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Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 55639 volte)
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« inserito:: Giugno 10, 2007, 10:44:21 pm »

La tenuta di Prodi non dipende dai ballottaggi

Bruno Miserendino


Povero Lamberto Dini. Ha dovuto rismentire, per l’ennesima volta in pochi mesi, di essere il candidato di Silvio Berlusconi per un governo preelettorale del dopo-Prodi. «Fantasie - ha affermato - non ho intrattenuto e non intrattengo conversazioni con esponenti dell’opposizione». A questo punto non si capisce se c’è un accanimento dei media, in disperata ricerca di scenari alternativi al Professore, oppure se c’è un gran lavorio dei partiti e di forze ben individuate per far fuori Prodi, che però come al solito non approda a nulla. Può darsi persino che le due cose si alimentino a vicenda. La sostanza è che l’alternativa a Prodi al momento non c’è e, paradossalmente, è sempre più difficile trovarla.

Persino se i ballottaggi segnassero un nuovo arretramento dell’Unione, ad esempio con la sconfitta alla provincia di Genova, i partiti del centrosinistra non avrebbero altra realistica strada che serrare i ranghi per evitare un suicidio collettivo. Il dopo Prodi è infatti un baratro che inghiottirebbe sia la sinistra radicale che la sinistra riformista. Di questo si vanno convincendo anche quanti nella maggioranza si apprestano a tirare la corda da una parte e dall’altra. Chi al centro sogna o evoca a mo’ di minaccia nuovi scenari, non trova sponde convinte a destra, perchè lì ogni abitante ha una sua idea. Berlusconi vuole votare subito, con Dini premier, la Lega aspetta di vedere se può incassare qualcosa su legge elettorale e federalismo, Casini vuole un governo istituzionale che duri due anni e impedisca al Cavaliere di tornare in sella. Fini non lo dice apertamente ma la pensa come Casini. Questo spiega perchè le cene a cui si concedono diversi protagonisti politici politicamente non producano nient’altro che spunti gustosi per i giornali. Tra l’altro bisognerebbe capire cosa ne pensa Napolitano, perchè i governi a tempo non sono mai esistiti. Lo stesso Mastella, dopo le minacce dei giorni scorsi, legate soprattutto al problema della riforma elettorale, sembra essersi reso conto delle difficoltà di un eventuale dopo-Prodi. Piuttosto, dicono i suoi, stiamo attenti a quel che combina Pezzotta col suo prepartito cattolico.

Ma anche la sinistra radicale è nei guai. La tentazione di irrigidirsi su alcuni temi, in primis le pensioni, c’è. Per non parlare della politica estera, dove la sinistra radicale è in grande difficoltà e capisce che non riesce più a mediare tra governo e movimenti. Il feeling tra Bertinotti e Prodi è scomparso da tempo e i rapporti tra i due si sono ulteriormente freddati da quando il presidente della Camera ha voluto drammatizzare le conseguenze politiche del caso Visco. La tentazione di fare una nuova versione del ‘98, quando Rifondazione comunista lasciò Prodi al suo destino, sta crescendo. Magari stavolta, pensa qualcuno, si potrebbe garantire un sostegno esterno, consentendo un appoggio contemporaneo dell’Udc. Ma è uno scenario fantasma: Casini non vuole Prodi e la sinistra radicale dovrebbe spiegare agli elettori che ha sì ripreso la sua libertà, ma permettendo uno spostamento al centro della coalizione. La certificazione di una sconfitta. Indicativa la giornata di ieri per la sinistra radicale. I partiti, responsabilmente, hanno organizzato un presidio a piazza del Popolo che permettesse di criticare la politica di Bush senza però danneggiare più di tanto il governo Prodi. Il problema è che la manifestazione più partecipata è stata un’altra, quella dei movimenti, e questo non può che creare problemi in prospettiva. Il paradosso è che nonostante le divisioni e le ambiguità, dal punto di vista dell’immagine la giornata di ieri, fino a che non ci sono stati gli scontri, è andata benissimo per il governo. Si è dimostrato che tutti gli attacchi della Destra contro la politica estera dell’esecutivo sono pretestuosi, perchè gli Stati Uniti hanno confermato la solidità del rapporto di amicizia e di alleanza con Roma. Gli incidenti, naturalmente, hanno dato fiato alla Destra.

Comunque vadano le cose ai ballottaggi, Prodi sa che deve fare uno sforzo in più: per respingere l’assalto che ben individuati gruppi di potere, più o meno forti, gli stanno tendendo da mesi deve bloccare la deriva delle bandierine, ossia la spirale delle ritorsioni e dei ricatti all’interno dell’Unione. Dovrebbe, forse, frenare Di Pietro e la sua ansia di visibilità giustizialista e dovrebbe anche riuscire a far crescere la solidarietà intorno ai Ds, al centro dell’attacco delle stesse forze che insidiano lui. Il mese di giugno, da questo punto di vista, sarà decisivo. Galleggiare non serve. Se la maggioranza trova un buon accordo generale su due tre punti qualificanti del programma e si ridà la spinta, anche gli scenari alternativi andranno al mare.

Pubblicato il: 10.06.07
Modificato il: 10.06.07 alle ore 14.15   
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 11, 2007, 03:22:09 pm »

Gennaro Migliore: «Il punto non è Bush. Ma le politiche sociali»

Enrico Fierro


La gioia per la promozione del «suo» Napoli in serie A. La delusione per le lacerazioni e i toni aspri di una discussione che si preannuncia infinita sul dopo corteo di sabato. Anti-Bush, ma anche - e a tratti soprattutto - anti-Prodi e anti-Bertinotti. La domenica di Gennaro Migliore, classe 1968 e capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista, è carica di sentimenti contrastanti. A noi tocca rovinare la festa calcistica.

Onorevole, Marco Ferrando dice che per voi è venuto il momento di smarcarvi da Prodi.
«Rispetto tutti, ma mi manca la fantasia per pensare a Ferrando come leader di qualcosa in grado di dare lezioni. Preferisco ascoltare il mondo che ha partecipato a quel corteo pacifista».

Già ma il corteo di sabato è riuscito, il sit-in della sinistra di lotta e di governo no.
«Ho ben presente i pensieri e le tensioni di quanti sabato hanno sfilato per le strade di Roma per manifestare contro Bush e per chiedere politiche di pace. C’erano anche molti iscritti al mio partito con le bandiere di Rifondazione. Noi avevamo proposto una iniziativa unitaria che non è stata accettata. Evidentemente c’era chi voleva fare un uso politico, politicista, di quelle pulsioni e del corteo. Diciamo la verità, hanno aspettato Bush per fare una manifestazione contro Rifondazione. Detto questo, non mi nascondo le nostre responsabilità. Avremmo dovuto impegnarci di più per una iniziativa più grande e unitaria. Ma un dato è certo: lavoreremo per l’unità con i movimenti, ascolteremo di più le mille voci che vengono da quel mondo».

E’ impressione diffusa che stare al governo non vi faccia bene. State pagando un prezzo troppo alto a Prodi. Il voto delle amministrative sta lì a dimostrarlo.
«Perdiamo, ma non per la politica estera. Il vero campanello d’allarme è sulle politiche sociali. È qui che bisogna aprire una fase nuova e correggere a sinistra l’asse della politica economica del governo».

Giusto, ma come la mette con il ministro Padoa Schioppa?
«Diciamo che la mettiamo e la metteremo. Perché quando il ministro afferma che il sindacato o si rinnova o si estingue, e lascio ai lettori immaginare cosa intenda per rinnovamento, candida il governo alla disfatta. Nella prossima riunione sul Dpef chiederemo che si facciano scelte tutte orientate a politiche di redistribuzione sociale. Ci sono le risorse e sono il frutto di una finanziaria pesante che abbiamo sostenuto. Ora, per favore, non dividiamoci su come investirle in un piano di vero risarcimento sociale».

