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Autore Discussione: ALEXANDER STILLE.  (Letto 56841 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Aprile 08, 2011, 06:51:29 pm »

31
mar
2011

Alexander STILLE


Beghe interne della sinistra

Se uno vuole capire perché tutto questo sia sopportato dalla maggioranza degli italiani, basta guardare le liti dentro il centrosinistra. In questi giorni c’è stata l’ultima delle tante fratture all’interno dell’Italia dei Valori, in questo caso tra lo storico Nicola Tranfaglia e Antonio Di Pietro, che si lanciano delle accuse e minacciano querele. Secondo gli ultimi sondaggi, l’alleanza del Pdl con la Lega ottiene circa il 40% dei consensi, il che significa che se i partiti del centro e del centro-sinistra che non fanno parte dell’area berlusconiana si mettessero d’accordo, avrebbero una forte maggioranza nel paese. Naturalmente non lo fanno. E se c’è una guerra civile dentro ogni partito, di tutti gli otto-nove partiti del centro e della sinistra che si combattono tra di loro, quante guerre ci sono veramente? Questi partiti non hanno evidentemente imparato la lezione del secondo governo Prodi in cui i nuovi partiti dell’allora maggioranza di governo si sono autodistrutti spianando la strada per il ritorno di Berlusconi.

Scritto giovedì, 31 marzo 2011 alle 05:09 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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« Risposta #16 inserito:: Aprile 10, 2011, 04:54:46 pm »

7
apr
2011

Il costo della corruzione

Alexander STILLE


Preparando una conferenza sul costo della corruzione in Italia, mi sono imbattuto in alcune statistiche grafiche eloquenti. Secondo la corte dei conti italiana, la corruzione in Italia costa 60 miliardi all’anno al paese, con una crescita di circa il 30% di casi di corruzione rispetto all’anno scorso. Secondo Transparency International, l’Italia è scesa dal 29esimo posto nel 2001 al 67esimo posto nel 2010 in quanto a livelli di corruzione, spostandosi dal gruppo di paesi democratici più avanzati ad essere collocata insieme a Georgia, Brasile, Guatemala ed Egitto.

http://transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/2010/results

http://transparency.org/policy_research/surveys_indices/cpi/2010/interactive

Secondo il libro Mani impunite degli studiosi Alberto Vannucci e Donatella Della Porta la repressione della corruzione è più o meno calata dopo il periodo di Mani Pulite nei primi anni Novanta. Nel 2006 il numero di condanne per corruzione era solo un settimo di quelle registrate dieci anni prima. In alcune regioni, il calo è ancora più drammatico. In Sicilia si va da 138 nel 1996 a 5 condanne dieci anni dopo. Da 19 condanne in Calabria nel 1996, a zero nel 2006. E in Lombardia si passa da 545 nel 1996 a solamente 43 un decennio dopo.

Il libro the cost of corruption (il costo della corruzione) degli economisti Marco Arnone e Eleni Iliopulos dimostra la forte correlazione tra corruzione, mancanza di trasparenza, controllo dei media, mancato stato di diritto e perfino trattamento discriminatorio nei confronti delle donne e mancata crescita del PIL.

Rileggendo la nuova edizione del libro Impunity (impunità) dell’economista inglese Charles Young colpiscono di nuovo le statistiche impressionanti della pessima prestazione dell’economia italiana durante l’era berlusconiana. Scrive Young: “Dei 120 paesi nel mondo con popolazioni con più di 4 milioni di abitanti solo lo Zimbabwe e l’Italia hanno le economie più piccole nel 2009 che nel 2001. Nei paesi avanzati, nessuno si avvicina alla perdita del 6% del PIL pro capite che l’Italia ha subìto in questo periodo. Il paese più vicino è la Francia, dove il PIL è solamente 4% più alto nel 2009 rispetto al 2001. È raro che un paese cada talmente tanto indietro in cosi pochi anni come l’Italia ha fatto sotto i governi Berlusconi/Lega”.


Scritto giovedì, 7 aprile 2011 alle 21:49

http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/04/07/183/
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« Risposta #17 inserito:: Aprile 14, 2011, 05:00:06 pm »

13
apr
2011

Il vero scandalo della prescrizione

Alexander STILLE   

Mentre si discute della legge veramente vergognosa sulla cosiddetta “prescrizione breve” ora all’esame del parlamento italiano, la stragrande maggioranza degli italiani non sa di uno scandalo infinitamente più grande: il semplice fatto che la prescrizione può scattare a processo già iniziato. In tutte le altre grandi democrazie al mondo – ripeto: tutte tranne l’Italia – “l’orologio” della prescrizione si ferma nel momento della prima azione giudiziaria o dell’inizio di un processo. Perché? Per non incoraggiare strategie di dilazione tramite mille cavilli, in modo da fare decidere il processo non sul merito delle prove ma sulla base del tempo e della capacità degli avvocati di rimandare la giustizia.

La prescrizione esiste per i reati minori in tutti i sistemi per un buon motivo: impedire ai procuratori di pescare nel passato lontano per colpire un avversario. Ma una volta iniziato il processo non ci può più essere la prescrizione: così funziona negli Usa, in Francia, in Gran Bretagna, in Olanda e così via. Altrimenti si creano degli incentivi perversi per allungare i processi. Quando ieri ho spiegato il sistema italiano a una ex magistrata americana, lei è rimasta a bocca aperta e stentava letteralmente a crederci. “Ma è un invito ai cavilli! Si prolungheranno i processi e finiranno in un modo che non ha niente a che fare con la giustizia”. Era esterrefatta all’idea che l’orologio della prescrizione non si fermasse neppure dopo una condanna in primo grado e quindi che molti processi potrebbero venire annullati durante il processo di appello. “Ma non è possibile”.

L’anomalia italiana della prescrizione era più accettabile con il vecchio codice penale quando l’uso frequente delle prove scritte rendeva più veloci i processi. L’Italia ha abbracciato il dibattimento orale – raddoppiando i tempi dei processi – senza cambiare le regole sulla prescrizione. Un regalo ai delinquenti. Anzi, nel regno di Berlusconi, un primo ministro plurinquisito, le prescrizioni diventano sempre più brevi e l’Italia si allontana sempre di più dal resto del mondo.

Scritto mercoledì, 13 aprile 2011 alle 14:44
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« Risposta #18 inserito:: Aprile 22, 2011, 05:39:24 pm »

18
apr
2011

Alexander STILLE

Sesso, privato e pubblico.

