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Autore Discussione: MASSIMO CACCIARI  (Letto 76139 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Giugno 14, 2015, 03:55:33 pm »

Massimo Cacciari: "Felice Casson dice no ai migranti perché teme di non diventare sindaco. Bene Rosso e Daverio in squadra"

Laura Eduati, L'Huffington Post
Pubblicato: 09/06/2015 17:52 CEST Aggiornato: 09/06/2015 17:52 CEST

A pochi giorni dal ballottaggio del 14 giugno, Felice Casson ha buone ragioni per temere di non occupare la poltrona di sindaco di Venezia e per questo ha deciso di giocare due assi: il primo è il rifiuto a ospitare nuovi richiedenti asilo in città, il secondo è l'annuncio di una squadra di alto livello che comprende tra gli altri Renzo Rosso della Diesel e l'esperto di arte Philippe Daverio.

Su tutto pesa la neutralità del voto grillino, che il 1 giugno ha registrato un exploit inaspettato: 12,84%. E per ora sembrano cadere nel vuoto gli appelli di Marco Travaglio e del giudice Ferdinando Imposimato affinché il Movimento 5 Stelle lagunare decida di appoggiare il candidato democratico.

Andiamo con ordine. Al primo turno Casson ha raccolto il 38,01% dei voti contro il 28,5% di Luigi Brugnaro, presidente della Umana che si è presentato come indipendente con un programma in parte bizzarro e simil-leghista - tra le promesse c'è quella di "aumentare" le emozioni dei turisti in una delle città più belle ed emozionanti del mondo.

Brugnaro aveva comunque ricevuto all'inizio l'imprimatur di Forza Italia (in caduta libera con il 3,76%) e soprattutto nei giorni scorsi ha incassato l'appoggio della Lega (oltre il 9%). Il punto di forza dell'imprenditore, però, è la lista civica che è risultata primo partito (20,8%), davanti alla lista di Felice Casson e dello stesso Pd.

Spinto a dichiarare sulla questione dei profughi in arrivo nel Nord, il civatiano Casson ha ricalcato la linea leghista: "Venezia ha già dato, ora basta". Una posizione non isolata all'interno del Pd veneto, anzi, è quella ufficiale dei sindaci della regione rappresentati dalla esponente dem dell'Anci veneta, Maria Rosa Pavanello: ""Il nostro non è un no preventivo, ma un no legato alla disponibilità. I Comuni non hanno spazi agibili, non ci sono spazi liberi".

"Una posizione umana, troppo umana", commenta con ironia all'Huffpost l'ex sindaco Massimo Cacciari, che alle primarie veneziane sostenne Nicola Pellicani e per questo ora non si sorprende delle difficoltà di Casson: "I problemi di Casson non nascono oggi, io lo dicevo ma poi uno predica al vento...".

Per Cacciari l'astensione dei grillini al ballottaggio danneggerà specialmente il candidato Pd: "La loro neutralità ha pagato in termini di voti, sarebbe assurdo che ora appoggiassero uno dei due sfidanti. A meno che l'apparentamento non venga deciso a livello nazionale da Beppe Grillo".

Positivo invece il giudizio del filosofo sui quattro assessori che, Casson ha anticipato, faranno parte dell'eventuale giunta in caso di vittoria, senza alcun compenso: il primo è Renzo Rosso, il patron della Diesel e finanziatore del costosissimo restauro del Ponte di Rialto. Per lui sarebbe pronta la poltrona di assessore alle Imprese e alle attività produttive ("ma avrà il tempo da dedicare a Venezia?", si chiede malignamente Cacciari). Philippe Daverio andrebbe invece alla Cultura e al turismo; l'economista Francesco Giavazzi, che un tempo insegnava a Venezia, naturalmente avrebbe l'assessorato all'Economia. E infine la manager Benedetta Arese, che ha curato l'app della Uber.

Nomi altisonanti e di qualità ai quali Casson aggiungerà un esperto di sicurezza conosciuto a livello nazionale. Il nome, dice l'aspirante sindaco, si saprà a urne chiuse lunedì prossime. Sempre che il Pd riesca a mantenere la carica.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/06/09/cacciari-casson-migranti-elezioni-_n_7542852.html
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« Risposta #91 inserito:: Luglio 12, 2015, 11:18:18 am »

Greferendum, Cacciari: "L'Europa tedesca collasserà. C'è stata una volgare interferenza..."

06 luglio 2015, Lucia Bigozzi

 “L'Europa collasserà". E ancora: "Le interferenze di Berlino e di Bruxelles sul voto greco sono stati i protagonisti dell’esito finale. Ora se i leader europei hanno imparato la lezione…”. Non fa sconti l’analisi del filosofo Massimo Cacciari che nella conversazione con Intelligonews individua i limiti di un’Europa “combinata così, a direzione unicamente tedesca e con un nuovo obiettivo di stabilità”. Un’Europa che “sta collassando e collasserà”.

Come legge l’esito del referendum in Grecia?
«E’ un risultato così straordinario, inaspettato da quasi tutti, credo abbia vari fattori, ma soprattutto credo dipenda dall’inaudita e diciamo volgare interferenza da parte di quasi tutte le autorità europee che hanno indotto a un risentimento anche nazionale del tutto legittimo e giustificato da parte dei greci. Non è possibile che personaggi come i Merkel o gli Shauble si permettano di dire cosa devono votare i greci. Credo che proprio loro siano stati i protagonisti del risultato referendario, ovvero questi cosiddetti leader europei dopo aver combinato disastri di tutti i colori e intromissioni sulle decisioni del popolo greco, che è un vero popolo, forse se lo sono dimenticato».

Quali rischi e quali effetti?
«Se a Bruxelles ragionano, se imparano finalmente la lezione…e mi i riferisco a tutti i leader europei ad eccezione di Mario Draghi, unica personalità di statura globale che oggi l’Europa può esibire; se tutti gli altri capiscono la lezione di mettersi seriamente a trattare cercando di rimediare ai guasti che hanno combinato, allora forse… Non dico certo che Tsipras sia un martire, ma è chiaro che se si fosse intervenuti razionalmente quando Papandreu aveva denunciato che i governi precedenti avevano falsificato i bilanci, non saremmo in questa situazione. Ora occorre avviare un trattato serio, ridurre il debito greco, rivedere gli oneri di questo salvataggio e a quel punto, si potranno imporre una serie di riforme anche alla Grecia, ma è inutile parlare di riforme se mi dici che tanto devo morire. Se per salvarmi devo morire, allora lasciamo perdere…».

Come valuta le dimissioni di Varoufakis?
«Credo siano dimissioni pro-forma per dimostrare la loro totale disponibilità a trattare seriamente ma penso non abbia molto senso che un ministro del tesoro greco si dimetta; dovrebbero dimettersi i leader europei. Può anche darsi che ci sia già un accordo preventivo per cui tra le condizioni che l’Ue pone per riprendere seriamente i negoziati e venire incontro al popolo greco, potrebbe esserci la testa di Varoufakis».

C’è chi definisce Tsipras un comunista; lei da tempo va dicendo che le categorie politiche sono superate: non ritiene che oggi nello scenario europeo in realtà vi sia uno scontro tra casta e popolo?

«Sinistra e destra sono categorie superatissime del cavolo… Non credo sia neanche lo scontro tra casta e popolo, ma certamente destra e sinistra di fronte a questi fenomeni non c’entrano nulla. Destra e sinistra si confrontavano su scenari geopolitici completamente diversi; qui, invece, le differenziazioni sono in materia di politiche fiscali europee; su queste questioni ci possono essere le più inaspettate sinergie tra forze politiche di tradizioni diversissime, come pure all’interno delle stesse forze politiche, vedi il Pd».

E quali effetti politici sul fronte anti-renziano a sinistra?
«Beh, adesso diranno ah che bello! Penso ai Fassina… no, non c’entra assolutamente niente. Le situazioni vanno lette in modo concreto, analitico, non secondo i vecchi schemi: se la sinistra italiana pensa di dire … avete visto, avevamo ragione noi… ma su che? Forse sul Jobs Act, sulle politiche finanziarie? Sono stupidaggini. La cosa certa è che un’Europa combinata così, a direzione unicamente tedesca, con un nuovo obiettivo di stabilità sta collassando e collasserà. Su questo bisogna si confrontino politiche e programmi concreti, né di destra né di sinistra ma intelligenti, in grado di comprendere le esigenze dei popoli; ogni Paese ha i suoi problemi specifici che vanno accordati, armonizzati. Per fare questo ci vorrebbero degli statisti: l’unico all’altezza è Draghi ma fa il banchiere, non lo statista, e quindi saluti…».

Lei lo vede il rischio di una nuova guerra fredda?
«L’Europa non ha capito nulla della Grecia, figuriamoci della Russia. L’Europa non ha una politica mediterranea, non ha una politica a Sud e a Nord, non ha una politica ad Est e non ha una politica ad Ovest perché gliela fanno gli Stati Uniti. E’ un’Europa senza politica, cieca totalmente rispetto ai problemi mediorientali: come può comprendere la realtà della Russia? Tra l’altro, Russia e Grecia hanno un rapporto storicissimo e la storia non è acqua. Il Risorgimento greco è stato supportato spiritualmente, culturalmente ed economicamente dalla terza Roma che è Mosca; ci sono legami storici e anche di spiritualità: Mosca si è sempre considerata l’erede di Bisanzio, bisogna saperle queste cose quando si hanno responsabilità di governo. La Grecia va considerata anche come ‘ponte’ nei confronti della Russia. Ma come fanno questi leader europei, dalla Merkel a Renzi a comprenderlo? Per loro è molto difficile…».