E Confindustria? E Montezemolo?
«Ma cosa vogliono ancora? Hanno avuto cinque miliardi di euro con il cuneo fiscale, ora tocca a chi ha di meno. Ora il governo deve ascoltare gli operai Fiat da Pomigliano a Mirafiori, i lavoratori con i salari e le pensioni più basse, i giovani disoccupati, la gente strozzata da affitti altissimi e quelle fette di ceto medio che rischiano di scivolare agli ultimi posti della scala sociale. Questa è la vera svolta che la nostra gente si aspetta. Vede, la cosa che mi allarma è che le parole del ministro del Tesoro hanno sempre, se posso dire così, un segno di classe. Non parlano mai alla base, alla gente che pure ha votato per questo governo consentendogli di fare il ministro».

Lo scrittore Marco Revelli disegna scenari inquietanti per la sinistra, dice che ormai avete rotto tutti i ponti con i movimenti, che dietro l’angolo c’è il riflusso degli anni Ottanta, che la situazione è irreversibile.
«Sono solo in parte d’accordo con Revelli. Certo, quando c’è una esasperazione delle posizioni politiche il rischio di passivizzazione dei militanti e dell’elettorato è dietro l’angolo. Ma la situazione non è irreversibile. Da subito inizieremo un confronto con i movimenti, stiamo avviandoci verso un importante momento di confronto anche tra le forze della sinistra che non si riconoscono nel partito democratico, ma il rischio che vedo è un altro, ben più grave. Quando la disaffezione alla politica riguarda ampi ceti popolari, alle porte non c’è il riflusso, ma il sostegno a politiche reazionarie. Per dirla tutta: il rischio è che i nostri elettori votino per Berlusconi. Se permette, mi preoccupo più di questo che di Ferrando e Cannavò».

Pubblicato il: 11.06.07
Modificato il: 11.06.07 alle ore 8.43   
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 27, 2007, 09:52:57 pm »

Pranzo di lavoro con gli esponenti dell'ala dissidente.

Pecoraro: "Occorrono modifiche, più attenzione a giovani e precariato"

Welfare, i ministri della sinistra a Palazzo Chigi con Prodi

Prodi: "E' andata bene". Damiano: "Utile, non ci sono problemi"

Letta: "Venerdì prossimo la relazione di Damiano sul protocollo"
 

ROMA - Il Parlamento è sovrano ma noi chiediamo al presidente del Consiglio "maggiore attenzione" su alcuni temi contenuti nel protocollo sul welfare, a partire dal costo del lavoro. Così Alfonso Pecoraro Scanio ha inquadrato l'incontro di questo pomeriggio, a Palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio Romano Prodi ed i quattro ministri della sinistra dissidenti sul Protocollo per lo sviluppo. Incontro che è stato chiesto con urgenza da Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), Fabio Mussi (Sd), Paolo Ferrero (Prc) e Bianchi (Pdci) questa mattina e che Prodi ha accettato subito, organizzando a Palazzo Chigi un pranzo di lavoro cui hanno partecipato anche il ministro del Lavoro Cesare Damiano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta.

"Modifiche, c'è ancora troppa legge Biagi". "Nell'incontro - ha detto Pecoraro - abbiamo chiesto che ci sia maggiore attenzione al settore del precariato e che la competitività non sia solo costo del lavoro, ma anche innovazione e di pensare molto ai giovani".

"Abbiamo detto con chiarezza - ha proseguito ancora - come Verdi che mentre sulle pensioni c'erano elementi di compromesso avanzato sul precariato c'è ancora troppo della legge Biagi, bisogna dare dei segnali seri che davvero si va verso tempo indeterminato". Lo stesso vale per la competitività e l'innovazione temi sui quali "serve una scossa".

"Ci aspettiamo che si apra una discussione - ha commentato il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferrero - e che in futuro ci sia un coinvolgimento reale. E nel merito che ci sia la disponibilità a dialogare su modifiche all'accordo". E su questo punto, ha aggiunto, "non ci è stato detto un no".

Della stessa opinione anche Fabio Mussi, secondo il quale in fase parlamentare si potranno introdurre delle modifiche al testo. Il ministro dell'Università e Ricerca apprezza l'apertura al dialogo del presidente del Consiglio e dice: "quella che viene rappresentata come sinistra è una parte importante della coalizione che sostiene il governo, che è fedele al centrosinistra e che ovviamente deve poter dire la sua sulle decisioni che di volta in volta verranno assunte".

Nessuna polemica da Palazzo Chigi: "L'incontro? Bene, bene" risponde Prodi ai giornalisti al termine del pranzo. "Molto utile e non ci sono problemi specifici", gli fa eco il ministro del Lavoro Damiano.

La lettera di Prodi? Non soddisfacente. Ma a Ferrero la lettera che Prodi ha inviato al segretario della Cgil Guglielmo Epifani invitandolo a firmare per intero il protocollo sul welfare e a riprendere la concertazione non è piaciuta. "Il punto politico - ha detto questa mattina - è che c'è il dissenso della Cgil su una parte di quell'accordo. E inoltre c'è un terzo della maggioranza che sostiene che quell'accordo va modificato. In autunno si dovrà arrivare ad un'intesa in Parlamento", sostiene il ministro per la solidarietà sociale.

"La nostra richiesta - ha proseguito Ferrero - non mi sembra esagerata. Anzi, è il minimo. Di pensioni abbiamo discusso ampiamente e non vedo perché non dovremmo discutere di welfare e mercato del lavoro. Il Cdm deve discuterne, questa è una questione di metodo. Si apre dunque una discussione - ha concluso Ferrero - ed io chiedo che in Parlamento si modifichi quell'accordo".

Anche alla Cgil la lettera non ha fatto l'effetto sperato: ambienti vicini alla segreteria generale di Corso Italia fanno sapere che viene giudicata "non soddisfacente", mentre, dal canto suo, Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, la ritiene "molto appropriata e soddisfacente" e ha aggiunto di condividerne i contenuti.

Intanto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta ha fatto sapere che la prossima settimana il ministro Damiano relazionerà al Consiglio dei Ministri sullo stato delle firme del protocollo sul welfare. La relazione si terrà venerdì 3 agosto. "Il consiglio dei ministri di oggi - ha detto ancora Letta - non ha affrontato l'argomento".

(27 luglio 2007)
 
da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 28, 2007, 04:29:23 pm »

Cesare Salvi: Il pacchetto Damiano così non lo voto

Roberto Rossi


«Se il pacchetto Damiano dovesse trasformarsi in legge così com’è io non lo voto. Fiducia o non fiducia». E con il senatore Cesare Salvi, ex ministro del Lavoro, tutta la sinistra della maggioranza.

Eppure il ministro del Lavoro Damiano l’ha dichiarato “chiuso”?
«Ha fatto un errore. Ha diviso il sindacato e isolato la Cgil. Non solo non c’è niente di inemendabile ma se non lo si fa si finisce male. Sulle pensioni siamo stati responsabili. Lì c’era un problema di soldi. Qui no».

L’incontro tra Prodi con i ministri di sinistra non è l’inizio di un dialogo?
«Sì, ma vorrei essere molto chiaro: non si pensi che portando il pacchetto welfare in Finanziaria e mettendo la fiducia noi lo voteremo».

A quali modifiche state pensando?
«Sulla questione del lavoro abbiano indicato una soluzione che riprende quella del programma elettorale. Noi avevamo detto di superare alcuni aspetti della Legge 30 e di introdurre il divieto di reiterazione del lavoro temporaneo. In questo protocollo c’è l’esatto contrario. Non a caso il maggior entusiasmo Confindustria l’ha mostrato proprio su questo punto. Nel pacchetto si elimina solo il job on call, mentre resta particolarmente grave la disciplina del tempo determinato».

Perché la considera grave?
«L’Europa ha una direttiva nella quale c’è il divieto di reiterazione del contratto a termine. Damiano non l’ha recepita. Punto primo: considera solo il tempo determinato mentre nel lavoro temporaneo c’è anche il lavoro interinale. Punto secondo: prevede la possibilità di reiterare il contratto a tempo determinato per un arco di 36 mesi. Punto terzo: successivamente prevede anche una nuova reiterazione con il solo elemento burocratico di un timbro dell’ispettore del lavoro. Secondo lei che cosa sceglie un giovane tra la prospettiva di perdere un contratto, anche se a tempo determinato, e andarsene a casa, e la possibilità di andare a mettere un timbro?

