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Autore Discussione: CASINI...  (Letto 28271 volte)
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« inserito:: Agosto 03, 2007, 10:32:26 pm »

3/8/2007 (7:55) - RETROSCENA

Casini fa rotta verso la Cdl
 
"A settembre ci sarà la crisi di governo e l'Udc non potrà allearsi con il Pd"

AUGUSTO MINZOLINI


ROMA
Pier Ferdinando Casini è una vecchia volpe della politica e ha capito che per far dimenticare le allegre nottate romane del deputato Cosimo Mele, l’aumento dello stipendio ai deputati per il ricongiungimento famigliare proposto dal segretario dell’Udc Lorenzo Cesa e il comico test anti-droga ai parlamentari, doveva uscire dal letargo. Così il personaggio si è messo in movimento e per 24 ore è sembrato una trottola impazzita. Ha parlato di tutto, dicendo a volte il contrario di tutto, ma a ben guardare con una rotta ben precisa: la sardina bianca dell’Udc sta tornando lentamente nelle acque del centro-destra. Certo lo fa a modo suo, zig-zagando e facendo un giro largo.

Mercoledì sera l’ex presidente della Camera ha ritirato fuori uno dei cavalli di battaglia del suo repertorio, l’attacco alla leadership di Berlusconi nel centro-destra, dimenticando che in un anno i numeri sono cambiati: per il Cavaliere in meglio, per lui in peggio. Ma era solo una promessa per coprire la grande virata. Quella di ieri. In mattinata ha sbattuto la porta davanti alle telecamere del La7 ad ogni ipotesi di nuova maggioranza con il Pd: «Non esiste numericamente, perché anche nelle migliori previsioni non arriverà al 35%». Poi ha messo in riga Romano Prodi, che voleva un intervento delle gerarchie ecclesiastiche contro gli evasori: «Dovrebbe farsi gli affari suoi e non spiegare ai preti quello che devono dire in Chiesa». Ha ripetuto che «il minimo comun denominatore con Berlusconi è l’opposizione al governo, ma l’Udc rivendica il dovere di costruire un’alternativa diversa». Anche sul Cavaliere ha mitigato le parole del giorno prima: «E’ un grande leader, il più votato del centro-destra, ma non è il proprietario del centro-destra». Infine nel pomeriggio di ieri ha preconizzato una crisi di governo: «Le contraddizioni della maggioranza sono troppe, ma tutti nodi verranno al pettine a settembre». E ha proposto una strategia all’opposizione: mettere in risalto gli aspetti più «riformisti» della proposta del Professore per far saltare i nervi alla sinistra massimalista. Una linea che Casini vuole proporre a tutta l’opposizione proponendo lui stesso quel vertice del centro-destra che aveva rifiutato fino a ieri.

Per cui, sia pure usando gli itinerari tortuosi e i meccanismi complessi dell’agire democristiano, Casini sta tentando di trovare un «modus vivendi» con i vecchi alleati. Un passo ovvio, quasi obbligato, per un leader che in questo momento si trova senza linea. Senza una legge elettorale sul modello tedesco, infatti, l’ex-presidente della Camera non ha strategia. E il riavvicinamento verso Berlusconi tra i tanti fini ha anche quello di rendere meno pregiudiziali le riserve del Cavaliere nei confronti della legge con cui si elegge il Bundestag.

Insomma, recalcitrando, lentamente ma inesorabilmente, Casini, da buon doroteo (con i riflessi più appannati dei suoi maestri che sicuramente ci avrebbero messo meno tempo), sta prendendo atto della realtà. Del resto la scorsa settimana, davanti al vertice del partito, il leader dell’Udc aveva messo in soffitta la chimera di una possibile alleanza del Pd: «Da un sondaggio che ho commissionato emerge chiaramente che l’Udc perderebbe il 60% dei suoi elettori se passasse dall’altra parte». Una sentenza chiara, inequivocabile, che ha posto fine ad ogni ambizione di interpretare la linea del pendolo sulla frontiera dei due Poli. Ma anche questa premessa spietata che pone fine ai velleitarismi del passato, non ha fatto venire meno le difficoltà che Casini incontra (siamo al limite dell’idiosincrasia) con gli alleati di un tempo. Semmai la novità è che il suo rancore, al momento, ha come bersaglio più Fini che il Cavaliere.

Due giorni fa nel Transatlantico di Montecitorio il leader dell’Udc si è sfogato platealmente con diversi esponenti di Forza Italia. Prima con Angelo Sanza e Piero Testoni. Quindi con uno dei consiglieri più vicini a Berlusconi, Fabrizio Cicchitto. «Fini - ha spiegato - sta sbagliando tutto. Io non lo capisco proprio. La scelta di cavalcare il referendum rischia di creare solo problemi». Questo non significa che l’ex-presidente della Camera abbia risparmiato Berlusconi. Anzi. «Il “no” al sistema tedesco - ha fatto presente - è stato un grave errore. Inoltre sbaglia a pensare che il governo andrà in crisi in autunno: Prodi è abile, non va sottovalutato; da quanto ne so, si sta muovendo molto per mettersi a riparo da ogni sorpresa. Ha cominciato una nuova campagna acquisti. Ecco perchè puntare subito alle elezioni può essere sbagliato, rischia di compattare una maggioranza divisa. Sarebbe meglio ipotizzare un governo istituzionale». Infine, più per tattica che per convinzione, Casini ha lanciato un’esca a Sanza per aprire un varco in uno scenario che si è fatto asfissiante per lui. E probabilmente lo ha fatto ben sapendo che il suo interlocutore l’avrebbe pubblicizzata: «Fini poi non ha capito una cosa: se lui si dimostrasse più disponibile sul modello tedesco, io potrei anche diventare più elastico su una proposta che gli sta tanto a cuore, quella del partito unico».

Un’ipotesi che se paragonata alle posizioni assunte in passato dall’interessato, appare quasi come una bestemmia. Ma il «Pierferdi» nazionale è obbligato a muoversi, deve uscire dall’angolo in cui si è cacciato. Anche perché il mondo rischia di andare avanti anche senza di lui. Mercoledì sera proprio mentre l’ex-presidente della Camera sparava in video per l’ennesima volta contro la leadership di Berlusconi, dallo studio del Cavaliere di Palazzo Grazioli usciva uno dei signori delle tessere dell’Udc: il vicepresidente del Senato, Mario Baccini.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Settembre 25, 2007, 04:21:09 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 06, 2007, 10:03:13 am »

POLITICA

Casini: "Voteremo comunque il protocollo sul welfare ma non ci sarà alcun appoggio a Prodi"

"Il nostro 7% solo per creare un nuovo quadro politico. Berlusconi ci pensi: il sistema tedesco"

"Un governo di unità nazionale per mandare a casa Romano"

di CLAUDIO TITO

 
ROMA - "Nel momento in cui la sinistra antagonista dichiara che in parlamento si opporrà ad alcune parti del Protocollo e ne chiederà la modifica sostanziale, l'opposizione non può rispondere facendo la bella statuina". Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini vuole un ruolo attivo per il centrodestra in vista del prossimo "autunno caldo". Conferma allora la disponibilità a sostenere alcune delle parti del Protocollo sul welfare. Esattamente come fa Confindustria e la Cisl. "Ma non ci sarà alcun appoggio a Prodi" che cadrà solo se non si grida continuamente "al lupo al lupo", come fanno Berlusconi e Fini. "E vedrete che due secondi dopo la caduta del Professore, tutti ci chiederanno un governo di larghe intese".