Spesso aiuta sfogliare i giornali prestando attenzione alla coincidenza di notizie che appaiono lo stesso giorno.  A volte, il mettere insieme diversi fatti apparentemente slegati aiuta a cogliere qualcosa dello spirito dei tempi.

A me è capitato la settimana scorsa, il giorno in cui sono state pubblicate le testimonianze delle due giovanissime ragazze piemontesi, tutte e due in gara a  Miss Italia, reclutate da Emilio Fede prima come possibili meteorine e poi come carne da portare al macello dei festini di Berlusconi.

Le due hanno raccontato la loro serata raccapricciante tra barzellette sconce, spogliarelli a tavola, e la scena indimenticabile della statuetta di Priapo, con le signorine della festa incoraggiate a baciargli il pene, con risate da parte di molte, e il gelo imbarazzato delle due testimoni.

Lo stesso giorno è apparsa una notizia apparentemente minore su una festa organizzata per Berlusconi dal Popolo delle Libertà della Lombardia. Dopo la cena, è stata portata nella sala la sorpresa per il Cavaliere: un finto uovo di Pasqua alto quasi due metri, dal quale è uscita una bellissima modella, Charlotte Crona, seconda la cronaca “biondissima, svedese e con curve mozzafiato” . Racconta un articolo apparso su Repubblica:

“Uscita dall’uovo, la showgirl, modella e violinista ventisettenne, nota anche per aver ricoperto il ruolo di protagonista sulle pagine patinate della rivista Fox, ha subito sedotto il premier. Prima con il suo violino elettronico, poi con lo sguardo. Lui, che aveva appena finito di intrattenere i centoquaranta commensali intonando prima Pigalle, uno dei suoi cavalli di battaglia, poi una canzone napoletana, ha esclamato: ‘Sono commosso, è un regalo che apprezzo moltissimo’. Davanti allo sguardo divertito del governatore Roberto Formigoni, Berlusconi è rimasto rapito dall’esibizione di Charlotte, che oltre ad essere molto conosciuta sulle passerelle, si esibisce nelle discoteche accompagnando i deejay con il suo violino”.

Mentre il secondo evento può sembrare uno scherzo simpatico, in realtà aiuta a capire come possa essere accaduto il primo. Molti italiani fanno fatica a capire che tutti e due sono espressione della stessa identica mentalità: trattare le donne non per quello che sono o quello che sanno fare, ma per il loro aspetto fisico.

È evidente nel vecchio machismo perennemente stanco con cui il coordinatore lombardo del Pdl Mario Mantovani ha consegnato al premier un secondo regalo, un toro di cristallo,  dicendo: “Ha due palle come le tue Silvio!”. Ma Berlusconi nonostante l’ora tarda e la giornata gravosa, non ha rinunciato alla battuta: “Il paragone mi sembra davvero appropriato”. E in un altro momento, prendendo in giro il sindaco di Milano Letizia Moratti per il suo ritardo, Berlusconi ha detto che per penitenza avrebbe dovuto fare “un doppio bunga bunga”.

Non per niente l’Italia si trova al 74esimo posto in un elenco di 150 paesi nel cosiddetto Global Gender Gap, un indice del modo in cui sono trattate le donne nelle varie società del mondo. L’indice non è soggettivo, ma è basato su criteri obiettivi, come la presenza delle donne nel mondo del lavoro, il loro potere economico rispetto a quello degli uomini, e la loro presenza in politica. L’Italia si trova indietro rispetto a paesi come il Paraguay, Malawi, Ghana, la Repubblica Domenicana, e subito davanti a Gambia e Bolivia. Donne che non hanno potere sono costrette a ridere davanti barzellette stupide e scherzi poco simpatici.

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« Risposta #19 inserito:: Maggio 01, 2011, 05:27:27 pm »

26
apr
2011

Paralleli americani

Alexander STILLE

Un lettore del sito chiede giustamente di fare il paragone tra l’Italia di Berlusconi e il mondo politico americano. Anche se il caso Berlusconi è per certi aspetti unico (il massiccio conflitto di interessi; un primo ministro che – solo in questi mesi – subisce non uno, ma ben tre procedimenti giudiziari; per non parlare degli aspetti comico-grotteschi del personaggio), a un livello più profondo possiamo trovare somiglianze tra la destra italiana e quella americana. Provo ad elencarle.

1.) Tutte e due hanno degli importanti mezzi di comunicazione messi quasi completamente a servizio di un partito politico. Nel caso degli Stati Uniti sono Fox News e più in generale l’impero dei media di Rupert Murdoch. Un sostegno che arriva fino alla confusione dei ruoli, così descritta dal noto commentatore conservatore David Frum: “Per molto abbiamo pensato che la Fox lavorava per noi, ora scopriamo che noi repubblicani lavoriamo per la Fox”.

2.)Nel passato il giornalismo televisivo negli Stati Uniti aveva un forte senso di deontologia professionale. Prima di sostenere un argomento bisognava avere un certo supporto fattuale. C’erano squadre di ricercatori per controllare dati di fatto, avvocati che setacciavano i programmi più importanti, e un certo senso di orgoglio professionale tra i giornalisti nell’essere preparati. Le televisioni americane, ovviamente non prive di ideologia o di loro punti di vista, erano centriste e tendenzialmente filo-governative, ma non inventavano le notizie. Ora con l’avvento dei canali di notizie 24 ore su 24 è subentrato un giornalismo televisivo del tutto diverso, in cui non c’è più uno staff di giornalisti dietro la faccia sullo schermo, ma un conduttore che parla a ruota libera, improvvisando e spesso inventando i suoi fatti strada facendo. Se il vecchio giornalismo televisivo delle tre grandi reti televisive era basato sulla credibilità, quello nuovo è caratterizzato dalla provocazione ed è basato su una strategia volta a mantenere l’attenzione dello spettatore a tutti i costi pur di non fargli cambiare canale. Glenn Beck, il più popolare dei conduttori di Fox, sostiene ripetutamente che il presidente Obama vuole distruggere il capitalismo e la società americana, che il governo è occupato da cellule di terroristi camuffati, mentre Rush Limbaugh, il più popolare personaggio della radio americana, sostiene che l’unico modo per mantenere il liberalismo è con il fucile. Tutto ciò senza mai offrire una prova concreta, ma spesso spiegato con diagrammi scritti alla lavagna per creare l’apparenza di ricerca e serietà.