Quale altro punto del protocollo non vi è piaciuto?
«La decontribuzione salariale è sbagliata fatta in quel modo. Oltre tutto è una misura che costa. Fare una legge di tipo europeo non si spende nulla, questa misura Damiano invece costa».

Quanto secondo lei?
«Non quanto il cuneo fiscale, ma comunque cifre rilevanti. Tutte a vantaggio delle imprese. I custodi del rigore non hanno nulla da dire?».

Voi avete sempre puntato ad abbattere i costi della politica. A che punto siamo?
«Noi abbiamo ottenuto che nel Dpef fossero inserite misure di risparmio da recepire in Finanziaria. Tra queste un ritorno alla legge Bassanini con una riduzione dei ministri. Servirebbe un governo con la struttura di quello francese (15, ndr). Adottando questa misura risparmieremmo fino a 150 milioni».

In Italia i ministri sono 25. Chi dovrebbe abbandonare?
«Noi di Sinistra democratica siamo disposti anche a fare un passo indietro. Faccio notare però che il futuro Partito democratico su 25 ne ha 18».

Pubblicato il: 28.07.07
Modificato il: 28.07.07 alle ore 11.58   
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« Risposta #4 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:02:17 am »

L'intervista sul Welfare Dini: «Giordano decida, prendere o lasciare»

L'ex premier: «La sinistra radicale ha ottenuto tanto e dovrebbe essere contenta. D'ora in avanti non potrà ottenere di più» 
 

ROMA — «Sono decisamente stupito dall'intervista di Franco Giordano: nel negoziato di questi mesi la sinistra radicale ha ottenuto l'accordo per l'aumento delle pensioni minime che interessano tre milioni di pensionati, gli ammortizzatori sociali, le misure per i giovani e per i precari come il ricongiungimento dei contributi, la gradualità dell'innalzamento dell'età pensionabile. Io credo che dovrebbero essere contenti. Anche perché d'ora in avanti non potranno ottenere di più».
E invece Giordano annuncia che va in piazza contro il governo dell'Unione.
«Guardi, sta alzando il tiro, vuole aumentare il prezzo per il suo consenso su queste misure». Lamberto Dini, ex premier ed ex ministro degli Esteri, oggi impegnato a costruire il gruppo liberaldemocratico dentro il futuro Partito democratico, non crede allo show down di Rifondazione, ma non si nasconde che sarà «un autunno caldo» per il governo.
Secondo lei alla fine la sinistra radicale voterà le misure sulle pensioni?
«Il presidente del consiglio ha detto "prendere o lasciare" e il futuro segretario del Pd Walter Veltroni ha annunciato che sono inaccettabili modifiche al ribasso».
Non crede che ci sarà un nuovo '98, con Rifondazione che stacca la spina?
«Nella sinistra ci sono forti spinte dalla base e dunque la leadership di quella forza dovrà decidere cosa fare per seguire i militanti. Ma penso che Rifondazione abbia ottenuto tanto dal governo. Noi, Giordano, lo aspettiamo al varco».
Senatore, lo sta sfidando?
«Questa sua durezza, oltre a sottendere la solita visione massimalista che punta a proteggere gli interessi di alcune categorie senza farsi carico dell'insieme, nasconde la preoccupazione per la nascita del partito democratico».
Perché?
«Perché si rende conto che il Partito democratico attrae forze al centro e tira esattamente in direzione opposta a quella che Giordano e il suo partito spererebbero. Sono vecchi, sono partiti del secolo scorso, non una forza riformista e progressista come noi. Capiscono che anche nel governo ci sono meno spazi per le istanze conservatrici. Del resto, sbaglio o è la prima volta che Prodi resiste alle richieste della sinistra estrema? È anche questo l'effetto del Partito democratico, un vero partito riformista».
Le misure forse non cambieranno, ma Rifondazione punta i piedi per mettere qualche paletto in vista della Finanziaria?
«Per dare il via libera alle misure nel pacchetto pensioni e welfare, il resto della coalizione ha pagato un prezzo. L'aumento della spesa pubblica in Italia turba chi guarda di più all'interesse generale. Non è più accettabile che si pensi solo alla spesa sociale senza occuparsi della produzione della ricchezza, che poi dovrà essere divisa».
Insomma, in Finanziaria non ci saranno altre misure di spesa sociale?
«Nella Finanziaria ci saranno le spese per l'accordo sulle pensioni e per le altre misure per il welfare. Non credo che ci siano altri spazi, del resto il governo si è impegnato a settembre a includere nella nota di aggiornamento del Dpef la scaletta di riduzione della spesa corrente per arrivare all'azzeramento del disavanzo nel 2011».
Aumenterete di nuovo le tasse?
«Non so, forse si rinvieranno le spese non urgenti, cioè le infrastrutture, a cominciare dalle ferrovie».
Lei senatore Dini non voterebbe nessun emendamento all'accordo sulle pensioni?
«Se presentassero una misura per trovare fondi per ridurre di più lo scalone, io proporrei l'eliminazione dell'aumento dei contributi per gli autonomi e per i parasubordinati da finanziare con un aumento dell'età pensionabile delle donne».
Metterebbe in crisi il governo?
«Non capisco come non ci si renda conto che c'è un rischio di una sempre maggiore dislocazione delle aziende nell'Est europeo che porterebbe a un declino anche più rapido del nostro Paese. È proprio per questo che noi liberaldemocratici nel Partito democratico presenteremo un manifesto».
Un documento contro il declino?
«Sarà un contributo a favore della candidatura di Walter Veltroni che credo sia la persona che meglio delle altre possa proporre e realizzare politiche che, partendo dalle riforme istituzionali per garantire la governabilità, puntino a superare il declino del nostro Paese».
Con alleanze di «nuovo conio » per il Pd? «Condivido in tutto l'intervista di Francesco Rutelli. Io penso che vista la perdita di consensi dell'Unione se vogliamo recuperare dobbiamo cambiare direzione e dunque cambiare politiche. Per le alleanze si vedrà».

Gianna Fregonara
01 agosto 2007
 
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« Risposta #5 inserito:: Agosto 02, 2007, 12:03:35 am »

1/8/2007 (7:45) - INTERVISTA

"Mai più con i comunisti"
 
Antonio Di Pietro: la mia collaborazione con il centro-sinistra finirà con questa legislatura

FABIO MARTINI


ROMA
Scusi Di Pietro, lei che è l’apostolo della legalità come può immaginare che alle Primarie del Pd possa correre, magari vincere, il leader di un altro partito? Non saremmo alla burletta?
«Risponda lei a questa domanda: Fassino e Rutelli, oggi, sono ancora segretari dei loro partiti? Sì? Bene, ciò significa che né loro né noi ci siamo ancora sciolti. Seconda domanda: se questi due si fossero candidati alla segreteria del Pd, venivano respinti o sarebbero stati ammessi?».

Di Pietro, ma lei lo saprà che già da qualche mese Ds e Margherita hanno fatto due congressi per decidere di chiuder bottega?
«Certo che lo so. Ma lei lo sa che Ds e Margherita si sono solennemente impegnati a sciogliersi, ma soltanto all’atto della costituzione del nuovo partito? Dunque chiuderanno bottega non prima il 14 ottobre ma dopo. E’ chiaro? Anche noi avremmo fatto così, se ce lo avessero consentito».

Certo, se avessero avuto a cuore la sua partecipazione, avrebbero preso tempo, ma è pur vero che due formali congressi sono diversi dalla sua procedura: lei si è «svegliato» poche ore prima della presentazione delle firme, raccolte segretamente...
«Conta la sostanza. Entro il 30 luglio bisognava presentare la domanda. L’ho fatto e mi sono impegnato nella mia dichiarazione di intenti a celebrare il nostro congresso di scioglimento. Lo avremmo fatto, se ci avessero ammesso. E’ ovvio che non si può essere segretari di due partiti».

Seguendo il suo ragionamento, paradossalmente anche Silvio Berlusconi avrebbe potuto gareggiare?
«Paradossalmente, avrebbe dovuto fare una dichiarazione di intenti nella quale si riconosceva nei principi del Pd. Ma senta, andiamo alla sostanza: io faccio parte dell’Unione, io faccio parte del governo, alcuni candidati dell’Italia dei Valori sono stati candidati con l’Ulivo e dunque c’è già stata una simbiosi. E ancora: abbiamo raccolto le firme per il referendum che porterebbe al nostro scioglimento. Che dovevo fare di più?»

