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Autore Discussione: MASSIMO CACCIARI  (Letto 72753 volte)
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« inserito:: Agosto 11, 2007, 08:44:51 pm »

Il sindaco di Venezia stanga l’organizzazione centralistica: «Neanche Hitler è stato eletto così.

Almeno noi ribaltiamo questo cliché»

Cacciari: «Nomi nuovi, scelte audaci»

Per il segretario regionale il Veneto non segua l’esempio romano 

VENEZIA. «Siamo partiti con il piede sbagliato. Seguendo come sempre logiche romane e centralistiche. Ma adesso niente furberie: il segretario veneto del nuovo Partito democratico deve essere eletto dai veneti, senza imposizioni nazionali e liste contrapposte. E magari con un voto trasversale. O cambia la musica oppure li mando tutti a quel Paese. Di vecchi rituali non abbiamo proprio bisogno».

Non è ancora archiviata la lunga notte del ponte di Calatrava e Massimo Cacciari, sindaco filosofo tuttofare, ha già cambiato il cappello. Smesso l’elmetto da operaio con cui ha seguito tutte le fasi di montaggio del nuovo ponte sul Canal Grande, indossa quello da condottiero e battagliero punto di riferimento del nuovo Pd. Un grillo Parlante che a Roma desta anche un po’ di fastidio nella nomenklatura del centrosinistra. Ma che resta un punto di riferimento, anche culturale, indiscutibile per chi fa riferimento al centrosinistra.

Cacciari ha criticato duramente lo scarso interesse «federalista» del governo Prodi verso il Nord e il Veneto, e poi la disattenzione alle richieste che venivano dal Lombardo veneto. L’inadeguato numero di ministri e viceministri, il taglio dei fondi e il mancato ascolto quando da sindaco ha chiesto invano di modificare il progetto Mose.

Adesso arriva il Partito democratico, che scompiglia i vecchi partiti e crea nuove alleanze. Dalla teoria siamo alla conta delle (future) tessere. Dei candidati segretari e del peso che avranno nel nuovo organigramma del partito che nascerà con il primo congresso del 14 ottobre.

Pronti a partire, dopo un mare di polemiche.
«E’ positivo che finalmente si sia arrivati alla fase operativa. Ma il nuovo partito sconta due grossi limiti. Insomma, capisco che c’è da festeggiare il 14 ottobre e le primarie di Prodi. Ma non si parte con il piede giusto, anche se il tempo per correggere c’è. Chi più vive vedrà».

Quali sarebbero questi limiti?
«Il primo grande peccato è che in questa fase non c’è stato alcun serio dibattito sulla linea politica e sui programmi. Sull’identità e la collocazione culturale ed europea di questa nuova forza».

C’è tempo per rimediare al congresso di ottobre.
«Solo in parte. Perché, ed è anche logico, quando partirà la campagna elettorale vera e propria non ci sarà più molto tempo per i contenuti. Prevarrà la competitività tra le liste e i candidati».

Il secondo limite?
«Il modo con cui si è deciso di arrivare al congresso con il segretario già eletto. Il congresso dovrà solo ratificare una scelta già fatta. Neanche Hitler è stato eletto così, nessun partito usa questo metodo. E poi è anche un meccanismo inutile oltre che strano: chi poteva essere il nuovo segretario se non Veltroni? Quando si fanno scelte simili ci sono anche delle conseguenze».

Che significa?
«Che sarebbe stato bello fare liste provinciali con caratteristiche federalistiche. Che poi si sarebbero coalizzate al congresso sulla base di programmi. Invece non è stato così. E la conseguenza è che il gioco è diventato centralista. Tutto si coordina al centro. Ed è un grande errore, perché si doveva lasciare grande libertà a livello locale sulla formazione delle liste».

Il federalismo insomma è ancora una volta in secondo piano.
«Diciamo che la caratura federalista di questo partito già ai primi passi trova qualche difficoltà. Perché le candidature e le liste che li appoggiano si sono decise a Roma. Letta, la Bindi, Veltroni, con cui adesso si schiera anche una lista ambientalista come Ermete Realacci, Giovanna Melandri e molti dell’ex sinistra Ds».

Che fine ha fatto la lista dei coraggiosi lanciata da Rutelli, a cui Lei ha aderito con Chiamparino e Penati?
«Faremo un documento in appoggio a Veltroni che richiama la logica federalista. Diremo quello che avremmo fatto».

Per il Veneto chi appoggerete alla segreteria?
«Deve essere molto chiaro che a livello regionale non potremo seguire lo stesso schema del nazionale».

Cioè?
«La maggioranza che eleggerà il nuovo segretario regionale dovrà essere larga e trasversale, non legata alle correnti. Io auspico che ne facciano parte anche coloro che a Roma appoggiano la Bindi e Letta».

Se no?
«Se no li mando tutti a quel Paese. E non dico per dire. I segretari veneti di Ds e Margherita lo devono dire chiaro, che rifiutano la logica romana e le imposizioni dal centro. Da questo dipenderà il mio impegno nel nuovo partito. Se no, farò l’iscritto e basta».

Qualche idea per il nuovo segretario?
«Ci vuole una scelta audace. Deve essere un giovane, un volto nuovo. Meglio se non lo conosce nessuno piuttosto di vedere le solite facce. E bisogna già pensare tutto in funzione delle elezioni regionali del 2010 e della sfida al centrodestra».

Nomi?
«Nomi ce ne sono tanti. Vedrei bene ad esempio un ticket uomo-donna, il segretario Ds Naccarato, il sindaco di Roncade Simonetta Rubinato. Ma ce ne sono anche altri. Si può fare, si deve fare se vogliamo davvero cambiare».

Lei è fiducioso.
«E’ una strada obbligata. Consiglio ai dirigenti dei partiti di guardarsi bene intorno e di provarci. Se cominciamo di nuovo a pensare alle careghe è davvero finita».

(10 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 19, 2007, 05:31:05 pm »

«Cambiare le regole degli appalti»

Massimo Cacciari «Costretti a scegliere sempre quello che costa meno»


MILANO — «Le norme sui lavori pubblici ci costringono a scegliere sempre quello che costa meno». Da poche ore a Venezia è morto Maurizio Michielon, operaio di una società di costruzioni. Il sindaco Massimo Cacciari scrive: «Partecipo al dolore dei familiari e del mondo del lavoro». Poi attacca: «Nel campo dell'edilizia saremmo più tranquilli se potessimo operare con regole che non costringano, di fatto, ad assegnare appalti con il solo criterio del massimo ribasso».
È questo che accade?
«Sì, noi amministratori ormai siamo dei sorvegliati speciali. Ci considerano sempre in procinto di diventare ladri potenziali».
Chi vi considera così?
«La legge è di questo genere, la legge Merloni».
Cosa significa in concreto?
«Che non possiamo guardare in modo approfondito alla qualità delle imprese, alla loro professionalità. Le varie leggi Merloni, stabilendo che i lavori vanno assegnati a chi costa meno, mettono lacci e lacciuoli che impediscono di chiamare imprese di cui potersi davvero fidare. Ma sono regole controproducenti. Una volta su due chi si aggiudica l'appalto fallisce, oppure chiede revisioni dei prezzi, e in nessun caso conclude nei tempi previsti. Così, oltretutto, si spende di più».
E se si scegliesse in modo diverso?
«La ditta che non ha preso il lavoro fa ricorso al Tar».
Tornando alla sicurezza?
«Di certo sarebbe utile poter indire bandi costruiti attorno a criteri molto rigidi e rigorosi in materia di subappalti. Si creerebbe un contesto di maggiore sicurezza».
In Italia, purtroppo, non si muore solo nei cantieri edili...
«Allora pensi a un'impresa: il direttore di un impianto industriale spesso è condizionato dai vertici perché risparmi il più possibile. Lo so perché io, a mia volta, sono assillato dalle imprese di Marghera, gente che lavora bene, che vengono superate nei bandi da concorrenti arrivati da chissà dove che costano meno. Ma nei lavori delicati bisogna poter scegliere anche in base ad altro: esperienza, conoscenza ».
Secondo lei come si è arrivati a questo punto?
«In Italia sugli appalti qualcuno rubava. E siccome in questo Paese, invece di tenere l'aurea mediocritas,
si va giù come bob impazziti, è capitato che norme troppo lasche su furti e corruzione sono state sostituite da altre, che non impediscono di rubare, ma impediscono di fare i lavori in fretta e bene».


Mario Porqueddu
19 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 31, 2007, 05:29:46 pm »

La Stampa

Intervista Massimo Cacciari

“Ha ragione Bertone Pci più serio del Pd”

31-12-2007


All’indomani del «family day» italiano, in maggio, aveva accusato la Chiesa di fare soltanto politica. Ora, alla fine di un 2007 nel quale le ragioni dei cattolici sono tornate sia nelle piazze sia in Parlamento, il filosofo Massimo Cacciari entra nella polemica aperta con il Pd dal segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone. E lo fa per dargli ragione, ma anche per bacchettare la Chiesa e la scelta di occuparsi di preservativi, aborto, omosessuali anziché del dramma che vive la nostra epoca post-ideologica: la morte di dio. Su questi temi il sindaco di Venezia ha scritto libri e tenuto seminari, ma soprattutto, è stato nel Pci dal 1976 alla morte di Berlinguer, nel 1984.

Professor Cacciari, il cardinale Bertone sostiene che il Pci aveva più rispetto verso i cattolici del Pd di oggi: che ne pensa?
«Inquadriamo la vicenda, altrimenti tutto si disperde in vano chiacchiericcio. Non c’è alcun dubbio che il rapporto del Pci con la Chiesa era più “serio”, più profondo, anche più drammatico. Succedeva con le grandi eresie».

Cosa intende?
«Anche quando l’”eresia” assume un valore esplicitamente anti-cristico, mantiene un rapporto di grande serietà con la tradizione cristiana. Proprio quando c’è la contrapposizione, la Chiesa si trova bene».

Era il secolo delle ideologie.
«Appunto. Oggi la cultura attuale, per dirla con il filosofo Friedrich Nietzsche, ride di coloro che cercano dio e della tradizione cristiana. Questa è la novità con quale dovrebbe confrontarsi la Chiesa: oggi non esiste più un rapporto essenziale, profondo con la tradizione cristiana. Invece gli anti-Cristo ce l’avevano».

E questo che cosa comporta?
«La Chiesa nasconde questo dramma, non lo può denunciare come faccio io, sia pure in forma abbreviata. Mi capisce? Tutto questo emerge con la fine delle ideologie...».

Scusi, e Berlinguer?
«Berlinguer soffriva autenticamente questo tema, perché dietro di lui c’era Franco Rodano».

