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Autore Discussione: Il tempo dei Paradossi  (Letto 1855 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 18, 2010, 08:02:13 am »

LA RIFLESSIONE.

Il tempo dei Paradossi

Perché non sappiamo difendere i nostri valori



Dovendo parlare di paradossi ho fatto ricerche in Internet e ho iniziato a trovare: i paradossi di Zenone, di Aristotele e altri classici, di Kant, di Marx e molti altri filosofi e intellettuali. (...). Ho raccolto la bibliografia che ho ritenuto fosse più interessante per svolgere questo lavoro, e di cui ometterò i titoli per non annoiarvi e perché, anche solo leggendo i titoli, sarebbe davvero tutto più complicato; alcuni contenevano parole che non sono più nemmeno riconosciute dalla Reale Accademia della lingua spagnola, ma è quello che succede quando uno si affaccia al mondo della filosofia o delle idee: anche le parole sono complicate.

Ne ho cercato un paio in una libreria, quelli con i titoli che mi sono sembrati più accessibili: come avrei potuto leggere un libro di cui non riuscivo nemmeno a capire il titolo? Non li avevano: fuori catalogo. Allora mi sono detto: se i miei romanzi sono su Internet, e chiunque se li può scaricare su un computer o su un lettore digitale, perché non fare lo stesso con quei libri fuori catalogo? In ogni caso li avrei letti solo in parte: sarebbe stata una piccola frode e tra colleghi per di più, chissà se sarei stato severamente punito o se il peccato era veniale e sarei riuscito a emendarlo comprando qualche indulgenza. Ma in Internet non c’erano. A quanto pareva a nessuno era venuto l’impulso incontrollabile di scannerizzare e caricare nel web un trattato sui paradossi di Zenone perché l’intera comunità virtuale lo potesse leggere.

Ecco qui il primo paradosso, che ho riscontrato, non studiato: esistono migliaia di romanzi nella rete che si possono prendere liberamente, oltre che gratuitamente, privando dei legittimi diritti di proprietà gli autori e gli editori, e questo accade in virtù della moderna tesi per cui la cultura deve essere di libero accesso per tutti senza alcuna spesa. Ma ci sono solo i romanzi, i libri di intrattenimento! O altre opere di un secolo fa al massimo che sono diventate di dominio pubblico e che le grandi multinazionali del web si adoperano a scansire. Cultura? Il tema stuzzicava la mia curiosità: ho due cd piuttosto recenti che mi ha procurato un amico, che a sua volta li aveva avuti da un altro amico, e che tra tutti e due contengono circa seimila opere: tutti romanzi, ovviamente; lì nessuno aveva scansito niente sui paradossi di Zenone, ma tra quei seimila titoli non si parlava nemmeno di matematica, storia, sociologia, filosofia, insomma di tutte quelle scienze, quelle arti, dottrine o conoscenze che davvero costituiscono la cultura di un popolo.

Paradossale: in nome della cultura viene dato il permesso di dilapidare il patrimonio di persone che lavorano duramente e si sforzano di svolgere il loro compito, ma questi banditi della cultura non vanno al di là dei semplici romanzi di intrattenimento, per quanto insigni possano essere i loro autori. Le conoscenze artistiche, scientifiche, filosofiche, intellettuali, industriali... sembra quasi che siano già scomparsi dalla definizione stessa della cultura.

Zenone? Non poteva essere. Probabilmente avremmo vissuto, voi e io, veri e propri momenti di noia se avessi trovato qualche libro sull’argomento. Marx? I paradossi sulle plusvalenze? Oggi, dopo una crisi che forse voi italiani avete iniziato a superare, visto che noi spagnoli, nonostante il nostro signor Zapatero passa arrivare un giorno a sbandierare che siamo più ricchi degli italiani, non lo abbiamo ancora fatto... e quanto ci manca!... Comunque, dopo questa crisi basata sulla creazione di plusvalenze virtuali, meramente contabili, sarebbe stato il caso di parlare del paradosso marxista. Di fatto, non smette di essere paradossale che con le nostre tasse, quelle dei contribuenti, siano state finanziate le grandi multinazionali bancarie e finanziarie perché non fallissero. Milioni di cittadini stanno tirando la cinghia, ma le banche, con il denaro di quegli stessi cittadini, no, e la cosa peggiore è che i dirigenti continuano a essere sempre gli stessi: quelli con i jet privati, le barche lunghissime, le feste... Ho la sensazione che un giorno qualcuno dovrà rivedere una serie di princìpi che oggi, nonostante la realtà che ha gettato nella miseria milioni di famiglie, continuiamo a ritenere validi. Cosa avrebbe fatto Marx a questo proposito?

Per vostra tranquillità ho preferito immaginare quello che avrebbe detto, o che forse ha davvero detto, un altro Marx, Groucho: «Fermate il mondo, voglio scendere». Ho un bel libro che parla dei fratelli Marx. Groucho era di per sé un paradosso, nel suo modo di vestire, di camminare, di parlare, di relazionarsi con il mondo. E da una persona come lui non ci si poteva aspettare altro che frasi che oggi descrivono la nostra realtà, per quanto paradossali possano sembrare.

