arriva tramite una nota della segreteria in cui si dice che l’obiettivo era «mandare un segnale politico di grave disagio al governo» e che il Pdci «non polemizza con la sinistra». Ma nel partito il malumore per il Prc è forte: «Per caso loro ci hanno consultato prima di chiedere la verifica?», è uno dei tanti sfoghi. E l’umore dentro Rifondazione non è migliore. Giordano è furibondo. Il leader del Prc si trova a gestire un partito in sofferenza, in cui a chiedere di uscire dal governo non sono più soltanto le minoranze ma anche consistenti fette della maggioranza, come dimostra la proposta di votare no alla fiducia presentata da Ramon Mantovani, che ha incassato il parere favorevole di quasi un terzo dei deputati. E una spinta a distinguersi come quella di Diliberto sembra fatta apposta per creare una più profonda spaccatura nel Prc. Che arriva proprio nel momento in cui Salvatore Cannavò si prepara a lasciare il partito e lancia la proposta di una costituente a sinistra della “Cosa rossa”.

Pubblicato il: 30.11.07
Modificato il: 30.11.07 alle ore 9.47   
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Titolo: Federica Fantozzi - Diliberto: «Falce e martello. E non si chiami Cosa rossa»
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2007, 10:58:03 pm
Diliberto: «Falce e martello. E non si chiami Cosa rossa»

Federica Fantozzi


Mossa «sleale», iniziativa «propagandistica». A sinistra sono ancora tutti furibondi per lo strappo del Pdci sul welfare, onorevole Diliberto?



«Io francamente non ho compreso la fibrillazione. Noi abbiamo mandato un messaggio al governo, non certo ai nostri alleati. Del resto avevamo annunciato che sui provvedimenti avremmo valutato singolarmente».



A giudicare dalle reazioni, Rc, Sd e Verdi non sembravano aspettarselo.



«Con le ripicche non si va da nessuna parte. Io avrei potuto protestare per l’abbandono della Commissione Lavoro, che ho trovato sui giornali e non era stato concordato. Ma Rifondazione è un partito e decide da sola. Non siamo ancora nella fase in cui c’è un vincolo di alleanza tra noi».



Messa così, sembra una ripicca per la mancata difesa del presidente Pagliarini che appartiene al suo partito...



«No, no. Ripeto: era un messaggio al governo che mi pare sia stato recepito».



Quindi incidente chiuso?



«Ieri sera (giovedì, ndr) alla riunione dei segretari c’era un clima assai disteso».



Non ci saranno conseguenze sul cammino della Cosa Rossa?



«La Cosa Rossa è un brutto nome: mi richiama infauste memorie. Porta jella: la Cosa Uno, Due, Tre... Mai una che sia andata bene. Cambiamo nome subito».



Come la chiamiamo?



«L’unità della sinistra».



A che punto siete sul simbolo?



«Avremo un simbolo comune alle principali elezioni amministrative per avviare una sperimentazione. È un fatto politico molto importante».



E come sarà il nuovo simbolo?



«È ancora in corso la discussione. Io continuo a sostenere che debba trattarsi di un simbolo nuovo e visibile che però contenga anche i riferimenti ai simboli dei partiti che fanno parte della “confederazione”. Per due motivi: identitario ed elettorale».



È un po’ il dilemma veltroniano tra ulivismo e discontinuità.



«Un simbolo per affermarsi ci mette molto tempo. Se lo immaginiamo totalmente nuovo e poi prende pochi voti, finisce che l’intero progetto di unità della sinistra va a farsi benedire».



Insomma, terrebbe la falce e il martello?



«Sì, è la mia opinione. Ma anche il Sole che Ride. I simboli di tutti i 4 partiti«.



Non c’è il rischio caleidoscopio?



«Ci sono mille soluzioni grafiche adatte».



Conferma che sul welfare al Senato non ci saranno incidenti?



«Lì si vota solo la fiducia. Noi siamo persone serie».



Qual è il messaggio che ha voluto mandare al governo? Cosa si aspetta il Pdci dalla verifica?



«Ci aspettiamo fatti. Supponiamo che la verifica si faccia, perché da qui a gennaio c’è un sacco di tempo, la verifica è una riunione. Bene: sul welfare gli emendamenti erano stati concordati in una riunione e poi il governo se ne è fottuto, i lettori perdonino l’espressione, e li ha cassati».



Fatti concreti, dunque. Quali?



«Cosa aspettano a dare un segnale sui precari? Il governo presenti un ddl su questo tema angosciante che comprende gli interinali, così disperati da aspirare a diventare precari. Persino Draghi ha scoperto che i salari sono troppo bassi».



Un ddl da presentare prima della verifica? Sotto Natale?



«Anche come regalo della Befana...».



Come valuta l’ipotesi di un rimpasto?



«Se si tratta di tagliare il numero dei ministri sono d’accordissimo. Poi ripeto: il governo vari un’agenda a favore dei ceti più deboli e la attui. Per ora, siamo rimasti scottati».



Come è andato l’incontro con Veltroni?



«È stata una bella discussione politica, come non mi riusciva da un po’ di tempo con esponenti del Pd. Un incontro che giudico molto positivo».

Pubblicato il: 01.12.07
Modificato il: 01.12.07 alle ore 9.04   
© l'Unità.


Titolo: Alfiero Grandi - Consigli e riflessioni per l’unità a sinistra
Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2007, 12:28:16 pm
(1 dicembre 2007)

Verso l'Assemblea dell' 8 e 9 Dicembre

Consigli e riflessioni per l’unità a sinistra

di Alfiero Grandi*


L’unità a sinistra si farà, ne sono convinto. La necessità di arrivare a uno sbocco in tal senso è una esigenza che tutti noi sentiamo e viviamo con forza.
Non posiamo, però, nasconderci che abbiamo di fronte anche alcuni problemi, che dobbiamo affrontare facendo tutto il possibile per risolverli positivamente, senza cedere alla tentazione di sottovalutarli. Il processo unitario è indispensabile ed è urgente, altrimenti la sinistra si candida al ricoprire un ruolo marginale, quello cioè dei sette nani, mentre, come sappiamo, nella favola, il protagonista principale era un altro.

Accanto a una esigenza che si potrebbe definire, senza esagerare, epocale, tuttavia, vanno indicate, con chiarezza, perfino crudamente, le difficoltà da affrontare per la creazione di un unico soggetto a sinistra.

Se tutto fosse ovvio e scontato ci saremmo già arrivati e, invece, assistiamo a continui episodi che non aiutano e che, in ogni caso, sarebbe un errore sottovalutare. Il primo problema, mi sembra sia l’ansia di caratterizzazione e di visibilità ad ogni costo e, in questa direzione, purtroppo, indicativamente può essere letto il voto finale sul Welfare.

Discutere a fondo è fondamentale, le diversità non sono certo un problema, al contrario, ma i comportamenti finali debbono essere univoci, altrimenti il rischio concreto è che qualcosa si possa rompere.

Anche non fare drammi è ragionevole, ma non deve e non può succedere a ogni appuntamento futuro, qualora si ripresentasse una diversificazione. Poiché la prima sfida che abbiamo davanti sarà come registrare scelte e passo della maggioranza e del Governo, sicuramente un passaggio cruciale, occorre, già a partire dall’Assemblea della Sinistra e degli Ecologisti dell’8 e il 9 dicembre a Roma, chiarire che federarsi vuol dire che, su alcune materie decisive come Welfare, Governo, ecc., è la federazione a decidere e non i singoli soggetti federandi.

Ci sono materie su cui ciascuno conserverà, in questa fase, piena libertà, ma quelle messe a “disposizione” dalla costituenda federazione, quali la politica economica e quella ambientale, debbono vedere decisioni prese in comune.

Così, occorre introdurre rilevanti elementi di novità politica. La sinistra futura, senza aggettivi come radicale, alternativa, ecc. che altro non fanno se non togliere, anziché aggiungere, deve porsi il problema di non limitarsi a descrivere o a criticare il modello di sviluppo, di società, ecc., ma deve indicare con chiarezza i passi in avanti, le modifiche, anche radicali, sia dal Governo che dall’opposizione che ritiene concretamente possibili. Del resto anche la sinistra, in futuro, dovrà stabilire alleanze per poter realizzare obiettivi che altrimenti da sola non realizzerebbe.
In sostanza, vorrei dire con grande chiarezza che la sinistra di cui c’è bisogno, non può essere solo la somma di ciò che esiste, ma dovrà essere una forza matura, colta e consapevole e che il rinnovamento deve iniziare, anzitutto dalle idee e dai parametri interpretativi della sinistra stessa, con l’ambizione di delineare una società diversa, molto diversa, più giusta e solidale, capace di fondere pace, ambiente e giustizia sociale.

In ultimo, ma non per questo meno importante, una forza di sinistra che è per la difesa della pace e dell’ambiente e che si caratterizza come “lavorista” deve, necessariamente, avere un rapporto positivo con il sindacato e rispettarne l’autonomia e non avere rapporti privilegiati. Il sindacato, a sua volta, dovrà tenere conto della sinistra come un interlocutore credibile,evitando di entrare nell’orbita del Partito democratico con il rischio di diventarne subalterno. Quindi, una sfida formidabile, a fronte della quale le piccole convenienze del momento sono veramente poca cosa.

*Sottosegretario all'Economia, componente il Direttivo di Sd


da sinistra-democratica.it


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - Riforme, la sinistra: nessun accordo senza di noi
Inserito da: Admin - Dicembre 02, 2007, 06:57:24 pm
Riforme, la sinistra: nessun accordo senza di noi


Il giorno dopo la Yaltina, come il quotidiano del Prc, Liberazione, ha chiamato il vertice tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, la sinistra alza il tiro. E avverte il leader del Pd: nessuna riforma senza di noi.

Il primo a fare la voce grossa è stato venerdì il segretario di Rifondazione Franco Giordano che aveva messo in guardia da una legge elettorale che «non può essere appannaggio privatistico di forze politiche». E dopo il faccia a faccia aveva aggiunto: «Non so che cosa abbiano deciso concretamente – dice riferendosi all’incontro tra i leder del Pd e del Ppl – ma questo giro di consultazioni non può prevedere un'ipotesi di legge elettorale compiuta».

Sabato gli fa eco il leader di Sinistra democratica Fabio Mussi: «Si può discutere di tutto – ha detto – ma non di una legge esagerata nel senso che non deve essere cucita come un abito sartoriale addosso al Partito democratico e al Partito di Berlusconi». Nessun accordo, taglia corto, che sia «come le forche caudine». E soprattutto, aggiunge, nessuna fretta: «Mi pare – ha detto – si stia dando la data di scadenza al Governo per iniziativa del Partito democratico e del neo-partito di Berlusconi: grazie alla fretta che hanno i due maggiori partiti in campo – conclude – nel 2009 è probabile che si vada a votare».

Chiede un confronto con la coalizione anche il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio: «È urgente un vertice dell'Unione – ha ammonito – bisogna discutere di una legge elettorale che permetta ai cittadini di conoscere l'alleanza e di scegliere deputati e senatori».

L’accordo tra Veltroni e Berlusconi non va giù nemmeno al Pdci. Il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto invita Veltroni a «non cadere nella trappola» di Silvio Berlusconi: «Veltroni – spiega Diliberto – si deve rendere conto che sta parlando con un soggetto che nel corso degli anni ha cambiato idea innumerevoli volte».

Dal canto suo, Veltroni rassicura gli alleati, e non solo. «Lo spirito con cui lavoriamo – ha dichiarato dopo l’incontro con Berlusconi – è di rispetto con tutti gli interlocutori politici, indipendentemente dalla loro grandezza». Ma, avverte, «alla fine il consenso non sarà al 100%».

Pubblicato il: 01.12.07
Modificato il: 01.12.07 alle ore 21.28   
© l'Unità.


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - Stati Generali a Milano: una Sinistra nuova è possibile
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2007, 10:18:08 pm
Una due giorni partecipata, ricca di contenuti e di speranze

Stati Generali a Milano: una Sinistra nuova è possibile

di Chiara Cremonesi*


"Gli Stati generali della Sinistra metropolitana milanese hanno conseguito un risultato straordinario che non era scontato. Usciamo da questi due giorni con più idee, contenuti, con un retroterra culturale e politico che sostanziano il nostro agire. Usciamo con più determinazione politica. Grazie allo sforzo congiunto delle forze politiche della Sinistra, delle associazioni e dei movimenti, delle singole e dei singoli, i promotori degli Stati generali si sentono incoraggiati a proseguire in questo lavoro".
Con queste parole si sono chiusi gli Stati generali della Sinistra metropolitana milanese, promossi da SDpSE, Verdi, PRC, PdCi e da diverse associazioni. Due giorni di lavori che si sono aperti con una grande assemblea plenaria in una sala gremita (600 posti a sedere e numerose persone assiepate in piedi), dove alle relazioni tematiche si sono alternati gli interventi dei leader politici nazionali: Fabio Mussi, Franco Giordano, Orazio Licandro e Natale Ripamonti. Lo sforzo unitario, la ricerca di una sintesi alta si sono dimostrati fin dalla preparazione dell'iniziativa:
tutti gli interventi dell'assemblea plenaria erano infatti concordati e non "lottizzati" tra i promotori. L'assemblea si è aperta con un ordine del giorno, letto da un giovane compagno di SDpSE, contro la violenza degli uomini sulle donne. Abbiamo poi aperto i lavori con un documento congiunto dei promotori nel quale si afferma che in Italia, e ancora di più a Milano, c'è bisogno di una sinistra nuova e unita che sappia aggiornare la sua "cassetta degli attrezzi" perché sono insufficienti le sue forze e le sue idee della tradizione novecentesca che oggi rischiano di farla soccombere alla marginalità nella scena politica e a un perpetuo minoritarismo, senza riuscire a dare risposte all'altezza della situazione.
Insomma, se una Sinistra grande e forte serve all'Italia, è ancora più necessaria a Milano.
In plenaria si sono poi svolte le relazioni tematiche: Antonio Pizzinato sull'Antifascismo; l'avvocata Maria Grazia Campari sul Conflitto tra i generi; Susanna Camuso (Segretaria regionale CGIL) su Diritti di cittadinanza e laicità; Damiano Di Simine (Presidente regionale di
Legambiente) su Ambiente e territorio; i sociologi Roberto Biorcio e Tommaso Vitale rispettivamente su Metropoli, culture e convivenza e Lavoro e welfare.
Dopo la plenaria tutti i partecipanti si sono divisi in gruppi tematici che hanno lavorato con il compito di riportare un indice delle questioni che meritano l'elaborazione e l'azione di una nuova Sinistra.
È stato molto interessante veder discutere insieme parlamentari, amministratori, esponenti del mondo associativo e "normali" cittadini: si sono svolte discussioni intense, come non se ne vedevano da tempo, soprattutto per chi era abituato agli sbadigli e alla disattenzione dei congressi di partito.
Ed è forse questo il dato politico più importante: la voglia di discutere e l'averlo fatto iniziando a intercettare e a coinvolgere la cosiddetta "sinistra diffusa".
Anche verso di loro abbiamo la grande responsabilità di proseguire un lavoro che garantisca l'unità e l'apertura e la sollecitazione di organismi, singole e singoli.
È questo il contributo milanese all'Assemblea generale dell'8 e del 9 a Roma.

*Coordinatrice milanese Sinistra Democratica. Per il Socialismo Europeo

da sinistra-democratica.it


Titolo: Vendola: ''Io leader 'Cosa Rossa'? Già impegnato nel governo della Puglia''
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 12:11:31 pm
''E' un'esperienza complessa, molto dura e anche molto affascinante, intendo portarla a termine''

Vendola: ''Io leader 'Cosa Rossa'? Già impegnato nel governo della Puglia''

Il governatore in visita al Palazzo dell'Informazione dell'Adnkronos: ''Ho un impegno con il mio popolo e la mia gente''.

Poi sulla fiducia posta da Prodi sul Welfare: ''Credo che ci sia stata una certa arroganza da parte del presidente del Consiglio'' (video)


Roma, 3 dic. (Adnkronos/Ign) - "Sono impegnato in un'esperienza complessa, molto dura e anche molto affascinante che è quella di governare un territorio di oltre 4 milioni di abitanti". Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, in visita al Palazzo dell'Informazione dell'Adnkronos, riafferma così l'impegno nel governo regionale facendo sfumare l'ipotesi di una sua possibile leadership alla Cosa Rossa. "Ho un impegno con il mio popolo, la mia gente, la mia regione - sottolinea - intendo portare a termine questa esperienza".

Secondo Vendola la costruzione di un soggetto unico della sinistra non deve partire con un dibattito sulla leadership bensì sul programma. "Spero che questo cantiere parta con il piede giusto - dice - e non è quello dell'indicazione di un leader bensì di una piattaforma, di una carta dei valori, di un orizzonte programmatico per una sinistra del futuro".

Poi una stoccata a Prodi sul Welfare. "Credo che ci sia stata una certa arroganza da parte del presidente del Consiglio nel porre una fiducia che non aveva ragione di essere" commenta il governatore secondo il quale non si è andato all'approfondimento dei problemi che "riguardano milioni di persone".

"Approfondire la tematica dei lavori usuranti non è sventolare una bandierina ideologica - spiega il presidente della Regione Puglia - ma farsi carico di cosa è diventato per tante persone il lavoro".

Un intervento a tutto campo, quello di Vendola, che parla anche di nucleare e immigrazione. "Noi non intendiamo ospitare alcun sito per il deposito delle scorie nucleari" mette in chiaro, commentando il lavoro avviato con il tavolo tecnico tra Regioni e ministero dello Sviluppo economico per arrivare all'individuazione di un sito per il deposito nazionale delle scorie nucleari.

"Anzi - prosegue - il tema del sito delle scorie nucleari è un elemento di contraddizione nei confronti di questa curiosa nostalgia per le centrali atomiche che è tornata nella discussione pubblica. Pensiamo, poco 'berlusconianamente' che il futuro non sia nel nucleare ma sia nell'energia del vento, del sole, dell'idrogeno, delle fonti rinnovabili".

Quanto all'immigrazione, il governatore dice no al 'far west': "Credo che se militarizzeremo le nostre città, se andremo incontro a un'idea di 'Far West' del governo dei problemi della sicurezza, l'insicurezza crescerà".

"Lo abbiamo già visto in tanti altri Paesi del mondo - rimarca - più sicurezza significa più diritti, significa ricostruire per i giovani l'idea del futuro perché l'insicurezza nasce da lì". E conclude osservando che "bisogna cercare le cause e non capri espiatori contro cui di volta in volta accanirsi in riti di esorcismo: l'insicurezza si combatte rideterminando le condizioni di sicurezza con quartieri dal volto più umano, agibili, con servizi sociali, trasporti, illuminazione e lavoro. Significa ricostruire il filo rosso delle relazioni nelle comunità e tra le persone".



Titolo: Bertinotti: per Prodi l'ultimo appello sarà sui salari
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 12:12:47 pm
POLITICA

Colloquio a Montecitorio con il presidente della Camera

Bertinotti: per Prodi l'ultimo appello sarà sui salari

"Il progetto del governo è fallito noi siamo già oltre l'Unione"

"Palazzo Chigi ha finito con l'aumentare la distanza dal popolo della sinistra"

"Il Cavaliere è un animale politico, è attendibile la sua disponibilità a fare le riforme"

di MASSIMO GIANNINI

 

"Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l'Unione non si è realizzata...". Alle cinque del pomeriggio, nel suo ufficio a Montecitorio, Fausto Bertinotti sorseggia un caffè d'orzo, e traccia un bilancio amaro di questo primo anno e mezzo di governo. È presidente della Camera, ci tiene a mantenere il suo profilo istituzionale, non vuole entrare in campo da giocatore. Ma le sue parole, quelle del vero leader della sinistra radicale, alla vigilia del meeting della Cosa Rossa di sabato prossimo, lasciano un solco profondo nel cammino della legislatura e nel destino delle riforme.

Bertinotti non fa previsioni, sulla durata del governo. "Non posso, non voglio", dice. Ma fa un ragionamento politico per molti versi "definitivo", sullo stato della maggioranza. "Voglio premetterlo: non ci deve essere nervosismo, da parte di Prodi. Usciamo da questa prigione mentale: io non so quanto andrà avanti, può anche darsi che duri fino alla fine della legislatura, e non ho nulla in contrario che questo accada. Ma per favore, prendiamo atto di una realtà: in questi ultimi due mesi tutto è cambiato". È nato il Pd, e la Cosa Rossa viaggia verso lidi inesplorati. Nel frattempo, Prodi ha accontentato i "moderati", sia sulla Finanziaria, sia sul Welfare.

Per il capo di Rifondazione ce n'è abbastanza per dire che "una stagione si è chiusa". Ora niente sarà più come prima: "Un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi, e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone: ecco, questo progetto non si è realizzato. Già questo ha creato un forte disagio a sinistra. Poi si sono verificati fatti che lo hanno acuito. Ne potrei citare centomila...". Risultato: "Abbiamo un governo che sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra".

Questa, per Fausto il Rosso, è "la condizione reale". E forse irreversibile. Bertinotti cita Lenin, e la differenza tra strategia e tattica. "Il grande tema, per la sinistra radicale, è uno solo: l'autonomia. Torna una grande questione, che nacque nel '56, con i fatti di Ungheria, con la rottura nel Pci, con lo scontro Nenni-Togliatti. Lì nasce una grande cultura politica, una storia enorme, Riccardo Lombardi. È l'autonomia di un progetto, che da allora la sinistra ha cancellato, rimosso. Oggi, per la sinistra radicale, il tema si ripropone. Devi vivere nello spazio grande e nel tempo lungo, per creare una grande forza europea per il 21° secolo. Se questa è l'ambizione, allora tutto va ripensato. Essere o meno alleati del Pd, stare o meno dentro questo governo: tutto va riposizionato in chiave strategica".

Questo riposizionamento strategico, secondo Bertinotti, è appena iniziato. "Alla fine del percorso - chiarisce il leader - io voglio riconoscere al Pd il diritto a trovarsi gli alleati che vuole, ma voglio garantire a noi il diritto di tornare all'opposizione". Dunque la stagione dell'Unione è al capolinea? "Intellettualmente io sono già proiettato oltre. Ma politicamente ancora no". E qui torna Lenin. Fissata la strategia del tempo lungo, c'è da occuparsi di tattica "hic et nunc", come dice il presidente della Camera. La tattica impone di combattere, ancora, dentro il quadro delle alleanze consolidate, e dentro il perimetro del governo in carica. Ma ad alcune condizioni irrinunciabili: "So bene, e ho persino orrore a pronunciare il termine: "verifica". Ma è chiaro che a gennaio serve un confronto vero, che prende atto del fallimento del progetto iniziale ma che, magari in uno spettro meno largo di obiettivi, rifissa l'agenda su alcune emergenze oggettive. E viene incontro alle domande della società italiana, con scelte che devono avere una chiara leggibilità "di sinistra". So altrettanto bene che queste scelte devono essere assunte dall'intera coalizione. Ma stavolta, davvero hic Rhodus hic salta. Sul Welfare, come si è visto, la sinistra radicale non ha aperto nessuna crisi. Ciò non toglie che il governo ha ormai molto meno credito a sinistra di quanto non lo avesse qualche mese fa...".

Bertinotti rinuncia a fare l'elenco delle "centomila cose" su cui il centrosinistra ha rinunciato a imporre la sua visione ("dalla laicità dello Stato alla politica estera"). "Ma se si vuole tentare una nuova fase della vita del governo, vedo due terreni irrinunciabili: i salari e la precarietà". È soprattutto sui primi, che il "padre nobile" del Prc fonda il suo ultimo avviso a Prodi: "Dai sindacalisti a Draghi, tutti dicono che la questione salariale è intollerabile. Ebbene, io mi chiedo: questa denuncia induce il governo a prendere qualche iniziativa, oppure no? Il 65% dei lavoratori italiani è senza contratto: posso sapere se questo per il governo è un problema, oppure no? In Francia Sarkozy ha aperto un confronto molto aspro, lanciando l'abolizione delle 35 ore e dicendo che se lavori di più guadagni di più: posso sapere se in Italia, dai metalmeccanici ai giornalisti, il governo ritiene ancora difendibili i contratti nazionali di categoria, oppure no? Non c'è più la scala mobile, ma intanto i prezzi stanno aumentando in modo esponenziale: tu, governo, non solo non vuoi indicizzazioni, ma con la fissazione dell'inflazione programmata hai contribuito pesantemente a tenere bassi i salari. Dunque c'entri, eccome se c'entri. E allora, in attesa di sapere cosa farai sui prezzi, posso sapere cosa pensi del problema dei salari? E attenzione: qui non basta più ripetere banalmente che "bisogna rinnovare i contratti". Io voglio sapere se il governo ritiene giuste o meno le rivendicazioni. Voglio sapere se ritiene opportuno restituire il fiscal drag, o se invece si vuole assumere la responsabilità di continuare a non farlo. Insomma, io voglio una bussola. Voglio decisioni che rimettano il centrosinistra in sintonia con la parte più sofferente del Paese. Che altro devo dire? Ridateci Donat Cattin...".

Dunque, appuntamento a gennaio. Se Prodi non raccoglie, questo invito potrebbe essere davvero l'ultimo. Questione di tattica, che per la Cosa Rossa, prima o poi, dovrà necessariamente coincidere con la strategia. Ma allo stesso modo, per Bertinotti, la tattica offre un'altra formidabile opportunità, stavolta a tutto il sistema politico: il dialogo sulle riforme. Stavolta l'accordo è "una possibilità reale". Nei due poli "si è affermata una larga condivisione su due punti essenziali. Primo: l'attuale sistema istituzionale ed elettorale è un fattore di riproduzione della crisi politica. Dalla Finanziaria al Welfare, tutto dimostra che il bicameralismo perfetto non funziona più. Secondo: la lunga transizione dalla Prima Repubblica è fallita. La barca si è messa in moto nel '93, ma non ha raggiunto l'altra riva, è in mezzo al fiume e va alla deriva con un duplice difetto: le maggioranze coatte (buone per vincere ma non per governare) e il trasformismo endemico. Insomma, questo sistema bipolare è fallito, e tutte le forze politiche hanno capito che se non va in porto una riforma, la crisi istituzionale diventa inevitabile, e travolge tutto. Si apre un panorama da Quarta Repubblica francese".

Di qui la convergenza possibile su un nuovo sistema elettorale. "Il sistema proporzionale, con clausola di sbarramento e senza premio di maggioranza, è una soluzione ragionevole", sostiene Bertinotti. "Soprattutto, è coerente con l'evoluzione del quadro politico: il Pd, il Partito del popolo del Cavaliere, la Cosa Rossa, lo spazio al centro. Siamo in una fase costituente di nuove soggettività politiche. La legge elettorale che scegli non è più levatrice del cambiamento, ma è una sua conseguenza. Con il proporzionale torni alla ricostituzione di alcuni fondamenti di democrazia attiva, che sentiamo ormai vacillare. Torni alla radice della Costituzione di 40 anni fa, torni a individuare nei partiti il cardine del sistema. Sei dentro la nervatura della democrazia, che non può non fondarsi sulla rappresentanza".

A Rifondazione il ritorno al proporzionale è sempre piaciuto. Normale che il suo leader lo benedica. Meno normale, in questo clima di sospetti, è che benedica anche l'apertura del tavolo con Berlusconi: "Senta, qui bisognerà prima o poi che un certo centrosinistra decida se il Cavaliere è un protagonista della politica italiana, oppure no. Io, che al contrario di Blair considero quanto mai attuale il cleavage destra/sinistra, penso che lo sia. Penso che sia un animale politico, che muove da processi reali di una parte della società, che incorpora l'antipolitica ma dentro una soggettività politica, chiaramente di destra. E penso che Berlusconi abbia preso atto della crisi del sistema e della crisi del centrodestra. Dunque, se rileggo le sue mosse, considero attendibile che anche lui, stavolta, cerchi un accordo per rinnovare il quadro politico-istituzionale".

Via libera alle riforme, via libera alla trattativa con il Cavaliere. Anche in questo caso, Prodi non deve innervosirsi. Finalmente è passata l'idea che il dibattito sulla legge elettorale non pregiudica l'esistenza del governo. "Non ci sono due maggioranza diverse, una per il governo, una per la riforma, che si escludono l'una con l'altra". Ma certo, se vuole durare, il Professore deve imprimere una svolta fin dai primi giorni del 2008. In caso contrario, sarà davvero la fine. L'ultima battuta di Fausto dice tutto: "Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...". Visse ancora alcuni anni. Ma gli ultimi furono terribili.

(4 dicembre 2007)

da repubblica.it


Titolo: Franca Sibilio - Migrazione e cittadinanza
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 12:14:23 pm
Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre 2007 (4 dicembre 2007)

Migrazione e cittadinanza

di Franca Sibilio*


E’ possibile anche invertire l’ordine, e parlare di cittadinanza  e migrazione . I due termini sono posti tra di loro in contrapposizione dialettica, per cui la cittadinanza rappresenta, per cosi’ dire, la tesi , mentre  il fenomeno della migrazione rappresenta l’antitesi.
Della tesi la parola cittadinanza conserva tutta l’astrattezza e la genericità, anche se, come acutamente osserva Costa, attualmente l’estensione del suo campo semantico consente un’utilizzazione molto più pregnante e significativa.

La cittadinanza implica l’appartenenza ad una comunità e l’appartenenza a sua volta determina il possesso di diritti e di doveri, la possibilità di identificazione in uno scenario fatto di norme, di regole, di procedure finalizzate al bene comune.
Il concetto di cittadinanza può essere vissuto in senso più ristretto, può rimanere ancorato a questa o a quella  “città “ e dar luogo quindi al cosiddetto patriottismo cittadino, che sfocia a volte anche in deleterie forme di campanilismo, e che dà luogo a stereotipi e pregiudizi, oppure può essere vissuto in senso planetario e generare, quindi, una consapevolezza del valore universale dei diritti.

Questa visione più ampia  è quella che ha consentito storicamente il passaggio dal concetto di suddito a quello di cittadino, espressione usata orgogliosamente dai rivoluzionari francesi  e che ha aperto la strada a quella cultura della mondialità che consente a noi oggi di dichiararci cittadini del mondo, pur senza perdere la nostra identità.

La migrazione è l’antitesi della cittadinanza, poiché la legittimità della migrazione si basa essenzialmente su di un diritto spesso ignorato: il diritto di fuga. Tra i diritti del cittadino c’è anche questo, il diritto di fuggire da un contesto per chiedere  asilo in un altro contesto.
Molti,moltissimi sono gli studi compiuti sul fenomeno migratorio e sulle sue cause politiche, economiche, sociali. Ma ciò che accomuna la ricerca sull’argomento,pur nella varietà della sfumature prese in considerazione, è lo scenario della società contemporanea che ne deriva. La nostra società è caratterizzata da grandi movimenti di popolazioni. Non si tratta di fenomeni omogenei o riconducibili a cause certe, si tratta piuttosto di storie spezzate, disseminate in regioni geografiche diverse, ma che hanno in comune la stessa capacità di scardinare la temporalità omogenea dell’ipotetica identità nazionale.

Le ricerche sul fenomeno se condotte soprattutto nell’ottica della quantità non riescono a cogliere quelli che sono stati definiti i tratti  “diasporici “ della storia dell’uomo errante contemporaneo. E’ possibile, operando l’hegeliano Aufhebung dell’antitesi, superare la contrapposizione cittadinanza/migrazione, costruendo una sintesi che chiameremo ,ad esempio , “Stato”?
Il processo è irto di difficoltà, poiché oggi si assiste ad una crisi dello stato sociale che rappresenta la cifra della crisi generale dei meccanismi integrativi. Romano Prodi ha affermato che ogni immigrazione di successo deve sfociare nella cittadinanza, ma la normativa fin qui strutturata, sia a livello nazionale che europeo, non è sufficiente a garantire il pieno inserimento del migrante. La posizione lavorativa, ad esempio, non sempre funziona come via di accesso alla cittadinanza, che non deve essere considerata un dono, una concessione da parte di “cittadini più cittadini” a frange di popolazione considerata altra da sé. Non può esistere una cittadinanza “ottriata”, poichè anche la cittadinanza, come la libertà, va conquistata.
Per giungere a questo concetto di Stato come territorio di tutti i cittadini ugualmente liberi e consapevoli bisogna superare la visione del mondo etnocentrica. Questo superamento si ottiene decostruendo la cultura dominante a quattro livelli: linguistico, psicologico, strumentale, strutturale. La decostruzione dell’etnocentrismo consentirà l’approccio e l’apertura  al planetarismo.

*Osservatorio Euromediterraneo e del Mar Nero

da sinistra-democratica.it


Titolo: F. Guadagno Pianificazione unico metodo d'intervento nelle politiche ambientali
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 12:16:49 pm
Verso l'Assemblea dell'8 e del 9 dicembre 2007 (4 dicembre 2007)

Pianificazione unico metodo di intervento nelle politiche ambientali

di Francesco Guadagno*


L’attuale stato dell’ambiente in Italia è figlio di decenni di politiche miopi, prone ad interessi particolari di amministratori locali e di politici nazionali, nonché di imprenditori ed industriali troppo spesso senza scrupoli. Di una visione complessiva come di tanti comportamenti individuali che si sono costantemente posti in contrasto col bene comune. Risultato evidente ne è l’interminabile lista di tutte le emergenze che ininterrottamente affliggono così tante aree e così tanti ambiti nel nostro paese.

Non sorprende più di tanto che dette emergenze riguardino ambiti di rischio diversissimi, da quelli strettamente geologici a quelli di derivazione più specificamente antropica, sol che si pensi alla maniera in cui si è esplicato il rapporto tra la comunità umana ed il territorio nel nostro paese negli scorsi decenni. L’attività edilizia è in tal senso paradigmatica. Se fino agli anni ’70 essa è stata in tanta parte affidata alla speculazione privata, cercando di giustificare la necessità del processo con la ricostruzione o con il boom demografico, a partire dagli anni ’80, con l’introduzione del condono, si è sostanzialmente incentivata la soluzione dell’abuso, a tutto discapito della sicurezza di comunità divenute sempre più vulnerabili alla molteplicità di rischi geologici che minacciano quasi ogni area dell’Italia. L’idea che anima lo strumento del condono, l’istituzione di un trade-off tra fiscalità e qualità dell’ambiente, è chiaro indice del modo in cui la tutela del capitale naturale sia stata considerata nella scena politica.
Senza arrivare agli eccessi che hanno caratterizzato alcune delle grandi città italiane, come la Napoli del periodo laurino, è in generale mancato un intervento pubblico strutturato e continuato, impegno che altrove in Europa ha prodotto gran parte dell’abitazione, soprattutto per le classi di censo meno elevato. In Italia si è invece assistito ad una produzione sovrabbondante di cubature, che continua ancor oggi, pur in un paese che ha ormai completato la propria transizione demografica, e che non riesce comunque a garantire la fruizione generalizzata del diritto alla casa. Ci si è concentrati soprattutto sull’aspetto quantitativo della crescita, che è stato in passato una bandiera delle sinistre, laddove invece è oggi questione centrale l’accesso universale ad una abitazione di qualità, che implica qualità dell’ambiente costruito e dei servizi che lo corredano.

Gli ultimi due decenni, soprattutto, in un mercato ulteriormente privato di controlli dalla privatizzazione dell’urbanistica, dal succedersi dei condoni, dalla pianificazione “per emergenze”, hanno visto il moltiplicarsi degli abusi, grazie a politiche di laissez faire, certo inquadrabili in un andamento globale, sul quale però le sinistre italiane troppo spesso si sono appiattite acriticamente, permettendo la letterale devastazione del paesaggio nel nostro paese

Da questo punto di vista esistono notevoli parallelismi con il terzo mondo, anch’esso caratterizzato da fenomeni di informalità estesa, da quegli enormi slum che accolgono ad oggi almeno un miliardo di persone, da mosaici urbani incontrollati che vedono aree residenziali sorgere a fianco ad impianti industriali estremamente inquinanti, dalla totale assenza di servizi alla popolazione, dalla carenza di riconoscimenti politici, dalla moltiplicazione esponenziale di ogni tipo di rischio. Si tratta di conseguenze che si sono dimostrate automatiche in ogni luogo in cui gli Stati si sono ritirati o hanno diminuito la loro presenza nella gestione dei servizi pubblici. Il mercato formale non è mai stato in grado di soddisfare i bisogni che non rendono (vedi gli esempi dell’acqua privatizzata).

A tali incontrollati modelli di sviluppo può riferirsi quanto è accaduto e continua ad accadere in Campania. Ripetitive crisi connesse, da una parte, ad eventi a carattere naturale quali quelli idrogeologici,  sismici, vulcanici e le cosiddette crisi idriche, dall’altro, a fenomenologie di utilizzo antropico del territorio (rifiuti, inquinamenti), costituiscono manifestazione evidente di una ottusa gestione delle comunità umane, priva di qualsivoglia visione d’insieme a lungo termine.La Campania, caso nazionale possibilmente tipico, si atteggia a traguardo negativo pericolosamente vicino per molte regioni del meridione come del centro-nord. L’esasperazione delle problematiche cui qui si assiste è solo in parte da porre in relazione a semplici considerazioni demografiche, dal momento che vi dimora circa il 10% della popolazione nazionale, con picchi di concentrazione residenziale e produttiva nelle zone costiere, ove si raggiungono densità tra le più alte in Europa.E’ quindi un contesto di riferimento la Campania, memento mori di un’intera nazione se le sue politiche ambientali continueranno in direzioni scellerate e prive di un’unitaria visione olistica, di una pianificazione del territorio, nello specifico, che tenga in considerazione ogni aspetto dell’inscindibile relazione tra uomo e natura.  La programmazione e la pianificazione in nessun caso possono prescindere da una concreta analisi dei bisogni effettivi. Coinvolgere le comunità è essenziale per la loro emersione, la sussidiarietà è uno svolgimento essenziale, che deve essere però sostenuto ed appoggiato.

Pianificare è essenziale per sottrarre al saccheggio diffuso l’ambiente. Esso è un bene veramente pubblico e l’unico ad a avere un peso economico e di benessere sulla vita di ciascuno, è solo attraverso la sua tutela che è ammissibile una effettiva produzione di cultura e socialità ed un reale aumento del tenore di vita. Non è più ammissibile oggi una crescita economica basata sulla sua predazione, com’è stato nel sud Italia per tutti i decenni in cui l’edilizia è stata una delle poche  attività economiche trainanti. Deteriorare l’ambiente significa concentrare le risorse economiche nelle mani dei pochi diretti interessati a fronte di una perdita di ricchezza diffusa. La sua tutela deve quindi diventare una priorità assoluta per le forze progressiste. Anche perché il capitalismo neoliberista, a livello globale, spinge in senso esattamente contrario, propugnando la contrazione dei pubblici poteri, anche in materia di tutela del territorio, e spesso utilizzando gli stati di emergenza per trasformare de facto le società in senso antidemocratico. Una dimostrazione potrebbe forse esserne l’emergenza rifiuti in Campania. Procedure non partecipate, decisioni che fatalmente generano conflitti, mancanza di pianificazione a lungo termine, deterioramento del benessere collettivo, sono anche frutto del perenne stato di emergenza. Perdere la visione politica d’insieme per conferire le decisioni ai “tecnici”, che sono comunque portatori di idee che incidono in profondità sulla società, e sono quindi estremamente politiche, è uno degli strumenti tradizionalmente preferiti dal liberismo per spogliare un potere democratico della sua sostanza.

Tali politiche, che producono diseguaglianze, conflitti e disastri, e che di tali sciagure si nutrono, sono tra gli esempi più lampanti della contraddizione tra la crescita vista dagli indicatori finanziari e l’effettivo aumento del benessere di ciascuno, sono tra le cause della polarizzazione della ricchezza, della creazione di alcuni di quegli squilibri sociali, e contribuiscono ad alimentare l’assalto al nostro territorio. E’ stato spesso dimostrato che le politiche più efficaci per lo sviluppo durevole sono quelle che lasciano ampi margini alla partecipazione, che producono forse meno ricchezza nell’immediato, che incidono meno sugli indicatori della crescita, ma garantiscono l’incremento della fiducia, rinforzano le comunità, le rendono resilienti e vaccinate agli sconvolgimenti (alcune comunità post tsunami, alcune zone del centro di Salvador de Bahia), e sono più eque perché non si affidano ai meccanismi di trickle down che prevedono che dai ricchi prima o poi un pò di ricchezza arriverà ai poveri. Esse agiscono, però, direttamente sugli aspetti problematici dello sviluppo.

La questione dello sviluppo e la questione della salvaguardia dell’ambiente diventano quindi necessità di democrazia per l’equità economica. L’equa distribuzione delle ricchezze può passare attraverso il loro incremento a patto che si spogli l’idea della crescita dalle illusioni dell’economia tradizionale. L’equità si persegue meglio con procedure partecipate e pianificate che permettano l’identificazione degli effettivi bisogni della popolazione. L’equità non può essere perseguita senza la tutela dell’ambiente, perché l’ambiente come bene davvero comune è quello che più naturalmente è equamente distribuito. Per questo la sua tutela dovrebbe essere una priorità assoluta, soprattutto per la sinistra. E ciò ancor più in un periodo drammatico ove non è ancora possibile stabilire gli effetti reali dei cambiamenti climatici, sebbene evidenze palesi si siano oggi già  manifestate. La crisi idrica in atto in molte regioni d’Italia, in Campania in particolare ove sussiste una condizione di deficit idrico che raggiunge il 60%, o quanto accaduto nell’ambito degli eventi di frana che hanno colpito a macchia di leopardo varie regioni d’Italia, sono manifestazioni evidenti dei mutamenti e dell’inadeguatezza del territorio. Partecipazione ed equità sono, quindi, aspetti rilevanti per lo sviluppo esattamente quanto la tutela ambientale.

*docente di Studi Geologici ed Ambientali, Università del Sannio



Titolo: Mussi: Fausto aiuta i cultori delle mani libere.
Inserito da: Admin - Dicembre 04, 2007, 11:29:22 pm
Mussi: Fausto aiuta i cultori delle mani libere.

Bindi: abbiamo fatto cose importanti

Veltroni: «Non indebolire il governo»

Il leader del Pd dopo l'attacco di Bertinotti all'esecutivo: «Così si mettono a rischio le riforme»

 
ROMA - Un giudizio senza appello: «Il centrosinistra ha fallito». Le parole pronunciate da Fausto Bertinotti in un'intervista a Repubblica provocano reazioni contrastanti nella coalizione di governo. Tanto che, dopo le dichiarazioni di quasi tutti i leader del centrosinistra, tocca a Walter Veltroni intervenire in prima persona per difendere l'esecutivo: «Penso che in questo momento creare difficoltà al governo significhi indebolire la prospettiva della riforma elettorale e di quella istituzionale» afferma il segretario del Pd. «Il governo - sottolinea Veltroni - deve continuare il suo lavoro e il Parlamento deve fare le riforme necessarie al Paese. Per me questo è un legame molto stretto». Inoltre, conclude Veltroni, «indebolire il governo in questo momento significa fare un favore al centrodestra». A proposito dell'ipotesi di una verifica di governo, chiesta da più parti, il sindaco di Roma risponde: «Mi fa venire il mal di fegato». E in effetti fonti di Palazzo Chigi, mentre trapela l'irritazione di Prodi, affermano che quella di gennaio non sarà una verifica ma solo il punto della situazione a 360 gradi su quanto fatto fino ad ora.

MUSSI: SERVE PIU' CONFRONTO - Prima di Veltroni, il duro giudizio del presidente della Camera sull'operato del governo aveva suscitato le critiche - più o meno dure - di quasi tutti i partiti della maggioranza, anche quelli della "Cosa Rossa" (Rifondazione esclusa, ovviamente) a pochi giorni dagli Stati Generali dell'8 e del 9 dicembre. Il più esplicito è Fabio Mussi: «Può capitare che una grande forza politica debba stare all'opposizione, per forza di numeri o per libera scelta. Ma non esiste, voglio dirlo a Fausto Bertinotti, una grande forza politica che non parta sempre da un'ambizione di Governo». La critica investe anche il piano del metodo. «Se si vuole una sinistra nuova e unita, bisogna fin da ora confrontare per tempo posizioni e decisioni politiche, possibilmente condividerle», spiega il leader di Sd. «Dare per finito il Governo e morta l'Unione vuol dire offrire un'occasione d'oro ai teorici delle 'mani libere' e ai cultori del bipartitismo» conclude il ministro.

PECORARO: INGENEROSO - Ma anche dai Verdi i commenti sono tutt'altro che entusiasti: «È ingeneroso parlare di fallimento del governo Prodi» dice il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, il quale riferisce di aver parlato con Bertinotti e di averlo sentito convinto a chiedere solo l'applicazione del programma. Ma Pecoraro avverte: «Una cosa è la richiesta di verifica, altra cosa fare un regalo a Berlusconi facendo cadere il governo».

FERRERO: SALTO DI QUALITA' - Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, è invece d'accordo nel ritenere che il governo Prodi abbia deluso le attese degli elettori di sinistra. L'esponente del Prc dice: «Credo che ci sia bisogno di un salto di qualità che approfondisca la capacità di produrre giustizia sociale e redistribuzione del reddito». A chi gli chiede se sia del tutto negativo il giudizio sul governo e se non veda differenze con il precedente esecutivo di centrodestra, Ferrero spiega che «è evidente che c’è una grande differenza: per dirne una, Berlusconi favoriva sostanzialmente l'evasione fiscale, qui la si contrasta pesantemente. Ma il punto è che questo salto di qualità non è sufficiente a rispondere a una realtà sociale di profonda crisi».

BINDI: SCELTE IMPORTANTI PER IL PAESE - Il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, respinge invece al mittente le critiche del presidente della Camera: «Sono affermazioni delle quali credo che si assumerà la responsabilità. Io penso - aggiunge Bindi - che il centrosinistra, anche grazie al contributo di Rifondazione, abbia compiuto scelte molto importanti per il Paese». L’esponente del Pd elenca i meriti dell’esecutivo: «Ha continuato l'opera di risanamento, ha combattuto l'evasione fiscale, ha iniziato una redistribuzione a favore delle fasce più deboli e ha avviato la riforma del Welfare. Cose auspicate e contenute nel programma: credo che questo non sia un fallimento ma siano risultati importanti».

DAMIANO: ORGOGLIOSI - Anche il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, difende i risultati raggiunti dal governo. «Il centrosinistra - ha detto Damiano a margine di un convegno - sta realizzando il programma dell'Unione, e soprattutto sui temi sociali abbiamo portato numerosi interventi positivi e importanti. Anche la lotta al lavoro nero e al precariato sono stati tratti distintivi di questo governo e quindi mi pare che dobbiamo essere orgogliosi di questi risultati».

MASTELLA: FAUSTO FACCIA IL PRESIDENTE DI TUTTI - Più duro l'attacco di Clemente Mastella a Bertinotti: «Se vuole ripetere la vicenda del 1998, ce lo dica. Rifondazione vuole consultare gli iscritti? L'Udeur, avendone di meno, fa prima e quindi faremmo prima noi a togliere la spina...». Per Mastella «i Presidenti delle Camere non sono leader di partito. Sono Presidenti di tutti, tanto è vero che neppure votano. Bertinotti scelga: o fa il Presidente della Camera o fa il leader di partito». Il Guardasigilli ribadisce che «se il governo è in pericolo di vita è meglio andare alle elezioni» e si dice contrario all'egemonia di Pd e Pdl nei rispettivi schieramenti.

DILIBERTO: ASPIRARE AL GOVERNO - Anche il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, replica a Bertinotti, senza però citarlo espressamente. «Noi stiamo lavorando per l’unità della sinistra. Convintamente. L'unità della sinistra - prosegue il leader del Pdci - è il presupposto per pesare di più sulla scena politica e per potersi poi candidare, con maggiore ruolo, in un sistema di alleanze, al governo del Paese. È la vocazione ad essere "partito di governo" non autocondannato all’opposizione a prescindere, che ha sempre caratterizzato - conclude Diliberto - la storia dei comunisti italiani».