Intende il fondatore del Movimento dei Cattolici Comunisti, scomparso nel 1983?
«Il suo è stato l’ultimo tentativo di rivisitare il cristianesimo nella tradizione socialista e comunista: oggi non c’è nessun Rodano! E non ci sarà mai più».

C’è la Binetti...
«Non c’entra nulla! E’ la riduzione legalistico-eticistica del cristianesimo».

Lei ha detto che la Chiesa fa soltanto politica.
«Ora dico: Madre Chiesa, non hai più un anti-Cristo di fronte a te, con il quale ti intendevi fin troppo bene... Perciò, copri il tuo vero dramma e lo fai in modo defatigante in un vano inseguimento. Parli soltanto degli effetti di questa catastrofe: l’uso del preservativo, l’aborto, le leggi 0sugli omosessuali».

E il Pd cosa dovrebbe fare?
«Dovrebbe occuparsi di questa tragedia del mondo contemporaneo. Dovrebbe spiegare che in termini teologici è venuto meno l’”ordo amoris”. Questo riguarda anche i laici, perché è crollata ogni gerarchia dei valori e degli amori. Ed è rimasto soltanto l’amore per l’equivalente di tutto: il denaro. Tutto ciò costituisce un problema anche per un laico, o no?».

Qual è il compito del laico, oggi?
«Confrontarsi con la Chiesa non su questa o quella leggina, ma ricordare che i comunismi e i fascismi, sono crollati. E il dio denaro permette di comprare tutto».

Ieri Barbara Spinelli, nel suo fondo su «La Stampa» ha parlato di una sorta di irruzione dell’atto di fede nell’agire politico.
«La Chiesa deve smettere di essere dogmatica e si deve ricordare, come diceva il protestante Barth, che il tratto fondamentale del peccato è il voler giudicare come se si fosse dio».

Ma la Chiesa cosa trova dall’altra parte, all’interno del Pd? Veltroni propone il rilancio della «bella politica»...
«Scusi, mi spiega che cosa è la “bella politica”? E’ quella ateniese? O quella di Napoleone? Smettiamola con queste balle... La politica è una cosa dura, tragica, ha a che fare con catastrofi, rivoluzioni!».

Allora, Cacciari: cosa può fare il Pd?
«Questo: dire la verità sui drammi che stiamo vivendo. E’ l’unico modo per trovare una terapia. Ma deve avere il massimo rispetto per la Chiesa. Il loro dramma non è “altro” da noi: rappresenta una delle forme culturali fondamentali della nostra storia. Invece, nella sinistra sento parlare della Chiesa come di un qualcosa che dà fastidio: è ridicolo!».

E’ il laicismo?
«Ma non solo. Si tratta di quanti ridono della morte di dio, come Odifreddi, e credono che i problemi della Chiesa non riguardino i laici. Una forza politica con un minimo di cultura dovrebbe accorgersene e dire: sì Chiesa, capisco il tuo dramma, ma non lo devi affrontare con battaglie parlamentari».

Primum, tornare ai valori?
«La politica senza valori è tecnica amministrativa, può servire giusto per fare il sindaco. Da Mao Tse Tung a Zapatero, i valori ci sono sempre stati».

Già, Zapatero... Eppure a Madrid i cattolici lo contestano.
«Questo non porterà da nessuna parte. Occorrerebbe più misericordia, più rispetto reciproco e far riemergere il “verbum” evangelico: non giudicare».


da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:11:04 am »

Massimo Cacciari: «Non si rinuncia alla sicurezza in nome del risparmio e della competizione»

Giampiero Rossi


Le leggi ci sono? Sì, è vero, però a guardarle proprio bene, alcune delle stesse leggi che hanno inevitabili ricadute anche sulla qualità e sulla sicurezza del lavoro contengono implicitamente un principio devastante: «Mettono al primo posto la variabile economica». Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, insiste su questo aspetto, sovrapponendo l’emotività per la tragedia di Porto Marghera alla lucidità dell’intellettuale e dell’amministratore che analizza la realtà e ragiona sulle risposte possibili.

Sindaco, lei sostiene che alcune leggi siano implicitamente controproducenti per quanto riguarda la ricerca della maggiore sicurezza sul lavoro. Perché? A quali si riferisce?

«Mi riferisco sostanzialmente a tutte quelle norme che di fatto antepongono gli aspetti economici a tutto il resto. Per esempio imponendo a un amministratore pubblico di spendere un euro in meno e non certo un euro in più per un’opera, un servizio. Perché è ovvio che la sicurezza può avere qualche costo, come la qualità, ma se un sindaco spende più soldi diventa automaticamente un mascalzone, deve affrontare un ricorso al Tar e poi anche il giudizio della Corte dei conti».

Insomma, si caccia nei guai...

«Altroché. E allora me lo dice lei dove va a finire l’investimento in qualità e sicurezza? Non è forse vero che i lavori vengono assegnati dagli enti pubblici sulla base di criteri soprattutto economici? Ecco, questo è un bel mistero italiano: perché io non capisco perché da pubblico amministratore non posso, per legge, comportarmi in modo ragionevole».

E i privati, invece?

«Ah, il privato è libero di fare quel che vuole, può scegliere anche al di là del solo vincolo economico».

Però guardando al caso italiano non si può certo dire che questo sia di per sé una garanzia di qualità e sicurezza.

«Questo è un altro tema. So bene anch’io che in un settore come l’edilizia, che poi è uno dei più esposti agli incidenti anche mortali, il 90% delle commesse avvengono sulla base di criteri economici e quindi il problema si ripresenta, tanto nel pubblico quanto nel privato. Però, secondo me, la questione della sicurezza del lavoro in Italia è legata anche al particolare passaggio della nostra storia industriale».

E in che fase ci troviamo?

«Dopo il secolo manifatturiero siamo arrivati a un momento di riorganizzazione e ristrutturazione del tessuto produttivo, un passaggio delicatissimo proprio per la sicurezza, come abbiamo drammaticamente scoperto con la vicenda della ThyssenKrupp. Perché quando si decide di dismettere i rischi aumentano, saltano per prime le attenzioni e le risorse destinate alla tutela della sicurezza. Gli stessi tedeschi, per gli stabilimenti cui tengono, non si comportano come hanno fatto a Torino».

Ma il porto di Marghera non è in dismissione, anzi, resta la prima industria veneziana...

«No, però qui c’è il problema del polo chimico, un’industria pericolosa, delicata per il territorio e per chi vi lavora. Ecco, anche in questo caso una dismissione non gestita, non accompagnata da cautele e spese mirate potrebbe rivelarsi fatale. I livelli di attenzione nella fase di chiusura devono essere gli stessi messi in campo nel momento in cui si inizia un’attività. E poiché questo è il momento che sta vivendo la nostra industria, ecco un’altra causa dei nostri problemi di sicurezza».

Ma ci si fa male e si muore anche in aziende giovani e sane...

«Lo so bene, perché c’è almeno un terzo aspetto che gioca un ruolo sulla questione della sicurezza: l’organizzazione del lavoro in una fase di competizione globalizzata. Ormai la singola azienda meccanica non compete più con le concorrenti italiane ma con quelle di tutto il mondo e lo stesso vale per i porti, per i trasporti, per la mobilità in generale, uno degli ambiti più stressati dalla competizione globale e dove, guarda caso, la sicurezza va a farsi benedire più frequentemente. L’ansia di ridurre i costi si traduce in ritmi e forzature nel lavoro. Anche se, diamine, dovrebbero esistere procedure standard e regole certe per impedire almeno casi come quello di Porto Marghera. È davvero inammissibile che si muoia perché non si utilizza una macchinetta che dice se delle persone stanno entrando a lavorare in una stiva o in una camera a gas».


Pubblicato il: 20.01.08
Modificato il: 20.01.08 alle ore 15.50   
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« Ultima modifica: Marzo 12, 2009, 06:29:00 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 28, 2008, 11:26:26 am »

Il sindaco di Venezia

Cacciari: Partito democratico avanti da solo

Prodi e Rosy Bindi via? Pazienza. «Se vogliamo dare identità e forza al partito la scelta è obbligata»


ROMA - «Lei mi fa una domanda che, giuro, non capisco: davvero vuol sapere se il Partito democratico, in caso di elezioni, dovrà correre da solo?».
Esatto, sindaco Massimo Cacciari. Domanda chiara, e piuttosto all'ordine del giorno... «Ma, scusi: quali altre possibilità ci sono? Voglio dire: se abbiamo a cuore questo benedetto Partito democratico, se davvero vogliamo dargli un'identità, una sua forza, cosa possiamo fare se non quello che, giustamente, dice Walter?».

Lei è anche un filosofo, professore: e, dunque, conosce l'uso della retorica. Ma è del tutto evidente che questa idea di entrare in una eventuale competizione elettorale, gareggiando in solitudine, non è certo scontata all'interno del suo partito.
«Lo so, e mi spiace: ma chi la pensa diversamente, pensa male».

Eppure, secondo alcuni, l'esperienza dell'Unione non è stata...
«Non è stata cosa? È stata un disastro, altroché. È stata devastante. Non era una coalizione, quella roba lì...».

E cos'era, professore?
«Era un'ammucchiata indecorosa, senza senso, senza progetti, senza tenuta... Con modelli di coalizione, continuiamo per comodità a chiamarla pure così, come l'Unione, non governi e non fai politica. Ma ti limiti a navigare sempre nell'emergenza, gestisci l'emergenza... E, tra l'altro, la gestisci male, malissimo, e addirittura peggio di quanto, senta cosa le dico, peggio di quanto farebbe la Cdl. E sa perché?».

No.
«È facile. Vede, anche la loro coalizione è traballante, ma almeno quelli lì son tenuti insieme dalla sacra fame di potere... hanno tutti interessi privati e personali nella guida del Paese: a cominciare, naturalmente, dal loro capo, Silvio Berlusconi».

Lei dice: il Pd deve correre da solo. Però non pochi osservatori sottolineano i rischi che questa decisione comporterebbe.
«Rischi? Guardi che, in caso di elezioni, la nostra sconfitta sarebbe comunque sicura, scontata».

E molto pessimista, professore.
«No. Realista. E in politica il realismo è tutto».

Realismo e coraggio, allora.
«Assolutamente sì. D'altra parte, a Walter il coraggio non manca e io, poi, quando lo vedo e lo sento, non smetto mai di ripeterglielo: vai diritto per la tua strada. Lo scenario, lo sappiamo, non è entusiasmante. Ma più deciso sei, più netto sei, meglio è. Tanto più che...».

Che?
«Beh, se qualcuno ha intenzione di mollarlo, se qualcuno ha in animo una scissione, certo non si farà scrupoli».