Da - http://www.intelligonews.it/articoli/6-luglio-2015/28290/greferendum-cacciari-l-europa-tedesca-collasser-c-stata-una-volgare-interferenza-

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« Risposta #92 inserito:: Agosto 22, 2015, 05:12:52 pm »

Cacciari: “A Renzi serve un partito vero. Il Pd non è mai nato”

Massimo Cacciari   

Intervista a Massimo Cacciari: “La scissione è già nei fatti, col segretario e i suoi da una parte e una corrente del partito che va dalla parte opposta. Ma era inevitabile che finisse così”

«Il Pd non è mai nato, strozzato in culla dalle oligarchie ex Dc ed ex Pci, e da questo suicidio nasce l’affermazione politica di Renzi». Filosofo, docente universitario, scrittore, Massimo Cacciari ha la passione della politica: tre volte sindaco di Venezia, ex europarlamentare, candidato governatore del suo Veneto contro il forzista Galan. È da sempre un osservatore critico del Pd, in cui ha sostenuto l’esistenza di una “questione settentrionale”. Adesso analizza i conflitti interni di questi ultimi mesi e le prospettive del partito guidato da Matteo Renzi: «La scissione c’è già nei fatti, solo nel modo più spurio e improduttivo. Ma questo equivoco va sciolto»

Che cosa sta succedendo nel Pd? E’ in corso una mutazione genetica o è un replay della lotta tra correnti a cui abbiamo assistito tante volte in passato?
«Non è la solita lotta, come ne abbiamo già viste, tra correnti che corrispondono ognuna a una storia e a una tradizione comune. Oggi la situazione è diversa. C’è una leadership molto forte che fatica a creare intorno a sé un gruppo dirigente autorevole. Renzi ha autorevolezza, gli altri che lo circondano sono gregari. Dall’altra parte ci sono esponenti di una cultura che con questo capo non ha niente a che fare. La differenza è quasi antropologica».

Quanto è profonda questa ferita per il Pd?
«Direi che non si può parlare di partito. C’è una contrapposizione tra il capo e il suo seguito da una parte, e una corrente che non ha nulla a che spartire con loro dall’altra. E sarebbe utile che l’equivoco si sciogliesse presto. Il perdurare di questa situazione danneggia sia il leader che la minoranza, che potrebbe meglio e con più efficacia curare settori della società e dell’opinione pubblica oggi spaesati».

È un’analisi molto dura. Implica che difficilmente il Pd potrà uscire dal guado se non cambiano radicalmente le cose…
«C’è un forte elemento di confusione. Il che non esclude che Renzi riesca con il tempo a costruire un vero partito con dirigenti all’altezza e un radicamento territoriale che oggi manca del tutto. Proprio a questa lacuna dobbiamo i risultati catastrofici alle ultime amministrative in Veneto, in Liguria, e poi a Venezia, Arezzo, Livorno. Il premier deve mettersi in testa che se vuole governare a lungo avrà bisogno di un partito vero e più strutturato di questo».

Sembra di capire che, a suo avviso, l’approdo più probabile se non inevitabile sarà una scissione tra maggioranza renziana e minoranza interna del Pd.
«Sì, ma la scissione già c’è, solo nel modo più spurio e improduttivo per tutti. Vivono da separati in casa. Ma quarant’anni fa c’è stato il referendum per il divorzio: nessuno è più obbligato a convivere se non ci sono i presupposti».

Il Pd in queste condizioni è opera di Renzi o sono venuti al pettine nodi preesistenti?
«Certo, è un contesto che risale a ben prima di Renzi. Il Pd non è mai nato e in questo l’attuale segretario non ha responsabilità. Sono state le vecchie oligarchie ex Dc ed ex Pci a strozzare il fantolino nella culla. E bisogna aggiungere che proprio da questo suicidio nasce l’affermazione di Renzi».

 Lei ha espresso critiche sulla nomina del nuovo cda Rai. In questi giorni il ministro della Cultura Franceschini ha nominato 20 direttori di musei, tra cui 7 stranieri, tra le polemiche. Anche su queste scelte ha delle riserve?
«Sulla Rai non ho fatto critiche bensì ragionamenti. Era inevitabile che una leadership come quella di Renzi, fortissima da un lato e debolissima dall’altro perché – come abbiamo detto – non ha creato un suo partito, cerchi di collocare uomini di fiducia nei posti chiave del Paese. Era fisiologico e non capisco di cosa si stupiscano gli avversari».

Per la tornata di nomine nei musei, secondo lei, vale la stessa logica?
«Idem. Alcuni funzionari museali che conosco sono alla pari se non superiori come competenze ai direttori nominati. Ma Renzi ha bisogno di un rinnovamento e di mettere gente sua».

L’approdo della riforma costituzionale al Senato a settembre è considerato il banco di prova per la tenuta del governo. Lei crede che si troverà una quadra all’interno del Pd tra posizioni al momento molto distanti?
«Questo non lo so. Posso dire che il superamento del bicameralismo perfetto è indispensabile ed è ormai una questione vecchia di una generazione e mezzo. Ma il modo in cui sta avvenendo è dilettantesco. Con la cornice di questa legge elettorale il Senato, a cui la riforma attribuisce funzioni ben superiori di quelle della Conferenza StatoRegioni, dovrebbe essere elettivo. Lo richiederebbe la logica istituzionale. Non lo sarà? Pace, ma diventa un pasticcio ridicolo, una sgrammaticatura».

Non crede però che modificare norme che hanno già avuto una doppia lettura conforme, con equilibri politici così fragili, allungherebbe a dismisura i tempi, con il rischio che finisca tutto nel nulla? Sono dieci anni, da quando è entrato in vigore il Porcellum di Calderoli, che si discuteva di cambiare legge elettorale senza riuscire a farlo.

«In questo ha perfettamente ragione Renzi: Bersani e i suoi predecessori non hanno combinato nulla non in dieci ma in vent’anni. Questa riforma è sempre meglio di ciò che c’era prima: è abborracciata, ma risponde all’esigenza reale di superare il bicameralismo paritario». In sintesi: il Pd è un’incompiuta. Che fine farà? «Non è escluso che Renzi riesca a costruire un partito vero. Ma sarà il Partito di Renzi e non più il Partito Democratico».

Da - http://www.unita.tv/focus/a-renzi-serve-un-partito-vero-il-pd-non-e-mai-nato/
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« Risposta #93 inserito:: Settembre 15, 2015, 05:59:15 pm »

Siria, Cacciari: “Io tifo per la Russia, sarà sempre meglio Assad che l’Isis”
Il filosofo: "Si esclude un intervento militare? Non vedo altra mossa risolutiva.
Abbiamo fatto la guerra a chi non ce l'aveva dichiarata e ora porgiamo l'altra guancia"

Di F. Q. | 12 settembre 2015

“Io francamente faccio il tifo per la Russia, a questo punto sarà sempre meglio Assad che l’Isis o no?”. A dirlo è Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, in un’intervista rilasciata al sito Intelligonews. “La politica occidentale è diventata il campo della pura irragionevolezza, ed è priva di una leadership. Siamo sempre stati incollati all’idea imperiale americana che, fra l’altro, è recentemente passata per la sciagurata esperienza della famiglia Bush”, ha detto il filosofo.

Cacciari ha parlato anche della questione immigrazione: “Assistiamo al tramonto definitivo dell’Occidente, è veramente un situazione tragica. Perché ormai hai queste ondate migratorie, che al di là della fame, derivano dalla conquista di interi territori da parte di una potenza esplicitamente nemica e questo minaccia la pace globale. Occorrerebbe una legislazione europea veramente unitaria sul diritto di asilo. Le posizioni di Juncker sono un passo in avanti, ma quasi di ridicola modestia rispetto all’emergenza. Finché non si stabilizza il Medio Oriente – ha aggiunto – il flusso avrà cifre sempre più imponenti. Ci vorrebbe un intervento anche sull’altra sponda del Mediterraneo, ma non si capisce chi e come potrebbe farlo. Si esclude quello militare? Ma allora non vedo proprio quale potrebbe essere una mossa risolutiva!”

“Noi siamo quelli che hanno fatto le guerre – e che guerre! – a chi non ci aveva mai dichiarato nulla contro, ora che il sedicente Stato Islamico ci ha dichiarato guerra e avanza con bombe e milizie e noi stiamo a guardare. Ma le sembra che ci sia della razionalità in tutto questo? Insomma – ha concluso Cacciari – abbiamo fatto guerra a chi non ce l’aveva dichiarata e porgiamo l’altra guancia a chi ce la dichiara. Me nemmeno Papa Francesco farebbe così, dal momento che ha detto che darebbe un pugno a chi gli offende la mamma”.

di F. Q. | 12 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/12/siria-cacciari-io-tifo-per-la-russia-sara-sempre-meglio-assad-che-lisis/2029328/
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« Risposta #94 inserito:: Maggio 28, 2016, 11:55:56 am »

Referendum, Cacciari: "Riforma maldestra ma è una svolta. L'attacca chi ha fallito per 40 anni"
Il filosofo, ex deputato e sindaco, fa autocritica: "Anche noi volevamo dare più potere decisionale alla democrazia, il Pci frenò".
"Ora Renzi fa un errore capitale se personalizza il confronto"


Di EZIO MAURO
27 maggio 2016
   
Professor Cacciari, lei è una coscienza inquieta della sinistra italiana che ha visto anche all'opera da vicino, quando è stato parlamentare. Si aspettava questa battaglia all'ultimo sangue sul referendum?
"Devo essere sincero? C'erano tutti i segnali. Abbiamo provato a riformare le istituzioni per quarant'anni, e non ci siamo riusciti. La strada della grande riforma sembra un cimitero pieno di croci, i nostri fallimenti. Adesso Renzi forza, e vuole passare. Chi ha fallito si ribella".

Fuori i nomi, professore: chi ha fallito?
"Noi, la mia generazione, a destra come a sinistra. Sia i politici che noi intellettuali. Ci sono anch'io, infatti, insieme con Marramao, Barbera, Barcellona, Bolaffi, Flores, si ricorda? E dall'altra parte, a destra, il professor Miglio alla Cattolica, le idee di Urbani. Eravamo nella fase finale degli anni di piombo, la democrazia faticava. Ragionavamo sulla necessità e sulla possibilità di riformare una Costituzione senza scettro, come dicevamo allora, perché necessariamente era nata con la paura del tiranno. Di fronte alla crisi sociale di quegli anni, pensavamo fosse venuto il momento di rafforzare le capacità di decisione del sistema democratico".

Di cosa avevate timore?
"Si parlava molto del fantasma di Weimar. Ragionavamo su basi storiche, scientifiche, costituzionali. La crisi ci faceva capire come una Costituzione che ostacola un meccanismo di governo forte e sicuro sia debole, perché quando la politica e le istituzioni sono incerte decidono altri, da fuori".

Oggi diremmo la finanziarizzazione, la globalizzazione?
"Certo. Ma non dobbiamo pensare solo alle lobby e all'economia finanziaria o ai grandi monopoli, bensì anche alle tecnocrazie create democraticamente, come le strutture dell'Unione europea, che rischiano in certi momenti di soverchiare la politica".