3.)Fino a 15-20 anni fa, il partito Repubblicano era pieno di persone serie. Si poteva essere in profondo disaccordo con le loro posizioni, ma erano comunque posizioni razionali basate su fatti empirici. Si poteva sostenere con qualche ragione che certi programmi sociali degli anni sessanta non avevano realizzato le loro promesse, si poteva sostenere che il livello di tassazione poteva deprimere investimenti o innovazione, che bisognava avere un atteggiamento più fermo nei confronti dell’Unione Sovietica – tutti punti discutibili ma razionali, e quindi si poteva avere un dibattito vero su fatti importanti. Quello che è avvenuto negli ultimi 15 anni è l’ascesa di una destra che fa appelli puramente emotivi e irrazionali. Come si può intraprendere un dibattito con persone che sostengono che il Presidente Obama è un musulmano che simpatizza con Al Qaeda o che la riforma sanitaria del Presidente completamente basata sulle assicurazioni private è il trionfo del socialismo? Solo l’altro giorno il senatore repubblicano Jon Kyl dell’Arizona ha giustificato il tentativo di eliminare tutti i fondi per Planned Parenthood, una ong che offre servizi sociali prevalentemente a donne povere, dicendo al Senato che ben oltre il 90% di quello che fa Planned Parenthood è eseguire aborti. La realtà è radicalmente diversa: solo il 3% delle attività di Planned Parenthood consiste nell’eseguire aborti, mentre la stragrande maggioranza dei suoi servizi riguarda contraccezione, prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, controlli volti alla prevenzione del cancro e altri servizi sanitari per le donne. E nessuno dei 363 milioni di dollari che il governo federale ha dato a Planned Parenthood va all’esecuzione di aborti, poiché una legge precedente lo impedisce. Colto in un errore così clamoroso, l’ufficio del Senatore Kyl ha sostenuto che il discorso non era inteso come discorso fattuale. Quindi le statitische non sono fatti?

4.) Una delle cose che l’Italia e gli Stati Uniti hanno in comune è la quasi completa “deregulation” della televisione. L’Italia vive nel Far West berlusconiano dove le uniche regole si applicano (molto selettivamente) al servizio pubblico e mai all’impero Mediaset. Gli Stati Uniti hanno abbandonato tutte le regole che hanno governato la televisione nei suoi primi trent’anni: la cosidetta Fairness Doctrine, il diritto alla replica, l’obbligo di mettere programmi per il bene pubblico. Garanzie eliminate negli anni ’80 con la “deregulation” reaganiana e la proliferazione di canali e la rivoluzione della televisione via cavo. In un mondo di 100 canali, non c’era bisogno – si pensava – di garantire il pluralismo informatico o mantenere equilibrio nel dare informazione.

5.)Così siamo finiti in un discutibile mondo post moderno (sia nei media che nella politica) dove i fatti non esistono e qualsiasi cosa inventata vale per distruggere l’avversario. Non è una mia opinione personale, ormai sono i ricercatori ha spiegare che fortissime percentuali di americani credono cose che sono facilmente dimostrabili come false. Solo alcuni esempi: che gli Stati Uniti hanno trovato armi di distruzioni di massa in Iraq, che l’invasione americana aveva l’appoggio della maggioranza dei paesi nel mondo, che Obama non è nato negli Stati Uniti e quindi occupa illegalmente il ruolo di Presidente, e così via. Lo studioso Farhad Manjoo ne parla nel suo libro “True Enough: learning to live in a post-fact society” (“Abbastanza vero, imparando a vivere in una società post-fattuale”). In un mondo digitale con un’infinita’ di fonti vere o false che siano ognuno cerca e riceve le notizie che vuole. Afferma Manjoo: “Negli ultimi anni sondaggisti e ricercatori hanno documentato uno spostamento fondamentale nel modo in cui gli americani considerano le notizie: non solo sosteniamo opinioni differenti, abbiamo fatti differenti. La crescente polarizzazione politica ha cominciato a distorcere le nostre percezioni di quello che è vero e quello che non lo è”.
Negli Stati Uniti è ormai quasi impossibile per una persona di destra e una persona di sinistra trovare terreno comune sufficiente per un dibattito civile. Esattamente come avviene in Italia, dove uno è convinto che Berlusconi è colpevole di tutto oppure che tutti i processi nei suoi confronti siano puramente frutto di un complotto delle toghe rosse. E quindi diventa quasi impossibile fare un’analisi seria, pesando il valore delle prove e analizzando fatti riconosciuti. Questa polarizzazione di intere fette della nostra società che vivono in universi informatici totalmente diversi rischia di risolversi in tragedia: spinge le tensioni sociali verso la violenza verbale, e a volte fisica, e mette in crisi le istituzioni che tradizionalmente servono come arbitri nelle contese sociali: tribunali, studi scientifici, e giornali autorevoli.

Scritto martedì, 26 aprile 2011 alle 21:33
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« Risposta #20 inserito:: Maggio 10, 2011, 11:54:23 am »

8
mag
2011

Alexander STILLE

L’insidia del budget repubblicano

Sapendo con alto livello di certezza che la politica economica del suo partito aveva aggravato enormemente la disuguaglianza economica del paese, che aveva fermato la mobilità sociale ed economica e allo stesso tempo prodotto un tasso di crescita nettamente inferiore a quello del suo principale concorrente, una persona in buona fede dovrebbe cambiare partito o cambiare politica. Questa situazione è realmente quella in cui si trova il partito repubblicano americano, sulla base di dati economici non controversi, prodotti da enti governativi e bi-partisan su tasso di crescita, GDP e reddito familiare. I dati parlano molto chiaro, come dimostrano vari libri pubblicati recentemente da studiosi molto noti. Il reddito annuale della famiglia media americana è diminuito del 3% dai primi anni Settanta al 2007. “In dollari del 2004, risulta un declino di $1,600 dollari per famiglia, non la constante crescita prevista dal sogno americano”, dicono i politologi americani Lawrence Jacobs and Benjamin Page.

In contrasto il 20% più ricco ha visto crescere il proprio reddito del 70%. Ma il vero bottino è andato al 1% più ricco del paese che ha visto crescere il proprio reddito annuale del 184%: questo 1% ormai possiede il 33% della ricchezza dell’intero paese.

Tradizionalmente i Repubblicani hanno giustificato la crescente disuguaglianza economica dicendo che era un effetto collaterale di un fenomeno del tutto sano: la capacità di un mercato efficiente di premiare le persone più capaci e laboriose, e quindi stimolare la crescita e il benessere di tutti. La disuguaglianza conta poco secondo questo ragionamento se accompagnata da crescita assoluta più grande, migliorando la vita di tutti, pur premiando di più i cosiddetti vincenti. L’altro argomento sollevato dai Repubblicani è stato quello della mobilità economica e sociale: se una società libera e competitiva permette ai meno abbienti di salire i gradini economici del paese, la disuguaglianza perde il suo significato negativo.