04 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Non più "Cosa Rossa", la sinistra sceglie l'arcobaleno
Inserito da: Admin - Dicembre 05, 2007, 10:54:18 pm
Non più "Cosa Rossa", la sinistra sceglie l'arcobaleno



Il logo de La Sinistra e l'Arcobaleno, anticipato dall'agenzia Dire

Basta chiamarla Cosa Rossa. Il nuovo soggetto che riunisce Rifondazione, Pdci, Sinistra Democratica e Verdi si chiama “La sinistra e l’arcobaleno”. Almeno così dicono i segretari dei quattro partiti coinvolti, che si sono incontrati mercoledì in vista degli Stati generali che si terranno l’8 e 9 dicembre alla Fiera di Roma. Ma è lo stesso Diliberto, segretario del Pdci, ad ammettere che «abbiamo evitato le polemiche e gli argomenti che ci dividono». Dunque, ancora non si sa se alle prossime elezioni amministrative i partiti presenteranno liste comuni, né se il «segno grafico» presentato – nessuno si azzarda a chiamarlo simbolo – sarà davvero il nuovo marchio distintivo della federazione. Il dibattito, insomma, è ancora tutto aperto, e non mancano le note stonate.

Più di tutto, è l’annosa questione della falce e martello a scaldare gli animi degli esponenti della sinistra. Ma anche la scelta tra forza di lotta o di governo, va ancora condivisa. Dopo le affermazioni del presidente della camera Fausto Bertinotti sul «fallimento» del governo Prodi, si sbilancia Oliviero Diliberto, leader del partito che ha lasciato Rifondazione proprio in seguito alla scelta del Prc di far cadere il primo governo Prodi, nel 1998. «Noi – spiega il segretario dei Comunisti Italiani – abbiamo la vocazione ad essere una forza di governo, bisogna vedere se ci sono le condizioni per farlo. Non è obbligatorio. Ma all'opposizione – ha concluso – si va se si perde». La pensa così anche Fabio Mussi, leader di Sd: «La vocazione di una forza grande è sempre di essere forza di governo, ma – aggiunge – vocazione di governo non significa che dobbiamo stare per forza al governo». Comunque, tiene a precisare riferendosi all’uscita di Bertinotti, «la sinistra unita non deve essere una caserma». Nessuna subalternità, quindi.

Ma ad alzare la testa, sono anche gli esponenti minori dei partiti, quelli che accusano i vertici di Prc, Pdci, Sd e Verdi di aver fatto tutto da soli, senza coinvolgere la base. «Siamo ormai molto distanti non solo dal comunismo – dice il deputato Gianluigi Pegolo, militante dell’Ernesto, la minoranza del Prc – ma anche da una sinistra che si rispetti: il tutto si riduce ad una scritta e a un arcobaleno. Quella che si annuncia è una sinistra light che ha perso ogni riferimento nel mondo del lavoro anche nel simbolo: la Cosa Rossa delude». È arrabbiatissimo anche Marco Rizzo, coordinatore del Pdci: «Se il simbolo definitivo non avrà la falce martello ben visibile – minaccia – non sarò d'accordo». «Perché – continua – in una confederazione dove i comunisti sono la stragrande maggioranza si dovrebbero cancellare i simboli del lavoro? I nomi e le cose – ammonisce – vanno a braccetto».

Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 16.47   
© l'Unità.


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA - Contributo critico agli Stati Generali della Sinistra
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 03:54:33 pm
Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre (8 dicembre 2007)

Contributo critico agli Stati Generali della Sinistra


Una unità progressiva e crescente della sinistra in Italia è necessaria per farla uscire dalla condizione di sinistra più debole d’Europa, debolezza che si è accentuata con la formazione del PD, formazione di natura e vocazione neo-centrista.

Una sinistra forte, unita e rinnovata è essenziale per superare la sua frammentazione, che è nel contempo causa ed effetto della sua debolezza, se confrontata con il radicamento sociale ed elettorale delle formazioni di sinistra di altri paesi europei. Dalla Spagna al Portogallo, dalla Francia alla Germania e alla Gran Bretagna, dalla Grecia ai paesi scandinavi, persino nei paesi, già facenti parte del sistema sovietico, la sinistra, nelle sue varie espressioni, ha una consistenza maggiore di quella italiana.

L’orizzonte internazionale dell’azione politica non può essere ignorato per non fare operazioni di respiro provinciale: l’Italia è un paese importante, ma non è l’ombelico del mondo.

I processi di globalizzazione dell’economia, della finanza e della comunicazione richiedono una analisi adeguata ed una risposta politica allo stesso livello dei problemi da affrontare e risolvere nell’interesse della maggioranza dell’umanità.

Nei casi in cui la integrazione delle economie e lo sviluppo del commercio internazionale aumenta il prodotto interno lordo, comunque la distribuzione della ricchezza non soltanto è ineguale, ma anche crescente è la disuguaglianza, in termini di proprietà e di reddito, tra la minoranza più ricca e la maggioranza più povera, comprese le classi medie.

Nei paesi più industrializzati la parte di ricchezza destinata ai redditi di lavoro, dipendente ed autonomo, è in costante diminuzione, come potere d’acquisto e di frequente anche in termini assoluti, rispetto ai profitti ed alle rendite finanziarie, che godono altresì di un più favorevole trattamento fiscale.

Questo fenomeno è riscontrabile nella maggior parte dei paesi europei, ma particolarmente accentuato in Italia, aggravato dall’aumento del costo della vita.

Le privatizzazioni e liberalizzazioni hanno beneficiato per una trascurabile parte i consumatori, ma creato monopoli ed oligopoli privati preoccupati di massimizzare i profitti da rendita di posizione, più che investire in ricerca ed innovazione tecnologica.

Nei paesi con più alto tasso di sviluppo degli ultimi anni, come la Cina e la stessa Federazione Russa, lo sviluppo economico, notevole in termini di tasso di crescita del PIL,  non ha ridotto le disuguaglianze,  semmai le ha accentuate a favore di oligarchie politiche ed economiche, che detengono il potere grazie ad un ferreo controllo burocratico e poliziesco, che limita le libertà democratiche dei cittadini e dei mezzi di informazione.

Persino in paesi molto più democratici, come l’India, lo sviluppo economico impetuoso non ha eliminato e nemmeno ridotto le discriminazione di casta, né ha rafforzato le libertà civili e sindacali.

In generale lo sviluppo economico, senza regole diverse dalla massimizzazione del profitto, ha creato e continua a creare minacce all’ambiente ed a rarefare le risorse energetiche non rinnovabili, nonché a provocare, insieme con altri fattori politici ed ambientali, esodi biblici di popolazioni per sfuggire alle guerre, alle carestie, alle discriminazioni etniche o religiose, alla povertà ed alla mancanza di libertà.

Le tensioni sono destinate a crescere, tanto più quanto più non vi è uno sforzo coordinato e corale per risolvere i problemi dell’umanità, in particolare di quella più sfavorita, cui non è garantita nemmeno l’acqua potabile, un’istruzione elementare e le cure sanitarie di base: tutti problemi risolvibili con una frazione minima delle risorse destinate alle armi ed alle guerre.

La globalizzazione accelera lo sviluppo capitalistico, ma anche le sue contraddizioni, potrebbe quindi far maturare più rapidamente le condizioni obiettive favorevoli alla sua riforma ed, in prospettiva, al suo superamento per costruire un ordine sociale nuovo. Una moderna forza socialista nei paesi più sviluppati deve assicurare una linea d'azione politica e parlamentare di netto stampo antiprotezionista, contro il peso della burocrazia amministrativa e la sua corruzione, contro lo strapotere delle banche e delle società finanziarie che non producono direttamente ricchezza.

Nei servizi pubblici si devono privilegiare gli interessi dei cittadini utenti, come anche si devono ripensare le liberalizzazioni e le privatizzazioni indiscriminate, parassitarie ed inefficienti.

I problemi non possono essere risolti da nuove guerre preventive, o con l’ erezione di muri invalicabili per difendere i paesi ricchi dai poveri del mondo, né con la  diffusione di sentimenti di insicurezza ed identitari da scaricare sui diversi e sugli emarginati.

Una nuova sinistra non può che essere pacifista, internazionalista, cosmopolita ed europeista, per quanto ci concerne più direttamente come italiani.

Una società multietnica e multiculturale non può che fondarsi su un laicismo rigoroso delle istituzioni pubbliche e nella estensione della libertà e della democrazia.

Una società libera e laica deve consentire a tutti, secondo le rispettive individuali inclinazioni, di essere riconosciuti e tutelati nella loro specificità o di essere integrati e persino assimilati in una comunità che ripudia ogni discriminazione legale o di fatto per ragioni di genere, nascita, provenienza, razza, lingua, religione od orientamento sessuale.

Una sinistra unita in Italia deve promuovere il progressivo avvicinamento a livello europeo delle forze progressiste e di sinistra sui temi economici, sociali ed ambientali e sui diritti civili e di libertà anche con i liberali, che nel resto d’Europa, specialmente nei paesi nordici, sono formazioni laiche e democraticamente progredite.

Una sinistra unita e rinnovata deve rifiutare la violenza, quale che sia la sua giustificazione: i popoli sono sempre stati vittima della violenza.

In casi eccezionali si può ammettere la legittima difesa dalle violenze o dalle minacce di violenzascatenata da altri, se non è possibile altra risposta da parte dell’ordinamento giuridico nazionale o da quello internazionale.

Il potere si conquista e si gestisce soltanto con libere elezioni e con il consenso della maggioranza.

La sinistra contemporanea ha legato indissolubilmente il proprio destino alla libertà ed alla democrazia, in tutte le sue forme dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta fino alla democrazia partecipativa.

La sinistra unita italiana si deve compromettere in un impegno europeista, cioè per la creazione di una comunità politica soprannazionale, retta da istituzioni democratiche, rispettosa delle conquiste economiche e sociali dei lavoratori, strumento di pace e di cooperazione internazionale.

L’Europa deve avere una particolare responsabilità verso quelle parti del mondo già soggette al proprio dominio coloniale e sfruttamento economico.

Per le peculiari ragioni storiche delle migrazioni europee ed in senso opposto dell’esilio politico latinoamericano e dei vincoli così creati, è l’America Latina il primo banco di prova di un ruolo ed iniziativa autonoma dell’Europa nello scenario internazionale.

In nessun’altra epoca, dopo la sconfitta delle dittature militari, vi sono state le potenzialità  di oggi per una crescita democratica e sociale dell’America Centrale e Meridionale, grazie anche al riscatto delle popolazioni indigene. Il processo in corso dal Brasile al Cile, dall’Argentina all’Uruguay, dal Perù all’Ecuador, dalla Bolivia al Venezuela deve essere sostenuto politicamente dalla sinistra europea ed italiana e reso possibile economicamente da un diverso e più equo rapporto dei paesi europei con quelli americani.

Confrontarsi con le esigenze di sviluppo di quei paesi è un compito più difficile che esaltarsi per ogni espressione di sentimenti antigringos e continuare ad eccitarsi per i miti rivoluzionari, come Cuba, senza accorgersi delle degenerazioni autoritarie, repressive e poliziesche che la caratterizzano.

L’obiettivo di una sinistra italiana unita, larga e plurale in un contesto europeo non può essere perseguito se si ripropongono le divisioni e le discriminazioni del passato.

La frattura politica ed ideologica tra socialisti e comunisti propria del XX secolo deve essere superata nella comune visione di un socialismo nel XXI secolo: socialismo che, a differenza dei profeti del nuovismo rinunciatario, riteniamo sempre possibile ed attuale.
Una società socialista, come recitava il primo statuto del PSOE,  è una” società senza classi composta da persone libere, uguali, rispettate e intelligenti”.

Le divisioni tra riformisti e rivoluzionari, tra socialdemocratici e massimalisti non hanno più senso: sono state divisioni tragiche, che hanno indebolito la sinistra di fronte all’instaurarsi del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, ma comunque di altro spessore e dignità di quelle che vogliono perpetuare la teoria e la prassi delle due sinistre, una “riformista” e l’altra “alternativa” o “antagonista”.

Con la teoria e la prassi delle due sinistre non si potrà mai avere una sinistra a vocazione maggioritaria, cioè in grado di aspirare a dirigere il governo del paese e non semplicemente di stare ogni tanto al Governo.

Se le sinistre sono due, la sinistra non vincerà mai le elezioni.

La teoria e la pratica delle due sinistre comporta di dare la patente di sinistra “riformista” al PD, che invece è una formazione neocentrista.  E comporta anche il fatto che la sinistra cosiddetta “radicale” si auto-confinerebbe al ruolo di eterno comprimario, di alleato un po’ riottoso ma subalterno al PD se sta al governo, oppure di irrilevante area di testimonianza e di protesta se sta all’opposizione.Una sinistra incapace di sfidare il PD in termini di capacità di governo ed innovazione è funzionale al progetto neo-centrista delle alleanze libere ed intercambiabili.

In ogni caso, non siamo interessati ad una sinistra unita che programmaticamente  si trovi meglio all’opposizione a coltivare i suoi angusti orticelli piuttosto che al governo per risolvere, componendole, le contraddizioni tra realismo ed utopia.
L’orizzonte europeo impone a tutta la sinistra italiana, in tutte le sue sensibilità e provenienze, socialiste, comuniste ed ambientaliste di abbandonare la critica a priori nei confronti del socialismo democratico, che si riconosce nei valori, nella storia e nelle esperienze della socialdemocrazia e che si organizza nel PSE e nell’Internazionale Socialista.

Soltanto così si potrà costruire una sinistra unita, espressione del suo vasto popolo e non sommatoria burocratica ed elettoralista di gruppi dirigenti autoreferenziali, più preoccupati del loro personale destino che della creazione, anche in Italia, finalmente di una sinistra forte, innovativa e moderna perché unita, plurale, autonoma e laica.

Nell’immediato una sinistra larga, unita e plurale deve ripartire dal dialogo e dal confronto con quelle forze che non saranno presenti a Roma: non si può parlare di Stati Generali della Sinistra se non sono coinvolte tutte le sue espressioni.

In tale contesto ci dobbiamo riferire particolarmente ai movimenti di cittadini autonomamente organizzati, alle realtà militanti ed alla Costituente Socialista, con la quale dobbiamo stabilire precise e stringenti azioni comuni nelle istituzioni e nella società. Diritti civili, laicità, libertà di ricerca, tutela dell’ambiente e difesa del potere d’acquisto di salari, stipendi, redditi da lavoro autonomo e professionale, rinnovamento, consolidamento ed estensione dello stato sociale sono terreni sui quali è possibile trovare un’intesa e definire un programma comune.

Felice Besostri (Lombardia)
Francesco Barra (Campania)
Giuseppe Bea (Lazio)
Claudio Bergomi (Lombardia)
Marco Bertozzi (Umbria)
Ettore Carettoni (Roma)
Simone Fabrizi (Umbria)
Ernesto Fedi (Toscana)
Roberto Giulioli (Roma)
Alessandro La Noce (Lazio)
Luca Lecardene (Sicilia)
Gianni Nardone (Lazio)
Ivo Pasquetti ( Toscana )
Paolo Preziosa (Lombardia)
Luigi Ranzani (Lombardia)

da sinistra-democratica.it


Titolo: Luciano Chiodo - L’8 e il 9 partire per contaminarsi
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 03:55:48 pm
Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre (8 dicembre 2007)

L’8 e il 9 partire per contaminarsi

di Luciano Chiodo*


Credo che uno dei nodi più urgenti da affrontare sia quello relativo al rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale.
Sinistra Democratica è nata per rinnovare e unire la sinistra in un soggetto unitario e plurale, sottolineandone la necessità storica, anche, alla luce della nascita del PD, ma, nondimeno, a partire da una riflessione critica sui ritardi culturali e progettuali della sinistra in Italia.

Ritardi che vengono da lontano e che nel periodo 2001-2006 avevano visto la nascita e lo sviluppo di grandi movimenti sociali, con un ruolo determinante del movimento sindacale, che avevano cercato di rispondere, con esiti diversi, ai vuoti di iniziativa della rappresentanza politica.
Nel 2006 si è poi entrati in una fase di riorganizzazione  della rappresentanza politica, con il consolidamento dell’Unione, attraverso le primarie e la stesura del Programma, e la costituzione del Governo di centrosinistra.

Con la nascita del PD il ruolo della rappresentanza politica si rafforza ulteriormente, con analisi e opzioni programmatiche non condivisibili, che sono alla base della nascita di Sinistra Democratica e del processo unitario della sinistra.

E’ quindi del tutto “normale”, e direi positivo, che oggi il problema del rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale si riproponga  in un quadro diverso da quando quest’ultima doveva farsi carico anche di un ruolo non suo.

Ed è anche normale che nel confronto sul Protocollo del 23 luglio emerga il problema del rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, tra l’azione delle forze politiche per l’attuazione del Programma elettorale dell’Unione e il ruolo delle parti sociali, tra la Concertazione e il ruolo del Parlamento.

Non è possibile eludere questi nodi e le risposte non sono semplici, ma fanno parte del grande lavoro di analisi e di elaborazione che abbiamo di fronte per costruire una Sinistra veramente nuova nel rapporto con la società.

Sappiamo che non è sufficiente unire l’esistente ma è necessario innovare, partendo dalle culture, dai percorsi, dalle esperienze maturate a livello collettivo e personale, per costruire una sintesi alta in grado di rispondere alle sfide del XXI secolo, ed è quindi necessario contaminarsi, iniziando a parlarsi, confrontarsi, senza nascondere le differenze, sui contenuti e le forme del nuovo soggetto che vogliamo costruire.

In questo senso gli Stati Generali dell’8 e 9 dicembre rappresentano l’inizio del processo unitario organizzato, necessario per moltiplicare le occasioni di “contaminazione”, attraverso una prima fase federativa aperta, ricordandoci che dobbiamo innovare anche nella ricerca sulla forma-partito, per andare oltre le esperienze del secolo scorso, che vivono una evidente e profonda crisi di partecipazione democratica.

L’8 e il 9 rappresenta la partenza del percorso che  tutti coloro che vogliono contaminarsi non possono che vedere con speranza.

*CGIL Lombardia

da sinistra-democratica.it


Titolo: La Cosa Rossa si presenta a Roma "Verifica urgente, ma non la crisi"
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 10:38:40 pm
8/12/2007 (21:5)

- IL NUOVO SOGGETTO POLITICO

La Cosa Rossa si presenta a Roma "Verifica urgente, ma non la crisi"
 
Giordano lancia la Sinistra arcobaleno: «Un nuovo soggetto che ambisce a trasformare la società italiana»

ROMA


«Un nuovo soggetto politico che ambisce a trasformare la società italiana». Così il segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, definisce la Sinistra arcobaleno, che sta nascendo alla nuova Fiera di Roma. «Qui vediamo una mescolanza, un nuovo rapporto che non è soltanto la sommatoria di forze politiche - spiega Giordano lasciando uno dei "workshop" della prima giornata - è una sinistra che ha le radici ben piantate nel mondo del lavoro, ma che assume il confronto con le altre culture pacifiste, ambientaliste, femministe. In Italia non ci sono più soltanto il Partito democratico e Berlusconi, ma c’è una sinistra fatta di gente in carne ed ossa che si propone di disegnare un profilo di trasformazione della società italiana».

Secondo il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, «qui semplicemente si costruisce la sinistra». A chi gli chiede se sarà di governo o meno risponde: «È la sinistra, poi potrà capitare che stia al governo o all’opposizione, ma non nasce per una cosa o per l’altra». Ferrero ribadisce la sua preferenza per una Federazione sul modello della vecchia FLM, la Federazione unitaria dei Lavoratori Metalmeccanici: «Occorre garantire la partecipazione di tutti per un soggetto plurale che non sia più il partito classico».

Sulla partecipazione al governo Giordano osserva: «Noi abbiamo voluto soltanto aprire un confronto con l’Esecutivo di Prodi, ma poi abbiamo sempre votato a favore. Qualcun altro, invece, ha scelto la strada di non discutere e ha votato contro. Chi fa più male al governo: noi o loro?».

Più orientato alla costruzione del partito unico è il sottosegretario allo Sviluppo Economico Alfonso Gianni, che rileva: «Questa è una forza unitaria della sinistra e più unitaria è, meglio è. C’è bisogno di un punto di riferimento politico che faccia rinascere la sinistra nel Paese: un partito delle masse, non di massa».

Per il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, quello che si presenta alla Fiera di Roma è un «copione rovesciato rispetto alla politica tradizionale: non il rimbalzo di polemiche tra leader o la fibrillazione a volte indecifrabile degli schieramenti, ma una grande partecipazione popolare, l’approfondimento delle questioni che riguardano le persone, ma anche il Pianeta. L’idea che emerge è un pò quella di un rito battesimale, non di un rito di morte come troppe volte in passato è capitato alla sinistra. È la costituente, la gestazione di qualcosa di veramente nuovo».

da lastampa.it


Titolo: SINISTRA: ASSENZA INGRAO DA ASSEMBLEA IMBARAZZA RIFONDAZIONE
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 10:40:50 pm

SINISTRA: ASSENZA INGRAO DA ASSEMBLEA IMBARAZZA RIFONDAZIONE

GIORDANO, TROVERA' MODO PER FAR SENTIRE SUA PRESENZA


Roma, 8 dic. - (Adnkronos)

- Spesso capita che sia un'assenza a fare notizia e quella di Pietro Ingrao, leader storico della sinistra comunista, dall'assemblea della Sinistra e gli Ecologisti alla nuova Fiera di Roma si fa sentire.

Soprattutto tra gli esponenti di Rifondazione, partito di cui Ingrao fa parte e che oggi avrebbe dovuto essere un po' il 'padre' dell'aggregazione delle forze di sinistra che proprio dall'assemblea prende il via.

Non a caso, proprio all'ingresso del padiglione che ospita la manifestazione, c'e' un grande banchetto pieno di copie di un libro. Si tratta di 'La pratica del dubbio' proprio di Pietro Ingrao.

E i dubbi che oggi lo storico leader ha espresso in un'intervista a 'La Stampa' rimbalzano nei conciliaboli dell'affollatissima assemblea alla nuova Fiera di Roma.


Titolo: RICCARDO BARENGHI - Il gran rifiuto di Ingrao: "Cosa Rossa senza me"
Inserito da: Admin - Dicembre 08, 2007, 10:42:01 pm
8/12/2007 (7:29) - IL COLLOQUIO

Il gran rifiuto di Ingrao: "Cosa Rossa senza me"
 
«Serviva la fusione. Bertinotti? Da presidente della Camera non avrei mai parlato come lui di Prodi»

RICCARDO BARENGHI
ROMA


Il grande vecchio della sinistra italiana non ci sarà. Pietro Ingrao ha deciso di non partecipare agli Stati generali della Sinistra-Arcobaleno, oggi e domani alla nuova Fiera di Roma. Nonostante sia il nume tutelare di quest’area politica, nonostante molti degli attuali dirigenti e militanti della sinistra radicale ancora lo guardino come un faro nella nebbia, nonostante abbia partecipato con tutti i suoi 92 anni al corteo del 20 ottobre – fece titolo il suo grido dal palco: «La lotta continua» – nonostante tutto questo, Ingrao non ci sarà. Il programma prevedeva che domenica a mezzogiorno lui arrivasse insieme a Fausto Bertinotti. Ma Bertinotti arriverà da solo.

La ragione ufficiale è che domani, alla stessa ora, Ingrao deve presentare il suo ultimo libro, La pratica del dubbio. Ma quella vera è che Ingrao «non è convinto» (sua frase storica che usò all’XI congresso del Pci nel 66: «Cari compagni, se dicessi che mi avete convinto non sarei sincero»...), non è convinto di come si stia costruendo questo nuova Cosa a sinistra: «La Federazione non mi persuade, avrei capito una fusione. Ossia la nascita di un nuovo Partito e pure consistente. Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio Mussi ha rotto coi Ds, secondo me avrebbe dovuto entrare in Rifondazione. Cioè in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla gente che incontro per strada. Per non parlare di Diliberto, chi rappresenta Diliberto?». E quindi? «E quindi mi sembrano troppo frantumati, troppo timidi, ci vorrebbe più linearità, più nettezza, più semplicità di condotta. Più coraggio insomma».

Detto questo, Ingrao però precisa che certo lui non vuole fare la parte del «vecchio professorino, per carità, ci mancherebbe che alla mia età mi mettessi a dare lezioni... Non ci vado ma spero che questa nuova Cosa cammini. La situazione politica generale è così confusa, così deteriorata che c’è assoluto bisogno di una consistente forza di sinistra».

Lui che ha sempre vissuto di politica, si sente oggi sempre più estraneo alla politica. Considera Prodi «un moderato, Veltroni altrettanto», e questo governo «non mi soddisfa per niente». Non sa perché Mastella stia lì, e ce lo chiede: «Che fa, che vuole Mastella». Non sappiamo rispondergli. Confessa anche che non ha nemmeno capito le ragioni dell’ultima uscita del suo amico Fausto – «un vero amico per il quale nutro grande affetto e stima» – ossia quell’intervista a Repubblica in cui attaccava pesantemente il governo e Prodi in persona paragonandolo a un «poeta morente». Al vecchio leader della sinistra comunista, quella sortita non è piaciuta per motivi istituzionali, «quando io ero Presidente della Camera non ho mai fatto nulla del genere né ho mai pensato di farlo». Ma anche per motivi politici, gli è sembrata un’iniziativa estemporanea e troppo solitaria: «Con chi ne ha parlato, con chi l’ha concordata?». E soprattutto: «Perché l’ha fatta, a cosa voleva portare, cosa voleva ottenere?». Domande alle quali Ingrao non ha trovato ancora risposta, e che lo lasciano interdetto.

Tuttavia, anche senza di lui la Cosa rossa, anzi ormai multicolore, comincia a muoversi. Oggi pomeriggio i lavori si articoleranno in diversi work-shop, ovvero seminari tematici. Domani invece sul palco si alterneranno dirigenti nazionali e locali, fino naturalmente ai leader dei quattro partiti che costituiscono la Federazione: Giordano, Mussi, Pecoraro e Diliberto. Si capirà allora se a questo primo passo ne seguiranno altri, se cioè si tratterà solo di una semplice Federazione, che poi significa in sostanza poco più di un cartello elettorale, oppure se l’idea sia sul serio quella di far nascere un nuovo soggetto politico. Insomma un nuovo partito, con conseguente scioglimento dei quattro esistenti. Non è affatto detto che vada così, tutt’altro: le divisioni non mancano su molti temi, dal rapporto col governo alla legge elettorale. Così come non manca la paura di contaminarsi, di sciogliere la propria forza senza sapere dove andrà a finire, di rinunciare al proprio ruolo, al proprio simbolo, al nome. Insomma all’identità. E infatti tutti dicono che pure se si uniscono, ognuno resta con la propria identità, saranno insomma «un soggetto plurale» (un bell’ossimoro). Comunque almeno alle prossime elezioni amministrative, saranno insieme sotto lo stesso simbolo. Una prima prova per misurare il consenso, che nei sondaggi attuali oscilla tra l’8 e il 12 per cento.

Infine, il problema del leader. Che non c’è. Avrebbe dovuto essere Bertinotti, ma fa un altro lavoro e non ha nessuna intenzione di dimettersi da dove sta. E tra quelli disponibili, nessuno ha le caratteristiche adatte, oltre al fatto che ognuno è geloso dell’altro. Potrebbe allora spuntare fuori un outsider, per esempio Nichi Vendola, sponsorizzato proprio da Bertinotti. Ma prima i quattro dovranno decidere se saranno una Cosa sola o quattro cose che si uniscono all’occorrenza (le elezioni) per poi marciare divisi. Dopo di che mettersi d’accordo su chi sarà il loro capo. Ci riusciranno?

da lastampa.it


Titolo: Ingrao: "Urge unità a sinistra, fare presto"
Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2007, 05:07:04 pm
9/12/2007 (9:11) - STATI GENERALI

Cosa Rossa, applausi per Ingrao: "Urge unità a sinistra, fare presto"
 
L'assemblea della Sinistra Arcobaleno a Roma

Arrivo a sorpresa dell'ex presidente della Camera che aveva criticando il progetto della "Sinistra-Arcobaleno"


ROMA
«Porto un saluto caldo e pieno di speranza. La mia speranza e anche il sentimento che provo trovandovi qui è che da questo incontro e dalle cose che succederanno nel Paese esca rafforzata l’unità delle sinistre». Così il leader storico comunista, Pietro Ingrao, interviene a sorpresa all’assemblea plenaria della federazione Arcobaleno. Un intervento durato circa 10 minuti, iniziato con una lunga ovazione dei partecipanti e con un lungo abbraccio con i leader dei partiti, Franco Giordano, Fabio Mussi e Oliviero Diliberto.

Ingrao, una standing ovation
Dopo i dubbi dei giorni scorsi, l'anziano leader comunista è stato accolto da una standing ovation alla nuova Fiera di Roma. Ingrao è giunto accompagnato dal direttore di Liberazione Piero Sansonetti, che oggi ha pubblicato in prima pagina sul quotidiano del Prc una breve intervista nella quale l’anziano leader della sinistra comunista smussa le sue critiche alla federazione Arcobaleno, riferite ieri a La Stampa. «Ho deciso di venire», spiega ai cronisti, e poi ribadisce: «Spero che venga una spinta grande all’unità della sinistra, sono queste le parole che mi premono».

L'invito del leader: «Fate presto»
Ingrao, salito sul palco con una sciarpa rigorosamente rossa, ha più volte ripetuto una raccomandazione: «Fate presto! Fate presto perché la vostra unità urge, il Paese ne ha bisogno e perché abbiamo davanti a noi quella che è la condizione tragica del lavoro in Italia». Lo storico leader comunista ha ricordato la recente tragedia di Torino e, rivolgendosi ai militanti della sinistra, ha aggiunto: «proprio in nome dei caduti di Torino lancio un grido». Quindi, alzando il tono della voce ha esortato: «unitevi, unitevi!».

«Uno scatto in più che segni un mutamento di clima»
«Mi rivolgo prima di tutto alle donne e ai giovani - ha detto Ingrao - occorre andare avanti uniti per il riscatto del lavoro. Questa è la condizione tragica in cui vivono oggi tanti lavoratori». Interrotto da diversi applausi, Ingrao ha inoltre rivolto un appello ai compagni affinché facciano «uno sforzo, uno scatto in più che segni un mutamento di clima». «Non sono chiare le cose in questo Paese - ha detto Ingrao - nemmeno come viene condotto il Governo. Ciò che è chiaro invece è questa destra reazionaria e odiosa».

da lastampa.it


Titolo: Sinistra a malincuore "Meglio tenerci il prof"
Inserito da: Admin - Dicembre 09, 2007, 05:07:56 pm
9/12/2007 (8:14)

Sinistra a malincuore "Meglio tenerci il prof"

Cosa Rossa, gli stati generali

AMEDEO LA MATTINA

ROMA


Dentro o fuori il governo? Se i dirigenti dell’ex Cosa rossa diventata «La Sinistra» decidessero di fare un referendum con questo quesito, la base risponderebbe «dentro». A malincuore, contorcendosi le budella, certo, ma di cedere ai Mastella, Dini, Binetti, Rutelli no, mai. Se potessero, molti dei militanti che sono venuti alla nuova Fiera di Roma per le prove tecniche di «Sinistra», li prenderebbero a morsi. Per non parlare poi di Berlusconi, Fini, Bossi e Casini: con loro nemmeno un caffè. Il Cavaliere qui, tra rifondaroli, verdi, comunisti ed ex diessini, è ancora l’«uomo nero»; e pensare che possa ritornare al governo fa venire loro l’ulcera. Allora, meglio ingoiare rospi, battere i pugni sul tavolo per spostare il mitico «asse a sinistra», fare la faccia truce al tavolo della verifica e che Dio ce la mandi buona. E’ questo, grosso modo, il «popolo» al quale oggi Giordano, Mussi, Diliberto e Pecoraro Scanio parleranno al padiglione 1 allestito come se fosse il congresso fondativo di un nuovo partito.

Al banchetto dove vendono il libro del ministro Ferrero sull’immigrazione, Francesca Conti, impiegata, è delusa da questo governo: «Non conosco una persona tra i miei amici che non si senta sbandata. Io vivo da sola con un figlio e il mio stipendio a Roma mi basta appena per pagargli l’asilo, pagare l’affitto di casa e mangiare. Sono incazzata nera. Mi auguro un’inversione di rotta, ma in ogni caso questo governo non va messo in crisi. L’idea che possa tornare Berlusconi mi fa accapponare la pelle». Dieci metri più in là, Giorgio Aurigi vende «Liberazione». Non è molto ottimista sul futuro della «Sinistra» e della sua capacità di incidere sulla politica dell’esecutivo: «Tuttavia bisogna stringere i denti e andare avanti». «Che alternativa abbiamo? - s’interroga Andrea Angioni, coordinatore provinciale della Sinistra Democratica -. Non possiamo condannarci all’opposizione eterna e fare solo cortei con le bandiere rosse». «Attenzione - avverte Marco Nesci, consigliere regionale del Prc in Liguria -, la verifica dovrà essere vera sul piano delle questioni sociali, altrimenti meglio uscire dal governo». Emanuele Chieppa dei Verdi è invece soddisfatto dell’esecutivo; e quando gli facciamo notare che l’Italia in Europa è il fanalino di coda sull’ambientalismo, risponde che grazie a Pecoraro Scanio stiamo recuperando terreno. «Se guardiamo cosa hanno fatto quelli che ci hanno preceduto... Noi almeno siamo riusciti a mettere in Finanziaria le detrazioni fiscali per i pannelli solari e imposto delle condizioni per i rigassificatori. Prodi è il migliore punto di equilibrio».

Al workshop sul Welfare, il deputato e psichiatra Luigi Cancrini del Pdci sta spiegando che nelle cliniche private degli Angelucci, acquirenti dell’«Unità», medici e infermieri il contratto collettivo nazionale se lo sognano. Quando finisce di parlare, ci dice che questo governo deve essere tenuto in piedi «anche con la respirazione bocca a bocca, perché l’alternativa è l’inciucio con il centro». Ma c’è anche nel partito di Diliberto chi, come il baby Stefano Perri, pensa che sia arrivato il momento staccare la spina a Prodi. La lancetta si sposta verso il pessimismo soprattutto tra i ragazzi. Elena Carradori di Venezia, con esperienze di cooperante nei Balcani, è convinta che sarà difficile far sterzare a sinistra questo governo: «Questa esperienza di governo è finita».

da lastampa.it


Titolo: Prodi alla Sinistra: «Avanti con coraggio»
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 04:55:47 pm
Politica       «Il nostro cammino continua ancora più convintamente»

Prodi alla Sinistra: «Avanti con coraggio»

Messaggio del premier ai leader dell'Arcobaleno: «Sarete uno stimolo per il governo»


ROMA - La "Sinistra e l'Arcobaleno"? Può essere uno «stimolo per l'azione di Governo". È quanto scrive Romano Prodi in un messaggio inviato ai quattro leader del nuovo soggetto di sinistra, Franco Giordano, Alfonso Pecoraro Scanio, Oliviero Diliberto e Fabio Mussi. «Cari amici, saluto con gioia l'alleanza in cui avete creduto e che oggi avete sancito nei vostri Stati generali - afferma il premier - È un'occasione decisiva per l'unità della sinistra e dell'ambientalismo, nel segno di valori e impegni comuni che trovano da oggi una strada condivisa».

SOSTEGNO COERENTE - «Auguro a voi e a tutti gli autori di questa importante decisione - prosegue il presidente del Consiglio - di costruire un percorso forte e solidale, capace di generare nuovi stimoli alla democrazia del Paese e all'azione di governo, governo che avete sempre sostenuto con coerenza in questo primo anno e mezzo di legislatura. Il vostro cammino inizia oggi, il nostro continua ancora più convintamente - conclude - perché basato su un dialogo che non viene mai meno. Grazie per il vostro coraggio».


09 dicembre 2007


da corriere.it


Titolo: Ingrao: «Unitevi».
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 04:57:05 pm
DILIBERTO E IL GOVERNo: «SCETTICO SULLA VERIFICA»

Sinistra Arcobaleno, «puntiamo al 15%»

I leader: «Competeremo da sinistra col Pd».

Ingrao: «Unitevi». Giordano: «Lavoriamo per liste comuni»

 
 
ROMA - Non è un partito ma un "soggetto unitario", non ha la falce e il martello nel simbolo (o forse, come dice Diliberto, ne ha due), vuole competere da sinistra con il Partito Democratico di Walter Veltroni puntando a raccogliere il 15% dei voti, e dice che non intende far cadere il governo di Romano Prodi, a cui chiede però una "svolta" a gennaio. È la Sinistra - l'Arcobaleno, nata ufficialmente alla Fiera di Roma dopo due giorni di assemblea e tenuta a battesimo al canto di "Bella Ciao" (intonata dai leader di Rifondazione Comunista, Pdci, Sinistra Democratica, mentre i Verdi hanno preferito non cantare).

LA CARTA - «Siamo impegnati nella costruzione di un un nuovo soggetto unitario, plurale, federativo», che punta alla costruzione di una «sinistra politica rinnovata», recita la "Carta d'intenti" letta alla fine degli "Stati generali" della nuova formazione. "Sa" avrà come simbolo l'arcobaleno e non la falce e martello, che però spicca ancora sui distintivi di Rifondazione Comunista e del Partito dei Comunisti italiani. I principi a cui fa riferimento la nuova formazione sono "uguaglianza, giustizia, libertà", ma anche "pace, dialogo di civiltà, valore del lavoro e del sapere, centralità dell'ambiente" e ancora "laicità dello stato" e "critica dei modelli patriarcali e maschilisti", dice ancora la Carta, letta dal palco della Fiera alla presenza del segretario del Prc Franco Giordano, del leader del Pdci Oliviero Diliberto, del presidente dei Verdi, il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, e del coordinatore di Sd, il ministro dell'Università Fabio Mussi.

"LANCIAMO UNA SFIDA AL PD" - Se Pecoraro Scanio ha detto esplicitamente nel suo intervento che Sinistra Arcobaleno deve «puntare a superare il 15% dei voti per essere una forza di governo», Giordano, che guida il partito più grande della federazione, ha aggiunto che «da oggi lanciamo una sfida sull'egemonia al Pd», il nuovo partito di centrosinistra nato dall'incontro di Ds e Margherita. «Lavoriamo per presentare alle prossime scadenze elettorali liste comuni con un simbolo comune», ha spiegato Giordano (il prossimo importante turno elettorale previsto è quello del 2009, con il voto per il Parlamento europeo, dove le quattro formazioni di "Sa" siedono attualmente in gruppi diversi). Il leader del Prc ha anche difeso la richiesta di una verifica di governo a gennaio, e ha detto che gli attacchi alla stabilità dell'esecutivo vengono non dalla sinistra ma da "voltagabbana" di centro, in chiara polemica con la senatrice del Pd Paola Binetti, che in settimana non ha votato la fiducia al governo sul decreto sicurezza per un passaggio relativo alla discriminazione degli omosessuali, ma anche con i liberaldemocratici di Dini e con l'Udeur. «Abbiamo rinconquistato un peso, non possiamo accettare che un voltagabbana di turno conti più di un terzo della coalizione» ha detto Giordano. E a proposito dei rapporti con il governo Prodi, il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, ha ribadito il suo scetticismo sulla verifica: «Bisogna vedere i fatti concreti che ci verranno proposti. Prima della verifica c'è stato il programma elettorale, poi Caserta, poi il dodecalogo ma dopo di allora non è stato fatto nulla». «Allora è inutile vedersi - conclude - se poi non si rispettano gli accordi».

INGRAO: UNITEVI - Grande protagonista della giornata di chiusura è stato Pietro Ingrao. Sciarpa rossa al collo e bastone in mano, è arrivato all'assemblea dopo la "diserzione" del sabato e il colloquio con 'La Stampa' in cui criticava il progetto di aggregazione con l'ala radicale per la sua eccessiva lentezza. Parole che non hanno però raffreddato l'affetto del suo "popolo": Ingrao è stato infatti accolto da una lunghissima ovazione delle migliaia di militanti presenti. «Io vi dico solo una cosa - ha scandito Ingrao ai presenti - unitevi, unitevi. Dovete fare presto perché la situazione urge e i problemi della vita quotidiana non possono ritardare».

VENDOLA - Applausi anche per Nicky Vendola. «Questo deve essere il nostro cimento del futuro - ha affermato il Governatore della Puglia -. Un parto, un partire, non so se un partito, ma certo una costituente, un soggetto che sappia leggere il cuore della nostra società. Una sinistra - scandisce Vendola - che non è un bignami di ciò che fummo. È doloroso uscire da se stessi, si teme di perdere il proprio patrimonio, ma oggi è necessario. C'è una poesia di Pasolini che dice che "il vento del futuro non cessa di ferire". Ecco, nel parto c'è il dolore, c'è sempre, ma c'è anche la gioia di una nascita». All'assemblea ha partecipato anche Fausto Bertinotti. Ai giornalisti il presidente della Camera ha riservato poche battute: «Sono molto contento, per imparare a nuotare bisogna buttarsi nell'acqua. Oggi mi pare ci sia un grande tuffo».

IRRUZIONE COMITATI - Durante i lavori c'è stato anche un fuori-programma: i 300 manifestanti del comitato "No Dal Molin", giunti da Vicenza per chiedere risposte sulla sospensione dei lavori per la costruzione della base Nato Usa, hanno fatto irruzione nella sala plenaria dove si sta svolgendo l’assemblea. I manifestanti hanno bloccato per un po' gli interventi previsti in scaletta e sono stati accolti dai militanti delle sinistre da fischi e applausi.


09 dicembre 2007

da corriere.it


Titolo: Paola Zanca - Nasce la nuova sinistra, il battesimo con Ingrao e Vendola
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 05:05:42 pm
Nasce la nuova sinistra, il battesimo con Ingrao e Vendola

Paola Zanca


Il primo a salire sul palco è Nichi Vendola, quello che molti immaginano come il nuovo leader della sinistra unita e che oggi non ha deluso le attese.

Il suo è un discorso da leader, e quello che riceve è un applauso che il pubblico riserva per le grandi occasioni. «Serve il coraggio di una nuova nascita», esordisce, coraggio che dia risposte a quel «sentimento di smarrimento» che attraversa il popolo della sinistra. Per questo, «parte una nuova nascita, un parto non so se un partito – dice – un soggetto che sappia leggere nel cuore della società e che non sia un riassunto di ciò che fummo».

Vendola dà così voce al nuovo e prende il testimone di un padre della sinistra che sale sul palco a benedirlo. È Pietro Ingrao, il grande vecchio che scalda gli animi della platea. Per lui è standing ovation: il suo discorso è «una predica, una raccomandazione che posso fare perché sono vecchio». Ma non è di quelle prediche che non si digeriscono, quelle lunghe e sterminate, sono solo due parole: «Fate presto». Ingrao lancia un grido «in nome dei caduti di Torino»: «Unitevi» dice alle forze politiche della sinistra. E detto da uno che ha attraversato l’ultimo secolo della storia politica italiana è molto di più di un semplice appello.

Sul palco allestito alla Fiera di Roma, oltre ai leader politici, ci sono anche una serie di testimonial della società civile, chiamati a dare il loro contributo a La Sinistra, l’Arcobaleno. Paul Ginzborg, l’ex-girotondino che ora anima il laboratorio politico di Firenze, Marina Fiore del Comitato contro gli F-35, il magistrato Gianfranco Amendola, da sempre impegnato nelle battaglie ambientaliste, il segretario della Fiom Gianni Rinaldini, Aurelio Mancuso, presidente dell’Arcigay. E proprio a Mancuso è capitata la “sventura” di vedersi interrotto dagli altri ospiti d’eccezione della giornata. I No Dal Molin. Più che una visita, la loro è stata un’irruzione. Lo avevano detto da giorni, ma forse l’assemblea della sinistra non se li aspettava così agguerriti.

Mancuso sta parlando del «vergognoso dibattito andato in scena al Senato», quello in merito alla norma che sanzione le discriminazioni di genere e che ha scatenato le ire dei teodem. Dall’altro capo della sala esplode fragoroso il suono delle pentole, dei tamburi artigianali, delle sirene e dei fischietti dei vicentini arrivati in massa a Roma per ribadire il loro no all’ampliamento della base americana.

Sono qualche centinaio – da Vicenza sabato notte all’una e mezza sono partiti 4 pullman, poi qualcuno si è aggregato da altre città – e l’invito a far proseguire l’intervento del presidente dell’Arcigay non lo ascoltano proprio. Serpeggia nervosismo tra la platea e gli organizzatori degli Stati generali. «Dico ai comitati di scendere dal palco...non sappiamo se regge», prova a fermarli un’organizzatrice dal palco, «fatela finita», sbotta qualcun’altro dalla platea. Ma loro niente: armati di un cartello al collo che recita «Moratoria subito», irrompono sul palco e si prendono una mezz’ora di microfono. Quello che – denunciano – gli è stato levato dalla bocca: «Ci stanno prendendo in giro da un anno e mezzo – spiegano – a Vicenza sono venuti molti parlamentari ma non si è visto mai un ministro o un sottosegretario». Spiegano le ragioni della loro lotta, chiedono che la moratoria sull’inizio dei lavori venga presentata in Parlamento, pretendono che i deputati e i senatori presenti si assumano «la responsabilità politica e morale delle azioni di questo governo».

Torna la calma e Mancuso riesce finalmente a concludere il suo intervento. Poi è la volta dei quattro segretari. Pecoraro Scanio, Diliberto, Mussi e Giordano si alternano sul palco per dire la loro sul futuro della sinistra unita. Il ministro dell’Ambiente risponde subito ai No Dal Molin, ribadendo il suo no all’ampliamento della base e impegnandosi a «bloccare ogni azione che non rispetti le leggi dello Stato italiano» e manda a dire al governo che «noi siamo stati leali, lealissimi, a volte anche troppo». Un po’ sottotono l’intervento di Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, che scalda la platea soprattutto quando propone di «inserire il limite di due mandati» per le cariche istituzionali.

Applauditissimo invece il ministro Fabio Mussi.

Sale sul palco e affronta subito le malelingue che lo vorrebbero “pentito” di aver lasciato i Ds. «Vedo il partito democratico – esordisce – e sono contento di essere con voi». Boato della sala. Poi parla di lavoro, di ambiente, di università e ricerca, di corsa al riarmo. E chiude con un messaggio a Prodi: «Noi non lavoriamo per la caduta del governo, ma Romano così non si va avanti: 150 parlamentari – gli urla – non possono contare meno di Dini, di Manzione....». Non riesce a finire l’elenco, la platea lo sovrasta di conferme. Chiude gli Stati generali Rifondazione Comunista. Il segretario Franco Giordano rilancia l'appello di Mussi a «presentarsi sotto lo stesso segno grafico» alle prossime elezioni amministrative. E tutto rosso in viso si rivolge ai suoi compagni di cammino con un urlo quasi disperato: «Non sprechiamo questa occasione, c'è una grande attesa: promettiamo tutti, oggi, qui, che non la deluderemo».

Pubblicato il: 09.12.07
Modificato il: 09.12.07 alle ore 19.30   
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Titolo: Alessia Grossi - Ingrao, o la certezza del dubbio
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2007, 05:07:13 pm
Ingrao, o la certezza del dubbio

Alessia Grossi


Al Palazzo dei congressi domenica mattina il dubbio è se Pietro Ingrao arriverà alla presentazione del suo ultimo libro La pratica del dubbio, appunto. La voce della sua partecipazione inattesa agli Stati generali della sinistra che si svolgono in contemporanea all'altra Fiera, quella di Roma, infatti, comincia a serpeggiare tra la platea che lo attende all'Eur. Mezz'ora di ritardo e il dubbio che non ce la faccia ad arrivare in tempo per la conferenza sta per diventare certezza. Ma la luce dei flash dei fotografi e il lungo applauso che precedono Ingrao per i corridoi di Più libri più liberi illuminano la speranza degli astanti. Così contrariamente a quanto sospettato i dubbiosi si devono ricredere, il «vecchio anziano consumato tra le lotte e nato cento anni fa» - come lui stesso si definisce - non è riuscito neanche questa volta a scontentare i suoi, né politici, né bibliofili.
 
«La storia, la cronaca, l'evocazione della sconfitta, questo ho scritto in questo mio libretto». Così inizia Ingrao la sua lezione di «storia controfattuale» come l'ha definita il professor Santostasi nell'apertura al discorso dell'autore. Al posto della presentazione di quel «libretto smilzo ma intenso» l'autore di testi forse più pesanti come Volevo la luna si cimenta porgendo all'uditorio il suo occhio, l'occhio di colui che «vede l'inizio della storia del secolo scorso nell'assalto al Palazzo d'Inverno e nelle bombe su Hiroshima e Nagasaki, e mette questi eventi di fronte ad un'altra storia, la storia di cento anni di tempeste e di grandi invenzioni, ideologiche ma anche pratiche», la sua storia. Al posto di rifare il percorso che nel libro lo porta a considerare come l'inizio della fine «quel 1973 che ha dato il via alla globalizzazione capitalista» come evocato poco prima da Santostasi, Ingrao propone un'altra chiave di lettura del suo libro. «La Seconda Guerra Mondiale con le armi di distruzione di massa è stata il bigliettino da visita della rivincita della borghesia. La borghesia con Hiroshima e Nagasaki ha annunciato al mondo di essere capace di toccare quel livello di intervento nelle questioni del globo». E il vecchio comunista si fa venire in mente l'ennesimo dubbio. «Sarei curioso di sapere come si insegnano questi avvenimenti nelle scuole» e poi aggiunge. «Sull'altro crinale della guerra c'è la Rivoluzione d'Ottobre, il leninismo, che delineano un altro disegno per la storia, un altro mito che è stato anche il mio e di cui riconosco la sconfitta».
 
