LA-U dell'OLIVO
Aprile 28, 2024, 10:28:30 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Tra Gheddafi e Berlusconi "un patto a spese dei migranti"  (Letto 3032 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Giugno 10, 2009, 04:24:06 pm »

Human Rights Watch: "L'accordo permette all'Italia di sottrarsi ai propri obblighi"

Il racconto di un eritreo detenuto in Libia: pestaggi e connivenza con i trafficanti

Tra Gheddafi e Berlusconi "un patto a spese dei migranti"

di VITTORIO LONGHI


 "Mi picchiarono tre guardie con sbarre di legno e di metallo. Mi picchiarono per più di 10 minuti. Mi chiamavano "negro" mentre mi picchiavano. Quando caddi a terra mi presero a calci. Mi colpirono in testa con una sbarra di metallo. Ho ancora le cicatrici e dolori alla testa".

Tomas, un ventiquattrenne eritreo intervistato a Roma il 20 maggio, ha riferito a Human Rights Watch di abusi e pestaggi subiti dalle guardie delle prigioni libiche di Jawazat e di Kufra, luoghi di deportazione in cui - secondo l'organizzazione umanitaria - gli agenti sono in combutta con i trafficanti, che chiedono ai migranti centinaia di dollari per farsi portare a Tripoli.

"Il primo ministro Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi stanno costruendo il loro accordo di amicizia a spese di individui, di altri paesi, ritenuti sacrificabili da entrambi", afferma Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch, nel giorno della visita del leader libico in Italia. "Più che un trattato di amicizia - aggiunge - si direbbe uno sporco accordo per permettere all'Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi".

La Libia non si può considerare seriamente come un interlocutore in qualsivoglia schema di protezione dei rifugiati, dice l'organizzazione, perché non ha ratificato la Convenzione sui rifugiati, non ha alcuna legislazione in materia d'asilo e invece vanta una triste storia di abuso e maltrattamento sui migranti colti nel tentativo di scappare dal paese via nave.

Da quando l'Italia ha stabilito la sua nuova politica di intercettazione e respingimento sommario il 6 maggio, sono stati intercettati 500 tra migranti e richiedenti asilo dalle forze di sicurezza italiane e le loro imbarcazioni trainate in Libia. I migranti vengono respinti senza neanche una valutazione superficiale per determinare se abbiano bisogno di protezione o siano particolarmente vulnerabili, come nel caso di malati o feriti, donne incinte, bambini non accompagnati, o vittime di tratta.

(10 giugno 2009)
da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Giugno 11, 2009, 05:33:17 pm »

L'Idv gli dona una finta laurea. Critiche degli studenti sulla politica anti-immigrati

Gheddafi: l'Italia rinneghi il colonialismo

L'Onda pronta a contestarlo alla Sapienza

«Contro il nostro popolo commesse gravi atrocità, la ferita andava sanata».

«Usa terroristi come Bin Laden»


MILANO - E' una città blindata quella che ospita il leader libico Muammar Gheddafi. Dopo l'accoglienza in pompa magna di ieri e le polemiche che ne sono scaturite - sfociate nella decisione di non concedergli un palcoscenico istituzionale come l'Aula di Palazzo Madama -, il capo del governo di Tripoli era atteso oggi a Palazzo Giustiniani, sede della presidenza del Senato, per l'incontro con il presidente dell'assemblea, Renato Schifani, e con alcuni senatori. A seguire è poi previsto un suo intervento all'Università La Sapienza, dove riceverà una laurea ad honorem in giurisprudenza.