Ma i dati economici degli ultimi decenni smentiscono in pieno questi due presupposti, che si sono rivelati puramente dei miti. Il libro Unequal Democracy di Larry Bartels di Princeton dimostra che la crescita economica per l’intera categoria è stata nettamente superiore sotto amministrazioni democratiche rispetto a quelle repubblicane. Perfino il 20% più ricco ha beneficiato di più in termini assoluti sotto presidenti democratici che sotto presidenti repubblicani. La grande differenza sta nella distribuzione del reddito: sotto le amministrazioni repubblicane il 40% più povero ha guadagnato quasi poco o niente, mentre sotto amministrazioni democratiche ha visto crescere il proprio reddito annuale del 2,6%.

Le ricerche dell’ economista Emmanuel Saez della Berkeley dimostrano chiaramente che la mobilità sociale ed economica americana, una volta il grande vanto del nostro paese, si è fermata insieme al divario tra ricchi e poveri. La probabilità di salire da una classe economica più bassa a una più alta è fortemente diminuita. Ormai gli Stati Uniti hanno una mobilità economia inferiore a molti paesi europei, una volta baluardi del vecchio sistema di classe.

Nonostante ciò, come se tutto questo non avesse importanza, i Repubblicani stanno spingendo per un programma economico che produrrebbe gli stessi effetti. Il piano proposto nella Camera dei Rappresentati dal leader repubblicano Paul Ryan è basato sulla vecchia formula repubblicana: tagli che colpiscono le categorie più deboli, tagli alle pensioni per gli anziani, niente assicurazione sanitaria per i 40 milioni di americani che non ce l’hanno, tagli alle borse di studio per le famiglie più povere, costi maggiori nella sanità da parte del paziente, insieme a grandissimi tagli alle tasse il cui beneficio andrà di nuovo alle categorie più ricche.

Questo sembrerebbe una formula del tutto perdente. Eppure i Repubblicani hanno diverse carte da giocare: il governo federale rischia di andare in bancarotta se il Congresso americano non alza il tetto del debito nazionale che scadrà nei prossimi mesi.

Lasciamo perdere che i Repubblicani hanno contribuito enormemente al debito nazionale col taglio delle tasse varato sotto il Presidente Bush, costando agli Stati Uniti 3 mila miliardi; lasciamo perdere che hanno creato il collasso dell’economia e quindi la riduzione delle entrate governative; lasciamo perdere che hanno alzato il tetto del debito nazionale varie volte quando il Presidente era un Repubblicano. Ora usano la minaccia di destabilizzare il sistema finanziario per ricattare il Presidente Obama ed indurlo ad accettare fortissimi tagli alle spese sociali e a buona parte del suo programma economico.  La loro dichiarata preoccupazione per il deficit è chiaramente fasulla, altrimenti non comprenderebbe la proposta di rendere permanente il taglio alle tasse di Bush, che l’aritmetica di uno scolaro della prima elementare dimostra aggraverà il deficit.

Contano molto sul senso di responsabilità di Obama e il suo desiderio di evitare una crisi che fermerebbe tutti i pagamenti governativi e potrebbe paralizzare i mercati finanziari entro poco tempo. Operando sul teorema “peggio è, meglio è” i Repubblicani sperano che un possibile peggioramento della situazione economica punisca di più il presidente in carica, e non l’opposizione.

da - stille.blogautore.repubblica.it/2011/05/08/
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« Risposta #21 inserito:: Maggio 21, 2011, 09:25:18 am »

20
mag
2011

Il ritorno della realtà?

Alexander STILLE

Negli ultimi mesi Silvio Berlusconi sembrava essere riuscito a riprendersi dalle batoste degli ultimi due anni: gli scandali Noemi e
D’Addario, della protezione civile, la legge sulle intercettazioni telefoniche, la defezione di Gianfranco Fini e dei suoi seguaci, lo scandalo Ruby, le varie leggi ad personam per risparmiare al premier i suoi vari processi. Sembrava aver ricucito la sua maggioranza e, forte dei suoi finti sondaggi, minacciava nuove leggi per fare a pezzi la magistratura italiana.

Il voto di questa settimana, concepito dal Cavaliere stesso come referendum sul suo operato, ha smentito in pieno quest’immagine di un Berlusconi rinato più forte che mai.

Sembra il ritorno o la vendetta della realtà contro la continua fantasia creata da Berlusconi. Non è, per non illudersi, un rifiuto profondo e morale di Berlusconi basato sulle prove di illegalità emerse nei suoi molti processi. Credo che l’elettore medio italiano si sia reso conto di due o tre cose fondamentali: da quando è stato rieletto nel 2008, Berlusconi si è occupato quasi esclusivamente delle sue faccende personali e pochissimo dei problemi reali e gravi degli Italiani che lo hanno eletto. Da quando ha tirato fuori la legge sulle intercettazioni telefoniche, frutto delle continue e imbarazzanti rivelazioni sul suo conto, il governo è pressoché paralizzato. Intanto molti dei grandi vanti del cosiddetto governo del fare – il ripristino della situazione dell’immondizia di Napoli, la ricostruzione miracolosa dell’Aquila – si sono rivelati delle vere e proprie frodi: illusioni create e mantenute dalla televisione di Stato e dalle sue reti televisive, mentre l’economia dell’Italia rimane in uno stato asfittico e stagnante. Il re è nudo, in tanti modi.

Il fenomeno Berlusconi nel suo complesso rappresenta forse la più grande sfida al famoso assioma del presidente americano Abraham Lincoln, il quale ha detto: “Si può ingannare tutto il popolo per un po’ di tempo, si può anche ingannare una parte del popolo di tanto in tanto, ma non si può ingannare tutto il popolo tutto il tempo”. In diversi momenti durante i diciassette anni di Berlusconi in politica il famoso detto di Lincoln è sembrato una reliquia di un Ottocento permeato dall’Illuminismo. La premessa della carriera politica di Berlusconi è quella che controllando le principali fonti di informazione si controlli tutto. Berlusconi ha detto al suo braccio destro Marcello dell’Utri “Ma insomma non vuoi capire che senza la televisione una cosa non esiste: né un prodotto, né un politico, né un’idea.”