Sta pensando alla Rosy Bindi...
«Sto pensando alla Bindi e a Prodi e a parecchi altri. Per questo a Walter suggerisco di non ripetere gli errori di Occhetto, ai tempi andati del Pds. Chi rema contro, chi lavora nel buio, chi ha progetti diversi, prima o poi viene allo scoperto e certo non si farà venire troppi rimorsi ».

Lei ha la sensazione che Walter sia così forte da poter rinunciare a mediare le sue posizioni con quelle della Bindi o di Prodi o magari di...
«Rutelli è con Walter. Fassino è con Walter. La loro lealtà non mi sembra in discussione. Mi sembra già una bella squadra, no?».

E D'Alema?
«Senta, D'Alema è una persona intelligente, che conosce bene la politica. E lui, per primo, sa che Walter è l'unico, ripeto l'unico leader possibile. Detto questo...»

Cos'altro, professore?
«Ma no... sa, sono dieci minuti che ragioniamo dando per scontata questa tremenda sciagura che sarebbero le elezioni e allora...».

Si profilano con sempre maggior forza: questo è innegabile.
«Sì, lo so... in giro sento aria di elezioni, e probabilmente finirà così, che ci riporteranno, per l'ennesima volta, alle urne. Ma io di una cosa sono certo: se ciò accadrà, dovranno passare sul corpo... uso la metafora con il rispetto che si deve al capo dello Stato, naturalmente... sul corpo di Giorgio Napolitano. Se un po' lo conosco, e lo conosco, credo che infatti farà di tutto per evitare un'inutile tornata elettorale. Purtroppo... ».

 Forse l'impegno di Giorgio Napolitano non basterà.
«È ciò che temo. Ma allora dovremo fare i nomi e i cognomi, gli italiani dovranno sapere chi sono coloro che hanno rinunciato anche all'ultima possibilità di mettersi intorno a un tavolo per fare qualche piccola, decisiva riforma, e hanno preferito invece far tornare tutti a votare. Il Paese sta rotolando nel burrone, e noi ancora qui, a discutere, a fare interviste... ».

Fabrizio Roncone
28 gennaio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Aprile 07, 2008, 11:32:32 am da Admin » Registrato
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« Risposta #5 inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:06:57 pm »

La casta e l'antipolitica

di Massimo Cacciari e Ilvo Diamanti


Le ragioni della protesta contro i partiti.

I conflitti insiti nel sistema democratico.

Il populismo.

A confronto le tesi di due studiosi

Politica e antipolitica, democrazia e governo, ma anche Partito democratico e Forza Italia. Sono questi i temi del dialogo tra Ilvo Diamanti, professore di Scienza politica e Sociologia politica all'Università di Urbino e collaboratore de 'la Repubblica' e Massimo Cacciari, filosofo, sindaco di Venezia e testa pensante del Pd. Il dialogo riprende alcuni spunti da un seminario che si è svolto all'Università di Urbino il 16 gennaio scorso, nell'ambito di un ciclo dedicato al 'Nuovo Lessico della Politica e dell'Anti/Politica', promosso dal Laboratorio di Studi politici e Sociali (LaPolis) della Facoltà di Sociologia.

Diamanti:
 "Non è facile definire una questione eterea e sfuggente come l'antipolitica. L'antipolitica è una parola utilizzata in molte occasioni, in molte versioni, con diversi significati. Ma ciò riflette la difficoltà di definire, oggi, la politica. In altri termini, oggi si parla molto di antipolitica perché è in discussione il senso della politica e, insieme, della democrazia. La politica di cui parliamo si riferisce, normalmente, alla democrazia rappresentativa. Il clima d'opinione 'antipolitico', di conseguenza, coinvolge i luoghi, gli attori, le istituzioni della democrazia rappresentativa. I partiti, in primo luogo. In secondo luogo, e contemporaneamente, i leader e la classe politica; la classe dirigente in senso generale. Quindi le istituzioni rappresentative in senso ampio. Per estensione, l'antipolitica richiama la contrapposizione noi/loro. 'Noi' siamo quelli esterni alle cerchie di potere e della rappresentanza. 'Loro' sono la casta. La parola antipolitica, in secondo luogo, è utilizzata anche per indicare una serie di attori, che operano in ambito sociale. Personaggi e interpreti della 'rappresentazione antipolitica' sono diversi: movimenti di protesta, comitati, girotondi. L'ultima fase dell'antipolitica è stata interpretata, sulle piazze e sulla Rete, da Beppe Grillo. Tuttavia, non è Grillo a definirsi antipolitico, né i girotondi e neppure i gruppi che si mobilitano contro partiti e classe politica. Al contrario, sono questi ultimi, i partiti e i politici, che li accusano di antipolitica. Per cui potremmo dire che
l'antipolitica definisce la protesta contro la politica esercitata da chi è fuori dalla politica. Fuori dalle mura della Polis".

Cacciari:
"Io assumerei l'idea di antipolitica in modo radicale, come un aspetto fisiologico della democrazia. La democrazia ha in sé un rapporto critico con la politica. Non c'è equivalenza tra democrazia e politica. Partiamo dall'idea chiave della democrazia: che attraverso il discorso, il logos, si possa risolvere il conflitto politico. Ma la politica è essenzialmente conflitto. Ora, la pretesa del regime democratico consiste appunto nel ridurre il conflitto alla forma del contratto. Ma è 'politica' tutto ciò? Possiamo derubricare a contratto giuridico il rapporto politico? Ecco perché bisogna prendere sul serio l'antipolitica e non assumerla come una patologia contingente. Essa ci permette di vedere un limite essenziale del discorso democratico".

Diamanti:
"D'altronde, l'antipolitica è, a sua volta, usata come discorso 'politico', per assecondare gli umori della società. Pensiamo alla Lega e a Berlusconi, i quali hanno affermato in passato e oggi continuano ad affermare di non essere 'politici', ma altro. Imprenditori, uomini della società, del Nord, che vogliono restituire il potere ai cittadini. Però sono diventati 'partiti', sono entrati in Parlamento e nel governo. Integrati nella democrazia rappresentativa. È la retorica dell'antipolitica che è entrata nella politica, ma anche nel linguaggio comune, spesso associata a un altro concetto: il 'populismo', che propone di superare i meccanismi tradizionali della mediazione e della rappresentanza, scardinando partiti e organizzazioni, per instaurare un rapporto diretto tra il leader ed il popolo. Ricordo quando, durante la campagna elettorale delle presidenziali francesi, chiesero a Sarkozy: 'Cosa dice a coloro che l'accusano di essere un populista?'. Egli rispose: 'Nulla. Sono un rappresentante del popolo e parlo a nome del popolo'. Ciò serve a rammentarci che non solo l'antipolitica, anche il populismo è parte della democrazia. Per proseguire vorrei aggiungere che molte critiche espresse nei confronti dell'antipolitica nascono dal fatto che quando parliamo di politica e di democrazia abbiamo perlopiù in mente un modello specifico. Quello espresso dai partiti di massa, ispirati da grandi identità: cristiana, socialista o comunista e laica. Avevano una presenza forte nella società e sul territorio, attraverso sezioni, gruppi e associazioni. Oggi quei partiti non ci sono più. Il partito a cui si aderiva per atto di fede, in base a un grande progetto futuro, il partito teologico e teleologico: non c'è più. Molta insofferenza espressa nei confronti della presunta antipolitica è, in effetti, nostalgia nei confronti di quel passato, che non tornerà più".

Cacciari:
"Non c'è dubbio che la nostra idea di democrazia è essenzialmente rappresentativa. Ma, a guardar bene, nel concetto stesso di 'rappresentazione democratica' è implicito l'elemento antipolitico. Proviamo a ragionare. L'idea di rappresentanza, cela un paradosso: la rappresentazione 'ottima' sarebbe quella che toglie la rappresentazione stessa. Infatti, quale appare la forma democratica 'ottima'? Quella in cui io mi identifico con il mio rappresentante. Quella in cui il rappresentante rifletta perfettamente le idee del rappresentato. Ma in tal caso la rappresentazione si perde! Poiché la rappresentazione comporta una differenza e una distanza fra rappresentante e rappresentato. L'idea regolativa della democrazia rappresentativa comporta di necessità una critica immanente dell'idea stessa di rappresentazione. In altri termini l'homo democraticus vive di questo paradosso: è costretto a 'delegare' e nello stesso tempo esprime l'insopprimibile istanza alla 'autonomia'. Vive, cioè, la dialettica della rappresentazione con un senso di privazione, di alienazione. Vi è una faccia 'nobile' in tutto questo: quella appunto del desiderio insopprimibile di 'autonomia'. E tuttavia è evidente come esso abbia a che fare con l'antipolitica, se radicalmente intesa".

Diamanti:
"D'altra parte, è difficile non vedere i vizi della democrazia rappresentativa, in questi tempi. Pensiamo alla selezione della classe dirigente, di coloro, cioè, che decidono al posto nostro. Una buona democrazia garantisce relazione con la società e ricambio della classe politica. Non mi sembra che ciò avvenga. Al contrario, viviamo un'epoca in cui la democrazia sembra riprodurre modelli neo-feudali e neo-dinastici. Dove la classe politica assume molti tratti dell'oligarchia. La disponibilità di risorse (la famiglia, i soldi, i rapporti con i media, le lobby) è determinante per contare e per venire eletti. Basta vedere negli Usa, dove da vent'anni la presidenza riguarda due sole famiglie. E la storia potrebbe continuare per il prossimo decennio. In Italia, dopo la caduta della prima Repubblica, la leadership politica si è formata senza una vera competizione. Nel centrodestra, d'altronde, non c'è un partito personalizzato, ma una persona-partito. Non è possibile immaginare Forza Italia senza Silvio Berlusconi e, probabilmente, neppure il centrodestra. E nel centrosinistra? Nel Partito democratico, lo scorso ottobre, è stato eletto il leader designato, predefinito. Due anni prima lo stesso era avvenuto per il candidato-premier dell'Ulivo. Per questo non è facile vedere grandi aperture democratiche nella democrazia emersa dopo i partiti di massa. Attraversiamo una situazione fluida. Dopo dieci anni di scomposizione partitica assistiamo a tentativi di ricomposizione. È il caso del Partito democratico, che è nato dopo 12 anni di discussioni. Nel centrodestra la personalizzazione rende questi processi più facili. Con una consultazione rapida nei gazebo, lungo le strade e sulle piazze è possibile decidere di sciogliere Forza Italia per fondare qualcosa di nuovo e più ampio; per sceglierne il nome: Partito della Libertà, Popolo della libertà o qualcosa d'altro.Il problema è che dalla 'democrazia dei partiti' siamo passati a una 'democrazia personale'.

