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Autore Discussione: MASSIMO CACCIARI  (Letto 76673 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Dicembre 15, 2012, 04:45:01 pm »

Sinistra

Cosa farà Renzi da grande

di Massimo Cacciari

Finite le primarie, è scomparso. Ma di qui alle elezioni il Pd e il centrosinistra tutto hanno bisogno di lui.

Non più come rottamatore ma come statista

(10 dicembre 2012)

Del tutto "innocente" per il collasso del berlusconismo, il Pd è certamente riuscito con le primarie a capitalizzare al massimo la momentanea assenza di avversari. Quello tra Bersani e Renzi è stato un confronto vero, ben al di là di contenuti e programmi - e come tale è stato vissuto ben oltre i confini del "popolo del centrosinistra". Potrà quella tradizione politica, fatta di pragmatismo, senso del partito, radicamento territoriale, che Bersani quasi incarna, combinarsi con le aspirazioni a radicali mutamenti organizzativi e di leadership, sulle quali Renzi ha costruito la sua immagine del Giovane Capo?

Il risultato di Renzi è stato certamente positivo, ma l'esito delle primarie non è in alcun modo rappresentativo dei rapporti di forza nel Pd. Il secondo turno lo ha dimostrato in modo lampante: gli stati maggiori di tutte le "anime" del Pd, candidati compresi, erano con Bersani. Ora, Renzi non potrà non tentare di far valere anche all'interno del partito il suo successo popolare, scontrandosi con ciò stesso, inesorabilmente, con le antiche, ferree leggi dell'organizzazione.

Sarà capace di muoversi in questo nuovo contesto, senza tuttavia lasciarsi risucchiare in logiche spartitorie, manuali Cencelli, compromessi da vecchie oligarchie? Per usare l'immagine così cara a Bersani: a che altezza porrà l'asticella? Quale sarà il livello di rappresentanza della sua area nel partito e nel futuro Parlamento, che riterrà irrinunciabile? O sarà tentato dal beau geste di non scendere su simili terreni, attendendo da uomo coraggioso, all'ombra del Cupolone, il suo prossimo turno? Bersani, dal canto suo, anche per emergere rispetto al resto dell'élite dirigente, potrebbe appoggiare le istanze renziane, ma certo non al prezzo di duri contrasti con coloro che hanno sostenuto la sua candidatura. Queste difficoltà, come è ovvio, sarebbero destinate a moltiplicarsi nel caso si restasse col Porcellum.Quello che è certo è che il Pd non potrà rinunciare ai voti che la presenza attiva di Renzi gli garantisce. Ma per questo, e magari per attrarre qualche deluso dal centrodestra (operazione impervia fino all'impossibile per il "tipo" Bersani), c'è bisogno di un Renzi ben vivo, e non oscurato dal vincitore.


Se da qui alle elezioni sono impensabili nel Pd traumi di ogni tipo, a maggior ragione sarà indispensabile che si esprimano con chiarezza le differenze culturali e strategiche tra i protagonisti delle primarie. Le parole di Bersani dopo la vittoria, con l'insistito richiamo al «dire la verità», fanno intendere inequivocabilmente la sua prospettiva: vincere con Vendola, per governare poi con Vendola e il centro pro-Monti.

Ma come? Renzi ha la grande opportunità di poter discutere se e su quali programmi sia concretamente possibile portare a buon fine una tale scommessa. Bersani, candidato alla presidenza, ben difficilmente potrà scoprire le carte su un simile enigma: combinare con Monti (dico la parte per il tutto) chi gli si oppone per ragioni non tattiche o contingenti, ma che hanno radici nella storia della sinistra italiana. Renzi, abbandonando il personaggio del rottamatore (che non so quanto gli abbia giovato), potrebbe, invece, rappresentare la voce che esige dai programmi elettorali del Pd coerenza, concretezza, realismo, solido ancoraggio al contesto europeo.

E questo su tutte le questioni appena sfiorate durante gli show delle primarie, e sulle quali il governo Monti non poteva, in fondo, che parlare: dalla previdenza all'assistenza sanitaria, dalla formazione alle politiche industriali. Non avendo responsabilità primarie nella costruzione della coalizione elettorale, Renzi avrebbe ora l'opportunità di "giocare allo statista" più liberamente di Bersani, e rivolgersi così più incisivamente a quei settori moderati del centrodestra che hanno fatto "grande" il partito del non voto. Ce la farà? E' nelle sue corde la "metamorfosi"?

Quel che è certo è che un Renzi agguerrito, e non "in maniche di camicia", sui programmi di governo arricchirebbe straordinariamente la "offerta politica" del Pd. E poiché prima o poi il Pd dovrà ritornare a confrontarsi con qualche avversario, che non sia il grillismo, c'è da augurarsi che il rinnovamento rappresentato dai Renzi scopra le sue carte, se ci sono, e cessi di apparire un fenomeno soltanto generazionale.

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« Risposta #61 inserito:: Gennaio 05, 2013, 11:30:01 pm »

Ci serve l'asse Monti-Bersani

di Massimo Cacciari

Sarebbe 'patriottico', ovvero utile per il risanamento del Paese, un accordo tra il professore, il centro casiniano e Bersani.
L'uno dovrebbe abbandonare l'idea che l'uguaglianza sia un mito sessantottino. L'altro invece dovrebbe impegnarsi su riforme più radicali

(27 dicembre 2012)

Ciò che da mesi sono andato ripetendo in queste "parole nel vuoto" è stato,nella sostanza, ribadito autorevolmente da Scalfari: "patriottica" davvero sarebbe un'intesa tra Pd e Monti, il che significa un'intesa di governo tra Pd, Monti e il "centro" casiniano, poiché un'alleanza Monti-Bersani-Vendola e stop sarebbe ufologia quasi quanto quella Monti-Berlusconi. Che Monti voglia guidare ancora il governo, più che immorale, a me pare semplice senso di responsabilità. In quest'anno non ha potuto fare molto più che impedire il naufragio.

Sull'avvio di una autentica politica di risanamento, non parliamo per carità di sviluppo o ripresa, l'assenza di una maggioranza politica parlamentare ha bloccato ogni sforzo. Monti dovrebbe sentire il dovere di dimostrare le sue capacità effettive di leader. Sacrosanto cercare l'intesa col Pd, che l'ha bene o male appoggiato - ma non mi pare l'abbia appoggiato Vendola. Ha obblighi morali anche nei confronti del governatore delle Puglie? Monti di nuovo premier ha perciò senso soltanto se si ritiene indispensabile in questa fase per il nostro Paese un governo di larghe intese, una kleine Koalition. E sono certo che indispensabile lo ritengono in camera caritatis anche Bersani e D'Alema - ma pensano che si possa realizzare secondo i costumi della prima Repubblica, post festum, a elezioni avvenute. Auguri.

METTIAMO CHE QUESTO ACCORDO, logico oltre che virtuoso, si possa in qualche modo realizzare (speranza che si fonda, ancora una volta, sui buoni uffici del nostro provvidenziale presidente Napolitano). Sempre parlando nel vuoto, mi permetto di formulare alcuni modesti consigli ai nostri eroi.

Caro Monti, so bene che lei è liberale e non liberista, e non crede nelle miracolose capacità di auto-regolazione dei mercati - si liberi anche dal preconcetto che il vizio stia sempre e soltanto dalla parte di chi ha fatto debiti. Chi li concede a volte è peggiore. E chi li contrae, altre volte, può avere ottime ragioni. Dia un'occhiata al bel libro di Ruffolo e Sylos Labini, "Il film della crisi". A proposito di sacri valori, poi, non dia l'impressione di credere che l'idea di uguaglianza sia un mito sessantottino. Piaccia o no, è la ragione d'essere, propriamente intesa, del regime democratico. Sul tema le suggerirei un'altra lettura, "La fine dell'uguaglianza", di Vittorio Parsi. Caro Bersani, ho molto apprezzato la tua decisione di "dire la verità". E' ora di dirla anche in merito a "sovranità nazionali" e "primati della politica", non ti pare? Un po' di disincanto: se uomini come Monti "scendono in campo" e da Obama alla Merkel lo invocano, ci sarà un senso, o è complotto plutocratico? Occorrono riforme più che radicali perché la politica serva di nuovo. Che il tuo programma elettorale sia: fase costituente, e cioè nuovo Parlamento, nuovo governo, nuovo assetto politico-amministrativo del Paese. Finora, neppure il micro-topolino della riduzione del numero delle Provincie! E torniamo a votare col porcellum... A cosa può servire la politica? A combattere la formazione di monopoli di ogni genere, a ridurre i poteri di veto delle corporazioni, a eliminare previlegi.