L'INCONTRO CON SCHIFANI - Seguito da un imponente apparato di sicurezza, composto da poliziotti e carabinieri italiani e da agenti libici, Schifani si è presentato a Palazzo Giustiniani con circa 50 minuti di ritardo rispetto all'orario previsto. Si è fermato con la sua limousine bianca davanti all’ingresso dell'edificio (da cui l'enorme limousine su cui si sposta nella capitale non passa), dove è entrato a piedi. Schifani ha parlato di «incontro storico» e ha sottolineato come il trattato di amicizia approvato da un'ampia maggioranza sia «un ponte verso il futuro»: «Dobbiamo investire sul futuro comune, su uno sviluppo congiunto dei nostri continenti - ha detto i capi dei senatori italiani -. Uno sviluppo equilibrato che porti pace e sicurezza, uso razionale delle risorse, governo delle dinamiche migratorie nell'obiettivo di un'armonica convivenza tra i popoli, nel pieno rispetto dei diritti umani riconosciuti dalla Comunità internazionale».

L'INTERVENTO DI GHEDDAFI - Gheddafi nel suo intervento ha citato Berlusconi, Andreotti, Cossiga, Dini e ha parlato di un incontro con «vecchi amici». «L'Italia di oggi non ha nulla a che fare con l'Italia di ieri - ha detto Gheddafi con riferimento all'epoca coloniale - ma per molti anni era rimasta una situazione psicologica di insoddisfazione e di dolore nei confronti dell'Italia. Io ho cercato di lavorare per superare questa condizione, per arrivare ad uno sviluppo dei rapporti tra i due Paesi». «Ho sempre detto che l'Italia doveva chiedere scusa per quanto fatto nel periodo fascista e in quello prefascista - ha aggiunto -. Abbiamo sempre ribadito la necessità di un risarcimento per i danni morali e materiali che ha subito ogni famiglia in Libia. Anche se ogni indennizzo non ha valore di fronte alle atrocità subite dal popolo libico, le atrocità e le umiliazioni, oltre alla distruzione del territorio libico, a causa del colonialismo italiano. Ma noi non chiedevamo nulla di materiale: ma sul piano politico sì. Serviva una condanna del passato e un riconoscimento degli errori del colonialismo». Gheddafi ha spiegato come in passato nessuno avesse messo in conto il fatto che la Libia potesse diventare un Paese di cui l'Italia avrebbe avuto bisogno per le fonti energetiche, una nazione economicamente e militarmente forte: «Altrimenti certo non avrebbero commesso certe atrocità», atrocità «di cui forse oggi molti italiani delle nuove generazioni neppure hanno idea». Ma se si sanano quelle ferite («che andavano sanate, non volevamo ulteriori ostilità») si può davvero puntare a cooperazione. Per questo, ha spiegato, il trattato di amicizia è significativo. Ha poi parlato di «giustizia di Dio» ricordando come poi Mussolini venne giustiziato in piazza.

DITTATURE E TERRORISMO - Con un azzardato paragone con l'epoca dell'impero romano, «quando Giulio Cesare e Augusto governavano da dittatori con l'appoggio del Senato», Gheddafi ha poi trovato una sorta di giustificazione al terrorismo e alle dittature: «Saddam Hussein era stato eletto dagli iracheni - ha detto in sostanza - era una questione interna, perché qualcuno dall'esterno ha deciso di volerlo rimuovere?». Ha poi provato a dare una spiegazione al fenomeno del terrorismo come necessità di «difesa» dalle usurpazioni del mondo occidentale. «Si definiscono terroristi quelli con i fucili e le bombe, ma come definire allora le potenze che hanno missili intercontinentali? Qual è la differenza tra azioni di Bin Laden e l'attacco contro la Libia di Reagan nel 1986? Non era terrorismo quello?». «Se si vuole la pace - ha sottolineato - bisogna mettere da parte l'arroganza, la Terra è stata creata da Dio per tutta l'umanità, non per una sola potenza egemone». Nessuno, ha poi aggiunto, ha premiato la Libia per avere interrotto il programma nucleare, questo giustifica altri Paesi a non interrompere i loro. «Ma non abbiamo voluto produrre armi nucleari - ha aggiunto - anche perché non avevamo nemici contro cui usarle». E quanto alla politica Usa, «grazie a loro che hanno ucciso Saddam si sono spalancate le porte ad Al Qaeda trasformandolo in un emirato estremista».