Un tempo i leader erano espressi da un partito e si votava un leader perché era parte di quel partito. Oggi, invece, prima che partiti si votano i leader. La persona. Anche per questo il ruolo dei media è divenuto dominante. In televisione non ci si va più, come un tempo, perché si ha qualcosa da dire, ma si cerca qualcosa da dire per andare in televisione. Infine, per indicare un ulteriore elemento di novità: fino a ieri la democrazia rappresentativa era 'proporzionale', serviva a dare voce alle differenze sociali, alle diverse idee e ideologie. Adesso non più. Il principale problema della democrazia sembra la 'decisione'. Per questo si cerca di saltare i luoghi tradizionali e i tempi lunghi della mediazione. La democrazia ha assunto un'impronta maggioritaria e i partiti si sono orientati prima di tutto a scegliere e legittimare leader che decidano".

Cacciari:
"Il discorso politico, però, non si può costruire a tavolino. Partiti, democrazia, antipolitica: la storia la facciamo certamente noi, ma, altrettanto certamente, non sappiamo mai la storia che facciamo. Oggi noi abbiamo bisogno di un governo che decida, ma anche di un Parlamento che controlli. I partiti oggi devono porsi questo grande obiettivo: riformare Parlamento e governo della nuova Italia, ma anche della nuova Europa. Perché anche in Europa dove è il governo, dove è il Parlamento? Chi governa? Chi controlla? Non si potrà certo costruire la nuova Europa affidandone il governo alla Banca europea! A differenza di come abbiamo sempre ragionato, però, bisogna superare l'idea che se un'istituzione assume più potere, ciò comporta che un'altra ne abbia meno. Bisogna smettere di pensare il sistema dei poteri come una torta: quindi, se io prendo un pezzo. Invece, occorre costruire un sistema che attribuisca maggiori poteri, maggiori capacità di decisione sia a chi ha la responsabilità di governare, sia a chi deve svolgere essenzialmente funzioni di controllo, alle assemblee rappresentative. Questo discorso vale a ogni livello. In ambito parlamentare, a livello nazionale, ma anche a livello regionale, comunale, provinciale. Bisogna smetterla di ridurre la politica e la democrazia a un gioco a somma zero, come si è sempre fatto, per cui dare più potere alle regioni vuol dire sottrarre potere allo Stato; e dare più potere ai comuni significa sottrarlo alle regioni. Non deve essere più così. E può non esserlo.
È possibile davvero cambiare. Un partito politico si esercita, si forma su questi progetti: nuovo Parlamento e nuovo governo. E idee, non solo 'cose' da fare. Il 'partito di programma' evoca il mito del governo affidato ai tecnici. Ma la tecnica al di fuori di valori e al di là della rappresentanza è un'idea 'antipolitica'".

Diamanti:
"E ciò ci permette di riprendere il discorso sull'antipolitica. D'altronde, a segnare la fine della prima Repubblica in Italia è un atto antipolitico: la nomina, peraltro benedetta, di Carlo Azeglio Ciampi alla presidenza del Consiglio. Il primo presidente del Consiglio, nella storia della Repubblica, non eletto. Esterno al Parlamento. Apre la strada al ruolo supplente - e qualcosa di più - della Banca d'Italia rispetto alla politica. Però, appunto, perché un partito vada oltre deve avere delle idee. Per non abbandonare il monopolio delle idee agli specialisti del marketing e dell'opinione pubblica, agli spin-doctor, che oggi sono divenuti le figure più importanti nel definire le strategie dei leader e dei partiti, bisogna affondare le idee su basi culturali: tradizioni, ideologie, identità. Oggi noi siamo in una situazione di nomi senza contenuto, senza storia. Cacciari è un esponente autorevole e pensante di un partito importante come quello democratico, che è luogo dove si incontrano le principali culture di questo Paese: cristiana, socialista-comunista, laica. Dovrebbe essere una risorsa e invece sembra essere un motivo di conflitto e divisione".

Cacciari:
"Un partito politico oggi deve essere in grado di affrontare questioni di carattere etico, esprimersi ed esporsi in tema di valori.
Non può essere un partito relativistico, agnostico, indifferente. D'altronde, i temi etici oggi interessano molto gli elettori. Non li puoi ignorare perché sono scomodi. Non puoi dire: "No, io di questo non mi interesso: non sono questioni politiche". Perché, invece, sono sempre più determinanti. Ma come affrontarli? Se un partito politico li affronta in termini religiosi, diventa una setta, un soggetto che predica qualcosa che per esso assume valore assoluto. Ma se io predico qualcosa che ha valore assoluto, cesso di essere un partito, perché un partito non può essere detentore di valori assoluti. È 'parte'. L'homo democraticus non può essere homo religiosus, né homo hierarchicus. La sua origine si fonda sull'idea dell'uguaglianza degli individui. È necessario per questo che egli appaia come un relativista scettico? Ma perché mai?L'homo democraticus può ben essere convinto dell'importanza dei propri valori, ma lo sarà anche del loro fondamento storico. Egli, cioè sa che i propri valori sono qualcosa di 'costruito', niente di assoluto, qualcosa destinato a modificarsi, divenire, trasformarsi. E perciò anche tramontare. L'homo democraticus, per questo, modifica le proprie convinzioni: la sua identità non solo è storicamente determinata, ma va modificandosi in relazione all'altro, nella relazione con l'altro. Questo è il metodo da seguire per quanto riguarda le questioni etiche. Per queste ragioni io credo che in un partito la complessità dei valori possa essere ricchezza e non fonte continua di traumi. All'interno di tutti i partiti sulla faccia della Terra c'è un certo grado di 'politeismo' dei valori. Ma questo 'politeismo' può essere 'progettato'. È per questa idea che mi sono battuto per dar vita al Partito democratico. Ripeto: 'progettato'. Il Partito democratico è un partito in cui ci sono credenti e non credenti, laici e cattolici, come si usa malamente dire; ma non per caso. A differenza di Forza Italia. Anche lì coabitano, ma, appunto, 'per caso'. Nel Partito democratico il loro dialogo deve apparire invece pensato e voluto. Se così avverrà, si sarà trattato di una vera, coraggiosa innovazione politica. O altrimenti la politica italiana conterà l'ennesimo fallimento.

(06 febbraio 2008)

da espresso.repubblica.it
« Ultima modifica: Aprile 07, 2008, 11:35:36 am da Admin » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 05, 2008, 10:32:54 pm »

Cacciari «Nemmeno io firmerò, mi sembra un'iniziativa sballata»

Veltroni: «Bassolino? Ognuno fa ciò che la sua coscienza gli dice»

La risposta del leader del Pd sulla mancata firma alla petizione contro il governo

 

ROMA - «Ognuno fa ciò che la sua coscienza gli dice». È la laconica risposta che il segretario del Pd Walter Veltroni dà allargando le braccia, in Transatlantico, ai giornalisti che gli chiedono una valutazione sul fatto che il Governatore della Campania, Antonio Bassolino, ha deciso di non firmare la petizione del Pd contro il governo.

BETTINI A BASSOLINO - Sulla questione si è espresso anche Goffredo Bettini, coordinatore dell'iniziativa politica del Pd: «È naturale e anche doveroso che le cariche istituzionali, e soprattutto i presidenti delle Regioni come Antonio Bassolino, collaborino lealmente con il Governo nazionale per risolvere i problemi delle loro comunità. Ma oltre ad un piano prettamente istituzionale c'è, a mio avviso, la libertà politica di esprimersi sulle scelte generali e dannose che si stanno compiendo nel Paese». E poi aggiunge: «Di fronte alla crisi democratica e alla drammatica situazione dei ceti medi, di quelli più poveri e del Mezzogiorno, aggravata dalle politiche della destra - aggiunge Bettini -, questa libertà dovrebbe diventare per tutti un dovere».

CACCIARI - «Nemmeno io firmerò, perché sono il sindaco di Venezia e non il segretario del Pd della mia città. Ma a parte questo, mi sembra un'iniziativa sballata». Intervistato da Affaritaliani, Massimo Cacciari segue Antonio Bassolino nella scelta di non firmare «Salva l'Italia!», la petizione che il Partito Democratico ha promosso contro il governo. Cacciari aggiunge che «il problema oggi del Partito Democratico è quello di organizzare se stesso e non di dare una spallata al governo che significherebbe frantumarsi la spalla. Perciò non firmo, assolutamente no», conclude.

CAPEZZONE - «Il Pd sembra nel caos più totale, tra risse intestine, lotte tra correnti, divisioni su tutto, perfino sulle tv di partito. La domanda sorge spontanea: se Veltroni e Bettini non sono riusciti a convincere neanche Bassolino sulla bontà della loro inutile petizione antigovernativa, come pensano di poter convincere 57 milioni di italiani?». E’ quanto chiede in una nota Daniele Capezzone, portavoce di Forza Italia.



05 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Settembre 05, 2008, 03:43:38 pm »

Cacciari: «Pd senza strategia. Correnti e subito congresso»

Oreste Pivetta


«Amarissime constatazioni», si commenta Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, dopo aver spiegato che fare il sindaco è il peggiore destino che possa capitare a un animale dotato di ragione, che il ruolo è decaduto, la responsabilità dimezzata, l’autonomia precipitata. E dopo aver spiegato che militare nel Pd rischia di riservare delusioni pesantissime, sconfitte a rotta di colla, a cominciare dalle europee: «Se si va avanti così...».

Non salva nessuno il sindaco Cacciari: «Anno dopo anno dobbiamo gestire tagli su ogni voce di spesa, tagli che non sono stati compensati da maggior autorità soprattutto in campo impositivo, malgrado la continua richiesta di organizzare tasse di scopo, di poter usufruire di imposizioni particolari, specifiche, per ogni singola realtà, per esempio tasse di soggiorno per città di particolare vocazione turistica, come Venezia. Tutto ci è stato impedito, fino alla beffa di sottrarci anche la gestione dell’Imposta comunale sugli immobili. Becchi e bastonati. Perchè una imposta comunale che è tale in tutti i paesi d’Europa, sulla quale già avevamo scarsa autonomia, perchè c’erano già stati imposti paletti di ogni genere, una tassa fondamentale sulla prima casa ci è stata sottratta, facendoci tornare all’arcaico sistema dei trasferimenti, che non copriranno mai le entrate che avevamo previsto».

Si consoli, Cacciari, sta sorgendo il sole del federalismo.

«Per ora si va in una direzione opposta a qualsiasi federalismo e opposta a ogni autonomia. Ciò a prescindere da centrodestra e centrosisnistra, perchè la linea nei confronti dei comuni è identica da quando faccio il sindaco, cioè da quasi vent’anni. Il bidone dell’Ici ci era stato apparecchiato dal governo Prodi. Si continua. Si pesta sui comuni. E avanti popolo. La chiacchiera sul federalismo è inversamente proporzionale alla prassi federalista».