«La televisione è una fonte di cultura - annunciò -. Ogni volta che qualcuno la accende, vado nella camera accanto e mi metto a leggere un libro». Premonitorio. Groucho Marx morì nel 1977, quando ancora non esisteva la televisione spazzatura. «Partendo da niente ho raggiunto le più alte vette della miseria», a cui oggi come oggi potremmo aggiungere, senza timore di sbagliare, «culturale».

Ma forse la sua frase migliore, il paradosso più utile dell’irripetibile comico nel contesto che stiamo discutendo, è questa: «La politica è l’arte di cercare problemi, trovarli, fare una finta diagnosi e poi applicare i rimedi sbagliati». Io mi azzarderei ad andare un po’ più in là: il problema è radicato nel fatto che di fronte a tutto questo, la società è incapace di rispondere, di opporsi all’incompetenza, se non proprio all’inettitudine o incapacità dei nostri dirigenti. Siamo caduti in una pericolosa spirale di conformismo che arriverà a scardinare le nostre stesse fondamenta civiche. Di fatto hanno rubato fino all’ultima risorsa di cui disponeva la cittadinanza: quella di poter manifestare. Oggigiorno quasi tutte le manifestazioni sono guidate dai partiti politici. Sono i politici che manifestano per se stessi, e gli uni contro gli altri: paradossale. E nelle poche occasioni in cui lo fa la cittadinanza - non oserei mai dire «nonostante siano in forma spontanea» - ci ritroviamo in situazioni di violenza o di gravissimi scontri, il che fa sì che l’iniziativa popolare perda tutta la sua legittimità. Mi permetterò di enunciare un paradosso politico che a me personalmente genera un’inquietudine tremenda: abbiamo creato tali strutture funzionariali, ci siamo dotati di un tale compendio di legislazioni garantite, ma soprattutto anchilosate, insomma abbiamo creato un tale mostro che tra il conformismo e l’apatia cittadina e l’inefficienza dei nostri dirigenti, un giorno ne verremo divorati.

In Spagna parliamo di tori. In alcune regioni i politici vogliono proibire le corride, secondo loro crudeli, mentre in altre regioni le dichiarano veri e propri beni culturali, secondo loro arte. Come può essere che la stessa attività venga proibita in alcune zone della Spagna e poco più in là, a neanche cento chilometri, sia un bene culturale? Siamo diventati tutti matti? Ma il problema è che, mentre gli uni e gli altri discutono di tori, l’Università di Barcellona pubblica uno studio in cui si rileva che in Spagna ci sono più di diecimila ragazze tra zero e quattordici anni a serio rischio di subire l’infibulazione.

L’infibulazione è un delitto e in quanto tale è soggetto nella nostra società a pene carcerarie. Di delinquenti ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. Il problema non è questo, il problema è capire se, nei gruppi sociali in cui si producono simili esecrabili mutilazioni di ragazze indifese, si abbia o meno la percezione che si stia facendo qualcosa di male, senza nemmeno chiedersi se si stia nuocendo al prossimo in maniera criminale; capire se il diritto positivo, quello che creiamo noi uomini, concorda con il diritto naturale, quello che pensiamo ci appartenga per il semplice fatto che siamo nati. E disgraziatamente credo che no, che in quelle comunità non esista una simile percezione del male.

Lottiamo abbastanza contro tutto questo? Siamo pronti a difendere la nostra cultura, ora sì, la nostra Cultura con la C maiuscola, le nostre leggi, tutte quelle conquiste che ci hanno permesso di ottenere i diritti civili su cui basiamo la nostra esistenza? Credo di no. Non confondiamoci: dietro gran parte delle decisioni politiche non si nascondono altro che interessi di partito: restare al governo, ottenere il governo; sono poche, tra le decisioni che i nostri politici si azzardano a prendere, quelle che potrebbero togliere loro dei voti. Questo è un grande paradosso: quello che abbiamo creato può arrivare a distruggerci; il piccolo paradosso risiede nel fatto che voi abbiate ascoltato me.

(Traduzione di Beatrice Gatti)
© Ildefonso Falcones 2010

Ildefonso Falcones
12 luglio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA


L'autore
- Ildefonso Falcones de Sierra è nato a Barcellona nel 1958. Figlio di un militare, avvocato specializzato in diritto civile, è autore del romanzo storico «La cattedrale del mare», che ha riscritto nove volte prima che un editore, lo spagnolo Grijalbo, accettasse di pubblicarlo.
- Il libro ha riscosso subito un grande successo internazionale, vendendo in Spagna più di un milione di copie, per un totale di 4 milioni di volumi in 40 Paesi. In Italia è stato pubblicato da Longanesi, ha venduto 400.000 copie e ha dominato le classifiche per 40 settimane. Longanesi ha edito anche il seguito, «La mano di Fatima».
- Il testo che pubblichiamo in questa pagina verrà letto martedì prossimo da Ildefonso Falcones al teatro Dal Verme di Milano (ore 21), in occasione della Milanesiana.

http://www.corriere.it/cultura/10_luglio_12/falcones-tempo-paradossi_beb9d87c-8d96-11df-a602-00144f02aabe.shtml
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