Ma per un uomo che «riesce a dare solo certezze» come suggerisce Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, non è sufficiente spiegare la disperazione della sconfitta. Ingrao suggerisce anche la soluzione. «Con il mio libro, però ho voluto dire che tutto questo è chiuso. A noi si presenta un altro quesito. Adesso? Adesso, come dico nelle ultime pagine del mio libretto l'autodistruzione continua - avverte Ingrao - la guerra continua, e continua con la teorizzazione della guerra preventiva. Laddove prima tra la guerra e la non guerra c'era uno spazio di riserva per la vita, oggi siamo davanti alla legittimazione della guerra preventiva di Bush». Il titolo del libro, La pratica del dubbio, seppure evocativo della annosa ricerca di Pietro Ingrao, non rende giustizia al contenuto. Nell'agile libretto non c'è niente che somigli al minimo dubbio, l'autore stesso lo conferma.
 
E sul finire della appassionata e appassionante lezione, quando proprio è necessario stringere e concludere il maestro delle lotte di un secolo ha un'esortazione per tutti: «discutere di ciò che è finito con la sconfitta e di come sia nata dal seno della borghesia la giustificazione della distruzione di massa che dura ancora oggi».
 
Poi, come sempre, con il pugno alzato e un bacio per la platea che lo applaude in piedi Pietro Ingrao conclude: «questo mio libro è l'allusione un po' disperata, e lo dico con una frase un po' retorica ma vera, alla scomparsa della parola pace da questo secolo».
 

Pubblicato il: 10.12.07
Modificato il: 10.12.07 alle ore 5.12   
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Titolo: Noi crediamo che l'impegno civile e politico possa riempiere degnamente una vita
Inserito da: Admin - Dicembre 14, 2007, 04:32:47 pm
Intervento all'Assemblea dell'8 e 9 dicembre

Noi crediamo che l'impegno civile e politico possa riempiere degnamente una vita

di Francesca Butturini*


In questi anni abbiamo condiviso con milioni di ragazze e ragazzi il sogno di un mondo più giusto, in cui il destino degli uomini non fosse asservito e piegato alla logica brutale del mercato e del profitto. In cui la guerra non fosse l’origine e la condizione permanente di un nuovo disordine mondiale, in cui la democrazia non fosse patrimonio e privilegio di una minoranza dell’umanità, in cui gli uomini e le donne non fossero merce ma cittadini. I Forum sociali e ecopacifisti mondiali e europei sono stati tappe importanti del nostro cammino. Le grandi mobilitazioni contro le guerre sono state la nostra piazza e le Marce per la Pace Perugia-Assisi sono state la nostra strada.

Abbiamo dato vita a grandi movimenti studenteschi. Assemblee, autogestioni e occupazioni, cortei e manifestazioni non sono state solo testimonianza effimera ma tappe concrete di un lungo percorso di partecipazione democratica che ha segnato positivamente una lunga stagione della vita politica e civile del nostro paese attraverso la quale abbiamo riportato la dimensione dell’impegno politico e sociale nelle scuole e nelle università, contribuendo a difendere e ampliare i diritti degli studenti e dando forma e senso a un nuovo concetto di cittadinanza studentesca.

Abbiamo iniziato a vivere in una Europa unita e in un mondo globale, in cui però tante sono ancora le frontiere da abbattere, materiali e immateriali, per realizzare una società multietnica e muticulturale in cui cittadinanza e diritti non siano solo un pezzo di carta in fondo a una lunga fila…

Abbiamo lottato contro tutte le mafie, contro la criminalità organizzata che uccide ogni giorno le speranze di cambiamento e di giustizia sociale di un’intera giovane generazione, impedendo –soprattutto nel mezzogiorno– ogni margine di crescita civile e democratica per i più deboli.

Abbiamo scoperto la necessità e l’opportunità di un diverso sviluppo sociale ed economico basato sulla tutela ambientale, salvaguardando le ricchezze e le risorse del nostro pianeta, che permetta nuove forme di occupazione legate a sistemi di produzione eco-sostenibili e a fonti rinnovabili.

Abbiamo difeso il diritto alla memoria storica delle nuove generazioni, in un Paese segnato da nostalgie e beceri revisionismi, contrastando nelle scuole, nelle università, nelle città i movimenti neo-fascisti denunciandone la propaganda revisionista e razzista, perché per noi nati dalla Resistenza il 25 Aprile è non solo un anniversario ma un impegno quotidiano.

Abbiamo lottato per difendere i diritti dei lavoratori, lottiamo per nuovi ulteriori diritti per chi, precario, vive fuori dal nesso lavoro-cittadinanza, o a chi come giovane donna rischia quotidianamente di essere penalizzata due volte: nella vita e nel lavoro. Abbiamo lottato per una diversa dignità del lavoro, liberato dalla piaga del precariato e per fare in modo che in un Paese fondato sul lavoro non si muoia più di lavoro. Già dalla prossima settimana, quando ci uniremo alla lotta dei metalmeccanici per la sicurezza sui luoghi di lavoro contro la vergogna delle morti bianche.

Abbiamo sognato e provato a costruire un mondo in cui le differenze di genere e di orientamento sessuale non fossero più condizione di disuguaglianza e di discriminazione, ma le caratteristiche di una società laica, libera, plurale.
Abbiamo pensato e praticato tempi e modi nuovi di fare politica, rinnovandola nei contenuti, nelle forme e nei linguaggi. Sentiamo l’esigenza di una Politica in grado di liberare le energie e le intelligenze delle giovani generazioni e di superare le incrostazioni gerontocratiche che contribuiscono a bloccare lo sviluppo sociale, culturale e politico del nostro paese. Una sinistra che sappia essere all’altezza del presente: per farlo,a soggetti in carne ed ossa va data centralità. Farsi percorso di emancipazione per le giovani generazioni: questa è la sfida che oggi la nuova sinistra non può permettersi di non affrontare.

Queste lotte sono le nostre lotte, le nostre vite, le nostre storie, la nostra generazione. Quella generazione che oggi sceglie di portare le proprie lotte, le proprie vite,  le proprie storie, individuali e collettive, dentro il progetto ampio e ambizioso di una Sinistra nuova, finalmente plurale e unitaria al tempo stesso...

E per noi giovani che crediamo che l’impegno politico e civile, citando Enrico Berlinguer, possa riempire degnamente una vita, questa nuova sinistra plurale e unitaria non può vivere senza passione e partecipazione di massa, senza il calore e l’anima dei sogni e delle speranze di chi queste lotte le intraprende giorno dopo giorno, senza la consapevolezza che esso serve, anche quando diventa sacrificio, a costruire una società diversa e migliore da quella in cui viviamo, più giusta e inclusiva, più aperta e democratica.
È questo l’impegno che oggi la mia generazione vuole iniziare a condividere con voi. E non può che farlo a Sinistra.

Sd Brescia

da sinistra-democratica.it


Titolo: Ora dobbamo incontrare la sinistra che c'è, quella fuori dai partiti
Inserito da: Admin - Dicembre 17, 2007, 03:36:20 pm
Dopo l'assemblea dell'8 e 9 dicembre non bisogna fermarsi, anzi occorre accellerare il passo (17 dicembre 2007)

Ora dobbamo incontrare la sinistra che c'è, quella fuori dai partiti

di Stelvio Antonini*


Ora tocca a noi che viviamo sul territorio. La scintilla dell'unità della sinistra è scoppiata a Roma l'8 e il 9 dicembre con la grande assemblea nazionale. Non è poco,  non era scontato che oltre 5 mila persone il primo giorno  e 10.000 la domenica arrivassero lì da tutta Italia.

C'erano i dirigenti nazionali e quelli di tutti i livelli che operano nelle città, nelle provincie e nelle regioni; c'erano soprattutto tanti giovani e ragazze e tanti “sconosciuti” che testimoniavano la grande domanda di unità che sale  dal popolo della sinistra più diffusa. C'erano tanti militanti di movimenti (a partire da quelli che lottano contro l'allargamento della base americana di Vicenza),  associazioni, circoli, organizzazioni delle donne, che si sentono di sinistra e che non credono nel PD. Tutti impegnati  in discussioni appassionate nei nove  forum  per riflettere sui grandi temi che segnano il nostro tempo: le guerre, i cambiamenti climatici, la globalizzazione che produce nuovi squilibri tra ricchi e poveri, i nuovi diritti di cittadinanza, il precariato selvaggio che caratterizza le condizioni del lavoro, soprattutto giovanile in Italia, ecc. Questioni planetarie sulle  quali si è confermata una grande visione comune, che rende ancora più paradossale la  frammentazione così forte della sinistra italiana.

Dopo quasi 20 anni, ormai, la sinistra per la prima volta imbocca la strada dell'unità. L'assemblea di Roma assume perciò un forte significato politico e consegna al territorio la responsabilità di camminare svelti, più svelti possibile lungo il percorso che si è aperto.
Passi indietro non sono ammessi,  i cittadini della sinistra non potrebbero passarci sopra  e, naturalmente, i gruppi dirigenti sarebbero giustamente travolti. 

Non possiamo  aspettare che il processo unitario  ci venga distillato dagli imput che possono arrivare dall'”alto”.

La sinistra ha bisogno di una nuova forza politica unitaria – come ha detto in modo accorato Pietro Ingrao a Roma-  che possa dare rappresentanza ai milioni di lavoratori, prima di tutto e che sia capace di pesare adeguatamente sulle politiche governative dei prossimi anni. E' urgente  far emergere le condizioni sociali, di lavoro, di cultura, morali, dei lavoratori per uno sviluppo equo della società. E' assurdo che all'interno di un governo di centro sinistra si debba combattere per cancellare la piaga del precariato o per far rispettare i tempi dei rinnovi contrattuali a milioni di donne e uomini che vivono con salari da fame o, ancora, per rispettare leggi antirazziali vigenti in tutta Europa. La sinistra deve contare di più.; deve assumere  le caratteristiche di una grande forza che sia in grado di governare con pari dignità nei confronti del PD. Le discussioni di questi giorni sulla riforma della legge elettorale mette, invece, in evidenza la voglia di autosufficienza dei partiti più grossi.
I tempi sono cambiati.  Nei decenni precedenti al 1990 il PCI poteva condizionare i governi nazionali e locali anche dall'opposizione. Oggi non è possibile dare risposte concrete alle popolazioni senza esercitare una funzione di governo, come abbiamo potuto sperimentare in questi anni anche nei governi locali o delle Regioni.

Ora, dunque, dobbiamo vedere qui, nelle Marche, le prossime tappe del percorso unitario delle forze che hanno dato vita alla “Sinistra, l'Arcobaleno”.
In questi giorni discutendo insieme il Bilancio della Regione abbiamo potuto constatare  orientamenti unitari anche  sulle esigenze di una nuova impostazione delle politiche regionali. C'è da riformare anche tecnicamente la struttura del bilancio. La regione non deve continuare a praticare forti spazi di gestione. Occorre, ad esempio, cancellare quella miriade di contributi ad Enti, organizzazioni, sagre e feste, oratori, associazioni. La Regione deve programmare e legiferare e valorizzare il ruolo dei comuni e delle provincie. Se si vuole introdurre una tassa sulla benzina, ad esempio, si dovrebbe al tempo stesso avviare una politica dei trasporti e delle infrastrutture radicalmente diversa.  Più ferrovie e autostrade del mare e meno devastazione del territori per strade, a volte non necessarie.  Più mezzi pubblici, meno auto private e pedonalizzazione dei centri storici per ridurre emissioni inquinanti nell'aria, come è stato stabilito a Bali nei giorni scorsi. Semplificare l'Amministrazione pubblica cancellando Enti, commissioni, livelli istituzionali che si sovrappongono, nati in altre epoche e che oggi costituiscono sprechi non più sopportabili. Siamo d'accordo su tutto ciò e su tanto altro. E allora avanti.

Prima tappa; costituiamo il gruppo consiliare della Sinistra, l'Arcobaleno in  consiglio regionale ( anche nelle provincie e nei comuni) con portavoce unico; seconda tappa:  le elezioni amministrative di primavera. A Porto S. Giorgio, Porto. S. Elpidio e Falconara  (comuni sopra i 15.000 abitanti) dobbiamo  lavorare per costruire liste uniche, con quel simbolo reso noto all'assemblea di Roma.  Si sono già  costituiti  coordinamenti  delle forze politiche in diversi comuni e in qualche  provincia, possiamo allora pensare all'apertura   di sedi unitarie.

Ora è necessario incontrare la sinistra organizzata fuori dalle forze politiche per mettere in calendario insieme una grande consultazione popolare sulla carta d'intenti approvata a Roma il  nove dicembre. Le forze politiche non devono commettere l'errore, come il PD, di considerarsi  “autosuficienti”, il vasto popolo della sinistra è soprattuto fuori: Dobbiamo trovarlo e renderlo protagonista.
Tutto ciò è fondamentale anche per abituarci a stare insieme, a confrontarci, a fare sintesi e a lasciare via via alle nostre spalle – come ha detto Oliviero Diliberto – le tensioni, le identità ,  le “orgogliose” differenze del passato.

*Coordinatore regionale Sd delle Marche

da sinistra-democratica.it


Titolo: Il Pd a Roma non è autosufficiente.
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2007, 10:01:51 pm
Il Pd a Roma non è autosufficiente.

Quel che è peggio, non è autonomo
Unioni civili: la libertà e i diritti civili sacrificati su quale altare?

di Massimo Cervellini*, Roberto Giulioli**
(19 dicembre 2007)


43 voti contro 12 a favore: con questo voto il Consiglio Comunale di Roma ha respinto le delibere, una di iniziativa consigliare e una popolare che ha raccolto le firme di oltre 10.000 romani, per la istituzione del Registro delle Unioni di fatto.
Una maggioranza anomala,dal PD ad AN passando per Forza Italia. Una maggioranza prona ai poteri forti di questa città, quelli vaticani, che nei giorni precedenti avevano in maniera netta detto no anche a un ordine del giorno del PD.
In questi mesi, in queste settimane Sinistra Democratica è stata protagonista di un continuo tentativo di mediazione tra le varie anime del centro sinistra romano per trovare una soluzione.
Abbiamo lavorato a emendamenti che accogliessero le soluzioni proposte dal Vice Sindaco Garavaglia, abbiamo proposto ordini del giorno che segnalassero al Parlamento la volontà della città di Roma di ottenere una legge sulle unioni di fatto, abbiamo smussato, tolto le virgole le frasi più indigeste a questo e a quello.
Nulla da fare.
Tutto si è andato ad infrangere sul muro veltroniano degli impegni assunti dal Sindaco, nonché Segretario Nazionale del PD, con Bertone e Ruini.
Roma non è una Città qualunque.
E non perché sia la città di Benedetto XVI° come ha detto la Senatrice Binetti. Roma è la Capitale D’Italia, stato libero e laico. Il punto è tutto qui: il Partito Democratico non vuole a Roma il registro delle unioni civili e non vuole che il nostro Paese si doti di una legge europea, che garantisca giusti diritti a donne e uomini, coppie e figli di queste coppie. L’ordine impartito dal Vaticano al Sindaco – Leader non ammetteva margini di autonomia, tanto meno ragionamenti nel merito, seppure scevri da venature ideologiche.
Roma, infatti, ha un Sindaco eletto da oltre il 65% dei romani, che ha fatto dell’inclusione sociale e civile uno dei suoi simboli per l’azione di governo.
In verità, è da tempo che assistiamo ad una involuzione nella cultura politica del Sindaco.
Il modello Roma è ormai piegato verso una remissività concreta e fattiva con i vari imprenditori romani (Caltagirone, Todi, etc etc) e una totale passività di fronte alle gerarchie d’oltretevere: il PD romano,sottomesso a Bettini e Veltroni, è democristianizzato in tutti i sensi.
Nella sua cultura politica, questo emblema è rappresentato dalla elezione a Segretario Romano dell’ex popolare Riccardo Milana, e dalla offensiva che tutti gli ex margherita ( con in testa l’Assessore D’Ubaldo e il Consigliere Piva) sui temi etici e valoriali.
Di più: Veltroni, nella sua ossessione di vincere a mani basse, ha caricato nella sua carovana tanti ex di forza Italia, ex democristiani, liste moderate e ultra moderate a tal punto che il Consiglio Comunale di Roma vede oggi una maggioranza di centro sinistra spesso aggirata da una maggioranza trasversale, moderata e clericale, che determina, blocca, modifica a suo piacimento provvedimenti importanti per la città.
E’ il crepuscolo del modello Roma, si incrina il rapporto tra Veltroni e una parte della città quella laica e di sinistra.
Penso che quando si arriva a rifiutare anche i contenuti del proprio programma, si sia di fronte ad una modificazione oggettiva della propria collocazione politica.
Ora la Sinistra romana deve riflettere: rivalutare e rimodellare il proprio impegno e la propria collocazione nel quadro della maggioranza capitolina, valutandone nelle scelte concrete la sua esistenza.
Dall’altra non eludere il senso di questa dura- nei numeri – sconfitta.
Ripartire dai conflitti sociali, dalle disuguaglianze civili,ricostruire il tessuto connettivo di un rapporto profondo con la città e con i romani e muovere da qui per una nuova stagione politica.
Che non potrà non essere all’insegna della sua unità, pena la sua scomparsa, o la sua residualità.
In questi mesi a Roma abbiamo costruito, sulle cose concrete, in Campidoglio come nella città, una unità d’azione leale e trasparente che ora non deve essere dispersa ma anzi proposta nella sintesi di una lista unitaria della Sinistra e dell’Arcobaleno alla Provincia di Roma.

                                                                           
* Coordinatore Sd Roma
**Capogruppo Sd Comune di Roma                                 

da sinistra.democratica.it


Titolo: Stefania Rossini - Sono Mussi e faccio la prima mossa
Inserito da: Admin - Dicembre 20, 2007, 10:09:47 pm
Sono Mussi e faccio la prima mossa

di Stefania Rossini


Si dice felice della scelta di sinistra. Critica il percorso del Pd.

Rivendica il suo primato nell'affrontare temi trascurati dalla politica.

E afferma di avere rivoluzionato il ministero. Parla il leader della Cosa rossa


Fabio Mussi è uomo capace di giocarsi un amico per una battuta e un partito per un'idea. Poi magari li recupera entrambi, o se ne fa di nuovi. Di amici e di partiti. È andata così con D'Alema, che venne sostituito da Veltroni dopo una vita da 'fratelli gemelli', va così con quel Partito democratico che non è riuscito a considerare a sua misura. "Più guardo il Pd e più sono contento di stare qui", dice oggi che capeggia, un po' in condominio per la verità, la neonata federazione di sinistra. Se c'è un piacere nel fare politica, se quel piacere è socialità, intelletto e sfida, Mussi li incarna e li trasmette più di tutti gli altri.

Tanto che, pure nell'occasione di un'intervista sentimentale, non rinuncia a irretire l'interlocutore con linguaggio erudito e vezzi toscani per convincerlo che è lì, nel suo percorso di vita e di battaglie politiche, la strada giusta e la verità della sinistra. Specie adesso che si trova a ricominciare da capo.

Allora, Mussi, è soddisfatto di questa nuova Cosa rossa?
"Stabiliamo la par condicio. Accetto di chiamarla Cosa rossa se il Partito democratico viene chiamato Cosa grigia. Il nome vero è La sinistra-l'arcobaleno".

Certo che se nel Pd hanno fatto un matrimonio, voi avete messo su una comune. Lì ci sono già conflitti di coppia. Qui che convivenza sarà?
"Mi auguro buona. Noi ci definiamo un 'soggetto unitario plurale federativo'".

Appunto.
"Conosco comuni, come quella berlinese di Rudy Dutschke, che produssero idee niente male".

Ma finirono presto. La vostra quanto durerà?
"Si vedrà. Saremo un riferimento per chi non vuole abdicare alla propria identità, ma una forza a sinistra del Pd sarà utile a tutto il sistema politico italiano".

Non si sente un po' solo? Eravate un gruppetto: lei, Fassino, D'Alema, Veltroni...
"Ricorda Camus? Il riferimento mitico del socialismo era Prometeo, l'uomo che ruba il fuoco agli dei. No, dice Camus, è più adatto Sisifo, costretto a riportare sempre la pietra in cima alla montagna".

Sisifo naturalmente è lei.
"Soltanto perché è di nuovo rotolata a valle la pietra che avevamo trascinato in cima alla montagna con la svolta del 1989".

Chi l'ha buttata giù?
"Un po' tutti. Ora il gioco è a chi mette la bandierina sulla montagnola come si faceva da ragazzi: faccio tutto io, ho la vocazione maggioritaria, eccetera. Ma allora come ora, si tratta di collinette di sabbia".

Sembrava che il leader naturale di questa sinistra arcobaleno fosse lei. Poi è arrivato Vendola. È un destino. Come con D'Alema, c'è sempre un candidato più candidato di lei.
"Guardi che questa frenesia di dirigere io non ce l'ho. È più interessante influire sugli eventi senza il bastone del comando".

Si sente anche un Richelieu?
"No, perché lui agiva nell'ombra. Io rompo gli schemi apertamente. Nel partito sono stato il primo a porre questioni nuove: il nucleare, l'ambiente, la caccia...".

Finirete anche voi per fare le primarie?
"Non credo che sia una politica buona quella che vive rivolgendosi di tanto in tanto al popolo. Se oggi tutto marcia su televisione e plebiscito, grazie, io scendo".

Lei ha altre proposte?
"C'è una frase strepitosa di Oscar Wilde: 'Sarebbe bello fare il socialismo, ma porta via così tante serate!'. Io ho passato quasi tutte le serate della mia vita nelle sezioni, nei cinema, nei teatri, nelle piazze".

Le rimpiange così tanto?
"Non ho mica smesso. Ma quelle discussioni interminabili sono state la parte migliore della politica, quella che ha influito di più sull'Italia moderna".

Ma di che cosa si parla oggi? Con le grandi speranze non sono scomparsi anche i grandi temi?
"Tempo fa mi è arrivata una lettera di un operaio di Piombino che diceva: 'Non vi seguo più, ormai vi occupate soltanto di carcerati, di finocchi e di negri'".

Un po' è vero. Che cosa gli ha risposto?
"Quello che rispondo a lei. C'è una sostituzione di valori che deriva da un'assenza. Gli operai sono spariti, cancellati. Eppure sono sette milioni. Un pezzo di società che tu non vedi più. Così finisce che anche loro non ti vedono più".

Sta rimpiangendo l'operaismo?
"Per carità! Quella era roba per gente che guardava la classe operaia come gli antropologi guardano le tribù amazzoniche. Io voglio ridare centralità al lavoro, continuando a difendere i negri e gli zingari".

Fabio Mussi e Walter VeltroniDimentica gli omosessuali.
"Figuriamoci. Tra i comunisti sono stato il primo a occuparmi dei loro diritti. Nel 1988 andai a un convegno dell'Arcigay organizzato da un giovanissimo Grillini...".

Insomma, è stato il primo in tutto?
"Io leggo, mi informo, sono curioso. E precedo gli altri. Nelle cose migliori che ho fatto sono sempre stato guardato come un tipo bizzarro. Ma questo mi ha aiutato, perché un tempo venivano cooptati i giovani migliori, che coincidevano con quelli che rompevano le scatole. Ora bisogna essere dei cortigiani e si aprono carriere solo ai conformisti".

Questa società non le piace proprio, eh?
"C'è un'evaporazione culturale e morale impressionante. E tutto un mondo di seconda mano: un po' di tecnologia, un po' di apologia di mercato, un po' di magia, un po' di pregiudizio, un po' di religioni. È un bricolage. Lo diceva già Adorno, uno dei miei autori. Sa che ho fatto la tesi su di lui?".

Lo dice spesso. Non tiene nascosti i suoi successi scolastici.
"Tutti nove e dieci al liceo, terza pagella d'Italia alla maturità. Non ho mai capito chi fossero gli altri due. Poi concorso alla Normale: sesto posto nel 1967".

E qui si sa il nome di chi l'ha preceduta...
"Già, D'Alema. Comunque in quelle scuole per figli di professionisti, per me farcela è sempre stato un punto d'onore. La mia era una famiglia di operai convinti di essere un'aristocrazia, portatrice di un principio morale".

Anche la povertà era un valore?
"No, ma eravamo poverissimi. Mio padre divenne improvvisamente cieco e vivemmo per anni con il sussidio di disoccupazione. Per intenderci, si progettava di comprare un paio di scarpe due anni prima".

Quindi fu uno sgobbone per riscattarsi?
"Neanche per sogno. Io apprendo facilmente. Al liceo facevo pallavolo, calcio, mezzofondo, atletica, vela, e studiavo la mattina all'alba. Poi all'università, tra amori e politica, non ho più dormito".

È lì che ha conosciuto sua moglie?
"No, mi misero quella bellezza seduta accanto in quarto ginnasio. Stiamo insieme da quarant'anni ed è ancora una bellezza".

Lei è capace di non temere il tempo che passa?
"Sì perché ho un eccellente rapporto con la morte. Salvo in sogno, per la verità".

Che succede in sogno?
"Catastrofici incidenti aerei, ma molto spettacolari, da film americano. Qualche volta ci rimango secco, altre volte no. Ma sospetto di farli per gustarmi lo spettacolo".

Ha due figlie che lavorano all'università. Non teme un conflitto di interessi?
"Io sono stato cooptato. Loro c'erano già. Erano precarie e precarie sono rimaste. Ma nel frattempo mi hanno dato due stupende nipotine".

Invece lei che ha fatto in questo anno e mezzo da ministro?
"Una rivoluzione. Ho fermato la proliferazione delle sedi, ho bloccato i concorsi per ordinari e ho aperto quelli per ricercatori. Ho mandato in pensione i vecchi professori all'età giusta e dal prossimo anno farò partire l'Agenzia di valutazione. Risultati buoni, premiati. Risultati cattivi, puniti".

Posso chiederle perché tiene da sempre quei baffi e quei capelli che la fanno somigliare un po' a Hitler, un po' a Günter Grass?
"La fisiognomica è una scienza medioevale. Ma lei almeno è benevola, Berlusconi sostiene che sembro un salumiere".

Glielo ha detto in faccia?
"No, ha fatto circolare la voce. L'unica volta che l'ho visto in privato era il 1996 ed era occupato a compiacermi".

Racconti tutto.
"Lo faccio per la prima volta e solo perché si è riaperta la compravendita. Dunque Berlusconi, che considero importante nel senso che basta guardare lui per sapere come non deve essere l'Italia, mi invita a cena. I suoi consiglieri sono tutti lì a dire quanto sono bravo colto e intelligente. A un certo punto lui mi sussurra: 'Ah, con le sue qualità, se lei solo volesse..'".

Che cosa gli ha risposto?
"Così: 'Lei pensa che tutti abbiano un prezzo e invece sarà fregato da quelli che non ce l'hanno'".

E sicuro che andrà a finire così?
"Ci conto".

(19 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it


Titolo: Vincenzo Vita - Se la sinistra attacca Veltroni
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2007, 10:05:34 pm
Se la sinistra attacca Veltroni

Vincenzo Vita


C’è da riflettere seriamente sulle ultime vicende che hanno diviso il consiglio comunale di Roma, dalle unioni civili al tema dei viaggi di studio per conoscere la tragica storia delle foibe.

Argomenti ovviamente tanto diversi. Tuttavia una lezione da trarne esiste. E riguarda un punto delicato della politica italiana: se ogni occasione è buona per mettere in difficoltà il processo costituente del partito democratico (e il sindaco di Roma, che del Pd è il segretario). Attenzione. Questo non significa eludere le critiche o sorvolare sui limiti del partito in fieri. Ma qui non c’entra. Sembra davvero che vi sia un pre-concetto: quanto più è in difficoltà il Pd tanto più aumenta la presa della Sinistra-Arcobaleno. Non è così. Anzi.

Le due costituenti (e non sembri un paradosso) vanno di pari passo. È un insieme interconnesso. E il dialogo deve continuare, riconoscendo le differenze, ma ben sapendo che il confronto positivo tra le due aree è la condizione per rinsaldare la maggioranza in grado di governare il paese. Ecco perché non si comprende la strategia politica sottesa alla dialettica che ha avuto il suo epifenomeno in Campidoglio. Forse che sulle unioni civili - obiettivo laicamente sacrosanto - si è fatto un passo avanti? O si è lasciata una traccia positiva su una pubblica opinione già sconcertata e amareggiata, riaprendo persino la discussione ormai da tempo definita sulle foibe?

Tra l’altro, la “sinistra critica” ha sempre avuto un atteggiamento molto netto nei riguardi delle storture dei cosiddetti stati “post-rivoluzionari”. Ma andiamo. Dove sta qui l’essere o meno di sinistra? Dobbiamo tutti stare attenti. Ogni prospettiva (non l’una o l’altra) rischia di logorarsi e di svanire se non si riconsegna alla politica autorevolezza e credibilità. Con l’evidente pericolo di dare argomenti ad una destra divisa e in chiara difficoltà. O di far costruire “a tavolino” una posizione nello stesso variegato universo del Pd di integrismo cattolico sugli argomenti della “biopolitica”, a cominciare proprio dalle unioni civili. O, in generale, sull’irrinunciabile carattere laico della sfera pubblica. Il caso di Roma è emblematico. Il doveroso (e convinto) rispetto delle posizioni non può significare indulgenza verso tentazioni distruttive. Si tratta, piuttosto, di cercare sugli argomenti di maggiore delicatezza sedi di dialogo e di intreccio tra storie e sensibilità diverse. Nella stagione post-ideologica valori di riferimento e pratiche o comportamenti concreti si coniugano e si fondono, fino a divenire la stessa cosa. La vecchia impostazione, tipica di un modello di politica che ha concluso il suo corso, fatta di proclami altisonanti e di “routine identitaria” non ha senso. E porta acqua alla decostruzione del discorso politico. Serve un salto di qualità, per evitare di sprecare la straordinaria occasione offerta dalle mobilitazioni recenti (le primarie del Pd, la manifestazione dello scorso 20 ottobre). Per tornare al punto di partenza - Roma - c’è da sottolineare che il “modello” della Capitale è un riferimento di grande rilievo e ha dato un contributo significativo alla riscossa prima, alla vittoria successivamente del centrosinistra. Indebolire simile riferimento è un esemplare esercizio di masochismo, da lasciare augurabilmente a qualche simpatica caricatura televisiva. Tanto più che si approssima la scadenza elettorale della Provincia di Roma, passaggio cruciale ieri e ugualmente domani per la politica italiana. È il caso, quindi, che qualche brutta pagina sia chiusa, per il bene di tutti e anche della sinistra plurale.

Pubblicato il: 27.12.07
Modificato il: 27.12.07 alle ore 8.19   
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Titolo: La sinistra rilanci l’Unione e il Governo qualificandone l’azione
Inserito da: Admin - Dicembre 28, 2007, 04:37:41 pm
"Rispettare il mandato elettorale ricevuto".

E' la risposta del sottosegretario all'economia alle dichiarazioni di Lamberto Dini

La sinistra rilanci l’Unione e il Governo qualificandone l’azione

di Alfiero Grandi*


Nell’affermare che il Governo non avrebbe più i numeri al Senato, Dini, forse, trascura che è stato eletto, proprio al Senato, per sostenere  Prodi e il governo di centro sinistra e, per di più, sulla base del programma concordato dall’Unione. In altre parole, non sostenere il Governo, anche se criticamente, sarebbe un venir meno al mandato e un cambio di fronte che andrebbe contro il mandato ricevuto dagli elettori. Un conto è criticare, votare per proprio conto su aspetti anche importanti, un altro discorso è cambiare fronte, cosa del tutto inaccettabile che dovrebbe portare, come minimo, a rinunciare al mandato parlamentare.

Se si guarda oltre il problema dei comportamenti, che pure è rilevante, occorre dire che la proposta di sostituire al governo Prodi un altro governo non di centro sinistra, chiamato a secondo dei casi istituzionale, di larghe intese o altro ancora, ha come unico risultato rimettere in gioco Berlusconi, e per di più senza avere risolto nè il conflitto di interessi, nè la questione televisiva, quest’ultima apparsa nella sua gravità adesso che è emersa la trama di rapporti che hanno  condizionato e, forse tuttora, condizionano la Rai.

Rimettere in gioco Berlusconi in questa situazione è assolutamente irresponsabile e sicuramente contro il mandato elettorale indicato dal popolo di centro sinistra con il voto. Inoltre, come non vedere che l'agguato al Governo viene portato proprio ora, quando la parte più difficile del lavoro di risanamento è alle spalle ed è iniziata, anche se ancora in modo appena delineato, una fase nuova?

La finanziaria 2008 contiene novità rilevanti sia nella direzione dei redditi delle famiglie sia verso le imprese. Sono soltanto i primi passi che, però, indicano una svolta, che deve diventare sempre più netta e forte e che sarà caratterizzata, anzitutto, dall'alleggerire il peso fiscale sui redditi da lavoro dipendente, già dal prossimo anno, attraverso  l’impegno a utilizzare il prevedibile extragettito fiscale del 2008, in questa direzione. Naturalmente il potere d'acquisto dei salari che, soprattutto, per i livelli più bassi, è diminuito nel tempo, si rivaluta, anzitutto, attraverso il rinnovo dei contratti di lavoro, rafforzando la contrattazione aziendale e, anche, con il contributo dell'alleggerimento della pressione fiscale.
Ora, è del tutto chiaro che impegni come questo verso i lavoratori dipendenti, pur con tutte le difficoltà prevedibili, solo questo governo è in grado di mantenerli, mentre un cambio di quadro politico porterebbe a scenari completamente diversi e certamente meno favorevoli, oltre che più incerti, per i lavoratori.

La stabilità politica è, dunque, decisiva per poter, tutti insieme, controllare una graduale ridistribuzione del reddito a favore dei lavoratori e delle aree sociali più deboli, e puntare su una concentrazione di impegni finanziari in materia di qualità de lavoro, degli investimenti e quindi dello sviluppo, partendo da un impegno sempre più forte nella scuola, nell’università, e nella ricerca.

Quindi, la stabilità politica è un bene prezioso, mentre altre prospettive, per forza di cose, porterebbero a rimettere in gioco Berlusconi e il centro destra, che è esattamente il contrario del mandato elettorale ricevuto dal centro sinistra, e, inoltre, rimetterebbero in discussione i risultati, faticosamente ottenuti, che consentono di guardare con fiducia al futuro.

La sinistra deve quindi  scegliere con nettezza di lavorare per la tenuta e la qualificazione del quadro politico di centro sinistra, che è esattamente il contrario dell’imbarcarsi in altre avventure politiche che non hanno certo l’obiettivo di rispondere alle esigenze dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli. Le posizioni di Dini confermano che la sinistra deve più che mai sviluppare una iniziativa politica per rilanciare l’Unione e il Governo, e per qualificarne l’azione. Certo ci sono anche ragioni di insoddisfazione, ma contribuire a fare saltare il “banco” sarebbe un grave errore, perché il tentativo di affossare il Governo ha di mira proprio l’emarginalizzazione dei sindacati, la conferma di una subalternità più che mai classista per i lavoratori. Aiutare chi vuole far saltare tutto sarebbe un errore imperdonabile. Un conto è agire, anche criticamente per migliorare, correggere l’azione del Governo, altro è lavorare per la sua caduta. Se il centro sinistra confermerà, in misura larga, la  volontà di procedere in questa direzione, chi vuole interrompere questa esperienza dovrà assumersi, fino in fondo, le sue responsabilità di fronte al Paese e forse a quel punto si renderà conto di avere lavorato, si spera inutilmente, per il re di Prussia


da sinistra.democratica.it
(27 dicebre 2007)


Titolo: SINISTRA DEMOCRATICA Prosegue l'impegno di Sd per la politica pulita in Calabria
Inserito da: Admin - Gennaio 03, 2008, 05:29:56 pm
Prosegue l'impegno di Sd per la politica pulita in Calabria (2 gennaio 2008)

Il progressivo degrado politico-sociale a Crotone allarma anche la chiesa

di Rita Anania*


A voler considerare il punto di vista  dell’antropologia culturale c’è solo da dire “si salvi chi può!”, dal momento che  il 2008 sarà un anno bisestile, notoriamente foriero di eventi non particolarmente felici. Fuori dalle metafore, l’anno che verrà si prospetta autonomamente portatore di vecchi problemi irrisolti e l’aggravante di conseguenziali nuovi e, si prevede, più gravi.
Quando in uno Stato laico, in cui, come già auspicava il buon Padre Dante nel “De Monarchia”, Stato e Chiesa svolgono ruoli autonomi, e quest’ultima esce allo scoperto denunciando problemi esistenziali di enorme gravità, allora c’è di che allarmarsi. Se lo Stato e le istituzioni che lo rappresentano, a livello centrale e periferico, deve fare i conti con le ferme reprimenda dei rappresentanti dell’Ecclesia, sembra giunto il momento di una decisa inversione di rotta. Siamo arrivati al punto che l’Europa, e non solo, scoperchia “il Vaso di Pandora” ricordandoci che viviamo in “un’Italietta” preda di pericolosi personalismi e non  abbastanza “coraggiosa”. La nostra gloriosa Italia sta avvicinandosi al novero dei paesi in declino e non oso pensare alle conseguenze.
Il nostro Governo centrale sembra  più occupato a salvaguardare la propria sopravvivenza, a scapito della risoluzione dei reali, impellenti problemi che ci accartocciano. 
Serve più “coraggio”, serve liberarsi dalle pastoie dei ricatti più o meno palesi dei “defensor della vis politica”, perché se non si adottano seri ed efficaci provvedimenti, la deriva è dietro l’angolo.
 La politica del sociale e dell’equanimità deve assolutamente essere centrale e la politica stessa deve assolutamente liberarsi di lobby, caste e quant’altro condiziona (o dirige!) la vita del paese.
Una vera democrazia moderna e globalizzata  deve guardare al bene e all’interesse di tutti, specie degli ultimi e non salvaguardare connivenze compromettenti.
Verrebbe da dire “se Sparta piange, Atene non ride”, nel senso che, mentre il Governo centrale “decide di non decidere” sui grandi temi sociali, nelle o in alcune realtà provinciali o regionali la situazione è anche peggiore. Nella nostra provincia crotonese, gli eterni problemi irrisolti sembrano ingigantirsi per la colpevole inefficienza di una classe (!) politica che, a dire del Vescovo di Crotone, non solo è assente, ma addirittura sembra ridotta ad una triarchia o tetrarchia “che tiene in scacco la città”, e che oltretutto “sono figure non  degne di rappresentarci”. Sono parole forti, tanto più preoccupanti, quanto più provengono da una figura schiva e priva di albagie: se è uscito allo scoperto in un incontro ufficiale con la stampa, è segno che la misura è colma. Non si tratta più di mafiosità o clientelismo ma di una necessità di inversione di rotta, di considerare attentamente i reali, pressanti problemi sociali da sempre oggetto della sinistra, spesso liquidata troppo “estrema”, per non dover ammettere  che mette il dito nella piaga ed attenziona  problemi che rischiano di sfuggire  ad ogni controllo.
 Senza voler essere blasfema o fare del facile populismo, sembra sintomatico che le denunce dell’autorevole voce  della chiesa e della Sinistra Democratica, seppure con le dovute differenze, vadano nella medesime direzione e si pongano un obiettivo comune minimo: equità sociale, rispetto delle differenze, ricerca  del bene comune, ripristino delle regole di convivenza civile, attraverso una classe politica libera, autonoma da qualsivoglia condizionamento e personalismo.
Se riusciremo a sincronizzare obiettivi e metodi, “il sole 24 ore” e gli altri organi autorevoli preposti a classificare la qualità  della vita della città, sicuramente saranno “ costretti” ad attribuirci un posto in graduatoria decisamente onorevole, come del resto la nostra storia e la nostra cultura richiedono.

                                                                                                                   
*del Comitato Promotore Nazionale
                         

da sinistra-democratica.it


Titolo: Francesco Indovina - Unire la Sinistra e fare presto
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2008, 06:31:32 pm
Lettera aperta ai quattro segretari pubblicata da Il Manifesto l'8 gennaio 2008

Unire la Sinistra e fare presto

di Francesco Indovina


Cari compagni e caro amico,

gli “stati generali” di dicembre avevano fatto sperare, almeno per le parole pronunziate da alcuni di voi in quella stessa riunione, in un processo di unificazione rapido e fortemente voluto. Ad una sorta di stato di necessità è sembrato sostituirsi la consapevolezza che il passato di divisioni stava alle spalle e che era possibile costituire un soggetto politico nuovo e unitario.

Un soggetto politico che garantisse voce al lavoro, in tutte le sue articolazioni, e ne difendesse e migliorasse le condizioni; che si ponesse l’obiettivo non tanto di conservare lo “stato sociale” ma di costruirlo, il compianto Federico Caffè questo ci ricordava costantemente, tenuto conto delle nuove esigenze e dei mutamenti intervenuti nella società e nella struttura demografica (non minor stato sociale, ma migliore e più adeguato); che si facesse portatrice della ricostruzione della legalità in tutto il paese; che sapesse individuare una politica industriale in grado di garantire crescita, ammodernamento e rispetto per l’ambiente; che sapesse ampliare i diritti di cittadinanza compresi quelli all’informazione e alla partecipazione; che impegnasse il governo ad una politica estera di pace.

Gli stati generali ormai sono dell’anno scorso, ma il nuovo anno non ci porta niente di buono. Mi si potrebbe dire che la “gatta frettolosa fa i gattini ciechi”  ma un parto troppo prolungato può uccidere  madre e neonato e … fa stancare e addormentare i parenti e amici.

Era sembrato che l’invito a “far presto” che insistentemente Pietro Ingrao ci ha fatto, anzi vi ha fatto, non sia stato colto per il suo contenuto politico, ma attribuito all’esigenza di chi ha poco tempo.

Non deve essere difficile, almeno per tre delle quattro formazioni, mettersi insieme; sono unite da una tradizione che sebbene vissuta e ripensata  in modo diverso, ha radici profonde e sicure.  Si capisce che per i Verdi la questione è più complicata, ma se non hanno consapevolezza che solo nel nuovo soggetto politico le loro esigenze possono trovare un collocazione vitale, non è possibile … morire (politicamente) con e per loro.   

Fra pochi giorni ci sarà la verifica (che si spera non sia infausta), ma il “nuovo” soggetto politico parlerà … a quattro voci. Così come per la riforma elettorale, dove chi difende i piccoli partiti non lo fa per affermare un principio democratico ma per un riflesso soggettivo, il che non depone a favore dell’unificazione dato che La sinistra l’arcobaleno non sarà, se sarà, un piccolo partito. 

Non solo non c’è tempo, ma il tempo lavora contro. La nuova formazione ha bisogno di  entusiasmo, di mobilitazione, di attenzione, non di sfilacciamento, di temporeggiamento, questo lavora contro nella società e dentro di ciascuno.  Di questo non vi occupate, ma cosa credete che i compagni aspettano. La sola idea di costruzione di una sinistra unita aveva acceso gli entusiasmi e aveva richiamato all’impegno molti. Ma il tempo passa e gli entusiasmi si affievoliscono e l’impegno non si sa dove … collocarlo.

Tutti sappiamo che è complicato e difficile, che unirsi è molto più oneroso che dividersi, ma presuntuosamente si può dire che la società italiana di questa unione ha bisogno e ne sente l’esigenza. Fuori dal teatrino politico dentro i problemi.

Non ho altro titolo per scrivervi se non quello dell’entusiasmo che l’idea di un nuovo soggetto politico di sinistra mi ha sollecitato. Non potete mortificare me e tantissimi come me, anche perché la mortificazione della mia carne ricadrà su di voi.

Non faccio circolare questa lettera, ma siate certi che potrei raccogliere centinai di firme sotto l’esigenza del far presto.

Auguri e saluti

da sinistra-democratica.it


Titolo: Aly Baba Faye - L’offerta politica di Barack Obama
Inserito da: Admin - Gennaio 08, 2008, 06:32:48 pm
Con questo articolo cominciano una sorta di "diario" sulle primarie americane (8 gennaio 2008)

L’offerta politica di Barack Obama

di Aly Baba Faye*


Oggi ci sarà nello Stato di New Hampshire il secondo round della battaglia delle primarie per la conquista della Nomination per la candidatura dei democrats per l’elezione presidenziale americani. Nel frattempo i sondaggi prefigurano una conferma del vantaggio a due cifre a favore del nuovo front runner Barack Obama già vincitore caucus dell’Iowa di giovedì scorso. Ora è presto per fare delle valutazioni definitive su una campagna ancora lunga. Tuttavia ci sono alcuni segnali importanti e qualche da significativo è già emerso relativo al fenomeno Obama e alla sua dote politica. Da un lato una forte innovazione sul piano organizzativo e della comunicazione e dall’altra una linea politica nuova non tanto sul piano dei contenuti veicolati che in fondo si richiamano al tradizionale American Dream ma l’innovazione sta proprio nel fatto che egli insiste su questo aspetto come un patrimonio comune che prescinde dalle divisioni etniche e di classe andando anche oltre le vecchie divisioni partitiche che hanno creato l’ingorgo a Washington. Per quest’ultimo aspetto c’è persino qualche editorialista che avanza l’ipotesi di post-partitismo (over partisanship) che si tradurrebbe in una nuova coalizione di democratici, repubblicani e indipendenti. Il suo non è un nazionalismo spicciolo ma una nuova cittadinanza comunitaria dove le istanze collettive non soffocano la libertà individuale ma neanche quest’ultima deve minare le basi sociali della convivenza. Appunto una comunità di individui uguali in termini di diritti e opportunità e dove tutti abbiano la consapevolezza di essere nella stessa barca e ciascuno possa pensare di essere responsabile per l’altro. Obama è convinto che le sfide che l’America sta affrontando non possono essere giocate con logiche di parte ma con una mobilitazione straordinaria di tutta la comunità. Appunto e pluribus unum una comunità al di là di ogni singolarità. Quindi il suo è un richiamo all’unità nazionale cui sembrano voler rispondere molti cittadini democratici, repubblicani o indipendenti. Un messaggio che ha un forte appeal pieno di fascino per un popolo stufo dei giochetti della politica politicante. Questo sua idea spiega lo stile pacato e il rifiuto del cadere nella politica urlata e nel cinismo. Qualcuno ha scritto sulla leadership di Obama che egli è “un foglio bianco sul quale ciascuno scrive i propri desideri” un’affermazione che, al netto di ogni possibile considerazione negativa, può spiegare l’idea di una nuova politica. Una politica in cui la gente può contare e contribuire alle grandi sfide collettive. Se ci riuscirà o meno non è dato saperlo per ora ma quel che è certo fin da ora è che la politica è cambiata in America e con essa la società americana a partire da una nuova visione della cittadinanza. Una cittadinanza dell’uguaglianza e delle opportunità, una cittadinanza delle libertà per ciascuno e per tutti che faccia cadere le barriere sociali, razziali e religiose, e di genere ecc.  E’ questo approccio che spiega anche la sua visione del mondo e la sua idea di politica estera. Obama pensa ad un ruolo importante degli USA nel mondo, una leadership basata non sulla paura ma sul rispetto. Per questo prefigura un nuovo corso della diplomazia americana che non può basarsi esclusivamente sulla forza militare ma sul dialogo e sull’esempio. Vuole chiudere Guantanamo che definisce una vergogna, vuole il ritiro delle truppe americane dall’Irak e invita Washington ad avviare trattative con l’Iran per trovare soluzioni consensuali sul nucleare e contestualmente al rilancio di una politica di disarmo. Insomma Obama ha una visione su cui sono in molti a voler scommettere forse la formula che potrebbe sintetizzare meglio la sua offerta politica è il richiamo ad un umanesimo cosmopolita nell’era del globalismo. In questo lo ha aiutato molto la sua biografia.