Come mai quell'idea non ha funzionato?
"Per un ritardo culturale complessivo del sistema, evidentemente. Ma devo dire in particolare per il conservatorismo esasperato del Pci e del suo gruppo dirigente, che parlavano di riforme di struttura per il mondo economico-industriale, ma sulle istituzioni erano bloccati. Dibattiti tanti, convegni dell'istituto Gramsci, qualche apertura di interesse da Ingrao e Napolitano. Ma niente, rispetto alla nostra discussione sul potere e la democrazia".

Per la paura comunista, dall'opposizione, di rafforzare l'esecutivo?
"Un riflesso automatico. Ma vede, noi non parlavamo solo di rafforzare l'esecutivo, è una semplificazione banale. Il potere non è una torta di cui chi vince prende la fetta più grande e chi perde la più piccola, la somma non è zero. Noi volevamo rafforzare tutti i soggetti del sistema democratico. Più potere al governo, dunque, ma con un vero impianto federalista che articola il meccanismo decisionale, e un autentico Senato della Regioni con i rappresentanti più autorevoli eletti direttamente, e non scelti tra i gruppi dirigenti più sputtanati d'Italia, come oggi".

Ma un governo più forte significa un parlamento più debole?
"Non se lo dotiamo di strumenti di controllo e d'inchiesta all'americana, e se è capace di agire autonomamente, senza succhiare le notizie dai giornalisti o dai giudici: un'autorità quasi da tribunato".

Quindi un nuovo bilanciamento, tra poteri tutti più forti? E' questa la riforma che vorrebbe?
"Un potere rafforzato e ben suddiviso. Il potere non si indebolisce se è articolato razionalmente e democraticamente tra i soggetti giusti. E' quando si concentra in poche mani e si irrigidisce che diventa debole".

Non è quello che denuncia Zagrebelsky?
"E' quello che capisce chiunque, salvo chi è digiuno culturalmente. Il potere per funzionare deve essere efficace ma anche articolato come ogni organizzazione moderna. Chi può pensare in questo millennio che si ha più potere se lo si riassume in un pugno di uomini invece di regolarlo con una diffusione partecipata e democratica?".

E' esattamente l'accusa che viene rivolta dal fronte del "no" alla riforma del Senato, non le pare?
"Esattamente proprio no. Manca l'autocritica che sta dietro tutto il mio discorso: la presa d'atto che non siamo mai riusciti a riformare il sistema, pur sapendo che ce n'era bisogno. Diciamola tutta: la nostra idea di rispondere al bisogno di modernizzazione dell'Italia riformando le istituzioni ha contato in questi quarant'anni come il due di coppe quando si va a bastoni. Bisognerà pur prendere atto di questo, e trarne le conseguenze politiche".

Quali?
"Non abbiamo la faccia per dire no a una riforma dopo aver buttato via tutte le occasioni di questi quattro decenni. Non siamo riusciti a costruire nulla di positivo dal punto di vista della modernizzazione del sistema: niente di niente".

E dunque per questo - mi ci metto anch'io - dovremmo stare zitti?
"Dovremmo misurare i concetti, le parole, le proporzioni tra ciò che accade e come lo rappresentiamo. La riforma crea danni ed è autoritaria? Balle: è vero che punta sulla concentrazione del potere, ma la realtà è che si tratta di una riforma modesta e maldestra. La montagna ha partorito un brutto topolino. Erano meglio persino quei progetti delle varie Bicamerali guidate da Bozzi, De Mita e D'Alema, più organici e articolati, anche se centralisti e nient'affatto federalisti".

Ma la critica sulla concentrazione oligarchica del potere è la stessa di Zagrebelsky, no?
"Certo ma, ripeto, non condivido certi toni da golpe in arrivo, che non sono di Zagrebelsky. Il vero problema, secondo me, non è una riforma concepita male e scritta peggio, ma la legge elettorale. Qui sì che si punta a dare tutti i poteri al Capo. Anzi, le faccio una facile previsione: se si cambiasse la legge elettorale, correggendola, tutto filerebbe liscio, si abbasserebbe il clamore e la riforma passerebbe tranquillamente".

Lo chiede la minoranza Pd, lo propone Scalfari, ma Renzi finora ha risposto di no: dunque?
"La posta è stata alzata troppo, da una parte e dall'altra, anche se in verità ha cominciato Renzi, personalizzando il referendum e legandolo alla sua sorte. Un errore capitale. Penso che lo abbia capito ma ormai non possiamo far finta di non vedere che la partita si è spostata, e si gioca tutta su di lui, da una parte e dall'altra: se mandarlo a casa oppure no. Ci siamo chiesti cosa succede dopo?".

Anche lei prigioniero del "non c'è alternativa"?
"No, io so cosa c'è, è evidente. Renzi va da Mattarella, chiede le elezioni anticipate e le ottiene. Poi resetta il partito purgandolo e lancia una campagna all'insegna del sì o no al cambiamento, con quello che potremmo chiamare un populismo di governo. Votiamo col proporzionale, con questo Senato, e non otteniamo nulla, se non una lacerazione ancora più forte del campo: è davvero quello che vogliamo?".

Ma non le sembra che così lei si stia autoricattando?
"Perché quante volte lei e tante persone di sinistra non hanno fatto la stessa cosa in questi anni? Vuole fingere che non abbiamo votato spesso turandoci il naso? C'è una teoria della cosa, si chiama il "male minore". D'altra parte stiamo parlando della povera politica italiana, non di Aristotele".

E se si trovasse in emergenza una maggioranza per una diversa legge elettorale?
"Illusioni. Se mai, non escludo il contrario. E cioè che Renzi come extrema ratio punti lui a una rottura verticale per ottenere il voto anticipato. E in ogni caso, pensiamo all'effetto che avrebbe sull'opinione pubblica un nuovo fallimento, dopo i tanti che noi abbiamo collezionato. Significherebbe certificare che in Italia il sistema non è riformabile, per due ragioni opposte unite nel "no": chi vede un pericolo autoritario, chi solo dei dilettanti allo sbaraglio".

Sta dicendo che rifiuta il "no"?
"Come ho cercato di spiegare capisco molte delle ragioni del fronte del "no", non il tono e l'impianto generale. Dopo aver detto tutto quel che penso della riforma, considero che realizza per vie traverse e balzane alcuni cambiamenti che volevamo da anni".

Dunque?
"Voterò sì, per uno spirito di responsabilità nei confronti del sistema. Penso che si possa essere apertamente critici e sentire questa responsabilità repubblicana".

Lei è stato tre volte sindaco di una città come Venezia. Pensa che il voto amministrativo potrà modificare il quadro o i rapporti di forza?
"E' inutile girarci intorno, è Milano che decide l'intera partita. Se il Pd perde a Milano, il centrodestra capisce come deve muoversi, ricostruisce un campo, prova a sfondare sul referendum sfruttando la ferita aperta di Renzi".

E a sinistra?
"Nessun segno di vita pervenuto, dunque poche speranze".

Professore, non rischiamo così di incoraggiare un cinismo distruttivo che la sinistra già produce in abbondanza? E proprio mentre una nuova destra al quadrato bussa ai confini con l'Austria e con tutta l'Europa di mezzo?
"Di più. Stiamo coltivando una cultura della sconfitta, guardi com'è ridotta la socialdemocrazia che poco tempo fa governava l'Europa. Oggi è schiacciata da derive di sinistra, come Tsipras, e di destra magari anche al cubo, come Hofer".

E' colpa della crisi o della lettura che la sinistra fa della crisi?
"E' colpa della sua incertezza identitaria. Anche in politica l'identità è tutto, non ci sono solo gli interessi, sia
pure legittimi. La sinistra perde perché è identificata col sistema vigente, anzi con la sua élite, a cui viene imputata la crisi. Ma così perde la sua ragione di stare al mondo che è ancora e sempre una sola: cercare di cambiare lo stato di cose esistente".

© Riproduzione riservata
27 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/27/news/massimo_cacciari-140687187/?ref=HRER2-1
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« Risposta #95 inserito:: Agosto 23, 2016, 11:15:38 pm »

Massimo Cacciari: "Ma quale 'papa straniero', per sfidare Renzi serve team"

Ansa
Pubblicato: 13/08/2016 11:16 CEST Aggiornato: 13/08/2016 12:29 CEST

Nessun 'papa straniero' per guidare la minoranza Pd alla sfida con Renzi, "per carità, il problema è la politica e quelli della sinistra in questi anni non si sono risparmiati nessun errore. Serve un disegno complessivo di società, di sistema, e soprattutto un gruppo dirigente con delle idee". Lo dice Massimo Cacciari a Repubblica.

"I Moro e i Berlinguer nascevano da gruppi dirigenti forti, con delle prospettive chiare. Il carisma va bene ma deve accompagnarsi alle competenze. Altrimenti, se la sinistra si limita alla ricerca di un leader, finisce per scimmiottare Renzi, che ha un'idea carismatica dal Capo, una logica che finisce intrinsecamente per favorire la destra", aggiunge. I componenti della minoranza "devono cercare una squadra, e farlo in fretta, come si faceva nei i vecchi partiti di massa: mettere insieme un gruppo di persone competenti. E dirci cosa pensano davvero del Jobs Act, delle modifiche alla Costituzione che sono necessarie. Finora sono apparsi come quelli della conservazione, al massimo dell'emendamento. Ci sono tante questioni che Renzi neppure affronta, ci dicano cosa vogliono loro".

"Scrivano un documento strategico. Renzi rischia di andare a sbattere, e di portarsi dietro il Paese. Dunque mi pare ora di muoversi". Del team potrebbero far parte Cuperlo e Rossi, "Zingaretti e anche Civati", dice Cacciari. "Serve un mix tra politica e società civile. Basta che taglino il cordone ombelicale con i D'Alema e i Bersani, altrimenti non vanno da nessuna parte".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/08/13/cacciari-papa-straniero_n_11491966.html
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« Risposta #96 inserito:: Ottobre 03, 2016, 10:05:34 am »

Referendum, Cacciari: "Riforma maldestra ma è una svolta. L'attacca chi ha fallito per 40 anni"
Il filosofo, ex deputato e sindaco, fa autocritica: "Anche noi volevamo dare più potere decisionale alla democrazia, il Pci frenò".
"Ora Renzi fa un errore capitale se personalizza il confronto"


Di EZIO MAURO
27 maggio 2016

Massimo Cacciari
Professor Cacciari, lei è una coscienza inquieta della sinistra italiana che ha visto anche all'opera da vicino, quando è stato parlamentare. Si aspettava questa battaglia all'ultimo sangue sul referendum?
"Devo essere sincero? C'erano tutti i segnali. Abbiamo provato a riformare le istituzioni per quarant'anni, e non ci siamo riusciti. La strada della grande riforma sembra un cimitero pieno di croci, i nostri fallimenti. Adesso Renzi forza, e vuole passare. Chi ha fallito si ribella".