Forse nessun altro politico è riuscito a sopravvivere a un record fattuale così disastroso: la crescita economica più lenta in Europa, competitività in calo, i suoi collaboratori principali condannati per mafia e corruzione, legge dopo legge costruita per beneficiare la sua azienda, o salvare se stesso dai suoi processi, e  quasi nessun risultato positivo solido. Non ho alcun dubbio che Berlusconi sarebbe stato mandato in pensione diversi anni fa se le prove dei processi Previti, Squillante, Mills e Ruby, oppure il pietoso stato del PIL italiano durante i vari governi Berlusconi, fossero stati divulgati e spiegati su tutte le televisioni italiane. Nonostante la grande sfida di Berlusconi – di annientare la realtà  e di sostituirla con una realtà virtuale – continuo a credere che la realtà esista, e forse il risultato di lunedì lo conferma e conferma che l’assioma di Lincoln sia ancora valido.

Un piccolo segno di questo è la reazione stizzita di Bossi e della Lega; dopo il tonfo elettorale Berlusconi è andato a Napoli a inveire contro lo sgombero di case abusive e Bossi ha subito gridato: “attenti, niente più condoni”. Per diciassette anni il popolo del Nord e la Lega hanno permesso a Berlusconi mille schifezze simili che farebbero rimpiangere la vecchia Roma ladrona, senza fino ad ora pagarne un prezzo politico. Il bassissimo numero di preferenze preso da Berlusconi a Milano rispecchia il fatto che la gente si senta ingannata.

Ora vediamo se i partiti dell’opposizione di  centro e di sinistra, che rappresentano la maggioranza del Paese, saranno capaci di cogliere quest’opportunità, superare le loro differenze e presentare un programma coerente e convincente.

da - stille.blogautore.repubblica.it/2011/05/20/
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« Risposta #22 inserito:: Maggio 25, 2011, 04:26:44 pm »

25
mag
2011

Alexander STILLE


Non gli resta altro che la paura.

Non gli resta altro che la paura. Berlusconi nel suo discorso
all’elettorato non cerca neppure di difendere l’operato del suo
governo, ma tenta molto palesemente di terrorizzare quella parte
dell’elettorato che non ha ancora deciso sul voto finale: “Milano non
può alla vigilia dell’Expo 2015 diventare una città islamica, una
zingaropoli piena di campi Rom e assediata dagli stranieri a cui la
sinistra dà anche il diritto di voto”. Nelle stesse ore l’Istat
(l’Istituto nazionale per le statistiche) dice che un italiano su
quattro è a rischio povertà e la crescita del Pil rimane sempre più
bassa rispetto agli altri paesi europei. Naturalmente la risposta di
Berlusconi non è quella di prendere azioni concrete, ma un altro
blitz mediatico, tanto sproporzionato da riuscire a far guadagnare
multe pesanti sia per la Rai che per Mediaset. Così prende due
piccioni con una fava: penalizza il suo concorrente principale,
mentre domina la comunicazione politica alla vigilia del voto: e
quando l’autorità Agcom, arbitro sdentato e impotente, reagisce come
sempre a fatto compiuto, Berlusconi grida che siamo tornati ai tempi
dell’Unione Sovietica.

Augusto Minzolini, il direttore del TG,  spiega l’onnipresenza di
Berlusconi attribuendola alla sua bontà “ Il presidente del consiglio
vuole parlare dopo giorni di silenzio. Lo vuole fare con il tuo
telegiornale, nel mio caso il TG1, ma anche con qualche altro tg.
D’altronde, l’uomo è fatto così, non vuole far dispiacere a nessuno,
si sa. Lei che fa, prende o lascia?”

Ma se il capo dell’opposizione dopo una grande vittoria elettorale
vuole parlare, non è una notizia?

da - stille.blogautore.repubblica.it/2011/05/25/
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« Risposta #23 inserito:: Giugno 27, 2011, 05:29:11 pm »

23
giu
2011

Weinergate

Alexander STILLE


Si è dimesso il rappresentante Anthony Weiner, deputato prodigio dello Stato di New York, colto in fallo mentre mandava messaggi a sfondo sessuale su Facebook e Twitter a giovani sostenitrici conosciute sulla rete.

Il caso Weiner è l’ultimo e forse il più complicato di una lunga serie di casi di politici travolti da scandali di tipo sessuale.  Mostra la nuova e complicata dimensione delle nuove tecnologie, unita agli antichi vizi di sesso e potere. Weiner era diventato un astro nascente del partito democratico, in parte grazie all’uso innovativo di Twitter: mandava migliaia di brevi messaggi in genere di contenuto politico ai numerosi seguaci e creandosi una base nazionale insolita per un deputato che rappresentava un singolo distretto locale. Purtroppo per Weiner il mondo virtuale di Twitter e di Facebook è stato anche la sua rovina, avendo partecipato ad approcci entusiasti e a volte seduttivi di varie donne che lo hanno contattato tramite i social media. Weiner ha perso la testa mandando messaggi osé e fotografie sconce.

Complicando ancora di più una valutazione serena del caso, è venuto fuori che un gruppo di attivisti di destra stavano monitorando i messaggi di Twitter di Weiner, cercando di incastrarlo. Insieme alle testimonianze vere, c’e’ anche stato il caso di un critico di Weiner che si è camuffato da teenager sedicenne e ha pregato il deputato di portarla al ballo di fine anno dell’high school.

Inizialmente ero contrario alle dimissioni di Weiner: a differenza di personaggi politici come Dominique Strauss – Kahn o il nostro benemerito Silvio Berlusconi, Weiner non era stato accusato di aver infranto alcuna legge. Non aveva neppure commesso adulterio: era colpevole di cattivo giudizio ed estrema imprudenza, in quello che poteva sembrare una ragazzata. Questi atti occupano una zona grigia tra la fantasia privata e il mondo reale: ma alla fine anche il suo partito lo ha spinto a lasciare. La ragione più forte a favore delle sue dimissioni era puramente pratica: il caso Weiner era diventato una grande distrazione per i democratici, un bersaglio costante di critici repubblicani e quindi un problema da eliminare.

Dal punto di vista politico, era chiaramente la cosa giusta da fare. Rimane irrisolto se le dimissioni siano state una scelta giustificata su altri piani, e qui rimango un po’ nel dubbio. È vero che Weiner ha dimostrato una straordinaria mancanza di buon senso: esperto dei nuovi media, avrebbe dovuto capire che Facebook e Twitter sono in pratica semi-pubblici. Quello che appare su FB è quasi dominio di tutti, e i messaggi di Twitter possono essere captati con grande facilità. Weiner dopo l’imbarazzo di questo scandalo non sarebbe mai stato rieletto, le dimissioni erano l’unica via possibile per permettere al suo partito di tenere quel seggio. Ma rimane comunque un caso limite in questa catena di scandali del sesso.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/06/23/weinergate/
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« Risposta #24 inserito:: Luglio 14, 2011, 03:32:32 pm »

12
lug
2011

Alexander STILLE


Tasse, il prezzo della civiltà?