DA SINISTRA-DEMOCRATICA.IT


Titolo: PAPA: GIORDANO, TRISTEZZA PER POLITICI IN CERCA DI LEGITTIMAZIONE
Inserito da: Admin - Gennaio 20, 2008, 11:29:47 pm

PAPA: GIORDANO, TRISTEZZA PER POLITICI IN CERCA DI LEGITTIMAZIONE

PERDITA DI IDENTITA' PROGETTUALE NON C'ENTRA CON I FATTI DE 'LA SAPIENZA'


Roma, 20 gen. (Adnkronos) - ''Suscita una certa tristezza vedere tutto l'establishment politico del centrodestra utilizzare l'Angelus del papa a fine di china polemica politica interna.

Cosi' come la perdita di autonomia complessiva di una classe politica che dimostra sempre piu' un deficit di identita' progettuale e che cerca sistematicamente una fonte di legittimazione esterna dalle gerarchie ecclesiastiche. La qual cosa non ha relazione alcuna con le note vicende della 'Sapienza'.

E' questo il segno di un decadimento di parte grande della politica, laica e cattolica, che non ha precedenti nella storia nazionale di questo Paese''.

Lo ha dichiarato il segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano.


Titolo: UGO MAGRI - E' ora di affrontare la "grande questione morale"» (deciditi! ndr)
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2008, 01:01:04 am
20/1/2008 (7:58) - INTERVISTA A FRANCO GIORDANO

"La sfida non ci fa paura Ora più liberi dal governo"
 
«Siamo pronti a discutere sulla relazione depositata da Mastella. E' ora di affrontare la "grande questione morale"»

UGO MAGRI
ROMA


Ha sentito Veltroni, onorevole Giordano? Alle elezioni il Pd si presenterà con liste proprie. La sinistra dovrà nuotare da sola...
«Non sono per nulla intimorito. E nemmeno preoccupato. Anzi. Raccolgo volentieri questa sfida».

In pratica?
«Vorrà dire che il Pd spingerà noi di Rifondazione comunista a creare più rapidamente un soggetto unitario a sinistra. Dove trovino nuova rappresentanza sociale il mondo del lavoro, i giovani, i precari, i movimenti, le culture di cambiamento e di innovazione».

Da Veltroni, quindi, una mano alla Cosa Rossa...
«Non solo a quella. Penso che per noi sia pure uno stimolo a investire sulla progettualità politica e a disinvestire dal governo, dal Palazzo. Perché è nel Palazzo che troviamo la vera separatezza dalla società».

E se quella di Veltroni fosse una minaccia per mettere in riga i piccoli partiti?
«Io lo prendo molto sul serio. Considero la sua uscita un elemento di grande novità sullo scenario politico italiano. Ridefinisce la collocazione delle forze politiche, semplifica il sistema, mette sempre più l'accento sui compiti della politica. Sennonché, per arrivarci, abbiamo un'unica strada: la riforma elettorale».

Non il referendum?
«Assolutamente no. Il referendum alimenta risse, particolarismi, frammentazioni. Rialzerebbe la testa ai vecchi notabili».

Berlusconi però frena. La bozza Bianco gli sembra troppo proporzionale...
«Vorrei dire a Berlusconi che il voto unico, che lui chiede, dà un vantaggio ai partiti più grandi e rende la legge non esattamente proporzionale. La bozza Bianco ci sembra una buona base di partenza. Comunque vedremo, siamo pronti al confronto».

E' che vero che, se il referendum non verrà evitato, voi di Rifondazione farete la crisi?
«Abbiamo detto un'altra cosa: che quei geni i quali si sono inventati questo referendum pensando di semplificare il sistema politico, hanno finito per aumentare al massimo la precarietà del governo. Col risultato che ora è sospeso nel vuoto. Siamo alla vigilia di importanti votazioni, e tutto è legato alle vicende interne dei partiti, alla collocazione di singoli...».

Mastella avverte: o approvate il discorso contro i magistrati, o tutti a casa...
«Siamo pronti a discutere sulla relazione depositata dal ministro Mastella. Ma in alcun modo possiamo accettare una qualunque interferenza con le inchieste. Per noi l'autonomia della magistratura è sacra».

In concreto?
«Penso sia giusto parlare del lavoro concretamente svolto dal ministro. Il resto non c'entra. Semmai, è ora di affrontare quella che Berlinguer chiamava la grande questione morale».

Mercoledì si vota la sfiducia a Pecoraro Scanio. Prodi rischia?
«Se venisse sfiduciato Pecoraro, a parte il problema che si porrebbe immediatamente per il governo, verrebbe travolta una cultura ambientalista, delle regole, dei movimenti, che in questo paese è la più vitale. E riemergerebbero gli interessi dei poteri forti. Gli stessi che hanno impedito, per esempio a Napoli, di mettere mano alle politiche di riciclaggio dei rifiuti».

A proposito di rifiuti: metterete in crisi la giunta Bassolino?
«Andrò domani in Campania. Anche lì penso che dovremo superare rapidamente la frattura tra società e istituzioni. In prospettiva, con il voto. Nell'immediato, con segnali chiari di discontinuità».
 

da lastampa.it
 
 
 
 


Titolo: Fulvia Bandoli - La sinistra deve mettersi di corsa in cammino
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2008, 04:24:35 pm
Voti parlamentari su Mastella e Pecorro Scanio, l'emergenza in Campania, salari e stipendi bassi.

La situazione è davvero difficile e la Sinistra deve trovare la forza di proseguire il cammino unitario

Confusione e fragilità, settimana cruciale per il governo. La sinistra deve mettersi di corsa in cammino

di Fulvia Bandoli


Settimana all' insegna della confusione quella che si apre oggi: esponenti dell'Udeur vorrebbero mettere ai voti non la relazione sullo stato della giustizia in Italia ma lo "stato d'animo" di Mastella dopo le pesanti misure decise dal giudice.

Sempre esponenti dell'Udeur (ai quali si aggiunge il formidabile guastatore Lamberto Dini) dopo aver votato contro la mozione delle destre che sfiduciava Bassolino si apprestano invece a votare a favore di quella ( sempre delle destre) che sfiducia Pecoraro Scanio. E non perchè ritengano Pecoraro più responsabile di Bassolino ( perchè questo sarebbe veramente impresa ardua da sostenere) ma solo per mandare (dicono loro) un segnale a Prodi.

Un segnale che può far cadere il governo. Queste le miserie con le quali rischia di aprirsi la settimana. Intanto i lavoratori lottano e ottengono qualche risultato, i salari sono sempre bassi, e i prezzi troppo alti, e altri quattro operai sono morti sul lavoro,

A questo si aggiunge la forte instabilità determinata dalle oscillazioni perpetue del PD di Veltroni sulla legge elettorale,che ogni giorno indica un modello diverso.

Ma proviamo ad affrontare nel merito i punti che ho elencato.

La crisi della regione Campania: si tratta di una crisi grave e che non riguarda solo la spazzatura ma l'insieme del modello di governo di quella regione.
Il centro sinistra ha pesanti responsabilità e dovrebbe cominciare a prendersele. Se in tredici anni non si riesce neppure a mettere in piedi uno straccio di ciclo dei rifiuti ( e si chiama ciclo perchè comincia con la raccolta differenziata massiccia e finisce con la termovalorizzazione solo della parte che resta dopo il recupero), se il sistema sanitario non funziona, se il territorio continua a subire massicci abusi di ogni genere (da quelli edilizi allo sversamento dei rifiuti tossico nocivi del Nord ad opera della camorra).

Una classe dirigente che si rispetti ne da conto a partire dal giudizio su chi l'ha guidata ai diversi livelli. Sul caso Mastella: un giudice sostiene che un intero partito sarebbe coinvolto in pratiche di concussione e di occupazione e lottizzazione del potere ( e mette in carcere e agli arresti domiciliari una trentina di persone). La misura dell'arresto certo pare spropositata ( almeno a me che sono sempre stata contro la carcerazione preventiva ) ma non si può reagire nè dicendo che così fan tutti e neppure dicendo che cè un complotto contro l'Udeur.

Perchè il fatto che così facciano in molti è proprio una delle cause della crisi della politica che pare avere perso ogni legame con l'etica. E perchè il modo migliore di dimostrare la propria estraneità non è gridare al complotto ma rispondere alle accuse. Pensare infine a ritorsioni trasversali contro il proprio Governo è veramente inconcepibile. L'attacco al Ministro dell'ambiente: questa è la cosa più mistificante. Detto che io negli anni passati non ho sempre condiviso tutte le posizioni dei Verdi (per esempio quando sostenevano con Rifondazione Comunista la richiesta di moratoria di tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti) è veramente incredibile che non ci siano che timide reazioni all'attacco forsennato che da mesi Forza Italia e l'Udc di Casini stanno portando alla cultura di tutti gli ambientalisti. Sostenendo che saremmo noi (gli ecologisti tutti) i responsabili dei ritardi dello sviluppo, perchè non abbiamo voluto il nucleare, perchè pretendiamo di avere la valutazione di impatto ambientale sulle opere pubbliche, perchè vogliamo potenzire le energie rinnovabili.

Quella che nel mondo intero viene ritenuta una cultura politica avanzata (perchè fare i conti con i limiti delle risorse naturali è saggio e lungimirante) qui da noi viene ritenuta una iattura. E spiace molto che anche diversi ambientalisti del Pd abbiano messo legna dentro questo fuoco acceso dalle destre, qualificando tutti gli ambientalisti che stanno fuori dal Pd (e siamo parecchi) come disgraziati negatori di qualsiasi cosa.

Sulla legge elettorale poche cose: si può trovare una intesa sulla bozza Bianco con le ultime modifiche? Lo si faccia. E invece tornano fuori altri dieci modelli di legge, e altri dicono che sarebbe meglio il referendum. e altri ancora che comunque vada il Pd andrà da solo al voto.

Naturalmente è il Pd che anima ogni giorno questo incomprensibile dibattito.

Il governo attraversa infine uno dei suoi momenti peggiori, i margini di ripresa sono minimi e legati solo alle riforme che saprà mettere in campo: tutela del lavoro, salari e lotta al precariato, patrimoniale sulle grandi rendite, legge sul conflitto di interessi e sull'informazione, risorse per la ricerca, nuova qualità della produzione energetica (rinnovabili) e un sistema di trasporti che sposti in fretta molte merci dalla gomma al ferro e al mare. Punti qualificanti di quel programma che ci mise insieme e che si è perso per strada. Per colpa delle forze di centro della coalizione che si sono scordate via via gli impegni che avevano preso con gli elettori. E le sinistre direte voi? Le sinistre devono tenere i nervi saldi e guardarsi bene negli occhi. Se il processo unitario non si rimette subito in moto coinvolgendo i cittadini e il popolo largo e diffuso della sinistra ( e superando tutti i difetti di verticismo e i personalismi che ha finora evidenziato)saremo spazzati via. Nessuna forza da sola può sopravvivere, possiamo salvare la sinistra in italia solo se mettiamo in campo una forza nuova,plurale ma unitaria. Avevamo promesso, l'8 e il 9 dicembre, agli Stati Generali di Roma, che saremmo andati tutti insieme ad ascoltare l'opinione delle donne e degli uomini della sinistra in giro per il paese.

E' ora che questo viaggio cominci. Non possiamo restare attoniti a guardare solo quel che accade nei palazzi della politica.

da sinistra-democratica.it
(21 gennaio 2008)


Titolo: Felice Besostri - Allargare il processo unitario a sinistra
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2008, 12:08:10 am
Riflessioni sulla crisi

Allargare il processo unitario a sinistra

di Felice Besostri


Questa crisi, annunciata da tempo, è esplosa nel momento peggiore di una crisi finanziaria, che, secondo alcuni autorevoli economisti, potrebbe far rimpiangere il 1929. Sarebbe interesse del paese avere un governo stabile ed autorevole, in altre parole in grado di prendere misure rapide ed efficaci.

Sgomberiamo il campo da Mastella, quasi che sia possibile addossare a lui la responsabilità: non ha tenuto conto dell’interesse nazionale, ma si è fatto guidare dalla sua condizione personale.

Una tale valutazione sarebbe tollerabile se gli altri attori avessero fatto prevalere gli interessi nazionali e non quelli della loro bottega.

Mastella era contro l’ammissione dei referendum elettorali, mentre erano latitanti il Governo e Rifondazione Comunista ed autorevoli esponenti prodiani erano referendari illustri ed intransigenti, insieme con pezzi veltroniani del PD. Alla vigilia della pronuncia, scandalosamente affrettata della Consulta, un raid giudiziario ha fatto piazza pulita dell’Udeur in Campania. Un collega di Governo, Di Pietro per non fare altri nomi, ha maramaldeggiato.

Sul piano della riforma elettorale tutto fermo, passi avanti possibili soltanto da un’intesa bipolarista tra Veltroni e Berlusconi, con un contentino a Lega e PRC, non per caso assenti dalla battaglia contro i referendum. Politicamente Veltroni annuncia che il PD, quale che sia il sistema elettorale, andrà da solo. Aggiungiamo al quadro il richiamo alla piazza di Ruini per lavare l’offesa della Sapienza ed il grido di dolore che si levava dalle masse più sensibili ai richiami della gerarchia. Cosa poteva fare Mastella di diverso? Suicidarsi davanti alle telecamere a Porta a Porta o a Ballarò?

Costituzionalmente la risposta di Prodi è ineccepibile: far svolgere la crisi in Parlamento, in modo trasparente e sotto gli occhi di tutti. In questa sua scelta c’è anche una componente psicologica sansoniana, di quel personaggio che muore con tutti i filistei. Nel caso italiano i filistei sono sia amici (quelli da cui ci deve guardare iddio), da Dini a Veltroni, che nemici.   Le lezioni anticipate, a meno di un coup de théâtre in Senato, sono alle porte. Tra i due porcellum, quello in vigore e quello referendario, il primo fa meno schifo. Se si vota, meglio presto che dopo il referendum. Se neppure Mastella vuole interferire nelle prerogative del Capo dello Stato, non mi azzardo io a farlo.

Penso soltanto a voce alta, che chi ha contribuito alla crisi ed ha la pretesa di guidare, anzi di rifondare, la politica italiana debba chiedere ed assumere l’incarico: caro Walter è giunta l’ora!

Un discorso a parte meriterebbe la sinistra, se non fosse evidente la sua marginalità. Il processo della Federazione Rossarcobaleno non ha fatto passi avanti, anzi le crepe e le lacerazioni si sono accentuate, soltanto SD (olim per il socialismo europeo) pagando un prezzo interno, ha un rapporto di fiducia totale con il PRC. La sinistra dovrebbe essere capace di allargare il processo unitario all’area socialista e raccogliere la sfida, se si vota con la legge attuale, di formare una coalizione con un programma comune ed un capo indicato come candidato alla Presidenza del consiglio.

Inutile fingere che ci siano le condizioni per una lista unica, che sarebbe, altresì, un segno di debolezza, poiché gli basterebbe un 4% per avere degli eletti alla Camera. Già porsi l’obiettivo del 10% è un messaggio forte di raccolta di consensi e di mobilitazione e tra l’altro non ci sarebbe un unico soggetto a distribuire le carte a sinistra. Se ci sono le condizioni politiche alla Camera, al Senato si può pensare ad una lista unica, perché la soglia del 20% regionale, appare fuori portata.

Un segnale è necessario, perché alle strette potrebbe funzionare il richiamo al voto utile, l’unico argomento spendibile dal PD, per contrastare la destra rampante e sicura di sé.

*Componente il Comitato promotore nazionale

da sinistra-democratica.it

(24 gennaio 2008)


Titolo: Sinistra: divisa sul dopo-Prodi, unita contro l'Afghanistan
Inserito da: Admin - Gennaio 28, 2008, 11:47:52 am
Sinistra: divisa sul dopo-Prodi, unita contro l'Afghanistan


La crisi porta con sé un'accelerazione e costringe le forze politiche a riposizionarsi: lo fanno anche i partiti della sinistra dell'Unione, che da un lato restano divisi sulle prospettive del dopo Prodi, dall'altro danno in Consiglio dei ministri un primo timido segnale unitario, dopo settimane di tensione interna all'ormai congelata Sinistra arcobaleno. Il mancato via libera sulle missioni militari dei quattro ministri di sinistra Bianchi (Pdci), Ferrero (Prc), Mussi (Sd) e Pecoraro (Verdi), prova a riportare sul terreno dei contenuti politici un rapporto piuttosto logorato dal conflitto sulla legge elettorale. «Abbiamo avuto settimane difficili, questo passaggio unitario è positivo», commenta Paolo Ferrero. Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato, chiede di ridiscutere una per una le diverse missioni militari e azzarda una previsione: «Ritengo che i gruppi parlamentari di Rifondazione comunista e dell'intera Sinistra-Arcobaleno non voteranno a favore del rifinanziamento delle missioni militari all'estero».

Sul fronte del dopo-Prodi sia Ferrero e Fabio Mussi aprono all'ipotesi finora molto criticata del governo istituzionale, anche se provano a mettere dei paletti: va bene un accordo sulla legge elettorale ma serve, dice il ministro del Prc, «un governo a termine che dia corso all'articolo 1 comma 4 della legge Finanziaria che prevede che tutto l'extragettito sia destinato a ridurre le tasse dei lavoratori dipendenti».

Il coordinatore di Sd, che ha fatto un giro di consultazioni sia con il Pd sia con gli alleati arcobaleno, è sulla stessa lunghezza d'onda e si dice disponibile a dare luce verde a «un governo tecnico-istituzionale se è molto breve, a termine», se si fonda «sull'ultima versione della bozza Bianco» e se prevede «l'approvazione della norma prevista in Finanziaria per cui l'eventuale extragettito venga destinato ai salari e ai redditi bassi».

Una mezza apertura in giornata arriva anche dai Verdi, che riuniscono l'esecutivo per sancire l'abbandono della posizione rigidamente prodiana «dopo la crisi solo elezioni», mantenuta fino a ieri. Anche Pecoraro vede bene «la possibile formazione di un governo a termine che parta dalla base delle forze dell'Unione e che si impegni ad affrontare le riforme, le politiche ambientali e il tema della redistribuzione delle risorse». Magari con l'astensione dell'Udc, per evitare eccessivi coinvolgimenti con quella che fino a ieri è stata l'opposizione. Per questo Bonelli precisa che i Verdi non usano la formula del «governo istituzionale».

Diliberto sembra essere l'unico dirigente della sinistra ferocemente contrario ad un'ipotesi di governo "di scopo". Il che apre spazi per critich3, anche molto severe da parte degli alleati. Giordano, segretario di Rifondazione, non gradisce l'idea di un Diliberto all'opposizione e non usa mezze misure per farlo notare: «Non si può avere - attacca - una visione dello scenario politico simile a quella di Ferrando e una proposta politica come quella di Parisi». A ruota di Giordano intervengono Giovanni Russo Spena e Gennaro Migliore, anche loro non teneri con i Comunisti italiani. Per Russo Spena alle elezioni si può fare «la lista unitaria con chi ci sta, anche con tre delle quattro forze della Sinistra Arcobaleno». E Migliore dice un no secco all'unità dei comunisti: «Quella strada non porta da nessuna parte. Dobbiamo costruire uno spazio pubblico dove ciascuno si senta parte di un progetto più ampio».

Il leader del Pdci incassa le polemiche e non replica. Al Quirinale Diliberto e i suoi propongono un Prodi bis e il ritorno del Mattarellum: e dicono che «il presidente della Repubblica, molto preoccupato della stabilità dei governi, è parso interessato. Non c'è motivo di pensare che la soluzione del problema per Napolitano stia solo nella bozza Bianco».


Pubblicato il: 27.01.08
Modificato il: 27.01.08 alle ore 16.15   
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Titolo: La sinistra divisa sul governo istituzionale, ma forse unita al voto
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2008, 10:35:51 pm
La sinistra divisa sul governo istituzionale, ma forse unita al voto


La Cosa Rossa fa i conti con le elezioni. La neonata Sinistra e l'Arcobaleno ha già avuto una divisione: Rifondazione, Verdi, Sinistra Democratica si sono dette favorevoli al governo istituzionale, i Comunisti italiani no: sono per le elezioni.

Ora si cerca di uscire dall'impasse con l'invito a presentarsi assieme in caso di elezioni anticipate.

Ci prova il ministro Paolo Ferrero, indipendente di Rifondazione, a suonare la carica. «Se andremo alle elezioni noi lavoreremo per fare una lista unitaria di tutta la sinistra. Mi sembra che il Pd abbia scelto, in ogni caso la priorità è mettere insieme la sinistra per far sì che possa essere il vero elemento di novità delle prossime elezioni».

«La nostra proposta è quella più realistica, cioè avere un governo che duri due mesi per fare una legge elettorale alla tedesca, che permetta ai cittadini di scegliere e allo stesso tempo, con uno sbarramento, eviti di avere 50 partiti e consenta di andare a votare entro giugno», rileva.

«È quindi la cosa che chiede anche Berlusconi, cioè di votare rapidamente. Credo che si possa fare -continua il ministro dimissionario della Solidarietà sociale- perchè la nostra proposta è alla fine l'unica realistica e votare con questa legge è una schifezza, come anche andare al voto tra un anno e mezzo». A giudizio di Ferrero, quindi, «bisogna lavorare per tenere insieme tutta la sinistra: credo ci sia bisogno di far vedere a questo Paese che una sinistra c'è e che ha una proposta unita, cosa che credo sia possibile fare».

Un altolà viene dal segretario del Pdci Oliviero Diliberto con un nuovo no al governo tecnico: «Sento molti nomi per questo presunto governo tecnico, ma io dico a tutti i nostri alleati: attenti, perchè è una trappolona. È una trappola di Berlusconi per un dialogo finto, che ci porta dritti a una delegittimazione della sinistra italiana».

Sulle alleanze in vista delle elezioni anticipate interviene anche Mussi. Che continua ad attaccare la strategia di Walter Veltroni. «Il "comunque da soli alle elezioni" del Pd, di giorno in giorno sta diventando 'alle elezioni contro la Sinistrà», afferma il leader della Sinistra Democratica. «L'attuale legge elettorale premia le coalizioni. Dichiarare morto il centrosinistra, trasformare le elezioni in una resa dei conti a sinistra, equivale a dire: prego, Berlusconi si accomodi! È una linea - sottolinea Mussi - che condanna tutti alla sconfitta. Anzi, non c'è neppure combattimento neanche per il Senato, dove il centrodestra potrebbe puntare a vincere in tutte le Regioni. Senza contare - conclude - i possibili effetti collaterali a cascata: cosa comporta la corsa solitaria del Partito Democratico nelle elezioni comunali, provinciali, regionali?».

Anche dai Verdi arriva un invito all'alleanza. «È fondamentale accelerare il processo di unità a sinistra». Ne è convinto il senatore di Insieme con l'Unione, Mauro Bulgarelli, secondo il quale la costruzione di una casa comune della sinistra «è divenuta una priorità inderogabile, soprattutto nell'eventualità che si debba andare in tempi stretti al voto, anche se spero che alla fine prevalga il buon senso e si metta prima mano alla legge elettorale».

Ma anche in quest'ultima ipotesi, secondo Bulgarelli, «non c'è tempo da perdere. Dobbiamo essere consapevoli che questa crisi di governo è figlia di una più generale crisi della rappresentanza, è una crisi di sistema, caratterizzata da uno scollamento sempre più accentuato della società dal mondo delle istituzioni». In questo contesto, il giudizio di Bulgarelli è che anche la sinistra debba recuperare il rapporto con la gente «e per farlo deve ripartire dai territori e superare la frammentazione e l'autoreferenzialità che l'hanno caratterizzata negli ultimi anni».

Da Sinistra Democratica si cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno. Il vicepresidente della Camera Carlo Leoni sottolinea: «Da una crisi di governo di difficile soluzione emerge però una consistente novità politica: le più rappresentative formazioni parlamentari della Sinistra (Prc, Verdi e Sd) hanno avanzato al Capo dello Stato la stessa proposta, quella di un governo a termine per la riforma elettorale, e si sono pubblicamente impegnate ad essere presenti alle prossime elezioni sotto il simbolo de la Sinistra-l'Arcobaleno. Sarà il primo banco di prova per tutti coloro che non ogliono che scompaia dal prossimo Parlamento la voce di una sinistra unita e plurale». .

Ma il Pdci non ci sta e continua a chiedere elezioni subito. «Quando cadi, devi tornare dagli elettori, gli unici abilitati a dare un parere al di là degli schieramenti e degli interessi di partito - commenta il capogruppo al Senato Manuela Palermi - . Speriamo con tutto il cuore che gli altri partiti della sinistra comprendano che non è più il tempo del politicismo».

Gli dà manforte il suo collega alla Camera Pino Sgobio: «Dei governi tecnici o istituzionali i lavoratori italiani hanno un brutta esperienza e un cattivo ricordo: ci si ricordi del governo presieduto da Dini nel '95. No a pasticci di nessun tipo: la sinistra si guardi bene da fare accordi con partiti del centro-destra. La gente di sinistra, la nostra gente, non capirebbe. Caduto Prodi non resta che tornare alle urne».

In una nota Palermi ricorda che il suo partito ha appoggiato l'esecutivo Prodi «anche rinunciando a molte delle cose a cui tenevamo». È stata la nascita del Pd «e la sua sterzata moderata» a distruggere il centrosinistra. «Ora - aggiunge - la sinistra deve lavorare per l'unità. Ma per farlo deve ritrovare se stessa, avviare un processo unitario basato su contenuti concreti e non su ingegneristiche formule istituzionali. La legge elettorale - conclude l'esponente dei Comunisti Italiani - non è mai la priorità. E non vale la pena arrivare per essa a vendersi la coscienza. La priorità per la sinistra è elaborare un suo progetto di cambiamento con cui parlare alla società».

Per chiudere, arriva l'appello all'unità del capogruppo alla Camera di Rifondazione Gennaro Migliore. Alle prossime elezioni la sinistra deve presentarsi come «soggetto unitario». «È l'unica risposta che si può dare rispetto alla crisi che si è creata tra società e politica». la sinistra, dunque, non dovrà più essere composta di «quattro forze che si riuniscono attorno a ragioni di scopo, ma un soggetto unico e unitario che si presenti come tale agli elettori».


Pubblicato il: 28.01.08
Modificato il: 28.01.08 alle ore 19.14   
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Titolo: Ora subito l'unità della sinistra
Inserito da: Admin - Gennaio 29, 2008, 10:37:04 pm
Si è tenuto il Coordinamento regionale di Sd della Calabria (28 gennaio 2008)

Ora subito l'unità della sinistra


Non è stata una discussione formale ma vera e appassionata, che ha affrontato problemi concreti, quella che si è tenuta a Lamezia Terme in una affollata riunione del coordinamento regionale di Sinistra Democratica allargata ai coordinamenti provinciali e presieduta dal sen. Nuccio Iovene.
Non ci troviamo di fronte ad una crisi di governo come tante ma ad una crisi profonda non solo politica ma morale, sociale, istituzionale, che segna la fine di quel ciclo apertosi nel ’92-‘94 con il passaggio dalla prima alla cosiddetta “seconda repubblica”.
Il comportamento poco edificante al Senato di esponenti del Udeur e del centro destra, in una situazione nella quale già la politica non gode della fiducia dei cittadini, non fa che confermare ed aggravare questa sfiducia con gravi conseguenze per la credibilità delle stesse istituzioni democratiche.
 Senza l’enfasi della gravità del momento i vari interventi che si sono succeduti, hanno tracciato  realisticamente lo scenario politico attuale che va dalla situazione che ha determinato la caduta del governo dovuta alle dimissioni di Mastella e al comportamento dei sei Senatori in aula, fino al fallimento del PD.
Il Partito Democratico nato per dare un partito a Prodi ma soprattutto per dare stabilità al governo e al centro-sinistra registra un totale fallimento.
Prodi non c’è più, il governo non c’è più, il centro-sinistra non c’è più.
Non ci sono le riforme e addirittura autorevoli membri del governo sono stati fautori del referendum elettorale, sapendo che se si fosse arrivati al referendum, il governo sarebbe saltato; infatti l’Udeur vistosi schiacciato ha puntato subito alla crisi e quindi alle elezioni.
Veltroni , nuovo leader, è entrato subito in rotta di collisione con Prodi, e non solo, perché con quell’ esternazione di voler “correre” da solo con qualsiasi sistema elettorale ha creato scompiglio negli alleati.
L’attuale crisi ci pone comunque davanti ad una questione di fondo: il centro-sinistra due volte vince, nel ’96 e nel 2006, ma non ce la fa a governare ed è su questo che bisogna fare una riflessione.
Ma il dramma vero che emerge è che la questione morale che noi come SD abbiamo sottolineato, è la questione che attanaglia tanto il centro destra,e Cuffaro ne è l’ultimo esempio , quanto il centro-sinistra.
 Il sistema di potere dominante in regioni come la Campania, la Sicilia o la Calabria   fa  perdere il senso delle differenze fra forze politiche.
Ora nell’immediato, e per il senso di responsabilità che ci ha contraddistinto, abbiamo il dovere di proporre un governo a termine che faccia 2 cose:
1)assolvere all’impegno della distribuzione dell’extragettito verso le classi meno abbienti, quindi a sostegno delle famiglie a basso reddito e dei lavoratori.
2)Una nuova legge elettorale a partire dalla “bozza Bianco“ sulla quale si era realizzata una larga condivisione.
Purtroppo non è detto che quello che auspichiamo, per il bene del Paese, accadrà; infatti dalla reazione di Berlusconi, la capitolazione di Fini e Bossi e dello stesso Casini, che chiedono, per puro calcolo ed interesse di parte, elezioni subito con questa legge elettorale, con la stessa coalizione, addirittura con lo stesso simbolo del 2001, convinti di vincere, indica che si potrebbe andare alle elezioni nei prossimi mesi, addirittura ad aprile.
La sinistra deve muoversi con rapidità mettendo in campo una grossa iniziativa politica ed una campagna di denuncia sulle vere responsabilità della caduta di questo governo, tutte in capo alle forze centriste (Dini, Fisichella, Mastella..).
Bisogna costruire, subito, una grande forza di sinistra, popolare, radicata nel territorio, con un solo simbolo ed una formazione unitaria per non arrivare alle elezioni in ordine sparso.
Se il PD vuole andare in solitudine se ne assumerà la responsabilità, ma sia chiaro, che noi  siamo per un nuovo centrosinistra di cui facciano parte le novità del PD e della Sinistra-L’arcobaleno, contribuendo ad una drastica riduzione della frammentazione politica mentre il PD, da solo, significherebbe veramente consegnare il paese alla destra senza neanche giocare la partita.
Bisogna rilanciare l’ unità a sinistra, con un unico simbolo, mettendo insieme non solo Rifondazione, Comunisti Italiani, Sinistra Democratica e Verdi ma anche quel grande popolo della sinistra ma senza partito in attesa di novità e dell’unità.
Il vero pericolo sarebbe l’astensionismo.
In Calabria è necessaria una iniziativa pubblica sulla crisi di governo, mettendo al centro il tema dell’unità della sinistra.
Una iniziativa pubblica e una richiesta di coerenza e chiarezza al governatore Loiero che deve decidere se basta dare la solidarietà a parole a Prodi e tenersi in giunta gli uomini di Mastella:  può l’Udeur far cadere il governo e restare nella giunta regionale della Calabria?
Abbiamo il dovere di porre questo quesito e condividiamo quanto proposto a tale proposito dai compagni di rifondazione.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Leoni: «Lanciamo una sfida al Pd, si allei con la Sinistra arcobaleno» (sic)
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2008, 10:56:48 pm
Leoni: «Lanciamo una sfida al Pd, si allei con la Sinistra arcobaleno»

Andrea Carugati


Nei giorni più neri della crisi di governo, Carlo Leoni, vicepresidente della Camera ed esponente di Sinistra democratica, su un punto è ottimista: «Noi, Rifondazione e i Verdi siamo andati al Quirinale a dire le stesse identiche cose: un governo di scopo per fare la legge elettorale e la redistribuzione sociale. Nel caso di elezioni, siamo tutti e tre d’accordo di correre uniti sotto il simbolo della Sinistra arcobaleno. Come abbiamo visto con il Pd, quando ci si presenta alle elezioni con lo stesso simbolo, e su quello si viene votati da alcuni milioni di persone, poi il processo unitario è irreversibile».

Già, ma il Pdci non ci pensa proprio...

«Al loro interno c’è una opposizione molto identitaria, quelli dei manifesti con la falce e martello e la scritta “Cosa Rossa? No grazie”. Io mi auguro che prevalga chi vuole l’unità a sinistra. E che anche i socialisti decidano di unirsi a noi».

E l’alleanza col Pd?

«Al Pd lanciamo una sfida di governo, non ci candidiamo all’opposizione e reagiamo all’ipotesi di correre ognun per sé, che vorrebbe dire regalare la vittoria a Berlusconi. Sono d’accordo con Veltroni che le alleanze si fanno su un programma davvero condiviso e che la formula dell’Unione è alle nostre spalle. Per questo vogliamo lavorare a un nuovo centrosinistra a due gambe, con il Pd e una sinistra unita».

Eppure anche il Prc sembra volersi sganciare dal Pd...

«Non mi risulta. Ho visto che Giordano non esclude l’ipotesi di un’alleanza. Non credo a una formula in cui la sinistra si presenta alle elezioni per perdere, e l’unica alternativa alla destra è il Pd».

Eppure Veltroni sembra puntare proprio a questo...

«Se la sinistra è unita, l’ipotesi di fare una coalizione -caravanserraglio non esiste più, perché le forze alleate sono solo due. Per questo sono d’accordo nel rivedere i regolamenti parlamentari: chi si presenta unito agli elettori poi non si può dividere in Parlamento. In questo caso, il rifiuto a priori del Pd a lavorare a un’alleanza sarebbe solamente ideologico, e sono certo che lo pagherebbe».

Gli elettori del Prc sembrano molto delusi da questa esperienza di governo...

«Conosco gli elettori della sinistra: non vogliono che governi la destra, vogliono un centrosinistra che si occupi della gente che soffre. E poi c’è una questione di identità della sinistra: non siamo e non vogliamo essere una forza minoritaria, di testimonianza».

Lei ritiene che l’alleanza tra le due sinistre, moderata e radicale, abbia funzionato male?

«Non lo credo. Il governo è stato bombardato dal centro, non dalla sinistra. Il governo ha risentito di queste pressioni dal centro, ma con l’ultima finanziaria c’è stato un giro di boa a favore di lavoratori e pensionati».

Eppure anche la sinistra ha posto problemi: Tav, Afghanistan, Vicenza, ministri e sottosegretari a manifestare contro...

«Ma i nostri voti non sono mai mancati, abbiamo solo espresso delle opinioni».

Veltroni non vuole più questo frammentazione...

«E noi non vogliamo più scrivere sul programma delle cose, sulla legge 30 o sulle unioni civili, e poi vedere che non si fanno. Per questo Walter ha ragione: sul programma bisogna essere molto chiari e coerenti».

Eppure il Pd sembra sempre più orientato a correre da solo...

«Non credo che vogliano consegnare l’Italia a Berlusconi, e neppure che questa ipotesi di una lunga traversata del deserto affascini i loro militanti. Il Pd è nato come forza di governo, non di opposizione. E poi ci sono le elezioni amministrative di primavera, a Roma, in Friuli: se si dice che il caravanserraglio è impresentabile a livello nazionale, con quale coerenza lo presentiamo a livello locale?».

Se ci sarà un governo Marini lo sosterrete?

«Se gli obiettivi saranno la legge elettorale e la redistribuzione sì».

Ma quale legge elettorale?

«A noi la seconda bozza Bianco va bene, ma siamo disponibili a discutere ancora, anche con l’Udc».

Pubblicato il: 30.01.08
Modificato il: 30.01.08 alle ore 16.17   
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Titolo: Simone Collini - Cosa Rossa, Bertinotti sarà il candidato premier
Inserito da: Admin - Febbraio 01, 2008, 06:14:09 pm
Cosa Rossa, Bertinotti sarà il candidato premier

Simone Collini


Bertinotti for President.

L'altra volta erano soltanto primarie, e l'avversario da battere Prodi. Questa volta sarà invece una vera e propria candidatura, con tutti i crismi della formalità. Fausto Bertinotti sarà il candidato premier della Sinistra arcobaleno alle prossime elezioni. Che si voti ad aprile con questa legge elettorale o a giugno con un'altra, poco importa. Il Partito democratico andrà da solo alle elezioni, e la Cosa rossa metterà da parte tutti i nodi ancora irrisolti e farà altrettanto. Sfidando Berlusconi per il governo del Paese e Veltroni e il Pd per l'«egemonia» a sinistra. Una scelta che non convince Sinistra democratica, Verdi e Pdci, che avrebbero preferito correre in coalizione col Pd, ma che si fonda su un accordo solido, siglato dopo le consultazioni al Quirinale da Bertinotti e Veltroni.

Il presidente della Camera avrebbe preferito far correre il governatore della Puglia Nichi Vendola, per il quale si profilava un futuro di leader del nuovo soggetto non appena la fase costituente della Sinistra arcobaleno sarebbe entrata nel vivo. Ma la fine del governo Prodi, l'accelerazione verso le elezioni e la fine dell'Unione ha cancellato tutti gli schemi. A convincere Bertinotti della necessità di un impegno in prima fila sono state le pressioni provenienti da Rifondazione comunista e dagli alleati più vicini, ma anche i messaggi lanciati dal "loft". Veltroni prefigura infatti una campagna elettorale basata su poche idee-forza che disegnino un Pd dal netto profilo riformista, e vede con favore una «competizione dialogante» con la sinistra radicale, a sua volta impegnata in una piattaforma programmatica «di alternativa».

«Una contesa tra il Pd e la sinistra ci deve essere, una sfida aperta su chi è più in grado di dare una risposta ai problemi drammatici della società contemporanea», diceva ieri Bertinotti precisando di parlare come «come viandante della politica». Ma in realtà la decisione l'ha già presa, insieme a quella di correre in ticket con una donna (per il Verde Pecoraro Scanio potrebbe essere Grazia Francescato). E già si prepara a sfidare Veltroni e Berlusconi puntando su pacifismo, ambientalismo, diritti civili e soprattutto su una «critica al capitalismo di oggi, che produce precarietà e insicurezza».

Bertinotti insomma aspetta di sapere come andranno a finire le consultazioni di Marini, ma intanto è certo che «politicamente la legislatura è finita col voto in Senato e il giudizio torna ormai agli elettori». Al massimo, a giugno. Cioè, politicamente parlando, «subito». Tra non molto avrà superato l'impedimento del ruolo istituzionale (già nei mesi scorsi gli era stato proposto di mettersi alla testa del processo unitario), ha anche messo da parte i timori sul suo essere «intriso di storia del 900» e si è convinto che non necessariamente un candidato più giovane porti più voti. Che poi è la questione fondamentale. Se alla Camera un risultato a due cifre è auspicabile, al Senato, dove lo sbarramento per le forze non coalizionate è dell'8%, è necessario.

I sondaggi che circolano in questo giorni inducono alla fiducia, dando la Cosa rossa sotto la soglia di sbarramento soltanto in Sicilia. Ma Bertinotti sa che un passo falso questa volta sarebbe fatale, per la rappresentanza della sinistra radicale in Parlamento nella prossima legislatura ma anche per il processo di più lungo periodo. «C'è un imperativo» che va rispettato, per il presidente della Camera: «Che queste sinistre si mettano insieme, che siano soggetto unitario anche se plurale, avendo meno ansia di vincere domani e più quella di rianimare una speranza per il futuro e di cambiare la società». E infine sa anche, Bertinotti, che bisogna giocarsi il tutto per tutto perché a sperare in un fallimento elettorale della Cosa rossa sono in molti: i vari fuoriusciti dal Prc Turigliatto, Cannavò (Sinistra critica), Ferrando (Partito comunista dei lavoratori), ma anche altri compagni di strada che soltanto per cause di forza maggiore stanno acconsentendo a rinunciare in questa tornata elettorale alla falce e martello.


Pubblicato il: 01.02.08
Modificato il: 01.02.08 alle ore 10.13   
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Titolo: La crisi politica, la sinistra
Inserito da: Admin - Febbraio 02, 2008, 08:47:56 pm
La crisi politica, la sinistra

(2 febbraio 2008)

Siamo ancora in tempo a chiambiare rotta

di Lello Porta*

Invito tutti ad esprimersi già da ora. Qui, sul nostro sito. Brevemente e con chiarezza. Prima del prossimo appuntamento di lunedi’. Come ha già fatto Fulvia Bandoli.

Io sono d’’accordo con lei quasi su tutto. Anzi proprio su tutto tranne che su quel “percorso minimamente aperto e partecipato”. Perché un percorso solo “minimamente” aperto e partecipato a me non  basta, e credo che non basti a molti altri. E chi l’ha detto che non c’è tempo per fare le primarie? Io ritengo che sia più facile, oltre che più giusto, organizzare elezioni primarie che  decidere in poche stanze le liste dei prossimi “nominati” al Parlamento. Siamo sinceri. Complessivamente passi indietro, e non avanti, sono stati fatti dal 5 maggio dell’anno passato.

Stiamo correndo seriamente il rischio di dover ricordare quella data con i versi del Manzoni…ei fu.

Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Perché la sinistra unita, nuova, partecipata, plurale stiamo rischiando di ucciderla in fasce.
Importanti accantonamenti (il socialismo europeo) e troppe comprensioni (traslochi di mummie o interviste inopportune) nei confronti dei ritardi, turbolenze o divisioni dei partitini strutturati della sinistra sono stati digeriti in questi mesi. Pietanze indigeste sono state già abbondantemente servite.
Molti dei nostri stomaci iniziano a risentirne pesantemente.

Bene ha fatto Fabio Mussi a smentire tempestivamente quanto apparso sulla stampa di oggi.

Bene si è fatto ad anticipare la Direzione Nazionale a lunedi’. Il resto lo ascolteremo e ce lo diremo con franchezza, con i giusti toni e con stile, guardandoci negli occhi proprio in quell’occasione.

*Coordinatore Regionale SD della Campania

da sinistra-democratica.it


Titolo: La sinistra al bivio, tra competizione e alleanza con il Pd
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2008, 06:44:39 pm
La sinistra al bivio, tra competizione e alleanza con il Pd


«La Sinistra-l'arcobaleno deve ambire a un progetto autonomo, non subalterno al partito Democratico». L'alleanza con Veltroni non convince la segreteria di Rifondazione comunista, riunita martedì per oltre tre ore. «Si può tentare un confronto, ma senza farsi troppe speranze perché il primo a non volere l'alleanza è Veltroni», avrebbero detto - a quanto si apprende - molti dirigenti del partito.
Alla vigilia di un confronto decisivo per la Sinistra-l'arcobaleno che si tiene mercoledì alla Camera con gli stati maggiori di Prc, Pdci, Verdi e Sinistra democratica e all'ordine del giorno alleanze, simboli, leader in vista delle elezioni, Franco Giordano e i suoi sottolineano l'importanza di un «progetto autonomo e alternativo per la sinistra».

Se da Verdi, Pdci e Sinistra democratica viene la richiesta di un confronto programmatico con il partito Democratico per una nuova alleanza di centrosinistra («Il Pdci insiste perché ci sia ancora un tentativo di accordo con il partito Democratico», ha dichiarato il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto), il Prc mette in guardia: «Non ci saranno più alleanze con i trasformisti che hanno fatto cadere il governo. Mai più con Mastella, mai più con Dini», avrebbero detto i membri della segreteria. Quanto a Veltroni, «il primo a negare continuamente l'ipotesi di un'alleanza è proprio lui. Per questo non si può andare troppo per le lunghe nel confronto programmatico. Bisogna investire invece il prima possibile sull'autonomia del nostro progetto».

Sul piano del programma, prima di tutto, perché laddove il Pd rappresenta, «praticamente su ogni tema della vita associata, l'accettazione dell'esistente, la sinistra deve lavorare per la trasformazione dei rapporti di forza attuali».

Se così è, allora, «non resta che accettare la sfida che lo stesso Veltroni pone. La sinistra non c'è se non vive come cultura d'alternativa. Nel rapporto di alleanza con il Pd, invece, il rischio è quello di perdere profilo e identità. l'opposizione e il governo non sono di per sé valori o disvalori. Ma per la sinistra il governo non può diventare una ossessione».

Da qui discende, «senza subordinate» la scelta del leader che potrebbe guidare la sinistra. «Fausto Bertinotti è la persona che rappresenta meglio e più direttamente l'autonomia politica e culturale della sinistra in Italia», è stata la riflessione dei vertici di partito. Diverso invece sarebbe il discorso per il simbolo, dove Rifondazione comunista potrebbe rinunciare alla falce e martello. «Non ha senso riproporre i "simbolini" dei partiti quando vogliamo rappresentare la nuova sinistra unita», avrebbero detto i dirigenti del partito di Franco Giordano.

Pubblicato il: 05.02.08
Modificato il: 05.02.08 alle ore 16.28   
© l'Unità.


Titolo: Unità della Sinistra, Alleanza per il Governo per battere le destre
Inserito da: Admin - Febbraio 05, 2008, 06:45:33 pm
Documento approvato dal Direttivo di Sd riunitosi il 4 febbraio 2008

Unità della Sinistra, Alleanza per il Governo per battere le destre


Sinistra Democratica riconferma la sua scelta convinta di contribuire insieme alle altre forze della sinistra a dare vita ad una sinistra nuova, larga, unita, popolare e di governo per il bene dell'Italia.

Di fronte all'eventuale scioglimento delle Camere, Sinistra Democratica riterrebbe necessario che venga avanzata da parte de "La Sinistra-L'Arcobaleno" al Partito Democratico la proposta di una coalizione di centro-sinistra su basi programmatiche rinnovate, con la quale affrontare la campagna elettorale, con un programma condiviso, per il governo del Paese.

Il governo Prodi è caduto al centro, per responsabilità dell'UDEUR e di parlamentari provenienti dal PD: non certo per responsabilità della sinistra che ha sempre invocato l'attuazione del programma, in particolare nei suoi aspetti sociali.

L'intesa tra PD e sinistra è la strategia che può consentire, sul piano numerico, di contendere la vittoria al centrodestra e dare all'Italia la speranza di un governo innovativo. Questione sociale e ambientale, questione morale, laicità dello Stato sono le sfide vere dell'oggi.

Sarebbe grave se il PD confermasse, invece, la scelta della solitudine elettorale che contiene l'annuncio della rinuncia a competere per il governo dell'Italia. Non si possono spalancare, senza combattere, le porte a Berlusconi e ai suoi.

L'unità della sinistra è un fatto politico importante e nuovo, più profondo e ambizioso del semplice cartello elettorale e per questo va rappresentato di fronte agli elettori con un unico simbolo elettorale, quello de "La Sinistra-L'Arcobaleno".

Sinistra Democratica avanza questa proposta alla riflessione delle altre forze della sinistra. E la rivolge anche ai compagni socialisti, le cui importanti battaglie per l'identità socialista e per la laicità dello Stato rischiano di dissolversi nel contenitore neutro del Partito Democratico.

DA sinistra-democratica.it


Titolo: Addio tra Pd e Sinistra Arcobaleno
Inserito da: Admin - Febbraio 08, 2008, 11:02:31 pm
POLITICA

Nulla di fatto nell'incontro nel loft di piazza Sant'Anastasia

Nessun accordo tecnico o politico tre le due formazioni politiche

Addio tra Pd e Sinistra Arcobaleno

"Alle elezioni andiamo separati"

Ma alle amministrative sono possibili intese

 
ROMA - "Non un divorzio ma una separazione consensuale". Dario Franceschini sintetizza così l'incontro di oggi tra il Pd e la Sinistra-Arcobaleno. Quel faccia a faccia che arriva dopo la decisione di Veltroni di far correre il Pd da solo alle prossime elezioni. Una decisione già annunciata alla vigilia dell'incontro di oggi tra Pd e leader della Cosa rossa, ma resa ufficiale oggi. Nessun accordo tecnico né politico tra Sinistra e Pd.

E che non ci sarebbero state sorprese era chiaro. Tanto che al tavolo anche l'ipotesi della desistenza non è stata nemmeno sfiorata. "Il dibattito e il terremoto nel centrodestra sono una conseguenza della nostra scelta coraggiosa ed innovativa di andare da soli. Una scelta in cui pochi credevano" sottolinea Franceschini.

A Franco Giordano, Fabio Mussi, Oliviero Diliberto, Alfonso Pecoraro Scanio, non è restato che prendere atto delle intenzioni del Pd e pensare al futuro. Con l'obiettivo di superare il 10% dei voti.