MONOPOLI, corporazioni, previlegi - tutte cose di "destra"? No - mali presenti ovunque nelle democrazie, e in Italia radicati in vizi secolari. Dì la "verità": che li combatterai a 360°: a partire dai previlegi dei partiti, dall'assurdo regime delle società partecipate, dalla auto-referenzialità dei poteri burocratico-amministrativi e, diciamolo, per molti aspetti, della stessa funzione giudiziaria. A proposito, non dimenticare Renzi; evitaci lo spettacolo di contrattazioni sul numero dei deputati-nominati garantiti. Sorrido all'idea di quanto Renzi debba risultarti indigeribile, ma certo non appartiene alla schiatta di quei (pochi) giovani yes-man che cercano di far carriera nel Pd, all'ombra di questo o quello.

Evita la rottamazione a rovescio che è stata il costume dei partiti da due generazioni a questa parte, e che ha prodotto retoriche, narrazioni e riforme zero. Falla finita con le cooptazioni. Piccolo passo anche questo sulla via della lotta ai previlegi. E vedremo con regole delle primarie e liste se su questa via ci siamo. Caro Monti, caro Bersani, spero insomma di poter votare l'uno votando l'altro. Diceva un saggio: chi non spera l'impossibile, non realizzerà neppure il possibile.

   
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« Risposta #62 inserito:: Gennaio 25, 2013, 03:47:47 pm »


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Alla faccia della rottamazione

di Massimo Cacciari

Dunque, alla fine Berlusconi è tornato in campo, Renzi è scomparso, c'è l'assalto dei politici alla tv e nel Paese la decadenza continua. Insomma, grandi novità

22 gennaio 2013

Si narrava che sarebbe stata la volta se non della rottamazione, di generosi rinnovamenti. Si alzava a diritta lo squillo grillino, a sinistra rispondeva quello di Fiorenza. E a seguire gli altri,tutti impegnati a coprire l'abisso tra "casta"politica e "società civile". Primarie dappertutto. Competition is competition. Slogan, sia chiaro, che non ho mai frequentato e ai quali ancora meno ho creduto. Ma certo era difficile immaginare che avrebbero partorito così infinitesimi topolini. Renzi ha salvato qualcuno dei suoi e ha evitato la rottamazione - poco altro poteva combinare. Le primarie del Pd non hanno risolto alcun problema di "linea" (come si sarebbe detto all'epoca di Bersani), né avrebbero potuto, trattandosi esattamente dell'opposto di un confronto congressuale all'interno di un partito-partito. Tanto meno risulta chiarito il rapporto con il compagno Vendola, anche se insisto nel dirmi convinto che al momento buono non farà alcuna barricata contro un'intesa con Monti. Come previsto, le pseudo-novità à la Grillo illanguidiscono non appena le televisioni si trovano in altre faccende affaccendate (grande rivoluzione anche questa: gli italiani guardano ancora la tv e sono influenzati dalle sue meraviglie mille volte più che da social network, Twitter, ecc.).

Ma il colmo della novità, da Guinness dei primati, lo abbiamo raggiunto con la "risalita in politica" di Silvio Berlusconi, candidato premier. In qualsiasi Paese sulla faccia della terra la ricandidatura di una persona vicina all'ottantina per la sesta volta, e dopo prove fallimentari di ogni genere e su tutti i palcoscenici del mondo, sarebbe stata immediatamente accolta da una tale omerica risata e da un grido così unanime di "basta!", da costringerla al ritiro in tempo reale. Da noi, no; noi siamo nuovi, originali, un laboratorio. Anzi,il replicante viene invitato dappertutto, fa audience, la gente dice che recita bene e cresce nei sondaggi. Per spiegare simili fenomeni occorre l'antropologo o lo scrittore, più che il politologo. Chi può dirsi innocente per una simile tragica farsa? Chi non ha responsabilità per l'immobilismo culturale, etico, politico, per la decadenza di questo Paese, che essa da sola basta e avanza a rappresentare? Invidio chi riesce ad assolversi, imprenditore o professore, politico o giornalista che sia.

Ma ci si può forse consolare con la certezza che il tempo del centrodestra berlusconiano e della Lega di Bossi sono comunque finiti. Sì, ma quanto potranno ancora condizionare i non pochi resti della loro antica potenza all'interno di un Parlamento, i cui meccanismi nessuno ha saputo modificare, malgrado due decenni di chiacchiere? Poiché il problema ormai non sono le elezioni, ma il governo che ne nascerà. Sarà un governo davvero costituente? Allora l'agenda va ben oltre quanto hanno detto sia Bersani che Monti. Non perché si tratti di inventare impossibili miracoli sul fronte dello sviluppo o della riduzione dell'imposizione fiscale. Ci sono vincoli e priorità "ragionieristici" che sarà bene ripetere, visto che né Bersani né Monti sono costretti a fare demagogia per vincere. La mission possibilissima del prossimo governo è tutta politica: eliminare le ingessature amministrative-burocratiche che fanno sì che aprire o svolgere qualsiasi attività in Italia costi dieci volte più in denaro e tempo che in qualsiasi altro Paese occidentale; delegiferare e costruire snelli testi unici su tutte le materie interessanti imprese e occupazione; eliminare le provincie, conferendone le competenze a città metropolitane e regioni; dar corpo effettivo al federalismo fiscale, a partire dalle spese sanitarie (assumendo come ministri ad hoc uomini come Ricolfi!); avviare una revisione complessiva della nostra Costituzione, che è bellissima quanto, con buona pace di Benigni, da due decenni almeno, palesemente bisognosa di importanti restauri, almeno per superare il bicameralismo, istituire il senato della autonomie e normare la vita dei partiti; fare una legge definitiva sul conflitto di interessi. E usare ogni euro resosi disponibile per sostenere l'avvio di nuove imprese e garantire solidi ammortizzatori sociali.

La "novità" attuale è che ancora una volta pochissime idee in questo senso circolano tra partiti e movimenti in lizza. E ancora meno uomini in grado di comprenderle e volerle realizzare. Le liste dell'uno e dell'altro sono giustapposizioni di personalità diversissime, in gran parte stra-collaudate. Chissà perché non ci sarebbero potuti stare anche D'Alema e Veltroni... Ne risulteranno maggioranze politiche solide?
Si faranno le riforme necessarie? Hic sunt leones...

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« Risposta #63 inserito:: Febbraio 20, 2013, 11:13:01 pm »

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La speranza si chiama Ambrosoli

di Massimo Cacciari

Il voto della Lombardia è diventato fondamentale. Quello per il Parlamento, ma anche quello per la regione. Perché se si dimentica il nord, l'Italia non va da nessuna parte

(11 febbraio 2013)

Sarebbe stato lecito augurarsi una campagna elettorale improntata a realismo, impegni possibili, qualche frammento di idee nuove. Se non altro per rispetto a quel 40 per cento di giovani senza lavoro e di quell'altro 60 o quasi che gode delle affascinanti inquietudini della precarietà. Anche grazie alla ri-ascesa in politica di Berlusconi, siamo invece costretti a ri-assistere alla scena del conflitto tra la vacua promessa liberista che con la riduzione dell'imposizione fiscale tutto si risolva e slogan paleo-socialdemocratici. Non che la presenza di Monti abbia, per il momento, modificato di molto la situazione.