Ci si chiede perché mai Barack Obama e i democratici siano sempre sulla difensiva nelle loro trattative con i Repubblicani sul deficit. Nel tentativo di evitare tagli a programmi sociali come la “social security” (pensioni di anzianità) e Medicare (assicurazione sanitaria per gli anziani), a sentire il tono del dibattito uno penserebbe che stessero cercando di giustificare il conto da 500mila dollari detenuto da Newt Gingrich, uno dei candidati repubblicani alla Casa Bianca, presso il gioielliere Tiffany’s.

Vedendo alcuni studi recenti sullo stato degli Stati Uniti, i democratici hanno ragione di essere abbastanza fieri dei programmi che stanno difendendo.

Stavo guardando l’altro giorno uno studio molto interessante che si chiama “Measure of America,” un progetto che applica il cosiddetto Human Development Index (Indice di Sviluppo Umano) usato dalle Nazioni Unite per misurare la salute sociale di tutti i paesi del mondo mettendo insieme dati sulla salute fisica (longevità, tasso di mortalità infantile, tassi di omicidio) con dati di salute economica (reddito) e livello di scolarizzazione e accesso all’educazione. L’idea di Measure of America è di applicare questo indice sul livello locale per offrire un quadro molto più dettagliato di tutte le località negli USA, Stato per Stato, contea per contea, distretto elettorale per distretto elettorale, con la possibilità di studiare la salute sociale di gruppi sociali e etnie diverse. Il risultato, non molto sorprendente per chi conosce bene gli USA, è una mappa molto variegata con molti alti e bassi dove certi settori della nostra popolazione vivono come se abitassero in un paese piuttosto povero mentre altri godono di un tenore di vita e di uno stato di salute e livello di istruzione tra i più alti nel mondo – spesso nello stesso Stato e nella stessa città. Ma guardando una mappa interattiva che il progetto ha creato, mi ha colpito il fatto che gli stati che hanno gli indici di salute più alti sono tutti Stati che hanno votato per Barack Obama e il partito democratico nelle elezioni del 2008. Nelle ultime tre elezioni gli analisti politici hanno notato come gli Stati    Uniti sono diventati un paese fortemente polarizzato, diviso tra Stati blu (democratici) e Stati rossi (repubblicani). I quindici Stati all’apice dell’indice hanno tutti votato democratico, mentre i dieci più in basso sono Stati nel profondo Sud e Stati agricoli nella cosiddetta “Bible belt” (la cintura della bibbia – Stati rurali con una forte presenza di cristiani evangelici). Naturalmente, questo quadro si presta ad interpretazioni diverse. I Repubblicani potrebbero dire che il partito democratico è un partito elitario che rappresenta le parti più benestanti del paese mentre loro rappresentano quelle più povere che vogliono sfondare senza interferenze del governo.

Questo quadro potrebbe avere una sua importanza durante l’attuale dibattito politico sul deficit, e sul problema delle tasse che sono al centro del negoziato tra Obama e i repubblicani nel Congresso, dove i repubblicani stanno spingendo per riduzioni drastiche alle spese sociali per ridurre il deficit mentre si rifiutano di alzare le tasse anche di un centesimo per i cittadini più ricchi per colmare il divario tra entrate e uscite governative. La mappa dello sviluppo umano rivela una realtà importante: anche se il quadro è complesso (certi Stati democratici hanno avuto anche governatori e assemblee locali repubblicani), grosso modo gli Stati blu sono quelli dove regge il contratto sociale, con livelli di tassazione più alti e programmi sociali più generosi. Prendiamo il caso del Massachusetts – numero due dei cinquanta Stati in termini di qualità di vita – deriso spesso, soprattutto dai repubblicani, come “Taxachusetts.” Infatti, uno degli argomenti favoriti dei repubblicani è che questa formula – tasse locali alte e programmi sociali generosi – sia una garanzia di fallimento: è un disincentivo per le aziende che si spostano negli Stati repubblicani dove pagano meno tasse, non ci sono sindacati e programmi sociali costosi. Ma l’indice di sviluppo umano smentisce questa idea. In parole povere: negli Stati blu, con più protezioni per i deboli, più programmi sociali, più assicurazione sanitaria, si sta meglio.

Il movimento del Tea Party guarda qualsiasi intervento governativo – compresi l’assicurazione sanitaria garantita, soldi per l’educazione pubblica, protezione per l’ambiente  – come un sopruso e una forma di oppressione. Questo nonostante il fatto che il livello di tassazione complessiva negli USA sia solo il 25 percento del PIL – tra i più bassi in assoluto tra i paesi avanzati – sceso dal 29 percento in dieci anni. Ma gli Stati con meno servizi governativi – che si ribellano quando si cerca di alzare le tasse, Stati di profondo rosso con fortissime maggioranze repubblicane – sono quelli, come Mississippi e Alabama e Louisiana, dove si sta peggio in assoluto. Sono agli ultimissimi posti in termini di scolarizzazione. Sono Stati dove una persona povera può aspettarsi di vivere meno a lungo, di ricevere meno assistenza sanitaria, di non arrivare all’università, di guadagnare meno che in altri Stati.

Una conferma recente di questo fatto è arrivata negli ultimi giorni. Un gruppo di economisti ha completato uno studio sull’effetto dell’assicurazione sanitaria su persone che in passato non l’avevano. Hanno scoperto – apriti cielo! – che con l’assicurazione sanitaria stanno meglio: vedono regolarmente il medico, stanno meglio  non solo in termini di salute, ma anche economicamente, hanno meno conti non pagati – non dovendo scegliere tra l’affitto e la salute come succede spesso alle persone non assicurate – e stanno meglio sul piano morale, soffrono meno di depressione.