Lei potrebbe aver pensato: se mi accettano, posso arrivare secondo dietro a Veltroni; se mi rifiutano, faccio la vittima...
«C’è una terza ipotesi, che è la verità: l’Italia dei Valori e Antonio Di Pietro vogliono avere un futuro, che non può più essere quello di un piccolo partito. Loro non mi hanno voluto. Anche per ragioni inconfessabili».

Le confessi lei
«Hanno dato fastidio le mie posizioni sulle intercettazioni, le durissime battaglie durissime sugli sprechi della politica. Sulla legge per il finanziamento pubblico ai partiti che contiene abusi immorali».

Dunque, non l’hanno voluta le nomenclature?
«Certo. Mi auguro che i i futuri leader del Pd rivedano la chiusura mentale degli attuali promotori, che stanno soffocando sul nascere un processo democratico per calcoli di bottega. Ma per noi l’avventura è finita, non rientreremo dalla finistra».

Walter Veltroni l’ha cercata?
«No».

Sa se temeva di veder dimagrita la sua percentuale dalla sua presenza?
«Lo chieda a lui...».

Prodi?
«L’ho chiamato preventivamente per informarlo della raccolta delle firme. E dopo il no, mi ha espresso il suo rammarico per l’esclusione».

Lei, a caldo ha minacciato rappresaglie. Le pare serio?
«Noi siamo persone serie e saremo leali col governo sino a fine legislatura. Poi punteremo a rompere gli opposti ideologismi e la gabbia destra-sinistra, dialogando con tutti».

Anche con Berlusconi?
«Antonio Di Pietro non andrà né con i Berlusconi né con i berluschini. Vogliamo mantenere lo schema bipolare e costruire una grande forza moderata, riformatrice, liberale».

Questo signfica mai più con i partiti comunisti?
«Certo. Con la sinistra radicale la collaborazione può durare sino a fine legislatura. Poi basta».

E’ questa la «morale» di tutta la storia?
«Anche questa. Ma già da tempo pensavo che sia difficile continuare a collaborare con chi pensa di ricostituire un partito comunista di stampo sovietico».

da lastampa.it
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 04, 2007, 10:16:25 pm »

Gennaro Migliore: «Vogliamo contare di più»

Maria Zegarelli


Le valigie sono pronte per le vacanze al mare con i figli. Una breve pausa dalla politica in vista di un rientro «caldissimo», dal patto sul welfare alla «Cosa rossa» in costruzione. Gennaro Migliore, capogruppo di Rc alla Camera, ha letto la lettera del premier ma resta sulle sue posizioni: giusta la manifestazione del 20 ottobre. Anzi, Rc, come partito, sarà in piazza.

Migliore, illustri esponenti della sinistra invitano in piazza il 20 ottobre. Ci andrà?

«È il lancio di un´iniziativa che si propone come una vera e propria piattaforma, anche nelle persone che la promuovono, che è molto legata ai sette punti elencati nell´appello. Ci sono esponenti storici della sinistra, i promotori del Pride, le femministe...».

Ma non tutti partiti della sinistra cosiddetta radicale. O no?

«Credo che ci saranno sicuramente adesioni collettive».

Rifondazione per esempio?

«Certo. Ci aspettano due mesi e mezzo di lavoro impegnativo nel quale deve crescere la mobilitazione che in un certo senso è anche una costituente. Parlo di un modo nuovo di venire ad un appuntamento della sinistra, e non di un solo partito, che cresce e che poi coinvolgerà anche i partiti».

Fabio Mussi osserva che l´etica della responsabilità non può significare far parte di un governo e fare appello al popolo perché manifesti contro. Osservazione ragionevole?

«Questa è una manifestazione nella quale chiederemo che pesi di più l´opinione di coloro i quali hanno costituito parte essenziale del popolo dell´Unione, l´unione materiale. Avendo una piattaforma articolata ci proponiamo di intervenire sulla costruzione dell´agenda politica, questo è assolutamente necessario. Non vedo dove sia il problema dell´etica della responsabilità. La nostra responsabilità è di tenere conto di coloro i quali rappresentiamo. Ne discuteremo con Mussi, ma penso che sia un appuntamento al quale nessun uomo e nessuna donna di sinistra si chiamerà fuori. Non è una manifestazione tra le altre, è l´appuntamento centrale dell´autunno».

La domanda è d´obbligo. Sarà una manifestazione «pro» o «contro»?

«Sicuramente è «pro» una politica rispettosa degli impegni del programma, ma è evidente che si collega anche ad alcuni elementi di insoddisfazione che sono stati fin qui generati: noi abbiamo una piattaforma in campo all´indomani di una forte delusione sul protocollo sul Welfare. È evidente che dobbiamo far sentire la voce affinché sia possibile cambiarlo in Parlamento».

Dietro questa iniziativa non c´è il timore di una perdita di visibilità in vista del Pd?

«È un'iniziativa che in forme diverse parla direttamente al nostro elettorato, così come fanno le primarie. Potrei girare le domanda: le primarie sono pro - o contro il governo? Molti dicono che gli elementi generati all´indomani delle primarie metteranno in difficoltà il governo».

Che cosa ha pensato leggendo la lettera di Prodi?

«La prima cosa che ho pensato quando ho letto quella lettera è stata: "Ma chi gli avrà detto dell´appello a scendere in piazza?"».

Anche lei come i direttori di Liberazione e Manifesto ha visto un collegamento tra le due cose?

«Diciamo che quello che è accaduto nel corso di queste settimane ha comportato la necessità di prendere delle decisioni da parte di Prodi, compresa quella di riaprire una interlocuzione con la stessa maggioranza. Ora si tratta di capire se questa interlocuzione porterà dei risultati: se non dovesse essere così, si ribadiranno e semmai peggioreranno le condizioni precedenti. In questa fase, sinceramente, mi sembra fuori luogo il richiamo a sostenere il governo. Noi lo abbiamo sempre sostenuto, semmai è una parte consistente di questo governo che ha scelto di non aprire una interlocuzione con la sinistra ».

Battaglia in parlamento?

«Senza dubbio, a partire dallo scalone. Ci vogliono risorse per abbatterlo davvero, si deve far saltare l´obbligo dei 5mila lavoratori usuranti l´anno, e poi sul welfare è necessaria una revisione generale. Il punto non è principalmente quello delle risorse, si tratta di affrontare la questione della precarietà in maniera seria. Ciò che manca è una revisione della filosofia della legge 30. Non basta l´eliminazione dello staff leasing che riguarda 200 lavoratori in tutta Italia. C´è bisogno di rimettere in discussione il contratto di collaborazione a progetto, di rivedere le causali oggettive per il lavoro a tempo determinato, i fondamenti stessi della precarietà».

Da quello che dice non sembra pensarla come il premier a proposito delle misure "popolari" adottate in questi 14 mesi...

«Che sia prevalente il segno popolare nelle misure adottate fin qui mi sembra un po´ azzardato, visto il calo di consensi del governo. Se non diamo risposte adeguate molte persone potrebbero sentirsi tradite».

Pubblicato il: 04.08.07
Modificato il: 04.08.07 alle ore 13.08   
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 02, 2007, 12:17:56 pm »

Ministri in piazza. D'Alema attacca, Bindi li difende


I ministri in piazza il 20 ottobre sono «una contraddizione insostenibile». Così il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, risponde in merito alla manifestazione, organizzata dalla sinistra dell'Unione, per la lotta alla precarietà. Insomma, «chi governa non fa i cortei contro il governo - afferma l'esponente dei Ds - ma governa». A Berlusconi: «Elezioni a primavera? Sembra il messaggio di una setta che predica un avvento che non arriva mai».
a manifestazione del 20 ottobre è «dissennata» e rischia davvero di mettere al tappeto governo e maggioranza, dichiara Gavino Angius di Sinistra democratica: «Sono contrario al corteo del 20 ottobre, contrario alla crisi di governo e alle elezioni anticipate. Dico tre no - conclude Angius - a favore dell'Italia e degli italiani». Il che viene detto dopo lo scontro, all'interno di Sinistra democratica, tra la linea del ministro dell'Università Fabio Mussi e cesare Salvi, il primo a favore solo di un'assemblea per protestare contro la precarietà mentre Salvi ha ripetuto: «Il 20 ottobre Sinistra democratica deve manifestare».