La disponibilità al dialogo intanto ha fatto sobbalzare sulla sedia sia i leader dell'Unione che del centrodestra?
"Chi, nella Cdl, si è impegnato di più su queste tematiche come Roberto Maroni e Maurizio Sacconi, parla di confronto sul merito. Ecco, io voglio confrontarmi sul merito, perché sarebbe una vantaggio troppo grosso per il governo se noi ci rifugiassimo sull'Aventino. Sarebbe solo un favore a Prodi".

Quindi c'è ancora la vostra disponibilità sul welfare?
"Noi vogliamo aumentare gli elementi di riformismo di quel Protocollo e soprattutto evitare che vengano soppressi gli aspetti più innovativi. L'opposizione deve difendere ad esempio la flessibilità del lavoro. Ma vogliamo un confronto alla luce del sole. Quello che è già finito, dunque, è solo quello che non è mai cominciato".

Cioè?
"A parte i gossip estivi, noi abbiamo sempre detto che Prodi è l'ostacolo per un governo serio per il Paese. Non ci è mai passato per il cervello di dare a lui una disponibilità".

Scusi, cosa sarebbe un governo serio per il Paese?
"Quello di responsabilità nazionale. Il punto è che questo governo è ostaggio della sinistra radicale. E allora quando Prodi lancia il suo messaggio per dire che non ci vuole - intanto fa come la volpe con l'uva - in realtà vuole brutalmente respingere quelle parti della sua maggioranza che si sentono logorate proprio dalla sua presidenza. E allora Romano si attacca con la colla alla sinistra radicale".

Chi nell'Unione ha questo atteggiamento?
"In pubblico lo dice Rutelli, Mastella, Di Pietro. In privato anche nel Pd ritengono che Prodi sia una sorta di condanna. Capiscono che non si possono più presentare agli elettori così e con questa alleanza. E allora il premier li bacchetta e li minaccia: "se mi fate cadere, faccio sfaceli".

Ma lei è sicuro che settori della maggioranza sarebbero pronti ad un esecutivo istituzionale o tecnico?
"Due secondi dopo la caduta di Prodi, lo vorranno tutti. Il problema vero è chi stacca la spina. Ed evocare continuamente le elezioni, come fa Berlusconi, impedisce proprio che qualcuno prenda il coraggio a due mani e licenzi il premier".

Nel frattempo però nella Cdl accusano lei di fare il doppio gioco.
"Nell'opposizione ci sono due linee: la nostra e quella della spallata. Quest'ultima, peraltro, non ha ottenuto grandi risultati.... E la campagna di delegittimazione nei nostri confronti si scioglie davanti al fatto che al Senato noi siamo sempre stati compatti e altri gruppi della Cdl no. In effetti la mia linea non è quella di Berlusconi e Fini".

Proprio Berlusconi la accusa di voler solo rinviare le elezioni per bruciare la sua leadership.
"Al voto, purtroppo, non ci si andrà rapidamente. Non confondiamo i sogni con la realtà. La politica dello scontro ha fatto guadagnare all'Unione voti al Senato. E poi come si può pensare di interrompere la legislatura quando il capo dello Stato chiede una nuova legge elettorale?".

Certo anche le larghe intese non portano alle urne.
"Solo apparentemente. E comunque cosa ha portato la manifestazione del Polo? Cosa ha portato la salita al Quirinale? Un esempio: Berlusconi sulle intercettazioni è stato coerente. Ha detto: "sono garantista e voterò no". Ha messo in difficoltà più questa posizione o un'eventuale sì all'uso delle intercettazioni che riguardano i Ds?".

Dal punto di vista dell'opposizione, lei descrive un cane che si morde la coda.
"A settembre io chiederò un incontro tra tutti i gruppi della Cdl per mettere a punto un coordinamento. Sapendo proprio che il dialogo mette in difficoltà Prodi. Eppoi, la Confindustria ha firmato il Protocollo, la Cisl lancia un Sos. Noi che facciamo? Solo propaganda?".

Ora parla di coordinamento, ma non aveva un progetto politico alternativo?
"Ce l'ho: una ristrutturazione del quadro politico che consenta alle forze di centro di essere il perno del nuovo sistema. Per questo vogliamo il modello elettorale tedesco e per questo non faremo un'intesa Pd-Udc. Il mio obiettivo è svincolare i due schieramenti dal ricatto delle estreme".

Con chi vorrebbe costruire questo nuovo centro?
"Ci sono associazioni di categoria, mondo cattolico, imprenditori che non aderiscono al Pd e non vogliono Berlusconi. È un reato essere il collettore di questa gente?".

Una nuova Dc con spezzoni di centrodestra e schegge del centrosinistra? Chi sente vicino a questo disegno?
"È ridicolo pensare che si possa tornare al passato. Posso però dire che la nomenclatura della Margherita si accaserà tutta nel partito democratico, ma la gente che l'ha votata no. Quelli che sono andati al Family day rappresentano una realtà importante".

Magari anche con un avallo della Chiesa?
"È finito il tempo degli avalli. L'avallo lo devono dare gli elettori. E per noi un test importante saranno le europee".

Quindi addio centrodestra?
"Ripeto: è impossibile un governo in cui ci sia Casini e la sinistra radicale. È impensabile anche un'alternativa che prescinda da Forza Italia. E il centrodestra non può immaginare di vincere senza di noi. Detto questo, noi non abbiamo padroni. Non c'è un proprietario della Cdl e qualcuno si dimentica che l'anno scorso si è votato con la proporzionale. Il nostro 7 per cento lo impegniamo solo per creare un nuovo quadro politico. E Berlusconi ci pensi bene: il sistema tedesco non lo danneggia affatto".