Fuori i nomi, professore: chi ha fallito?
"Noi, la mia generazione, a destra come a sinistra. Sia i politici che noi intellettuali. Ci sono anch'io, infatti, insieme con Marramao, Barbera, Barcellona, Bolaffi, Flores, si ricorda? E dall'altra parte, a destra, il professor Miglio alla Cattolica, le idee di Urbani. Eravamo nella fase finale degli anni di piombo, la democrazia faticava. Ragionavamo sulla necessità e sulla possibilità di riformare una Costituzione senza scettro, come dicevamo allora, perché necessariamente era nata con la paura del tiranno. Di fronte alla crisi sociale di quegli anni, pensavamo fosse venuto il momento di rafforzare le capacità di decisione del sistema democratico".

Di cosa avevate timore?
"Si parlava molto del fantasma di Weimar. Ragionavamo su basi storiche, scientifiche, costituzionali. La crisi ci faceva capire come una Costituzione che ostacola un meccanismo di governo forte e sicuro sia debole, perché quando la politica e le istituzioni sono incerte decidono altri, da fuori".

Oggi diremmo la finanziarizzazione, la globalizzazione?
"Certo. Ma non dobbiamo pensare solo alle lobby e all'economia finanziaria o ai grandi monopoli, bensì anche alle tecnocrazie create democraticamente, come le strutture dell'Unione europea, che rischiano in certi momenti di soverchiare la politica".

Come mai quell'idea non ha funzionato?
"Per un ritardo culturale complessivo del sistema, evidentemente. Ma devo dire in particolare per il conservatorismo esasperato del Pci e del suo gruppo dirigente, che parlavano di riforme di struttura per il mondo economico-industriale, ma sulle istituzioni erano bloccati. Dibattiti tanti, convegni dell'istituto Gramsci, qualche apertura di interesse da Ingrao e Napolitano. Ma niente, rispetto alla nostra discussione sul potere e la democrazia".

Per la paura comunista, dall'opposizione, di rafforzare l'esecutivo?
"Un riflesso automatico. Ma vede, noi non parlavamo solo di rafforzare l'esecutivo, è una semplificazione banale. Il potere non è una torta di cui chi vince prende la fetta più grande e chi perde la più piccola, la somma non è zero. Noi volevamo rafforzare tutti i soggetti del sistema democratico. Più potere al governo, dunque, ma con un vero impianto federalista che articola il meccanismo decisionale, e un autentico Senato della Regioni con i rappresentanti più autorevoli eletti direttamente, e non scelti tra i gruppi dirigenti più sputtanati d'Italia, come oggi".

Ma un governo più forte significa un parlamento più debole?
"Non se lo dotiamo di strumenti di controllo e d'inchiesta all'americana, e se è capace di agire autonomamente, senza succhiare le notizie dai giornalisti o dai giudici: un'autorità quasi da tribunato".

Quindi un nuovo bilanciamento, tra poteri tutti più forti? E' questa la riforma che vorrebbe?
"Un potere rafforzato e ben suddiviso. Il potere non si indebolisce se è articolato razionalmente e democraticamente tra i soggetti giusti. E' quando si concentra in poche mani e si irrigidisce che diventa debole".

Non è quello che denuncia Zagrebelsky?
"E' quello che capisce chiunque, salvo chi è digiuno culturalmente. Il potere per funzionare deve essere efficace ma anche articolato come ogni organizzazione moderna. Chi può pensare in questo millennio che si ha più potere se lo si riassume in un pugno di uomini invece di regolarlo con una diffusione partecipata e democratica?".

E' esattamente l'accusa che viene rivolta dal fronte del "no" alla riforma del Senato, non le pare?
"Esattamente proprio no. Manca l'autocritica che sta dietro tutto il mio discorso: la presa d'atto che non siamo mai riusciti a riformare il sistema, pur sapendo che ce n'era bisogno. Diciamola tutta: la nostra idea di rispondere al bisogno di modernizzazione dell'Italia riformando le istituzioni ha contato in questi quarant'anni come il due di coppe quando si va a bastoni. Bisognerà pur prendere atto di questo, e trarne le conseguenze politiche".
Quali?
"Non abbiamo la faccia per dire no a una riforma dopo aver buttato via tutte le occasioni di questi quattro decenni. Non siamo riusciti a costruire nulla di positivo dal punto di vista della modernizzazione del sistema: niente di niente".

E dunque per questo - mi ci metto anch'io - dovremmo stare zitti?
"Dovremmo misurare i concetti, le parole, le proporzioni tra ciò che accade e come lo rappresentiamo. La riforma crea danni ed è autoritaria? Balle: è vero che punta sulla concentrazione del potere, ma la realtà è che si tratta di una riforma modesta e maldestra. La montagna ha partorito un brutto topolino. Erano meglio persino quei progetti delle varie Bicamerali guidate da Bozzi, De Mita e D'Alema, più organici e articolati, anche se centralisti e nient'affatto federalisti".

Ma la critica sulla concentrazione oligarchica del potere è la stessa di Zagrebelsky, no?
"Certo ma, ripeto, non condivido certi toni da golpe in arrivo, che non sono di Zagrebelsky. Il vero problema, secondo me, non è una riforma concepita male e scritta peggio, ma la legge elettorale. Qui sì che si punta a dare tutti i poteri al Capo. Anzi, le faccio una facile previsione: se si cambiasse la legge elettorale, correggendola, tutto filerebbe liscio, si abbasserebbe il clamore e la riforma passerebbe tranquillamente".

Lo chiede la minoranza Pd, lo propone Scalfari, ma Renzi finora ha risposto di no: dunque?
"La posta è stata alzata troppo, da una parte e dall'altra, anche se in verità ha cominciato Renzi, personalizzando il referendum e legandolo alla sua sorte. Un errore capitale. Penso che lo abbia capito ma ormai non possiamo far finta di non vedere che la partita si è spostata, e si gioca tutta su di lui, da una parte e dall'altra: se mandarlo a casa oppure no. Ci siamo chiesti cosa succede dopo?".

Anche lei prigioniero del "non c'è alternativa"?
"No, io so cosa c'è, è evidente. Renzi va da Mattarella, chiede le elezioni anticipate e le ottiene. Poi resetta il partito purgandolo e lancia una campagna all'insegna del sì o no al cambiamento, con quello che potremmo chiamare un populismo di governo. Votiamo col proporzionale, con questo Senato, e non otteniamo nulla, se non una lacerazione ancora più forte del campo: è davvero quello che vogliamo?".

Ma non le sembra che così lei si stia autoricattando?
"Perché quante volte lei e tante persone di sinistra non hanno fatto la stessa cosa in questi anni? Vuole fingere che non abbiamo votato spesso turandoci il naso? C'è una teoria della cosa, si chiama il "male minore". D'altra parte stiamo parlando della povera politica italiana, non di Aristotele".

E se si trovasse in emergenza una maggioranza per una diversa legge elettorale?
"Illusioni. Se mai, non escludo il contrario. E cioè che Renzi come extrema ratio punti lui a una rottura verticale per ottenere il voto anticipato. E in ogni caso, pensiamo all'effetto che avrebbe sull'opinione pubblica un nuovo fallimento, dopo i tanti che noi abbiamo collezionato. Significherebbe certificare che in Italia il sistema non è riformabile, per due ragioni opposte unite nel "no": chi vede un pericolo autoritario, chi solo dei dilettanti allo sbaraglio".

Sta dicendo che rifiuta il "no"?
"Come ho cercato di spiegare capisco molte delle ragioni del fronte del "no", non il tono e l'impianto generale. Dopo aver detto tutto quel che penso della riforma, considero che realizza per vie traverse e balzane alcuni cambiamenti che volevamo da anni".

Dunque?
"Voterò sì, per uno spirito di responsabilità nei confronti del sistema. Penso che si possa essere apertamente critici e sentire questa responsabilità repubblicana".

Lei è stato tre volte sindaco di una città come Venezia. Pensa che il voto amministrativo potrà modificare il quadro o i rapporti di forza?
"E' inutile girarci intorno, è Milano che decide l'intera partita. Se il Pd perde a Milano, il centrodestra capisce come deve muoversi, ricostruisce un campo, prova a sfondare sul referendum sfruttando la ferita aperta di Renzi".

E a sinistra?
"Nessun segno di vita pervenuto, dunque poche speranze".

Professore, non rischiamo così di incoraggiare un cinismo distruttivo che la sinistra già produce in abbondanza? E proprio mentre una nuova destra al quadrato bussa ai confini con l'Austria e con tutta l'Europa di mezzo?
"Di più. Stiamo coltivando una cultura della sconfitta, guardi com'è ridotta la socialdemocrazia che poco tempo fa governava l'Europa. Oggi è schiacciata da derive di sinistra, come Tsipras, e di destra magari anche al cubo, come Hofer".

E' colpa della crisi o della lettura che la sinistra fa della crisi?
"E' colpa della sua incertezza identitaria. Anche in politica l'identità è tutto, non ci sono solo gli interessi, sia pure legittimi. La sinistra perde perché è identificata col sistema vigente, anzi con la sua élite, a cui viene imputata la crisi. Ma così perde la sua ragione di stare al mondo che è ancora e sempre una sola: cercare di cambiare lo stato di cose esistente".

© Riproduzione riservata 27 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/27/news/massimo_cacciari-140687187/
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« Risposta #97 inserito:: Ottobre 10, 2016, 12:03:07 pm »

Intervista

"M5S? Banale chi lo riduce a populismo"
Parla il filosofo Massimo Cacciari.
A cui abbiamo chiesto se quella attraversata dai pentastellati è una crisi o una metamorfosi.
E da domenica in edicola sull'Espresso il nostro approfondimento con una "Critica della Ragion Grillina"


Di Luca Sappino
07 ottobre 2016

La morte di Casaleggio, la sfida di Roma e Torino, un nuovo statuto. Quella attraversata dal Movimento 5 stelle nell'ultimo anno è una crisi o solo una metamorfosi, come la definiamo nella copertina che dedichiamo al Movimento, in edicola da domenica?
«Non vedo né una crisi né una metamorfosi. Il Movimento 5 stelle sta semplicemente proseguendo il suo percorso, dritto sulla sua linea. Che è l'unica che può percorrere, peraltro, un movimento dalla natura così composita, che mette insieme diverse culture, diversi orientamenti politici, diverse classi sociali e anche diverse fasce anagrafiche, perché mi dovreste anche spiegare cosa c'entra Beppe Grillo con i suoi giovani attivisti. Niente, ecco cosa. Ma Grillo, che è un prodotto degli anni '80, un leader un po' situazionista e anarchico, è riuscito a trovare un collegamento e tenere tutto insieme con questa sorta di religione del web, di cui lui per primo si è dovuto convincere».

