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« inserito:: Giugno 10, 2007, 10:46:23 pm » |
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La grande partita a scacchi dell’energia
Pietro Greco
La produzione di petrolio sta per raggiungere il suo picco massimo. C’è chi dice che lo farà nel 2008, chi nel 2030. Alcuni sostengono che la massima capacità estrattiva dell’oro nero in realtà è già alle nostre spalle. Sta di fatto che la fonte strategica dell’attuale sistema energetico inizia sia pure lentamente a essiccarsi.
I cambiamenti del clima accelerati dall’uomo sono sempre più evidenti. Gli scienziati dicono che se non riduciamo le emissioni di gas serra, alla fine di questo secolo la temperatura media del pianeta potrebbe essere fino a 4 gradi superiore a quella attuale. Se vogliamo evitare danni enormi, dobbiamo diminuire drasticamente le emissioni di anidride carbonica e, quindi, modificare radicalmente l’attuale sistema energetico fondato sui combustibili fossili.
Il mondo sta assistendo, da due o tre lustri, alla crescita imponente dell’economia della grande regione dell’Asia orientale dove risiede la metà della popolazione del pianeta. Una crescita formidabile dell’economia che si accompagna a una crescita formidabile della domanda energetica: l’offerta stenta a tenere il passo. Costretta da queste tre consapevolezze - il declino del petrolio, la richiesta pressante di sostenibilità dello sviluppo, un’economia globale multipolare - è iniziata la grande partita dell’energia. Una partita a scacchi estremamente complessa. In cui i giocatori non sono due, ma un’intera costellazione. E il cui esito è ancora incerto, come dimostrano le conclusioni del recente G8.
Sappiamo come dovrebbe essere, a grana grossa, il futuro energetico del mondo. Ma non sappiamo ancora come sarà.
Un giocatore importante, che ha deciso di giocare una partita abbastanza lineare e senza apparenti infingimenti è l’Unione Europea. Il suo programma è preciso, nei tempi e nei modi. L’Unione ha stabilito, infatti, che entro il 2020 almeno il 20% dei suoi consumi energetici dovranno provenire da fonti rinnovabili. Che entro lo stesso anno i tagli alle emissioni di gas serra dovranno essere di almeno il 20%, anche in mancanza di accordi internazionali. Che entro il 2050 i tagli delle emissioni dovranno essere di almeno il 50%. Certo, alcuni margini di ambiguità o di frizioni ci sono anche nell’Unione. La storia dimostra che nel Vecchio Continente la politica degli annunci non sempre evolve in politica dei fatti. Ma è indubbio che l’Unione (a opera soprattutto del blocco dei suoi cinque paesi maggiori) sta programmando il “phase out”, la fuoriuscita, dal petrolio e la costruzione di un sistema energetico “carbon free”, senza carbonio e, quindi, con una forte riduzione dei consumi di combustibili fossili. Questa scelta è dettata non solo dalla consapevolezza ecologica, ma anche da una scommessa economica. La speranza che il combinato disposto delle tecnologie del risparmio (secondo l’International Energy Agency queste tecnologie potrebbero limare di una quantità compresa tra il 17 e il 33% la domanda globale di energia entro il 2050) e delle tecnologie per le fonti rinnovabili, di cui l’Europa mira a diventare leader, la ripaghi in termini di competitività. Difficile dire se questa sarà una scelta vincente. Ma è una scelta lineare. Che non ha alternative. E che dovrà essere portata avanti con sempre maggiore determinazione.