(5 agosto 2007) 
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 14, 2007, 10:08:46 pm »

14/8/2007 - LA LETTERA
 
Il mio Centro moderato e riformista
 
PIER FERDINANDO CASINI 

 
Caro Direttore,
i dibattiti sull’ipotesi di ricostruzione di un partito «grande e di centro» finiscono, il più delle volte, per alimentare i sogni di mezza estate o goffe cacce alle streghe. Non è stato così per l’analisi lucida e dura del professor Ricolfi, che ha rivolto ai centristi e all’Udc critiche non del tutto infondate. Per una volta, vorrei evitare quella difesa d’ufficio inevitabile per chi ha ruoli di responsabilità in un partito. Ammettere i limiti della propria formazione politica può essere la premessa migliore per andare avanti nella direzione giusta. Ricolfi spiega che «il postulato in base al quale più si è moderati, più si è riformisti» è falso. Per dimostrarlo cita una serie di esempi in cui l’Udc non ha dimostrato una grande vocazione liberale. Ha ragione. Gli episodi in cui la tentazione di poter incrementare i consensi seguendo la scorciatoia dell’aumento della spesa pubblica non sono pochi e non sono irrilevanti.

Il Paese ha bisogno d’altro. Ha necessità di riforme profonde, strutturali. Non serve, secondo Ricolfi, un partito dei moderati, ma il partito della responsabilità e del merito. Concordo e ammetto che oggi quel partito in Italia non c’è ancora. Un leader politico, però, non può accontentarsi di fotografare l’esistente e di limitarsi all’autocritica. Personalmente, voglio impegnare me stesso e il partito di cui faccio parte, l’Udc, a essere parte attiva di un contenitore radicalmente riformatore.

Quando, dopo la fine della Dc, abbiamo fondato il Ccd l’abbiamo fatto con un’idea molto chiara: l’esaurimento di quel grande partito popolare di massa consisteva nella deriva che aveva preso negli ultimi dieci-quindici anni, caratterizzati da una gigantesca trasformazione dello stato sociale in un grande stato assistenziale che distribuiva benefici a tutti, anche a chi non ne aveva bisogno, a scapito della necessaria selezione dei bisogni e anche a scapito del merito e del sacrificio che, in ogni democrazia liberale, debbono essere le vere discriminanti selettive. Per questo, sin dal ‘94, abbiamo manifestato la nostra contrarietà all’idea di rifare un’altra Dc, non solo per l’esaurirsi delle condizioni storiche del tempo (fine dell’unità politica dei cattolici, caduta del muro di Berlino, simbolo della guerra fredda), ma anche e soprattutto per questa discontinuità che i tempi richiedono. Oggi il Paese chiede altro, qualcosa di radicalmente nuovo che non sia figlio della nostalgia. Richiede una nuova mentalità politica e forse una nuova classe dirigente, ma da qualche parte bisogna pur partire. Mi limito a segnalare che alcuni mesi fa si è tenuto il congresso dell’Udc. Oltre a confermare la fiducia al nostro segretario, i delegati si sono divisi - con tanto di votazioni (assai poco frequenti negli altri partiti) - su temi importanti e per certi versi «nuovi» come pensioni e ambiente. È emerso il profilo di un partito che scommette, magari con un po’ di fatica, sull’innovazione, sul cambiamento, sulla riforma di un sistema previdenziale che guardi ai giovani ed eviti possibili scontri intergenerazionali, sul nucleare troppo frettolosamente archiviato. In questo anno di opposizione abbiamo tentato di essere conseguenti. Abbiamo trattato il tema delle liberalizzazioni, delle pensioni stesse, dei servizi pubblici locali con serietà e con quella «radicalità» che giustamente l’editorialista della Stampa reclama.

Essere moderati non significa essere banderuole esposte ai quattro venti. Avere radicamento territoriale non significa essere clientelari. Essere parte della tradizione cattolica del nostro Paese non è motivo di disonore. Coniugare questi caratteri con le battaglie del libero mercato, di uno Stato più leggero, ma anche più equo, non è facilissimo. Ma non è impossibile. In questi anni abbiamo fatto tanta strada: commesso anche errori, ma da quelli abbiamo saputo trarne le giuste lezioni. La strada da percorrere è ancora tanta. E le difficoltà sono proprio quelle evidenziate da Ricolfi. Chi ha a cuore la sorte del proprio Paese non può sottrarsi a questa sfida. Per l’Udc la battaglia dei prossimi mesi non sarà quella di rifondare un improbabile partito che contrapponga la definizione «centro» alle prevalenti «destra» o «sinistra», poiché siamo consci che ormai questi schemi sono logori e vecchi, figli di stagioni ideologiche che giustamente nella vicina Francia il presidente Sarkozy ha archiviato rompendo tabù e incomunicabilità, facendo un governo della modernizzazione contro tutti i conservatorismi. La sfida è questa: essere, insieme, moderati e radicali si può.
 
da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 27, 2007, 03:26:41 pm »

POLITICA

Nota congiunta dei due leader dopo le affermazioni sulla protesta fiscale

"Un'evocazione di ribellione e violenza che può trovare seguaci irresponsabili"

Fassino e Rutelli a Berlusconi "Prenda le distanze da Bossi"

 
ROMA - Una nota, sintetica e chiara, in cui si chiede a Silvio Berlusconi di prendere le distanze dal suo alleato Umberto Bossi, dalle affermazioni del leader del Carroccio sulla protesta fiscale che hanno sollecitato anche l'intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La nota è congiunta e la firmano Piero Fassino e Francesco Rutelli, che chiedono, appunto al leader di Fi "una presa di distanza netta ed esplicita dalle dichiarazioni rese ieri da Umberto Bossi, le cui parole pronunciate in pubblico hanno ricevuto il plauso dei dirigenti del partito che presiede, e che fa parte della coalizione guidata da Berlusconi".

Ieri, nel pieno della polemica, fra le tante reazioni a quanto affermato da Umberto Bossi è mancata proprio la voce di Berlusconi. Il leader di Fi, a Roma per partecipare alle nozze del capogruppo azzurro alla Camera, Elio Vito, ha replicato ai cronisti con un laconico "No, non dico nulla".

Quanto alle parole del leader del Carroccio, il segretario dei Ds e il presidente della Margherita parlano di "una evocazione di ribellione e di violenza che può purtroppo trovare seguaci irresponsabili", di fronte alla quale "non sono ammessi calcoli politici o ambigui silenzi. Quando qualche frangia irresponsabile della nostra coalizione ha pronunciato parole inaccettabili - ricordano Fassino e Rutelli - noi non abbiamo esitato a condannarle anche a prezzo di inevitabili conseguenze politiche".

I due leader del centrosinistra si appellano a Berlusconi affinché faccia altrettanto, "contribuendo così a isolare chi vorrebbe appiccare pericolosi incendi politici. La politica ha bisogno di ritrovare serenità, responsabilità, rispetto reciproco e capacità di confronto. Il che è possibile - concludono - solo se vengono bandite tutte le posizioni e i comportamenti che radicalizzano e fomentano lo scontro".