Questa può sembrare un’ovvietà ma nel mondo superideologico della politica americana – dove il Tea Party detta legge nel partito repubblicano – è un cardine di fede che la riforma sanitaria di Obama – che dovrebbe dare accesso all’assicurazione sanitaria a circa 40 milioni di americani – sia opera dell’anticristo, una forma di socialismo, un primo passo verso il totalitarismo. Molti conservatori dicono che i poveri farebbero meglio ad arrangiarsi senza assicurazione, ricorrendo al pronto soccorso o addirittura non pagando i medici quando non ce la fanno. Questa visione viene smentita da uno esperimento naturale attuato recentemente nello Stato dell’Oregon (blu). Il governo locale ha voluto offrire l’assicurazione sanitaria ai 90.000 cittadini che non l’avevano. Ma in questi tempi magri di recessione e di budget molto stretti, l’Oregon aveva soldi solo per dare l’assicurazione a 10.000 persone, attraverso una lotteria. Degli studiosi hanno visto in questo programma una situazione perfetta: due gruppi presi a caso della stessa    identica parte della popolazione, uno soggetto all’“esperimento”, e uno che serviva da gruppo di controllo.

La conclusione sia dell’indice di sviluppo umano che dello studio nell’Oregon è molto semplice: si ottiene qualcosa per le tasse che si pagano: livelli di istruzione superiori, stato di salute superiore, longevità superiore. “Le tasse sono il prezzo della civiltà,” diceva Oliver Wendell Holmes, un famoso giudice della Corte suprema americana.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/07/12/tasse-il-prezzo-della-civilta/
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« Risposta #25 inserito:: Luglio 19, 2011, 10:48:31 am »

19
lug
2011

Nervosismo di Bossi

Alexander STILLE

Umberto Bossi è tornato a parlare di secessione. Sembra che stiamo tornando al folklore di Pontida. Sembrerebbe anche un segno di nervosismo da parte della Lega e di stanchezza per l’alleanza con Berlusconi. Andando contro le pressioni del premier, Bossi ha dato via libera all’indagine su Papa nel caso P4 – altro segno che il popolo della Lega è stanco di coprire la corruzione del mondo berlusconiano. Una delle spie del declino di Berlusconi è che, per la prima volta in quindici anni, la Lega comincia a pagare un prezzo politico con il proprio elettorato per l’alleanza con l’uomo che nel 1994 e 1995 chiamavano “Craxi con la parrucca”, “il mafioso di Arcore” e “Berluskaiser.” Ma mi sono spesso chiesto in questi anni come mai Bossi non ha pagato un prezzo politico prima? La giustificazione machiavellica della coalizione era il federalismo. Ma dopo quindici anni non c’è segno di federalismo, il sistema di clientelismo e corruzione – Roma Ladrona – è immutato se non addirittura incancrenito eppure il popolo della Lega ha firmato assegni in bianco a Berlusconi, ha inghiottito rospi votando leggi ad personam.

Chiedo ai lettori, forse lettori nei feudi della Lega, perché. Sarà che la Lega sul piano locale ha tratto vantaggi dall’essere al governo?

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/07/19/nervosismo-di-bossi/?ref=HRER1-1
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« Risposta #26 inserito:: Luglio 22, 2011, 04:11:26 pm »

22
lug
2011

Alexander STILLE

Perché Berlusconi non è Murdoch?

Ho letto con grande interesse che, sotto la pressione dell’opinione pubblica, Rupert Murdoch e la News International hanno dovuto cessare di pagare le spese legali di un investigatore privato sotto indagine nel caso delle intercettazioni illegali. Naturalmente pagare le spese di un imputato crea un rapporto di complicità soprattutto se chi paga è un potenziale bersaglio dell’indagine, come in questo caso. Significa, in pratica, tappargli la bocca. Ricordo bene che è venuto fuori a un certo punto che Berlusconi (o uno dei rami del suo impero) ha pagato le spese legali di Cesare Previti. E naturalmente in Italia nessuno, dico nessuno, ci ha badato. Come mai? Perché a pensarci è molto strano: se Previti non ha corrotto i giudici per conto di Berlusconi, se i soldi con cui Previti ha pagato Squillante non veniva da un conto segreto della Fininvest – come hanno sempre sostenuto — perché avrebbero dovuto pagargli le spese legali? Non sarà stato per caso per togliere a Previti la tentazione di parlare con i magistrati dei suoi rapporti con Berlusconi?.

Domanda: perché qualcuno in Parlamento non ha costretto Berlusconi a rivelare chi ha pagato le spese legali di vari imputati nella galassia berlusconiana?

Come non si scandalizza nessuno in Italia per il fatto che gli avvocati personali di Berlusconi, a cominciare da Niccolò Ghedini, siedono nel Parlamento: cioè oltre il generosissimo stipendio che ricevono dal popolo italiano ricevono un secondo stipendio da Berlusconi, forse di molte volte più consistente. Non sarebbe corretto insistere che gli avvocati-parlamentari del premier rivelino esattamente quando guadagnano lavorando per lui e le sue varie aziende o per i suoi coimputati in vari processi dell’ambito Fininvest/Mediaset/Berlusconi? Forse, così, sapremmo quanto hanno lavorato per il popolo italiano e quanto per il cliente B.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/07/22/perche-berlusconi-non-e-murdoch/?ref=HRER1-1
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« Risposta #27 inserito:: Agosto 22, 2011, 04:25:22 pm »

22
ago
2011

La strada di Obama?

Alexander STILLE

Nel 1982-83, quando gli Stati Uniti erano in piena recessione, con la disoccupazione a livelli terrificanti, l’allora Presidente Ronald Reagan ripeteva: “Stay the course.” “Proseguiamo per la stessa strada.” Si capiva cosa voleva dire, la formula di Reagan era molto chiara: “Abbassiamo le tasse, riduciamo l’inflazione e l’economia si riprenderà”. Reagan non ha cambiato politica nonostante le critiche durissime di quei giorni e l’economia poi si è ripresa. Naturalmente, del boom reaganiano hanno beneficiato i più ricchi. Ma il punto che voglio sottolineare qui è che si capiva al volo che cosa intendeva quando diceva “Stay the course.”