La campagna si svolge sostanzialmente tra chi le spara impudicamente e chi più moderatamente sulla riduzione delle tasse, sull'Imu, e via cantando. Al solito, forze politiche che non sono riuscite nell'ultimo anno neppure a eliminare provincie, ridurre il numero dei parlamentari, fare una legge decente sul finanziamento ai partiti, eliminare il Porcellum, garantiscono che "faranno" ciò che il paese attende da oltre vent'anni. Invano cercheremmo nelle varie "agende" risposte tecnicamente definite su come eliminare i "vincolismi" assurdi che fanno sì che per aprire un'impresa in Italia occorre spendere in tempo e denaro dieci volte più che in qualsiasi altro paese europeo, oppure su come sostenere, non con qualche sconto fiscale pressoché ininfluente, ma con strumenti creditizi e finanziari innovativi le giovani imprese, il terzo settore (destinato a diventare fondamentale per il nuovo Welfare), chi si inventa attività e professioni nel mondo globale.

ANCHE SULLA LOTTA ALL'EVASIONE si chiacchiera come ci trovassimo nel secolo scorso e potesse essere ridotta a scontrini, pagamento con la carta di credito e blitz della finanza, nel mondo in cui i capitali possono legalmente andarsene o venire con un colpo di telefono. Sarebbe, ho l'impressione, più utile discutere sulle condizioni di sistema che occorre realizzare, per fare in modo che chi ha i mezzi e le capacità investa ancora da noi, promuovendo in tutti i modi occupazione aggiuntiva. Fondamentale oggi è la flessibilità all'"ingresso", esattamente quella che la Fornero, o chi per lei, ha imbalsamato.

Ma per venire anche alle questioni politico-politicistiche, mi sembra corra anche scarsa consapevolezza sulla partita più delicata che si giocherà il 24 febbraio. Essa riguarda la Lombardia - ma non per la maggioranza al Senato, la quale, se Bersani si mostrerà vincitore intelligente, comunque sarà formata da un'intesa Pd-Monti. In gioco è la rappresentatività e la capacità di governare della maggioranza futura. O c'è ancora qualcuno, da Bologna in giù, che pensa sia possibile combinare qualche sensata riforma senza avere con sé Piemonte, Lombardia e Veneto?

ESISTE ANCORA, MALGRADO le dure repliche della storia, chi pensa che l'Italia possa essere governata senza che il Nord condivida davvero le scelte del governo nazionale? Per vent'anni mi sono consumato a spiegare che cosa sia il federalismo a Ds, margherite, ulivi, Pd, perché abbia lingua per ripeterlo ancora. Possono immaginare le teste pensanti Pd quale sarebbe la situazione politica se questo partito fosse nato con una struttura federale e oggi fosse in campo quel Pd del Nord, autonomo, proposto non da un "alieno" come il sottoscritto, ma da un fedelissimo come Chiamparino?

E così il risultato il Lombardia è a rischio - e con la possibilità che si affermi un leader non decotto, non destinato ad accompagnare Berlusconi nella sua disperata sopravvivenza, come Maroni, intorno al quale potrebbe anche rianimarsi un centro-destra più Lega in Piemonte e Veneto. La vera opposizione al prossimo governo sarà quella di queste Regioni, altro che alla Camera o al Senato! E la crisi del paese potrebbe raggiungere dimensioni sociali e culturali ancora più drammatiche. Sostenere Ambrosoli non significa, allora, "voto utile" per la maggioranza Pd-Vendola al Senato, ma per mantenere ancora viva la fiammella di speranza che questo Paese, tutto intero, ce la possa fare.


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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-speranza-si-chiama-ambrosoli/2199887/18
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« Risposta #64 inserito:: Febbraio 27, 2013, 05:19:11 pm »

 Sei in: Il Fatto Quotidiano > Elezioni 2013 >

Elezioni, Cacciari commenta i risultati: “Sono teste di cazzo, era meglio Renzi”

L'ex sindaco di Venezia, da sempre critico all'interno del Partito democratico, è arrabbiato per l'esito delle urne: "Un disastro, dovevamo puntare su un rinnovamento radicale, invece siamo rimasti a metà". E la colpa è del "gruppo dirigente che circonda Bersani"


di Redazione Il Fatto Quotidiano | 26 febbraio 2013


Se fossimo stati in televisione sarebbe stato un continuo “bip” “bip” per eliminare parolacce e improperi dalle parole di Massimo Cacciari.
Ex sindaco di Venezia, filosofo, da sempre una voce critica all’interno del Partito democratico. È avvelenato. Ci parla con un tono tra l’avvilito di chi lo aveva detto da tempo, e l’arrabbiato di chi non vuole smettere di dirlo. “Senta, è un disastro. Un vero disastro”.
Ancora non è definitivo (sono le sei del pomeriggio). “Eccome se lo è. Peggio di così…”
Partiamo dai motivi.
Sono gli stessi da vent’anni, da sempre, da quando perdiamo.
Va bene, mi indichi i principali.
Questa volta dovevamo puntare su un rinnovamento radicale. Dovevamo scegliere dove stare e cosa fare! Non restare a metà.
Nel contesto.
Le cito Kant, quando parlava della somma dell’inerzia…
Nel pratico.
Il Pd è rimasto a metà tra il voler interpretare le spinte arrivate dalla parte di Grillo e quella di strizzare l’occhio al gruppo di Monti e alla sua visione dello Stato e dell’Europa.
Figure politiche antropomorfe.
Come al solito siamo gente affetta da snobismo e da puzza sotto il naso. Come sempre!
Sarebbe stato meglio avere Renzi?
Aspetti. Prima di dire certe cose, legga i risultati locali.
A quali si riferisce, in particolare?
(Qui il tono della voce si alza) Al nord è una catastrofe sia per Pdl che per la Lega! Eppure il centrosinistra non ha fatto un cazzo.
Non è cresciuto.
Hanno sottovalutato l’avversario?
Di più, peggio! (il tono cresce ancora, notevolmente) Sono delle teste di cazzo! Loro sanno tutto, loro capiscono tutto.
Loro possono insegnare tutto a tutti. Mentre gli altri sono dei cretini.
Quindi?
Le faccio un esempio: è impossibile spiegargli che c’è una questione settentrionale. Eppure continuano a sbatterci la faccia.
La loro vita si sviluppa solo tra Botteghe Oscure, il Nazareno e Montecitorio. Del resto non sanno nulla. Gli basta quel triangolo.
Colpa di Bersani?
No. Ma di quel gruppo dirigente che continua a circondarlo. Gente completamente fallita.
A chi si riferisce, in particolare?
Tutti quelli che stanno da sempre lì e che non abbiamo ancora cacciato. Sì, abbiamo sbagliato a non appoggiare Matteo Renzi.
È stato un grande errore.
Ora i democratici cosa devono fare?
(Qui cala i toni, diventa quasi più riflessivo) L’unica strategia è mantenere i nervi saldi. E cerchiamo di dialogare in Parlamento con gli eletti nelle liste di Grillo. Se ci riusciamo.

di Alessandro Ferrucci

Da Il Fatto Quotidiano del 26 febbraio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/26/elezioni-cacciari-commenta-risultati-sono-teste-di-cazzo-era-meglio-renzi/513648/
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« Risposta #65 inserito:: Marzo 14, 2013, 11:23:45 pm »


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E Monti è sparito dai radar

di Massimo Cacciari

Pensava di essere decisivo al Senato, invece è ininfluente. E di lui non parla più nessuno.
Eppure un ruolo nei giochi può ancora averlo. Se si chiama fuori dalle alchimie di Palazzo

(06 marzo 2013)

Il trionfo grillino rende superfluo discettare su ciò che Monti avrebbe potuto fare se avesse raggiunto i traguardi sperati alla vigilia e previsti dai nostri fantastici sondaggisti. Anche col 15 per cento, poco o nulla: lo stallo, almeno al Senato, era inevitabile. Ma perché un esito tanto modesto? E ora? La ragione del flop mi pare chiarissima; Monti aveva un solo, vero asso da giocare: quello della netta discontinuità rispetto a tutte le coalizioni, destra e sinistra. Doveva rappresentare,
in qualche modo, la protesta seria, costruttiva, europeista nei confronti della palese impotenza e decrepitezza degli schemi ideali e programmatici di tutte le forze politiche della seconda Repubblica. La popolarità di cui godeva all'inizio della sua Presidenza del Consiglio dipendeva da questo.