Atteso, intanto, è anche il nuovo intervento a riguardo del candidato alla segreteria del Partito democratico Walter Veltroni, che sabato sera sarà per la giornata clou della Festa di Sinistra democratica a Orvieto.

Il leader dell'Udeur, Clemente Mastella, che aveva detto: «Se i ministri scendono in piazza il 20 ottobre» per manifestare contro il protocollo sul Welfare «è crisi di governo» - non accetta che neppure i segretari di alcuni partiti della coalizione partecipino a quella dimostrazione. «È ancora peggio», secondo il ministro di Ceppaloni. "Toni" che il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero (Prc), giudica «eccessivi», precisando però di non aver ancora preso una decisione sulla sua personale presenza in piazza. E aggiunge che lui comunque in piazza contro il governo non c'è stato mai, al contrario di chi come Mastella ha partecipato al Family Day.


Per Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, le parole del segretario dell'Udeur «sono incoerenti e non credibili». Sulla stessa linea anche Titti Di Salvo di Sinistra Democratica: «Mastella era al Family Day - ricorda - quindi non capisco come possa arrogarsi il diritto di dare lezione agli altri ministri». «O ha un'intesa con Berlusconi o figuriamoci se lascia la poltrona», chiosa il numero due del Pdci Orazio Licandro.

Secca la replica di Mastella: «Se avessi accolto le proposte di Berlusconi, l'avrei fatto prima delle elezioni e loro sarebbero rimasti all'opposizione per altri 50 anni. Se fossero seri come me, governeremmo per cinque anni».

Mastella affonda in realtà il coltello in una ferita che a sinistra è aperta. Infatti, l'intervento di Mussi per trasformare in assemblea la manifestazione del 20 ottobre aveva già incrinato la tenuta precaria della "Cosa Rossa". La proposta del leader della Sinistra democratica non piace infatti ai suoi compagni di strada. Anzi, i primi malumori arrivano proprio dagli esponenti di Sd. Cesare Salvi invita Mussi a riflettere: il nostro movimento, dice, non può mancare ad una «grande manifestazione delle forze della sinistra».

Il Prc invece serra i ranghi. Il segretario Franco Giordano precisa che «la manifestazione del 20 ottobre non è contro il governo», ribadendo che Rifondazione sarà in prima linea ma dicendosi anche disposto a tenere, dopo il 20 ottobre, un'assemblea sui temi del lavoro. Ferrero prova ad anticipare i tempi: «Facciamo subito una grande assemblea», dice, e contemporaneamente «costruiamo il 20 ottobre una grande manifestazione».

Dal Pdci è Oliviero Diliberto a respingere la proposta. «È una concezione strana della democrazia - ironizza - quella secondo la quale si può manifestare se si è all'opposizione e non lo si potrebbe fare stando in maggioranza».

A sparigliare ancora di più le carte ci pensano i Verdi, anche loro contrari alla manifestazione di piazza. Angelo Bonelli invita la sinistra a «trasformare il 20 ottobre in una nuova Woodstock, un grande concerto per i giovani con dibattiti su lavoro e precarietà». Piazza, assemblea o "Woodstock"? In ogni caso, è la convinzione di Mastella, il governo rischia.

 


Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 01.09.07 alle ore 20.37   
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 02, 2007, 03:40:47 pm »

2007-09-02 14:13

PRODI, METTERE ORDINE A FINANZE PER TAGLIARE LE TASSE

 (ANSA) - AMMAN, 2 SET - Il premier Romano Prodi ha confermato l'impostazione economica del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, precisando che il governo vuole "mettere ordine alla finanza per alleviare le imposte". Lo ha detto lo stesso presidente del Consiglio, oggi ad Amman, precisando che l'Italia "non può avere un costo annuo di interessi sul debito di 70 miliardi di euro ed avere un livello così alto di evasione fiscale".


'NON SI FA POLITICA ECONOMICA SOGNANDO'

L'Italia parte da una cifra negativa di 70 miliardi di euro annui di interessi su debito da pagare, e quindi ''e' inutile che si facciano discorsi di politica economica che non tengano conto della realta'''. Lo ha detto il premier Romano Prodi ad Amman, interpellato sulle parole del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, che segnalavano come si dovesse prima effettuare dei tagli e poi ridurre le imposte. ''Non si fa politica sognando di vivere in un altro Paese'', ha aggiunto il presidente del Consiglio.


PADOA-SCHIOPPA, PRIMA TAGLI SPESA POI CALO TASSE

'Prima i tagli di spesa, poi il calo delle tasse'': a ribadirlo, in un colloquio con il Corriere della Sera, e' il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, il quale ricorda come ''l'Italia ha la peggiore qualita' della spesa pubblica di tutta l'Europa occidentale, insieme alla Grecia. E' illusorio pensare di riportare il Paese a una crescita duratura senza affrontare il problema della spesa pubblica''. Il ministro frena sull'ipotesi di un taglio immediato delle tasse spiegando che la riduzione del peso fiscale potra' avvenire solo dopo una profonda riqualificazione della spesa pubblica. Dunque la Finanziaria 2008, ricorda il quotidiano riportando il pensiero del ministro, non conterra' nuove imposte per i cittadini ma gli impegni saranno compensati dai tagli di spesa.

Per questo il ministro fa sapere di aver messo a punto un Libro Verde sulla spesa pubblica che, di fatto, dovra' fungere da guida per i ministri che dovranno indicare al Tesoro i possibili tagli da fare: ''Per il prossimo anno - ricorda Padoa Schioppa - il Dpef fissa un obiettivo di disavanzo pari al 2,2% del Pil, e allo stato attuale non serve nulla per raggiungerlo. Questo significa che per proseguire il risanamento non abbiamo bisogno di un solo euro''. Quanto alle cifre circolate finora, il ministro si mantiene cauto: ''Non e' detto che i numeri siano quelli. La cifra riguarda impegni gia' assunti con misure che non sono scritte nelle leggi, ma anche semplici ipotesi. E faremo fronte a queste voci nella misura in cui troveremo le risorse riducendo la spesa pubblica''. Niente nuove tasse, insomma, ma tagli di spesa, ma realizzare questo piano, anche se ''l'emergenza della finanza pubblica e' superata'', dice il ministro, sara' ancora piu' complicato di un anno fa: ''La condizione - dice - e' molto diversa. Ora siamo sollevati, ma siamo alle prese con qualcosa di piu' dell'emergenza''. Si chiama spesa pubblica. E il problema, per il ministro, non e' soltanto tagliarla, ma soprattutto ''riqualificarla''.

PROTESTA FISCALE

Per il ministro non va liquidata come la solita 'sparata' leghista: ''La protesta fiscale - osserva - e' un'espressione per certi versi deviata di una salutare presa di coscienza di due peculiarita' italiane che invece sono degne di stare al centro dell'attenzione. Il problema non e' tanto che gli italiani pagano troppe tasse. E' che la distribuzione del carico fiscale e' fortemente distorta dall'evasione e che la qualita' dei servizi pubblici non e' proporzionata alla spesa. se sono vere le stime di 100 miliardi di euro dio evasione l'anno vuol dire che sui contribuenti in regola grava un pesantissimo sovrappiu' di carico tributario. E troppo raramente il mancato adempimento fiscale e' sentito come qualcosa di cui vergognarsi''. Nel 2007, conclude, ''abbiamo compiuto il risanamento agendo anche sul fronte delle entrate, ma c'e' un limite. Abbiamo davanti a noi un anno in cui dobbiamo rafforzare il reperimento delle risorse nella spesa iniziato con la Finanziaria scorsa''. Negli anni prossimi ''ci saranno molte uscite dal pubblico impiego dovute a ragioni anagrafiche. E' l'occasione per snellire le strutture pubbliche, ma e' un'operazione difficile. Molto spesso chi sostiene che non sia cosi' complicato, si mette a strillare non appena si tocca il suo settore''.