Il Partito democratico non l’aiuta?

«Per me sindaco non conta niente. In questa fase. Il Pd sta nella mia maggioranza e mi vota le delibere, talvolta a malincuore. Queste non sono neppure critiche, sono amare constatazioni. O il Pd scende in campo con posizioni serie e coerenti su questi temi, autonomie locali, responsabilità, fiscalità, eccetera, oppure che ci sia o non ci sia a me non cambia».

Ma il Pd ha aggiunto qualche cosa di suo nella situazione drammatica che lei, sindaco, illustra?

«Assolutamente no. Era uguale con Margherita e Ds, uguale con l’Ulivo, uguale prima dell’Ulivo, uguale dopo l’Ulivo».

Durissimo...

«Ma che si vuole? Sulle questioni del federalismo fiscale stiamo lì a vedere nero su bianco che cosa ci propone Berlusconi? È possibile?»

No.

«Ma, allora, il giorno dopo l’insediamento del governo ombra si sarebbe dovuta leggere la proposta del Pd... Ti pare che si possa aspettare che cosa decideranno gli altri sulle Regioni a statuto speciale? Ti pare che siano gli altri a doverti dire che cosa poi tu dovrai rispondere sul tema del riassetto del servizio sanitario? Quanto vuoi che si possa reggere al Nord, di fronte alla Lega o al Pdl, se ti sbattono in faccia le voragini nei conti della sanità in Campania, nel Lazio, in Sicilia? Su questo e su altro non ho udito la voce del Partito democratico. Mi sarà sfuggito qualcosa...».

Insomma, mi pare di capire che sarebbe urgente un congresso?

«Urgente, sì. Ma un congresso che si faccia con linee politiche chiare, con correnti vere e leader veri che sappiano dire di strategie, non con i nostalgici di una cosa stramorta come l’Ulivo o con le vecchie nomenclature del Pci. Se la scena dovesse essere quella, meglio soprassedere. Sarebbe indispensabile che fossero in campo programmi e leadership alternativi, riconoscibili e proiettati al futuro. Il congresso ha un peso se ci sono Obama e Hillary Clinton...».

Non se ci sono Veltroni e Veltroni...

«Non avrebbe senso un congresso così. All’unanimità di facciata. Si dovrebbe discutere tutto con estrema chiarezza, alla luce del sole, senza sotterfugi, nel partito che immagino. Un partito per cui si fanno le primarie, naturalmente. Un partito in cui si possano affermare posizioni di maggioranza e le minoranze applaudano il vincitore, come insegna Hillary Clinton. Se si vuol essere un partito serio».

E a proposito di urgenza? Quanti mesi?

«L’urgenza è tremenda. Continuando così per un anno ci giochiamo il partito democratico, che è stata la nostra grande speranza, la mia almeno. Continuando così in asfissia, in afasia, diciamo pure afasia e non asfissia, arriveremo esausti e siccome ci sono tra un anno scadenzine da niente come le amministrative e le europee, immagino il disastro. Si perde proprio, stavolta. Sarebbe una sconfitta vera, perchè l’altra volta non è stata una sconfitta. Il Pd ha solo subìto senza motivo la sindrome della sconfitta. Perchè abbiamo letto quel risultato come una sconfitta? Perchè, mancata la vittoria generale che avrebbe coperto tutte le magagne, ci siamo ritrovati nudi, senza una linea, senza una strategia, senza un gruppo dirigente. Per questo ci siamo visti sconfitti. Ma gli elettori avevano apprezzato la scelta di Veltroni di andare, così, da soli...».

Un partito senza linea, senza strategie, senza gruppo dirigente. Un partito nato male, allora?

«Nato tardivo, non prematuro, perchè l’esigenza, nell’ambito della sinistra italiana, di una forza politica di questo genere era avvertita da anni da tutte le persone di buon senso. E’ stato un parto tardivo, non prematuro come dicono gli imbecilli, e per quanto tardivo non s’è certo giovato di un confronto serrato, nel merito, sui grandi temi politici, economici, istituzionali e, aggiungerei, etici. Si è sempre tentata l’unità, attraverso operazioncine di mediazione».

Le differenze vissute come un incubo?

«Come se tra i democratici o tra i repubblicani negli Usa non vi fossero differenze colossali. O dentro il Labour o i socialdemocratici tedeschi. Ci dovremmo scandalizzare perchè nel nostro Pd non vanno tutti d’accordo? No, ma bisogna lasciare che le divisioni vangano a galla. La corrente non ha mai fatto male a nessuno, è aria, muove la polvere, il vento fa bene».

L’aria ferma ammorba...

«Un puzzo pestilenziale... Un venticello fresco invece rinnova, mette in moto le cose, le agita, le fa vivere. Fa schifo il puzzo che sale da un profondo passato immobile».

Da che cosa si ricomincia?

«Si ricomincia dal fatto che la scelta del Partito democratico è irreversibile. Non si torna alle megacoalizioni, ai pastrocchi infernali, che ci hanno condannato alla sconfitta. La scelta veltroniana è irreversibile. Punto. Chi non ci sta, se ne vada. Su questa base si costruisce un serio dibattito congressuale. I leader che hanno qualcosa da dire lo dicano con documenti, chiari leggibili, univoci. Simplex sigillum veri».

Siamo arrivati al suo Wittgenstein.

«Prima possibile. Congresso a gennaio, a febbraio. Una buona rincorsa prima del voto».

Rifondazione la lasciamo dov’è?

«Rifondazione sarà un problema successivo. Se l’elettorato dà fiducia a noi forza di governo siamo pronti sulla base del nostro programma a fare come avviene in Germania: una coalizione di governo. Al’elettorato mi devo presentare come una forza politica omogenea e credibile, con un programma assolutamente non pasticciato, non equivoco. Dopo di chè, sulla base di questo programma, accolto dagli elettori, posso fare benissimo una coalizione di governo per realizzarlo».

Questo dipenderà anche dalla legge elettorale.

«Questo dipende dalle legge elettorale, ma in generale, culturalmente parlando, la distinzione fondamentale è tra coalizione politica o partito politico e alleanza di governo».

C’è troppo Veltroni nel Pd?

«L’eccessiva presenza di Veltroni non fa altro che coprire le timidezze e i ritardi nell’affrontare i problemi, le titubanze, la mancanza di visioni strategiche. Ci si copre tutti con Veltroni, chi gridando Viva Veltroni, chi urlando Abbasso Veltroni. La stessa cosa, due facce della stessa medaglia».

Pubblicato il: 05.09.08
Modificato il: 05.09.08 alle ore 8.27   
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« Risposta #8 inserito:: Ottobre 21, 2008, 11:33:56 am »

Pd: Cacciari, "il governo ombra e' un fallimento, il 25 ottobre non ci saro'"

21 ott 08:35 Politica



ROMA - Il Governo ombra del Pd non ha prodotto i risultati sperati, e anche il progetto del Pd "contraddice le premesse e le esigenze di novita'" che si era prefissato.

Non nasconde la disillusione il sindaco di Venezia Massimo Cacciari che, tra l'altro, annuncia che non sara' in piazza il 25 ottobre: "Perche' non si puo' convocare la gente in piazza con 5 mesi di anticipo e non si puo' giocare di rimessa".

"Fino ad oggi c'e' in campo a malapena un'ipotesi di partito, piu' che un partito", aggiunge Cacciari riferendosi al Pd. (Agr)


da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Ottobre 25, 2008, 07:01:34 pm »

Il primo cittadino: «Lascio la scena ai demagoghi. Veltroni e Berlusconi»

Nel Pd-day Cacciari all'attacco: «Lascio la scena ai demagoghi»

A Roma la manifestazione dei democratici.

L'affondo del sindaco di Venezia: «Non me ne frega niente»

 
 
ROMA - Il giorno del Pd day è arrivato. Walter Veltroni alla prova della piazza annuncia che la manifestazione sarà «quella di un'opposizione serena che non divide il Paese, di un'opposizione sempre più forte e netta, ma che ha come obiettivo quello di servire l'Italia e di essere di aiuto al Paese». E il numero due del Pd Dario Franceschini, mentre accoglie alla stazione di Roma Ostiense i treni speciali organizzati dal Pd per i militanti che partecipano alla manifestazione «Salva l'Italia» spiega che «Berlusconi deve rassegnarsi: in democrazia c'è l'opposizione e oggi vedrà che è forte». Intanto però il segretario dei democratici deve fare i conti con le critiche della maggioranza e con le perplessità espresse anche da alcuni dei suoi. Chi non usa mezzi termini nel palesare i propri dubbi è Massimo Cacciari, uno dei grandi assenti al Circo Massimo. «Cerco di portare a termine il mio mandato e lasciare la scena ai demagoghi, a coloro che hanno la vocazione a guidare il popolo: ai Veltroni e ai Berlusconi, a destra e sinistra» è stato l'affondo del sindaco di Venezia intervenuto ad Omnibus in onda su La7. «Della manifestazione non me ne frega niente. Non mi preoccupa - ha aggiunto Cacciari - la manifestazione, ma che il governo ombra non abbia prodotto assolutamente nulla».

«AVREI PREFERITO PROPOSTE CONCRETE» - «Mi augurerei - ha proseguito il primo cittadino di Venezia - che il Pd mi dicesse come si intende organizzare e cosa dice su scuola, crisi finanziaria e Alitalia. Mi sembra un`invenzione strana organizzare una manifestazione di protesta con cinque mesi di anticipo. Avrei preferito - conclude l’esponente del Pd - che il Pd avesse elaborato delle proposte concrete sul federalismo fiscale, non lasciando lo spazio allo spot di Lega Nord e Berlusconi, e su questo disastro della scuola».

RIFONDAZIONE E NUOVE ALLEANZE - Cacciari ha anche parlato, apostrofandolo come un «suicidio» dell'ipotesi di una nuova alleazna tra il Pd e Rifondazione. «Il Pd si suiciderebbe se riallacciasse un'alleanza con Rifondazione come quella del governo Prodi, contraddirebbe totalmente le ragioni storiche della sua nascita» ha detto il sindaco di Venezia. «Di Pietro - ha aggiunto Cacciari - è una riserva che proviene da Tangentopoli, dalla crisi degli anni '90, è una rendita di posizione pura e semplice».