L’altro grande giocatore sono gli Stati Uniti d’America, che, con l’Amministrazione Bush, giocano una partita affatto diversa. Che in primo luogo tende ad acquisire una posizione di controllo strategico, anche mediante l’opzione militare, delle grandi vie dell’ “oro nero”, nella speranza di poter gestire da “king maker” la delicata fase del dopo petrolio in un mondo instabile e con una domanda crescente di energia. Gli Usa rifiutano ogni politica di riduzione delle emissioni decisa con accordi multilaterali e fondata su accordi vincolanti. Vogliono le mani libere. Per essere al centro - vedi l’alleanza col Brasile sulle biomasse e con l’India sul nucleare - di ogni rete mondiale futura dell’energia, così come lo sono stati della rete fondata sul petrolio. I limiti della partita americana sono almeno due: crea instabilità politica e non fornisce garanzie sulla sostenibilità ambientale.
Anche la Russia è un giocatore importante con una strategia divergente. Le sue mosse sembrano spesso contraddittorie - ha aderito al Protocollo di Kyoto ma si è dimostrata scettica sul dopo Kyoto - e dettate da motivi contingenti. Ma in realtà Mosca ha una strategia di lungo periodo: fare dell’energia - dal petrolio al gas ai diritti di emissione di gas serra - l’arma strategica non solo per fare cassa, ma per riconquistare lo status di superpotenza mondiale. Il limite della politica russa è che trae molto più vantaggio dall’attuale sistema energetico piuttosto che da un nuovo sistema fondato su alta tecnologia e fonti rinnovabili diffuse.
Un giocatore nuovo, ma ormai di grande forza è Cindia con la costellazione di stati a economia emergente che insistono nel Sud-Est asiatico. Cina, India e gli altri stanno realizzando una crescita economica che ha pochi precedenti nella storia. Sono ancora lontani dallo standard dei consumi occidentali. Ma intenzionati a raggiungerli. Sono consapevoli di essere più esposti di altri sia ai rischi di un mondo povero di petrolio sia a un mondo con un’elevata temperatura media. Vogliono minimizzare questi rischi, ma non rinunciare alla crescita. Puntano, per questo, su ogni tipo di fonte disponibile. È il caso, per esempio, della Cina: rincorre le fonti di petrolio ovunque nel mondo, costruisce grandi dighe (come quella delle Tre Gole), è disponibile a importare persino carbone (l’unica materia prima di cui dispone), costruirà nei prossimi 15 anni 32 nuove centrali nucleari, porterà come l’Europa al 20% la quota delle energie rinnovabili entro il 2020, punterà sul risparmio energetico. Quella della Cina e più in generale dei Paesi emergenti è una politica energetica tanto pragmatica quanto diversificata. Ha una forza imponente, con cui tutti devono fare i conti. Ma ha un limite: è (sembra) del tutto subordinata alla necessità di non ritardare in ogni caso la crescita. Con questo approccio i paesi a economia emergente possono essere di volta in volta alleati e avversi di tutti gli altri giocatori.
C’è infine un quinto grande nella partita a scacchi dell’energia. Non è l’Opec. Non è l’insieme dei Paesi produttori di petrolio che - pur potendo sferrare ancora portentosi colpi di coda - vedono sempre più erodersi il loro ruolo globale. Il quinto grande giocatore è l’opinione pubblica. I cittadini del mondo più avvertiti. Con i loro comportamenti sempre più ecologicamente responsabili, con le loro battaglie per la sostenibilità giocano la partita a nome dell’umanità. Certo, si muovono sulla scacchiera in maniera prevedibile, a piccoli passi, come pedoni. E, infatti, le grandi politiche energetiche sembrano tagliarli fuori dalle scelte che contano. Ma l’opinione pubblica col suo calmo incedere ha la forza di condizionare dall’interno le mosse di ciascun altro giocatore. E non solo in Occidente. Se non vuole perdere la partita e se vuole costruire un futuro energetico sostenibile per tutti, l’opinione pubblica non deve perdere né la pazienza né la determinazione. Non deve smarrire la convinzione che, nonostante tutto, è l’unica altra superpotenza al mondo.
Pubblicato il: 09.06.07 Modificato il: 10.06.07 alle ore 14.14 © l'Unità.
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