LA FINTA LAUREA DELL'IDV - Un gruppetto di senatori dell'Idv con il capogruppo Felice Belisario aveva atteso davanti Palazzo Giustiniani il leader libico esibendo un facsimile di un attestato accademico con la scritta «Laurea Horroris Causa» con un riferimento alla violazione dei diritti umani. Il capogruppo Belisario e gli altri senatori avevano appuntato sulla giacca una foto dei resti dell'aereo Pan Am esploso sui cieli della Scozia a Lockerbie con sotto la scritta «270 morti». I sei senatori dell'Idv - oltre Belisario, Stefano Pedica, Pancho Pardi, Giuliana Carlino, Giuseppe Caforio e Elio Lannutti - sono entrati a Palazzo Giustiniani ma non è stato concesso loro di entrare nella Sala Zuccari esibendo la foto e l'attestato di «laurea». La finta onorificenza dovrebbe essere consegnata direttamente al Colonnello all'università La Sapienza e i motivi sono così elencati: «Il colpo di Stato violento e sanguinoso nel 1968; la cacciata vergognosa di 35 mila italiani residenti in Libia il 7 ottobre 1970; il terrorismo con l'elencazione di una serie di attentati attribuiti al leader libico tra cui quello di Lockerbie; la dittatura; le torture; il ricatto minacciandoci di fare cominciare una nuova ondata di clandestini se l'Italia non effettuerà nuovi investimenti in futuro nel suo paese».

LA PROTESTA DEGLI STUDENTI - La presenza di Gheddafi all'ateneo romano non è stata gradita dagli studenti dell'Onda, che contestano anche quella che considerano un'eccessiva militarizzazione dell'intera zona universitaria. «È la prima volta, da tanti anni, che vediamo polizia e carabinieri, in un simile dispiegamento, dentro il perimetro dell'università - sottolinea Francesco Brancaccio, uno dei portavoce del movimento studentesco che oggi promuoverà una protesta contro l'azione di contenimento dell'immigrazione clandestina che vede in qualche modo alleati il governo italiano e quello libico -. Con Gheddafi, che si è auto-invitato, contestiamo il pacchetto sicurezza e la politica scellerata dei respingimenti». «Il governo - spiega Francesco Raparelli, altro volto noto del movimento studentesco romano - ha trovato la via spianata con il leader libico: ad ogni respingimento, infatti, segue l'arresto degli immigrati riportati in Libia». «Il mare non può essere teatro di morte». Gli studenti hanno inoltre trovato un santo patrono per gli immigrati «vittime dei respingimenti selvaggi»: è San Papier, un'icona rappresentante un uomo di colore che tiene nella mano sinistra il globo terrestre con, in bella evidenza, il continente africano. Saranno poi gonfiati canotti per rappresentare il dramma di chi affronta «viaggi della speranza che si trasformano, sempre più spesso, in viaggi di morte», conclude Brancaccio. Morte che sarà rappresentata anche con vernice rossa che sarà adoperata ad imitazione del sangue dei migranti.

SENATO BLINDATO - Anche il Senato è stato trasformato in un fortilizio per l'arrivo di Gheddafi Oltre duecento uomini, tra polizia, carabinieri e guardia di Finanza, sin dalle prime ore del mattino, hanno «bonificato» l'intera area intorno a Palazzo Madama ed i palazzi senatoriali Cenci, Beni Spagnoli e Giustiniani. Ci sono artificieri, reparti cinofili, tiratori scelti all'opera per vigilare sulla sicurezza del leader libico. È stata creata una «zona rossa» protetta. Particolarmente impegnati per la sicurezza anche una cinquantina degli uomini e donne dell'Ispettorato della Polizia di Stato del Senato che fra i loro compiti avranno anche quello di «vigilare» sui servizi di sicurezza libici che hanno il compito di proteggere il Colonnello, fra cui le famose «Amazzoni» fiore all' occhiello della sua guardia personale. Nessuno, infatti, potrebbe entrare armato nei palazzi, ma quasi sempre le delegazioni straniere violano questa regola. In questo caso ogni body-guard armata che riesce a portare all'interno un'arma addosso viene, con discrezione, tenuta sotto controllo da due uomini della sicurezza, armati a loro volta. Per il controllo anti-armi gli agenti indossano speciali guanti metal-detector che vibrano in caso scoprano un'arma. La sicurezza di Muammar Gheddafi è garantita dai Nocs.