MASTELLA,P.SCHIOPPA TAGLI MINISTERO GIUSTIZIA...

''A Padoa-Schioppa che parla di tagli alle spese rispondo di eliminare il ministero della Giustizia perche' senza soldi non si cantano le messe''. Il ministro della Giustizia e leader dell'Udeur Clemente Mastella replica cosi' al ministro dell'Economia durante il comizio che ha concluso la Festa del Campanile a Telese. ''Non e' che possiamo dire che bisogna fare la lotta alla criminalita' se poi i magistrati e le forze di polizia non hanno i mezzi, se non hanno neanche i soldi per la benzina''.

Mastella, sempre durante il comizio finale, invoca inoltre ''trattamenti migliori per le forze di polizia'' ed auspica che il governo mantenga le ''promesse sugli emolumenti'' relativi al rinnovo del contratto. 


da ansa.it
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 03, 2007, 02:29:52 pm »

2007-09-02 21:08

TENSIONE SULLE TASSE: VELTRONI, GIU' SUBITO


 ROMA - Tagliare la spesa, ridurre le tasse. Il settembre del governo si apre con un picco di tensione sull' eterno dilemma di ogni finanziaria: cosa fare prima? Tocca a Tommaso Padoa-Schioppa tirare il freno. "Prima i tagli, poi il calo delle tasse", dice rivolto ai suoi colleghi di governo. Non ci sta Clemente Mastella che, da Telese, replica piccato: "Allora, elimini proprio il ministero della Giustizia...". E così Romano Prodi deve fare un richiamo al realismo. Il governo sta facendo i conti. Bisogna fare entrambe le cose: riordinare la finanza pubblica e ridurre le tasse. Ma è troppo presto per arrivare alle conclusioni e, in politica economica, bisogna smetterla di "sognare di vivere in un altro Paese".

Ma la politica preme. Ed è Walter Veltroni, dalla festa dell'Unità di Bologna, a premere anche su Palazzo Chigi: occorre abbassare le tasse, dice il candidato premier del Pd, già con la manovra del 2008. Il ministro dell'Economia affida le sue previsioni al Corriere della Sera e sono rasoiate. La protesta fiscale? non è solo la solita sparata leghista, e gli evasori non sanno cosa sia la vergogna. Poi la stoccata sulle uscite dalla pubblica amministrazione condite con po' di sarcasmo su chi strilla non appena si tocca il suo settore. Di sicuro, bisogna pensare prima a tagliare la spesa pubblica e poi a ridurre le tasse. Mastella, da Telese, non fa nulla per nascondere l'irritazione. "Padoa-Schioppa - sibila nel comizio di chiusura della festa dell'Udeur - può anche eliminare il ministero della Giustizia" perché, e cita un vecchio motto meridionale "senza denari non si cantano messe".

 "Non è che possiamo dire che bisogna fare la lotta alla criminalità se poi i magistrati e le forze di polizia non hanno i mezzi, se non hanno neanche i soldi per la benzina", aggiunge accigliato. Il presidente del Consiglio, in vista in Giordania, cerca di gettare acqua sul fuoco: "Non si fa politica sognando di vivere in un altro paese". Bisogna "mettere ordine nella finanza e alleviare le imposte". Prodi predica rigore, realismo. Palazzo Chigi chiede tempo, invita a non anticipare le conclusioni del lavoro che impegnerà il governo per tutto settembre. Ma l'intervento del professore non basta a smorzare le polemiche. Nel centrosinistra cominciano le grandi manovre per il confronto che intreccia finanziaria e protocollo sul welfare. Il segretario Ds Piero Fassino sceglie una via di buon senso: "Bisogna fare tutte e due le cose, tagli alla spesa e riduzione delle tasse", e ci sono tutte le condizioni per fare una buona finanziaria "che consenta di dedicare allo sviluppo più risorse e al tempo stesso di cominciare a ridurre la pressione fiscale". L'accelerazione viene da Veltroni. Bisogna dare un segnale nella finanziaria 2008 e indica l'esigenza di "ridurre la pressione sulle imprese". Scontato l'altolà a Padoa-Schioppa del segretario di Prc Franco Giordano: "Mi sembra inammissibile che possa proporre tagli in questo modo. Dobbiamo invece costruire le condizioni per avviare un processo di redistribuzione sociale". Marco Rizzo (Pdci) va oltre: la manifestazione sul welfare del 20 ottobre servirà anche a "chiarire le idee" al responsabile del Tesoro.

Il Verde Bonelli non spreca l'occasione per far notare che le spese per la Difesa sono aumentate dell'11 per cento già con la scorsa finanziaria e bisogna assolutamente alzare la guardia sull'ambiente. Daniele Capezzone vuole un taglio immediato del peso fiscale ma di pari passo con il contenimento della spesa. Mentre a difende Padoa-Schioppa resta il socialista Roberto Villetti: "Fa bene a richiamare continuamente tutti al rigore, ma è accerchiato dal partito della spesa". In questo sfoderare di sciabole, il centrodestra vede l'occasione per aumentare la pressione su governo e maggioranza.

Il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, parla della "ennesima carnevalata di Prodi e si chiede se c'é "una persona responsabile nel centrosinistra che decida di voltare pagina". Se il governo è una nave senza guida, osserva Sandro Bondi, la Cdl "ha il dovere di proporre uno sbocco". Anche per Matteoli, capo dei senatori di An, è ora che la Cdl faccia sentire il fiato sul collo agli avversari e suggerisce "un'iniziativa comune" della Cdl in Parlamento e fuori". Diretto come al solito Roberto Calderoli, vicepresidente dell'assemblea di palazzo Madama, "Padoa-Schioppa vive sulla luna" e ancora "Padoa-Schioppa, Prodi e Visco devono smetterla di rompere le balle con gli allarmismi perché questa volta - avvisa - il nord si incazzerà sul serio". 

da ansa.it
« Ultima modifica: Settembre 05, 2007, 05:02:59 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #10 inserito:: Settembre 03, 2007, 02:30:42 pm »

Fa discutere l'intervista del ministro al Corriere: «Tagliare la spesa»

Fassino e Veltroni: «Ridurre spese e tasse»

Mastella frena Padoa-Schioppa : «Senza soldi non si cantano messe».

Il Polo attacca a testa bassa. Fi: «Solita carnevalata»   
 

ROMA - Solleva discussioni e polemiche l'intervista al Corriere della Sera di Tommaso Padoa Schioppa, nel quale il ministro dell'Economia ha parlato di ridurre la spesa (e gli sprechi) prima di affrontare il capitolo della riduzione delle tasse.
In giornata è arrivata la presa di posizione del premier Prodi che conferma sostanzialmente quanto sostenuto da Padoa-Schioppa: «Prima mettere ordine nei conti, poi si possono abbassare le tasse». L'opposizione attacca e critica a tutto campo il rinvio della riduzione delle imposte. Ma contro il piano di Padoa-Schioppa si levano voci anche all'interno della stessa compagine governativa. Chi trova invece un punto di equilibrio in Piero Fassino: «Bisogna fare tutte e due le cose».