"Sarà una sfida tra due formazioni, una sfida leale e leale speriamo che sia il confronto" commenta Diliberto. "Tra noi e il Pd si è aperta una sfida a chi rappresenta meglio l'alternativa a una destra aggressiva e pericolosa - spiega Giordano - La sinistra si presenterà in un'unica lista, con un nostro candidato e leader che è Fausto Bertinotti, e con un nostro simbolo che presenteremo al più presto, forse già martedì". E se Fabio Mussi parla di sfida sui programmi Pecoraro Scanio rlancia l'alternatività a Berlusconi.

Ma, se alle politiche Pd e Sinistra andranno per la propria strada, alle elezioni amministrative accordi e desistenze saranno possibili: "Non bisogna consegnare le città importanti al centrodestra" conclude Giordano.

(8 febbraio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Mussi: c’è troppa voglia di grande coalizione
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2008, 05:44:25 pm
Mussi: c’è troppa voglia di grande coalizione

Andrea Carugati


«Sento aria di gentlemen agreement verso la destra, vedo esponenti del Pd come Chiamparino che teorizzano esplicitamente accordi di governo con Berlusconi. Non voglio demonizzarlo, ma tra questo e chiudere gli occhi su una destra populista, affarista e clericale ce ne passa. E l’ipotesi che Berlusconi torni per la terza volta a palazzo Chigi non è una bagattella...». Fabio Mussi, ministro dell’Università e leader di Sinistra democratica è molto allarmato per la decisione del Pd di correre da solo, ribadita ieri mattina nel vertice con la Sinistra. «Non ci siamo tirati addosso i bicchierini del caffè, è stato un incontro signorile. Ma ci sono state ripetute le ragioni della corsa solitaria. Mi limito a ricordare che il Pd era nato per stabilizzare la coalizione, lo dicevano loro...»

Lei non condivide l’idea che se vi foste ripresentati tutti insieme sarebbe stata una sconfitta sicura?
«E infatti nessuno pensava di ripresentare una carovana di 10 partiti: si poteva ragionare su un quadro nuovo, con due forze come Pd e Sinistra arcobaleno a fare da perno della coalizione. Archiviare il centrosinistra tout court è un azzardo».

Crede davvero che il Pd punti alla Grande coalizione?
«Mi chiedo se, al di là di queste elezioni, si intenda lasciare aperta la porta per un nuovo centrosinistra o se invece si punti a soluzioni centriste o di Grande Coalizione. Le mie non sono supposizioni malevole, viene detto da dirigenti del Pd».

Non crede che Chiamparino si ponga il problema di dare riposte pragmatiche a problemi di una società dinamica come il Nord?
«Ma il pragmatismo senza ideali non porta da nessuna parte. Capisco che dopo un lunghissimo periodo di equilibrio tra i due blocchi ci sia la tentazione di provare a far cooperare i due eserciti più consistenti. Ricordo però le difficoltà della Germania, la Spd che sta cercando di sganciarsi e di ricollocarsi più a sinistra. E poi Berlusconi non è Angela Merkel...».

Eppure l’Unione ha fallito la prova del governo, almeno in termini di coesione...
«È giusto riconoscere che si è andata consumando una stagione politica, che le elezioni del 2006 sono state più pareggiate che vinte e che, pur sottolineando i risultati positivi del governo su risanamento e lotta all’evasione fiscale, le aspettative della nostre gente sono andate in gran parte deluse. Ma dare la colpa ai partiti minori è solo un modo per lavarsi l’anima».

La vostra sarà una campagna contro Berlusconi ma anche contro il Pd?
«Vogliamo contrastare una nuova ondata di destra, ma anche frenare una aspirazione neocentrista nel centrosinistra. Per questo c’è bisogno di una sinistra politica, che affronti i problemi per quello che sono, senza lasciarsi incantare dalla spirale vecchio-nuovo, o da una presunta modernità. Ci viene presentata come novità, per esempio, l’idea che i bassi salari e la precarietà siano inevitabili, come la pioggia. Una sciocchezza. In realtà tutto questo è determinato dai rapporti di forza, dall’”avidità del neocapitalismo”, che è un’espressione di Alan Greenspan. Per questo è necessaria una critica dell’esistente. Ci vuole una sinistra che lo dica, e dirlo non è estremismo. La competizione con il Pd sarà su questo».

Non teme di rischiare di apparire come i vecchi comunisti davanti alla novità Veltroni?
«Questi sono contenuti modernissimi. Se parlo alla gente di destra, sinistra e centro in termini politologici non si appassiona. Ma se parlo di precarietà, ambiente, coppie di fatto, e della questione morale che oggi è diventata esplosiva, allora tutto è più chiaro. Capisco la suggestione della “modernità”, ma poi, quando come diceva Marx si “sale” nel concreto, sono certo che le ragioni della Sinistra troveranno molto ascolto».

Eppure la nascita della Sinistra arcobaleno è piena di problemi...
«Dobbiamo fare in poche settimane quello che altri, compreso il Pd, hanno fatto in anni. Siamo usciti dai Ds dieci mesi fa e siamo pronti a fare una lista unica, che non sarà un cartello elettorale ma il primo passo per un soggetto unitario. A me pare un successo e la nascita di Sd ha favorito questo sbocco».

Si dice che nel suo movimento ci sia malumore per il rischio di annessione da parte di Bertinotti...
«So che il processo unitario doveva partire dal basso, ma i tempi ci sono stati imposti dalla situazione. Bertinotti è un uomo di prestigio, non è nuovo ma è uno dei più convinti sostenitori della necessità di mettere in moto un processo nuovo a sinistra».

Non crede che un candidato che annuncia che dopo il voto si farà da parte sia poco appetibile?
«Il ruolo di traghettatore verso la nascita di un nuovo soggetto è decisivo, senza i fiumi non si attraversano...».

Ci sarà il ticket con la Francescato?
«Vedremo la prossima settimana. Tutta la squadra andrà definita bene».

E i socialisti?
«Finora non hanno aderito al nostro invito, chiederò un incontro per verificare se ci sono le condizioni per un’alleanza. Ma la legge elettorale non aiuta».

Ci sono tra le vostre file nostalgie del Pd? Crucianelli vi lascia per Veltroni..
«Crucianelli vuole entrare nel Guinness dei primati per il numero di partiti cui ha aderito. Auguri. Ma non vedo pentimenti in giro».

Non crede che Veltroni tocchi un punto vero quando dice che la gente vuole una politica più semplice?
«È così, ma da parte nostra c’è altrettanto spirito innovativo e di semplificazione. Le novità sono due: il Pd e la Sinistra l’arcobaleno. Tra noi non ci sarà guerra ma sfida per il futuro».

Non dà a Veltroni nessuna possibilità di vittoria?
«Da solo, mi pare molto difficile».


Pubblicato il: 09.02.08
Modificato il: 09.02.08 alle ore 9.38   
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Titolo: Rita Anania Appello ai compagni della costituente socialista
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2008, 10:32:34 am
Appello ai compagni della costituente socialista (12 febbraio 2008)

C'è bisogno di socialismo, di sinistra, di cultura critica e di unire il popolo della sinistra

di Rita Anania*


“ Chi raccoglierà ciò che di vitale resta del patrimonio del riformismo socialista italiano ?”…
Vorrei chiedere ai compagni della Costituente Socialista di fare una riflessione  sul  pericolo concreto che c’è oggi in Italia che sparisca la sinistra e  sulla necessità di lavorare insieme perché ciò non succeda.
Ai compagni Socialisti mi piacerebbe dire, da Socialista della prima ora, che la mia piena adesione al movimento “ Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo”…mi ha ridato
la speranza di un progetto alto che miri alla costruzione di un’unica casa dei riformisti nell’ottica dell’unità dei socialisti e della sinistra con un forte radicamento nel Socialismo Europeo.
Noi non possiamo permettere la scomparsa in Italia di un grande partito SOCIALISTA e di Sinistra, perchè il socialismo classico e le sue nuove forme di espressione costituiscono un’opportunità politica irrinunciabile per l’Italia.
A noi socialisti dopo il ’93 e la conseguente frantumazione del PSI  è mancata una leaderschip autorevole che ne ricomponesse la diaspora e in grado di costruire una forza unitaria delle sinistre che raccogliesse le domande di libertà e che non abbabonasse i più deboli; oggi questa possibilità è concreta ,e noi , insieme, abbiamo il dovere di metterla in campo.
 Le difficoltà sono molte ad iniziare dalla posizione di AUTOSUFFICIENZA  del  PD, che pericolosamente si illude di poter correre da solo: l’unica alternativa è la nascita  della Sinistra, l’Arcobaleno che può e deve dar vita ad una forza popolare di ispirazione socialista, laica e di governo, protesa verso un futuro autenticamente riformista che del pluralismo culturale sia effettiva portabandiera.
 La Sinistra, però,  ha l’urgenza di accellerare i tempi dell’unità anche perché siamo già in campagna elettorale e questo progetto alto che costituisce un’opportunità politica irrinunciabile per l’Italia è l’ unica risposta seria che si può offrire al popolo di sinistra da contrapporre al PD, ormai partito centrista e conservatore.
La Sinistra,l’Arcobaleno può comprendere e rappresentare quella sinistra, che va dai valori del socialismo europeo a quei principi radicali, capaci di offrire sintesi avanzate e procedere nella direzione di superare i particolarismi; perchè forza di governo, con pari dignità e pariteticità .
La Sinistra,l’ Arcobaleno deve rimarcare e affermare quei principi e valori della sinistra che una società moderna e democratica merita e ai quali non può rinunciare.
 Oggi per la sinistra si è aperta una nuova speranza, si sente il  bisogno di costruire una sinistra che unifichi e guardi all’univocità di intenti per creare un effettivo pluralismo che vada dal socialismo liberale alla cosiddetta sinistra “estrema”.
Il pluralismo si realizza  facendo emergere in forze politiche, che pure sembrerebbero distanti, un’unitarietà di intenti che condivida ciò che unisce rispetto alle diversità di espressione.
Voglio ancora portare ad  esempio la felice esperienza di Mitterand, che negli anni ’70 riuscì ad unificare la sinistra francese mettendo insieme le diverse anime del socialismo e del comunismo in una sintesi armonica , esempio assolutamente attuale nel nostro confuso presente.
Il socialismo è da vivere nel presente facendo tesoro della storia ma gettando le basi  per un futuro solido per le nuove generazioni.
La Sinistra Arcobaleno alla quale abbiamo dato vita deve essere una forza  politica della sinistra, moderna, popolare e di governo, diffuso su tutto il territorio nazionale, radicato nel mondo dei lavori, della cultura, delle nuove generazioni, aperto, impegnato nella realizzazione di una società di eguali che guardi alla meritocrazia come strumento efficace per offrire opportunità ai più deboli, ai meno fortunati e socialmente svantaggiati per renderli protagonisti della propria vita e del proprio futuro.
La Sinistra,l’Arcobaleno guarda alle libertà individuali e ai diritti civili come spazi irrinunciabili di una società democratica e moderna, a passo con gli altri paesi europei; non tralasciando il bisogno di laicità dello stato che rappresenta il cardine del rispetto delle libertà di tutti per realizzare quella uguaglianza di opportunità, cosi bene esplicitata dalla carta costituzionale.
Il rispetto dei diritti non può non riguardare il lavoro,i morti sul lavoro, i giovani, le problematiche ambientali, le libertà delle donne,  cammino non facile ma non più procrastinabile.
Altre tematiche che bisogna affrontare seriamente sono l’etica della responsabilità, la questione della legalità , la pratica  del rinnovamento della politica,le forme nuove di partecipazione e la nuova"questione morale" come tema fondamentale.
Una sinistra nuova e rinnovata nei comportamenti e nella pratica politica.
C’è bisogno di Socialismo, di Sinistra, di cultura critica e di unire il popolo di sinistra.   La forza della sinistra, socialista e riformista risiede proprio nella capacità di saper concretare i bisogni e le aspettative di schiere di cittadini bisognosi di certezze per il presente e per il futuro.
A noi non interessa il potere per il potere, ma realizzare la forza  delle nostre idee che spazzino via definitivamente le iniquità sociali, economiche e politiche. Non può non essere forte e  chiaro l’invito ad unirci in nome di comunanza di idee e valori.         

*del Comitato Promotore Nazionale di Sd

da sinistra-democratica.it


Titolo: Monica Cerutti. La risposta a Sergio Chiamparino
Inserito da: Admin - Febbraio 12, 2008, 10:36:00 am
La risposta a Sergio Chiamparino (12 febbraio 2008)

La politica del come fare

di Monica Cerutti*


Il progetto di costruire un soggetto unitario a sinistra risulta sempre più attuale nella deriva culturale del nostro Paese, di cui il Partito Democratico è autorevole interprete.
Lo posso sostenere con maggiore convinzione rispetto ad altri, poiché vivo la realtà torinese come capogruppo di Sinistra Democratica in Consiglio Comunale e ho a che fare quotidianamente con il sindaco più amato dagli Italiani, Sergio Chiamparino, che a mio avviso può rappresentare l’avanguardia dell’idea politica del Partito Democratico.
Le sue ultime esternazioni sull’Espresso, a favore di larghissime intese, prefigurano un futuro governo del PD con Forza Italia, volto non solo a realizzare le riforme istituzionali, ma anche le questioni sociali ed economiche. Queste dichiarazioni hanno già provocato parecchie fibrillazioni a livello nazionale e locale, andandosi ad inserire nella campagna elettorale ormai avviata. Addirittura ho avuto modo di rilevare che le parole del mio sindaco erano le stesse usate in un’intervista di una settimana fa dal coordinatore piemontese di Forza Italia, Guido Crosetto.
Gli effetti di quest’uscita sul risultato elettorale della Sinistra Arcobaleno possono essere letti in modo assolutamente speculare, sia in termini favorevoli, che, se non sfavorevoli, comunque problematici rispetto all’impostazione della nostra campagna elettorale.
Da una parte, le posizioni di Sergio Chiamparino possono aiutarci a parlare a quegli elettori facenti capo ad una sinistra diffusa, e non ad una precisa forza politica, che non possono riconoscersi in un governo del PD con FI. Viene così meno la convinzione che il voto al PD sia il voto utile contro la destra, rappresentata ancora da Silvio Berlusconi.
Dall’altra però dobbiamo riflettere sul messaggio che il sindaco di Torino estremizza, ma che è quello proprio del Partito Democratico: la bontà della “politica del fare”, che va ormai al di là della divisione tra destra e sinistra e risponde all’esigenza dei cittadini di vedere risolti i problemi. Questa è la sfida culturale a cui dobbiamo rispondere, perché i nostri competitori politici tendono continuamente a metterci nell’angolo del non fare, dell’immobilismo, della conservazione. E gli argomenti usati sono i termovalorizzatori, la TAV, i grattacieli, … Lo stereotipo della non decisione in cui ci vogliono schiacciare rischia di convincere un elettorato, potenzialmente di sinistra, deluso dalla politica, che potrebbe anche optare, questa volta più di altre, per l’astensione. Presentarsi come forza di opposizione non sembra la risposta più efficace. Noi dobbiamo evidenziare come i problemi non abbiano colore politico, ma le soluzioni sì. E’ necessario contrapporre al fare comunque la responsabilità nei criteri di scelta dei fini, alla logica dello sviluppo come valore assoluto la cultura del limite.
Ciò deve essere contestualizzato in un sistema politico che, come dice Ilvo Diamanti, ha sostituito la partecipazione con la comunicazione. Noi non rinunciamo alla partecipazione, ma dobbiamo essere consapevoli dell’esigenza di comunicare la nostra idea della politica, come spazio in cui si confrontano progetti alternativi di società, rifiutando l’accezione di chi pensa ormai di vivere una fase di post-politica, in cui non ha più senso parlare di destra e sinistra.
La Sinistra Arcobaleno deve esplicitare il suo programma, in cui sia evidente che alla politica del fare indifferenziato si propone  una “politica del come fare”.

*Capogruppo Sinistra Democratica Consiglio Comunale di Torino

da sinistra-democratica.it


Titolo: Michele Prospero Innovazione modernità, che valori esprimono che contenuti sono?
Inserito da: Admin - Febbraio 13, 2008, 11:15:54 pm
Verso le elezioni (13 febbraio 2008)

Innovazione, modernità, che valori esprimono, che contenuti sono?

di Michele Prospero*


Insomma, ci voleva proprio un ex comunista (che naturalmente dice di non esserlo mai stato) a reintrodurre in Italia la conventio ad excludendum. Con un bel salto indietro di qualche decennio, il sistema politico torna a un triste punto fermo, che in verità non è ribadito con una tale virulenza dai lontani anni cinquanta: la sinistra deve restare fuori dai giochi. Solo nelle poco edificanti stagioni del pentapartito una perimetrazione così ostile alla sinistra si era riaffacciata portando però la politica ad una irreparabile catastrofe. Nei confusi anni della seconda repubblica, tra pasticci e regressioni, una cosa di nuovo almeno era stata raggiunta: la fine della soluzione trasformista. Ossia l’accantonamento di una antica consuetudine, che risale nientemeno che all’italietta liberale, per la quale i legittimati a governare sono solo quelli che occupano stabilmente il centro del sistema. Gli altri, se proprio ci riescono, possono anche sedere in parlamento, ma nelle stanze dei bottoni non possono mai accedere. Le sentinelle della legittimità del sistema possono di volta in volta potare i rami estremi che si affacciano appena un po’ oltre i limiti recintati dai ceti dominanti. Negli ultimi anni questa preclusione ideologica verso la sinistra era stata archiviata. Ora torna invece alla ribalta e viene spacciata dai media come segno dei tempi nuovi.

Il governo cade per lo smembramento della margherita e la defezione dell’udeur, ma l’accelerazione suggerita all’unisono dalla grande stampa va verso la risoluzione del problema indigesto della presenza di una sinistra al governo. Berlusconi può impunemente ricorrere ad una gigantesca conventio ad includendum portando nel suo listone anche la destra più estrema. Nessuno apre la bocca. Per la grande stampa e i poteri forti non è l’attaccamento alla democrazia-metodo quello che conta ma solo l’accettazione del primato dell’impresa e dei suoi interessi materiali. Chi riconosce supinamente questa identificazione dell’impresa con l’affare generale, sta ben dentro i confini. Chi invece si ostina a rappresentare altri interessi e osa contestare l’opzione liberista per la precarietà e  la flessibilità è invitato ad accomodarsi fuori. Si sta costruendo un nuovo sistema politico la cui costituzione materiale prevede l’intangibilità degli interessi dell’impresa. Morando dice il vero quando ammette senza scomporsi che il programma del Pd è stato redatto in contatto incessante con la confindustria.  Il sindacato forse ancora non lo ha percepito, ma il successo dell’operazione orchestrata da Pd e Fi ha un immediato cadavere: il sindacato generale. Nel nuovo sistema a dominanza imprenditoriale-finanziaria al sindacato è destinato solo un marginale spazio, quello di un flaccido aggregato meramente corporativo senza alcuna voce politica, privo cioè di una cultura del generale.

Le pagelline domenicali di Scalfari hanno ben motivo di esultare per il coraggio di Veltroni che finalmente spalanca una condizione sconosciuta in Italia: nessun interesse sociale eccentrico rispetto a quello delle forze del mercato e dell’impresa può pretendere rappresentanza. Questa è la vera posta in gioco: la costruzione di un sistema politico inedito in cui tutti si riconoscono nel primato dell’impresa e dei suoi criteri di organizzazione della vita sociale.
Nessuno più a sinistra formulava ingenue istanze di alternative di sistema, ma anche modiche politiche di redistribuzione e di tutela del salario sono denunciate in questa Italia in declino come sicuro indizio di mentalità massimalista. Il mondo del lavoro non può pretendere alcuna sia pure flebile autonomia politica: tale è il nuovo confine del sistema. Pd e Fi condividono fortemente il progetto di una competizione di nuovo conio in cui le alternative sono tutte dentro le opzioni acconsentite dall’impresa. Il solerte Mannheimer si affretta a dare indicazioni numeriche a questa veloce corrispondenza di amorosi sensi: il 45 per cento delle forze berlusconiane e addirittura il 35 per cento dell’elettorato del Pd desiderano un governo comune.

Come l’ha chiamato l’ineffabile Reichlin il suo Pd?  “Partito della nazione”, ovvero state buoni, non rovinate l’idillio. Il lavoro da 15 anni è spremuto e perde ogni potere d’acquisto (per un ironica coincidenza il tour del Pd comincia da una località che si chiama “spello”) mentre l’impresa fa profitti d’oro?
Non importa nulla. State tranquilli, perché la nazione esige sempre coesione. Dopotutto anche l’imprenditore è un lavoratore. E che lavoratore. Tutti in riga, dunque in nome dell’innovazione, della modernità, della crescita. E non è proprio Roma l’esempio più riuscito di innovazione e di crescita? E’ probabile. Ma forse certe tipologie di crescita andrebbero scrutate con maggiore attenzione. I numeri non dicono il vero o, meglio, non significano nulla in termini di qualità. Se la crescita è quella che comporta la costruzione a pioggia di microcittà a ridosso del raccordo anulare senza che gli affitti calino e senza che i prezzi delle case si razionalizzino è meglio lasciar stare. Si sta costruendo un degrado infinito ma lo chiamano innovazione. Gli assalti alle città oggi non si chiamano più sacchi ma ipermodernità. Anche il linguaggio dà la mano in questi di tempi un po’ vichiani di ritorni alla barbarie. Qualche esempio di barbarie postmoderna e di città commercializzata? Non bisogna recarsi molto lontani, basta inoltrarsi fino a cento metri dopo il palazzetto dello Sport, sulla destra. Rendita, finanza e politica lì danno il meglio di sé.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Carlo Paolini Per dare gambe alla Sinistra dobbiamo ricostruirne la cultura
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2008, 09:24:54 pm
15 febbraio 2008

Per dare gambe forti alla Sinistra dobbiamo ricostruire una cultura politica

di Carlo Paolini*


In vista delle prossime elezioni politiche anticipate del 13 aprile, preso atto del fallimento del vecchio centro sinistra guidato da Prodi, di fronte alla non disponibilità del Partito democratico di Veltroni di costruire un nuovo centro sinistra, abbiamo indicato nel successo della lista unitaria della Sinistra Arcobaleno la concreta possibilità di esprimere una alternativa a Berlusconi e alla destra e di costruire un nuovo soggetto della sinistra che ne eviti la frantumazione, la minorità e la cancellazione. L’obiettivo di un risultato a due cifre nella fredda semplicità dei numeri indica questa missione politica.

Può essere utile nel guardare al passaggio elettorale e oltre riflettere su alcune questioni.

La crisi del governo Prodi non è una crisi ordinaria come tante ce ne sono state nella storia della Repubblica, non è neppure la crisi di una formula politica che a fasi alterne ha governato l’Italia. Si tratta invece della crisi dell’intero sistema politico che si era costituito dopo il periodo 1989-92. E’ la crisi della cosiddetta  “seconda repubblica”. Essa si intreccia con una crisi economica interna e internazionale che si ripercuote sul sistema politico e sulle scelte che gli attori politici dovranno compiere. Se non si pensa che il cielo della politica ruoti attorno ai destini personali della signora Mastella allora appare non casuale che il governo cada quando sta per avviare una politica di ridistribuzione dei redditi e di equità sociale dopo i sacrifici per il risanamento finanziario. La consapevolezza della crisi nei suoi diversi aspetti politico-istituzionale, economico-sociale, ma anche ideale e culturale,  - Mussi ha parlato di una “crisi di popolo”-   deve sempre essere presente nelle nostre analisi e nelle proposte. Per questo è sbagliato presentare la Sinistra come una forza che si candida all’opposizione. La Sinistra si deve presentare con le sue proposte per uscire da una crisi che non è congiunturale, costruendo consenso ed alleanze compatibili. Può darsi che bastino alcuni mesi per costruire un quadro favorevole o più verosimilmente occorreranno alcuni anni se l’obiettivo è cambiare l’Italia e non solo un governo. Ma il punto è questo: indicare una via di uscita dalla crisi non limitarsi ad indicare le cose che non vanno. Del tutto sterile e non significante è la contrapposizione molto di moda tra vecchio e nuovo: non ci aiuta a capire niente della dinamica della crisi. Se si pensa di sconfiggere Berlusconi dicendo che lui è il vecchio, anche se è vero, lui ha già vinto perché riesce a consolidare attorno alla sua figura vecchi interessi e arcaici privilegi con nuove aspirazioni al successo individuale e al rapido arricchimento mentre lo schieramento democratico e progressista perde storici radicamenti sociali, valori fondamentali, non dà risposte tangibili a nuovi bisogni sociali e non codifica nuovi diritti.
 
La prossima legislatura sarà sicuramente una legislatura costituente, non tanto per la volontà dichiarata e inquietante della destra come del PD di avviare riforme istituzionali e costituzionali quanto per la trasformazione del sistema dei partiti e degli stessi partiti all’interno di esso. Alle prossime elezioni del 13 aprile non ci sarà più nemmeno la nomenclatura dei partiti che abbiamo conosciuto negli ultimi quindici anni e si presenteranno per la prima volta nuovi soggetti. Lo schema nonostante Berlusconi e Veltroni non sarà bipartitico perché le culture politiche non si cancellano a tavolino. I primi sondaggi già ci dicono che i tre maggiori poli di aggregazione del consenso sono il blocco di destra di Berlusconi, il blocco tendenzialmente centrista del PD e la Sinistra. Sarà anche su questo asse,  grandi partiti-piccoli partiti, che si giocherà la competizione elettorale ed è evidente che la Sinistra unita è in grado di competere bene se indicherà proposte diverse da quelle spesso convergenti della Destra e del PD. In questo senso è importante insistere sul simbolo comune piuttosto che sui quattro simboli di origine, senza cancellare o discriminare le varie culture politiche della sinistra,  perché nella separazione sta una debolezza che deve essere superata sulla base di comuni valori e di comuni programmi. La crisi politica che attraversiamo investe anche la Sinistra in tutte le sue organizzazioni ed esperienze storiche ed è irrealistico pensare di sopravvivere in piccole nicchie senza cambiare il contesto complessivo nel quale operare. Il fatto che si torni a riproporre l’esigenza di grandi partiti e non semplici aggregati elettorali o velleitarie espressioni della società civile è un segno di speranza nella difficile situazione che stiamo attraversando. Sarebbe paradossale che proprio la sinistra che ha inventato i partiti di massa mancasse a questo appuntamento.

Poiché dobbiamo ricostruire un grande partito della Sinistra non possiamo non fare un bilancio impietoso degli ultimi vent’anni, dalla crisi dei partiti storici della Repubblica ad oggi. Cosa resta di valido e cosa manca? In questa lunga e tormentata transizione possiamo essere orgogliosi sostanzialmente di due cose: abbiamo difeso la Costituzione e la democrazia di fronte ai tentativi dichiarati di stravolgimento, abbiamo evitato il tracollo economico finanziario raggiungendo l’obiettivo della moneta unica e inserendo stabilmente l’Italia nel contesto europeo. Sono risultati dei quali andare orgogliosi, non sarebbero stati conseguiti senza l’impegno decisivo della Sinistra, ma sono di nuovo a rischio e non sono bastati per rilanciare la funzione storica della Sinistra perché non sono stati agganciati a un progetto di trasformazione sociale. Di fronte alle trasformazioni messe in atto dai processi di globalizzazione capitalistica è mancata a sinistra una cultura adeguata della trasformazione anzi vi è stato un vuoto e una regressione. Il riferimento al socialismo europeo non è bastato. Esso rimane una acquisizione durevole, necessaria ma non sufficiente a far rinascere in Italia una Sinistra che stia alla pari con gli altri paesi europei. Ne abbiamo misurato l’insufficienza proprio nell’ultimo congresso dei DS, la principale forza italiana del socialismo europeo, che ha lasciato passare questo tema, nonostante i nostri sforzi, in secondo piano ed ora il tema è scomparso dal dibattito del PD. I grandi partiti nascono e si sviluppano se sono capaci di collegare le grandi culture politiche nazionali nel contesto internazionale. E’ questo un tema che percorre tutta la riflessione di Gramsci nei Quaderni. Da dove dovremmo dunque ripartire per ricostruire una Sinistra che parli italiano e si inserisca organicamente con la sua originalità nel contesto europeo ed internazionale? Semplicemente proporrei di ripartire dalla elaborazione politica di Enrico Berlinguer. Può sembrare una ovvietà se si considera il fascino e l’ammirazione che ancora esercita sulle generazioni vecchie e nuove, può apparire una provocazione se si considera il vuoto e i tentativi di rimozione di questi anni. Si tratta invece di prendere atto che finora quella è stata l’ultima cultura politica della sinistra capace di egemonia, di apertura e di rinnovamento. E’ una ovvietà dire che il mondo dal 1984 è cambiato profondamente e che non si deve proporre nessuna icona ideologica, ma le culture politiche, quelle vere che entrano nella testa di milioni di persone,  non si inventano e da esse bisogna ripartire. Basta usare parole come “questione morale”, “austerità”, “governo mondiale”, “valore universale della democrazia”, “scala mobile e questione salariale” per evocare non tanto il pensiero di Berlinguer ma la più stringente attualità. Non si può tornare indietro perché non è possibile nessuna operazione di nostalgia, non ci si può fermare perché non è possibile nessuna opera dogmatica ma si deve ripartire dalle acquisizioni più solide per uscire dalla crisi di questi anni.

*Coordinatore Sd di Massa Carrara

da sinistra-democratica.it


Titolo: Diliberto La lotta di classe non è finita. Pd ha scelto la via del moderatismo
Inserito da: Admin - Febbraio 16, 2008, 11:18:08 pm
Diliberto: «La lotta di classe non è finita. Il Pd ha scelto la via del moderatismo»

Simone Collini


«Il Partito democratico si è sbilanciato ancora di più sul versante moderato», sostiene il segretario del Pdci Oliviero Diliberto: «Ha scelto il centro».



Perché dice questo?



«Si allea con Di Pietro ed esclude la sinistra».



Per via delle tensioni che avete creato in questi venti mesi di governo, dice Veltroni.



«Ma se Di Pietro ha litigato ininterrottamente con tutti, ha candidato De Gregorio, che è passato il giorno dopo alla destra, si è occupato di tutte le materie possibili e non delle infrastrutture. Quella del Pd è una scelta incomprensibile, se non come operazione meramente elettorale».



Non lo sarebbe stato anche con voi? Per dirne una, Veltroni sostiene che vanno riconfermate le missioni militari all’estero e voi chiedete il ritiro dall’Afghanistan.



«Oggi che non c’è l’accordo ciascuno è libero di esprimere la propria opinione. Ma vorrei ricordare che per due anni noi le missioni le abbiamo votate. Abbiamo pagato un prezzo davvero alto, anche nel rapporto con i nostri elettori, in nome della lealtà al governo».



Come pensate di ricostruire il rapporto di fiducia col vostro elettorato?



«Intanto, con questo messaggio di unità che viene dall’accordo raggiunto dai quattro partiti della sinistra. È la prima volta da decenni che invece di dividerci ci uniamo. Dopodiché, quello che farà o meno recuperare il rapporto di fiducia non sarà la campagna elettorale ma ciò che viene dopo».



Cioè?



«I nostri comportamenti, più che le parole. Vedo che sia il Pd che Fi dicono che la prossima legislatura sarà quella costituente. Noi non dovremo prestarci a nessuna manipolazione della Costituzione, ed anzi dovremo fare su questo un’opposizione di grandissimo rigore».



Parla come se fosse sicuro che dal voto di aprile nascerà un governo di larghe intese.



«Infatti, è quello che penso».

Veltroni ha già smentito più volte.



«Faccio una scommessa con i lettori dell’Unità: conservate questa intervista e vediamo dopo le elezioni chi aveva ragione».



Perché tanta sicurezza?



«Questa legge elettorale produrrà di nuovo un Senato con una maggioranza risicata. Chiunque vinca, i due poli più grandi dovranno intendersi, o in un governo insieme o in forme di collaborazione molto stretta».



Ci saranno desistenze in alcune regioni?



«Impossibile, visto che il Pd ci ha messo alla porta. A questo punto la Sinistra deve correre da sola, ovunque, fare una battaglia anche in modo aspro e prendere il maggior numero di voti possibile. Proprio per impedire lo scenario peggiore dopo».



Che ne pensa della proposta di Veltroni di un compenso minimo di mille euro per i precari?



«La proposta di dare più soldi ai precari è sacrosanta, ma avrei preferito che l’avesse fatta il Pd al governo. Noi glielo abbiamo chiesto più volte. E poi c’è un’altra questione, e cioè non può esserci uno scambio del tipo: più soldi in cambio del precariato a vita. La condizione del precario in sé, indipendentemente dagli emolumenti, è inaccettabile perché è la privazione del futuro. Io sono perché non ci sia il precariato. È una cosa strategicamente diversa».



Dopo il voto ci saranno alla Camera e al Senato i gruppi unici della Sinistra arcobaleno?



«Dipende da cosa ci dirà il voto, cioè da cosa il nostro popolo ci dirà di volere o non volere. Per quanto mi riguarda sono determinatissimo a proseguire nel processo unitario, nelle forme che saranno possibili. Dopodiché, vediamo se viene premiato o meno questo esperimento».



Esperimento che prevede la scomparsa della falce e martello.



«Avevo proposto di mantenere anche i simboli tradizionali, ma sono stato sconfitto. Lo considero un errore. Spero di sbagliare, ma lo giudico un errore anche dal punto di vista elettorale».



Comunque la falce e martello è destinata a scomparire, se proseguirà il processo unitario, non crede?



«Questa ipotesi è semplicemente inesistente, perché la falce e martello rimane il simbolo del mio partito, che non ha nessuna intenzione di sciogliersi».



Magari non oggi, ma un domani?



«Per l’attuarsi di un’ipotesi di questo genere i Comunisti italiani dovrebbero prima cambiare segretario».

Veltroni parla di un patto tra lavoratori e imprenditori per la crescita del Paese: che ne pensa?



«L’idea dell’annullamento della lotta di classe in nome di un interesse comune, presunto, di lavoratori e padroni non sta né in cielo né in terra, perché hanno interessi contrapposti, non comuni».



La crescita economica non può essere un interesse comune?



«Dal punto di vista delle tesi padronali la crescita passa attraverso un azzeramento dei diritti del lavoro».



Sosterrete Bertinotti premier: una rivalutazione, dieci anni dopo la scissione?



«È il personaggio della sinistra oggi più autorevole, tra i diversi leader che ci sono in campo, io lo avevo candidato a fare il capo di un processo di unificazione della sinistra la bellezza di tre anni fa. Oggi non vedo più le ragioni di una divisione tra due diversi partiti comunisti. Le motivazioni della scissione erano innanzitutto nel rapporto con il centrosinistra. Che oggi non c’è più».

Pubblicato il: 16.02.08
Modificato il: 16.02.08 alle ore 8.28   
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Titolo: Operai, ma anche industriali ovvero perché la sinistra non parla?
Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2008, 12:21:26 am
Verso le elezioni e non solo (18 febbraio 2007)

Operai, ma anche industriali ovvero perché la sinistra non parla?

di Oscar Buonamano*


In una domenica fredda, freddissima, ma piena di sole parte il bus di Walter Veltroni alla conquista del voto degli italiani e delle italiane. Parte da Pescara e, dopo la cornice dell’Italia serena e che piace a tutti, Spello con le torri merlate, le mura e la sua storia millenaria, s’immerge in un non luogo della contemporaneità le cui mura sono la sequenza ininterrotta di centri commerciali ed ipermercati che cingono il perimetro della città adriatica e che non prevede torri tantomeno possiede una storia millenaria.
Scrive sul Manifesto Gabriele Polo: “…il veltronismo è la prosecuzione del berlusconismo con tutt’altri mezzi: la nuova autobiografia nazionale… ha presentato un programma stringato e ovvio, comprensibile e generico: perfetto… Ipotizza la figura dello stato soccorritore, che riduce la pressione fiscale sia per l’impresa che per i lavoratori… Lascia un ampio spazio a sinistra. Più in prospettiva che nell’immediato, più sulla carta che nella realtà”.
In pochi e semplici concetti Polo esprime quello che sta accadendo, quello che potrebbe accadere e quello che non accadrà.
Non credo sia utile, per la sinistra dico, inseguire Veltroni sul terreno da lui scelto o cercare tra le poche righe del suo programma, incongruenze o la nuova linea politica dei democratici italiani. La scelta è stata fatta a Firenze all’ultimo congresso dei ds e la si può racchiudere in un unico grande tema: essere equidistanti tra sindacato e confindustria, mondo del lavoro e dell’impresa e tacere, su tutto il resto. Temi etici, diritti, laicità dello Stato sono stati semplicemente cancellati. E poi ancora lotta alla pedofilia e parole d’ordine che cominciano a circolare dalle parti del loft come sicurezza uguale carcere in un “tutto uguale” al programma della destra destra che tende ad eliminare dal vocabolario della politica italiana il conflitto sociale
Durante il congresso di Firenze molto si discusse su questo tema e molto ci si divise. Oggi, dopo la presentazione del programma e del coup de théâtre delle prime candidature annunciate, tutto è più chiaro e semplice. Oserei dire lineare. Operai ma anche industriali, appunto.
Chi parla non è Crozza ma è Veltroni, quello vero, che dal palco di Roma annuncia la candidatura, come capolista in Lombardia, di Matteo Colannino, presidente dei giovani industriali, vicepresidente di Confindustria e di molte altre cose così e contestualmente la candidatura di Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto dei sette operari che morirono nell’incidente alla ThyssenKrupp di Torino. Siamo cioè di fronte al compimento di quel percorso che a Firenze sembrava essere solo un espediente congressuale e che invece rappresenta la nuova frontiera del veltronismo.
Quindi più che essere attenti a capire il significato delle sempre uguali parole contenute nei programmi, io starei ai fatti e i fatti ci dicono che il “partito unico” è già tra noi e non bisogna aspettare il probabile pareggio al Senato del 13 e 14 aprile.
Tutto ciò premesso la domanda che sorge spontanea è la seguente: dov’è la Sinistra e dov’è l’Arcobaleno?
Il tempo è quasi scaduto e di noi non c’è traccia. Ci siamo, esistiamo nei territori, ma non a Roma. Ci siamo e ci saremo nei consigli comunali, in quelli provinciali e in quelli regionali ma non ci siamo e non ci saremo a Roma. Con grande difficoltà stiamo cercando di costruire il progetto della sinistra ma avremo grandi, grandissime, difficoltà a fare una campagna elettorale nazionale e far votare un progetto, un’idea, della quale si conosce a malapena il simbolo, il candidato premier, scelto tra poche persone e nelle “segrete stanze”, e nulla più.
Si dice che Fausto Bertinotti sia stato scelto per non far deflagrare Rifondazione Comunista in mille rivoli e che dopo le lezioni cederà il posto ad altri.
Così non va. Così non si costruisce nulla. Così non si alimenta neanche la speranza di costruire qualcosa.
E tempo che ognuno si assuma le responsabilità di ciò che è stato fino ad oggi e soprattutto di ciò che dovrà essere. E ciò che dovrà essere non si potrà progettarlo, pensarlo e soprattutto provare a realizzarlo così come è stato fatto, e soprattutto non fatto, fino ad oggi.
Perciò é necessario ed urgente un cambio di passo ed un nuovo pieno di energie capace di coinvolgere più che di escludere. Nuove intelligenze e uomini e donne più capaci e che rappresentano le realtà territoriali dove la sinistra si sta provando a costruirla.
C’è bisogno che ci diciamo questo e soprattutto che condividiamo tutto ciò. Se così non sarà la nuova sinistra non nascerà e le nostre migliori forze, intellettuali e materiali, si disperderanno in poco, pochissimo tempo. C’è chi tornerà alla sua quotidianità e chi, forse, cercherà altri lidi per esprimere le sue idee e provare a realizzarle.
“Non basta una sinistra parlamentare se non si mette in campo un’idea alternativa di società” conclude Gabriele Polo nel suo editoriale, io aggiungo non ci sarà neanche una sinistra parlamentare se non si mettono in campo assieme alle idee e ai progetti, gli uomini e le donne che in questi mesi hanno cercato e stanno cercando di costruire la Sinistra, l’Arcobaleno.

*Coordinatore Provinciale Sinistra Democratica Pescara
   

da sinistra-democratica.it


Titolo: Mario Musumeci Sulle scelte di Aprile
Inserito da: Admin - Febbraio 19, 2008, 04:45:25 pm
(19 febbraio 2008)

Verso le elezioni

Sulle scelte di Aprile

di Mario Musumeci


Quando un anno fa sono intervenuto all'ultimo congresso dei DS nella mia sezione, per sostenere la mia non-adesione al PD, ho detto (pensandolo sinceramente): "guai a ergere nuovi steccati, stiamo ancora faticando a abbattere quelli vecchi; e ricordiamoci tutti che da domani noi che non veniamo nel PD e voi che ne sarete parte dovremo ricominciare a cercare di lavorare insieme, perché la gente ne ha bisogno e perché la speranza per il PD di non derivare al centro è legata all'esistenza di una forte sinistra che sia polo di riferimento nel paese". E pensavo in primo luogo al governo dell'Unione...che poi è caduto, un anno dopo, e non per colpa della sinistra e in circostanze che molta gente normale trova ambigue e strane.
Fra i due momenti, la grande manifestazione di maggio 2007 all'EUR (Angius, Spini, Mussi....Crucianelli non intervenne, ma c'era); e poi gli Stati Generali della Sinistra a fine anno alla Fiera di Roma, dove l'intervento di Nichi Vendola (ricordate le primarie in Puglia ?...) mi ha sinceramente entusismato, così come altri. In quella occasione mi sono chiesto come mai Spini, Boselli, Angius (che mi pare avesse però già iniziato una correzione di rotta) non ci fossero: suppongo per scelta, non ricordo d'aver letto alcun anatema a una loro partecipazione.
Poi, a gennaio, a crisi di governo avviata, ho cominciato a sentire girare critiche e accuse a Fabio Mussi, "troppo egemonizzato da RC" e via dicendo...critiche che non mi hanno persuaso e mi sono parse pretestuose; come pretestuose trovo molte delle argomentazioni a sostegno della sostanzialmente organica confluenza verso il PD (e la Costituente Socialista ?) da parte di compagni che sembrano rivendicare - mentre fanno questo - la primogenitura esclusiva dei "valori fondativi di SD"....
Ora, sicome continuo a non voler ergere steccati, mi asterrò da osservazioni severe che pure potrebbero affacciarsi alla mente, e voglio dire a noi tutti: ma la Sinistra dobbiamo ri-costruirla ? e se sì, non è doveroso per tutti accettare di mettersi in discussione (sarebbe ingeneroso non ammettere che RC e Bertinotti lo hanno fatto e lo stanno facendo) e abbandonare l'attitudine - non so se staliniana, ma certo infruttuosa - a porsi come coloro che hanno una volta per tutte attinto la verità unica ? Senza steccati ? Sinceramente, trovo sbagliata la scelta che vedrà presentarsi pubblicamente domenica prossima Epifani, insieme a molti compagni dirigenti del sindacato (molti aderenti a SD) a promuovere il voto per Veltroni: sbagliata nel merito, per le ragioni già accennate; e sbagliata nel metodo, perché ne ho già ricevuto l'avviso da mailing list dalla FP CGIL come "importante iniziativa con il compagno Epifani" e però, siccome non si tratta di un presidio a una fabbrica, ma di un outing elettorale - e di parte - non dovrebbe essere promosso da strutture che sono di tutti i compagni.
Insomma, vediamo di riflettere tutti e, se ci riusciamo, di fare sul serio le cose che proclamiamo. Senza accettare steccati, ma senza alzarne, e parlando di cose, di fatti: per esempio, la CGIL di Vicenza aveva lanciato una petizione per la Moratoria contro la Base USA al Dal Molin, che io ho sottoscritto. Domenica, i compagni dirigenti nazionali della CGIL e gli altri, che posizione annunceranno su questo punto ? E' abbastanza "moderno e europeo" dire no alla base del Dal Molin, no al commercio delle armi, sì alla riconversione di industrie come Finmeccanica da fabbriche di morte (e soldi) a fabbriche di pace ?

da sinistra-democratica.it


Titolo: Vogliono il "voto utile" per riformare la Costituzione senza ...
Inserito da: Admin - Febbraio 25, 2008, 11:06:38 am
Verso le elezioni (25 febbraio 2008)

Vogliono il "voto utile" per riformare la Costituzione senza passare per il popolo sovrano

di Massimo Mezzetti*


Nel permanere del legittimo dubbio che si stiano prefigurando le condizioni per un grande inciucio post elettorale fra Berlusconi e Veltroni, quest’ultimo ha tentato di liquidare la querelle affermando che “Gross coalition” sono da escludere e che semmai saranno possibili grandi intese per le riforme. E se fosse proprio in questa formuletta, all’apparenza innocua e tranquillizzante, la risposta inquietante ai tanti interrogativi di queste settimane? A che pro la vocazione suicida di Veltroni - a meno che non si voglia credere alla leggenda metropolitana del “grande recupero” - che liquida la sinistra, tutta la sinistra compresi i socialisti, votandosi alla sconfitta? Perché disprezzare il rapporto a sinistra e però fare appello agli elettori della sinistra per arginare Berlusconi e le destre? Come mai, fra tutta l’ex Unione, scegliere di allearsi solo con Di Pietro e, ormai appare certo, con i Radicali? Il disegno e le risposte mi pare comincino a farsi chiare: massimizzare il risultato per il PD e per se stesso, salvando il suo ruolo pur nella sconfitta e, soprattutto, portare in dote nel futuro Parlamento un numero tale di deputati e senatori che, sommati a quelli del PDL, possano essere sufficienti ad approvare con i 2/3 dei parlamentari un disegno di riforma della Costituzione che non dovrà passare al vaglio del Referendum confermativo popolare. Che il progetto del PD sia in tutto e per tutto simile a quello del PDL (un mix pericoloso di Presidenzialismo e plebiscitarismo) mi pare che non si tenti neppure più di nasconderlo. Nei giorni scorsi ho partecipato ad un dibattito televisivo con l’ex ministro Giovanardi e l’on. Isabella Bertolini (entrambi ora nello stesso partito del Popolo delle Libertà). Nel corso del dibattito, un onorevole del PD ha illustrato lo schema di riforma della Costituzione del PD che è stato accolto con giubilo ed ironia dai due che, vista la coincidenza d’intenti, rimproveravano allo scaltro “democratico” il tempo perso a causa dell’opposizione preconcetta che il vecchio centro sinistra aveva dimostrato rispetto alla loro riforma, bocciata dal referendum popolare di due anni fa.
Naturalmente, affinché possano determinarsi le condizioni più favorevoli a questo disegno, ci sarà bisogno di un’opposizione ridotta al silenzio o nell’incapacità di agire e di essere incidente nei processi legislativi. Ma per questo, si fa ricorso all’appello al “voto utile”. Si fa abuso della credulità popolare e si alimenta l’attesa e l’aspirazione alla grande rimonta, che nessun sondaggio serio sembra avallare.
Si stanno spingendo tanti compagni e compagne, elettori ed elettrici che guardano a noi con favore e simpatia a prendere in seria considerazione il “voto utile”, che è poi automaticamente tradotto in quello in favore del PD. Magari turandosi il naso, come si faceva per la DC (sarà una coincidenza?!?).
Sarà dunque bene concentrarsi su questo punto nelle prossime settimane di campagna elettorale, perché questo appello reiterato al “voto utile” rischia di essere per noi nefasto.
Dovremmo cercare di indurre ad un ragionamento più approfondito l’elettore. Indurlo a non fermarsi alla superficie vuota e semplicemente enunciativa delle parole e degli appelli.
Scriveva Simon Weil, tra gli anni venti e trenta del secolo scorso: “Possiamo prendere tutti i termini, tutte le espressioni del nostro vocabolario politico, e aprirli; al loro interno troveremo il vuoto”.
Venerdì sera, 22 febbraio, Veltroni è stato ospite della Festa d’Inverno (ahimé, l’Unità non c’è più, in tutti i sensi!) di Modena. Ho potuto seguire il suo comizio in TV, dal momento che la rete televisiva privata locale, notoriamente legata agli ambienti della Curia e, per lungo tempo, a Giovanardi ha curato una lunga diretta con tanto di salotto in cui si alternavano i diversi attori del PD locale. Considerata la presenza sul territorio di un’altra rete televisiva di proprietà cooperativa e prima per indici di ascolto, non certo timida nel sostegno al PD in queste settimane, è apparsa curiosa già di per se questa scelta.
L’incedere dei ragionamenti e delle parole di Veltroni è esattamente rispondente alla triste considerazione della Weil: tanta retorica a buon mercato, forse efficace per le vittime della politica spettacolo, ma una catastrofe dal punto di vista concettuale. Una incapacità non solo a interpretare ma anche a nominare gli eventi che abbiamo davanti agli occhi e sotto i piedi.
Fra le tante cose che potrei prendere in considerazione mi soffermo solo su due sue affermazioni, la prima delle quali mi ha fatto correre un brivido lungo la schiena: era riferita al giudizio, manifestato in tutta sincerità e chiarezza, verso – letterale  "le minoranze fastidiose che bloccano il sistema del nostro Paese"; la seconda ha riguardato la ribadita e teorizzata equidistanza tra l'imprenditore ed il lavoratore con l'uso retorico della figura del piccolo imprenditore artigiano che contemporaneamente assomma in se le une e le altre caratteristiche e bisogni. Veltroni si è lanciato – una fin troppo sfacciata captatio benevolentia nella terra dei piccoli imprenditori per eccellenza (un’ora prima 200 di loro avevano sborsato mille euro a cranio per cenare con lui) – in un’ardita perorazione della causa di questi piccoli imprenditori che, poverini, tutti i giorni rischiano di non rientrare dei loro prestiti o dei mutui accesi per rendere più innovativa e competitiva la loro azienda. Ci è mancato poco che facesse un appello alla sottoscrizione in loro favore!