11 giugno 2009

 da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Giugno 12, 2009, 06:48:29 pm »

2009-06-12 05:45

GHEDDAFI: USA COME BIN LADEN. NO A PARTITI, POTERE AL POPOLO

 di Flavia Ressmann


ROMA - "Se il popolo italiano me lo chiedesse ...io gli darei il potere annullando sicuramente i partiti e le elezioni". Sogna ad occhi aperti o anticipa un progetto politico? Di certo stupisce il colonnello libico Muammar Gheddafi quando dal balcone del Campidoglio - luogo simbolo della millenaria storia capitolina declama che se dipendesse da lui esporterebbe in Italia, senza esitazioni, il modello della Jahamhrya dove regna da 40 anni un colonnello. Alternativa valida al' "partitismo" che non esita a definire "l'aborto della democrazia".

Protetto da un numero infinito di guardie del corpo e da un vetro antiproiettile, con vistosi occhiali scuri e due ombrellini bianchi per ripararlo dal sole, un elegante jalabia color tabacco e le braccia rivolte al cielo con le mani intrecciate in segno di vittoria. E' questo il Gheddafi che si é affacciato sulla piazza del Marco Aurelio con al fianco il sindaco Gianni Alemanno, a tratti visibilmente in imbarazzo. Un personaggio, senza dubbio, che oggi non ha risparmiato nella sua seconda giornata romana né stravaganze né eccessi verbali. Non solo con la 'lezione di democrazia' fuori programma impartita dal colonnello, ma anche per la proposta surreale rivolta al premier Silvio Berlusconi di presentarsi per diventare presidente del popolo libico.

Ad immortalarlo in ogni suo gesto c'era un'unica televisione, quella libica, l'unica alla quale il Campidoglio, su insistenti pressioni dell'ambasciata, ha consentito la diretta. In realtà, dicono i bene informati, il colonnello avrebbe preferito un incontro con i romani, senza stampa intorno. Era cominciata sotto il segno di una bordata contro l'America, "terrorista" al pari di Bin Laden e colpevole di voler "colonizzare l'intero globo" la seconda giornata di Gheddafi nella capitale. E' proseguita poi - tra ritardi sempre meno gestibili in una città tramortita da 48 ore di disagi - in una puntata all'Università tra studenti dell'Onda che lo fischiano accogliendolo con lanci di secchi di vernice rossa e curdi del Pkk che lo acclamano. Il punto più alto dello show si é manifestato con una mini-sfilata delle body guard del colonnello sul palco della Sapienza. Quasi un video-clip, quello che il colonnello ha organizzato con un gesto della mano.

A far scattare l'inatteso defilé, una domanda di una studentessa sulla condizione delle donne in Libia. Un quesito cui il Leader ha risposto, sorridendo, chiamando con un gesto sul palco tre delle sue guardie del corpo: una in mimetica e due in divisa kaki, ma tutte con il berretto rosso, hanno sfilato davanti alla platea. Belle. Con un portamento da top model e per nulla marziale. E' stato uno dei momenti più apprezzati dagli studenti. E pensare che alla vigilia del suo arrivo la storia della tenda beduina fatta montare nei giardini di Villa Pamphili già sembrava sufficiente come stranezza da annoverare tra i ricordi dell'evento. Ci si è dovuti ricredere non appena Gheddafi è apparso sulla scaletta dell'aereo che lo ha portato a Roma da Tripoli. Quella foto appuntata sul petto di un eroe senza tempo come "il leone del deserto" arrestato dagli squadroni fascisti nel 1931, ha fatto in un batter d'occhio il giro del mondo. 