FASSINO E VELTRONI: «FARE ENTRAMBE LE COSE» - Il segretario Ds, a margine della festa dell'Unità di Brescia, ha infatti risposto così ai giornalisti che chiedevano un commento sul piano del ministro Padoa Schioppa che ha frenato sull'ipotesi di un taglio immediato delle tasse. Secondo Fassino occorre agire in entrambe le direzioni, ridurre le spese e diminuire il carico fiscale. «Mi pare - ha aggiunto Fassino - che ci siano tutte le condizioni per fare una buona legge finanziaria che consenta di dedicare allo sviluppo più risorse e al tempo stesso di cominciare a ridurre la pressione fiscale». D'accordo con il segretario dei Ds si è detto Walter Veltroni intervistato alla Festa dell'Unità di Bologna da Gianni Riotta: «Penso che si devono abbassare le tasse, penso si debba dare un segnale già dalla prossima finanziaria». Per Veltroni bisogna continuare a lavorare anche sulla riduzione della pressione fiscale alle imprese, e «fare una operazione per dare ancora più forza, come sta facendo il governo, al contrasto dell'evasione fiscale». Il sindaco di Roma invita poi a una maggior responsabilità la compagine di governo riguardo alla polemica sulla manifestazione promossa dalla sinistra radicale per il 20 ottobre minacciando crisi di governo: «Tutti devono smettere di dire o è così o me ne vado». Nello stesso tempo, Veltroni ha ribadito che è «inimmaginabile che ci siano manifestazioni con ministri o sottosegretari che fanno parte di questo governo contro questo governo. Questo non aiuta la democrazia del paese». «Prodi sta facendo un grande lavoro per tenere unita la coalizione - ha detto ancora - Se il governo cade è una sconfitta per tutti. Nessuno escluso»

MASTELLA: NO AI TAGLI - A dar corpo invece ai malumori nella maggioranza è stato nella prima mattinata di domenica Clemente Mastella. «Senza soldi non si cantano messe» è la replica del Guardasigilli, intervenendo nel giorno che chiude la festa del suo partito a Telese. I tagli delle spese? «Allora tagliamo il ministero della Giustizia, eliminiamolo - ha detto sarcastico Mastella - come fai a contrastare la criminalità senza risorse, senza mezzi? E tra l'altro - sottolinea - il trattamento economico non è dei migliori e spero che a settembre il governo tenga fede agli impegni presi sugli emolumenti per la polizia».

MIGLIORE: «NO A TAGLI ALLA SPESA SOCIALE» - «C’è chi urla per l’abbassamento delle tasse - ha detto il capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista Gennaro Migliore - e c’è chi deve arrivare a fine mese. Padoa Schioppa recita il solito copione: anticipa e destabilizza una discussione che, di questo passo, non sarà mai collegiale». «Non possiamo permetterci una Finanziaria che tagli la spesa sociale - ha aggiunto Migliore - non se lo può permettere il Paese e soprattutto non se lo può permettere quella parte di cittadini che le tasse le paga davvero».

CALDEROLI: MINISTRO SULLA LUNA - L'opposizione attacca a testa bassa. «Poveri noi - sospira il leghista Roberto Calderoli -, Padoa-Schioppa vive sulla Luna oppure pensa di essere sostenuto da una maggioranza di britannici o di californiani, ma purtroppo per lui è sostenuto da una maggioranza di partiti che fanno della spesa pubblica la loro ragione di vita». Per Calderoli, alla fine, Padoa-Schioppa «sarà costretto come l'anno passato ad aumentare le imposte».

BONAIUTI: «ALTRA CARNEVALATA DI PRODI»- «Siamo di fronte all'ennesima carnevalata di Prodi. Ieri prometteva di ridurre le tasse, oggi invece dà un colpo di freno». E' questo il commento di Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi, che aggiunge: «Lui dice tutto e il contrario di tutto, gli italiani non gli credono più, i suoi ministri si accapigliano tutti i giorni: ma non c'è una persona responsabile nel centrosinistra che decida di voltare finalmente pagina?».

MATTEOLI: «NON MANTENGONO LE PROMESSE»- Va giù duro anche l'esponente di An Altero Matteoli che dice: il presidente del Consiglio, Romano Prodi e il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa «sono le facce della stessa medaglia e non hanno alcuna intenzione di mantenere le promesse tagliando il carico fiscale, questa è la verità dei fatti».

CAPEZZONE, SERVE FLAT TAX - Contrario all'impostazione del titolare del Tesoro anche Daniele Capezzone, esponente radicale e presidente della Commissione Attività produttive della Camera: «Non mi pare opportuno rinviare il taglio delle tasse - commenta - sarebbe un drammatico errore per la nostra economia. È certamente vero che occorre tagliare le spese, ma le due cose possono e debbono essere fatte simultaneamente». Capezzone insite sull'introduzione, «in cinque anni, di una tassa piatta (flat tax) del 20% pagandola con una riduzione della spesa pubblica dello 0,4% l'anno (cioè del 2% in 5 anni, passando dal 51% al 49% di spesa sul pil). ovvero: tagli alla spesa e alle tasse».

ROTONDI: LACRIME E SANGUE - «La questione fiscale potrebbe rivelarsi la classica buccia di banana su cui rischia di scivolare questa maggioranza», afferma Gianfranco Rotondi, segretario della Dc per le Autonomie. «C'è una sola certezza - conclude - Sarà l'ennesima finanziaria di lacrime e sangue per gli italiani».

02 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #11 inserito:: Settembre 03, 2007, 02:41:00 pm »

3/9/2007 (7:19)

"Se hanno coraggio cambino il governo"

Salvi critica i tagli di Padoa-Schioppa e propone un esecutivo leggero per abbattere la spesa pubblica.

AMEDEO LA MATTINA


ROMA
Padoa-Schioppa vuole tagliare la spesa pubblica? Cominci dai costi della politica. Prodi è d’accordo? Se ha coraggio, faccia un Prodi-bis con soli 15 ministri, come in Germania e in Spagna». Per il senatore Cesare Salvi queste sarebbero le iniziative serie e concrete. L’ex ministro del lavoro poi chiede alla Sinistra democratica di cui fa parte, di partecipare alla manifestazione del 20 ottobre alla quale ha aderito Rifondazione e Pdci: «Non è sopportabile questo maccartismo intimidatorio di D’Alema».

La sua parte politica contrasterà i tagli alla spesa pubblica annunciati da ministro dell’Economia?
«Padoa-Schioppa non dice cose insensate rispetto a chi chiede la riduzione della pressione fiscale. Tutti capaci di promettere meno tasse. Il problema non è demonizzare il ministro dell’Economia, ma cosa va tagliato. Comincerei dai costi della politica. Io e Villone, con la nostra proposta di legge, abbiamo fatto un calcolo di 6 miliardi. Confindustria di 4 miliardi. Il ministro Santagata con il suo disegno di legge del quale si sono perse le tracce, di 1,3. Prendiamo quello che scrive il Sole 24 Ore su Sviluppo Italia e guardiamo cosa sta succedendo in questo ente inutile: nessuno pone un freno. Ma io ricordo che quello che abbiamo scritto in Finanziaria per abolire Sviluppo Italia: è stato aggirato».

E i tagli ai ministeri?
«Certo ci sono spese che possono essere ridotte ma bisogna entrare nel merito dei tagli. Se si cominciasse a ridurre i membri del governo, dei parlamentari, dei consiglieri regionali..., altro che risparmi!»

Ma ci vorrebbe un Prodi bis.
«E perchè no? Qualcuno deve mettersi un po’ da parte. Non è lo stipendio del ministro o del sottosegretario che pesa, ma il fatto che ogni nuovo ministro reca con sè tesoretti individuali, comitati di consulenza. Altrimenti, poveretti, che devono fare: devono dimostrare che esistono, prendere iniziative e organizzare convegni. Se il governo non dà il buon esempio, allora anche le comunità montane gli fanno un pernacchione. Sarei contento se ci fosse un Prodi bis in questa chiave. Se Prodi non se la sente, alcuni ministri restino senza portafoglio. Che devo dire: se il problema è drammatico, e non se ne vogliono andare... Appena si è dimesso Giarretta da sottosegretario, subito hanno nominato un sottosegretario nuovo. Prodi dovrebbe avere il coraggio di dire che la Francia e la Spagna hanno dimostrato che bastano 15 ministri per governare. Se non se la sente allora faccia una norma con cui si ripristina la Bassanini fin dal prossimo governo e intanto decurti fortemente tutto ciò che è superfluo. Padoa-Schioppa dia un segnale in questo senso e dica “quando parlo di taglio di spesa comincio dai costi della politica”. E allora noi ti sosteniamo perché la Sinistra democratica non è il partito della spesa, al contrario del Pd che è bulimico di posti».