E' finito col caratterizzare la sua immagine in senso opposto, fin dal primo istante, presentandosi (dopo defatiganti incertezze, che certo non lo hanno aiutato) come leader di una mini-coalizione in perfetta continuità con i disastri del non più recente passato, zavorrata dai Casini e dai Fini. Alleati che ha finito col vampirizzare, senza probabilmente sottrarre un voto alla destra.

Chi lo abbia consigliato in questa mossa suicida non saprei - forse la paura di non farcela organizzativamente da solo, forse la sopravvalutazione del peso reale di certe componenti della storia politica italiana. Ma più probabilmente sono emersi tutti i limiti del Monti politico, tutta la fragilità della sua "vocazione" politica. Vi può essere in lui etica della responsabilità, coscienza anche drammatica della crisi ormai culturale-antropologica del Paese, ma vi manca del tutto la necessaria forza retorico-persuasiva, la capacità di "incarnare" i programmi, di trasformarli in parole-chiave, di accordarli al vissuto della crisi, alle sue figure concrete. Le gaffe in questo senso sui giovani e sul precariato sono emblematiche. Manca in lui il territorio della politica - così come manca al Pd, con la solita eccezione dell'Appennino tosco-emiliano. E il territorio, non rappresentato più neppure dalla Lega (esempio clamoroso: nella sua patria trevigiana la Lega crolla dal 48 per cento delle Regionali al 13) si rovescia col più classico dei voti di opinione su Grillo. Sarebbe forse servito al centro-sinistra un centauro virtuoso fatto di Monti e Renzi - forse bastava un Renzi (e faccio auto-critica per non averlo capito).Ma ora? Se la crisi precipita e la situazione economico-finanziaria diviene ingovernabile, il ritorno rapido alle urne ("alla greca") sarà inevitabile.

Monti potrebbe certo puntare a un risultato migliore. Molti concittadini, a quel punto, comprenderebbero che non è salubre giocare col voto di pura protesta. Ma dovrà cambiare radicalmente immagine, consiglieri, referenti sul territorio. Insomma, "convertirsi" in capo politico. Molto arduo, per le ragioni suddette. Altrimenti? Nessuna possibilità di nuovi governi "tecnici", né di mega-compromessi storici.

Un ruolo di Monti come ministro in un governo di minoranza presieduto da Bersani (o chi per lui del Pd)? Potrebbe risultare utile come segnale al mondo che l'Italia non è ormai la nave dei folli, ma allontanerebbe anche le già remotissime possibilità di un'intesa su qualche punto con Grillo, almeno al fine di non rendere traumatica la fase che si apre. Grillo potrebbe essere disposto a una soluzione a termine "more siculo", ma non certo con un Monti nel governo. Forse l'unica mediazione praticabile tra Pd e Grillo (e che altro tentare, ammesso sia evitabile la morte immediata della legislatura?) resta Vendola - il quale ritiene addirittura che sia Monti la causa delle sventure elettorali della sinistra.

Ma proprio il non avere al momento alcun futuro politico è l'unica chance di Monti: quella di rappresentare la condizione di estraneità, di "esiliati" in patria di tutti coloro che hanno compreso le ragioni della nostra crisi di sistema, lo spappolamento delle vecchie geografie politiche e non vogliono arrendersi alle derive delle retoriche e delle demagogie. Che una simile posizione possa assumere rilievo elettorale e politico in un Paese allo sbando, non so. Che Monti ne sia capace, meno ancora. Ma so che se si metterà ora a giocare nel Palazzo, il suo mezzo fallimento odierno diventerà una bancarotta patetica.

 
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« Risposta #66 inserito:: Marzo 19, 2013, 05:54:31 pm »

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Quirinale, uno scontro di civiltà

di Massimo Cacciari

Ci vorrebbe Shakespeare per raccontare l'imminente incontro tra Napolitano e Grillo: un'irreale collisione tra la cultura politica del Novecento e il mito del 'popolo sovrano'

(15 marzo 2013)

E' inutile almanaccare oggi sull'esito, certo comunque fragilissimo, degli sforzi del Pd per formare un governo. Ed è ancor più inutile ripetere che queste elezioni hanno messo a nudo una crisi sistemica, che in altre epoche e in altri contesti si sarebbe risolta soltanto con rivoluzioni politiche vere e proprie. Come consolidata abitudine, accadono cose nel nostro Paese che sono per un verso autentica follia, al di là di ogni schema interpretativo standard, e, per un altro, anticipazioni di scenari possibili, premonizioni di comuni destini per gli attuali, asfittici regimi democratici.

Il mix forma a volte autentici drammi, che potrebbero essere degni di un tragi-comico Shakespeare più che di Dario Fo. Tra le scene del dramma, per assistere al quale darei un anno di vita, porrei l'incontro tra il Presidente Napolitano e il vincitore delle elezioni, nonché leader del primo partito-non-partito italiano, Grillo.

Nessuna fantasia di poeta avrebbe potuto immaginare "collisione" più irreale, "guerra" di mondi più lontani e l'un l'altro estranei, eppure costretti, magari per un momento, a "incontri ravvicinati". Solo da noi poteva accadere. Laboratorio o delirio? All'inclito pubblico la sentenza.

Faccia a faccia l'incomponibile, ecco il dramma: da una parte, la cultura politica del Novecento, in uno dei suoi volti più nobili, il leader che ha concepito tutta la propria "missione" nel senso del contenere e frenare gli impulsi eversivi provenienti dalla propria stessa base sociale, di dare a essi una forma organizzativa e politica, inseguendo l'ideale del partito "moderno Principe", autorevole non solo per solidità morale, ma per la selezione, preparazione e competenza della sua classe dirigente; dall'altra, il rappresentante dello sfascio storico, almeno in Italia, di quell'ideale, e che sulle sue rovine costruisce le proprie fortune; il sintomo, preziosissimo a saperlo leggere, della crisi dell'idea stessa di rappresentanza, sostituita dai miti della partecipazione diretta e della "bontà" tout-court del "popolo sovrano".

Da una parte, il Novecento delle grandi organizzazioni di massa, della "battaglia delle idee", tragedia e nobiltà; dall'altra, la "società liquida", sterminata massa di solitudini che si incontrano nel web "immateriale", la cui Voce Grillo raccoglie e ripete. Naturalmente, finge, da artista qual è, di raccogliere e ripetere. E' lui, e solo lui, a orchestrare il rapporto. Ma è la finzione che conta, e questa per il momento è perfettamente riuscita.

Ma occorrerebbe che il nostro poeta riuscisse a far intendere anche l'aspetto umano di questo "scontro di civiltà". Nelle parole che Napolitano rivolge a Grillo dobbiamo avvertire il timbro di una profonda delusione, se non del fallimento: come è potuto accadere? Quali colossali errori abbiamo commesso, noi vecchi e quelli da noi allevati, perché le culture politiche di questo Paese naufragassero così miseramente? Per arrivare al 75 per cento degli italiani che o non votano o votano populismi di diversa natura, e questa volta senza neppure crederci, con perfetto disincanto?

Ma anche nel discorso di Grillo, o meglio nei suoi apodittici enunciati, un senso di angoscia è necessario che traspaia. Arriva il momento in cui occorre decidere. Abissale distanza tra protesta, denuncia e decisione, tra la rendita che ottieni dalla protesta e il momento in cui sei costretto a investirla decidendo.

Naturalmente, è possibile fingere anche di voler decidere: sparando richieste che automaticamente impediscono ogni compromesso. Un artista può farlo. Ma ogni commedia o tragedia giunge alla fine: anche quelle dell'assurdo, di un assurdo che neppure Ionesco avrebbe mai immaginato, come quella che per involontarissimi protagonisti ha in questi giorni il Presidente Napolitano e Beppe Grillo.