25 ottobre 2008

da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Gennaio 17, 2009, 03:17:09 pm »

Massimo Cacciari

«Attenti a casi pericolosi come in Olanda Hamas va combattuto anche qui»

«Ad Amsterdam slogan criminali, i socialisti dovevano allontanarsi»



ROMA — «Dobbiamo potenziare gli anticorpi rispetto a fenomeni come quello di Amsterdam», dice al Corriere Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, filosofo con un passato di non allineato dentro la sinistra e un presente da non allineato nel centrosinistra. Lo sostiene dopo che in una manifestazione in Olanda è stato gridato lo slogan «Hamas, Hamas, tutti gli ebrei nelle camere a gas». «E' nostro interesse fare di più per capire la portata del conflitto mediorientale», aggiunge Cacciari. E suggerisce di parlare della pace necessaria tra israeliani e palestinesi durante il Giorno della memoria, previsto ogni anno il 27 gennaio in ricordo delle vittime dello sterminio nazista. Ma non per avallare assurdi paragoni tra due momenti della storia diversi. Per sviluppare la maturazione di una tolleranza, di un rigetto dell'«intolleranza banale » laddove questa attitudine non è arrivata.

Quale reazioni le induce il corteo di Amsterdam, con uno slogan del genere?
«Dobbiamo capire che quel mondo i cui stanno crescendo odio e frustrazione è qui. E' in noi. Sta a Londra, ad Amsterdam, a Parigi. Da noi. Sarebbe saggio capire dove mettere, nella nostra agenda politica, il conflitto mediorientale ».

E questo che cosa comporterebbe?
«Combattere posizioni come quelle di Hamas. Anche qui da noi, non solo a Gaza. A volte non si comprende che quel conflitto è esplosivo. Mi pare lo si capisca sempre meno. Mentre...».

Mentre?
«Mentre occorrerebbe arrivare a una tregua per riprendere il processo di pace. Ricordando che un premier israeliano che cercava la pace è stato ucciso da una mano non palestinese (Yitzhak Rabin, ndr)».

C'erano due deputati socialisti nel corteo in Olanda. Come li giudica?
«Che due deputati socialisti vi abbiano partecipato, senza allontanarsi e senza condannare è inammissibile. Quello slogan è criminale».

A Barcellona, in coincidenza con i bombardamenti di Israele su Gaza, sono state ridimensionate le celebrazioni del Giorno della memoria. Niente manifestazione in piazza, rimasto il dibattito sul genocidio dei gitani.
«Due casi non comparabili, Amsterdam e Barcellona. Per la seconda, bisognerebbe giudicare dall'interno. A Venezia dedicheremo la giornata al problema dei sinti e dei rom ».

Che cosa farete a Venezia?
«Verrà Moni Ovadia. Sono convinto che il Giorno della memoria non debba essere una messa cantata, ma assumere anche un carattere legato ai problemi del momento. Non serve solo a ricordare la "soluzione finale". Anche a prevenire quanto preparò quel fatto inaudito: la Shoah fu preceduta da una degenerazione prima politica, poi culturale. Bisogna prevenire l'intolleranza banale, l'insofferenza banale. E per me è giusto che nella giornata si tratti anche di ciò che succede a Gaza».

Mettendo sullo stesso piano lo sterminio di ebrei compiuto dai nazisti e l'azione militare israeliana in corso? Può chiarire?
«No, neppure per idea. No. La Shoah io non la metto neanche sullo stesso piano degli altri genocidi. E' stata inaudita. Non lo dico per motivi sentimentali. Per analisi storica».

E come tratterebbe di Gaza il 27 gennaio?
«Cercando di coinvolgere il più possibile israeliani e palestinesi, dando forza agli uomini di pace. A Venezia in uno stage riuscimmo a far parlare per giorni due studentesse, una israeliana e una palestinese, che avevano avuto parenti uccisi. Quest'anno non ne abbiamo trovate. Sa, sarà una giornata molto delicata».

Come se la aspetta?
«Una giornata molto tesa. Ovunque. Spero non ci siano degli scemi che bruciano bandiere. Speriamo che quel giorno i cretini restino a casa. Che permettano di parlare con il necessario, legittimo riconoscimento».

Maurizio Caprara

17 gennaio 2009
da corriere.it
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« Risposta #11 inserito:: Aprile 29, 2009, 11:24:31 pm »

Cacciari: «Ecco il primo progetto subito attuabile»


Alberto Vitucci


Una parte dell’Iva ai Comuni, no a quote dell’Irpef, lotta all’evasione a livello locale, istituzione della Banca Regionale degli Investimenti: questa la ricetta del sindaco di Venezia  Una parte dell’Iva ai comuni. No alla compartecipazione dell’Irpef («E’ un’idea sbagliata»), tasse di scopo e imposte riscosse direttamente dagli enti locali. Abolizione dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia del demanio, istituzione della Banca regionale degli Investimenti. E lotta all’evasione a livello locale. E’ questa la ricetta del sindaco Massimo Cacciari per avviare il federalsimo fiscale. E ridare «ossigeno» ai comuni, strangolati dai tagli e dalla crisi.

Una proposta messa a punto - prima in Italia - dal delegato del sindaco al federalismo, Maurizio Baratello, che sarà presentata a metà maggio in un grande convegno a palazzo Ducale. Intanto di federalismo si parlerà domani a Mestre nel convegno organizzato dalla Fondazione Pellicani con il sindaco di Torino Chiamparino, il presidente della Provincia Davide Zoggia, il fiscalista Mario Bertolissi.

Sindaco Cacciari, ancora un convegno sul federalismo.
«Stavolta non si tratta di confrontare teorie, ma di avviare un percorso per un federalismo possibile».
Non è la prima volta che ci si prova.
«In questi anni si è parlato tanto di federalismo in modo generico e confuso. Adesso è il momento di fare, partendo dal testo di riforma Calderoli e dal federalismo fiscale e facendo tesoro della lezione di questi 15 anni».
Un testo di legge adesso c’è.
Il disegno di legge Calderoli è un buon testo dal punto di vista dei principi, come l’autonomia impositiva, le imposte locali. Ma fino ad oggi non è successo nulla. I tempi di attuazione sono troppo lunghi, bisogna accelerare perché i comuni non possono più aspettare. Certe cose si possono fare subito, con i decreti attuativi. Partendo però da un punto fermo».
Quale?
«Che le riforme della Carta Costituzionale non si possono fare a colpi di maggioranza, ma con il concorso di tutte le forze politiche. La Costituzione è un patto che tutti hanno contribuito a creare. Se manca l’ethos comune non ci può essere democrazia».
Cosa si può fare subito?
«L’autonomia finanziaria dei comuni, questo è il nodo, ma bisogna dare ai comuni gli strumenti per farlo».
Il 20 per cento dell’Irpef le sembra una buona idea?
«E’ un’idea sbagliata. Non ha senso mettere i comuni sullo stesso piano, i paesi di di montagna e le città d’acqua. Dividere la torta in parti uguali e dare la stessa fetta a chi è magro e a chi è ciccione. E poi nei comuni ad alta evasione le entrate potrebbero addirittura essere inferiori a quelle attuali».
Dunque?
«Bisogna intanto studiare i modi per cui i comuni siano interessati al gettito Irpef, a riscuotere le tasse e a combattere l’evasione in casa loro. Poi puntare sull’Iva come prima fonte di finanziamento. E’ un criterio molto più oggettivo dell’Irpef, perché basato sui consumi».
E poi?
«E poi bisognerà introdurre davvero le tasse di scopo, come diciamo invano da anni, unico modo per dare risorse e far vedere ai cittadini come vengono spesi i soldi. Occorre mettere mano alla macchina dei tributi. Ripeto, la legge sul federalsimo fiscale contiene principi condivisibili, ma adesso bisogna vedere come saranno attuati. Non possiamo continuare con gli annunci, perché intanto i comuni vanno verso la bancarotta, non sanno più come chiudere i bilanci».
Il Comune ha un progetto.
«Lo presenteremo insieme all’Anci a metà maggio. Facciamo delle proposte al governo che sono in parte realizzabili immediatamente. E che danno agli enti locali l’autonomia impositiva».

(29 aprile 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Giugno 25, 2009, 10:30:37 pm »

Siamo la compagnia degli sconfitti

di Paolo Forcellini


Dirigenti che da anni sbagliano tutto. E che vanno sostituiti. Un partito che non sa più leggere la realtà. Specie quella del Lombardo-Veneto. Il j'accuse del sindaco di Venezia e la sua ricetta per il congresso.
Colloquio con Massimo Cacciari  All'ultimo tratto del suo terzo mandato come sindaco di Venezia, Massimo Cacciari è ormai una mosca rossa: dopo le elezioni dei giorni scorsi, al Nord i primi cittadini del centrosinistra in città importanti si contano sulle dita di una mano, lo smottamento è stato assai significativo. C'è la possibilità di risalire la china? In che modo? Cosa ci si può attendere dal prossimo congresso del Pd? Ne abbiamo parlato con il sindaco-filosofo.


Ci si può consolare col fatto che l'"azzeramento del Pd al Nord", che molti auspicavano o paventavano, non ci sia stato?
"Beh, comunque ci siamo andati vicino. C'è una valanga che dilaga ben oltre il Nord, basta vedere i risultati della Lega in Emilia Romagna, quelli di Firenze al primo turno, la sconfitta di Prato. Quanto al 'problema Nord', la considero una categoria fasulla. Un rischio sradicamento, più che smottamento, minaccia soprattutto quel territorio assolutamente specifico, anche rispetto alle altre aree del settentrione, che è il Lombardo-Veneto. Pd e centrosinistra hanno confermato di non essere in grado di offrire alternative politiche in questa zona dove il duo fondamentale dell'attuale Repubblica, Berlusconi-Bossi, esercita un'egemonia indiscussa".

Quali le peculiarità del Lombardo-Veneto rispetto ad altre aree del Nord?
"È insensato parlare di un Nord general-generico. Il Pd ha tenuto in due capitali dell'ex triangolo industriale, Torino e Genova, perché lì c'è una composizione sociale ancora fortemente centrata sulla grande industria spesso a partecipazione statale o comunque strettamente ammanigliata con le politiche statali, vedi la Fiat. Invece nel Lombardo-Veneto, che ha conosciuto la più radicale trasformazione degli ultimi 30-40 anni, cioè l'esplosione del capitalismo personale, della fabbrica diffusa, insomma nella Terza Italia vera e propria, siamo di fronte a fenomeni di sradicamento del centrosinistra".

Insomma, da sindaco del Pd nel Lombardo-Veneto si sente come una foca monaca: chiederà soccorso al Wwf?
"Non credo. In realtà i risultati per le amministrazioni comunali anche nel Veneziano o nel Vicentino non sono del tutto negativi. Abbiamo vinto in città importanti come Valdagno, Schio, Bassano, Portogruaro. C'è stata una nettissima differenza tra voto provinciale, molto più negativo, e comunale: in quest'ultimo caso abbiamo ancora qualcosa da dire. Certo, durerà poco se il Pd non capisce la lezione".