Sulla prima delle due questioni ho già in parte detto quello che penso. Credo che in quella frase ci sia tutto il significato di una campagna elettorale giocata sull'idea di fare il deserto intorno ai due soggetti maggiori. Non credo che ne deriverà un arricchimento per la democrazia e per l'efficienza del sistema. L'idea di costringere ai margini qualunque forma di pensiero critico sulla realtà e di affermare, con la violenza mediatica che stiamo subendo, la dittatura del pensiero unico liberal-clericale nelle sue diverse e sempre più labili sfumature è quantomeno inquietante. Non è in gioco un’idea astratta della sinistra. La sinistra non è un fatto "trascendentale" ma un soggetto storicamente determinato la cui ragione storica va sicuramente rimotivata ma che rimane costantemente - scrive Baumann - "come un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce finalizzata a indebolire la presunzione e l'autoadorazione dei dominanti".
Sulla seconda questione credo che abbia usato parole chiare Titti Di salvo quando ha scritto che “il Pd, annunciando la propria equidistanza tra lavoro e impresa, di fatto rinuncia esplicitamente a rappresentare il lavoro perché se c’è equidistanza vuol dire che non c’è differenza. Che c’è pari forza. Al contrario, tutto il diritto del lavoro italiano si basa ancora su un punto: non c’è pari forza tra imprenditore e lavoratore. I contratti e lo statuto dei lavoratori si incaricano esattamente di riequilibrare questa forza che non è pari”. Infatti, mi si perdoni la retorica, non mi risulta che in Italia muoiano per incidenti sul lavoro più di mille imprenditori all’anno. L'analisi sviluppata da Veltroni ieri sera denotava per lo meno una profonda ignoranza se non una totale malafede. Temo che si profilino tempi bui per i diritti dei lavoratori. Gli enunciati di Veltroni sono l’evidente manifestazione di chi ha ceduto culturalmente ad un certo modo di essere del capitalismo e del mercato; come se la loro accettazione avesse cancellato anche la capacità di discernere i vizi dalle virtù che in essi sono presenti, finendo col pensare che in definitiva la distinzione tra “bene e male” è relativa e che esiste solo il “potere”. 
Allora, torno alla domanda iniziale: voto utile a chi e per che cosa?
Ci poteva essere una ”alleanza utile”. Un nuovo centro sinistra frutto della semplificazione e del superamento della frammentazione grazie al PD e a La Sinistra – l’Arcobaleno (che dai sondaggi viene indicata con soli 3,5% di distacco da tutto il centro destra) ma Veltroni si e' assunto la responsabilita' di rifiutarla sulla base di una nuova conventio ad escludendum a sinistra. Chi optasse per un “voto utile” al PD non farebbe che avallare questo errore che può risultare irrimediabile in futuro, anche per i governi locali. Indebolirebbe la prospettiva unitaria della sinistra attraverso la sconfitta de La Sinistra L’Arcobaleno e favorirebbe quanti, anche a sinistra, non aspettano altro che questo fallimento per tornare ognuno alle proprie bandierine.
Non ho parlato di Ichino e neppure del fatto che Veltroni abbia detto "basta parlare di conflitto d'interessi, l'Italia ha bisogno di guardare avanti.....!". Come non ho parlato dell’idea di ridurre la centralità dei contratti nazionali in favore di quelli di secondo livello. Così come non ho parlato dell’idea di detassare gli straordinari. Non vorrei rendere fin troppo imbarazzante la loro scelta a quei compagni e a quelle compagne che, in virtù di un legittimo dissenso sulla manifestazione del 20 ottobre, si accingono a consegnarsi in mano al carnefice. Davvero non vedo nessuna coerenza, neppure con l’idea, tante volte agitata come clava nel nostro dibattito, dell’autonomia del sindacato dai partiti. Ma si sa, è più facile dire cose nuove che conciliare quelle che sono state dette.
Concludo anticipando l’obiezione che qualcuno mi farà contestandomi di aver parlato solo del PD e che il nostro avversario in campagna elettorale deve essere la destra. E’ evidente che questo è per me scontato ma facciamo attenzione: noi possiamo decidere che il PD non deve essere il nostro avversario ma dobbiamo essere coscienti che il PD ha scelto noi come i suoi avversari e che vogliono cancellarci. Se non comprendiamo questo elementare assunto e, in questa fase della campagna elettorale, non ne disveliamo i rischi ed i pericoli rischiamo di rimanere stritolati.

*Consigliere Regionale e Coordinatore SD dell’Emilia-Romagna

da sinistra-democratica.it


Titolo: Fulvia Bandoli Veltroni sembra avere unico avversario La Sinistra l'Arcobaleno
Inserito da: Admin - Febbraio 26, 2008, 08:02:54 am
Veltroni sembra avere un unico avversario: La Sinistra l'Arcobaleno.

Noi vogliamo battere la destra per e con il nostro programma

(26 febbraio 2008)

Attacchi sbagliati
di Fulvia Bandoli*


L’attacco quotidiano di Veltroni e del Pd alla Sinistra Arcobaleno ( per credere vedere il sito del Partito democratico e leggere i giornali di oggi) rischia di essere una costante della campagna elettorale. Il ritornello è noto, saremmo arretrati, tragicamente incapaci di vedere le moderne contraddizioni dello sviluppo, non avremmo cultura di governo.

Votare per la Sinistra Arcobaleno sarebbe dunque inutile perché bisogna rafforzare solo il Pd che è un partito grande ( dove appunto c’è dentro tutto e il contrario di tutto per scelta consapevole del suo leader). Avevo capito che i toni di Veltroni sarebbero stati diversi in questa campagna elettorale, concentrati sulle proposte del suo partito, senza demonizzazione di Berlusconi ( e qui pare coerente). Che avrebbe riservato invece il peggio del repertorio alla Sinistra non l’avevo proprio messo nei conti. Anche perché non sta polemizzando con i nostri i programmi ma mette in discussione la nostra stessa esistenza.  Veltroni non vuole che esista nulla alla sinistra del Pd.

In questo pezzo non dirò dei difetti del processo unitario della Sinistra Arcobaleno, perché ho scritto di questo altre volte. Oggi mi concentro finalmente su alcuni piccoli  pregi del suo programma e delle sue posizioni politiche, toccando tre o quattro questioni nevralgiche e  assai discusse.

Sulla politica estera: noi pensiamo che la dottrina  della guerra preventiva sia stato  un errore e abbia fallito la sua lotta al terrorismo, crediamo che sia stato giusto ritirare le truppe dall’Iraq e riteniamo che anche la missione in Afghanistan ( sotto egida Nato) vada ridiscussa dopo tutti questi anni e i pochi risultati ottenuti. Lo ritengono osservatori importanti americani, lo scrivono giornalisti di  politica estera, ma se lo diciamo noi siamo degli irresponsabili. Noi riteniamo che per portare la pace nel mondo non si debbano preparare altre guerre, ma negoziati sul disarmo ( invece le spese militari crescono e purtroppo anche quelle dell’Italia e noi ne proponiamo la diminuzione), soluzioni credibili alla questione Israelo-Palestinese ( vero focolaio avvelenato da troppi decenni), misure concrete ( lo 0,7 del pil di ogni paese ricco) contro la povertà, perché un mondo diseguale e ingiusto non potrà mai essere un mondo sicuro. Il cambiamento e la democratizzazione di tutti gli organismi internazionali ( Organizzazione mondiale del commercio, Banca Mondiale Fmi) perché sono essi che fanno e disfano spesso le economie di interi Paesi in via di sviluppo, che non consentono una lotta efficace all’aids per via delle multinazionali dei farmaci, che avvelenano le agricolture con gli ogm….. Seattle, Veltroni, do you remember?

Pensiamo che si debbano ricontrattare le servitù militari sul territorio italiano e dunque che la scelta di un’altra base militare a Vicenza sia sbagliata.

Sul lavoro: abbiamo messo al centro tutte le misure per l’aumento dei salari e degli stipendi ( che sono i più bassi d’Europa), abbiamo scritto che il precariato resta un tema ancora da risolvere perché il governo Prodi ha fatto poco e la legge 30 e il suo mutamento radicale resta per noi centrale, sugli incidenti sul lavoro vogliamo controlli e sanzioni precise ( perché questo è il punto, a nulla valgono nuove leggi se gli ispettorati sul lavoro e le Asl non controllano i luoghi di lavoro, gli impianti a rischio e le condizioni reali di chi lavora in quegli impianti). Abbiamo riproposto una patrimoniale sui grandi patrimoni e sulle grandi rendite ( come è nel resto d’Europa ma non in Italia). Non siamo d’accordo con coloro che pensano che liberalizzando ancora di più il mercato del lavoro ( per esempio abolendo l’articolo 18 con la scusa che non tutti possono usufruirne e dunque sarebbe bene toglierlo anche a chi ne può far uso…) si aumenti l’occupazione buona  e stabile.

Proponiamo che le banche agevolino i crediti ai giovani e alle piccole imprese, rinunciando ai guadagni vergognosi che hanno fatto in questi anni.
Sull’ambiente e le infrastrutture: Proponiamo un elenco di grandi  e medie opere assai diverso da quello della destra e forse anche del Pd. Riassetto idrogeologico del territorio, rifacimento della rete idrica ( perdiamo il 30 per cento di acqua perché la nostra rete è un colabrodo – questa si ferma agli anni 50-), completamento della rete depurativa e fognaria al sud ( molto semplicemente perché non c’è e per il turismo e anche per le industrie questo è un problema serissimo). Lo spostamento del 25 per cento delle merci dalla gomma al ferro e alle vie del mare, perché così si inquina meno, si consumano meno carburanti e si rendono le strade più sicure. Abbiamo una netta contrarietà sul Ponte sullo stretto di Messina ( opera sempre assai caldeggiata da Di Pietro) perché la Sicilia e la Calabria hanno bisogno di altro, ferrovie, reti idriche, strade primarie, porti efficienti.

Diciamo si alle energie rinnovabili ( un piano straordinario di pannelli solari in tutta italia perché pur avendo più sole abbiamo meno pannelli della germania) . Diciamo si ai trasporti pubblici potenziati nelle città e in sede propria. Diciamo no al consumo ulteriore di terreni agricoli per la speculazione edilizia e alla scelta di iper e super mercati che hanno oramai del tutto strangolato i piccoli e medi esercizi. Sui rifiuti partiamo dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio ( che può raggiungere in Italia il 40 per cento in pochi anni con gli investimenti giusti, non ci convince guardare solo alla fase terminale del ciclo e pensare di incenerire e basta. Per noi l’acqua è un bene pubblico e siamo contro la sua privatizzazione ( l’ipotesi del ministro Lanzillotta Pd non  ci trovava d’accordo proprio perché rischia di mettere in discussione questo principi. Pensavamo come Cacciari sindaco del Pd a Venezia, che il Mose fosse un ‘opera sbagliata e costosa, pensiamo che in Valle Susa il tracciato alternativo alla proposta originaria del governo Berlusconi sia una proposta valida e con minore impatto ambientale e che i Sindaci abbiamo fatto bene a chiedere di poter dire la loro.

Sulla laicità : per noi si tratta di un principio irrinunciabile e indisponibile, il vero fondamento di una società libera. Siamo favorevoli al riconoscimento per legge delle Unioni civili ( non alla finzione che viene avanzata secondo la quale ogni coppia va a regolarsi la questione dal notaio), al testamento biologico. Riteniamo che  la autodeterminazione delle donne sia un principio e che spetti a loro la prima e l’ultima parola. Non ci convincono coloro che dicono ( e nel Pd non si contano …”che la legge 194 va  difesa ma bisogna applicarla meglio”…perché dietro questa affermazione si nasconde una insidia vera). Pensiamo  inoltre che  l’Ici sugli immobili dovrebbero pagarla anche gli enti religiosi ed è uno scandalo che ciò non avvenga. Riteniamo la libertà religiosa un principio essenziale, ma in questa libertà è compresa quella di non credere o di credere diversamente.

Riteniamo sia inaccettabile pensare di trasferire i dogmi e i comandamenti di una religione nelle leggi dello Stato.

Le cose che ho scritto sono scelte che si possono condividere oppure no. Ma fanno, almeno alcune, la differenza tra la Sinistra Arcobaleno e il Pd.
Certo è più facile assemblare un partito dove ci sono tutte le opinioni e il loro contrario, e poi pensare di poterlo dirigere con mano forte e forte impronta personalistica. MA questa non è la nostra idea della politica. E neppure della democrazia.

Spero che Veltroni la smetta di menar fendenti a sinistra e si concentri di più sull’obiettivo comune. Che resta quello di battere la destra sui programmi e sull’idea di politica che si propone.

Quanto al voto utile ho già detto: una più forte Sinistra Arcobaleno sarà l’antidoto alle larghe intese e obbligherà il Pd a confrontarsi sui nostri argomenti.

Infine l’affidabilità, la litigiosità, la nostra poca propensione al governo. Le forze della sinistra (e oggi quella che si chiamerà Sinistra Arcobaleno )  sono al governo da decenni in tante città e regioni e ancora oggi le alleanze per le elezioni locali ci mostrano un Pd che ci chiede alleanze in Sicilia, a Roma e in tanti altri luoghi. Dovrei dedurne che andiamo bene sul territorio ma non nel governo nazionale? Sarebbe interessante conoscere la risposta autentica  a questa domanda.

La verità è che siamo stati leali anche con Prodi, che pure non ci entusiasmava, che abbiamo cercato di essere coerenti con il programma dell’Unione, e con l’impegno che avevamo preso con gli elettori. Mastella, Dini e una lunga sfilza di centristi hanno fatto tante volte mancare i numeri e alla fine cadere il Governo. Non pretendo che Veltroni ringrazi. Vorrei solo che la smettesse di additarci al paese come una sinistra irresponsabile. Chiedo pacatezza , io a lui, a lui che è sempre così gentile e pacato con tutti.

*della Presidenza di Sinistra Democratica


da sinistra-democratica.it


Titolo: Programma Sinistra Arcobaleno: salari su e via da Kabul
Inserito da: Admin - Febbraio 27, 2008, 04:53:55 pm
Programma Sinistra Arcobaleno: salari su e via da Kabul


Sono sette «gli assi tematici» intorno ai quali ruota il programma della Sinistra, che verrà definito oggi in un incontro tra Fausto Bertinotti e le segreterie dei quattro partiti arcobaleno. È quanto scrive in un pezzo di prima pagina "Liberazione". I punti sono: precarietà e salari; espansione del welfare; laicità e diritti civili; ambiente, territorio e mobilità; Europa, spese militari, pace e cooperazione; conoscenza, scuola istruzioni, ricerca; costi e privilegi della politica.

Fausto Bertinotti a Rainews24 spiega che oggi è il tempo della sfida, ma in un futuro non immediato Sinistra arcobaleno e Pd potranno tornare ad allearsi: «Nel tempo medio, se la sinistra alternativa avrà un successo, sarà possibile determinare un'influenza positiva sul Pd, che oggi guarda al centro ma potrebbe essere indotto proprio dal successo della sinistra a guardare a sinistra».

Oggetto della sfida, sottolinea il candidato premier dell'Arcobaleno, la convinzione che «questa società possa essere migliorata solo con dei correttivi interni: per questo il Pd parte dalla cancellazione lotta di classe» contrapposta alla posizione della sinistra, che pensa a «riproporre un'alternativa di società». «Oggi questa campagna elettorale ci divide, seppure con rispetto, evitando di ricadere - avverte Bertinotti - nella tragica storia che ha attraversato le sinistre dei fratellli coltelli».

Dal punto di vista delle proposte in campo economico, il leader Arcobaleno torna a criticare Walter Veltroni: «La crescita economica è stata criticata perché produce disuguaglianza, povertà e non benessere» e per questo va valutata «secondo i parametri dell'uguaglianza, del benessere e della valorizzazione dell'ambiente se davvero si vuol migliorare la condizione di vita della gente».

In politica estera Bertinotti parla di ripensare la missione in Afghanistan. «Bisognerebbe individuare una strategia di uscita politica dall'Afghanistan. È una circostanza determinata - spiega - dal fatto che siamo entrati in quel Paese ma non c'è più una strategia politica per la missione». 

Mille banchetti davanti a fabbriche, posti di lavoro e nelle piazze delle città italiane a partire dall'1 e 2 marzo per il tesseramento del movimento "La sinistra-L'arcobaleno". L'iniziativa e la tessera del movimento (il prezzo minimo è di cinque euro) sono stati presentati a Montecitorio. Un'iniziativa, spiega Pietro Folena, che punta a «a far sì che quello della Sinistra arcobaleno non sia solo un accordo di tipo elettorale ma rappresenti la base perchè domani nasca un soggetto plurale ed unitario della sinistra italiana». Un desiderio di unità nella sinistra che, sottolinea Folena, è sentito dalla base, se è vero che in Veneto in un weekend sono state raccolte 6 mila adesioni: il doppio degli iscritti ai quattro partiti che compongono la formazione che correrà alle Politiche guidata da Fausto Bertinotti. E la campagna di tesseramento parte dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro «che il bipolarismo - sostiene Folena - ha colpevolmente escluso dalla politica». Luoghi dove il movimento punta alla costituzione di circoli.


Pubblicato il: 27.02.08
Modificato il: 27.02.08 alle ore 14.41   
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Titolo: «La competitività non passa sulla pelle dei lavoratori» (antichi slogan!? ndr)
Inserito da: Admin - Febbraio 28, 2008, 12:17:29 am
«La competitività non passa sulla pelle dei lavoratori»

«Siamo gli Zapatero d'Italia»

La "Sinistra-arcobaleno" presenta il programma: lotta alla precarietà, crescita dei salari e unioni civili

 

MILANO - Un programma come quello di Zapatero, campione del socialismo europeo, e «più innovativo di quello del Pd». La Sinistra arcobaleno presenta la sintesi delle sue proposte, quattro cartelle in cui sono condensate le circa trenta pagine di ricette per un Paese nuovo, ma anche «migliore e più giusto». «Su diritti civili, stabilizzazione dei precari e ambiente il nostro programma è come quello di Zapatero, quindi forse è troppo di sinistra per il Pd», ha spiegato il Verde Pecoraro Scanio, «in Italia l'unica sinistra moderna e innovatrice siamo noi». Meno esterofila, ma ugualmente anti-Pd l'impostazione di Oliviero Diliberto: «Noi votiamo in Italia, e qui a destra c'è la Pdl e a sinistra noi. Il Pd è una bizzarra aggregazione che va da Binetti a Bonino e dall'operaio Thyssen a Colaninno, un partito che sui temi di crescita e competitività non ha una sola ricetta ma oscilla. Noi pensiamo che la competitività non passa sulla pelle dei lavoratori e non si misura solo con il Pil».

Ecco, più nel dettaglio, i 14 punti del programma:
SICUREZZA SUL LAVORO - Fissare per legge la durata massima del lavoro giornaliero in 8 ore e in 2 ore la durata massima degli straordinari; approvare subito i decreti attuativi del Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro per più controlli e certezza; severità delle pene per le imprese che trasgrediscono le norme.

LOTTA A PRECARIETÀ - Superare la legge 30 e affermare il contratto a tempo pieno e indeterminato come forma ordinaria del rapporto di lavoro; rafforzare la tutela dell'articolo 18 contro i licenziamenti ingiustificati; cancellare dall'ordinamento le forme di lavoro co.co.co, co.co.pro e le false partite IVA.

SALARI, FISCO, REDISTRIBUZIONE REDDITO - Fissare per legge il salario orario minimo per garantire una retribuzione mensile netta di almeno 1.000 euro. Meccanismo di recupero automatico annuale dell'inflazione reale; portare le detrazioni fiscali per i lavoratori dipendenti a 1,200 euro; introdurre un reddito sociale per i giovani in cerca di occupazione e per i disoccupati di lungo periodo, costituito da erogazioni monetarie e da un pacchetto di beni e servizi. Diminuire il prelievo fiscale per i redditi più bassi dal 23 al 20% e aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie al 20%, redistribuire il reddito ai lavoratori attuando immediatamente la finanziaria 2008 che destina loro tutto l'extragettito.

LAICITÀ - Uguaglianza sostanziale dei diritti delle persone omosessuali; riconoscimento pubblico delle unioni civili; ognuna e ognuno ha il diritto di decidere del proprio corpo e della propria vita, propone una legge sul testamento biologico.

LIBERTÀ DONNE - La legge 194 va applicata estendendo in tutto il Paese la rete dei consultori e introducendo in via definitiva la pillola RU486; nuova legge sulla fecondazione assistita per eliminare i divieti della legge 40; no a discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere.

PACE E DISARMO - Attuare in pieno l'art.11 della Costituzione. L'Italia non deve più partecipare a missioni al di fuori del comando politico e militare dell'Onu. Tagliare le spese per gli armamenti, avviare la riconversione dell'industria bellica applicando la legge 185. Al bando per legge le armi nucleari dall'Italia. No alla nuova base Usa a Vicenza, sì a una Conferenza nazionale sulle servitù militari per ridiscutere le basi della guerra preventiva sul territorio italiano. Nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo.

PATTO PER IL CLIMA - No al nucleare, superare entro il 2020 il 20% dell'energia prodotta da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni; un grande investimento pubblico in pannelli solari su tutti i tetti delle case e degli edifici pubblici. L'acqua deve essere bene pubblico. Ripubblicizzazione dei servizi idrici, legge quadro sul governo del suolo e inasprimento delle pene contro i reati ambientali e le ecomafie.

'GRANDI OPERE' - Per la Sinistra sono: messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico e idrogeologico; investimenti per migliorare i servizi di trasporto per i pendolari e la mobilità nelle città con nuove metropolitane, linee tramviarie e mezzi a energia pulita. Nei prossimi 5 anni 1000 treni per i pendolari. No a Ponte sullo Stretto, Mose, TAV; sì a interventi su nodi ferroviari urbani, infrastrutture ferroviarie al Sud, potenziare i valichi alpini. Investimenti sul trasporto merci su rotaia e sulle autostrade del mare. Ridurre la produzione di rifiuti, forti investimenti nella raccolta differenziata, misure concrete per il riciclaggio, impiego delle tecnologie più avanzate.

SALUTE - Adeguare il fondo sanitario nazionale al livello europeo, superare ticket e liste d'attesa, inserire le cure odontoiatriche nei livelli essenziali del Ssn. Legge sulla non autosufficienza, finanziando un fondo nazionale per almeno 1,5 miliardi di euro, aumento del fondo nazionale per le politiche sociali e indicazione di livelli essenziali delle prestazioni per eliminare la divaricazione fra regioni ricche e povere. Un piano di asili come cardine della rete di servizi per i bambini.

CASA - No agli sfratti se non da casa a casa. Piano nazionale per l'edilizia sociale per 1,5 miliardi di euro. Fondo per la ricontrattazione dei mutui di chi ha acquistato la prima casa e rischia di perdere l'alloggio; eliminare l'Ici sulla prima casa non di lusso per i redditi medio-bassi.

IMMIGRATI - Abolire la legge Bossi-Fini, approvare una nuova normativa che introduca l'ingresso per ricerca di lavoro, meccanismi di regolarizzazione permanente, il diritto di voto alle amministrative, la chiusura dei CPT, una legge sulla cittadinanza sulla base del principio dello jus soli.

ISTRUZIONE, FORMAZIONE, UNIVERSITÀ, RICERCA - Laicità della scuola pubblica, scuole private libere ma senza oneri per lo Stato. Generalizzare la scuola dell'infanzia, estendere il tempo pieno e prolungato, innalzare l'obbligo scolastico da fare nella scuola e da portare progressivamente a 18 anni; valorizzare il ruolo dell'insegnante. Aumentare l'investimento pubblico in alta formazione e ricerca, per raggiungere la media dei paesi Ocse; rinnovare il sistema università e ricerca con il reclutamento di 3000 giovani ricercatori l'anno fino al 2013; estendere il diritto allo studio elevando a 20.000 euro il limite di reddito per aver diritto alla borsa di studio.

COSTI POLITICA - Ridurre il numero di parlamentari e consiglieri regionali. La retribuzione dei parlamentari non deve essere superiore a quella media dei loro colleghi nei Paesi europei. Sottrarre per legge ai partiti le nomine, nella Sanità come negli altri settori pubblici.

INFORMAZIONE - Abrogare la 'legge Gasparrì, approvare una vera legge di sistema che imponga tetti antitrust e impedisca posizioni dominanti nelle comunicazioni e nell'industria culturali. È assolutamente indispensabile approvare una vera legge sul conflitto di interessi.


27 febbraio 2008

da corriere.it


Titolo: Giordano: il vero voto utile è quello per la Sinistra Arcobaleno (?!)
Inserito da: Admin - Febbraio 29, 2008, 06:29:10 pm
Giordano: il vero voto utile è quello per la Sinistra Arcobaleno

Simone Collini


«La sfida è a chi rappresenta meglio l’alternativa di società», dice il segretario del Prc Franco Giordano. «Noi non proponiamo il “ma anche”, ma l’“o-o”, perché oggi bisogna scegliere da che parte stare».

Sicuri che sia la strategia giusta, visto quello che dicono i sondaggi?
«I sondaggi ci dicono che la Sinistra arcobaleno è, proporzionalmente, quella che registra la più alta percentuale di voto tra i giovani, e che quindi è quella più proiettata nel futuro».

Dicono anche che possono aspirare al governo Pd e Pdl, da cui la questione del voto utile.
«Il vero voto utile, e necessario, è quello per la Sinistra arcobaleno, perché difende gli interessi del mondo del lavoro e contribuisce a ricostruire una presenza adeguata della sinistra in Italia. Inoltre, tanta più forza avremo tanto più sarà difficile determinare le condizioni di una Grande coalizione».

Veltroni ha più volte detto di non essere interessato.
«Il tema potrebbe riprodursi indipendentemente dalle soggettività, perché la crisi americana, quella finanziaria e dei prodotti energetici, possono spingere forze molto rappresentate nel Pd, presenti anche in lista come l’ex presidente dei giovani industriali Colaninno, a chiedere un governo di larghe intese».

Criticate ancora la presenza di imprenditori nel Pd? Veltroni vi ha ricordato che non siamo nel ‘53.
«Lo sappiamo benissimo che siamo nel 2008. Come sappiamo che oggi in Italia ci sono due milioni e settecentomila precari, tre milioni e mezzo di lavoratori in nero, non so quanti lavori atipici. Noi proponiamo che dopo 36 mesi di lavoro atipico si debba passare all’assunzione a tempo indeterminato. La Confindustria ci ha già detto di no. Che cosa sceglie il Pd? Lo sappiamo benissimo che non siamo nel ‘53, che i diritti civili sono andati avanti in tutta Europa. Noi proponiamo il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto di qualunque orientamento sessuale siano, noi siamo pronti a modificare quella legge medievale che offende la dignità delle donne e la loro autonomia che si chiama legge 40. Che cosa fa il Pd? Noi siamo pronti a dare un salario sociale ai giovani, a intervenire con detrazioni fiscali sul lavoro dipendente, ad attuare il recupero del fiscal drag».

I soldi per farlo dove pensate di prenderli?
«Le risorse si possono trovare attraverso un’operazione di redistribuzione sociale, con una seria politica contro l’evasione fiscale e con l’armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie ai livelli europei».

Ci saranno in Parlamento gruppi unitari della Sinistra arcobaleno?
«Questo è sicuro. Ma aggiungo che questo soggetto unitario e plurale non deve vivere solo in Parlamento e non deve essere la somma di forze politiche».

Lei e i leader di Pdci, Verdi e Sd avete scritto una lettera alla Vigilanza Rai per denunciare il black out informativo delle forze che non siano Pd e Pdl. Eppure Bertinotti è il candidato premier più presente in tv.
«A parte che Bertinotti è l’unico presente, mentre del Pd sono in tanti. In discussione non è qualche secondo in più in un pastone televisivo o una riga in più su un giornale. In discussione è la forma della democrazia in questo paese, perché c’è un tentativo di mutilazione in contrasto con la legge e che non tiene conto della pluralità delle culture della società italiana».

Il motivo, secondo lei?
«Un vizio antico, un meccanismo di intolleranza verso qualsiasi cosa si muova a sinistra».

Ancora una polemica col Pd?
«Nessuna polemica. Però mi viene da sorridere quando sento che ognuno rinfaccia all’altro di copiare il proprio programma. Sicuramente a nessuno verrà in mente di dire che il programma della Sinistra arcobaleno è copiato».

Il fatto che la destra dica che quello del Pd è copiato non vuol dire che sia vero, non crede?
«Pd e Pdl offrono ricette diverse senza proporre un’idea di alternativa della società. E poi ho sentito una regressione un po’ inquietante sul tema del contrasto alla pedofilia. Dobbiamo essere molto determinati e molto fermi, però arrivare alla castrazione chimica... il “ma anche” non può arrivare alla tortura, ma democratica».


Pubblicato il: 29.02.08
Modificato il: 29.02.08 alle ore 13.08   
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Titolo: Mussi: "Il duopolio è già iniziato e il Pd vuol cancellare la sinistra"
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2008, 09:19:15 am
POLITICA

Il ministro dell'Università è tra i fondatori della Sinistra Arcobaleno

Ha subito 18 giorni fa il doppio trapianto di reni: "Grazie a chi mi consente di vivere ancora"

Mussi: "Il duopolio è già iniziato e il Pd vuol cancellare la sinistra"

"Inaccettabile il coro dei media che canta compatto le lodi di Pd e Pdl"

"Da parte della Chiesa negli ultimi tempi una vera e propria ingerenza nella politica"

di CLAUDIA FUSANI

 

Fabio Mussi, sessant'anni, ministro dell'Università e della ricerca, leader storico del Pci prima e dei Ds poi, nell'aprile 2007 fondatore di Sinistra democratica e poi con Rc, Pdci e Verdi di La Sinistra-L'Arcobaleno, ha subìto il 10 febbraio scorso il doppio trapianto dei reni. Intervento preventivo per evitare la dialisi, un destino che sarebbe stato obbligatorio entro pochi mesi. Questa è la prima intervista che rilascia. Il suo debutto in una campagna che forzatamente lo vede ancora come spettatore. Malato di... politica, Mussi è a Bergamo dove è stato operato anche se non è più ricoverato.

Ministro, come va?
"Sto bene, i due reni nuovi funzionano... Ne approfitto, a 18 giorni dall'intervento chirurgico, per ringraziare di cuore i tanti - compagni, amici e anche avversari politici - da cui ho ricevuto un fiume di messaggi. Quella che sto vivendo è un'esperienza importante. Ho sperimentato qui a Bergamo il valore della scienza italiana e i livelli di qualità raggiunti dal sistema sanitario pubblico. E' emozionante ricevere, da uno sconosciuto che ha terminato la sua vita, organi che consentono di allungare la tua. E' un grandissimo atto di altruismo. In futuro testimonierò sempre a favore della cultura della donazione".

Veltroni l'ha salutata dal palco dell'Assemblea Costituente del Pd, la platea del padiglione 4 del Palafiera di Roma si è alzata in piedi. Qualche rimpianto? Rifarebbe tutto?
"Me l'hanno detto, e mi ha fatto piacere. Se si passano quarant'anni insieme, non ci si può sentire degli estranei. Ma le scelte politiche sono scelte politiche. Non ho rimpianti, e rifarei tutto. Non mi dispiace che al Congresso di Firenze la separazione sia avvenuta senza che volassero stracci: un episodio di civiltà politica in verità piuttosto raro".

Come trascorre queste giornate di convalescenza?
"Terapie in ospedale, una montagna di medicinali, qualche passeggiata con mia moglie Luana. Poi libri, tv, giornali, telefono, internet".

Primo scorcio di campagna elettorale. Qualcosa l'ha fatta arrabbiare?
"Il coro. L'inaudito corteo dei media, con cimbali, trombe e pifferi a cantare compatti le lodi di Pd e Pdl. Non si è ancora formato il duopolio e i mezzi di comunicazione sembrano già in monopolio...".

C'è davvero un rischio duopolio?
"Ho visto una mobilitazione senza precedenti per ridurre a due il sistema politico italiano. Naturalmente non due partiti, ma due aggregati. Da una parte il Pdl di Berlusconi, Fini piu Mussolini, Dini e merci varie, collegate a Lega Nord e Lega Sud. Dall'altra il Pd con dentro i radicali e il tutto collegato con Di Pietro. Gli uni e gli altri intenzionati a fare terra bruciata. Questo è uno schema che non ha eguali in Europa e che provocherebbe un'amputazione della democrazia. Tanto più che in assenza di altre opzioni i due blocchi tenderebbero inesorabilmente a convergere, sul piano politico, culturale, e programmatico. I segni non mancano".

E' come se Veltroni e Berlusconi avessero realizzato per via extraparlamentare quella riforma bipolare su cui avevano trovato l'accordo prima di Natale.
"La novità non è il bipolarismo, quello c'era già. La novità è il duopolio. E, com'è avvenuto con le televisioni, temo che il duopolio porti inesorabilmente al trash...".

Il Pd non ha voluto voi ma imbarca Di Pietro e i Radicali. Perché?
"Perché le affermazioni "andiamo da soli" e "il programma non è trattabile", erano una bufala. L'obiettivo vero è cancellare la sinistra. Fondamentale è farla fallire".

Veltroni vi accusa di essere "conservatori".
"Una boutade. Qualche volta ci accusano di essere conservatori, qualche volta estremisti".

Siete estremisti?
"Sull'estremismo farei una riflessione: io per esempio trovo piuttosto estremista che una parte grande delle nuove generazioni sia destinata a passare decenni in lavori precari con salari da fame. Trovo moderato che dopo un certo periodo il lavoro e la vita escano dalla precarietà. Trovo estremista che l'Italia sia settima al mondo per spese militari (4° per spese militari pro-capite e 32° per spese in Università e ricerca scientifica). Trovo moderato che si scenda da una parte e si salga dall'altra. Potrei continuare a lungo...".

Nelle prossime settimane userete fair play con gli ex cugini Ds ora nel Pd?
"Per la verità gli schiaffi li abbiamo già ricevuti da loro: prima una totale chiusura, non dico ad un'intesa ma a un confronto programmatico. Poi una campagna mistificatoria sul "voto utile". Infine addirittura qualche appello del tipo "votate Pd o Pdl".

Ha molto da rimproverare?
"Una cosa mi ha parecchio colpito: il Pd, nell'ultima legislatura, ha avuto nelle proprie file 18 ministri su 25, il Presidente del Consiglio, due vicepresidenti, tutti i ministeri chiave, i due gruppi parlamentari più grandi e non si è assunto alcuna responsabilità per i risultati del Governo Prodi, tentando di scaricare tutto sugli alleati (per la verità non tutti, visto che Di Pietro che ha rappresentato uno dei maggiori fattori di instabilità del governo, ha la lista collegata col Pd). Questo non è decoroso. Ogni volta che la Sinistra ha provato a fare qualcosa di più, sui salari, sul precariato, sui diritti civili, sulla ricerca, ha trovato nel Pd un muro. Perché ora dovrebbero essere credibili i mirabolanti annunci?".

Ieri la Sinistra-L'Arcobaleno, il soggetto unico a sinistra del Pd su cui lei ha tanto investito, ha presentato il suo programma. Parola d'ordine: "Fai una scelta di parte". Crede veramente che il paese abbia voglia di fare una scelta di parte? Di sentirsi e quindi di definirsi di destra o di sinistra?
"Ma lei ha chiaro qual è l'etimologia della parola "partito"?".

Vuol dire "di parte".
"Viene esattamente da "parte". In una democrazia matura nessun soggetto rappresenta il tutto. E' una patologia che qualcuno lo pensi. Quanto alla distinzione in "destra" e "sinistra", si tratta di una delle cose politicamente sensate che valgono da un paio di secoli e che non sono tramontate. Sostituirle con categorie insignificanti - tipo vecchio/nuovo , moderno/antico - è un'autentica truffa. Può dar luogo anche a rappresentazioni suggestive, ma dice poco o niente della vita e del mondo reale".

Quali sono i punti forti di questo programma su cui punterete?
"Rimessa in valore del lavoro umano e dell'ambiente naturale. Libertà delle persone, il che comporta difesa integrale della laicità dello stato. Lotta senza quartiere contro la corruzione e le mafie. Disarmo e strategie di pace e di cooperazione internazionale".

Parlate anche di lotta alla precarietà e aumento delle retribuzioni. Con quale copertura finanziaria pensate di farlo considerando che la congiuntura economica internazionale è e sarà pessima?
"Scusi ma lei fa a me questa obiezione?! Qualcuno ha fatto un qualche studio sui dodici punti da trasformare in leggi annunciati dal Partito Democratico? Io mi sono fatto fare una ragionevole stima: trattasi, a occhio e croce, di 40 miliardi di euro di nuove spese, e di realistici risparmi di 4 miliardi di euro".

Quindi è impossibile?
"Forse, quando si parla di risorse occorrerebbe non trascurare il punto essenziale: la disuguaglianza. L'Italia, come dimostrano tutti gli indicatori, è diventato negli anni uno dei paesi più diseguali del mondo. Il 10% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza. E' cresciuta l'area della povertà assoluta e relativa, i salari sono precipitati agli ultimi posti in Europa, sono precipitate le condizioni di vita di una parte grande delle classi medie. Bisogna intervenire".

Come?
"Con politiche redistributive forti per ridurre la disuguaglianza, e per ritornare dall'attuale "repubblica fondata sulle rendite" alla "repubblica fondata sul lavoro" ".

Veltroni ha definito il Pd "il partito del lavoro": ha candidato il numero 1 della Confindustria giovani e l'operaio sopravvissuto della Thyssen-krupp. L'economista Ichino e l'impiegata di un call center.
"Non mi scandalizzano le candidature in sé. Ma le candidature più le idee che l'accompagnano: per esempio quella che l'imprenditore e l'operaio sono entrambi lavoratori. E' vero che l'imprenditore è un lavoratore, ma non è vero il contrario, perché di mezzo c'è il piccolo dettaglio che si chiama il capitale".

Intende il plusvalore?
"I dati sono noti: il lavoro operaio e dipendente è numericamente cresciuto, ma un'enorme quota di ricchezza prodotta si è spostata dai salari ai profitti e alle rendite. Siamo tornati ad una quota del Pil destinata ai salari pari a quella della fine degli anni cinquanta, prima del boom".

Gli imprenditori non hanno investito in innovazione e ricerca?
"Assolutamente no. Le imprese italiane su questo punto sono molto indietro a quelle europee. Una parte grande di questo fiume di soldi è andato ad alimentare quello che Ricardo, uno dei padri dell'economia classica inglese, chiamava "consumo signorile".

Anche a sinistra c'è chi ha la barca...
"Non intendo solo una barca. Parlo di automobili, gioielli, case di lusso, prostitute... se non si spezza questo diabolico meccanismo l'Italia è perduta".

Il Pd si è disfatto del fardello comunismo ma gli scoppia in casa la questione laica. Come finisce tra Binetti e Bonino?
"E chi lo sa! So che la Bonino è a favore dell'abrogazione del Concordato, è contro la legge 40, è a favore dell'eutanasia. Non sarà facile".

Ha visto: Veltroni definisce quelle della Chiesa su temi come la famiglia "sollecitazioni e non ingerenze". Cosa ne pensa?
"Naturalmente definire quelle della Chiesa attuale "sollecitazioni" è un discreto eufemismo. Io sono a favore della più totale libertà religiosa e del più incondizionato diritto alla parola della Chiesa, come mi pare di aver dimostrato nel caso della visita del Papa alla Sapienza. Guai però a dimenticare che i diritti della chiesa nella repubblica italiana si esercitano nel quadro dell'articolo 7 della Costituzione. E oggi mi pare che siamo davvero all'ingerenza, nella politica e nel processo di formazione delle leggi".

Veltroni in bus Berlusconi in camper, voi?
"Noi a piedi. On the road".

Ha mai pensato che Nichi Vendola, il governatore della Puglia, potesse essere un candidato più a sorpresa e quindi più vincente rispetto a Bertinotti?
"Bertinotti è una forte personalità e sta facendo benissimo. Nichi Vendola avrà un grande peso nella costruzione della sinistra unita".

Tra voi e il Pd è un divorzio per sempre?
"No, in futuro spero un'alleanza. Ma questo comporta ora una competizione".

Qualcuno sta rinunciando a Sinistra democratica per cercare qualche posto nel Pd. Cosa dice a Olga Di Serio, a Crucianelli, a Nerozzi e a chi l'ha lasciata?
"Che meditino sulle cose dette e scritte da loro medesimi in tutti questi anni, almeno dal Congresso di Pesaro dei Ds del 2001".

Me lo consenta alla fine dell'intervista: ha sentito D'Alema in questi giorni?
"Sì, mi ha chiamato. Abbiamo parlato del trapianto. Mi ha fatto molto piacere".

(1 marzo 2008)

da repubblica.it


Titolo: Bertinotti contro il duopolio
Inserito da: Admin - Marzo 02, 2008, 11:20:41 pm
POLITICA

Il candidato premier della Sinistra-L'Arcobaleno avvia la campagna elettorale

Più di mille persone al teatro Ambra Jovinelli. A decine restano fuori

Bertinotti contro il duopolio

"Cambiamo il sistema economico"

No a lotte fratelli-coltelli ma... "caro Veltroni nel tuo programma troppi e/e"

"Opposizione totale alla destra". Sit in contro la Rai perché garantisca l'informazione

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - "Prendiamoci questo arcobaleno, mettiamoci dentro tutti i nostri simboli, le nostre storie, le persone e i loro diritti, facciamone il nostro orizzonte, il nostro rinascimento, il nostro futuro colorato contro il nero". Strappa tanti applausi Fausto Bertinotti negli oltre novanta minuti in cui spiega su un palco, da solo, cosa è la nuova sinistra, il suo programma e la sua stessa ragione di esistere. Ma è questo - con cui suona la carica, regala un sogno e una prospettiva, qualcosa per cui lottare - è il passaggio che forse emoziona di più la platea e le gallerie dell'Ambra Jovinelli.

La Sinistra-L'Arcobaleno ha scelto il teatro di tendenza di Roma per dare il via ufficiale alla campagna elettorale. Scelta "sbagliata" perché i mille posti se ne vanno in pochi minuti, arrivano i vigili del fuoco e il popolo della sinistra con le sue bandiere - nuove, sempre rosse ma senza falce e martello e con l'arcobaleno - deve restare fuori, in piazza. "Scelta minimalista" si giustificano gli organizzatori.

Apre i lavori una battagliera Patrizia Sentinelli, tailleur rosso e sciarpa viola, che cerca di spiegare la difficoltà di una campagna elettorale "molto difficile" che "ci vuole vedere scomparire". Annullati, finiti, "addio sinistra". Poi un giovane studente; una sindacalista ventenne che reclama a Roma un ruolo non in quanto "succursale dello stato pontificio" ma perchè "capitale di una repubblica laica"; Matilde, giovane ambientalista romana la cui associazione ha salvato 180 ettari di verde dalla speculazione "che ora saranno annessi al parco dell'Appia antica" e che racconta una semplice quanto scomoda verità: "Se portiamo la raccolta differenziata all'80 per cento non abbiamo bisogno di impianti o altro. Non abbiamo bisogno di deturpare ancora l'ambiente".

Bertinotti prende la parola alle 11 e 15, blazer blu con toppe di camoscio sui gomiti, la cravatta rossa di cui si è in qualche modo "riappropriato", una mano sul cuore l'altra alzata a salutare. Resta sul palco più di un'ora, da solo, in piedi, parlando a braccio, senza bere un goccio d'acqua. Anche questo è un modo di "combattere" Veltroni. In platea Achille Occhetto, Sandro Curzi, Valentino Parlato, lo stato maggiore di Rifondazione, Verdi, Pdci e Sinistra democratica, da Elettra Deiana a Paolo Cento. A chi nota l'assenza di Pecoraro Scanio, Diliberto e altri dirigenti la risposta arriva subito: sono tutti in giro per le piazze italiane.

"No fratelli coltelli". I toni della campagna elettorale, soprattutto nei confronti del Pd, è un tema a cui Bertinotti tiene molto "perché sono contrario all'invettiva, ho vissuto troppe pagine di lotta alla fratelli-coltelli, ora basta". Il candidato premier di Sa chiede che col Pd ci sia un confronto "aspro ma chiaro e rispettoso" che ruoterà soprattutto intorno a un concetto: "Caro Veltroni, non sarai in grado di contrapporti alla destra perché il loro modello è troppo simile al tuo...perchè il tuo partito è sempre di più un contenitore con dentro di tutto e che converge sempre di più al centro".

Aut-aut contro "e... e". Sempre a Veltroni e al Pd è dedicato un altro importante passaggio del discorso di Bertinotti. "Ragioniamo - dice - su questo e/e congiuntivo. Una parte la assumo, è quella ecumenica che riguarda la vita e la convivenza, la accetto quando parliamo di donne e uomini, omosessuali e etero, giovani e vecchi, stranieri e non stranieri". Ma poi si arriva alla sfera dei rapporti di forza, competitivi, e "qui deve scattare l'aut-aut perché non si può stare con i lavoratori e con i padroni. O con l'uno o con l'altro". Ma come gli viene al Pd in mente di candidare Confindustria (Colaninno ndr) e Federmeccanica (Calearo ndr) tra operai e precari: "Adesso diciamo che ce ne sono due e mezzo di troppo...". Si spiega così lo slogan della campagna elettorale: "Una scelta di parte". "Ecco - alza la voce Bertinotti - noi siamo di parte perché stiamo dall'altra parte, quella dei dominati che non vogliono più esserlo" e perchè "vogliamo combattere contro questo nuovo capitalismo che non ti chiede più solo le mani ma anche il corpo, l'anima e la mente".

Il cuore del programma: un nuovo umanesimo. Bertinotti non scomoda parole altisonanti come "missioni" né si può impegnare su disegni di legge e punti vari. Anche la Sinistra e l'Arcobaleno ha il suo programma in 14 punti distribuiti in circa trenta pagine, dall'ambiente ("fondamento di SA") alla difesa della 194, dal laicismo alla libertà della persona al rispetto dei diritti ogni individuo ("il nostro monumento è l'articolo 3 della Costituzione"). C'è un punto centrale, per cui Bertinotti strappa applausi in piedi: il riconoscimento del ruolo e del "debito" nei confronti della donna ("si nasce da madre, si nasce da donna"). Ma Bertinotti insiste sul cuore del programma, "la modifica radicale di questo sistema economico e sociale che produce ogni forma di devastazione delle persone e dei diritti" definito come un "neointerclassismo che vorrebbe pretendere la scomparsa del conflitto di classe e della fatica del lavoro. Ma dove? Ma quando?". L'obiettivo: "Un nuovo umanesimo, un nuovo rinascimento che metta al centro i diritti della persona". Questa è la risposta che va data a chi, a sinistra, e sono tanti, "ci guardano e scrollano la testa perchè dopo le tante attese del 2006 dopo due anni siamo di nuovo qua. Abbiamo fallito, inutile negarlo". Ora si ricomincia, "da questo arcobaleno".