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« Risposta #67 inserito:: Aprile 11, 2013, 10:46:18 pm »

Opinioni

Il Matto non può farsi Re

di Massimo Cacciari

La crisi dei partiti assomiglia a quella che portò alla repubblica di Weimar. I grillini hanno dimostrato l'incapacità degli altri leader ma non sono in grado di prenderne il posto. Napolitano può fare un altro miracolo ma in futuro...

(10 aprile 2013)

Che cosa accade in questo Paese? Davvero gli dèi hanno deciso di perderci? In qualsiasi altro luogo, di fronte a una crisi di tali proporzioni, nel pieno di un declino che pare inarrestabile, le forze politiche avrebbero cercato un compromesso, prodotto un accordo di qualche tipo. Alla regola del primum vivere non sarebbero venute meno. Situazioni analoghe, di partiti con l'acqua ormai sopra la testa, incapaci di liberarsi delle catene che essi stessi si sono stretti addosso, non si conoscevano dall'avvento al potere di fascisti e nazisti. La stessa impotenza a rinnovarsi, a liberarsi da arcaici steccati ideologici, ad affrontare il "salto d'epoca". Lo stesso testardo insistere su ciò che separa, lo stesso caparbio ostinarsi nell'illusione di poter conservare le proprie rendite di posizione. Per fortuna nessun Hitler è alle porte, nè lo sarà mai più.

Ma la figura che i nostri eroi fanno è del tutto paragonabile a quella di comunisti, socialisti, partiti conservatori e partiti cattolici della sventurata Repubblica di Weimar. E il dramma è che davvero, allora come ora, queste forze non possono trovare un punto di mediazione. La storia del Pd impedisce a questo partito un accordo col Pdl che non ne comporti il suicidio; il Pdl lo sa benissimo,e soltanto per questo lo propone. E i grillini vincitori? Forse ignorano il motto "guai ai vincitori!", ma forse anche, ragionando di politica, non riescono a vedere quale utilità potrebbero trarre da alleanze di qualsiasi tipo con forze chiaramente decotte. Se il Pd si fosse presentato all'appuntamento inequivocabilmente sulla via del rinnovamento, il discorso sarebbe forse potuto essere un altro. Ma ora? Anche i grillini appaiono prigionieri di se stessi. Il nostro Fool (Matto) ha mostrato per intero la follia del Re e la sua impotenza a governare, ma accade ora che nessuno si mostra in grado di ereditare il regno. Nessun fool è stato mai così matto da pensare di potersi lui da solo sostituire al Re impazzito. Naturalmente, nessun matto è più matto di quel Re che abdica da ogni sua funzione, che si rivela drammaticamente impotente e che pure pretende di continuare a regnare. Ma la situazione non potrà mai essere quella di una successione da parte del più o meno saggio fool, che aveva denunciato la follia del Re. I veri matti lo sanno benissimo. Ma arrivano momenti in cui debbono fingere di non saperlo, illudendosi così di potersi salvare dalla catastrofe generale. Shakespeare insegna che invece ciò non si dà.

Morale della metafora? Vogliamo per una volta guardare in faccia la realtà? Vogliamo prendere lezione da tutti gli ultimi avvenimenti o almeno, per chi ha la memoria corta, dal mandato a Monti da parte di Napolitano? Il Paese è in condizioni drammatiche, la mancanza di governo non riguarda questo o quel Governo, ma il crollo di rappresentatività e funzionalità di ogni istituzione. I partiti usciranno dalla loro crisi chissà quando e chissà come. Se ci siamo salvati finora è per l'energia del Capo dello Stato. Ma non si tratta del "ruolo della personalità nella storia". E' chiaro, invece, che la natura stessa della crisi impone di ripensare alla figura e al ruolo del Presidente. Che cosa significa, dopo i vani tentativi di questi giorni, che Napolitano personalmente verificherà gli orientamenti dei diversi gruppi? Significa che, per le ragioni indicate all'inizio, le forze politiche,nella loro normale dialettica, non ce la fanno a governare la situazione.

Non si tratta di un semplice passaggio. Da trent'anni è così. Riconosciamolo finalmente: la logica di questa seconda, fallita Repubblica impone nuove forme di parlamento e di governo. E il governo, in Italia, va pensato in una prospettiva presidenzialistica. C'è chi lo dice da Tangentopoli, c'è chi ne ha spiegato la necessità anche in un quadro di vera riforma federalistica. Ma come si fa a non comprenderlo ora, di fronte allo spettacolo cui siamo costretti ad assistere? Per il momento, che Napolitano cerchi di varare un altro governo delle "larghe intese", inventi un altro uomo (e questa volta magari anche un gabinetto) capace di farci sopravvivere. E che Dio gli renda merito. Ma i pannicelli non servono per affrontare alla radice il problema del governo in Italia; non possiamo continuare a giocare alla "repubblica presidenziale", senza che un presidente democraticamente eletto ne abbia i poteri. Tirare avanti è ormai un modo per precipitare.

     
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« Risposta #68 inserito:: Maggio 18, 2013, 05:32:59 pm »

Sinistra

Pd, se si scinde è meglio

di Massimo Cacciari

Il partito è una melassa indigeribile. E la convivenza forzata ha generato mostri. Ma adesso la situazione sta per esplodere. Da una parte i cattolici-liberali, magari con Renzi; dall'altra i neo-socialisti, magari con Barca

(26 aprile 2013)

Il modo in cui il PD si è sfasciato, in diretta tv, e in occasione della scadenza istituzionale più solenne, l'elezione del capo dello Stato, ancora offende - ma la sostanza della questione non muta, e non sarebbe cambiata neppure se per qualche voto fossero passati Marini o Prodi. Piangere sulle macerie del suo gruppo dirigente non serve.

E molto poco ormai anche narrare la triste istoria dei suoi errori, conclusasi con lo stato di pura confusione mentale emerso nelle ultime vicende. Lasciamo pure il giudizio alla pietas delle generazioni future. Ciò che conta oggi per chi a quell'area politica si era rivolto, e per gli equilibri democratici dell'intero Paese, è comprendere come potrebbe evolversi la sua crisi e quali esiti dovremmo auspicarne. Fingere che le rotture esplose siano malessere passeggero, che il gruppo dirigente possa magicamente trovare un'unità mai esistita intorno a questo o a quel nuovo leader, significa pura Illusionspolitik. Celebrare un congresso, nominare un segretario rappresentante necessariamente una delle anime in conflitto e sperare che poi costui possa far meglio di Bersani, significa soltanto protrarre l'agonia - che ha come naturale scadenza la riconsegna del Paese a Berlusconi. Saggio sarebbe, invece, riconoscere con disincanto e sobrietà le faglie reali che dividono irrimediabilmente il Pd e il fallimento dell'idea da cui era nato. Avendola in prima persona per vent'anni coltivata, credo di sapere che il lutto non è facile da "lavorare", ma un organismo politico si dimostra adulto se sa affrontare tale fatica.

La scommessa poteva essere vinta soltanto se i gruppi dirigenti provenienti da aree, culture, storie anche antropologicamente diverse avessero individuato un destino, una destinazione comune, che non trovavano nel proprio, individuale "patrimonio". E occorreva l'affermarsi in generale di una cultura politica maggioritaria, che è risultata contrastare "radicitus" il cattivo senso comune patrio.

Si riparta perciò dalle linee di rottura interne al Pd. Si faccia ordine a partire da esse. La convivenza coatta genera mostri, parricidi, fratricidi, infanticidi e purtroppo anche tragicommedie, come l'ultima. Il Pd è stato una melassa indigeribile che ha lasciato "fuori campo" sia una seria corrente ex Pci - socialdemocratica, che quella cattolico-popolare davvero rappresentativa in molti territori, rimasta succube della forza (si fa per dire) burocratico-organizzativa che i Ds avevano ereditato dal Pci, e perdendo così via via la propria stessa base elettorale. A migliorare la situazione, si è aggiunto il giovanilismo ultima-moda bersaniano, con la cooptazione di qualche "nuovo politico", di quelli che prendono la "linea" dagli amici di Facebook. Non sono componenti componibili! Invece di aumentare le forze, insieme possono solo distruggersi.