Sembra che i maggiorenti del Pd non si rendano conto della drammaticità della situazione. Si pensi alle dichiarazioni ottimistiche, all'indomani del voto, di un Dario Franceschini ("Comincia il declino della destra") ma anche di alcuni suoi oppositori interni, ad esempio Livia Turco: "Il risultato positivo è frutto di un grande gioco di squadra". Che ne pensa?
"Ci si può anche tirare su il morale, per carità. Ma il Pd sta diventando sempre più un partito appenninico con qualche appendice. Ormai c'è una concentrazione del voto per il Pd nelle regioni tradizionalmente forti, dove però le perdite percentuali sono talvolta spaventose: il margine di vantaggio era però tale da consentire ancora una tenuta. Mi pare che la leadership del Pd non riesca a leggere la realtà. Io non ho più fiato. E credo neppure studiosi come Ilvo Diamanti o Aldo Bonomi, che da decenni analizzano il Nordest, cercando di trarne alcune conseguenze pratiche-politiche. Ancora nei mesi della fondazione del Pd e dopo la sconfitta del 2008 abbiamo cercato di spingere il nascente partito ad articolarsi territorialmente, in modo da poter risultare nel Lombardo-Veneto una credibile forza alternativa al centrodestra. Questi tentativi sono stati respinti e anche l'odierno verdetto delle urne ne è una conseguenza".

A ottobre ci sarà il congresso Pd. Dopo questi risultati è auspicabile un nuovo cambio di leadership?
"Vedremo i programmi. Ma certo uno degli elementi su cui valutare i candidati sarà la dimostrazione di una piena consapevolezza del dramma che si sta vivendo in generale al Nord e in particolare nel Nordest. Bisogna capire se i candidati hanno metabolizzato la lezione e quindi si presentano con un'analisi corretta di queste realtà e con proposte che vi rendano praticabile una presenza del centrosinistra".

Piena autonomia al Pd del Nordest: cos'altro prevede la sua ricetta?
"Al di là di questo fattore, che potrebbe sembrare soltanto organizzativo, formale, ma non lo è affatto, vi sono numerosi temi strategici da approfondire".

Faccia qualche esempio.
"In primo luogo il Pd deve decidere la propria linea in materia di riforme istituzionali e costituzionali. Inoltre deve impostare una dura battaglia sul tema del federalismo fiscale che scavalchi, per coerenza e radicalità, anche le proposte di un Calderoli che sono 'sine die'. Più in generale, sui temi delle riforme elettorali, cassati i quesiti referendari, cosa si vuol fare? E, sul piano dei rapporti sociali, si dovrà vedere quali analisi, e con quali differenze tra loro, i candidati formulano sulla situazione economica e se si intendono avanzare proposte ad esse coerenti. Il che significa definire precise priorità su scuola, formazione, ricerca, innovazione. Se si tratterà ancora una volta di aria fritta, come spessissimo è stato in passato, la frana proseguirà".

Il centrosinistra l'ha spuntata in alcune città solo grazie all'apporto dell'Udc nei ballottaggi. Una strada su cui proseguire?
"Sì, se non altro per senso della realtà. È assai improbabile che l'Udc possa tornare sui suoi passi, anche se probabilmente il grembo del Cavaliere è sempre aperto. Penso proprio che Casini abbia tutt'altre intenzioni, l'Udc senz'altro si sfascerebbe se ci fosse una maggioranza che proponesse il ritorno a Palazzo Grazioli insieme alle 'signorine'. Nel Pd deve però emergere una posizione molto chiara: non si può essere costantemente in bilico tra nostalgie uliviste, di unione larga, e la costruzione di relazioni organiche e politiche con l'Udc. Anche questo sarà un tema che il congresso dovrà affrontare".

Sembra realpolitik. Ma non è altrettanto realistico constatare che il centrosinistra, in passato, ha vinto grazie ai consensi della sinistra detta radicale?
"Vittorie di Pirro. Come quando si vince una battaglia entrando nel territorio nemico e trovandovi terra bruciata. Poi diventa difficile tornare indietro senza perdere tutto. Il centrosinistra ha vinto nel 2006 e poi si è ritrovato in un'agonia lunga molti mesi".

Condivide l'idea che alla direzione del Pd ci voglia un cambio generazionale?
"Non c'è dubbio. Quella che oggi guida il Pd è una generazione sconfitta. Se ne dovrebbero rendere conto tutti con grande disincanto e anche una certa dose di generosità. Gli attuali leader avevano in mano il pallino vent'anni fa: hanno perso la loro partita e ora dovrebbero cercare immediatamente di promuovere i 30-40 enni. Gli 'anziani' sono stati protagonisti di una serie clamorosa di cazzate tattiche inserite in una marcata indigenza strategico-politica. Cito solo alcuni degli errori più madornali, dal modo in cui Achille Ochetto ha gestito la trasformazione del Pci invece di fondare un nuovo partito, facendosi condizionare esclusivamente da chi se ne sarebbe comunque uscito, dai Cossutta e dagli Ingrao, per arrivare alla gioiosa macchina da guerra. E poi sbagli strategici come quello di non capire che chi si era salvato da Tangentopoli aveva in realtà perso la guerra e avrebbe dovuto aprirsi immediatamente a un rapporto per salvare il salvabile del ceto politico della prima Repubblica. Ancora: si doveva mettere un cuneo possente fra Berlusconi e Bossi dopo il fallimento della loro la prima esperienza di governo; si doveva praticare con coraggio una politica federalista invece di credere al Berlusconi della Bicamerale e aspettare quindi che il Cavaliere e Bossi facessero pace. Potrei continuare a lungo. Non si può pensare che si possa sbagliere praticamente tutto per vent'anni senza pagarne lo scotto. Insomma questa generazione, me compreso, ha finito. Se hanno un mestiere tornino a farlo, altrimenti vadano in pensione".

(25 giugno 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #13 inserito:: Novembre 02, 2009, 03:52:43 pm »

Lo strappo: «Condivido la scelta di Rutelli ma con l'Udc non ho nulla a che fare»

Cacciari: addio alla politica Sconfitti tutti i miei progetti

«Questo Pd è il vecchio disegno di D'Alema. Non mi interessa»

   
ROMA — «Non intendo più candidarmi a nulla. Nel 2010 non farò più il sindaco di Venezia, né il deputato. Basta. Quante volte occorre essere sconfitti in una vita?».
Massimo Cacciari si ritira? «Continuerò a dire la mia, ma non accetterò più impegni organizzativi. Ho già dato, serve realismo. Trent'anni fa speravo con altri di poter imprimere una svolta al Pci. Poi ci ho provato con Occhetto, quindi con il partito dei sindaci, con l'Asinello di Prodi, con la Margherita e infine con il Pd. Quel che ora dice Rutelli io l'avevo detto molto tempo prima. A chi dovrei continuare a predicare?».
E guidare il movimento di Rutelli?
«Ma quando mai mi si è offerto di guidare qualcosa? E comunque non me ne frega niente, il potere mi fa ridere. Stimo Tabacci e, a Rutelli, mi lega una affettuosa amicizia. Condivido la sua scelta, ma io con l'Udc non ho nulla a che vedere. Né con gli altri».
Cioè il Pd di Bersani?
«Gli auguro successo, ma sarà la cosa 2, 3 o 4 di D'Alema. È un dramma quel che si profila nel Pd. L'intesa col centro è inevitabile e 'sta frittata qui, un centrosinistra da prima Repubblica che è il vecchio disegno di D'Alema, non mi interessa culturalmente. Anche se è l'unica via per sconfiggere Berlusconi».
Trovi lei un'altra via.
«E cosa dovrei fare? Più di come mi sono fatto il culo in questi anni? Nessuno mi ha mai filato, anche se ho avuto sempre ragione. In politica bisogna essere a tempo e non in anticipo, a 65 anni ho capito che non sono capace di fare politica. Il mio amico D'Alema sì, che è capace».
Ha mediato con Rutelli.
«Non sento D'Alema da quando avevo i calzoni corti, ma so per certo cosa gli ha detto. "Ti capisco, Francesco. Fai il centro e ci incontreremo in una bella alleanza"».
D'Alema potrebbe diventare ministro degli Esteri Ue.
«Sì, dopo aver rimestato nel pollaio in modo tale da diventarne l'ambasciatore più rappresentativo... È lo stesso film del '98, quando D'Alema nel casino generale fa un bell'accordo fuori dal centrosinistra e diventa premier».
Rimpiange Prodi?
«Macché, lasciamolo perdere Prodi. Veltroni sì che aveva idee, ma non ce l'ha fatta per limiti personali e incapacità organizzativa. Fassino e Rutelli erano autenticamente per il Pd, sono stati generosi e nemmeno loro ce l'hanno fatta. Casini? Anche lui non ha capito nulla».
Le Regionali: un bagno?
«Non è detto. Bersani può anche tenere, Pd e centro assieme potrebbero fare meglio che alle Politiche».
La Bindi accusa Rutelli di pensare al se stesso.
«Vada a spasso. Ci vorrebbe un libro per raccontare i disastri che ha fatto la Bindi».
Quanta amarezza...
«Macché amarezza, una liberazione. Non vedo l'ora di tornarmene all'università».

Monica Guerzoni

02 novembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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« Risposta #14 inserito:: Dicembre 29, 2009, 11:03:29 am »

Cacciari giudica Venezia: «Molti speculatori ma anche voglia di futuro»

Il sindaco: «C'è una marea di nero inimmaginabile. Il cittadino dell'anno è Alberto Sonino. Con più donne andremmo meglio»
           
 
 di Michele Fullin

VENEZIA (29 dicembre) - Non è la solita intervista di fine anno. Piuttosto una chiacchierata ad ampio raggio quella che Massimo Cacciari ha fatto con il Gazzettino. Un giro d’orizzonte in cui il sindaco parla di opere realizzate, di progetti avviati ma muove anche accuse precise. La più forte, tutta veneziana, riguarda l’evasione fiscale: «In questa città - dice il sindaco - c’è una marea di nero solo lontanamente immaginabile». Poi punta dritto contro l’eccessivo centralismo statale. «Non danno una lira - sbotta - e bisogna seguire gli ordini: è proibito mettere una tassa di soggiorno e tassa di scopo, ad esempio. Questo è il "centralismo scatenato" italiano, alla faccia del federalismo». Infine parla del suo futuro. «Insegnerò a Milano ma non lascio Venezia. - rivela - Ho 30mila libri da portare via. Troppi...».