"Una nuova sinistra unita". Il Presidente della Camera, sempre più modi e gesti ieratici da padre spirituale della nuova sinistra, parla della necessità di "tornare al classico" e di "rompere contro i facili nuovismi". Per la prima volta, dopo 25 anni, "la base comune di questa sinistra è la individuazione della causa motrice del disagio di ognuno di noi: il modello economico e sociale che ci hanno imposto". Ecco che La Sinistra e L'Arcobaleno ha una mission fondamentale: "La modifica radicale di questo modello economico e sociale". Quello per cui se un camallo muore nel porto di Genova a 40 anni dopo che suo padre aveva fatto la stessa fine "ci dicono che è solo un infortunio". No, per la Sinistra è "una storia di profitto, di competizione, di necessità" a cui è doveroso e non più rinviabile "ribellarsi". Basta, allora, con un sistema per cui "la competitività è valore assoluto e la crescita un obiettivo primario" perchè questo "genera diseguaglianza".E basta con un sistema dove ti spiegano che "precario è meglio di disoccupato e che se prendi cento euro in più al mese rispetto a uno stipendio da mille euro ti dicono che rovini la competitività delle imprese".

Due nemici: manifestazione contro la Rai. Il programma della destra viene liquidato come "insana miscela di populismo e liberismo a cui La Sinistra farà opposizione radicale". Sono due invece i "veri nemici" di questa campagna elettorale. "Il primo- spiega - è la falsificazione che vuole la politica italiana come una gara a due". Responsabili non sono solo Pd e Pdl "ma soprattutto i media" per cui Bertinotti convoca a breve una manifestazione contro il servizio pubblico della Rai. E a proposito di voto utile, "se vogliamo farla breve basta dire che l'unico voto utile è quello per La Sinistra e L'Arcobaleno". Poi un attacco diretto a Anna Finocchiaro e al Pd che "dopo averci scaricato adesso invitano a votare o per se stessi o per il Pdl". Questo, dice Bertinotti, "è veramente inaccettabile".

Partono le note di Spirito libero di Georgia e poi il reggae di Bob Marley con Redemption song . E anche Bertinotti accenna mosse a tempo di musica.

(2 marzo 2008)

da repubblica.it


Titolo: Simone Collini. Mussi: il duopolio Pd-Pdl amputa la democrazia
Inserito da: Admin - Marzo 07, 2008, 03:19:27 pm
Mussi: il duopolio Pd-Pdl amputa la democrazia

Simone Collini


«Si risale la china», dice con un sospiro di sollievo Fabio Mussi. Passato un mese da quando è stato sottoposto a un doppio trapianto di reni, il ministro dell’Università è alle prese con le terapie anti rigetto. «La scienza italiana, nonostante quello che ci investiamo, raggiunge straordinari livelli di eccellenza».

È questa la cosa che più le dispiace di questi 20 mesi di governo, che non avete fatto di più per la ricerca?
«Questa, ma anche un’altra, di carattere più generale. Il Partito democratico aveva 18 ministri su 25, il presidente del Consiglio, due vicepremier, tutti i ministeri chiave, il gruppo parlamentare più forte, ma non ha avuto il coraggio e la serietà di assumersi la responsabilità anche di ciò che è andato storto, addossandola invece tutta agli alleati minori».

Veltroni dice che i ministri in piazza non hanno aiutato.
«Non so bene di cosa si parli. Immagino ci si riferisca a Fioroni, che ha partecipato al Family day contro una legge del governo, i Dico, o alle manifestazioni di Di Pietro contro l’indulto».

Veniamo al futuro: la Sinistra arcobaleno è data sotto l’8% in diverse regioni. È preoccupato?
«No, sono sondaggi di inizio di campagna elettorale, vedremo alla fine. La cosa importante, di grande valore strategico, è affermare la presenza consistente di una sinistra politica rinnovata e unita. Oggi è in corso una battente campagna tesa a dimostrare che c’è un solo voto utile, che è bene una riduzione a due del sistema politico italiano, che i voti che non si danno alle due maggiori formazioni sono sprecati. Campagna che si è spinta fino al paradosso di esponenti del Pd che dicono di votare o Veltroni o Berlusconi».

Non se l’aspettava?
«No, però lo trovo sintomatico. Per questo è molto importante, per l’avvenire di questo Paese, che esista una sinistra politica. Caratterizzazione, quella di sinistra, che mi pare non interessi minimamente al Pd, come dimostra anche l’intervista di Veltroni al Pais: siamo riformisti, non di sinistra».

Riformisti di centrosinistra, ha precisato.
«Sì, va bene. Quel che è certo è che, se non la parola, è la sostanza che è rimasta incustodita. Ecco perché non è auspicabile un gioco a due, anche per evitare attrazioni fatali e magari qualche progetto di riforma costituzionale che veda protagonisti esclusivi il Pdl e il Pd».

È più auspicabile la frammentazione?
«Figuriamoci, ma da venticinque partiti a due c’è un salto che porta all’americanizzazione, che porta fuori dal quadro europeo dove ovunque c’è bipolarismo e aggancio con le grandi tradizioni politiche sorte sul continente, e in nessun paese c’è bipartitismo. Quello che è auspicabile è la presenza di una, per quanto ridotta, pluralità di soggetti. In un paese come il nostro, escludere gran parte della rappresentanza politica e di parti sostanziali della società è un azzardo. Nel duopolio si amputa la democrazia».

Addirittura?
«Sì, se si pensa che questa campagna elettorale ha due poste in gioco. La prima è il governo dei prossimi cinque anni. La seconda, oserei dire persino più importante, sono gli assetti della democrazia italiana e del sistema politico dei prossimi cinquanta anni».

Vede il rischio di una scomparsa di una sinistra politica?
«Vedo il Pd che fa l’appello a non votare più a sinistra, perché non gli dispiacerebbe che scomparisse questo competitore, sino a ieri alleato».

Magari non gli dispiace che scomparisse perché, come dice Veltroni, siete dei conservatori e impedite la modernizzazione del paese.
«Questa è una bella boutade. Le categorie destra e sinistra sono state sostituite con moderno-antico. Categorie politicamente insignificanti. Anche se quando si sente pronunciare in politica troppo spesso la parola moderno ci si deve mettere con le spalle al muro, perché qualcuno cerca di fregarti. In nome della modernità Calearo sostiene che la legge 30 è ottima e che sarebbe bene abrogare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Mi ha impressionato».

Non è Calearo ma Veltroni che vi ha detto che siete rimasti agli anni 50.
«Non siamo noi, è la situazione che è tornata quella degli anni 50: morti sul lavoro e salari da fame. E abbiamo visto la posizione pazzesca assunta da Confindustria, e in special modo dal suo vicepresidente Bombassei, smontare tutta quella versione armonica del rapporto tra imprenditori e lavoratori nella quale è impegnato il Pd. Alla prima prova, di fronte a una strage insopportabile di lavoratori come quella in corso, Confindustria si è detta contraria ai decreti che rafforzano i controlli e le sanzioni. Questo a riprova che tra l’imprenditore e il lavoratore c’è anche qualche conflitto».

Però un patto per la crescita tra imprenditori e operai può incidere sui salari, non crede?
«I salari sono fermi dal 2000. Dal rapporto Mediobanca dello scorso anno emerge che la parte di valore aggiunto destinata ai salari scende dal 40 al 30%, e i profitti salgono di 11 punti. Prendiamo il lungo periodo, gli ultimi 35 anni: la quota del Pil che va al lavoro dipendente scende dal 59 al 48%. E quand’era a questa percentuale? A metà degli anni 50. Quello che manca ai salari finisce ai profitti e alle rendite. E lo ritroviamo in altri indicatori, che dicono che in Italia il 10% dei più ricchi possiede il 45% di tutta la ricchezza mobiliare e immobiliare privata. La malattia italiana si chiama diseguaglianza, prima ancora che scarsa crescita».

D’alema non esclude in futuro una collaborazione tra voi e il Pd. Che ne pensa?
«Mi fa piacere, vuol dire che c’è qualcuno che ancora riflette. Neanch’io la escudo, anzi mi auguro che in futuro si riapra la possibilità di un’alleanza di centrosinistra, perché altrimenti vedo difficile la possibilità di governare questo Paese. Ma oggi c’è competizione. Almeno finché non si capisce qual è la posizione del Pd, se quella di Calearo e Ichino o quella di Paolo Nerozzi, almeno nella versione che ho conosciuto io».

Dice che è diversa da quella odierna?
«Fu il principale organizzatore dei tre milioni in piazza contro l’abrogazione dell’articolo 18. Oggi è candidato per il Pd in Senato in Veneto, dove c’è capolista alla Camera Calearo».

A proposito di candidature, la Sinistra ne presenta pochissime di esterni.
«Sì, siamo al di qua del necessario e del possibile. Tuttavia, si fa un passo alla volta».


Pubblicato il: 06.03.08
Modificato il: 06.03.08 alle ore 9.39   
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Titolo: Paolo Nerozzi. La coerenza è davvero un bene raro
Inserito da: Admin - Marzo 08, 2008, 04:50:07 pm
La coerenza è davvero un bene raro

Paolo Nerozzi, candidato per il Partito Democratico nella stessa regione in cui il Pd presenta come capolista il presidente di federmeccanica, fautore dell'abolizione dell'articolo 18 e grande sostenitore della legge 30, ha accusato La Sinistra - l’Arcobaleno di non occuparsi dei lavoratori.
Ci saremmo aspettati almeno la dignità del silenzio. La posizione di Nerozzi è imbarazzante. Si trova ad essere candidato in un partito che ha attaccato sino all'altro ieri per le sue posizioni di equidistanza tra lavoro e impresa. Vorrei chiedere da giorni a Paolo cosa sia cambiato da allora, a parte la certezza del suo posto nel prossimo parlamento.

Le liste de La Sinistra – l’Arcobaleno vedono la presenza di centinaia di lavoratori e lavoratrici, molti precari, giovani e non. La differenza fra noi e il PD è che i nostri candidati non sono usati come “madonne pellegrine” da portare in giro e mostrare come trofei di caccia. Forse perchè non abbiamo bisogno di foglie di fico per coprire la selva di candidati espressione delle peggiori logiche confindustriali. Nerozzi ha bisogno di urlare per denunciare quello che, impropriamente, definisce uno “scandalo”. Si sa, i vasi vuoti sono quelli che fanno più rumore. A corto di argomenti per giustificare le sue rocambolesche giravolte ha bisogno di attaccare i suoi compagni di un tempo. Un classico degli “ex”.

Il nostro ex sindacalista si compiace di come Veltroni sappia mantenere le promesse. Verso di lui, sicuramente. Verso il mondo del lavoro, e soprattutto verso quella Cgil che è palesemente preoccupata dalle posizioni del Pd su lavoro e impresa, no di certo.

Ricordo quando Nerozzi, su “Aprileonline” del 3 dicembre del 2007, tuonava contro le notizie pubblicate da Liberazione e Manifesto rispetto alla "rottura" tra lui e Sinistra Democratica: "sono solo falsità!".

"E' incredibile, quante bugie vengono mese in giro”, insisteva Nerozzi, “….Le forze politiche si costruiscono su valori, sulle pratiche e sui comportamenti. Questo dovrebbe valere se si vuole veramente costruire una sinistra senza aggettivi. ….Guarda – proseguiva Nerozzi - cito il Vangelo: nei fatti si verificherà la verità! Il problema è che quando non si è d'accordo con una persona la si demonizza, è un vecchio metodo che appartiene al secolo scorso e che ha procurato tanti danni al movimento operaio. Partire così, non è certo il miglior sintomo per dar vita ad una cosa nuova”.

Alla domanda: dove andrebbe, allora Nerozzi? Lo stesso Nerozzi rispondeva: “in Cgil. I sindacalisti fanno i sindacalisti …… proprio in una rappresentanza politica dilaniata del lavoro si può fare politica facendo anche "solo" il sindacalista. E' una concezione terzointernazionalista quella che ci si debba "accasare" per forza. La politica si fa anche attraverso forme diverse”.

E’ proprio vero quello che affermava un saggio letterato francese del ‘700: è più facile dire continuamente cose nuove piuttosto che essere coerenti con quelle precedentemente dette.

*Consigliere Regionale e Coordinatore SD Emilia-Romagna



Titolo: Socialismo:perno per i valori del lavoro e della laicità
Inserito da: Admin - Marzo 18, 2008, 12:21:37 am
Socialismo:perno per i valori del lavoro e della laicità


Mi è gradito incontrare Carlo Vallauri,¬ professore di Storia contemporanea dal 1983 al 1997 presso l'Università per stranieri di Siena,  ha insegnato altresì Storia dei partiti e Sociologia politica all'Università di Roma "La Sapienza" e Storia dei movimenti sindacali alla Luiss, ed è stato dirigente generale del Ministero del Bilancio e della Programmazione economica.

Ha pubblicato studi sulla politica liberale di Zanardelli, Giolitti e l'occupazione delle fabbriche, il corporativismo, gli statuti e l'organizzazione dei partiti - ricerca CNR in otto volumi -, il PSI e l'Internazionale socialista, la cooperazione agricola, la storia dei sindacati, la guerra in Abruzzo - sulla base dei documenti rinvenuti presso l'Archivio centrale dello Stato, i National Archives e il Record Office di Londra -, Roma contemporanea, i diritti umani e la pace nei manuali scolastici dei paesi sviluppati e dei paesi in via di sviluppo (Unesco), la disparità tra uomini e donne nei mass media (Consiglio d'Europa), il teatro italiano contemporaneo (World Encyclopedia of Contemporary Theatre).

Ha tenuto lezioni e conferenze in California, Canada, Francia, Spagna, Olanda, Polonia, Russia, Georgia, Algeria. Suoi testi sono stati tradotti negli Stati Uniti e nei paesi balcanici. Collaboratore e componente dei comitati scientifici di riviste e fondazioni culturali, presidente dell'Istituto laziale di studi storici, è stato direttore di Ridotto e condirettore della Rivista trimestrale di Scienza politica e dell'Amministrazione.
Carlo Vallauri sostiene e sostanzia la presenza della cultura socialista all’interno della Sinistra Arcobaleno.

Da attento osservatore di questioni internazionali ti chiedo come è maturato il successo  dei socialisti nelle elezioni municipali e cantonali in Francia?
Il successo si spiega in primo luogo con il giudizio positivo degli elettori, come confermato dalla vittoria sin dal primo turno in numerose città quali Rouen, Digione e Lione, nonché col largo vantaggio conseguito a Parigi da Délanoe sì da far ritenere sicuro il ballottaggio con l’appoggio dei verdi, ai quali si è già rivolto, senza ricorrere ai centristi di Bayrou. Sulla base dell’esito di domenica scorsa, probabile è la vittoria definitiva a Strasburgo, forse anche a Tolosa, e non invece a Marsiglia, dove forte rimane la destra.

Ti sembra che un fattore rilevante sia stato tuttavia l’aumento delle astensioni?
Questo fenomeno si è registrato prevalentemente tra gli elettori di destra, un evidente segnale lanciato al governo, anche se parecchi tra i suoi ministri sono stati eletti nei rispettivi comuni. In ogni caso, appare fermata e anzi rovesciata l’ondata bleu che aveva portato Sarkozy all’Eliseo.
Quindi il successo socialista è maturato in dissenso alla linea del Presidente francese?
No, il Partito Socialista è stato premiato per la sua linea coerente, dopo tante divisioni negli anni scorsi. Tuttavia la situazione resta difficile ed incerta nelle prospettive per tutti i paesi europei.

A proposito di Europa, qual è a questo punto il ruolo delle forze di ispirazione socialista?
Congiunto all’esito delle elezioni in Spagna, lo schieramento socialista resta perno fondamentale per la difesa dei valori del lavoro e della laicità.

Non ritieni che occorra chiedersi come mai invece l’Italia sia in controtendenza?
 Alla luce di quanto accade in Europa si imporrebbe anche nel nostro Paese la necessità di scelte precise sui maggiori problemi economici (mercato e regole), appesantiti a causa del debito pubblico, per la cui riduzione si dovrebbe intervenire non escludendo mutamenti di rotta, a cominciare dalle spese militari per accrescere quelle di tipo sociale.

Ma chi sarà in grado di fare questa politica?
Per quanto riguarda i partiti si ripropone l’esigenza della ricomposizione di una sinistra che, unitaria negli obiettivi e plurale nelle ispirazioni sappia affrontare con decisione i problemi impellenti, senza rinunce alle proprie linee di fondo che ne snaturerebbero il carattere a beneficio della destra.


da sinistra-democratica.it


Titolo: Gli spinaci di Veltroni
Inserito da: Admin - Marzo 20, 2008, 10:41:48 am
Gli spinaci di Veltroni

Flaubert l’ha scritto più d’un secolo fa ma Veltroni – ogni giorno che passa ne troviamo conferma – se l’è riletto all’inizio di questa stranissima  campagna elettorale e ne tiene copia pronta all’uso in qualche tavolino del pullman. E’ Il dizionario dei luoghi comuni, libro più che caro al suo autore. Il quale, una volta affrontato l’argomento, rimase colpito dalla sua immensità. Talmente colpito  che il tomo fu pubblicato postumo e naturalmente incompleto. E’ uno di quei lavori work in progress che richiedono costanti aggiornamenti, tipici di un’opera eternamente incompiuta. Anni fa ci provò Ennio Flaiano, oggi sembra toccare a Veltroni, nel capitolo che in senso lato chiameremo la politica. Il dizionario flaubertiano potrebbe essere  così definito: come avere verità semplici semplici  in un mondo sempre più complesso. Un primo segnale ci fu dato una sera dai telegiornali. Era il tempo del Veltroni che corre da solo mentre Bettini nel loft trattava  con Di Pietro, i radicali, i socialisti. Veltroni contro la pedofilia, fu l’apertura. Nessuno degli altri leader trovò la forza di contraddirlo affermando l’opposto. Giorni dopo a Verona i telegiornali riportarono di Veltroni, testuale, il seguente pensiero: ogni volta che mi trovo davanti un aggressore e un aggredito non ho dubbi: sto dalla parte dell’aggredito. Convincente l’argomento, convinto, unanime e prolungato l’applauso dell’intero gremitissimo teatro. Era cominciata la tourné nel profondo e produttivo  nord est del paese e se c’era un tema, dopo aver liquidato così  quello della sicurezza, che non si poteva non affrontare era il tema del sociale in tutta la sua articolazione.  Il lavoro, il precariato, il salario, l’operaio e imprenditore.  La partita si gioca qui, più che altrove e Walter lo sa bene.  Per che altro, se non per questo, Nerozzi e Calearo sono stati messi lì a pugnare insieme?  L’uno una vita passata  nel sindacato a chiedere l’aumento del salario operaio, l’altro una vita passata a negarlo.
Due secoli di moderno conflitto sociale definitivamente chiusi – è la prima volta in Europa – dalla foto che li ritrae cacciatori di voti per lo stesso partito. Rischiava di diventare pazzo Veltroni solo a sentir parlare di padroni ancora in giro per il mondo e così questi due tranquilli operatori del sociale, noti per la loro mansuetudine, due bonaccioni della trattativa, hanno dato il via con la loro vigorosa stretta di mano  a quel patto tra produttori che rappresenta il cuore della proposta programmatica del partito democratico. Il conflitto sociale, potrebbe dire prima o poi da qualche gremita piazza Veltroni, teorizzato quasi due secoli or sono da Marx-Engels viene ora finalmente risolto, grazie all’entrata in scena del partito democratico,  da Nerozzi-Calearo. 

Anche se, a dire il vero, a parlare per primi del moderno conflitto sociale, inevitabile prodotto della società industriale nelle sue varie forme storiche,  non furono né Marx né Engels bensì Ricardo e Adam Smith.  Veltroni si rilegga Smith, ci ricorda il sociologo del lavoro Luciano Gallino, si imbatterà in questa sua frase: “ Gli operai lottano per aumentare il salario, i padroni per diminuirlo”. Fin qui l’economista e intellettuale liberale inglese. Ecco ora però    Nerozzi e Calearo,  uniti nella lotta,  forgiatori dell’inedita figura sociale dell’operaio padrone, che col salario d’ora in poi se la vede da solo.  Parliamo qui di operaio padrone e non però di padrone operaio, dato che ne aveva già parlato Berlusconi nei sei per tre della precedente campagna elettorale, su questo anche Calearo conviene. We can, dunque. Aspettando Obama e l’America che verrà. Tacendo intanto di Bush e dell’America che c’è. Quella di una banca, tra le prime di quel paese e dunque al mondo,  che il lunedì vale 20 miliardi di dollari e il martedì è a rischio bancarotta. Quella che guida i destini del mondo con un disavanzo pubblico in crescita esponenziale, per la metà frutto di spesa per armamenti e che ha fin qui adottato ricette congiunturali  di rilancio dell’economia scegliendo la strada della guerra. Non una parola. Su questo terreno il luogo comune è più difficile da esercitare e il silenzio allora diventa la cosa giusta. “Non è giusto un paese in cui i salari sono i più bassi d’Europa mentre gli stipendi dei parlamentari sono i più alti”.

Vero. Infatti un paese “giusto” è quello dove i salari si alzano fino a raggiungere per lo meno la soglia della dignità umana, prevista dalla Costituzione repubblicana, e gli stipendi ai parlamentari si adeguano a quelli di tutti gli altri paesi europei. Come hanno proposto pochi mesi fa i deputati della sinistra, ottenendo il rifiuto in sede parlamentare di quelli del partito democratico.  Un paese “giusto”  resta tale ignorando questo o quel leader politico che snocciola in campagna elettorale le cifre della sua beneficienza. C’è un pubblico e c’è un privato, sempre. Le opere di beneficienza accrescono di valore quando restano nella discreta ombra, mentre l’equità sociale, fondata non sull’elargizione ma sul diritto, va detta e se necessario anche urlata. 
Se il pensiero diventa luogo comune e il partito diviene “interclassista” ,dove operai e padroni spariscono nel conflitto per riemergere affratellati nel patto tra produttori, Nerozzi e Calearo sedere allo stesso banco e votare all’unisono, allora la politica andrà per davvero rivoltata se mai vorrà trovare uno spazio tra predominio economico e fondamentalismo religioso. L’uso del luogo comune, tanta sociologia ce lo dimostra, può servire ad allargare il consenso. E nell’immediato questo può avvenire e può servire. Ma Veltroni dovrebbe pensare di più alla storia degli spinaci. Che siano ricchi di ferro è indubbio. Circa tre milligrammi per ogni etto di foglie. Ma sono meno ricchi dello zucchero o delle lenticchie, delle uova o dei frutti di mare. Ancor meno, molto di meno, della carne. Eppure bastò l’errore di trascrizione di una segretaria – svelato alcune decine d’anni dopo da scienziati tedeschi non proprio convinti – , una virgola fuori posto e tre milligrammi diventano trenta. Bimbi e partorienti costretti a ingurgitare la foglia verde ricca di ferro, un cartone animato di successo che fa il giro del mondo. Uno dei più colossali luoghi comuni. Tolto il quale e ristabilita la verità, si torna a vedere il mondo per com’è. Con gli operai dai salari bassi e i padroni dai crescenti profitti. Senza luoghi comuni resta un mondo che così com’è non può piacere. La politica che vogliamo è quella che può e deve cambiarlo.
 
da sinistra-democratica.it


Titolo: Bertinotti: «La lotta di classe? È viva e vegeta...»
Inserito da: Admin - Marzo 21, 2008, 12:15:07 am
Bertinotti: «La lotta di classe? È viva e vegeta...»

Simone Collini


Scrive Giovanni Sartori sul Corriere della Sera che lei è rientrato nella mischia elettorale più cattivo che mai.
«Sono categorie psicologiche da cui mi tengo lontano», dice il presidente della Camera e candidato premier della Sinistra arcobaleno Fausto Bertinotti

Stiamo allora all’essenziale: Sartori contesta il suo predicare la guerra tra sfruttatori e sfruttati.
«E io contesto la tesi sostenuta da Sartori, secondo la quale il punto fondamentale è la crescita, la formazione della ricchezza, perché altrimenti crolla l’intera impalcatura. Questa idea è stata contraddetta non solo da Marx ma da Keynes. E come ha spiegato uno dei più grandi economisti italiani, Claudio Napoleoni, è invece proprio l’aumento dei salari a determinare una necessaria frusta sull’economia, altrimenti ripiegata dal peso della rendita. Livelli salariali alti determinano una scossa sul sistema delle imprese affinché battano non la strada pigra del vantaggio competitivo ma quella dell’innovazione, della ricerca, dell’aumento della produttività non attraverso lo sfruttamento del lavoro».

È una teoria minoritaria.
«Non è vero. Negli anni 70 non è stato così. Per un intero ciclo, dal ‘68-‘69 fino a tutti gli anni 70 proprio il paradigma dello sfruttamento è stato messo in discussione non da questa o da quella teoria ma dalla pratica sociale. Tanto è vero che le retribuzioni italiane erano diventate tra le più alte d’Europa».

Oggi non è così.
«Hanno vinto i liberisti, speriamo che perdano. Appunto, è una lotta di classe».

Come si vincono i liberisti?
«Modificando i rapporti sociali. Esattamente come accadde negli anni 70».

Sartori le domanda: che facciamo degli sfruttatori?
«Li rendiamo meno sfruttatori».

Come?
«Gliel’ho detto, mutando i rapporti sociali. La storia industriale, come spiegano diffusamente i sociologi americani, è la storia del conflitto. Quelli che non la definiscono lotta di classe la definiscono contesa industriale. Ha al suo centro le politiche redistributive, visto che l’espressione dei rapporti sociali è data dal rapporto tra salario, prezzi e profitto. Quando i lavoratori sono forti cresce il salario, quando gli imprenditori sono più forti di loro cresce il profitto e cala il salario. Il salario registra i rapporti di forza».

Le politiche economiche, in tutto questo?
«Naturalmente i padroni, gli imprenditori, sono favoriti se i governi sono di laissez faire. Invece i lavoratori sono favoriti se ci sono governi interventisti, che usano anche il fisco al fine di una migliore redistribuzione».

Il governo Prodi se lo aspettava più interventista?
«Molto, certo. Lo abbiamo iniziato a dire da giugno».

Perché non lo è stato, secondo lei?
«Per le sinistre divise all’interno del governo, per il ricatto delle forze moderate e anche per un pilotaggio del governo tutto indirizzato all’accordo tra le parti sociali, e quindi ad attribuire un peso alla Confindustria superiore a quello che avrebbe potuto avere».

Con il prossimo governo le sinistre saranno unite ma verosimilmente staranno all’opposizione.
«Vedremo, ne riparleremo dopo il voto».

Nel senso?
«Che la destra può perdere».

Quindi non esclude un accordo della Sinistra arcobaleno con il Pd?

«Noi pensiamo che staremo all’opposizione, ma ci sono molti modi di stare all’opposizione»

Dice che la Sinistra arcobaleno può influire anche da questa posizione?
«La storia del dopoguerra in Italia è la storia dell’influenza dei partiti della sinistra all’opposizione. Hanno ottenuto molto di più che non stando al governo. Pensi allo statuto dei diritti dei lavoratori, alla riforma sanitaria, alla chiusura dei manicomi, alla riforma pensionistica che dava ai lavoratori l’80% della retribuzione, alla legge sull’aborto, sul divorzio, a tutte le conquiste realizzate dal Partito comunista all’opposizione».

Era diversa la società?
«No, c’era una sinistra molto più forte».

Come si torna a una sinistra forte?
«Ricominciando un cammino, con pazienza. La sinistra deve tornare ad essere consapevole che il tempo della semina è diverso dal tempo della raccolta».

A proposito di semina: non pensa che la Sinistra arcobaleno potesse fare di più con le candidature, mettere in lista più personalità esterne ai quattro partiti fondatori?
«Assolutamente sì. Avrebbe potuto fare molto di più se fosse stata un fenomeno compiuto. Purtroppo le elezioni hanno beccato questo processo all’inizio ed è prevalsa una logica federativa, cioè dell’accordo fra i partiti. Cosa che la Sinistra arcobaleno dovrà superare. E che sono sicuro che farà, perché il suo destino non è quello di essere un cartello elettorale, ma quello di essere un nuovo soggetto politico unitario e plurale che vada al di là dei quattro partiti».

Per lei che ruolo prefigura, dopo il voto?
«Quello di partecipe a questo processo, senza alcun incarico di direzione».

L’obiettivo di medio termine della Sa?
«Avere una massa critica che consenta di intervenire sulla formazione del senso comune».

Dopo un voto giocato sulla contesa tra Pd e Pdl?
«Il bipartitismo rappresenta una grande questione democratica. C’è un vestito totalmente incongruo con le culture politiche del paese che si vuole far indossare a un corpo non in grado di sopportarlo. Se si prosegue su questa strada o si straccia il vestito o si producono delle tensioni difficilmente governabili democraticamente».

Che vuole dire?
«Primo: senza la sinistra si depriverebbe di rappresentanza una parte importante della società italiana. Secondo: pensare che si possa fare un deserto nella rappresentanza politica vuol dire condannarsi all’idea che forze che esprimono disagio prenderanno la forma di antisistema. Ogni tentativo di drogare la realtà per imporre un esito innaturale come il bipartitismo dovrebbe essere guardato con molta preoccupazione da chiunque abbia un minimo di vocazione democratica».

Chi è che droga la realtà?
«Non ci sono macchinazioni, ma c’è una cultura di fondo, una grande onda che la sinistra dovrebbe riuscire a spezzare. E che vedo in un’operazione massmediatica costruita con grande potenza di mezzi. Chiunque guardi con animo sgombro da pregiudizi un telegiornale o un grande quotidiano vede che è come se la competizione fosse a due. A due più delle frattaglie. Così si produce volutamente un effetto distorcente sulla campagna elettorale».

L’obiettivo, secondo lei?
«Una riforma che non si è avuta la forza di realizzare per via istituzionale. C’è una cultura di riferimento che spinge verso la riduzione della politica al duopolio e verso una logica personalizzata e presidenzialista. Questa cultura è prevalente nelle classi dirigenti, ed è la stessa che ha un’attitudine alla grande coalizione».

Il nesso?
«C’è una propensione delle classi dirigenti a riproporre il pensiero unico duramente incrinato dai fatti, visto che la globalizzazione doveva essere portatrice di magnifiche sorti e progressive e invece porta guerre, diseguaglianze, adesso anche la recessione. È un po’ traballante l’edificio apologetico, ma proprio per salvare il salvabile si pensa alla grande coalizione. In modo che il conflitto venga espulso e quindi malgrado la smentita dei fatti possa essere continuata una manovrabilità che non metta in discussione l’essenziale, cioè il primato della competitività così com’è».

Pubblicato il: 20.03.08
Modificato il: 20.03.08 alle ore 13.31   
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Titolo: Nicola Cacace - Più poveri, più a destra
Inserito da: Admin - Marzo 22, 2008, 09:37:38 pm
Più poveri, più a destra

Nicola Cacace


I dati del sondaggio Demos-Coop, pubblicati da Repubblica secondo cui gli operai da anni tendono a spostarsi verso destra non sono una sorpresa.

Dagli anni Ottanta la finanziarizzazione dell’economia mondiale ha prodotto una profonda redistribuzione della ricchezza a favore di una minoranza delle famiglie senza che i partiti riformisti facessero molto per contrastarne gli effetti. Società dei due terzi, così è stata chiamata quella prodotta dalla fianziarizzazione, nel senso che i due terzi delle famiglie, operaie e ceto medio, peggiorava la propria condizione economomica a vantaggio del terzo più ricco.

Per avere un’idea della finanziarizzazione dell’economia il Fondo Monetario Internazionale stima che negli ultimi dieci anni i flussi finanziari si sono triplicati a 6,4 trilioni di dollari, il 15% del Pil mondiale rispetto al 5% precedente (Finance end Development, March 2007). La finanziarizzazione che il perno della nuova globalizzazione - la globalizzazione esisteva già nel 1929 quando la grande depressione americana colpì il mondo intero con caratteri simili: sia negli Usa che in Italia il Pil impiegò quasi dieci anni per tornare ai valori pre-crisi - è stata accettata dai governi sia conservatori che riformisti con poche varianti ma con gli stessi effetti sociali, la società dei due terzi sempre più poveri.

Non è un caso che oggi in paesi diversissimi come gli Usa e l’Italia il 30% delle famiglie possiede quasi tutta la ricchezza nazionale, immobiliare e finanziaria, lasciando le briciole alla stragrande maggioranza delle famiglie che quindi fa fatica ad arrivare a fine mese. Certamente con motivazioni diverse riformisti e conservatori agivano, chi giustificava la finanziarizzazione con una visione politica precisa come i neoconservatori americani e la signora Thatcher, chi con le esigenze di risanamento come Blair, Ciampi e Prodi. Resta il fatto che la classe operaia e il ceto medio si sono impoveriti dovunque negli Usa come in Gran Bretagna, in Francia come in Italia.

Di fronte al declino delle condizioni di vita e alla fine del sogno di ascesa sociale, operai e ceto medio produttivo spostavano il voto da sinistra verso destra. Perché? Per motivi oggettivi e per errori della sinistra riformista che ha governato nel mondo quegli anni come e più della destra conservatrice.
Ecco i motivi oggettivi dello spostamento a destra. La sinistra riformista ha tardato a capire e a contrastare la profonda redistribuzione della ricchezza cui la finanziarizzazione conduceva mostrando un grave ritardo culturale e politico. Questo avveniva purtroppo in tutto il mondo con l’eccezione dei paesi scandinavi e dell’Olanda, unici paesi dove sviluppo ed eguaglianza sociale sono andati insieme. La sinistra non ha saputo combattere il processo di redistribuzione della ricchezza né sotto il profilo etico, l’ingiustizia sociale che produceva era insopportabile, né sotto il profilo economico, il calo dei consumi di massa e quindi della domanda interna è alla base della grande crisi del 1929 come di quella che si profila oggi, speriamo con esiti meno gravi.

Gli errori soggettivi. La deindustrializzazione è stata erroneamente interpretata a sinistra come una sorta di deoperaizzazione. Niente di più sbagliato! Tutte le statistiche dicono che se l’industria dimagrisce operai e tecnici aumento nei servizi in un modo più che proporzionale. E infine un avvertimento a Walter Veltroni: ha ragione a dire che senza imprenditori non c’è sviluppo ponendo fine al vecchio e superato scontro di classe, farebbe bene ad aggiungere che gli imprenditori sono sì lavoratori come gli altri ma con una differenza, lavoratori con conto in banca.

Pubblicato il: 22.03.08
Modificato il: 22.03.08 alle ore 14.51   
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Titolo: Prodi aveva cercato di coniugare le due sinistre:...
Inserito da: Admin - Marzo 25, 2008, 03:55:12 pm
Una buona affermazione de La Sinistra l'Arcobaleno frenerà la vocazione compromissoria di Veltroni

La campagna elettorale per il voto politico del 13 e 14 aprile si è trasformata in una competizione ampiamente drogata.


Veltroni e Berlusconi  la intendono come un confronto esclusivo tra il Partito Democratico e il Partito delle libertà, relegando tutti gli altri ad un ruolo marginale, senza alcuna possibilità di condizionamento.

In questo senso , sono supportati da quasi tutti i media che, manipolando l’informazione, fanno credere che per battere Berlusconi è necessario votare per Veltroni , che può così fruire del cosiddetto voto utile a danno della Sinistra l’Arcobaleno e dei Socialisti, e viceversa,  per sconfiggere la sinistra, è necessario sostenere Berlusconi, in quanto i voti dati agli altri sono “inutili o peggio dannosi”, come lui stesso ha detto.

Le cose non stanno così.

Per Veltroni vincere su Berlusconi è impossibile,  soprattutto al Senato,  dove il premio di maggioranza si attribuisce su scala regionale e dove non può raccogliere tutti i voti che aveva preso l’ Unione.

Prodi aveva cercato di coniugare le due sinistre: quella cosiddetta radicale e quella moderata. Veltroni  ha inventato  il partito a vocazione maggioritaria , autoreferenziale ed autosufficiente, riaprendo la cesura tra le due sinistre e spostandosi fortemente al centro, al punto di dichiarare a El Pais che il suo non è più un partito di sinistra.
In Italia la sinistra fatica a vincere anche se è unita. Una sua parte, per quanto grande, da sola non potrà mai farcela.
Berlusconi può distanziare Veltroni alla Camera e assicurarsi il premio di maggioranza per poter governare da solo. Ma al Senato, contrariamente a quanto sostiene, potrebbe avere un margine ristretto  e , comunque, tale da non garantirgli una sicura governabilità.
Se il raggruppamento al centro guidato da Casini venisse fortemente ridimensionato e comunque non fosse  in grado di  garantire un numero sufficiente di senatori,  potrebbero non esserci alternative ad un compromesso.
Sono tutti concordi nel sostenere che la prossima legislatura dovrà essere costituente, nel senso che il Parlamento dovrà varare una nuova legge elettorale e approntare alcune modifiche alla Costituzione che prevedano, tra l’altro, il Senato delle Regioni , la riduzione del numero dei  parlamentari, più poteri al Presidente del Consiglio.
Per di più è all’orizzonte una congiuntura economica  a dir poco drammatica.
Un governo come quello tedesco della grosse koalition  o una politica delle larghe intese sarebbero, pertanto,  sia da Veltroni che da Berlusconi ampiamente giustificati . Non sono pochi,  infatti,  gli esponenti di entrambi  i partiti che ne hanno cominciato a parlare.
Le stesse gerarchie ecclesiastiche hanno auspicato un’ampia convergenza su temi come il salario, che non concernono le regole del gioco, ma la politica economica, di competenza non del Parlamento, ma dell’Esecutivo.
I programmi,  come è a tutti noto, non si distanziano di troppo e sono fortemente caratterizzati da una ricetta unica, che accomuna tanto il pensiero del centro che della destra.
Innanzitutto le ambiguità sui temi della laicità dello Stato, sui diritti delle donne, gli attacchi alla legge sull’aborto,  in un rinnovato ossequio alle posizioni più arretrate del Vaticano.
Sul piano economico, il benessere della società viene interpretato attraverso un antiquato ed ingannevole indice di crescita economica : il PIL. Primeggia l’idea di un mercato capace di comprendere in sé tutte le risposte, capace di coniugare la redistribuzione della ricchezza con una produzione inesauribile,  palesemente incompatibile con la crescente riduzione delle risorse ambientali .
Purtroppo ai maggiori profitti per le aziende non corrispondono più maggiore occupazione, maggiore potere d’acquisto dei salari, incremento della sicurezza.
La precarietà è la manifestazione più evidente e brutale di queste contraddizioni . Le imprese vengono liberate da tutti i lacci e lacciuoli , ma il risultato non è l’aumento della competitività e della ricchezza, ma una vera e propria devastazione sociale  a carico dei giovani e dei più deboli.
Da entrambi gli schieramenti ci viene prospettata una società con uno Stato più leggero, con meno tasse per tutti. Ma questo significa riduzione della spesa pubblica sociale, radicamento delle attuali ingiustizie e diseguaglianze, riduzione del Welfare State,   indispensabile per chi ha di meno.
Il Partito Democratico, dunque, ha rinunciato a chiare scelte di sinistra e, per di più, ha voluto caratterizzare la sua lista come uno schieramento interclassista, che ospita operai ed imprenditori , anche tra i più conservatori.
L’interclassismo trovava la sua giustificazione nella Dc, Partito centrale del sistema politico in una condizione di democrazia incompiuta e bloccata, come è stata la nostra per alcuni decenni a causa di quello che Ronchey chiamava il fattore K, vale a dire la presenza in Italia del più grande partito comunista dell’Europa occidentale,  nel periodo della guerra fredda.
Non si giustifica nella democrazia compiuta dell’alternanza, che faticosamente abbiamo conquistato. Un partito interclassista fuoriesce dallo schema sinistra-destra, come è nel resto d’Europa.
Veltroni , che si tiene, come sol dirsi,  le mani libere, con un partito di tale natura può fare,  dopo le elezioni,  qualunque politica e qualunque alleanza.
Lo scontro con l’antagonista  di centro destra serve solo a polarizzare il voto utile,   ridimensionando così gli altri concorrenti che potrebbero sbarrare la strada a quello che , in molti, hanno definito un  grande inciucio.
Tutto depone, dunque, a favore delle larghe intese,  che non costituiscono certo la risposta più idonea ed efficace ai problemi che affliggono il nostro Paese, in materia soprattutto di giustizia sociale ed equità.
Con una larghissima maggioranza  in Parlamento  si potrebbe snaturare, inoltre, la nostra democrazia.
Innanzitutto promuovendo, come è già stato da più parti annunciato, una legge elettorale come il cosiddetto Vassalum , che mira a trasformare il quadro politico italiano , per tradizione storica ampiamente articolato,  in un sistema sostanzialmente bipartitico, conferendo agli altri soltanto un mero diritto di tribuna. E sul piano costituzionale realizzando una vera e propria repubblica presidenziale. Già si parla del Sindaco d’Italia.
L’obiettivo è quello di trapiantare nel nostro Paese  il sistema americano, riducendo fortemente lo spazio della politica ed il ruolo dei partiti, che sono il baluardo di un’autentica democrazia. Con la conseguenza di dilatare il peso delle lobbies e dei poteri forti sul piano economico,  quello della Chiesa sul piano dei temi eticamente sensibili e dei diritti civili,  quello degli USA sul piano della politica estera.
La formazione che, più di ogni altra, può sbarrare la strada alle tentazioni compromissorie  di Veltroni,  è la Sinistra l’Arcobaleno.
Per di più il suo successo  ne vanificherebbe la strategia autoreferenziale e costringerebbe il PD a tornare ad una alleanza di centro-sinistra. Questa volta non più frammentata come l’abbiamo conosciuta, ma semplificata a due grandi partiti , uno di centro che guarda a sinistra ed uno in grado di rappresentare una sinistra fortemente rinnovata , di governo, che  sappia guardare al futuro.
Una considerazione a parte meritano i socialisti che hanno dato vita al PS. Le elezioni dimostreranno che non c’è spazio per una terza forza tra il PD  e la Sinistra Arcobaleno e che, dunque dovranno scegliere.
Sono convinto che moltissimi di loro si orienteranno, come è naturale che sia, sulla sinistra, per rafforzarne la parte più moderna ed avanzata e per contribuire a trasformarla dall’interno in una grande forza che, se di governo, dovrà collocarsi nel campo valoriale del socialismo e partecipare al rinnovamento del PSE.

*Candidato per Alla Camera in Toscana

da sinistra-democratica.it


Titolo: Il voto al Pd non è un voto utile, anzi!
Inserito da: Admin - Aprile 01, 2008, 12:10:21 am
Il voto al Pd non è un voto utile, anzi!


Veltroni ha più volte detto senza Occhetto e la sua svolta noi non saremmo qui, ma oggi tu sei nella Sinistra Arcobaleno, che vuol dire?
Appunto, l’unico errore di questa affermazione è che io non sono lì ma in modo coerente con la sinistra.

La svolta della Bolognina non voleva essere una fuoriuscita dalla sinistra, ne tantomeno dalla tradizione comunista ma semmai ma dal comunismo autoritario che stava crollando in tutto il mondo per dar vita ad una nuova sinistra, quindi un’uscita da sinistra dalle macerie di quella politica, un’uscita da sinistra per salvare i contenuti più alti della tradizione del socialismo italiano nella quale c’era anche la grande esperienza democratica di una parte rilevante degli innovatori del PCI. Ben altra cosa è quella che sta facendo Veltroni e il PD, quasi che loro avessero preso dalla svolta l’occasione per scrollarsi di dosso tutta la tradizione, non solo quella comunista e socialista ma di tutta la sinistra per entrare nel salotto buono. Questo io l’ho sospettato, ma il tipo di campagna elettorale lo conferma in modo clamoroso sia sulla base dei contenuti che sulla scelta delle candidature e di alcune clamorose affermazioni.

La scelta del PD è quella di avere un partito pigliatutto all’americana, ma con una variante trasformistica italiana, che da un lato ha la pretesa di sussumere dentro di se tutta la sinistra eliminando le parti che ne rimangono al di fuori per poi guardare prevalentemente al centro.

Ora chiunque abbia letto la carta d’intenti con cui io feci la svolta capisce che la differenza è come quella tra il giorno e la notte, il PD in modo esplicito non è un partito di sinistra, come spiegare altrimenti l’esigenza di togliere dal nome la parola sinistra, ma si colloca in una tradizione che ci porta fuori e lontano dall’Europa per collocarsi in un sistema politico più simile a quello americano.

Non credi che il PD tenterà di portare l’anomalia italiana in Europa?
Sicuramente per dare una collocazione internazionale non potranno non fare i conti con l’esistenza dei partiti socialisti, che sono l’unica cosa concreta che esiste. Per questo tenteranno di esportarlo ma sebbene trovino alcune porte socchiuse, troveranno molte porte chiuse. So bene che sia Martin Schulz che gran parte del gruppo dirigente francese e della SPD nutrono forti sospetti nei confronti del PD, sospetti che si attutiscono da parte di Blair, solo che il Blair degli ultimi tempi come è noto è stato un punto di contraddizione rispetto alla tradizione socialista europea. Sarà poi difficile che questa operazione possa cambiare il socialismo europeo, al massimo determinerà delle contraddizioni ma anche di questo c’è poco da vantarsi, queste contraddizioni, infatti, non rappresentano un’esperienza anzi alla prova della verità, quando dopo le elezioni europee dovranno scegliere il gruppo in cui entrare le potremo meglio valutare, sarà difficile infatti che i teodem o i radicali oppure gli imprenditori possano fare una scelta in campo socialista.

Il tema dello sviluppo sostenibile è recentemente e prepotentemente entrato nel dna della sinistra cosa ne dici?
Per precisione storica questo passaggio per l’Italia è avvenuto nel XVIII congresso del PCI, quando da Segretario aprii la relazione, fra lo stupore di tutti, sui temi dello sviluppo sostenibile e sull’Amazzonia. In quell’occasione fu considerato una cosa curiosa, tanto che alcuni compagni ebbero la sensazione che avessi sbagliato congresso, e cioè che piuttosto che parlare dei temi dell’imperialismo e delle questioni internazionali, ponessi il drammatico problema del rapporto tra sviluppo ed esistenza del pianeta e facessi della morte dell’Amazzonia l’emblema di questa grave crisi. Ricordo le critiche di quelli che utilizzarono il mio terzomondismo per dimostrare che noi non eravamo una forza di governo. Adesso è chiaro che non esiste alcun programma di governo che sia pure in modo mistificato o falso non parli di Kyoto o non si ponga questi problemi. Ritengo quindi che la cultura ambientalista che ha avuto il merito di nascere anche al di fuori del movimento operaio con una propria autonomia, allo stato attuale faccia parte essenziale della sinistra. Anzi in prospettiva sinistra e ambientalismo non possono che essere la stessa cosa, o meglio non immagino una sinistra che non sia ambientalista, una sinistra che non parta dalla critica al capitalismo, che io ritengo tuttora valida e necessaria, partendo appunto dalla critica al modello di sviluppo, al modo di come si produce e si consuma anche in funzione della difesa dell’ambiente della consapevolezza che se andiamo avanti con una concezione antica della crescita in puro senso materiale e non qualitativo il pianeta nel giro di cinquant’anni salta.

Ma oggi che anche da destra e dal mondo cattolico si alzano critiche al mercatismo, cosa resta da dire alla sinistra?
Credo che la critica al mercato costituisca ancora una parte essenziale della posizione di sinistra. La sinistra ha sbagliato, quando ha voluto contrapporgli degli strumenti che si sono dimostrati inadeguati dal punto di vista economico e anche dell’elevazione umana e sociale, cioè lo statalismo esasperato e il collettivismo autoritario, ma che il mercato lasciato da solo produca ingiustizia e uno sviluppo che può distruggere l’umanità e le relazioni umane, ed essere tremendamente alienante per la persona umana è un dato di fatto che è fondamentale per tutti gli uomini della sinistra.

Porre la critica sul terreno ambientale poi, come ho detto, è come entrare a piedi pari nel piatto del mercato perché è una critica che dice: non lasciamo che gli spiriti selvaggi e animali del mercato continuino a distruggere la nostra umanità e il nostro ambiente. Quindi la critica al mercato è fondamentale, e quando Sartori se la prende con la sinistra che non vuole il mercato e vorrebbe eliminare gli imprenditori dice il falso. La sinistra vuole qualche cosa di fondamentale importanza, ovvero un rapporto nuovo tra regole e mercato, e io aggiungo che sono diffidente verso il fatto che oggi quando si parli di riforme si parli di privatizzazioni, questo mi fa accapponare la pelle perché le vere riforme sono quelle capaci di trovare un rapporto virtuoso fra pubblico e privato dove non c’è la negazione del privato, ma c’è una capacità di ricondurlo, anche alla luce dell’articolo 3 della nostra Costituzione che dice che bisogna rimuovere tutti gli ostacoli allo sviluppo della persona umana, alle sue esigenze sociali e pubbliche.