da ansa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Giugno 14, 2009, 06:48:24 pm »

2009-06-11 20:13

GHEDDAFI: DA ARCHIVI E DIARI REAGAN RETROSCENA BOMBE '86


di Marco Bardazzi

WASHINGTON - Il 21 aprile 1986, pochi giorni dopo l'attacco americano contro la Libia, Ronald Reagan perse la pazienza con "quel pagliaccio di Gheddafi". "Quando la farà finita di piagnucolare che le nostre bombe hanno ucciso una ragazzina?", annotò il presidente degli Stati Uniti sul diario personale. "Che dovremmo dire del neonato volato giù da un aereo Twa a 5000 metri di quota? O della bambina di 11 anni abbattuta a sangue freddo all'aeroporto di Roma?".

Le pagine di diario di Reagan pubblicate di recente e la continua declassificazione dei documenti con cui ordinò l'attacco a Muammar Gheddafi, sollevano veli sui retroscena dell'operazione 'El Dorado Canyon', come il Pentagono battezzò il raid della notte tra il 14 e 15 aprile 1986 in Libia. Gli attacchi cioé che Gheddafi, nel suo intervento a Palazzo Giustiniani, ha ricordato per paragonare l'America a bin Laden. Le basi per il blitz furono poste da Reagan l'8 gennaio 1986 con una 'National security decision directive' (Nsdd), una direttiva top secret ora in parte declassificata. "Le prove del sostegno di Gheddafi al terrorismo, inclusi gli attacchi del 27 dicembre a Roma e Vienna, sono inconfutabili", scriveva Reagan, riferendosi alle stragi negli aeroporti del mese precedente. "Sono giunto alla conclusione - aggiungeva - che il sostegno del governo libico al terrorismo internazionale è una minaccia straordinaria alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti".

Per questo, Reagan ordinava sanzioni immediate. Ma le conseguenze principali per Gheddafi erano contenute in un allegato segreto, nel quale il presidente metteva in azione un gruppo navale nel Mediterraneo e ordinava al Pentagono di preparare piani d'attacco. I dettagli sono ancora in buona parte classificati. Gli ordini esecutivi di Reagan resi pubblici svelano vari aspetti, ma il governo americano non ha ancora tolto il segreto agli Nsdd numero 217, 218 e 224 che raccontano come fu gestito l'attacco. Ma i diari di Reagan offrono molti retroscena. La sera del 7 gennaio, prima di firmare l'ordine esecutivo, il presidente affidò alcune riflessioni alle pagine private sul "pagliaccio libico". "Se Gheddafi decide di non compiere un altro atto di terrorismo, tutto Ok, vuol dire che la nostra minaccia implicita è bastata", scriveva Reagan. "Se invece la scambia per una nostra debolezza e lo rifà, abbiamo in mente i bersagli e risponderemo con un colpo micidiale". A marzo la situazione peggiorò, prima di precipitare con l'attentato del 5 aprile in una discoteca di Berlino Ovest nel quale morirono militari americani. "C'é la prova che il cattivo è Gheddafi - scriveva Reagan - nonostante quello che quell'ipocrita va dicendo in Tv". Varie riunioni alla Casa Bianca prepararono l'attacco e Reagan nei diari lasciava trasparire tensioni nella trattativa con gli europei, soprattutto Margaret Thatcher.

Gli alleati alla fine negarono l'uso dello spazio aereo agli F-111, costringendo il Pentagono a organizzare una complessa serie di rifornimenti in volo. Ma dopo l'attacco, con l'opinione pubblica Usa solidamente dietro a Reagan, da più parti in Europa arrivò sostegno. "La Thatcher è solidamente dietro di noi - annotava Reagan il 17 aprile - mentre sono sorpreso che il premier Chirac in Francia sia violentemente contro di noi. Mitterand, Craxi e Kohl stanno cedendo: Kohl e Craxi hanno indicato che se accade di nuovo, potremo sorvolare i loro Paesi".

marco.bardazzi@ansa.it 
da ansa.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!