Abbiamo bisogno di ulteriori prove? E invece, ben distinte, queste aree potrebbero svolgere missioni importanti e in qualche modo complementari, rendendo possibili compagini di governo operative. Ricordiamoci quale potenzialità aveva dimostrato, non millenni orsono, un'area di sinistra facente riferimento a Cofferati. Mi pare che il "manifesto" di Fabrizio Barca si muove nella prospettiva della fondazione di un partito socialdemocratico, solidamente organizzato, in cui riunire, in un'ottica esplicitamente europea, sia Sel, che altre formazioni-relitti ex comunisti. E' una prospettiva culturalmente opposta a quella di Renzi. Nulla di male. La cultura politica che Renzi esprime, tra liberalismo e un cattolicesimo popolare che ne ripensa i caratteri organicistico-solidaristici alla luce della "società liquida" prodotta dalla Rete, può aggregare, ben oltre il Pd, vasti settori di opinione pubblica (anche "grillina") e concreti interessi economici. Ma queste due aree fondamentali debbono definirsi autonomamente e con la massima chiarezza. Cosa impossibile se continueranno a inseguirsi e combattersi all'interno della stessa casamatta. La loro "offerta politica" deve al più presto presentarsi ed essere percepita come un'alternativa razionale, legittima, storicamente fondata, all'interno di un quadro politico dove la distinzione delle posizioni non preclude in alcun modo la possibilità di compromessi e collaborazione.

Il centro-sinistra, dopo l'indecente spettacolo fornito in questi giorni, ha il dovere di ripensarsi alla radice, di tentare un "nuovo inizio". E questo non si può inventare, non può ridursi a ciance e cieche speranze. Deve emergere dalla sua storia reale e dalle potenzialità oggi presenti. Non ne vedo altre al di fuori di quelle sopra citate. Insomma, una nuova Quercia, senza equivoci post-modern, da una parte, e un partito-movimento, partito leggero e ideologia dello "Stato minimo", dall'altro. Insieme sono due anime che finiranno col contare il 10 per cento - ben distinte potrebbero pure governare.


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« Risposta #69 inserito:: Giugno 15, 2013, 11:13:36 am »

Opinione

Renzi e Grillo hanno rotto

di Massimo Cacciari

I due 'innovatori' della politica italiana hanno argomenti e strumenti diversi, ma in realtà puntano allo stesso obiettivo: un sistema in cui possono continuare a vivere di rendita, sfruttando la pochezza della politica

(12 giugno 2013)

Esistono comportamenti nella politica nazionale che sembrano spiegabili solo ricorrendo alle più pessimistiche delle antropologie. L'incapacità di avviare qualsiasi seria riforma, la nauseante ripetitività, che perfino il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ha dovuto avvertire, del discorso sui trent'anni buttati, sono forse la spia di un nostro "male radicale". L'"asse che non vacilla" della nostra cultura politica, nei rapporti tra partiti così come all'interno di ognuno di essi, consiste nell'impedire che la competizione giunga a vere conclusioni e chi vince vinca davvero.

Democrazia, invece, piaccia o no, significa competizione tra élite per governare con efficacia e efficienza. Se il sistema funziona al contrario, la dialettica democratica si trasforma in assemblea "discutidora" e la sovranità popolare in ideologia buona a nascondere l'impotenza degli esecutivi. Preoccupazione essenziale di chi non ne fa parte è costringerli a un defatigante lavorio di opportunistici accomodamenti, che è l'opposto di ogni coerente compromesso, lavorio dal quale ogni provvedimento esce stravolto o indebolito, così che, alla fine, risulta impossibile imputarlo con chiarezza a qualcuno. Il sistema genera perciò deresponsabilizzazione e forma l'humus ideale per ogni pratica trasformistica (altro atavico peccato nazionale).

Da questo antichissimo vizio sembrano non essere immuni l'"uomo nuovo" Renzi e neppure il "nuovissimo" Grillo. Quest'ultimo, anzi, appare anche culturalmente l'alfiere della "consuetudo patria" consistente nella legge non scritta per cui conta, anzitutto, che un governo non sia più forte del minimo indispensabile per sopravvivere. La maniacale esaltazione del grillismo sul "controllo" (quel refrain: noi siamo i "giusti" chiamati nelle istituzioni per verificare, certificare, sorvegliare e punire), l'ossessione della trasparenza (tutti ottimi valori ma che valgono, ovviamente, solo se possono applicarsi all'azione di effettivi governi e ne presuppongono perciò la formazione), tutto questo armamentario retorico è quanto di meno "rivoluzionario" si possa immaginare rispetto alle tradizioni del Paese.

Analogo ragionamento si potrebbe tentare a proposito del discorso sul partito politico. Tutto il "nuovismo" sembra tenerlo in gran dispitto. Le sue mode lo considerano obsoleto. Ed è posizione quanto mai trasversale: partito non è certo, infatti, quello di Berlusconi, né quello di Grillo, né la sua idea parrebbe coerente con comportamenti e strategia del giovane Renzi. Grillo teorizza esplicitamente una democrazia diretta di movimenti e sondaggi Web, senza partiti. Cosa che in natura non si è mai data, né mai si darà, ma è tenace componente di certa cultura di sinistra, come di destra: il partito deve "sciogliersi" nel movimento e il movimento nel popolo. Renzi non lo teorizza, ma opera spesso in senso analogo. Che altro significato può avere la sua ambizione al premierato senza puntare, allo stesso tempo, alla guida del partito che a quel ruolo dovrebbe candidarlo? Su quale pianeta il premier non è anche il capo riconosciuto del partito che lo esprime? E come è immaginabile un esecutivo davvero forte e capace di riforme se (come accade ora) i suoi membri non tengono in mano anche le redini della maggioranza parlamentare? Misteriose alchimie che si fanno subito chiare non appena ricordiamo la cultura politica di cui sono espressione: governi deboli e partiti-non-partiti sono due facce della stessa medaglia. Ed è tale debolezza a permettere che ogni "competitore" continui a godere di rendite, a esercitare diritti di veto, e a tutti di mascherare le proprie responsabilità. E di accusare di disfattismo chi denuncia l'intollerabilità della situazione e ne ricerca le cause.


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« Risposta #70 inserito:: Luglio 01, 2013, 12:28:18 pm »

Cacciari: “Briatore? Un cafone megagalattico, è l’idea platonica del cafone”

“Briatore? E’ un cafone megagalattico, universale, è l’idea platonica del cafone“. E’ il dissacrante giudizio che Massimo Cacciari, ospite de “La Zanzara”, su Radio24, dà dell’imprenditore piemontese, che su twitter lo ha chiamato “cacciati” e “nullità tutto chiacchiere e barba“. Il filosofo veneziano lancia una stoccata poderosa anche a Matteo Renzi: “Onestamente non so come una persona possa andare a pranzo con Briatore. Se sei un leader politico, andare a pranzo con Berlusconi ti tocca, ma con Briatore perché? Io non ci andrei neanche per sogno”. E sottolinea: “E’ circondato da bellissime donne? Su quelle potrei fare un’eccezione, neanche a me mancano. Ma quelle che amo frequentare io sono di altro tipo, dal punto di vista estetico”. Cacciari si esprime anche sulla presunta discesa in campo di Marina Berlusconi: “E’ una scelta intelligente, ma nello stesso tempo è una sciagura, perché è la rappresentazione più pazzesca del blocco totale, politico, sociale, culturale, etico e mentale di questo Paese. Una sfida” – continua – “tra Matteo Renzi e Marina Berlusconi sarebbe bella per Renzi, mica è roba semplice per lui”. Ma osserva: “Chi volete che mettano a capo di questa Forza Italia? E’ un incubo. Siamo nel 2013 a ragionare di un ritorno a Forza Italia, come se qualcuno dicesse: ‘Torniamo al PCI‘”. E sulla contrarietà di Renato Brunetta a un ingresso di Marina Berlusconi in politica, afferma: “La figlia di Berlusconi è una grande accentratrice, non darebbe molto spazio alle seconde file e ai Brunetta di turno. Anzi” – precisa – “ai perdenti di turno, perché poi questo Brunetta è inaudito: tutte le volte che ha tentato di farsi eleggere normalmente è stato sconfitto, anche nei momenti di massimo splendore di Berlusconi”. Riguardo all’attuale compagine governativa, Cacciari non ha dubbi: “Berlusconi non farà mai cadere il governo Letta, che è la sua assicurazione sulla vita. Il Cavaliere ha fatto una grande partita da pokerista dopo le elezioni e ha vinto. Bastava” – prosegue – “che dall’altra parte ci fossero dei giocatori abili e lo facevano fuori. Ma la sinistra, da D’Alema a Prodi, lo ha sempre fatto risorgere”

28 giugno 2013

da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/06/28/cacciari-briatore-cafone-megagalattico-e-lidea-platonica-del-cafone/238225/
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« Risposta #71 inserito:: Luglio 06, 2013, 07:42:34 pm »

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Non si vive solo di Imu e primarie

di Massimo Cacciari

Va bene parlare di Grillo, dei processi a Berlusconi o delle micromanovre del governo.