Come vedi e quali prospettive per la sinistra italiana e per la SA?
Molto francamente la sinistra che emerge da questa lista non è ancora la sinistra che io avrei voluto. Avrei desiderato un passaggio molto più coraggioso, dopo la fuoriuscita dai Ds di Mussi e degli altri compagnia,  c’era una grande speranza. Poi abbiamo avuto momenti, soprattutto nella formazione delle liste, dove sono prevalse le vecchie botteghe non si è andato avanti fino in fondo nelle unioni di valori piuttosto che nell’unione d’apparati. So che questa è una critica diffusa, però proprio a quelli che fanno questa critica voglio dire non è il momento di fare gli schizzinosi quello che noi dobbiamo costruire con queste elezioni è una trincea, scavare una trincea di difesa, perché se questa trincea di difesa non c’è la sinistra italiana, anche quella nuova più bella, quella che ciascuno di noi vorrebbe, non ci sarà.

E’ quasi una questione di vita o di morte, e in questo senso la campagna elettorale è ancora sotto tono rispetto alla drammaticità, e vorrei che questo fosse sottolineato, c’è troppo buonismo a sinistra. Abbiamo i due massimi partiti che danno botte da orbi e c’è una risposta che su questo terreno è insufficiente, anche sulla questione del voto utile io vorrei che si dicesse con estrema chiarezza che il voto al PD non è un voto utile, perché i dati ogni giorno dimostrano che quello scarto non è colmabile, e che uomini e donne di sinistra, ai quali negli ultimi tempi non è piaciuto qualcosa, devono essere consapevoli che se si vota il PD si compiono due delitti: primo non si impedisce alla destra di vincere, secondo si favorisce la distruzione della sinistra, cosa che è grave ancor di più alla luce del fatto che proprio qualche giorno fa Veltroni in un’intervista sul quotidiano il manifesto alla domanda se si alleerà prima o poi con la Sinistra Arcobaleno ha detto che non se ne parla al governo ma nemmeno domani all’opposizione, il che ritengo una cosa clamorosa.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Bertinotti: «Sinistra alleata del Pd? Mai dire mai»
Inserito da: Admin - Aprile 03, 2008, 04:49:26 pm
Bertinotti: «Sinistra alleata del Pd? Mai dire mai»


Amici come prima? Dipende dai punti di vista. Il Partito Democratico e la Sinistra Arcobaleno guardano al dopo elezioni da angolazioni differenti. Molto differenti. Il leader del Pd Walter Veltroni chiude le porte: «La nostra decisione di correre liberi non è strumentale», sottolinea. E dunque, ferma restando la disponibilità a «discutere con tutti, non ci saranno ritorni a vecchie alleanze». Il candidato della Sinistra Fausto Bertinotti, invece, concede una chance: «Mai dire mai: può darsi che dopo le elezioni il Pd cambi strategia e guardi a sinistra e magari si possa aprire un dialogo che oggi, con le posizioni che il Pd ha, non sarebbe possibile».

La strategia di Bertinotti è, intanto, chiara: non disperdere voti, raccogliere consenso intorno al progetto unitario della sinistra. Non a caso il presidente della Camera rivolge un appello ai «tanti indecisi di sinistra, che lo sono per delusione del governo Prodi. Li invito a pensarci bene, perché se non cresce la sinistra non ci sarà mai nessuna possibilità di influire».

Rispondendo ad un elettore, Bertinotti ammette che il suo obiettivo non è diventare presidente del consiglio. Spazio quindi alle proposte. Al primo posto nel programma della Sinistra Arcobaleno, «l'innalzamento del minimo pensionabile» a ottocento euro al mese: «Una cifra al di sotto della quale non si può stare». Ma attenzione anche al tema delle riforme istituzionali: «Abbiamo camera e senato che fanno esattamente le stesse cose. Questo bicameralismo perfetto ormai è assolutamente obsoleto».

Pubblicato il: 03.04.08
Modificato il: 03.04.08 alle ore 16.08   
© l'Unità.


Titolo: Caro Franceschini, se ragioni così allora è Berlusconi che ha già vinto in te
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2008, 10:10:27 am
Caro Franceschini, se ragioni così allora è Berlusconi che ha già vinto in te

Adesso bisognerà cambiare opinione su Dario Franceschini. Spiace doverlo dire, ma se l’è cercata. Un uomo come lui ritenuto fin qui equilibrato, uno dei migliori prodotti del cattolicesimo democratico, capace di ragionare con le categorie della politica. Una cosa così, da uno come lui, non te la aspetti. Perché certo la battaglia elettorale ha le sue regole e anche i suoi colpi bassi. Ma la mistificazione è un’altra cosa e fin qui non gli apparteneva.

Bertinotti come Nader, arriva a dire. Quanto errori in una frase sola, quanta reputazione ti sei dissipata, caro Dario. Possibile che tutto deve avere per te e il tuo Partito Democratico l’orizzonte della politica americana? Passi lo slung lessicale newyorkese, ma l’ossessione arriva al punto di paragonare Bertinotti a Nader. Trattasi di una vera e propria cazzata politica che mi fa pensare  - fino ad oggi ero convinto del contrario – che tu sia meglio come romanziere di secondo livello che come dirigente politico.

Nader è un magnate americano che con una certa puntualità  ogni quattro  anni, a ridosso delle votazioni, depone sul tavolo un fracco di dollari e si lancia nella corsa. Così, dall’oggi al domani, poi scompare. E in quel sistema politico che tu dimostri di amare a tal punto da volerlo sostituire con quello della nostra storia italiana ed europea, uno come Nader può segnare la vittoria o la sconfitta, per una manciata di voti, di questo o di quel candidato. In un Paese – l’America – che certamente ha nel suo DNA il senso della democrazia, ma dove va a votare – te lo sei dimenticato? – meno della metà dei cittadini e dove il ruolo dei soldi anche in politica sta sopra ogni altra cosa.

L’Italia non è ancora così, con tutti i suoi immensi difetti. Dire che Bertinotti e La Sinistra l’Arcobaleno stanno dentro questa partita elettorale italiana come ci sta in America Nader, cioè lì per far vincere Bush e qui per far vincere Berlusconi, vuol dire compiere uno strappo politico di cui ti assumi, per l’oggi e per il domani, l’intera responsabilità.  La Sinistra italiana ha una storia, non devi dimenticarlo, una storia che ha le sue radici nel tempo, nella difesa degli umili e dei diseredati, nella liberazione del nostro Paese, nella scrittura della sua Carta fondamentale, nella lotta per i diritti delle donne.

Questa Sinistra ha commesso, nel suo cammino politico, diversi errori e ha conosciuto profonde divisioni.
È stata anche in questo pienamente dentro una vicenda e una storia europea con cui sta facendo i conti. Non a tavolino, ma nella testa e nel cuore di milioni di persone, perché è stata una cosa grande e importante e vuole, attraversando quegli errori, tornare ad essere una forza politica che mette il suo peso per riscattare l’Italia dal declino attuale.

Cosa c’entra Nader, questo rincoglionito rompiscatole? E soprattutto, caro Franceschini, cosa mai ti ha spinto a ragionare così?
Alle elezioni politiche italiane il tuo partito e la Sinistra vanno divisi perché tu e Veltroni avete voluto correre da soli, senza tentare la via – l’unica che veramente avrebbe potuto far perdere la destra – di dare vita ad un nuovo centrosinistra. Ma a Roma, in Friuli Venezia Giulia, in Sicilia, in migliaia di altri comuni italiani ci presentiamo insieme e si vota lo stesso giorno delle elezioni politiche.

Ti sei chiesto, prima di paragonare una forza politica che trae vita dalla società italiana al miliardario rincitrullito che fa vincere il cowboy dalla guerra facile, con quale spirito adesso tante elettrici ed elettori guarderanno al momento del voto in questi comuni alla tua geniale pensata?
A leggere bene però la tua intervista si giunge a capire qual è per te il punto vero. Il punto vero del tuo ragionamento è che questa legge elettorale comincia a piacerti.

Ti stai accorgendo che è funzionale alla scorciatoia politica che ha intrapreso il tuo partito.
Riveli, in questa intervista, che un nuovo partito, il tuo partito, il Partito Democratico, ora che la legge intanto c’è la sfrutta fino in fondo per costruire su di essa , cioè sul porcellum, un nuovo sistema politico in Italia, a cominciare   da quello che la Costituzione Repubblicana non prevede, cioè l’elezione diretta del premier. Un sistema politico che darà vita alla nuova era, la data c’è già, è IL 15 aprile.

La storia, il passato, non c’è più e se qualcosa ne rimane ha sempre e solo il segno negativo.
Ci sono diverse forze politiche che si presentano al voto, anch’esse come le due maggiori con un programma, con una storia, con donne e uomini che ci credono? Stronzate, ci dice oggi Franceschini, contano solo il suo partito e quello di Berlusconi. Poco importa se – questo lo dice l’intera stampa estera – i due programmi elettorali sono simili e simile è anche il cumulo di promesse giornaliere volte a conquistare indecisi e indifferenti. E allora vedi, caro Dario, se tu avessi ragionato con le categorie della politica che pure hai dimostrato altre volte di possedere, avresti visto con rispetto e interesse storie, programmi, donne e uomini di altre realtà politiche diverse dalla tua e un eresia come quella che ti è capitata di dire oggi non l’avresti neppure saputa pensare. Ma purtroppo la propaganda ha talmente preso in te il sopravvento rispetto alla politica da non farti accorgere che non è Bertinotti, come Nader, quello che può far vincere Berlusconi, ma piuttosto è Berlusconi che già vinto in te.

da sinistra-democratica.it


Titolo: Appalto delle coop rosse per Camp Ederle 2, Dario Fo «indignato»
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2008, 05:52:52 pm
IL PREMIO NOBEL 

Appalto delle coop rosse per Camp Ederle 2, Dario Fo «indignato»
 
 
Dario Fo si dice deluso e indignato dal fatto che la 'coop rosse' abbiano vinto l'appalto per la messa in opera della base militare Usa al Dal Molin di Vicenza .

«È una vittoria, questa, che corrisponde a una dura sconfitta per la storia del mondo del lavoro - afferma il premio Nobel in una dichiarazione diffusa dal Presidio permanente contro la base Usa - È doveroso ricordare che nel loro statuto le coop si impegnano a contribuire in modo costruttivo alla tutela del patrimonio ambientale, ma a Vicenza, aggiudicandosi questo appalto, si impegnano invece a realizzare un impianto militare, con depositi d'armi all'uranio impoverito e forse anche atomiche sopra la più grande falda acquifera del nord Italia».

Secondo Fo, che oggi sarà a Vicenza e per sostenere la candidatura di Cinzia Bottene e della lista 'Vicenza Libera- No Dal Molin' alle elezioni amministrative, «delude e indigna rendersi conto come associazioni nate per consorziare e difendere i lavoratori dallo sfruttamento di arroganti speculatori, si ritrovino oggi coinvolte in prima persona dentro azioni di profitto spregiudicato e privo di ogni codice etico».


da gazzettino.quinordest.it


Titolo: «Noi i killer di Prodi? Una balla colossale»
Inserito da: Admin - Aprile 08, 2008, 06:04:08 pm
«Purtroppo sull'Universita' l'Unione ha disatteso le promesse e tagliato le risorse»

«Noi i killer di Prodi? Una balla colossale»

Fabio Mussi, candidato di SA, in videochat su Corriere.it: «Facciamo la sinistra perché nel Pd non c'è

 

MILANO - «La differenza con il Pd? Intanto che ci chiamiamo sinistra, mentre il Partito democratico è orfano sia della parola sia del concetto. E io trovo inconcepibile che in un grande Paese europeo come l'Italia possa in futuro non esserci più un soggetto che si autodefinisca come sinistra politica». Lo ha detto Fabio Mussi nel corso della videochat con i lettori di Corriere.it. «Lavoro e precariato; ambiente e sistema economico; e diritti civili: sono questi - ha aggiunto - i punti in cui le differenze programmatiche tra noi e il Pd sono più rilevanti». «Non è sano - ha poi sottolineato il ministro dell'Università - un sistema politico in cui tutti si ammucchiano al centro».

«UNA BALLA COLOSSALE» - Del resto, ha fatto notare Mussi, è stato proprio il centro a mettere in crisi l'esecutivo di Romano Prodi. Ed è «una colossale balla» l'idea che sia stato il blocco di sinistra a causare il dissolvimento della coalizione. Quanto alle accuse che lo stesso Prodi avrebbe rivolto all'ala più estrema dell'ex Unione, il ministro ha spiegato che «Prodi non ha né confermato né smentito e mi piacerebbe che lo facesse» e che quindi la ricostruzione fatta dalla stampa potrebbe benissimo non corrispondere al vero.

CROLLO AL CENTRO - «Il governo lo hanno fatto cadere Mastella e Dini - ha poi precisato -, mentre i ministri della sinistra non sono mai stati in piazza contro l'esecutivo e mai i suoi parlamentari gli hanno votato contro in Parlamento. Certo, nel consiglio dei ministri abbiamo fatto alcune battaglie su questioni su cui oggi in campagna elettorale si promettono cose sbalorditive: intervento sui salari e sui redditi più bassi, interventi a favore dei precari, più soldi all’università e alla ricerca. Ma non si potevano fare queste cose che oggi si promettono già nella Finanziaria, come chiedevamo noi? I ministri del Pd erano 20, avevano il premier e i due vicepremier, i ministri chiave, i due gruppi parlamentari di maggioranza. Qualcuno che ha avuto tutto questo potere si assuma un po’ delle proprie responsabilità».

«PD-SA? RIAVVICINAMENTO POSSIBILE» - Quello che poi è certo, secondo Mussi, è che il centrosinistra pagherà la scelta di Veltroni di correre da solo, «anche se poi non è vero visto l'incorporamento dei radicali e l'alleanza con Di Pietro». Il Pd, ha evidenziato il ministro, un obiettivo lo ha però raggiunto: «tagliare ogni legame con ogni tipo di sinistra, la nostra e quella dei socialisti». Tuttavia, a differenza di molti esponenti democratici che non intravedono possibilità di accordi post-elettorali con Sa, Mussi non esclude che in futuro ci possa essere un riavvicinamento tra le componenti del centrosinistra: «Se avremo un grande consenso - ha precisato - potremo anche pensare di cambiare la posizione politica del Pd e ricreare le condizioni per un'alleanza». Una correzione di rotta è però necessaria: a chi gli chiedeva come mai non avesse imboccato la strada nuova dell'adesione al Pd, Mussi ha spiegato: «in politica il nuovo e il vecchio non vogliono dire niente, esistono solo i concetti di destra e di sinistra». E il Pd «è un partito di cui non capisco identità, collocazione storica e internazionale e cemento».

UNIVERSITA' E RISORSE - Mussi, parlando del sistema universitario, ha poi ammesso che «violando gli annunci e le promesse dell'Unione anche il governo di cui faccio parte ha tenuto bassi gli investimenti in questo settore» arrivando addirittura a fare dei tagli e lasciando così risorse inferiori a quanto previsto dalla Moratti e da Berlusconi. Il ministro ha però rivendicato il merito di avere iniziato a rimettere mano alla giungla delle lauree, proliferate a dismisura negli ultimi anni, e di avere «svincolato le grandi nomine della ricerca dal controllo e dal condizionamento dei partiti politici». E ha puntato il dito contro il numero eccessivo di atenei sul territorio nazionale e, in particolare, sulle loro sedi distaccate: «In Italia abbiamo 105 province e ben 360 sedi universitarie - ha fatto notare -. E' una cosa pazzesca che nessuno ha mai fermato. Io, da ministro, ci ho provato».

L'ESPERIENZA DEL TRAPIANTO - Mussi ha infine parlato dell'operazione chirurgica recentemente subita, per un doppio trapianto di rene. Un intervento, ha spiegato rispondendo ad un lettore che glielo chiedeva espressamente, che ha effettuato agli Ospedali Riuniti di Bergamo perché «l'Italia ha un sistema sanitario pubblico di alta qualità». Un'esperienza, quella del ricovero e della convalescenza, che gli ha cambiato la vita. Mussi ha evidenziato che «un trapianto di organi non è acqua fresca», neppure per il significato che porta in sé: «una persona sconosciuta che con un gesto gratuito di amicizia ti consente di vivere». Anche per questo, al di là dell'impegno in politica, il ministro ha spiegato di voler fare «il testimonial» a favore della cultura della donazione di organi: «uno straordinario gesto di umanità, una cosa fantastica, il miracolo di una vita che finisce ma che al tempo stesso aiuta ad allungarne un'altra».

Alessandro Sala
08 aprile 2008

da corriere.it


Titolo: Bertinotti: "Dal voto nasce la nuova casa della sinistra"
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2008, 03:04:12 pm
POLITICA

Il prossimo passo sarà il lancio della costituente. "Il voto utile?

È una droga pesante immessa nella campagna elettorale"

Bertinotti: "Dal voto nasce la nuova casa della sinistra"

di UMBERTO ROSSO

 

ROMA - "Siamo agli sgoccioli. Adesso toccherà a voi, avanti le giovani generazioni". Arriva in piazza Navona, per chiudere a Roma la sua lunga cavalcata, e Fausto Bertinotti già immagina la staffetta, pensa al dopo-voto. Quando, qualunque sia il responso delle urne, fatto il passo indietro da leader operativo, lancerà il suo appello: non si farà retromarcia dalla sinistra unita. E già lunedì sera il presidente della Camera potrebbe annunciare quest'ultima sfida: un'assemblea costituente al più presto per dar vita al nuovo partito. Un buon risultato metterà le ali ai piedi al progetto, se no la battaglia sarà tutta in salita.

Così, con Dario Vergassola nel ruolo di intervistatore-provocatore, e davanti a qualche migliaio di militanti e non (si affacciano anche Minoli e la cantante Tosca), consegna il messaggio per la sfida di domenica ma pure quello per il futuro della Cosa rossa. Il voto utile? "Droga pesante". Immessa da Veltroni e Berlusconi in campagna elettorale per "distorcerne l'andamento", e dunque "mistificare la realtà". Il bersaglio della sfida di domenica è il "Veltrusconi", con le magliette-gadget della "creatura" che passano di mano in mano. Il duopolio, accusa Bertinotti, che non è "nè innocente né neutro" e che punta a azzerare la sinistra, la cui affermazione viceversa è proprio la condizione preliminare per "far saltare l'inciucio".

Dalle urne, ecco qui il senso di marcia che il candidato vuol dare all'operazione, "può nascere una nuova sinistra, la sinistra arcobaleno, la casa di tutti noi. Non ci chiuderemo in una riserva". Per cui, come si usava nei comizi di una volta, compagni "andate casa per casa, strada per strada e chiedete un voto per quel giorno". Lungo applauso liberatorio, Vergassola non si lascia sfuggire l'occasione, "e a casa date anche una carezza ai vostri bambini, dite che è di Fausto...". Al quale, fra l'altro, chiede: "Ma Bossi con quella frase sui fucili non è stato un po' un pistola?". Oppure: "Fini diceva che Berlusconi era alle comiche finali, ma ora lui che fa, Stanlio?".

Bertinotti si diverte. Ma poi distribuisce equamente fendenti al capo del Pd e a quello del Pdl. "Volgare" l'accusa di Veltroni al Prc per la crisi del governo Prodi, "su quel ramo non c'eravamo seduti solo noi ma tutte le forze che si erano unite contro Berlusconi". Mea culpa per i risultati ottenuti con il governo del Professore, ma dopo cinque anni devastanti del Cavaliere "dovevamo provarci a stare a Palazzo Chigi, ma non è andata come volevano". Ma, citando Gramsci, il compito è di provarci e riprovarci, "lo abbiamo fatto con il governo, ora riproviamo dall'opposizione perché questo è il nostro dovere". Il generale Del Vecchio non vuole gay nell'esercito? "Se fosse stata approvata la legge sull'omofobia sarebbe stato denunciato e condannato".

Berlusconi e Dell'Utri considerano Mangano un eroe? "E' la loro idea di giustizia: condannano i comunisti e assolvono i mafiosi". Oggi ultimi fuochi per la campagna elettorale del candidato premier della Sinistra arcobaleno: prima Genova poi in serata chiusura a Torino, dove sul palco ci sarà anche Sergio Cammariere.


(11 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: Bertinotti: Faremo l'opposizione (stare al governo dovete ancora imparare ndr).
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2008, 10:42:45 am
Sinistra Arcobaleno, Bertinotti: «Faremo l'opposizione»


Genova 2008. A sette anni dalle tragiche giornate del G8, Fausto Bertinotti sceglie il capoluogo ligure per la penultima tappa del suo tour elettorale. Venerdì sera, la festa di parte conclusiva a Torino, patria del lavoro, purtroppo anche di quello che uccide. Il candidato della Sinistra Arcobaleno è a Genova «per continuare a tenere viva la richiesta di verità»: «Naturalmente è giusto che la magistratura faccia il suo corso – spiega – ma avere impedito la commissione d'inchiesta è un punto oscuro nella storia del Paese. Anche per questo sono qui».

Insomma, Bertinotti fa una scelta di parte anche sui luoghi che ha scelto di visitare. Ed è da Genova che il presidente della Camera tiene a sottolineare «i momenti di questa campagna elettorale in cui riemergono nella destra scampoli di cultura fascista. Scampoli – aggiunge – che per tanto tempo la destra stessa aveva cercato di allontanare».

Basta pensare a giovedì, quando prima che iniziasse il comizio della Sinistra Arcobaleno in piazza Navona a Roma, camper de La Destra hanno impunemente scorrazzato per la piazza vietata al traffico. Solo un episodio apparentemente innocuo ma sintomatico della destra senza regole che vuole tornare al potere.

Bertinotti lo sa, «faremo l´opposizione». E non ha troppe speranze nell´ipotesi di un accordo futuro con il Pd: «È il Pd – ha ricordato – che ha detto no ad una coalizione con la sinistra, andando da solo e con una piattaforma sostanzialmente neocentrista. In ogni caso – aggiunge – noi traiamo dalla esperienza del governo di centrosinistra di Prodi, che ha fatto anche delle cose utili, penso in particolare alla politica internazionale, un elemento di delusione molto presente nel popolo per quello che non è stato fatto in termini di cambiamento radicale di politica economica e dei diritti della persona».

Per convincere gli indecisi e i delusi, Bertinotti punta tutto sulla sua ricetta economica: «Bisogna ridurre le rendite e i profitti – ha spiegato – I salari sono sempre aumentati a scapito di rendite e profitti sia per via contrattuale sia fiscale. Non è difficile sapere come ma è difficile realizzarlo. Basterebbe intanto introdurre l'indicizzazione di salari e pensioni come c'è già in Francia».

Pubblicato il: 11.04.08
Modificato il: 11.04.08 alle ore 19.41   
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Titolo: La fine di un'epoca, un Parlamento senza comunisti né socialisti
Inserito da: Admin - Aprile 15, 2008, 02:30:08 pm
POLITICA

SA e il Ps non raggiungono il quorum. In un colpo escono dalle istituzioni la sinistra storica e quella dei movimenti

La fine di un'epoca, un Parlamento senza comunisti né socialisti

di ANDREA DI NICOLA

 
ROMA - Sono passati 60 anni da quando un comunista, Umberto Terracini, firmava la Carta costituzionale della neonata repubblica. Sei decenni dopo, e per la prima volta da quando il fascismo li aveva messi fuorilegge, nel Parlamento italiano non siederanno né comunisti, né socialisti. Il poco più del 3% preso alla Camera dalla Sinistra e l'Arcobaleno e lo 0,9% raccattato dagli eredi di Pietro Nenni e Bettino Craxi non lasciano possibilità. A Montecitorio e Palazzo Madama nessuna targhetta adornerà le stanze dei gruppi parlamentari con i simboli del lavoro che hanno percorso tutto il '900.

I socialisti hanno provato a fare breccia battendo la via del laicismo, della contrapposizione netta, diretta e frontale alllo "Stato clericale" che da Boselli in giù gli eredi del garofano indicavano come il pericolo massimo per il Paese. Ma non ha pagato.

Gli eredi del comunismo nelle sue varie forme ci hanno provato. Hanno provato a rinunciare a nome e simboli per resistere ancora una Legislatura, per portare questo fardello novecentesco nella storia politica del XXI secolo, ma non è bastato. Dalle politiche del 2006, dopo due anni di governo, i partiti che formavano la cosidetta "sinistra radicale" hanno perso il 9%. "Una sconfitta di proporzioni impreviste" ha detto desolato il leader Fausto Bertinotti.

Una sconfitta che lascia senza rappresentanza parlamentare non solo la "sinistra storica" ma anche tutto un mondo che prima fra Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani trovava un suo riferimento nelle istituzioni. La sinistra dei comitati, dei centri sociali, dell'antagonismo. Via i pacifisti che appena 5 anni fa riempivano le piazze e le strade, fermavano i treni che portavano armi all'Iraq, che riempivano le finestre d'Italia di bandiere arcobaleno. Via i comitati del no: niente rappresentanza per i vicentini che non vogliono la base Usa né per i valligiani che vogliono fermare la Tav che dovrebbe invadere le loro terre. E i centri sociali? Quante volte Rifondazione o i Verdi erano intervenuti per tenere a freno questi compagni un po' troppo esuberanti? Anche per loro niente più lacci, lacciuoli, equilibri di partito o di coalizione da tenere insieme. Caruso torna a casa nel suo Sud Ribelle, Daniele Farina al Leoncavallo di Milano. Che farà ora l'area dell'antagonismo militante? In molti fra loro, in realtà, tirano un sospiro di sollievo.

In un colpo solo, insomma, sono scomparsi la vecchia e la nuova sinistra. Ha pesato l'astensionismo, certo, molti compagni che piuttosto che beccarsi Berlusconi hanno preferito "turarsi il naso" e votare Veltroni, due anni di governo con poche prede nel carniere da esibire al momento della campagna elettorale; un leader un po' appannato dagli stucchi e dagli ori degli appartamenti riservati al presidente della Camera. Pesi diversi e tutti influenti ma resta il fatto che una stagione è finita nel modo più brusco. Nichi Vendola che sarà probabilmente chiamato a ricostruire dopo il terremoto e che è anche il leader più immaginifico che si agita nella sinistra, ormai, extraparlamentare, lo ha detto subito, a caldo: "Il Novecento ci è precipitato addosso".

(14 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: Rifondazione, è resa dei conti e Ferrero punta al ribaltone
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2008, 12:06:49 pm
POLITICA

Sinistra Arcobaleno, la sfida del ministro nel week end

Verdi, Pecoraro dimissionario. Si chiede l'azzeramento del vertice

Rifondazione, è resa dei conti e Ferrero punta al ribaltone

di UMBERTO ROSSO

 

ROMA - "Benissimo il congresso straordinario anticipato. Ma da qui a luglio compagni che facciamo, tiriamo avanti con questa linea disastrosa?".
Quando il ministro Paolo Ferrero nella riunione di segreteria prende la parola, invocando l'immediata convocazione del parlamentino di Rifondazione, e sparando alzo zero su Bertinotti, Franco Giordano e i suoi capiscono subito che la sfida del ministro ormai è lanciata. E che la resa dei conti, ancora prima di arrivare all'appuntamento congressuale di inizio estate, potrebbe scattare in tempi assai più ravvicinati.

Già in questo week end, appunto sabato e domenica nella riunione del comitato politico nazionale, dove il ministro e i suoi alleati - l'area ex Dp di Russo Spena ma anche le due minoranze dell'"Ernesto" guidate da Grassi e da Giannini - potrebbero chiedere la conta per sconfessare la rotta fin qui seguita dai vertici del partito. Magari accendendo, a quel punto, la miccia del ricambio immediato alla testa del Prc. Con un organismo collegiale di transizione verso il congresso, se non con un vero e proprio nuovo leader subito.

Franco Giordano ci ha provato in riunione a stanare lo sfidante, "potresti anche dirci chiaramente se stai avanzando una tua candidatura al mio posto", ma naturalmente il ministro ha volato alto. "La sconfitta è colpa di tutti quanti, non ne faccio un fatto personale. Quel che certo, è che io ero e resto assolutamente contrario allo scioglimento di Rifondazione".

Nelle stesse ore, il terremoto scuote gli altri compagni della sfortunata avventura elettorale. Ognuno per sé comunque, l'autocritica nel chiuso delle rispettive stanze, nessuna riunione è convocata né per il momento prevista nella casa comune della Sinistra di via Veneto, frettolosamente svuotata. Se Diliberto abbandona il condominio che brucia ("non l'abbiamo più visto, ci ha comunicato l'addio - si lamentano gli ex soci - con un titolo di Rinascita, "bye bye Bertinotti"), fra i verdi va all'attacco Marco Boato, che chiede l'azzeramento del vertice del Sole che ride. "Pecoraro Scanio - accusa l'ex deputato - avrebbe già dovuto rassegnare il suo incarico molte ore fa".

Il ministro, il presidente del movimento De Petris e il resto dello stato maggiore annunciano piuttosto che si "presenteranno dimissionari" alla riunione del consiglio federale, e comunicano che anche i verdi sono pronti ad affrontare le prova del fuoco di un congresso straordinario. "Ripartiremo dalle piazze", spiega Pecoraro.

Fabio Mussi riunisce la presidenza di Sd, e comunica di trovarsi sull'orlo delle dimissioni da segretario, "tutto è precipitato cogliendomi in un momento difficile della vita, tuttavia mi sento politicamente corresponsabile del disastro, e ne trarrò le conseguenze". Sinistra democratica, fra i vecchi compagni di strada della Cosa rossa, è l'unica che mantiene l'asse con Bertinotti sulla strada della costituente per la nuova sinistra. Solo che dentro il Prc, scosso perfino dalle proteste del popolo rifondarolo del web, l'aria per la maggioranza si fa pesante.

Ferrero lavora apertamente al ribaltone. Accusa lo stato maggiore della sua organizzazione: "L'errore è stato di aver voluto annacquare il ruolo del nostro partito dentro la casa comune. Il Prc invece deve restare forte, con la sua identità dentro un soggetto più grande. Ma se mi riproponete tale e quale il progetto della Sinistra arcobaleno, allora davvero volete lo scioglimento di Rifondazione".

E' il punto dello scontro, il nodo che accende gli animi nel confronto in segreteria. Con Giordano, Migliore, Ferrara, De Cesaris e gli altri bertinottiani a spiegare che indietro non si può tornare, che "l'idea di una grande Rifondazione dentro una grande sinistra è vecchia e deve purtroppo fare i conti con la realtà del voto", e che comunque nessun vuol dare l'addio alla storia del partito. Ma non convincono i "ferreriani" della segreteria, Fantozzi, Fraleone, Barbarozza. L'aria è quella della conta e della spaccatura. Fausto Bertinotti, come promesso, ha ceduto il passo e resta dietro le quinte. Ma se nella battaglia per la leadership del partito l'opposizione dovesse mettere insieme le forze per far traballare Giordano, il grande vecchio è pronto a giocare la sua carta vincente: Nichi Vendola.

(16 aprile 2008)

da repubblica.it


Titolo: Vendola: «Per gli elettori è solo un logo che copriva roba vecchia»
Inserito da: Admin - Aprile 16, 2008, 06:25:44 pm
Vendola: «Per gli elettori è solo un logo che copriva roba vecchia»

Simone Collini


«L’Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie. E anche probabilmente inefficaci rispetto all’agire politico».
Nichi Vendola è impietoso nell’analisi del perché Prc, Pdci, Verdi e Sd sono rimasti fuori dal Parlamento. Adesso, dice il governatore Puglia, quello su cui si concentrano le speranze di risalire la china, «dobbiamo accelerare quel cantiere che è stato solo annunciato sulla scheda elettorale, ma che non è mai partito».

Veltroni giudica un limite che la Sinistra arcobaleno non sia rappresentata in Parlamento. È anche lei tra quanti lo giudicano corresponsabile, per via dell’appello al voto utile, di questo risultato?
«A me piace indagare le cause piuttosto che i colpevoli. L’analisi così può essere più limpida e meno grondante di risentimenti».

E la sua analisi a che conclusioni porta, presidente Vendola?
«Il terremoto è stato provocato dalla delusione per il governo Prodi, che diventa un giudizio folgorante per noi tenendo a casa una percentuale elevata di elettori, dall’attrazione fatale verso il voto utile in un Paese che ha evidentemente metabolizzato più di quanto non immaginassimo tendenze culturali di tipo americano, e dal fatto che una parte del nostro elettorato operaio e popolare ha trasformato la propria insoddisfazione in un salto verso il voto leghista. Queste sono le spiegazioni di quanto avvenuto, la radiografia di un collasso».

E questo collasso, come dice lei, non vi era stato preannunciato in qualche modo?
«Diciamo che l’indebolimento cardiaco ha ragioni di lungo periodo. E chiaramente era insufficiente, di fronte al cuore debole della sinistra, un mero cartello elettorale».

Era soltanto questo la lista Sinistra arcobaleno, secondo lei?
«L’Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie, cose probabilmente inefficaci rispetto all’agire politico. Non è stato metabolizzato come il segno di un processo nuovo, come la prima prova del cantiere della sinistra che verrà».

Come ripartire?
«Ci sono due strade. Una è quella del suicidio, attraverso la ritirata burocratica negli accampamenti ridotti dell’identità».

Una risposta a quanti, come i vertici del Pdci, sostengono che avete perso perché avete abbandonato i simboli tradizionali e propone di ripartire dalla falce e martello?
«Se c’è qualcuno che intende consolarsi con questo tipo di elucubrazioni è libero di farlo. Però mi sembrano riti di esorcismo, piuttosto che analisi della realtà. Si può anche dire: è stato quel che è stato perché non c’era bisogno di una nuova sinistra, bisogna sventolare le bandiere della vecchia sinistra, riorganizzare le tende e gli eserciti. È un’ipotesi, certo. Ma io la considero un suicidio. E devo anche dire che non mi stimola molto, né culturalmente né umanamente».

L’altra ipotesi, allora?
«Per chi ha ancora dentro la propria testa una lezione di marxismo non dogmatico è l’analisi spietata del mondo di oggi, la costruzione di un cantiere che non è il museo della gloria del passato ma che è il luogo plurale e aperto in cui una nuova soggettività possa interloquire con le domande e i problemi del ventunesimo secolo. Bisogna ricostruire il proprio campo, i propri strumenti dell’agire politico, cioè il cantiere dell’Arcobaleno, quello che non è mai partito, che è stato solo annunciato su una scheda elettorale».

Non è mai partito dice? E gli stati generali, il simbolo unitario, il lavoro comune per le liste?
«Allora diciamo che è partito lentamente, molto lentamente, ma che ora deve ingranare la marcia del coraggio innovativo. Questa è l’unica prospettiva che io considero utile per la sinistra, per una sinistra che voglia essere utile al paese. Tutto il resto mi pare appartenere al folclore».

Questo processo richiede un ricambio delle classi dirigenti?
«L’ho detto prima della sconfitta elettorale. Ho parlato di me, ho detto che abbiamo il compito di lavorare per passare il testimone a una nuova generazione, e farlo in tempi rapidi. Ci vuole un nuovo alfabeto della sinistra, una nuova conoscenza della geografia del lavoro e dei lavori, c’è bisogno della disseminazione di luoghi nuovi che diano significato alla politica intesa come costruzione di una comunità».

Passare il testimone a una nuova generazione dice, eppure in molti si aspettano che sia lei a guidare la fase costituente della nuova sinistra.
«In questo momento dobbiamo decidere che cosa fare, e quindi prima di tutto dobbiamo scegliere una delle due strade indicate prima. Poi, insieme, in un lavoro molto collegiale, dobbiamo edificare il cantiere. E in esso tutto deve essere messo in discussione, anche le forme di costruzione delle leadership. Perché può darsi che un nuovo soggetto della sinistra plurale abbia bisogno di una leadership eterodossa rispetto a quelle conosciute».

In che senso eterodossa?
«Si può pensare a una leadership duale, o a rotazione, cioè a meccanismi diversi da quello carismatico e anche autoritario del leader e che invece esaltino la dimensione del lavoro collegiale».

A luglio il Prc andrà a congresso e si profilano almeno due mozioni contrapposte, quella di Giordano sul soggetto unitario e quella di Ferrero sulla federazione di forze: diamo per scontato che lei sosterrà la prima mozione?
«Di scontato c’è un principio di realtà, una consapevolezza del passaggio d’epoca che già ci ha travolti e che ora ci chiede una straordinaria capacità d’invenzione. Perché altrimenti qualcuno in questa galassia potrà anche sopravvivere, ma senza il significato che la sinistra deve avere. La sinistra ha significato nel rapporto con mondi vitali. Fuori da questo, se è soltanto la perpetuazione di pezzi di ceto politico e di burocrazie, che naturalmente tendono a riprodursi incuranti degli snodi reali della storia, finisce di avere significato. Dopodiché, naturalmente, ognuno si accontenta delle ambizioni che è capace di coltivare».

C’è chi dice che se invece di Bertinotti a candidarsi fosse stato lei avreste dato un maggiore segnale di novità.
«La novità è un processo molto più complesso, e trovo molto ingeneroso caricare Fausto Bertinotti di una responsabilità che invece grava sulle spalle di tutti. Una responsabilità che riguarda la difficoltà di leggere una fase, una transizione. Ci siamo trovati improvvisamente con un Parlamento svuotato di importanti culture democratiche del Novecento. Una cesura. E noi l’abbiamo attraversata senza accorgercene. Anzi, è quando ci siamo inciampati rovinosamente che ci siamo accorti che c’era».

Pubblicato il: 16.04.08
Modificato il: 16.04.08 alle ore 8.18   
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Titolo: Paolo Ferrero: «Incapaci di incidere sull’azione di governo. E l’abbiamo pagato»
Inserito da: Admin - Aprile 17, 2008, 08:49:14 pm
Paolo Ferrero: «Incapaci di incidere sull’azione di governo. E l’abbiamo pagato»

Eduardo Di Blasi


Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà Sociale nel governo Prodi ed esponente di Rifondazione, nell’affrontare l’analisi della sconfitta elettorale, va subito al dunque: «Abbiamo pagato il fatto che, non avendo realizzato il governo Prodi le cose che avevamo comunemente messo nel programma, molta della gente che ci aveva votato ha pensato che noi non avessimo un ruolo politico».

Lei è stato ministro di quel governo...
«Io credo che il problema fondamentale sia stato sulle politiche economiche. Il governo ha attuato un enorme programma di risanamento. Il rapporto deficit-Pil è passato dal 4,6% all’1,9%. Gli accordi di Maastricht ci obbligavano ad arrivare al 2,5%. Che vuol dire che nel 2007 si potevano spendere 8 miliardi di euro in riduzione delle tasse su stipendi e pensioni, misure degli anziani, e invece non si è fatto. La logica dei due tempi, prima il risanamento e poi si vede, che ha visto realizzato solo il primo tempo, è stata devastante per noi. Come l’accordo di luglio. La sinistra è stata schiacciata, e noi siamo usciti schiacciati anche dalle urne. Legato a questo c’è il fatto che il Pd ha lavorato a fare il pigliatutto a sinistra ed è riuscito nello splendido risultato di massacrare noi e di perdere a mani basse con Berlusconi».

Tra i vostri elettori si contano molti astenuti, e diversi che hanno votato Lega...
«Quando dico che non siamo riusciti a segnare l’utilità sociale della sinistra intendo anche questo...».

Come farete adesso a ritrovare una funzione politica senza rappresentanza parlamentare?
«Dobbiamo ripartire dal sociale. Perché credo che le contraddizioni sociali siano destinate ad aumentare: siamo in una fase non certo di sviluppo e la destra farà politiche non positive per le classi lavoratrici. Le contraddizioni sono destinate ad aumentare. Dobbiamo cominciare da lì. E penso che questa è una partita che ci giochiamo in diretta concorrenza con la destra, perché il rischio che abbiamo è che al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro possano portare a dinamiche di guerra tra poveri o a soluzioni neocorporative in cui ognuno si aggiusta come può con il proprio datore di lavoro. Il nostro problema è nel costruire dei percorsi che invece diano uno sbocco nei termini di ripresa di un conflitto di classe, o, se vogliamo, di un conflitto del basso contro l’alto».

Nichi Vendola afferma che il simbolo della Sa sia stato avvertito solo come un logo che copriva roba vecchia...
«A me non convince la dialettica nuovo-vecchio come spiegazione. Credo che il nostro problema sia che non siamo riusciti a mostrare una nostra utilità sociale».

Per rilanciare questa lotta del basso contro l’alto, questo simbolo può essere rimesso in campo?
«Rimane intatto il problema dell’unità a sinistra e della valorizzazione di tutte le forme in cui si partecipa politicamente. Io ritengo si debba cercare un percorso partecipato e costruito perché è evidente che quello della Sa, così come l’abbiamo fatto, non ha funzionato. E credo si debba fare un percorso che parta più dal basso e più ragionato. Spesso viene fuori la parola “accelerazione”. Io penso che le accelerazioni, quando si è pestato la testa contro il muro, non sono una buona soluzione. Così come ritengo sbagliato l’arroccamento. Sono due reazioni sbagliate alla sconfitta. C’è un problema di radicamento sociale, e di riflessione anche sulle forme. In questo quadro la mia idea è che le forze politiche che ci sono non siano un ostacolo ma una risorsa. E quindi credo sia sbagliato porre il tema dello scioglimento dei partiti o dell’unità “con chi ci sta”».

Resta il problema dei tempi...
«Dopo una scoppola del genere bisogna partire subito, e credo che l’appuntamento di sabato a Firenze, quello convocato da Ginsborg, così come il nostro comitato politico di sabato e domenica siano dei punti di passaggio importati».

La strategia di Rifondazione di portare i movimenti al governo del Paese, lei la giudica fallita...
«Naufragata. Per due elementi. Da una parte le forze della sinistra moderata non sono state coerenti con quanto scritto nel programma. I poteri forti su tutti i punti decisivi sono stati più forti di noi. Il secondo è che mi aspettavo che le organizzazioni sindacali giocassero un ruolo di difesa forte della loro parte».

In che senso?
«Penso alla redistribuzione del tesoretto, ma soprattutto all’accordo sul Welfare. Di fronte a un accordo sindacale che chiedevamo di migliorare, sono rimasto impressionato che le organizzazioni sindacali dicessero “non si tocca”».

C’era stato il referendum dei lavoratori...
«Ma se noi l’avessimo migliorato, secondo lei, quei 5 milioni di lavoratori che hanno votato “sì” avrebbero votato “no”?».

Però il fatto che si fossero pronunciati significa in qualche modo che la pensavate in modo diverso...
«E forse lo si vede anche dal voto di oggi. Nel senso che non mi sembra che il Pd tra i lavoratori sia andato quell’ira di dio. Chi a Mirafiori aveva fischiato Cgil, Cisl e Uil a dicembre 2006, non credo abbia votato tanto a sinistra».

Pubblicato il: 17.04.08
Modificato il: 17.04.08 alle ore 13.02   
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Titolo: Roberto Cotroneo. Luxuria: senza la Sinistra Dico e diritti fuori dal Parlamento
Inserito da: Admin - Aprile 18, 2008, 05:53:58 pm
Luxuria: senza la Sinistra Dico e diritti fuori dal Parlamento

Roberto Cotroneo


Vladimir Luxuria è stata la prima transgender in parlamento in Italia, candidata e poi eletta alla Camera nelle liste di Rifondazione. Ha lavorato sui temi dei diritti civili, sui Dico, sui diritti delle minoranze, con discrezione e intelligenza. Al punto da essere stimata anche da molti esponenti dello schieramento opposto. A parte le polemiche spicciole con una Elisabetta Gardini che a Montecitorio voleva andasse nel bagno degli uomini anziché in quello delle donne, probabilmente l’ideologa di «Muccassassina» è risultata una delle sorprese positive della scorsa legislatura. Ora anche lei è fuori dal Parlamento.

Il risultato della sinistra Arcobaleno è stato il più clamoroso di queste politiche. Davvero per tutta la campagna elettorale non avete avuto la sensazione che qualcosa non andasse?

«Guardi, io ero candidata in Sicilia, per la Camera. La mia campagna elettorale è stata coinvolgente. Anche nei piccoli paesi dell’entroterra siciliano. Eppure che qualcosa non andasse l’ho scoperto un giorno che mi trovavo a Portella della Ginestra. Lì ho incontrato un anziano militante, che era stato testimone della strage. Mi ha chiamato da parte e mi ha detto, scusandosi: "Io voterò Pd, perché devo dare il mio voto in una direzione utile. Dobbiamo battere Berlusconi"».

Morale della storia?

«Che quel vecchio militante ha sacrificato il suo voto per questo».

Dunque secondo lei voi avete perso per il voto utile. Non perché la sinistra radicale è in profonda crisi e nei due anni di governo Prodi ha creato più di un problema alla stabilità della coalizione...

«Se lei si riferisce a Franco Turigliatto, le posso dire era già stato espulso dal partito allora. Rifondazione ha appoggiato il governo senza esitazioni. Il governo lo ha fatto cadere il centro di Mastella».

Sì, ma Bertinotti, qualche mese fa aveva detto che Prodi era spacciato...

«Questo è vero, ma non possiamo fermarci a questo. In realtà gli errori sono stati altri. Quello di Veltroni di correre da solo. Quello nostro di non essere stati capaci di fare un pezzo di strada che ci portasse a un punto di mediazione con il Pd».

Dunque la responsabilità sarebbe di Veltroni se la sinistra arcobaleno non ha una rappresentanza in Parlamento?

«Non solo ma un po’ sì. Ma li ha visti i risultati delle amministrative? Lì la sinistra arcobaleno è andata molto meglio. Lì non c’era Berlusconi, e non c’era il problema del voto utile».

Forse non siete stati capaci di comunicare davvero il vostro programma...

«Questo è un tema che dovremo affrontare nei prossimi mesi».

Ora cosa succede?

«Bisogna ricostruire tutto».

Cosa pensa delle dichiarazioni di Cossiga, quando ha detto che la sinistra antagonista senza una rappresentanza in parlamento, può creare violenze nelle piazze?

«Che noi vigileremo perché questo non avvenga. Le nostre radici sono nel pacifismo».

Lei è convinta che c’è la possibilità di ricostruire la sinistra. O è invece un capitolo chiuso e andiamo verso un bipartitismo che non vi lascia spazi?

«Ha detto bene: ricostruire la sinistra. Io penso che sia questo il nostro compito. Dai Dico alle unioni di fatto, battaglie che non avranno più voce in questo parlamento, saranno capitoli chiusi».

E lei cosa farà ora?

«Farò politica. Andrò in giro come ho già cominciato a fare, per parlare alla gente. Cercherò di aiutare a ricostruire questo soggetto politico che è necessario nella storia di questo paese».

Cosa la spaventa di questa destra?

«Quasi tutto. Però vede, non è che con il Pd le cose vanno benissimo. Un partito che ha al suo interno una come la Binetti, secondo lei, dove può andare?».

Non la colpisce il fatto che anche l’estrema destra di Storace e della Santanché non sia entrata in Parlamento.

«No. Però vede, la Santanché nonostante la batosta che ha preso, ha trovato il tempo di dare una festa a casa sua a Milano per festeggiare la fine politica della sinistra. Io invece penso che avrebbe dovuto chiudersi un po’ in casa ed elaborare il proprio dolore».

Lei è molto apprezzata dal centro destra?

«Lei dice?».

Beh, Dell’Utri ha dato un’intervista dove la definisce intelligente...

«E poi dice che sono un bravo ragazzo. Se davvero mi stimasse avrebbe detto "brava ragazza”. Nel non riconoscimento della mia identità si capisce tutto quello che pensa davvero».

Sabato e domenica Rifondazione terrà il suo comitato politico. Bertinotti si è dimesso, e si dimetterà anche Giordano. Lei vota?

«No, sono un’indipendente».

E se votasse?

«Lei mi sta chiedendo chi può prendere le redini del partito?».

Sì, ma prima dobbiamo stabilire quale partito. Tornerete Rifondazione o si andrà avanti con l’Arcobaleno?

«Il cammino dell’Arcobaleno è solo all’inizio».

E il leader?

«Nichi Vendola. È in grado di dialogare davvero con il Pd».

roberto@robertocotroneo.it



Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.44   
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