(27 agosto 2007)

da repubblica.it
« Ultima modifica: Settembre 19, 2007, 12:03:34 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 16, 2007, 11:44:28 am »

POLITICA

Intervento dell'ex presidente della Camera alla festa dell'Udc di Chianciano

Ancora critiche a Beppe Grillo, ma anche una bocciatura del "maiale day" leghista

"Ma quale spallata, riforma e poi al voto" Casini prende le distanze da Berlusconi

 

CHIANCIANO TERME - "Questo Paese ha bisogno di verità e responsabilità, non ha bisogno di Grillo, del 'vaffanculo day' e del 'maiale day', perché così andrà a catafascio". Pier Ferdinando Casini ha ribadito la presa di distanza dal movimento chiamato a raccolta dal comico genovese, ma ha bocciato anche l'annunciata mobilitazione leghista contro le moschee. Anche se, ha messo in guardia, "c'è la corsa nel fare le moschee, io sono per la libertà di culto ma ci sono troppi luoghi di culto che non sono tali, ma zone dove si prolifera e si fa propaganda di terrorismo".

Intervistato da Bruno Vespa alla festa dell'Udc in corso a Chianciano l'ex presidente della Camera ha rilanciato il profilo moderato del partito, invocando il raggiungimento di un'intesa sulla riforma elettorale in grado di schiudere le porte al voto anticipato. Anche perché, ha osservato Casini, "il governo non cadrà mai se viene invocata la spallata, ma se imploderanno le contraddizioni. E' una cosa talmente logica, viene il dubbio che qualcuno voglia continuare a mandarli avanti".

Il terreno di possibile incontro, ha insistito il leader dell'Udc, è "una sogliolona alta di sbarramento, minimo il 5 o il 6 %", in modo che "dopodomani si vada a votare" e non ci siano più "armate Brancaleone" ma "un sistema che consenta ai virtuosi di stare con i virtuosi, agli estremisti con gli estremisti". Un campo, quello dei virtuosi, nel quale l'ex presidente della Camera ha inserito sia personaggi notoriamente vicini al centro, sia altri molto meno scontati, come Letta, Bersani, Chiamparino e Lanzillotta.

Il governo Prodi deve cadere, ha poi ribadito Casini, ma quale potrà essere l'alternativa è ancora da vedere. Con Berlusconi, Fini e Bossi, ha spiegato, "ci possiamo incontrare per costruire una alternativa di governo" ma solo "se ci sarà pari dignità" e comunque l'obiettivo è "un partito dei moderati che non sia un fortilizio e sia capace di interloquire anche con grandi settori di Forza Italia, da Formigoni ad Adornato, da Pisanu a Tremonti". Qualcosa di diverso dalla ricostituzione della Dc, perché, ha ammesso, "un partito deve riconoscere i propri errori: la Dc ha causato l'esplosione del debito pubblico portando l'Italia ad essere uno stato assistenziale".

Chiamato ad esprimersi ancora sul V-Day dello scorso 8 settembre, il leader dell'Udc ha insistito nelle sue critiche. "Non serviva Grillo per avvertire la crisi, bastava andare al supermercato. Non commettiamo l'errore di dire che l'antipolitica colpisce solo una parte".

(15 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Novembre 05, 2007, 03:56:26 pm »

Il leader dell'Udc ai cattolici: «basta buonismo»

Casini: piena sintonia con la Cdl

«I rom? Parte del clero in nome di un malinteso concetto di accoglienza rischia di aumentare i problemi»


ROMA — È appena tornato dalla baraccopoli di Ponte Mammolo, altro squarcio difficile dell'immensa periferia romana, e spiega perché la sua visita non può nè deve prestarsi a polemiche o accuse: «Sono stato lì perché bisogna prendere atto della realtà in prima persona, e non per sentito dire. E quel che ho visto è nauseante, al di là dell'immaginazione: degrado, pericolo, condizioni igieniche peggio che medievali. Ospitare così migliaia di persone non è accoglienza, è irresponsabilità ».

Sceglie toni più moderati Pier Ferdinando Casini, ma sull'emergenza sicurezza non è meno duro degli altri leader di centrodestra, con i quali oggi, su questo terreno, si sente «pienamente in sintonia». E al governo, al quale pure promette appoggio sul decreto «a precise condizioni» come al sindaco della Capitale non fa sconti, ma punta il dito anche su altri responsabili di una situazione diventata grave, gravissima: «Le comunità cattoliche fanno cose straordinarie, di fronte alle quali dobbiamo inchinarci. Ma parte del clero, del mondo cattolico, in nome di un buonismo e di un malinteso concetto di accoglienza, rischia di aumentare i problemi anziché di risolverli ».

Rimprovera al mondo cattolico le porte aperte a chi sta peggio di tutti?
«Ci mancherebbe altro: accanto al campo di Ponte Mammolo ho appena visitato un'oasi di serenità e di armonia come quella dell'Associazione culturale cristiana Italo-Ucraina, iniziativa nata per volere di Giovanni Paolo II, che rappresenta un bell'esempio di integrazione. E dico di più».

Prego.
«Domani (oggi, ndr) si terranno i funerali di un santo, Don Oreste Benzi, che per gli immigrati, per gli ultimi, ha fatto cose straordinarie. Ma non si può chiedere nè pretendere che tutti i cittadini seguano quell'esempio. Se non c'è realismo, ma solo utopia astratta dell'accoglienza, si possono produrre danni enormi. Perché purtroppo delle migliori intenzioni è lastricata la strada dell'inferno...».

Il Papa ha detto che rispetto agli immigrati bisogna assicurare «sicurezza e accoglienza» garantendo «i diritti e i doveri che sono alla base di ogni vera convivenza e incontro tra i popoli». È d'accordo?
«Certamente, perché senza rispetto della legge e senza sicurezza, non c'è accoglienza dignitosa. Invece mettere l'accento solo sull'accoglienza porta al prosperare di malaffare, criminalità, racket della droga e della prostituzione ».

Non crede che il «soffiare sul fuoco» porti invece alle ronde, all'intolleranza?
«Credo che il razzismo, la xenofobia, sono il frutto che raccoglie chi tollera tutto, chi trasforma un paese nella terra dove è conveniente arrivare dalla Romania ma non solo perché qui tutto è permesso, niente è punito. La verità è che, se la gente ritiene di non essere difesa dalla politica e dallo Stato, passa all'autodifesa. E le pulsioni bestiali degli autori dei raid rischiano di trovare giustificazione nella sensazione che la politica si è arresa, rischiano di rappresentare l'estremo sos alla politica».

Le sue parole significano che anche lei, come Fini, voterà il decreto del governo solo se rinforzato?
«Assolutamente sì, sono d'accordo con Fini, il decreto va inasprito: le espulsioni devono essere effettive e non solo intimazioni ad andarsene, e devono essere adottate anche per chi non ha mezzi di sostentamento, e poi bisogna aumentare i fondi in Finanziaria per la sicurezza perché per attuare misure di questo tipo servono soldi, non parole».