Ma sono altre le novità, sulle quali il Pd dovrebbe discutere: dalla tragedia siriana alle disuguaglianze nel mondo, ai fermenti in Turchia e Brasile

(27 giugno 2013)

C'era una volta un Paese dove in un partito, quando era tempo di congresso, anche il più sprovveduto segretario della più scalcagnata sezione di campagna teneva il suo discorso introduttivo di circa due ore, iniziando dall'analisi sui conflitti mondiali in atto, sulla crisi e prospettive del sistema capitalistico, sui mondi futuri e desiderabili. E la discussione per il 90 per cento si agitava alle medesime altezze.

Angosciosi ricordi. Siamo davvero definitivamente usciti da tali barbarie e entrati nell'età del disincanto. Non più chiacchiere de universo et quibusdam aliis, solo decisioni e programmi concreti. Come dovranno svolgersi le primarie? Potrà votare senza giustificazione al secondo turno chi ha l'influenza al primo? Potranno liberamente votare per la segreteria del partito anche coloro che mai vi hanno fatto parte, mai lo faranno, e che quel partito mai hanno votato? Dilemmi concretissimi, come si vede. E ancora: potrà candidarsi al premierato chi neppure partecipa alle primarie per la segreteria? Qui si decide davvero - altro che i tempi in cui ci si divideva sull'invasione di Praga, come fosse stato in nostro potere di cambiare qualcosa! Il nostro mondo si è fatto maturo - maturità è tutto, diceva un grande. Marciume forse meno. Possibile davvero che la questione riguardi come riformulare l'Imu, quanto aumentare o non aumentare l'Iva e implorare la Mitteleuropa di guardare al Mediterraneo e alle miserie di noi Welsche con occhio meno severo?

Non nutro alcuna nostalgia per l'internazionalismo dei miei giovani anni (non vi partecipavo neanche allora), ma forse non è troppo igienico dimenticare che apparteniamo a un mondo che trascende di qualche spanna le contese Renzi-Letta-D'Alema, e anche quelle Pd-Pdl. Forse sarebbe interessante che il congresso di un partito che retoricamente si richiama a "scuole di cultura politica" si interrogasse sulla crisi che oggi attraversa la forma democratica della rappresentanza, sulla rottura del "compromesso storico" tra democrazia e mercato, sulle ragioni dell'irresistibile crescita delle disuguaglianze in tutto l'Occidente. Forse, si potrebbe anche manifestare qualche preoccupazione per alcune tragedie in corso nell'indifferenza generale, come quella siriana. Forse, si dovrebbe anche cercare di comprendere la natura di quei movimenti che si accendono in tutto il mondo, che hanno determinato svolte epocali e tuttora dall'esito incerto in tanti Paesi mediterranei, che sono al centro del conflitto politico in un Paese assolutamente strategico come la Turchia, e ora anche in Brasile.

Che cosa li accomuna? Come si organizzano? Quali leadership esprimono? Certo, non c'entrano nulla con la democrazia Web à la Grillo, non hanno leader da avanspettacolo, non mandano nei parlamenti chi prende dieci preferenze sulla mail. Ma neppure sono lontanamente parenti della forma-partito di un tempo, né sembrano evolversi in quella direzione.

Tutti sintomi del nuovo Millennio, la cui analisi non sembra stare particolarmente a cuore ai duellanti democratici. Chissà allora su cosa dovranno decidere le primarie. Età? Abilità retorica? Bella presenza? Enfasi particolare nella ripetizione dei programmi e dei desideri che da vent'anni andiamo ascoltando (ottimi programmi,magari, e virtuosi desideri)?

Ma le vere novità sono quelle che ho prima ricordato; è da esse che sorgerà, bello o brutto, il mondo di domani. E i leader di domani saranno quelli che le sanno interpretare e comprendere per tempo, e portarne l'acqua ai loro mulini. Bene l'esame filologico quotidiano delle esternazioni di Grillo; ottimo attendere ansiosamente l'esito dei processi a Berlusconi; encomiabile discutere sulle sorti del governo in base a micro-manovre sull'Imu - ma forse esiste ancora una storia da narrare, fatta di grandi conflitti, di tragedie sociali e umane, e un fermento vitale di tracce, indizi, movimenti che stanno scardinando le casematte dove resistiamo arroccati. Forse è preferibile abbandonarle o aprirle, prima che ci crollino addosso.

 
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« Risposta #72 inserito:: Luglio 28, 2013, 10:36:35 am »

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Giudici, non siate casta anche voi

di Massimo Cacciari

Non può essere un potere politico sempre meno autorevole a riformare la giustizia. Devono essere i magistrati a farsi promotori dei cambiamenti necessari. Pena il rischio di apparire conservatori e di perdere credibilità

(18 luglio 2013)

Un regime politico qualsiasi che possa essere sconvolto da indagini e decisioni della magistratura denuncia per ciò stesso il suo profondo stato di crisi. E ancora di più un partito che si dichiara a priori acefalo (cioè decapitato, cioè crepato), nel caso un suo leader, magari anche maximo, venga, a ragione o a torto, condannato. Fosse però possibile, per una volta, porre tra parentesi tali evidenti, drammatiche anomalie, dovremmo interrogarci sul nodo dei rapporti oggi tra politica e magistratura con uno sguardo alquanto più "globale".

Il concetto di "divisione dei poteri" su cui si regge lo Stato di diritto non ha nulla di statico o pre-determinabile. Esso vale in astratto come garanzia di ciascun potere nei confronti degli altri. Ma non garantisce affatto che ciascuno abbia uguale potere. Possono determinarsi situazioni storiche in cui il potere giudiziario è oggettivamente (e non per ignoranza o malafede o perché il regime è in sé autoritario) "egemonizzato" dall'autorità politica.
L'élite dirigente che si forma è, allora, mista. Così fu in Italia sostanzialmente fino agli anni '70. Ragioni altrettanto storiche hanno condotto alla sua rottura. Fino a determinare la fine di ogni "immunità". A un tempo, è la necessità di perseguire reati di tipo economico e finanziario, o attività criminali per loro natura "globali", a rendere, almeno potenzialmente, l'ambito di intervento della magistratura "superiore" a quello in cui si esercitano gli altri poteri, ancora ridotti, in sostanza, nei confini di sovranità territorialmente determinate.

Questi e altri fattori, non di carattere occasionale o contingente, né riferibili ad personam alcuna, hanno prodotto una dissimmetria nella divisione dei poteri, non solo in Italia. Richiamarsi agli antichi principi serve a poco. La stessa confusione legislativa, che è caratteristica di regimi in crisi, favorisce prepotentemente la tendenza che il realismo giuridico ha sempre riconosciuto: parte integrante della legge è la sua stessa interpretazione. Né l'interpretazione è isolabile alla sola decisione-sentenza, poiché essa pervade la stessa procedura che nei diversi casi viene seguita, lasciando larghi, inevitabili margini al "libero arbitrio". La decisione-sentenza inizia con l'impostazione della stessa indagine. Che in tale situazione possano emergere dèmoni inquisitori o, se non ideologie di giustizia redentrice, tentazioni di "supplenza" al Politico, lo diceva un Bruti Liberati 15 anni fa ( lo dicevano tutti i garantisti "di sinistra" all'epoca della legislazione di emergenza anti-terroristica, restando affatto inascoltati).

