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Autore Discussione: Enrico De Mita Sul piano legale l'astensione non ha appigli  (Letto 2995 volte)
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Utente non iscritto
« inserito:: Agosto 22, 2007, 10:35:37 pm »

21 agosto 2007

 Sul piano legale l'astensione non ha appigli
di Enrico De Mita 

Per accelerare il federalismo fiscale si propone uno sciopero verso lo Stato e si invitano i cittadini a versare le imposte agli enti locali. C'è, dunque, una questione politica perseguita con un'istigazione alla disobbedienza fiscale mediante la violazione dei doveri costituzionali.
Questo non è un atteggiamento solo politico, ma si investe legalità ed esistenza stessa dello Stato. È un comportamento eversivo i cui contorni giuridici vanno precisati. E la precisazione viene dalla giurisprudenza pratica in ordine a un precedente del quale si parlò molto negli anni Ottanta a proposito dell'obiezione fiscale.
Le norme tributarie sono norme di ordine pubblico che attengono a esistenza e funzionalità dello Stato. Si possono fare tutte le critiche alle norme fiscali esistenti alla politica tributaria. Ma quando le critiche non attengono alla "giusta imposta", non si contesta cioè la politica fiscale invocando l'orientamentodel Parlamento e della Corte costituzionale, perché verifichino la sopportabilità della ragionevolezza della tassazione, non si può ricorrere a uno sciopero fiscale, che vuol dire disobbedienza di massa a un precetto costituzionale. Negli anni Ottanta i pacifisti praticarono l'obiezione fiscale con l'istigazione rivolta ai cittadini a ridurre l'Irpef in misura corrispondente alla percentuale che lo Stato destinava nel proprio bilancio alle spese militari invitando a versare l'imposta non pagata al Presidente della Repubblica che, naturalmente, la respinse al mittente. Analogamente a quanto avviene oggi con l'invito rivolto ai cittadini di non versare l'imposta allo Stato, ma agli enti locali che vengono invitati ad aprire un conto corrente per ricevere le imposte non versate allo Stato.
Il problema giuridico che assume rilievo costituzionale sta nel vedere se il dissenso da una politica possa esprimersi mediante reato. La Corte di cassazione (terza sezione penale, sentenza 865/1986) ha ritenuto che le leggi tributarie rientrano in quelle di ordine pubblico, che comprendono non solo le leggi che tutelano la sicurezza pubblica ma anche i principi fondamentali dello Stato, tradotti nell'ordinamento in norme precettive munite di sanzioni. Lo Stato per assicurare i servizi pubblici deve procurarsi i mezzi finanziari e i tributi sono le fonti primarie delle entrate pubbliche. Il precetto costituzionale del dovere di concorrere alle spese pubbliche non può definirsi diversamente che di ordine pubblico. La diffusione in massa della disobbedienza fiscale metterebbe lo Stato nell'impossibilità o comunque nella difficoltà di assolvere i suoi compiti essenziali ( istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, articolo 451 del Codice penale). Se alcuni cittadini hanno istigato a disobbedire alle leggi dello Stato per fare propaganda il fatto della disobbedienza è stato voluto dai soggetti come conseguenza della propria azione: questa mirava proprio alla disobbedienza e ciò è sufficiente perché ricorra l'elemento soggettivo del reato che è il dolo. Che poi la disobbedienza sia stata organizzata per far propaganda e non come fine a se stessa, attiene ai motivi, che nel nostro ordinamento penale agiscono quali circostanza attenuanti. Non si può assorbire nell'attività di propaganda il reato fino a farlo scomparire. Infatti non è scritto da nessuna parte che le nostre libertà costituzionali possano essere esercitate per mezzo di reati.
La questione diventa ancora più complessa se si pensa che oggi chi non dichiara in tutto o in parte l'imposta dovuta al di sopra di una certa soglia di punibilità commette a sua volta reato. Va ricordato, inoltre, che la giurisprudenza tributaria ha negato il diritto del contribuentea ridurre l'imposta in proporzione alla spesa che lo Stato affronta per rendere possibile la pratica dell'aborto lecito.
Si può dire, dunque, che tutta la vicenda dello sciopero fiscale perde consistenza pratica perché rischia di risolversi in una bolla di sapone, ma la responsabilità etico-politica è di chi non scoraggia i promotori dello sciopero a ricorrere a mezzi di propaganda perché con tali mezzi il federalismo fiscale fa dei passi indietro e non viene più preso sul serio neppure dai cittadini che vi crederebbero.

da ilsole24ore.com

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