È d'accordo con il suo alleato anche quando dice che i rom non sono integrabili, e che le baraccopoli andrebbero demolite e non visitate?
«Io non criminalizzo etnie, ma affermo un principio sacrosanto: che chi sbaglia deve pagare, e che il tempo del lassismo è finito. Per quanto riguarda le baraccopoli, senz'altro vanno individuate, censite e poi distrutte».

Ma sull'emergenza immigrazione il centrodestra non ha alcun mea culpa da fare?
«Come si suol dire, chi è senza peccato... E' vero che c'è stata una certa sottovalutazione generale del fenomeno, ed è vero che anche la Bossi-Fini sul punto delle espulsioni non ha dato i risultati attesi. Ma attenzione: questo è un governo non credibile sul tema, perché è sostenuto da una componente di sinistra estrema che considera il decreto una sorta di attentato ai diritti costituzionali. E c'è un leader del Pd che addirittura si indigna se gli si ricorda che a Roma c'è un problema enorme, che sotto la sua gestione da sindaco i campi abusivi sono sorti come funghi e senza contrasto reale».

Presidente Casini, ma su questo terreno concreto della sicurezza sta forse nascendo un nuovo patto del centrodestra?
«Guardi, io mi occupo dei problemi e di come risolverli, le alchimie politiche e le chiacchiere non mi interessano proprio. Solo così, credo, si può fare il bene del Paese e in fondo anche del centrodestra».

Paola Di Caro
05 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Novembre 26, 2007, 10:44:25 am »

IL CENTRODESTRA

«Al Cavaliere sono saltati i nervi

Fugge dalla realtà e vuole umiliarci»

Casini: quello che è successo è troppo grave per fare finta di nulla


ROMA — Onorevole Casini, Berlusconi dice che è colpa degli alleati se ha perso le elezioni
«Bene, molto bene. Che altro?».

Dice che la Cdl era un «ectoplasma » e non si poteva andare avanti così.
«Giusto, perfetto. Ancora bene».

Bene in che senso? Lei condivide?
«No, ma sono contento, perché finalmente Berlusconi chiarisce le ragioni del proclama di San Babila».

Che sarebbero?
«Lui non ha inteso affatto lanciare un nuovo partito unitario, aperto a tutti. No, lui vuole allargare Forza Italia, umiliare i suoi alleati, scaricare su di loro una responsabilità che come minimo dovrebbe condividere. Adesso si capisce perché anche personaggi autorevoli come Adornato e Sanza si sono tirati indietro: non sono antiberlusconiani schizoidi, hanno solo capito».

Insomma, voi non avete colpe per le sconfitte subite?
«Ma finiamola con questa storia! Berlusconi, semmai, dovrebbe ringraziare qualche alleato che, imponendo il proporzionale, ha salvato anche lui dal disastro, perché con l'uninominale non saremmo riusciti a sommare i nostri voti... Gli alleati si sono fatti in quattro per vincere, noi dell'Udc abbiamo raddoppiato i voti. Piuttosto, se lui avesse avuto più cautela su alcune questioni, affrontate in modo ossessivo, forse adesso la storia sarebbe diversa...».

Quali questioni? La tivù, la giustizia?
«Lo sanno tutti di cosa parlo, via».

Sinceramente, non crede anche lei che la Cdl negli ultimi tempi fosse una sorta di «ectoplasma»?
«Certo, lo diciamo da un anno. Ma una delle ragioni della deriva è stato il processo di frazionamento della coalizione a cui ha pervicacemente e consapevolmente lavorato Berlusconi per indebolire i suoi alleati, anche pescando all'interno dei singoli partiti».

Si riferisce a Giovanardi, o per An a Mussolini prima e Storace poi?
«Non mi interessano i nomi, è l'impostazione della Cdl ad essere apparsa ridicola: alla fine si apparecchiavano ai vertici tavoli per 15 persone, secondo la più trita logica del divide et impera, e questo è quanto di più lontano c'è dal tenere unita e in armonia una coalizione».

Insomma, lei non crede al Cavaliere quando dice che la porta del Pdl è spalancata per tutti gli alleati.
«Secondo lei, quando uno tende una mano a un altro e gli chiede di collaborare, poi lo accusa di ogni genere di fallimento? Io credo che a Berlusconi oggi sono saltati un po' i nervi...».

Rispetto a questo terremoto, qual è la contromossa dell'Udc, un patto di ferro con An che porta magari a un nuovo soggetto politico?
«Non c'è una contromossa. C'è la conferma dell'analisi che andiamo facendo da tempo: la strategia della spallata è stata una fuga dalla realtà che ha portato all'implosione del centrodestra, e fuga è immaginare oggi che con la bacchetta magica si cancellano gli errori e tutto torna a posto. Non è così. Con Fini c'è perfetta identità su questa analisi, ma lui resta il leader di una destra democratica, io di una forza di centro».

Solo questo vi unisce?
«Ci unisce certamente il rispetto reciproco. Capisco che può essere giudicata una parola da "parrucconi", ma sono lieto di usarla, perché si può essere diversi, alleati e rispettarsi. E non dimentichiamo che Fini, come il suo partito, ha fatto grandi passi di avvicinamento al Ppe, non è la destra di 10 anni fa».

Cioè non è partito che possa essere emarginato nemmeno in un sistema alla tedesca?
«Assolutamente no. Anzi, paradossalmente, oggi per Fini potrebbe essere più utile il sistema proporzionale che non quello che viene fuori dal referendum ».

Lei appunto sostiene la necessità del modello tedesco: almeno su questo Berlusconi la soddisfa?
«Se come penso non c'è strumentalità nelle parole di Berlusconi, si può davvero aprire un dialogo importante. Certo, a Veltroni non si può proporre di fare la legge elettorale e poi andare subito al voto, perché, come anche i bambini dell'asilo sanno, è il miglior modo per far saltare il tavolo: a Veltroni non puoi chiedere di certificare la morte del governo Prodi, che può morire con un'opposizione intelligente in Parlamento».

Se la riforma passa, voi che fate?
«Con o senza la riforma, si apre in ogni caso un grande spazio al centro tra il Pd e il Pdl, perché non è che uno il centro lo occupa solo perché fa parte del Ppe, di cui peraltro nessuno ha l'esclusiva, ma perché ha comportamenti e contenuti moderati...».

Anche D'Alema lo pensa.
«Ho trovato le sue parole molto ragionevoli, rispettose. E sono sicuro che potranno presto maturare nuove possibilità di apertura alla società civile che potranno far bene al Paese».

Come Tabacci, chiama anche lei Montezemolo e Pezzotta a collaborare alla nascita della «Cosa Bianca»?
«Io non chiamo nessuno, anzi a quei miei amici che si stanno muovendo con tanto entusiasmo, vorrei ricordare che in politica le aggregazioni si fanno, non si annunciano. E non si possono fare se prima non si chiarisce quali sono le regole del gioco... Lo dico ribadendo che l'Udc ha una linea congressuale chiara, disponibile a ogni apertura, senza alcun egoismo di partito».