Giuliano Ferrara sul Foglio dà una lettura radicale, ma per molti fondata, della crisi romana. «A Roma», dice l'ex direttore, «non è in crisi solo una sindaca e un'assessora. È in stato patologico un intero progetto antipolitico fondato sul pressappochismo, la demagogia, l'inettitudine, l'obliquità, l'uso sbagliato del congiuntivo». C'è del vero?
«Quelle di Ferrara sono le parole di un avversario politico. Sono banali. Non c'è analisi ma solo demonizzazione, un po' come quando si accusa il Movimento di populismo».

Che però è sicuramente una cifra del Movimento, peraltro spesso mischiato a una buona dose di bufale. No?
«Ma non è una cifra anche di Renzi quando tira fuori ponti e tredicesime per vincere una campagna elettorale?»

L'Espresso in edicola dal 9 ottobre
Sono tempi farciti di populismo e retorica, in effetti. Siamo condannati alla semplificazione imperante?
«Lo siamo perché la politica è impotente e si rifugiata nelle frasi fatte. La politica contemporanea ricorre ossessivamente alla retorica, in un modo stucchevole, perché oggi, nel mondo, è difficilissimo impostare una strategia politica complessiva e quindi complessa. È l'impotenza della politica che genera il populismo e poi l'antipolitica, che non è, come si pensa, l'avversione per questa o quella casta, per i deputati o i consiglieri che rubano. Lo è superficialmente, sì, ma in realtà l'antipolitica è la rabbia contro una politica impotente, che non risponde alle domande della gente, che nel frattempo si sono anche moltiplicate».

Che il Movimento 5 stelle sia un movimento antipolitico è però innegabile.
«Lo è perché non ha capito i termini della crisi politica che stiamo vivendo. I 5 stelle non capiscono che intendendo l'antipolitica come anticasta stanno segando lo stesso ramo su cui sono seduti, perché il tema della politica e delle istituzioni impotenti riguarda anche loro. E se ne stanno accorgendo a Roma, ad esempio, dove non poteva che andare così».

Non poteva che andare diversamente il debutto di Virginia Raggi?
«Chiunque a Roma avrebbe combinato quel che sta combinando Raggi, cioè niente. E la ragione è la stessa per cui a Torino, invece, chiunque se la sarebbe cavata come pare se la stia cavando Appendino. È la stessa ragione per cui a Milano Sala avrà vita facile. La complessità di Roma, e la disfatta della sua elité dirigente, fa uscire fuori tutta l'impotenza della politica».

Che però dovrebbe riuscire a nominare almeno i suoi staff…
«Le difficoltà nella nomina degli staff o nella ricerca di un assessore sono sempre il frutto della natura composita del Movimento. Che ovunque, ma a Roma ancora di più, ha messo insieme anime diversissime. Le difficoltà sugli staff altro non sono che difficoltà di sintesi, di sintesi politica tra la destra e la sinistra che si vorrebbero tenere insieme».

La copertina con l'approfondimento sulle aporie del Movimento 5 Stelle e gli esempi di governo locale dalla Sicilia a Torino; le tangenti in Sud America; il sistema di potere di Malagò. Questo e molto altro sull'Espresso in edicola domenica con Repubblica a 2,5 euro e il resto della settimana a 3 euro
Non attraverso un'ideologia, ma il Movimento 5 stelle è uno dei più vasti esempi di mobilitazione e partecipazione, in Italia. Cos'è che tiene insieme gli attivisti 5 stelle?
«A me pare che molti Paesi, in Europa e non solo, abbiano avuto un loro movimento simile, anche se altrove, come in Spagna o in Grecia, si è caratterizzato più a sinistra. In tutti questi casi, però, a tenere insieme attivisti e elettori non è il movimento o il partito che poi li rappresenta ma la rabbia stessa, l'insoddisfazione, i bisogni e i desideri a cui non si trova risposta. Oggi i movimenti politici sono infatti variabili dei movimenti sociali - e qui sta la differenza fondamentale con i partiti di massa novecenteschi».
Per il sociologo Biorcio il Movimento 5 stelle si sta istituzionalizzando, si sta facendo un po' partito nel confrontarsi con l'esigenza di un'organizzazione imposta dall'avvento al potere e dal fallimento dello strumento del Direttorio...
«Qualunque organizzazione scelgano di darsi, il grande pericolo è che questi pseudo-partiti non siano comunque in grado di metabolizzare la protesta sociale. Che è una funzione fondamentale dei partiti a cui questi hanno in effetti rinunciato. Hanno rinunciato alla funzione educativa e di filtro che i partiti hanno sempre rappresentato le molteplici domande che arrivano e le istituzioni. Loro preferiscono inseguire, che in effetti è più comodo».

«Eravamo orgogliosi di avere solo un megafono, ora molti si dicono contenti di avere “finalmente” un capo», dice Pizzarotti. Grillo non è riuscito - ammesso che mai abbia voluto - a fare il passo di lato. Ci si può sottrarre oggi alla politica leaderistica?
«Si può, teoricamente. Ma i leader sono il surrogato di tutto quello che i partiti non sono più, e che non è quindi il Movimento. Grillo ha capito che senza di lui manca un centro, che se togli il leader carismatico non c'è più un punto di orientamento. Vale per il Movimento, vale per Forza Italia con Berlusconi, vale per il Pd».

Per il Pd?
«C'è qualcosa di simile nelle zucche di Bersani e Renzi?».
Sembrerebbe di no. Ma allora il problema, si dovrebbe dire, è stato fare il Pd, tenere insieme due culture politiche diverse, fare un contenitore che potesse, un po' come il Movimento, raccogliere l'intera società...
«No, no. È semplicemente la nostra epoca. Culture diverse possono convivere se poi ci sono anche gli strumenti per fare sintesi, gli strumenti che avevano i partiti, e se la proposta politica si può mantenere complessa. Oggi non è così».

    © Riproduzione riservata
07 ottobre 2016

Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2016/10/07/news/che-banalita-accusare-il-movimento-5-stelle-di-populismo-1.285385?ref=HEF_RULLO
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« Risposta #98 inserito:: Novembre 11, 2016, 06:10:36 pm »

Trump, Cacciari: “Per i tecnocrati la partecipazione è un optional. Così trionfa il voto anti establishment”
Il filosofo ed ex sindaco di Venezia analizza le ragioni politiche e sociali dell'elezione del repubblicano alla Casa Bianca: "È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di centrosinistra. Dall’immigrazione al lavoro, "la politica diventa populista solo in campagna elettorale.
E senza più la sinistra, contro la 'destra cattiva' in Italia non resta che Grillo"


Di Fabrizio d’Esposito | 10 novembre 2016

Il Sistema, con la maiuscola, ormai esplode ovunque, non solo in Europa. Il professore Massimo Cacciari, filosofo nonché ex sindaco di Venezia, per lustri ha tentato invano di dare contenuti a un riformismo vero per il centrosinistra italiano.

La sconfitta di Hillary Clinton rade al suolo un’epoca. Un quarto di secolo a discettare di Terza Via, ulivismo mondiale, sinistra liberal e altre amenità.
È in atto un movimento contro le tradizionali forme di rappresentanza, non solo di sinistra o centrosinistra. Lo stesso Trump ha vinto nonostante il Partito Repubblicano. Una riflessione analoga si può fare per la Brexit. Io uso questo termine: secessio plebis.

Secessione della plebe. Il popolo. La sinistra, appunto, com’era una volta.
Ovviamente l’effetto del tracollo è più eclatante per le forze democratiche e socialdemocratiche perché sono state soprattutto loro a non comprendere i fenomeni che ci hanno condotto a tutto questo.

L’elenco è lunghissimo.
La moltiplicazione delle ingiustizie e delle diseguaglianze; il crollo del ceto medio; lo smottamento della tradizionale base operaia; l’incapacità di superare lo schema di welfare basato sulla pressione fiscale. Oggi l’unico sindacato che conta è quello dei pensionati e a mano a mano che si pensionavano i genitori sono emersi i figli precari, i figli pagati con il voucher, i figli ancora a carico della famiglia.

La classe dirigente, a destra come a sinistra, ha pensato solo a diventare establishment.
Non è solo questo perché non era semplice prevedere cambiamenti colossali e un Churchill o un Roosevelt non nascono in ogni epoca. Anzi.

Quasi trent’anni fa ormai, in Italia furono pochissimi, tra cui lei, a capire movimenti come la Lega.
Avevi voglia a dire che a Vicenza gli operai votavano Lega oppure che la sinistra a Milano la sceglievano solo contesse e contessine di via Montenapoleone.

Adesso Bersani, per quel che vale, dice: “Basta con la retorica blairiana”.
La sinistra è stata a rimorchio delle liberalizzazioni e dei poteri forti. Ma l’immagine di una donna liberal di sinistra a Wall Street è una contraddizione in termini.

L’ex comunista Napolitano, oggi presidente emerito della Repubblica, se la prende pure con il suffragio universale.
Ecco, appunto. È la conferma che le élite liberal si sono adeguate al trend burocratico e centralistico.

La tecnocrazia al posto delle elezioni.
La partecipazione è diventata un optional.

Di qui la secessio plebis. O il populismo, se vuole.
A me non interessa come definire il fenomeno, a me preme capirlo. Tutti sono populisti in campagna elettorale. Francamente il punto non è questo. Io voglio comprendere questi fenomeni sociali, poi chi li rappresenta può avere un tono o l’altro.

Ora tocca all’Europa.
Dove gli effetti dell’immigrazione sono devastanti. Ma è necessario fare una premessa: l’Europa non sono gli Stati Uniti.

Cioè?
Dove c’è un impero la politica la fa l’impero.

Non Trump, quindi.
Esatto. In fondo basta sentire le sue prime dichiarazioni concilianti.

In Europa, invece?
La storia è matematica, non sbaglia mai. E in assenza di politiche efficienti e credibili, non banali promesse, ci sono tre tappe nel nostro continente. La prima è quella del malcontento o della secessio plebis di cui ho già parlato.