Sindaco Cacciari, tra pochi giorni termina l’anno, ma tra pochi mesi terminerà anche il suo mandato. Pensa di aver lasciato la città migliore o peggiore di come l’ha trovata?
«Mah, migliore, peggiore... questa è una città completamente trasformata in tutti i suoi aspetti. Basti pensare che un tempo c’erano le municipalizzate, oggi ci sono società per azioni. La trasformazione continuerà verso una forma di gestione sempre più di tipo aziendale: Insula, Fondazione musei, Venezia Marketing & Eventi. Tutta la governance della città è trasformata rispetto a 20 anni fa. Impossibile fare raffronti. Sarebbe come dire se è meglio il Milan di adesso o quello di Schiaffino».

Tutte le opere che sono state fatte...
«Mestre è un cantiere e così Marghera. Il Vega non esisteva e continuerà ad essere interessato da interventi. Poi le aree interne al tessuto urbano di Marghera...».

Sembra che ci sia la volontà di lasciare un segno tangibile del suo passaggio.
«Cosa vuol dire? Questi processi di trasformazione urbana dipendono da un disegno di trasformazione urbana che si presentò alla città circa 20 anni fa e che, dopo difficoltà e forche caudine indicibili (dai vincoli sacrosanti in materia ambientale, monumentale, bonifiche, interessi nazionali) è andato avanti. La città di oggi è imparagonabile a quella di vent’anni fa. Occorre aver presente che irreversibilmente nei prossimi anni questo cantiere è destinato a diventare ancora più cospicuo e impattante, perché certamente saranno gli anni del completamento del tram, l’intervento sull’ex Umberto I e quadrante di Tessera. La trasformazione continuerà forse più che in passato».

Manca qualcosa a questo disegno?
«Quando si concluderanno i lavori che citavo, oltre al museo di Mestre, la nuova piazza Barche, il megaprogetto del Lido e finalmente la conclusione del piano dell’Arsenale per cui siamo ancora bloccati da manomorte di demani vari, il disegno sarà completato. Con il fondamentale apporto della Regione e dello Stato ci saranno anche il tram, l’alta velocità, la Sfmr e il passante. Per tutti questi motivi abbiamo presentato la candidatura alle Olimpiadi. Tutti questi obiettivi sono realizzati o si realizzeranno inevitabilmente, a meno di cataclismi, nei prossimi cinque o sei anni. A quel punto ci sarà una città che potrà ospitare anche le Olimpiadi o un altro evento mondiale di quelle dimensioni. Tutti i progetti non sono più soltanto idee, sono cantieri».

Pensa che il Comune non sia riuscito a comunicare tutto ciò che ha fatto ai cittadini?
«I cittadini stanno a vedere problemi più determinati. Sarebbe bello avere i soldi per fare quattro giri di raccolta rifiuti invece di due, sarebbe bello invece di avere due vigili a San Marco averne cinque, ma non ci sono le risorse. Vede, quello che è diventato critico per tutti i Comuni italiani sono le spese ordinarie, perché gli investimenti in un modo o nell’altro si trova il modo di finanziarli. Ad esempio, vendendo immobili, con il ricavato dei quali posso solo fare investimenti, non certo pagare i vigili. Per le spese ordinarie siamo in gravissima crisi: tagli ai trasferimenti, impossibilità ad agire autonomamente in materia tariffaria. Andrebbe bene se mi dicessero: non ti do più una lira e tu arrangiati. No, non danno una lira e bisogna seguire gli ordini: è proibito mettere tassa di soggiorno e tassa di scopo, ad esempio. Questo è il "centralismo scatenato" italiano, alla faccia del federalismo di cui si parla. In questa situazione, ciò che soffre di più è la possibilità di migliorare i servizi quotidiani. Anche su questo abbiamo fatto: abbiamo dati, non impressioni, che ci dicono che il servizio è migliorato, ma certamente si potrebbe o si dovrebbe fare molto di più. Ma c’è un vincolo: le risorse per le spese correnti, che sono state falcidiate con i trasferimenti dello Stato e siamo stati messi nell’impossibilità di recuperarli in altro modo. Negli ultimi due anni, la riduzione degli incassi del Casinò ha peggiorato le cose. Faccio un esempio: abbiamo pensato alla linea 3 e abbiamo dovuto rinunciarvi perché non potevamo permetterci di sopportarne il costo. Per miracolo continuiamo a sostenere la gratuità dell’abbonamento per gli over 75. La gente vede queste cose qua, è anche troppo umanamente comprensibile, e su queste cose vorremmo fare di più».

Tra i progetti che avete ereditato dalla passata amministrazione, c’è qualcosa che non avreste portato avanti?
«Avrei portato avanti in modo completamente diverso il discorso delle Municipalità. La finzione di dire facciamo le Municipalità come se fossimo una vera città metropolitana ha provocato grande fatica, forse qualche spreco di risorse, senza aumentare la caratura democratica e partecipativa del Comune. Il resto sono dettagli, perché c’è una continuità amministrativa di fondo che bisogna rispettare».

Si taglieranno le politiche sociali?
«Continuano ad essere il piatto forte. Questo Comune è il primo in italia per finanziamenti alla cultura e tra i primissimi per i servizi alla persona».

Mai pensato di metterle in forse?
«Mai, assolutamente. Quest’anno abbiamo dovuto proporre una modesta riduzione della cultura, mentre abbiamo mantenuto gli stessi importi per i servizi alla persona. Che, di per sè, a causa dei costi crescenti, è già una diminuzione».

Calcio Venezia, Porto Marghera. In molti campi il sindaco si è sostituito in un certo senso agli imprenditori. Se n’è mai pentito?
«Sapevo che la situazione del calcio Venezia era disperata e ho voluto vedere se c’era una possibilità. Si potrebbe anche discutere, ma la città è fatta anche di realtà sportive di eccellenza, non solo dello sport che sosteniamo come servizio sociale. Per quanto riguarda Marghera, ci mancherebbe che il sindaco non si interessasse di Marghera, realtà strategica per il Paese, che dà lavoro a migliaia di persone. Ci mancherebbe altro che non mi interessassi di una realtà così significativa che sarebbe sciagurato dismettere così, sic et simpliciter. Sartor? Persona impegnatissima, che ha fatto un buon progetto che, secondo me, è stato sabotato. Nei suoi confronti mantengo molta fiducia, a lui non è stato concesso di portare a termine il suo progetto».

Chi eleggerebbe a veneziano dell’anno?
«Ce l’ho in mente ed è esattamente quello a cui la Settemari darà il premio il 13 gennaio, Alberto Sonino. Mi pare abbiano individuato la persona più adatta a dare un segno di vitalità e rinnovamento».

E se si parlasse del decennio?
«Non ci sono tante persone che hanno eccelso nel contribuire alla città. Direi che sono in grande difficoltà nel dare un nome. Tanti hanno fatto il loro dovere, hanno dato sostegno a questo o quello. Ma il benefattore, proprio non saprei».

Il suo rapporto con i veneziani.
«Sono persone mediamente affette da una grave miopia, sono troppo addosso a questa realtà straordinaria per capirne tutte le opportunità e le potenzialità. Alcuni la sfruttano sul breve periodo, altri ne vivono soltanto gli aspetti "negativi", altri ci speculano sopra, magari affittando le case agli studenti a 500 euro al mese. La marea di nero che ci deve essere in questa città è soltanto minimamente immaginabile. Ma poi ci sono per fortuna anche quelli che capiscono queste opportunità e le difficoltà di governare una realtà così complessa. Alla fine, grazie anche a voi giornalisti emergono tuttavia sempre le persone che hanno questa formidabile miopia, per cui la città è il colombo, il sacchetto di spazzatura e nient’altro. Esistono solo la notizia cattiva, la protesta e la lamentela. Ma non sono tutti così, ci sono i pubblici esercizi che ti danno una mano, anche certe iniziative che abbiamo fatto con i commercianti, c’è il club Amici di Venezia e ci sono i Veneziani x Venezia. Piccoli germogli che testimoniano la volontà di futuro che c’è, che esiste una cultura che può spaccare la crosta dei luoghi comuni attorno anche alla Venezia storica».

Che ci dice del Lido?
«Ah, il Lido. L’isola abbandonata e derelitta. Proprio al Lido è partito un investimento complessivo - quasi tutto privato - che si avvicinerà alla fine al miliardo di euro. Questo è il punto. Alla fine, però, queste opportunità le vedono molto di più i Pinault, i Mossetto e i fondi internazionali. Bisognerebbe in definitiva che i veneziani vedessero la città da una giusta distanza critica. Dovrebbero viaggiare di più, perché si rendano conto che il sistema di trasporto lagunare è il miglior trasporto pubblico del mondo. Per capirlo, basta farsi un giretto a Roma o Milano alle ore di punta. Allora capirebbero meglio i disagi che certamente nella città esistono, e capirebbero meglio la difficoltà di governare un territorio così incredibilmente complesso come Venezia e Mestre e capirebbero le grandissime potenzialità di quest’area».

Per le prossime elezioni lei ha lanciato Orsoni...
«Ho detto che è un candidato che certamente dal punto di vista della preparazione amministrativa, dell’esperienza, della sua riconoscibilità molto ampia e trasversale in questa città è un candidato a mio avviso ottimo. Ho anche aggiunto che ci debbano essere delle primarie la cui offerta politica sia rivolta all’intera città e che il candidato che emergerà dalle primarie avrà il mio appoggio incondizionato».

Donne, è il loro momento?
«Ce ne sono parecchie. Le donne che ho avuto il piacere di avere in giunta sono adeguate a qualsiasi incarico politico e amministrativo. Poi, purtroppo, le valutazioni non si fanno sempre su serietà, professionalità e competenza. Io mi auguro che nel prossimo giro ci siano più donne in consiglio comunale, perché quello che si vede in questo consiglio è una vergogna assoluta. Tutte le volte che ho avuto la responsabilità di costruire squadre le donne ci sono sempre state, la presenza femminile è un assoluto valore aggiunto all’interno di un lavoro politico. Le donne sono più leali, meno chiacchierone, più sulla cosa. Se i consigli comunali fossero fatti solo di donne sarebbe centomila volte meglio».

Una volta che avrà concluso questa esperienza andrà a Milano a insegnare. Lascerà Venezia definitivamente?
«Mi sa che sarà difficile traslocare con 30mila libri. Dovrò restare qui per forza. A Milano avrò un appartamento, ma il trasloco definitivo sarà, temo, proibitivo».

Andrà in vacanza questa fine anno?
«No, devo scrivere una cosa per Bompiani. Starò a casa a lavorare, come faccio da 5 anni e come ho fatto per 10 anni in precedenza».
 
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