Ma, in conclusione, non le sembra che mentre tutti litigate il governo stia prendendo fiato?
«Non c'è dubbio, quello che succede fa godere solo Prodi. Ma sia chiaro, noi non abbiamo alcuna intenzione di fargli sconti, lotteremo duramente, a partire dal welfare. Con responsabilità, certo, perché siamo persone serie che sono fiere di aver votato, solitari nell'opposizione, sì sull'Afghanistan: il patriottismo non va a giorni alterni».

Onorevole Casini, ma se il governo cadesse davvero a breve, voi alle elezioni ci andreste con Berlusconi?
«C'è bisogno di serenità per la riflessione e la decisione, ma sicuramente non esiste più il quadro di due anni fa, e non c'è più nemmeno la situazione di una settimana fa: qual che è successo è troppo grave per far finta che nulla sia accaduto. Ma noi siamo un partito che ha nel suo Dna l'essere alternativo alla sinistra. E da questo partiremo ».

Paola Di Caro
26 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Dicembre 15, 2007, 05:56:11 pm »

L'intervista Il leader udc e il dialogo sulla legge elettorale

«Sì al disgelo ma non siate egoisti»

Casini: Silvio e Walter? Se cercano convenienze personali falliranno.

Le accuse ai giudici? Il Cavaliere dia dettagli


ROMA — «Berlusconi e Veltroni se avranno successo avranno contribuito a migliorare il Paese. E in questo tentativo hanno tutto il mio appoggio. Ma sono chiamati a una grande responsabilità: riuscire a dar vita ad una riforma elettorale che non sia un atto di egoismo, che metta da parte le convenienze personali. Se così faranno io credo che ci siano ottime possibilità di successo, viceversa andranno incontro a un fallimento». Pier Ferdinando Casini non ha cambiato idea sulle ipotesi di riforma al momento sul tappeto: se il leader di Forza Italia e quello del Pd continueranno a insistere su una legge che premia più del dovuto i due primi partiti lui continuerà a parlare, come del resto Fini, di «patto scellerato», di «legge truffa», della «prova provata che stanno lavorando solo per distruggere gli altri partiti». Eppure per il leader dell'Udc esistono le condizioni perché questo non avvenga. A partire dal valore del dialogo che in queste ore si svolge fra il Cavaliere e Veltroni: «Un dialogo utile al Paese. E sarebbe miope, come fa qualcuno, non riconoscerlo. Il disgelo fra i primi due partiti è un fatto politico estremamente positivo. Chi come me ha sempre condannato la demonizzazione dell'avversario non può che essere soddisfatto. Basti pensare a quello che succede in questi giorni, alla paralisi provocata dai Tir, ai giudizi del New York Times: davanti a uno sfacelo nazionale che esiste cercare di far fare un passo in avanti al nostro sistema istituzionale, mettere una pietra tombale su questo clima da guerra civile a bassa intensità, è assolutamente positivo».

Positivo anche se si archivia la stagione del bipolarismo?
«Il bipolarismo è stato costruito come un assemblaggio di armate utili a concorrere per le elezioni, ma assolutamente inadatte a governare. Denuncio questa anomalia da più di due anni. Ma c'è un'altra ragione perché il dialogo in corso fra i due maggiori partiti è utile al Paese: Berlusconi archivia finalmente un tipo di opposizione basata sulla teoria dei brogli, sull'attesa della spallata, sul non riconoscimento dell'avversario. È un fatto enorme e che dà anche ragione a chi, come noi, sostiene queste da tempo».

Per tanti altri, a cominciare dal suo amico Gianfranco Fini, questo bipolarismo avrà dei difetti, ma è sempre meglio che un salto nel buio.
«Guardi, io ritengo che oggi Berlusconi e Veltroni siano ad un bivio: o riescono a risolvere i problemi del Paese o vanno incontro a un fallimento che inevitabilmente coinvolgerà loro stessi come tutti. Il Paese aspetta una risposta. E credo che siano entrambi chiamati a una prova di responsabilità, così come responsabili devono essere le forze che non sono d'accordo sull'impianto di riforma che si va delineando: il Paese non ha bisogno di ostracismo, semmai di partiti che incalzino il dialogo. Detto questo Fini sul punto ha una coerenza totale».

Berlusconi e Veltroni lavorano a una legge che riduca il numero di partiti. Forse è questo che rende tanto difficile arrivare in porto.
«Io non credo. Sono convinto che hanno ragione nel denunciare il frazionismo, così nel ritenere necessario un superamento di questo bipolarismo muscolare. Il problema è non ridurre tutto a una legge elettorale costruita sulle loro convenienze. Io di questo sono preoccupato: che il tentativo di armistizio politico produca solo una legge fondata sulle convenienze personali. Sarebbe un'altra versione, riveduta e corretta, del caso dei ladri di Pisa, che di giorno litigano mentre di notte rubano insieme».

Qual è la vostra proposta?
«Basta che ci sia uno sbarramento del 5%. Una modifica dei regolamenti parlamentari che non consenta di formare in Parlamento gruppi che non figuravano alle elezioni. E infine il riparto nazionale dei voti, che garantisca una rappresentanza parlamentare che sia la fotografia del Paese, corrispondente cioè ai voti presi dai singoli partiti senza premi nascosti».

Berlusconi si è detto pronto a esaminare il sistema tedesco, purché sia corretto da una dichiarazione preventiva di alleanze. Lei che ne pensa?
«È una cosa di cui si può discutere, noi non abbiamo imbarazzi, nè segreti: vogliamo un centro alternativo al Pd e ancorato nel Ppe. Berlusconi è ossessionato da tutto quello che non si muove al suo servizio, come il progetto di costruire un polo dei moderati. Il mondo italiano è popolato da trasformisti, ma qualcuno deve ancora riuscire a trovare un solo atto politico, dal 1983, anno in cui sono entrato in Parlamento, che possa suffragare i sospetti di Berlusconi. Io credo che queste ossessioni siano solo il frutto della volontà di imporre subalternità, del fastidio verso qualsiasi progetto politico che non si controlla. Noi siamo una casa di vetro, accettiamo di essere messi al vaglio, ma non possiamo essere costretti a interpretare la nostra politica come dei satelliti di un partito che ha sempre l'ultima voce su tutto».

Perché Berlusconi sbaglia nel dire che lei e Fini avete la «sindrome del delfino» e che aspettate solo, nel suo caso, «il generale vecchiaia»?
«Silvio vive con ossessione l'idea di tornare a Palazzo Chigi e di tornarci in fretta. Personalmente comprendo la sua impazienza, ma vivo diversamente la politica: è la passione della mia vita; e il distacco dal potere non mi è pesato. Perciò non mi sento menomato nel condurre la mia battaglia dai banchi dell'opposizione».
 