Poi?
Sparare contro i Palazzi, infine l’affermazione di una destra cattiva anti-immigrazione. Penso a Le Pen, Farage, Orban, Salvini e Meloni.

Grillo no?
No, Grillo non fa parte di questa destra cattiva. Ho scritto un articolo su chi saranno i Trump d’Europa e concludo proprio così: in Italia non resteranno che i Cinquestelle.

Un argine contro la peggiore destra.
Renzi si è fatto establishment. Per questo i suoi tentativi populistici puzzano parecchio.

Quale sarà l’effetto Trump sul referendum del 4 dicembre, se ci sarà?
Vedo due tendenze. Da un lato può galvanizzare le forze che vogliono mandare Renzi a casa.

Dall’altro?
In questo clima, gli italiani potrebbero scegliere l’opzione ritenuta più tranquilla e meno traumatica, cioè il Sì.

Di Fabrizio d’Esposito | 10 novembre 2016

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« Risposta #99 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:46:38 pm »

Referendum, Massimo Cacciari: "Campagna faraonica e da megalomane: Renzi ha perso ogni autorevolezza"

Repubblica
Pubblicato: 05/12/2016 08:59 CET Aggiornato: 05/12/2016 15:44 CET

È netto e impietoso il giudizio di Massimo Cacciari sul successo del No al referendum. “La responsabilità di questo risultato - dice in una intervista a Repubblica - è al 99 per cento del presidente del consiglio Renzi e della sua scriteriata presunzione. Ha creduto che il referendum sulla riforma costituzionale fosse il terreno buono su cui porre la propria egemonia. Ha perso la scommessa, ma ha così condotto il paese in una situazione di grande difficoltà".

    Professor Cacciari, dimissioni inevitabili per Renzi?
    «Renzi non ha più in alcun modo l’autorevolezza per essere la guida del paese, ma nel senso che occorre approvare la legge di stabilità, quindi fare la legge elettorale e trovare il consenso presso le attuali opposizioni. E non credo che Grillo sia disposto a concedere un’unghia...».

    Quale è il suo stato d’animo?
    «Sono preoccupato, preoccupatissimo, perciò dicevo di votare Sì al referendum. Ma con le “capre pazze” è impossibile ragionare. E la prima è il presidente del consiglio che ha condotto questa battaglia referendaria con istinti suicidi».

    Non doveva personalizzare?
    «Personalizzando come ha fatto, ha coalizzato tutte le opposizioni trasformando il referendum sulla Carta in un referendum su di sé. Se l’avesse condotta pacatamente questa campagna, senza la propaganda faraonica su tutte le reti della tv di Stato, il risultato sarebbe stato diverso».

Quanto al futuro del presidente del Consiglio, Cacciari non reputa finita la sua carriera politica

    "È un animale politico, non rinuncerà alla lotta politica. Si preparerà a sua volta per le prossime elezioni. Farà il partito di Renzi. In Italia c’è stata una legge sul divorzio e nel Pd lo capiranno: Renzi si farà il suo partito, gli altri il loro e potrebbe essere la soluzione ragionevole per rilanciare il centro sinistra: da un lato il patto di centro con Renzi e Ncd, all’altro la sinistra. La profezia è per una legge proporzionale con sbarramento del 3%, e debolissimo premio di coalizione. Un paese che s’impegna va a votare e dice che questo premier non va".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/05/referendum-cacciari-renzi_n_13423732.html
 
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« Risposta #100 inserito:: Dicembre 17, 2016, 01:56:25 pm »

Cacciari contro "Lady like": «Moretti che c... dice? Berlusconismo puro»
Di Redazione Online

VENEZIA - Cacciari demolisce "Lady like" e la politica "piaciona" propugnata con forza da Alessandra Moretti, candidata in pectore con il Pd alle prossime Regionali del Veneto, che in un'intervista ha rivendicato il proprio appuntamento settimanale con l'estetista come segno di rispetto nei confronti dell'elettorato oltre che di cura verso se stessa.

«Che c... dice? Un'intervista orribile, ha detto una sciocchezza: la Moretti dimostra di non conoscere la storia di questo Paese - ha replicato l'ex sindaco di Venezia ai microfoni de "La Zanzara" su Radio24 - Ho conosciuto tra le appassionate di politica alcune delle donne più belle, come la Rossanda e la Castellina. E poi una volta l'aspetto fisico era del tutto indifferente».

Cacciari rivela che voterà a Venezia e attribuirà la propria preferenza all'ex vicesindaco di Vicenza: «Non vorrà mica che voti Zaia» ha replicato al conduttore de "La Zanzara" Giuseppe Cruciani. «La Moretti ha detto una sciocchezza, ma si può perdonare, sono giovani: se sarà il candidato del centrosinistra la voterò».

Anche se più di qualche riserva sulla novella "Lady like" il filosofo veneziano non lo nasconde: «Sono un po' imbarazzato - osserva -. L'esibizione di queste cose scontate, come il fatto di tener cura del proprio aspetto esteriore, è la scoperta dell'acqua calda. E Il modo in cui si dicono queste cose è berlusconismo puro, così come questo insistere sulla cura del corpo e sul voler apparire a tutti i costi: è quello che ha portato Berlusconi a dipingersi i capelli sul cranio».

Colpa del degrado dei costumi, comunque, più che dell'eurodeputata vicentina. «E' la politica che è allo sbraco - ammette Cacciari - Alle spalle c'è un ventennio sciagurato, si è perso il senso del gusto E' un crollo etico-estetico-culturale, la Moretti ne è il sintomo, è tra le giovani rampanti che ha fatto comunque esperienze amministrative. Sicuramente di tutte le "renzine" è la più attrezzata».

Giovedì 20 Novembre 2014, 15:20

Da - http://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/massimo_cacciari_alessandra_moretti_bellezza_intervista_zanzara-706618.html
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« Risposta #101 inserito:: Febbraio 04, 2017, 06:10:18 pm »

Cacciari: “Basta con il mondo di ieri, nessuna sinistra oggi può vincere in Europa”
Filosofo. L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari

Pubblicato il 31/01/2017 - Ultima modifica il 31/01/2017 alle ore 12:35

FRANCESCA PACI
ROMA

La crisi della sinistra è venuta a noia a Massimo Cacciari, che pure l’ha indagata a fondo come pochi. Ma, nella difficoltà di afferrare il nuovo ordine (o disordine) globale, il Novecento si prende la rivincita sulla Storia e ci riporta sempre al punto di partenza, tornando a proporre le logiche politiche di ieri. 

Cosa possiamo dedurre dal trionfo di Hamon, la sinistra della sinistra francese? 
«Ma di quale trionfo parliamo? Di quale vittoria parliamo? Il problema, in Francia e nel resto d’Europa, non è quale sinistra o cosiddetta sinistra vinca le elezioni interne ma se la sinistra ce la fa poi alle elezioni che contano. E la risposta è no. È già capitato che alle primarie del centro-sinistra, anche alle primarie locali, prevalesse la sinistra sinistra. Come Hamon a Parigi, a Venezia a suo tempo passò Casson. Ma poi si perde regolarmente. Nessuna sinistra, socialdemocratica o meno, può vincere oggi in Europa».
 
Allora rovesciamo la domanda: perché la sinistra non vince più? 
«Ecco la domanda giusta. E la risposta è che ci sono ragioni storiche e strutturali, ragioni obiettive. Da una parte è venuta meno la classe operaia, il suo blocco sociale di riferimento, dall’altra la sinistra non ha capito la crisi fiscale dello Stato. Non c’è più spazio per la sinistra tradizionale, che si ricicli o meno. Certamente non c’è più spazio per i D’Alema e i Bersani. Ma in realtà non ce ne sarebbe neppure per i grandi leader socialdemocratici del passato come Willy Brandt, e non solo perché sono morti ma perché il mondo è cambiato e la sinistra tradizionale appartiene al mondo di ieri. Esattamente come la destra».
 
La destra, no. Altrimenti come spieghiamo l’elezione di Trump? 
«Trump non viene dalla destra tradizionale, tanto che i repubblicani non lo volevano. La destra tradizionale non c’è più, non vengono da quella esperienza né i Grillo, né i Salvini e neppure i pro Brexit del Regno Unito, dove i Tory erano piuttosto europeisti come Churchill. L’unica forza politica un po’ riconducibile al passato è Fratelli d’Italia, che però, non a caso, conta il 2%. Allo stesso modo Renzi non viene dalla sinistra tradizionale. Tutto questo è il mondo di ieri. Basta pensare che la prima clamorosa mossa di Trump è stata riavvicinarsi a Putin e che nel frattempo Putin si è ancor più clamorosamente avvicinato alla Turchia per intuire la portata del cambiamento rispetto al quale i concetti di destra e sinistra non spiegano più niente. O capiamo che i parametri del passato sono finiti, e non per incultura ma per motivi strutturali, o andremo incontro alla catastrofe». 
 
I nuovi populismi intercettano il cambiamento in corso: saranno anche in grado di governarlo? 
«La parola populismi dice poco o nulla. Sono forze a volte più di destra, a volte più di sinistra e di sicuro non si oppongono al cambiamento in corso e non sono in grado di interpretarlo. Ma almeno rappresentano la testimonianza della fine delle politiche tradizionali e dei mutamenti radicali di questi anni. Oggi diciamo “populismi” come le antiche carte geografiche dicevano “hic sunt leones” per indicare le zone inesplorate: ci sembra che il problema siano loro ma il problema è capire dove andiamo smettendola di ragionare con gli schemi del passato». 
 
Gli schemi del passato comprendono le probabilmente obsolete categorie destra e sinistra ma comprendo anche il rapporto tra capitale e lavoro, che invece sembra ancora piuttosto attuale. O no? 
«Anche il capitale e il lavoro non sono più gli stessi. Il capitalismo si è deterritorializzato, lo Stato nazionale non ha più la sovranità politica sui flussi di capitale, il lavoro dipendente è ormai polverizzato e non si organizza più come faceva nell’800 e nel ’900 nei grandi opifici. In realtà sarebbe bastato leggere Marx con attenzione per capire come sarebbe andata a finire, ma ormai ci siamo. Le diseguaglianze globali crescono a dismisura e in modo intollerabile. Questo è un colossale problema che prima o poi potrebbe far scoppiare tutto anche perché le grandi potenze politiche non sono per loro natura capaci di affrontarlo». 
 