Il rilievo estremo che ha perciò assunto il problema della giustizia e del potere della magistratura non potrà essere esorcizzato con leggi o grida provenienti da un potere politico sempre meno autorevole. Ma è questione che dovrebbe essere assunta in primis dagli organi stessi della magistratura con spirito innovativo. Questo è ciò che è mancato da Tangentopoli in poi. Qui sta il problema: nelle capacità o incapacità di intendere la necessità di una propria riforma da parte di questo settore fondamentale della classe dirigente del Paese.

Il conflitto si è svolto finora, a me pare, tra due conservatorismi: quello (più reazionario che conservatore, invero) nostalgico di "immunità" defunte per sempre, e quello che si ostina a trincerarsi dietro il sacrosanto principio dell'indipendenza della magistratura, senza riconoscere i pericoli connessi alla situazione che ho indicato. I temi della maggiore collegialità, della responsabilità dei magistrati in accordo con l'art. 28 della Costituzione, della parità effettiva tra difesa e accusa in ogni fase del procedimento, una volta formalmente aperto, e molti altri altrettanto gravi, non appaiono più rinviabili.
E' la magistratura "custode del diritto" che è chiamata oggi a contribuire a definire le nuove norme capaci di "custodirla". Nulla sarebbe oggi più letale per la democrazia italiana di una magistratura che finisse con l'apparire una "casta" tra le altre, facendo così perfettamente il gioco di chi per anni ha cercato di delegittimarne autonomia e azione.

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« Risposta #73 inserito:: Settembre 06, 2013, 11:37:03 pm »

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Silvio gioca al gatto col topo

di Massimo Cacciari

Il Cavaliere ha capito che se mollasse l'alleanza con il Pd, lo ricompatterebbe. Invece così si gode ogni giorno di più lo spettacolo della sua lacerazione e del suo crollo di consensi. Ecco perché la tirerà ancora in lungo con Letta

(29 agosto 2013)

Non avrà "the great Entertainer" sbagliato mossa questa volta? Come è possibile non afferri la straordinaria occasione che il caso avverso gli offre? Presentarsi sul palcoscenico dichiarando: ingiusti gli ordinamenti della città, ingiusti i suoi tribunali, e tuttavia le sentenze che questi pronunciano vanno rispettate. Che i politicanti pro tempore facciano quel che vogliono - la credibilità di cui godono è ben nota - "decadere" dai loro senati può forse arrecare più prestigio che disonore.

Ma Legge è Legge, e anche se colpisce l'innocente volerla evadere equivale a minare i fondamenti dell'Ordine su cui si regge la polis. Com'è che il grande Comunicatore vuol privarci del sublime spettacolo di un gesto di sovrana indifferenza nei confronti delle prossime decisioni senatorie e di qualche mese di puntuale presenza, magari presso Mario Capanna, ai servizi sociali, monopolizzando giornali, reti, blog, twitter, gossip di ogni risma? La sua leadership nel centrodestra diventerebbe inossidabile.

Nulla e nessuno potrebbe, poi, vietargli di condurre campagne elettorali, magari via-video dai luoghi di pena, firmare cartelloni e liste. Cosa può mai contare l'essere o meno candidato? Beppe Grillo era forse candidato da qualche parte? La candidatura conta solo per i peones. E la responsabilità per eventuali crisi del governo Letta si scaricherebbe così integralmente sul Pd e sull'esito del suo congresso.

Perché Berlusconi non sceglie questa strada, che appare senza dubbio quella più favorevole ai suoi interessi non solo politici? Perché non è Socrate? Ma via! Socrate beve la cicuta per restare integralmente fedele a se stesso, qui si parla di miseri calcoli di convenienza, di quale maschera convenga indossare per l'ultima recita a Silvio Berlusconi. La teoria del bluff non convince. Troppo scoperto. Il suddetto non può ignorare che la partecipazione al governo del Pdl è per lui oggi l'unica autentica "garanzia", che abbandonare Enrico Letta significherebbe ricompattare il partito democratico, magari attorno a Matteo Renzi, che una maggioranza potrebbe sempre formarsi in Parlamento in toto alternativa all'attuale,e che, comunque, andare a elezioni col cerino in mano di quelli che hanno fatto scoppiare la crisi - e per evidenti motivi riguardanti esclusivamente le sorti del Capo - renderebbe impossibile a priori il successo.

A quale gioco, allora,sta giocando? Forse soltanto a stressare il Partito democratico e condurlo al congresso nello stato di massima confusione. La sola presenza di Berlusconi ancora vociante sembra sufficiente a impedire ai dirigenti di questo cosidetto partito ogni intesa programmatica e ogni iniziativa autentica di governo.
Letta può valere come "primum vivere" - ma poi? Con ciò che passa il convento, con i pezzi dell'attuale ceto politico, quale governo-governo è possibile ipotizzare? Un en plein di Renzi come segretario del Partito democratico e candidato premier, senza sconquasso dell'intero condominio, appare del tutto irrealistico. La sua candidatura a premier può passare oggi soltanto attraverso l'accordo con i D'Alema - e cari saluti alla grinta rottamatrice.

Ragionevole sarebbe un'intesa tra Letta e Renzi, non solo per motivi generazionali, ma anche per una certa complementarietà tra le due "immagini". Un periodo consolare o di direttorio condiviso l'hanno passato anche i futuri Cesari. Ma qui riemerge l'eterno istinto fratricida della politica italiana. Ancora più eterno della transizione che dagli anni Settanta è la nostra dimora.


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« Risposta #74 inserito:: Settembre 28, 2013, 04:23:40 pm »

Cacciari: “Barbara Berlusconi bravissima, meglio di Marina”


“Barbara Berlusconi? L’ho conosciuta come studentessa qualche anno fa ed è una ragazza bravissima, appassionata e di una assoluta modestia. In politica potrebbe funzionare meglio di Marina Berlusconi”. Sono le parole di Massimo Cacciari, ospite de “La Zanzara”, su Radio24. L’ex sindaco di Venezia nel 2010 era pro Rettore dell’Università San Raffaele di Milano dove si è laureata la figlia del Cavaliere. “Barbara” – continua – “non faceva assolutamente pesare il suo cognome. E in politica può funzionare perché ha curiosità e cultura. Marina mi dicono invece sia una brava amministratrice ma gli imprenditori veri vogliono comandare e non possono fare politica”. Cacciari commenta con toni critici l’ultima assemblea del Pd: “E’ stata una cosa scandalosa, uno schifo. E’ un piccolo grande scandalo che un partito discuta da mesi di stupidaggini che non hanno nessuna importanza per i cittadini in un momento così drammatico”. E su Matteo Renzi, di cui riconosce però il valore politico, è altrettanto duro: “Poverino, si agita continuamente. Va a pranzo con chi gli capita, va in cerca di immagine e una volta va con Cavalli, l’altra con Signorini. Ogni giorno deve vedere la sua immagine sui giornali. Renzi” – prosegue – “per la sua cultura pensa di poter fare il premier senza partito, ma non esiste. L’uomo è agitato, per ora va avanti a battute”. Il filosofo si pronuncia anche sulla questione del transito delle grandi navi da crociera a Venezia: “Le grandi navi sono dannose, è scientificamente provato, e chi dice di no mente sapendo di mentire”. Ma contesta la recente campagna di Adriano Celentano, che ha comprato una intera pagina del Corriere della Sera per schierarsi contro il passaggio delle navi nelle acque della laguna. “Bisogna sempre sapere ciò di cui si parla, ma la democrazia spesso è anche chiacchiera. Cosa devo pensare allora quando della costituzione italiana o di Dante mi parla Benigni? Sono parole così, Celentano è autorizzato a parlare di tutto, come Benigni”

di Gisella Ruccia
25 settembre 2013

da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/09/25/cacciari-barbara-berlusconi-bravissima-meglio-di-marina/246060/
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