Berlusconi ha detto che alcuni senatori sono stati intimiditi dalla magistratura.
«Non posso credere che sia solo propaganda, è una denuncia molto grave. Mi aspetto che fornisca i dettagli all'opinione pubblica, anche per non contraddire il nuovo clima che lui stesso ha inaugurato».

Marco Galluzzo

15 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 10, 2008, 10:54:47 am »

POLITICA

Improvviso cambio di posizione del leader Udc che, in mattinata era parso decisamente contrario al testo e vicino alle posizioni di An

Casini, la svolta di Roccaraso "Ok alla bozza Bianco con correttivi"

Dalle nevi abruzzesi, l'ex presidente della Camera rilancia "C'è spazio per un'intesa Pd-Fi-Udc e Rifondazione"


ROCCARASO (AQ) - Casini torna suoi suoi passi e dice "sì" alla bozza Bianco "con alcuni correttivi". La nuova apertura del leader centrista arriva da Roccaraso. La riforma della legge elettorale riparte sulla via di un possibile accordo Pd-Forza Italia-Udc e Rifondazione.

Accordo che, ieri (dopo il pranzo Pd-Udc) sembrava possibile e che, solo questa mattina, era di nuovo sparito dall'orizzonte con il deciso "no" di Udc e An. "La bozza Bianco non può essere un punto di partenza.- Anzi, è un inghippo" avevano detto Matteoli (An) e Cesa (Udc) dopo l'incontro a quattro con i due leader Fini e Casini che aveva rispolverato il "patto di Prati" nato nei mesi scorsi durante il periodo delle fughe in avanti di Berlusconi.

Il "sì" in serata. E così, in prima serata, suscitano non poca sorpresa e sconcerto le nuove dichiarazioni di Casini dalle nevi di Roccaraso. Toni diversissimi, molto più concilanti con la bozza Bianco e con i possibili partner di un'intesa: "La bozza Bianco può essere ripresentata in modo costruttivo - dice Casini -, penso che potrà avere il voto di Forza Italia, del Pd, di Rifondazione comunista e anche dell'Udc. Si tratta di mettere alcuni correttivi che sono a portata di mano, siamo vicini all'intesa. Si può arrivare ad una legge seria con un impianto tedesco e alcune piccole modifiche e si può arrivare con una vasta maggioranza in Parlamento".

Casini parlava a 'Neveazzurra', la kermesse organizzata in Abruzzo da Forza Italia. E, quanto ad Alleanza Nazionale e all'incontro di questa mattina, il leader Udc ha detto: "C'è grande sintonia tra me e Fini su tanti altri temi, ma sulla legge elettorale non c'è mai stata una convergenza. Loro hanno una posizione tradizionale per il referendum che io rispetto ma non condivido".

Poi Casini ha parlato del rapporto con Berlusconi che ha chiesto uno sbarramento che sia efficace ed eviti la frammentazione: "Sono d'accordo sul fatto che non si può avere una miriade di partiti o un frazionismo eccessivo perchè la riforma dei regolamenti parlamentari ed un sbarramento al 5% ridurrebbero drasticamente le forze politiche in Italia come è logico in una democrazia moderna. Stiamo attenti - ha ammonito - perchè di frazionamento muore la vita democratica del Paese".

Il "no" della mattinata. Toni completamente diversi, si diceva, rispetto alla mattinata quando, alla Camera, si era svolto l'incontro tra An e Udc: Fini e Matteoli, Casini e Cesa. Il "patto di Prati", stretto a novembre è sembrato rivivere contro la bozza Bianco. Per An e Udc (versione mattutina) quel testo "deve essere modificato", "non può essere una base di partenza" per un dialogo sulla legge elettorale, anzi è "un punto di partenza inaccettabile". Di più "un vero e proprio inghippo" con trappole disseminate in qua e in là.

"Berlusconi deve chiarire - ha detto Matteoli - l'accordo con Veltroni c'è o non c'è? Lo deve dire chiaramente perchè se vuole percorrere quella strada noi non ci stiamo: non si può stare nel centrodestra la mattina e fare gli accordi con Veltroni il pomeriggio". Cesa chiede a Berlusconi di dire "chiaramente no alla bozza Bianco". Al momento comunque, chiarisce Matteoli, "non ci sono i presupposti per una proposta unitaria del centrodestra" sulla riforma della legge elettorale anche se "su alcuni punti le nostre posizioni si sono avvicinate".

Secca la replica dello stato maggiore di Fi che ha il sapore di un altolà senza ritorno. "La nostra posizione posizione è assolutamente lineare" dicono Bondi e Cicchitto. "Qualora però - concludono - si dovesse giungere ad una proposta che sottragga il diritto di scegliere il governo agli elettori e tradisca le premesse sulle quali si è innestato il dialogo, non potremmo più essere d'accordo".

Insomma, tutto il contrario di quanto i giornalisti (e non solo loro) hanno potuto ascoltare in serata dalla bocca di Casini.

La Commissione in Senato. Oggi la Commissione Affari costituzionali del Senato ha esaurito gli interventi dei vari senatori iscritti a parlare (stamani ce n'erano ancora 19). Il voto per adottare il testo base - la bozza Bianco lasciava due opzioni su calcolo dei resti e voto disgiunto o meno - dovrebbe esserci i primi giorni della prossima settimana, "tra il 15 e il 16" assicura il presidente della Commissione Enzo Bianco alla fine della riunione . In concomitanza con la decisione della Consulta che il 16 gennaio si riunirà in camera di consiglio per verificare l'ammissibilità dei quesiti referendari. "Il sì della Corte è nell'aria..." annuncia il Guardasigilli Clemente Mastella che potrebbe essere bene informato.

La Commissione Affari costituzionali si riunisce a porte chiuse e non è dunque possibile seguire in diretta i lavori dell'aula. Manuela Palermi ha alzato il muro del no alla bozza Bianco, in qualunque modo venga fuori dalla Commissione perchè "è una provocazione perchè è un sistema che in realtà alza tantissimo la soglia di sbarramento, ben oltre il 5 per cento".

Ma proprio sulle riforme istituzionali è possibile che si pronunci la più alta carica dello Stato. Il presidente Napolitano terrà infatti un atteso discorso alle Camere riunite a Montecitorio il 23 gennaio per l'anniversario della Costituzione.

Anche la Lega, che pure in origine sembrava il partito più idoneo al proporzionale corretto in senso maggioritario che verrebbe fuori dalla bozza Bianco, stamani ha alzato i suoi muri con il battagliero Calderoli. Il vicepresidente del Senato "accusa" il presidente della Commissione Enzo Bianco di voler adottare il testo-base (quindi di votare per scegliere quale delle due doppie opzioni) prima del vertice di maggioranza sulle riforme (rinviato alla prossima settimana visto che quello di domani sarà solo economico) e prima della decisione della Consulta.