Ora, il Presidente Barack Obama è in un momento altrettanto buio della sua presidenza. Non ha mai detto “Stay the Course” anche perché nessun capirebbe che cosa vorrebbe dire. Uno dei più grandi problemi di Obama è che quasi tre anni dopo la sua elezione non si capisce cos’è la sua politica economica. Non è esattamente una politica keynesiana che usa le spese governative e programmi governativi per stimolare l’economia e rilanciare il Paese. Il suo piano di stimolo era considerato troppo piccolo per aver la forza d’urto per scuotere l’economia in una nuova fase di espansione. Ereditando un’economia distrutta dagli eccessi del mondo bancario avrebbe potuto fare della riforma finanziaria un cavallo di battaglia in chiave populista. Ha scelto invece un piano di riforma molto modesto per non spaventare o dispiacere Wall Street e, secondo molti banchieri ed economisti, non ha risolto i problemi strutturali della finanza. Avrebbe potuto proporre un piano ambizioso per riformare la sanità in modo da ridurre di molto i costi spaventosi del settore che rappresenta la vera minaccia al debito nazionale nel lungo termine. Ognuna di queste politiche avrebbe sicuramente incontrato molta resistenza ma sarebbero state delle scelte chiare. Invece Obama ha preferito una serie di mezze misure – alcune in contradizione tra di loro – un po’ di stimolo e po’ di tagli alle tasse, alcune regole per Wall Street ma non abbastanza per rappresentare una vera svolta. Diamo assicurazioni a quelli che non ce l’hanno ma non cambiamo il sistema di assicurazione privata che rende la sanità la più costosa e una delle meno efficienti del mondo. Poi, per accontentare i suoi nemici repubblicani nel Congresso, Obama ha proposto tagli molto radicali dei programmi sociali – andando in direzione opposta di un piano di stimolo. E quindi ora che la nostra economia è in caduta libera Obama non sa bene cosa proporre. Difficilmente può dire “proseguiamo per la nostra strada” perché non si capisce quale strada sarebbe. E questo rappresenta un vero, grande pericolo per la sua amministrazione e per il paese.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/08/22/la-strada-di-obama/?ref=HREC1-2
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« Risposta #28 inserito:: Settembre 04, 2011, 05:10:28 pm »

1
set
2011

L’utilizzatore finale di tutto.

Alexander STILLE

Tutti pagano, tranne il premier. Vanno a processo per reati gravi – per aver procurato donne a Silvio Berlusconi – i suoi amici Emilio Fede e Lele Mora. Ma (per ora) “l’utilizzatore finale,” come l’ha definito in modo elegante il suo avvocato-parlamentare Niccolò Ghedini parlando di un altro scandalo a sfondo sessuale, va a processo su un altro binario. Come se essere quello che ha creato il reato, che ha pagato tutti e che ha beneficiato del reato fosse il minore dei mali. Poi, dovesse andare male al processo, c’è sempre la prescrizione per gli incensurati.

Poi, c’è il caso Previti-Squillante. Vengono condannati il magistrato corrotto e l’avvocato che l’ha pagato. Ma per conto di chi ha pagato? Ma l’utilizzatore finale scappa a piede libero e si presenta in giro come vittima di ingiustizia e salvatore della patria.

Ora, ci siamo di nuovo. Giampaolo Tarantini, l’imprenditore barese che ha sistematicamente creato un giro di escort per il premier (vergini da portare al drago, nelle parole dell’ex-moglie di Berlusconi) è stato arrestato insieme alla moglie. Tarantini, secondo i magistrati, avrebbe ricevuto 500 mila euro in cambio del suo silenzio, più le spese legali, più qualche contratto e appalto. Berlusconi non nega il fatto centrale del processo, il pagamento dei 500 mila euro.

“Ho aiutato una persona (Tarantini ndr) e una famiglia con bambini che si è trovata e si trova in gravissime difficoltà economiche”, ha detto il premier. “Non ho fatto nulla di illecito, mi sono limitato ad assistere un uomo disperato non chiedendo nulla in cambio. Sono fatto così e nulla muterà il mio modo di essere”. Strano, ci sono milioni di famiglie italiane con bambini e problemi economici. Perché aiutare proprio questa? Evidentemente, i magistrati si sono posti la stessa domanda e hanno concluso che Tarantini è stato pagato perché non parlasse o mentisse. Perché Berlusconi sarebbe vittima di questo reato di estorsione? Non è reato comprare dei testimoni? (Vedi il caso Mills.) Perché l’utilizzatore (cioè il beneficiario) è sempre immune.

Diciamo la verità: Berlusconi ha corrotto e sporcato tutto quello che ha toccato: dall’imprenditoria, al calcio, alla politica e alla vita personale, piena di amici pagati. Che schifo.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/09/01/lutilizzatore-finale-di-tutto/
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 13, 2011, 10:50:29 am »

11
set
2011

Bush ha rovinato l’undici settembre.

Alexander STILLE


Sono rimasto fuori New York il giorno dell’anniversario dell’undici Settembre, non per una scelta deliberata ma per una forma di indifferenza: l’anniversario mi dice molto poco, le varie forme di commemorazione mi mettono a disagio.

Per me, George W. Bush ha rovinato l’undici Settembre, trasformando una tragedia autentica e un momento molto sentito nella città di New York in una forma di speculazione politica. Ha strumentalizzato la tragedia per giustificare le sue due guerre, in particolare quella in Iraq che è stata molto più difficile da motivare. Politici repubblicani che odiano New York e la prendono spesso come bersaglio – la Sodoma e Gamorra dei conservatori religiosi, città cosmopolita e tollerante – si sono affrettati per farsi fotografare davanti alle rovine delle Torri Gemelle o della Statua della Libertà per cavalcare la reazione popolare agli attacchi terroristici e guadagnare qualche vantaggio politico. Bush ha difeso le sue scelte disastrose e cercato di bloccare ogni critica. Ha creato una forma di maccartismo moderno: o con noi o coi terroristi. I vari allarmi rossi, gialli ed arancioni sono stati usati in questi anni ogni volta che calava il consenso verso la sua amministrazione. E come con una bacchetta magica, il presidente riprendeva quota. E ha vinto un secondo mandato nonostante un’economia debole e due guerre disastrose.

E’ stato smarrito il vero undici settembre – il momento della tragedia e le settimane successive, un grande momento di vita civica. La città – a differenza di certi politici – ha reagito con grande dignità e sobrietà. I cittadini si sono prodigati per esprimere gratitudine nei confronti dei pompieri, degli agenti, tutti quelli che hanno rischiato la vita per aiutare le vittime e profondo lutto per quelli che hanno perso la vita. L’estrema vulnerabilità che abbiamo tutti sentito ha creato una profonda volontà di gentilezza, di trattare gli estranei con delicatezza e tenerezza, come fratelli in mezzo ad una tragedia familiare. Non si sentiva quasi mai voglia di vendetta e di sangue altrui – sentimenti che si sono nutriti di più tra quelli che vivevano lontano dalla tragedia. È stato un momento di grande civiltà nei confronti di un atto di barbarie – una risposta molto giusta ed efficace. Peccato che il vero undici settembre sia stato catturato e sostituito con quello fasullo, quello delle commemorazioni ufficiali e delle strumentalizzazioni.

da - http://stille.blogautore.repubblica.it/2011/09/11/bush-ha-rovinato-lundici-settembre/
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