Cosa potrebbe fare la politica se, come suggerisce, decidesse di togliersi gli occhiali del passato? 
«Dovrebbe provare a capire e soprattutto dire la verità. Oggi il massimo che un politico può fare è essere onesto. Bisogna smetterla con le chiacchiere e invece elencare le poche cose che si possono fare illustrando come potrebbero funzionare meglio coordinandosi con altri. È assurdo continuare a sbandierare la sovranità illimitata che i politici non hanno più. Sono personalmente molto felice di questo intermezzo di Gentiloni in Italia, perché non dice un gran ché ma almeno non promette nulla».
 
Per quanto sia ancora una volta il mondo di ieri: ha ragione il filosofo sloveno Slavoj Žižek, quando sostiene che la destra cresce cavalcando i temi che un tempo appartenevano alla sinistra? 
«In qualche modo sì. Bisogna guardare ai problemi con modestia. Il lavoro non è più “massa” come quello del passato e i politici non l’hanno capito. I sindacati, per esempio, dovrebbero iniziare a occuparsi del lavoro dipendente disperso, della galassia del lavoro giovanile, del precariato a 500 euro al mese, dei cosiddetti voucher». 
 
A onor del vero qualcuno in Europa ci prova. Il francese Hamon ne parla e anche Martin Schulz si è candidato contro la Cancelliera Merkel per recuperare terreno con le classi operaie migrate dalla socialdemocrazia alla nuova destra. Non è così? 
«Sinceramente mi auguro che in Germania vinca la Merkel, speriamo che prevalga alle elezioni e diventi leader: all’orizzonte la Cancelliera tedesca è l’unica che possa farlo. Lo ripeto: nessun partito socialdemocratico può oggi vincere in Europa. È passato il tempo. Vent’anni fa Tony e Blair e Clinton interpretarono la svolta epocale accodandosi al flusso egemonico della globalizzazione vincente senza alcuna critica. Da allora è andata sempre peggio, le sinistre hanno fatto tutti gli errori possibili, dal seguire l’America nelle sue scellerate guerre alla risposta, quella risposta, alle primavere arabe. E poi ancora, la Grecia, la Brexit, una sequenza di scelte sbagliate. Accodarsi come fecero Blair e Clinton non è una scelta politica ma sub-politica».
 
C’è ancora spazio per l’ambizione dei giovani ad avere un sogno? 
«Poco. Ma è pessimo che i politici facciano finta di niente promettendo loro la sovranità illimitata che non hanno, come avvenuto in Italia negli ultimi tempi. Bisogna spiegare ai giovani come stanno le cose invece di elargire elemosina, come nel caso degli 80 o i 500 euro». 
 
Il reddito di cittadinanza è un buon punto di partenza? 
«Quella è la strada giusta. Se ci illudiamo che ci sarà di nuovo uno sviluppo capace di produrre più lavoro sbagliamo. È ancora il mondo di ieri, quello in cui si credeva che la rivoluzione tecnologica avrebbe aperto nuovi settori. È un fatto: sebbene in occidente la ricchezza continui a crescere si riducono le chance per il lavoro. Ma non per questo bisogna lasciare la gente senza le risorse minime. È una delle poche cose serie e vere dette dal Movimento 5 Stelle: bisogna sganciare le aspettative di vita dal fatto che si lavori, non è impossibile da fare né disastroso. Il reddito di cittadinanza o come altro viene chiamato passa per un’utopia mentre è un approccio pragmatico, solidale e può ricostruire una comunità».
 
Solidale, comunità: non sono parole del mondo di ieri? 
«Da Aristotele a oggi non esiste comunità che possa esistere funzionando solo come un condominio. È razionale, logico. In un condominio, ammesso che sia vero, puoi startene chiuso in casa ma in un Paese, a livello nazionale, è difficile. L’America non funziona come un condominio e neppure la Russia e la Cina: o l’Europa lo capisce e smette di comportarsi come fosse un condominio dove si fanno solo i conti comuni o ci faranno il mazzo. Dobbiamo ragionare per provare a evitare il disastro oppure siamo finiti. Parlo dell’Europa ma anche dell’Italia. Ci sono già delle avvisaglie per noi, abbiamo votato no per salvare la Costituzione e adesso sarà tutto più difficile, ci chiederanno una manovrina, vedremo. Dovremmo ricordarci della Grecia, ho letto che in tre anni di Troika la ricchezza è diminuita del 35%. E voi credete che qui potremmo reggere misure di austerità del genere imposte ad Atene? Pensate che in Italia passerebbero senza sparare? I greci hanno retto ma le condizioni sono diverse, e non parlo solo di dimensione: se cadi dal primo piano puoi sperare di salvarti ma se cadi dal terzo piano crepi». 
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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/01/31/esteri/cacciari-nessuna-sinistra-oggi-pu-vincere-in-europa-XjpZFNtE6UsNwaUCay6rNI/pagina.html
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« Risposta #102 inserito:: Gennaio 24, 2018, 11:41:35 pm »

Cacciari: «Caro Matteo, ascolta il mio consiglio…»
«Non c’è alternativa a Renzi al momento. Le opposizioni non sono riuscite a creare una soluzione credibile, mi auguro che l’azione renziana prosegua»
«Non c’è alternativa a Renzi al momento. Le opposizioni non sono riuscite a creare alcuna soluzione credibile, per questo mi auguro che l’azione renziana prosegua». Massimo Cacciari non è mai stato un renziano, eppure spera senza trasporto nelle capacità politiche del nuovo segretario Pd «altrimenti il Paese potrebbe finire tra le braccia dei vari Salvini e Meloni». Che però, sottolinea, non sono la stessa cosa del Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, per Cacciari, rimane ancora una grande incognita: «Un giorno è anti europeista e l’altro no, un giorno vuole uscire dalla moneta unica e l’altro cambia idea, un giorno dice delle cose sugli immigrati e l’altro esprime opinioni diverse. L’affidabilità del Movimento 5 Stelle, per il momento, è pari a zero».

Professore, partiamo dalle primarie. Lei ha votato?
No, non sono andato. Le primarie fatte così si riducono a un po’ di comizietti senza alcuna preparazione seria, non ci sono documenti degni di questo nome su cui sia possibile aprire un ragionamento. Si presentano solo squadre e personaggi. Non mi convincono per nulla. In più, nessuno dei tre contendenti mi sembrava adeguato.

Che partito sarà il nuovo Pd?
Sarà il partito di Renzi. La trasformazione dell’idea originaria del Pd si è compiuta. Sarà saldamente in mano al segretario che con la storia delle anime che hanno dato vita al partito non c’entra niente. Un partito nuovo. Qualcosa di analogo a ciò che è successo in Francia con Macron: sostanzialmente si tratta di movimenti personali, tutti concentrati sul leader.

Per lei il Pd non fa più parte della famiglia socialista?
Ma questo è il segreto di pulcinella. È dall’inizio che il Pd non c’entra nulla con quella tradizione. È un ibrido: né in continuità con la socialdemocrazia, né col popolarismo. Non è mai riuscito a trasformare la sua eredità in modo produttivo, è nato come assemblaggio di vecchi leader ed è naufragato come si meritava.

Dopo la vittoria, Renzi ha utilizzato la parola «umiltà». Sarà un segretario diverso rispetto al precedente, quello che voleva rottamare la “ditta”?
Sarà costretto a utilizzare un metodo diverso, altrimenti ci sarà un’emorragia continua da quel partito, come negli ultimi due o tre anni. Renzi dovrà fare i conti con alcune componenti interne e mediare. In ogni caso, per ora, il partito è saldamente nelle sue mani, perché i voti ha dimostrato di averli lui e basta. Ma certamente accontenterà, per quanto riguarda i posti in lista, le correnti.

A gazebo ancora “caldi”, è già scoppiata la polemica sui risultati reali tra renziani e orlandiani. Normali scaramucce post elettorali?

Tutte puttanate. Renzi ha stravinto come era previsto, punto e basta. È chiaro che per Orlando, Emiliano e ancor di più per Franceschini, che è il vero pericolo per Renzi, si porrà la questione di ottenere il massimo dal capo.

Ci saranno altre fuoriuscite dal Pd?
Se in tanti verranno fatti fuori dalle compilazione delle liste è possibile.

Ora però si pone il problema delle elezioni, quelle vere. E con ciò che resta dell’Italicum legge elettorale è probabile che non vinca nessuno…
Con l’attuale legge elettorale sarà possibile solo un governo di coalizione. Renzi vuole un sistema che premi in maniera consistente la lista maggioritaria, sfidando su questo terreno il Movimento 5 Stelle che la pensa allo stesso modo. Ma il segretario è disposto a votare anche con una legge sostanzialmente proporzionale, alleandosi dopo con Berlusconi se necessario. Credo che alla fine proveranno a modificare leggermente la legge per renderla omogenea nei due rami del Parlamento, ma il premio alla coalizione lo vuole solo Forza Italia per obbligare la Lega a rimanere alleata.

Renzi, a differenza dello sconfitto Orlando, esclude alleanze a sinistra con chi è uscito dal Pd. È un errore di valutazione o una chiusura scontata?
Come si fa a dialogare il giorno dopo della scissione? Il dialogo riprenderà se ci sarà il problema di formare il governo. Se i voti della sinistra sinistra saranno necessari, il segretario del Pd non avrà alcuna difficoltà a riaprire il dialogo. Il problema, però, è capire cosa cosa vuole fare Renzi da grande. Perché se si ostina con l’idea “premier o morte” gli scenari si complicano.

Pensa che Renzi possa rinunciare alla premiership in caso di vittoria?
Difficile, lui ha quel carattere lì, ma prima di perdere tutto ci penserà due volte. Di certo, giocherà d’azzardo fino all’ultimo, cercherà di fare il premier con qualunque coalizione, ma è difficile che provi un colossale bluff rischiando di rimanere con niente in mano.

Pochi giorni fa, Marco Travaglio ha spiazzato tutti proponendo un’alleanza di governo Pd- 5Stelle. È solo un’ipotesi originale o una possibilità concreta?
È possibile, lo dico anch’io da mesi, però solo ad alcune condizioni: Renzi dovrebbe rinunciare al premierato, il Movimento 5 Stelle dovrebbe battere il Pd alle elezioni e dovrebbe mettersi in moto un processo di avvicinamento tra i due partiti da qui alle Politiche, altrimenti apparirebbe come un tradimento clamoroso dell’elettorato.

Pd e M5S, in una campagna elettorale perenne, continuano a scambiarsi attacchi violentissimi. Sembra complicato immaginarli alleati…

È molto complicato, però non si può escludere. Primum vivere deinde philosophari, questa volta i grillini non possono permettersi il lusso magari di vincere e di rinunciare a governare. Difficilmente verrebbero perdonati.