Lei propone di manifestare il 20 ottobre.
Mussi ha dei dubbi. «Mussi giustamente era preoccupato che la manifestazione fosse un attacco al governo e al sindacato. Allora chiariamo bene la piattaforma dell'iniziativa e diamo agli italiani che ci hanno votato il diritto di dire “rispettate il programma per cui vi abbiamo votato”. Adesso c’è un attacco alla libertà di manifestare. Quello di D’Alema e di altri è maccartismo. Non puoi andare in piazza, altrimenti ti devi dimettere ministro o sei responsabile della crisi di governo. D’Alema dovrebbe ricordare che il governo è caduto una volta ma al centro quando lui venne al Senato a parlare di politica estera. Turigliatto fu cacciato per aver votato contro mentre mancarono i voti centristi. Chi minaccia ogni giorno di cambiare alleanze e di far cadere il governo è il ministro della Giustizia e non quello degli Affari sociali Ferrero. Quindi è maccartismo e anche deformazione della verità per colpire il processo di unità a sinistra».

da lastampa.it
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« Risposta #12 inserito:: Settembre 03, 2007, 06:55:26 pm »

Tasse, Rutelli con Veltroni

"Giù dalla prossima Finanziaria"


SALERNO - "Bisogna dare un messaggio di riduzione della pressione fiscale già dalla prossima Finanziaria". Lo ha detto il vice premier Francesco Rutelli prima dell'apertura della Festa della Margherita.

Il leader Dl, insomma, si schiera sulla stessa lunghezza d'onda del candidato leader del partito democratico Walter Veltroni, e aggiunge che "contemporaneamente si può mettere sotto controllo la spesa. Si può fare una manovra molto attenta alla difesa del potere d'acquisto degli italiani, di tutti gli italiani, e soprattutto di quelli a reddito medio-basso". Secondo Rutelli ci sono "le condizioni per fare una Finanziaria in cui la priorità sia dare alle famiglie e agli italiani impulso per la crescita".

Il vicepremier è tornato anche a bacchettare quei partiti dell'Unione che scenderanno in piazza il 20 ottobre per manifestare contro il protocollo sul welfare. La sinistra radicale non può "solo contestare", ha aggiunto, senza entrare nel merito degli eventuali rischi di crisi per il governo, soprattutto nel caso in cui ministri e segretari di partito scendano in piazza.

"Ho detto fin dall'inizio - ha sottolineato Rutelli - che quell'iniziativa è sbagliata. Quando c'è tanto da fare per il Paese, per le famiglie, per l'economia e per la ripresa, è sbagliato che una parte della coalizione si dedichi a contestare tutto quello che di buono stiamo facendo, che è molto". Infine un richiamo alla sinistra radicale "a fare la loro parte e a servire in positivo".

(3 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #13 inserito:: Settembre 05, 2007, 04:41:59 pm »

POLITICA

Il ministro Ferrero chiede più collegialità: "Bisogna distinguere fra i mafiosi e i writer".

Russo Spena: "Il titolare del Viminale banalizza e travisa le nostre posizioni"

Sicurezza, la sinistra radicale "Amato avrà bisogno dei nostri voti"

 
ROMA - Sulla sicurezza si apre un nuovo fronte nella maggioranza. Dopo l'intervista del ministro dell'Interno Giuliano Amato a Repubblica le reazione della sinistra radicale non si sono fatte attendere. "Da parte del presidente del Consiglio c'è stata l'assunzione del fatto che c'è necessità del coinvolgimento di tutti nella discussione sulla sicurezza. Quindi la richiesta di collegialità è stata assicurata e si lavorerà per avere una discussione collegiale di tutti i ministri", ha detto il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Che poi ha aggiunto: "Nelle discussioni relative alla sicurezza rimarcando la necessità di dividere con nettezza quella che è la lotta alla criminalità, come la n'drangheta calabrese, dai delinquenti che vanno in giro a rapinare le ville, su cui ci vuole una repressione molto netta". "Questi argomenti - aggiunge il ministro del Prc - vanno distinti dai problemi della mediazione sociale in città e cioè dai lavavetri ai writers. Non si possono tenere insieme cose che non c'entrano nulla. Confondere i due piani - osserva ancora - vuol dire alzare un polverone".

E se per il capogruppo di Rifondazione al Senato Giovanni Russo Spena "Amato banalizza e travisa le posizioni della sinistra" dalla Sinistra Democratica si fa sentire Cesare Salvi che avverte: "Il ministro dell'interno dovrà avere i voti della sinistra per far passare le sue norme in Parlamento"

(5 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Settembre 05, 2007, 04:44:37 pm »

Unione e governo aprono, cautamente, alle offerte di dialogo

Bruno Miserendino


Un passo avanti e due indietro, per citare Lenin. O più semplicemente una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che con l’intesa, vera o presunta, di Gemonio, Berlusconi, Fini, e Bossi si dichiarano disponibili a modificare la brutta legge che avevano varato nella scorsa legislatura. La notizia cattiva è che questa apertura è condita da così tanti se e ma che difficilmente servirà davvero a imprimere una svolta al complicato dibattito che accompagna la riforma elettorale. Bastava leggere, ieri sera, le variegate reazioni nel centrosinistra, a volte prudenti e aperturiste, a volte, piuttosto scettiche, soprattutto tra referendari e ulivisti, per capire che la vera domanda è questa: quanto c’è di tatticismo nella sortita di Gemonio? Ovvero, quanto la sia pur generica proposta del centrodestra serve a dare un’immagine di compattezza al proprio schieramento, rilanciando la palla nel campo avversario?

È bene ricordare che da oltre un anno il dibattito sulla riforma elettorale assomiglia al gioco dell’oca: a volte sembra fare grandi passi avanti, poi dopo incontri, accelerazioni, bozze, discussioni parlamentari, si torna alla casella del referendum. Che continua a incombere. Tanto per dire: ieri Fini, ossia un leader che ha firmato per il referendum, ha in modo disinvolto spiegato che si potrebbe benissimo votare con la legge che c’è. È quello che va dicendo Berlusconi da tempo, il quale a sua volta si dice disponibile a cambiare di poco il «porcellum», purchè si voti nel 2008. Si acconcia a un accordo del genere anche la Lega, che pure aveva intavolato col centrosinistra un dialogo per il federalismo, ipotesi che prevede una riforma costituzionale per la modifica del bicameralismo perfetto e la creazione di un Senato delle regioni. Se ne deduce che bisogna aspettare un po’ per capire di che si tratta davvero. E la prima cosa da appofondire è se da Gemonio viene un no apodittico a ogni ipotesi di correzione costituzionale che accompani la riforma elettorale. Il dato non è secondario: fare un’altra legge elettorale e lasciare ad esempio il bicameralismo perfetto, anomalia nel panorama mondiale, significa fare un bel marciapiede in una strada sterrata.

Che però la disponibilità a un cambiamento dovesse essere raccolta era evidente. E infatti questo è avvenuto. Walter Veltroni, ad esempio, considera l’accordo di Gemonio un fatto positivo. Del resto da tempo il candidato leader del Pd chiede una legge elettorale e alcune modifiche costituzionali che garantiscano il bipolarismo, la scelta preventiva delle alleanze, la riduzione della frammentazione. Tutte cose che il modello tedesco, su cui sembrava aver fatto passi in avanti la discussione tra i poli, garantisce solo in parte. A meno che si italianizzi molto. Anche palazzo Chigi è disponibile. «Ogni apertura al dialogo è guardata con attenzione e interesse», afferma una nota. Facendo capire che l’accordo sia pure non unanime nel centrodestra è in ogni caso un passo avanti per un confronto. Così pure Fassino e Violante. Il ministro Chiti, che si è speso in defatiganti trattative per approntare ipotesi di riforme condivise, è prudentemente attendista. Tante volte, afferma, si era sul punto di un accordo e poi «sono state cambiate le carte in tavola». Ad esempio Filippeschi, il responsabile delle riforme dei Ds, è abbastanza scettico: «ogni disponibilità a discutere è un fatto positivo, ma serve anche il coraggio di riforme vere». Il punto è proprio questo: serve davvero un semplice aggiustamento della legge attuale? Intanto non serve a bloccare il referendum (anche se un accordo a larga maggioranza lo depotenzierebbe, perchè a quel punto forse non si raggiungerebbe il quorum). Ma sono soprattutto gli ulivisti e i prodiani, e con loro Rosy Bindi, a non nascondere i dubbi. Insomma il rischio gioco dell’oca è sempre dietro l’angolo.

Pubblicato il: 05.09.07
Modificato il: 05.09.07 alle ore 9.05   
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