Come potrebbe il Pd sostenere il suo più acerrimo avversario, e viceversa, proprio mentre i due partiti si allontanano su temi fondamentali come l’immigrazione?
Ormai i partiti sono privi di ogni ubi consistam, di ogni fondamento strategico, ideologico e sociale. È l’epoca del trasformismo scatenato, quindi tutto è possibile. Per un governo Pd- M5S è necessario che si verifichino le due variabili di cui parlavo prima: che Grillo vinca le elezioni e che Renzi rinunci a Palazzo Chigi. Il resto è solo questione di abilità politica che consenta ai due partiti di avvicinarsi sotto qualche forma. O su qualche tema, che potrebbe essere la politica del lavoro.

Anche su questo tema Pd e 5 Stelle sembrano distanti anni luce. Grillo propone il reddito di cittadinanza, Renzi risponde col lavoro di cittadinanza…
Sì, è vero, ma per entrambi si pone la questione decisiva di fornire una risposta seria al problema dell’occupazione e del reddito. Questo sarà un tema determinante anche dal punto di vista dell’appeal elettorale. Certo, c’è il tema dell’immigrazione e quello della sicurezza, ma ciò che deciderà l’esito del voto saranno le questioni sociali, economiche, occupazionali.

Quanto peserà il voto francese sulle elezioni italiane?
Tanto. Come peserà tanto anche il voto tedesco, se arriverà prima di quello italiano. Credo che alla fine condizionerà il nostro dibattito in senso conservativo, favorirà Renzi e le forze di governo.

Da - http://ildubbio.news/ildubbio/2017/05/03/cacciari-caro-matteo-ascolta-il-mio-consiglio/
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« Risposta #103 inserito:: Aprile 14, 2018, 06:23:19 pm »

Non ci sono alternative: questo Pd va sciolto
I democratici dovevano rinnovare la sinistra e invece l’hanno riportata al passato tenendola bloccata su divisioni figlie di tradizioni superate. E no, non possono stare insieme quelli che vogliono dar voce ai nuovi sfruttati e quelli che cercano voti nell’elettorato filo berlusconiano

DI MASSIMO CACCIARI
09 aprile 2018

L’attuale afasia e immobilità anche tattica del Pd rappresentano la fase ultima di quella storia che i miei venticinque lettori mi hanno ascoltato ripetere da un decennio a questa parte. C’è oggi chi ciancia di un’identità da ritrovare. Ma quale identità può ritrovare chi mai l’ha avuta? Un po’ di memoria non guasterebbe.

Mi rendo conto che è difficile averla se certe vicende non si sono vissute dall’interno; la politica si impara anche facendola. E chi l’ha fatta alla fine dello scorso decennio ha sperimentato in corpore vili, cioè sulla propria pelle, come il Pd nascesse da due sub-culture politiche ormai entrambe asfittiche, logorate, incapaci di ripensarsi criticamente. Fosse stata soltanto un’unione “a freddo”, come dicono ancora benevoli critici! Era in realtà il tentativo di comporre due correnti esaurite: una quasi-socialdemocrazia (una forza che da tre decenni tentava invano di farsi socialdemocratica, come Napolitano sa bene), completamente spiazzata di fronte alle trasformazioni del sistema sociale di produzione e delle forme del lavoro al suo interno - e terze file della tradizione cattolico-popolare, tenute sostanzialmente insieme soltanto dalla leadership prodiana. (I pochi veri protagonisti del “popolarismo”, tipo De Mita, seguivano un po’ dall’alto con sufficienza e ironia la navicella degli scadentissimi eredi). Forse all’inizio i Fassino e i Rutelli, segretari Ds e Margherita, erano i più consapevoli di queste strutturali debolezze dell’operazione e della necessità di aprire una vera fase costituente, programmatica e aperta.

Ma troppo modesti, troppo deboli rispetto ai loro azionisti di maggioranza, i quali altro non volevano che tenere in pugno l’azienda, certi che il nemico fosse solo il Cavaliere. La disperata ricerca del leader travolse ogni riflessione e condusse inesorabile a Renzi, cui va se non altro il merito di non avere nulla a che spartire con le “sensibilità” che avevano condotto al partito mai nato, cioè al Pd.

Il caso Renzi sconta tutti i limiti di qualsiasi politica “entrista”: se la conquisti dall’interno ti trovi un’organizzazione già in qualche modo formata e puoi godere di ampie rendite, ma la sua metamorfosi a tua immagine e somiglianza risulterà poi diecimila volte più ardua. E guai comunque, una volta che la vittoria appaia sicura, logorarsi in diatribe, incomprensibili per l’inclito pubblico, con gli sconfitti. Renzi esprimeva un indirizzo culturale e politico egemonizzato dalla narrazione sulle meravigliose sorti che attendevano Paese e Globo grazie all’avvento delle nuove tecnologie, e sulla necessità di adeguare i tempi e i modi della politica a quelli della azione e della decisione economico-imprenditoriale. Anche nelle forme espressive si trattava di una versione aggiornata, più credibile su certi slogan solidaristici, più simpatica esteticamente, della strategia berlusconiana.

Le sue potenzialità di penetrare nel campo elettorale di Forza Italia apparvero subito. E subito si comprese che Renzi non avrebbe potuto sfruttarle. Il Pd impediva a Renzi di svolgere con chiarezza e coerenza la propria partita. Così come impediva agli oppositori di Renzi, al suo interno, di svolgere la loro. Si potrà dire: l’uno e gli altri avevano una idea molto oscura sul che fare. Renzi ha iniziato a sentirsi un potenziale Macron troppo tardi, e comunque dopo l’esempio dell’amico francese. La sinistra nel Pd restava incatenata a ipotesi di Stato sociale-assistenziale condannate da decenni di crisi fiscale (in tutto l’Occidente) e a una difesa semi-reazionaria dell’assetto istituzionale e amministrativo vigente. La fortuna ha voluto, almeno, che la sua antica leadership venisse finalmente spazzata via insieme a Liberi e Uguali.

Una sinistra può nascere soltanto dalla fine del colossale equivoco rappresentato dal Pd. E altrettanto una forza di centro capace di sottrarre voti e consensi all’egemonia leghista. Il Pd come sigla può anche sopravvivere, ma solo rappresentando una delle due parti. Continuare da separati in casa significa continuare a suicidarsi. Quante prove occorre ancora accumulare per convincersene? E quale sinistra? Intanto, una che cessi di credere che basti evocare il nome per significare qualcosa.

Dire sinistra oggi è come dire democrazia. Che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Della cosa si tratta, e non di nomi. Si tratta di dar voce, rappresentanza sindacale e politica, garanzie previdenziali alle miriadi di nuove forme di lavoro che di indipendente non hanno che la partita Iva; si tratta di smantellare il sistema amministrativo-burocratico del Paese, che grava sui nostri conti, sulle nostre imprese e sulle possibilità di investimenti dall’estero più di centomila terremoti; si tratta di riprendere con forza un disegno di sistema in merito alle riforme: è necessario abolire davvero Senati e Provincie, è necessario davvero accorpare funzioni e servizi tra Comuni, è necessario davvero disboscare l’intrico delle società partecipate, dove l’interesse politico scorrazza dietro la foglia di fico del diritto privato.

Se c’è qualcuno nella sinistra Pd che ha questo in mente, si faccia avanti, lo dettagli, ne costruisca un programma di governo. Si vuol passare attraverso un Congresso? Bene; se ne definisca al più presto la data; lo si organizzi nel modo più aperto chiedendo a tutti gli interessati anche non iscritti di contribuirvi e garantendone una rappresentanza. Come si fece, si parva licet …, al congresso che pose fine alla storia del Pci.

Il Partito Democratico è nato con l'obiettivo di essere un partito di governo. Ma ora riscopre un ruolo di minoranza. Ma per fare cosa, per essere chi? È il momento di ripensare tutto
Dal Pd di questo decennio occorre comunque uscire. Altrimenti? Altrimenti è probabile, come il 4 marzo ha già indicato, che lo spostamento di opinioni e voti dall’area Pd all’area Cinque Stelle continui - così come, parallelamente, quello da Fi alla Lega. Altrimenti è probabile che il bipolarismo si vada riformando, dopo magari un’esperienza di governo comune, che è arduo ipotizzare abbia lunga vita, tra una destra-destra leghista (capace di mettere la sordina ai suoi vaneggiamenti anti-europeisti e sovranisti), e un centro-sinistra pentastellato. Con possibili momenti di Grosse Koalition all’italiana tra i due. Tutto sommato, operazione più facile ai Cinque Stelle che a Salvini: Salvini deve guadagnarsi una buona fetta ancora di elettorato berlusconiano - e potrebbe incontrare sulla sua strada un rinnovato Renzi -, mentre nulla vieterebbe a Di Maio, soprattutto sui temi fondamentali del lavoro e della difesa dei redditi più bassi, di lanciare una sfida aperta alla sinistra Pd.

Dove sono finiti, d’altronde, socialisti e comunisti greci e spagnoli? O la sinistra significa cultura di governo, approccio sistemico ai problemi di riforma, competenza, autorevolezza - e allora può chiedere anche sacrifici, vero ex Pci? - oppure il suo destino è la liquidazione nell’ampio seno dei movimentismi, dei populismi e delle politiche d’occasione.

© Riproduzione riservata 09 aprile 2018

Da - http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018/04/09/news/non-ci-sono-alternative-questo-pd-va-sciolto-1.320313
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« Risposta #104 inserito:: Maggio 03, 2018, 09:00:51 pm »

Massimo Cacciari: "I 5 Stelle hanno fatto una figura di m...."

Il filosofo critica la posizione dei pentastellati sul governo e la premiership di Luigi Di Maio

By Huffington Post

"Se si tornasse al voto potrebbe cambiare qualcosa: i Cinquestelle hanno fatto una figura di merda, la loro posizione di poter fare il governo con uno o con l'altro purché con la premiership di Di Maio non gli ha fatto fare un figurone.

Basta vedere i risultati, anche in Friuli".

Ospite di Giorgio Lauro e Geppi Cucciari a Un Giorno da pecora, il filosofo Massimo Cacciari fotografa così la situazione politica dopo il niet di Renzi ai 5 Stelle e il successo della Lega in Friuli.

Da - https://www.huffingtonpost.it/2018/04/30/massimo-cacciari-i-5-stelle-hanno-fatto-una-figura-di-m_a_23423688/
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