Intanto nasce il Comitato "Sì alla preferenza". Baccini (Udc), La Russa e Gasparri (An), Mastella (Udeur), Pisicchio (Idv) e Rossi (ex Rc) lanciano un gruppo trasversale e bipartisan che chiede una cosa "fondamentale": "Tornare alla preferenza e quindi al cittadino che sceglie il politico che lo rappresenta". Parte la raccolta di firme per la petizione popolare. Un altro fuoco acceso nella grande e affollata cucina della riforma elettorale.

(9 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Gennaio 21, 2008, 12:35:41 pm »

2008-01-20 21:15

Casini: "Condizioni perche' Governo vada a casa"


ROMA - Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc, è convinto che ci siano le condizioni "perché il governo vada a casa: io me lo auguro e lavoro per questo". Intervistato da Fabio Fazio, nel programma 'Che tempo che fa', Casini ha detto che c'é "il 90% di probabilità che si vada a nuove elezioni".

CAMPANIA ESEMPIO POLITICA CHE NON DECIDE
"A Napoli ed in Campania c'é l'esempio di una politica che deve riacquistare capacità di decidere, autorità, merito". Così il leader Udc Pierferdinando Casini parla, a 'Che tempo che fa', dell'emergenza rifiuti in Campania. "Che cosa aspettiamo - chiede Casini - a fare in Italia i termovalorizzatori? Gli italiani pagano per l'energia il doppio dei paesi europei. E poi il referendum contro il nucleare è stato scellerato perché il nucleare è energia pulita".

INQUISITORI CUFFARO SOSTENEVANO SUA CONCORRENTE
"Forse quei magistrati che hanno inquisito Cuffaro e che partecipavano alla campagna elettorale della sua concorrente non si augurano che in appello cada l'accusa residuale del governatore siciliano". Lo ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini rispondendo ad una domanda di Fabio Fazio conduttore della trasmissione di Rai 3 "Che tempo che fa". Cuffaro (Udc), alle regionali, era il candidato della Cdl mentre il centrosinistra appoggiava la candidatura di Rita Borsellino. "La magistratura - ha aggiunto Casini - a volte è ritenuta parziale anche per dei comportamenti che danno il segno di una parzialità. C'é stata questa settimana una denuncia di Mastella in Parlamento su cui nessuno dei principali responsabili ha detto ancora qualcosa di chiaro. Mastella ha detto ci sono dei magistrati accecati dall'odio e dal pregiudizio: i casi sono due o è un irresponsabile o ha avanzato un problema istituzionale che merita delle risposte se siamo in uno Stato serio".

CERTIFICATO CHE NON C'ENTRA CON MAFIA
"Cuffaro non ha festeggiato. Quando una persona è inquisita per mafia, nonostante ritenga questa sentenza iniqua e per questo farà ricorso, pensa che sia importante che un tribunale della Repubblica abbia certificati che con la mafia non ha nulla a che fare". Lo ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini alla trasmissione di Rai3 "Che tempo che fa" rispondendo ad una domanda del conduttore sulla condanna del presidente della Regione Salvatore Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento e violazione di segreto d'ufficio. "Il governatore - ha aggiunto - aveva detto se sarò condannato per mafia mi dimetterò. Ed era stato eletto senatore e si era dimesso rinunciando alla comoda immunità parlamentare per affrontare il giudizio dei magistrati e dei cittadini. Noi siamo tra coloro che dicono che la stragrande maggioranza dei magistrati è seria. Mi auguro che in appello cadano per Cuffaro anche le accuse residuali".
 
da ansa.it
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« Risposta #10 inserito:: Marzo 14, 2008, 09:12:50 am »

Quante bugie Silvio

di Marco Damilano


Un rapporto di amore-odio. Durato 14 anni. Fino al recente divorzio.

Tra accordi e cene, liti e scontri, promesse e tradimenti, il leader dell'Udc ci racconta chi è Berlusconi.

Colloquio con Pier Ferdinando Casini.

In edicola da venerdì  Pier Ferdinando CasiniNel 2006 c'era Nanni Moretti a capeggiare il fronte anti-berlusconiano con il 'Caimano'. Oggi al suo posto c'è il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. Provinciale, populista, Putin all'italiana: tutti i giorni dà un calcio al Cavaliere, di cui pure è stato alleato a lungo. "La mia campagna è bilanciata: contro Veltroni e contro Berlusconi", spiega l'ex presidente della Camera: "Non ho alcuna ossessione verso Berlusconi: è un amico, lo considero ancora tale. Ma da anni c'era tra noi un dissenso profondo, la pretesa di inglobarci nel suo partito-proprietà ha fatto traboccare il vaso". Quattordici anni di vita in comune raccontati da Casini: litigi, riappacificazioni, la rottura. "A volte riuscivamo a parlare perfino di politica".

Come in una storia d'amore: il suo primo incontro con Silvio?
"L'avevo già conosciuto, ma ricordo una riunione nella sua casa romana, in via dell'Anima, dietro piazza Navona. Era il 1992, durante l'ultima campagna elettorale della Dc io, Enzo Carra e Luciano Radi andammo a incontrare lui, Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Volevamo farci sentire perché le sue televisioni aiutavano solo i socialisti e non la Democrazia cristiana. Io, in particolare, protestai con una certa veemenza. Su questo punto avevo litigato anche con Arnaldo Forlani, segretario della Dc: lo accusavo di essere troppo morbido nel rivendicare spazi sulle tv di Berlusconi quando c'era lo strapotere di Craxi".

Negli anni Ottanta eravate un partito trasversale: il centro della Dc, il Psi di Craxi e Berlusconi. Se lo aspettava un suo ingresso in politica?
"Ci chiamavano il Caf: le iniziali di Craxi, Andreotti e Forlani. Quando i partiti furono travolti dalle inchieste giudiziarie Berlusconi ha avuto la grande capacità politica di colmare il vuoto. Una capacità che gli riconosco ancora oggi".


Voi orfani della Dc eravate messi male: lei si aggirava con un cappello a visiera e Mastella al fianco. Berlusconi ripete: li ho salvati dall'estinzione e mi ripagano così. Ingrati.
"Questa è la prima bugia. Berlusconi ha salvato me come noi abbiamo salvato lui. È stato un mutuo soccorso".

Beh, lui aveva i voti, voi no.
"Berlusconi aveva bisogno di dimostrare che c'era una continuità con una parte della Dc moderata, noi avevamo bisogno di un accordo per sopravvivere. Siamo nati sulla base di un reciproco aiuto, la lista alle elezioni del '94 si chiamava Forza Italia- Ccd. Con noi si candidò anche Giuseppe Pisanu: provò a convincerci che Forza Italia era una scatola vuota e che per noi dc sarebbe stato semplice entrare e guidarla".

Perché rifiutò di farlo?
"Perché Forza Italia era un partito personale, il partito di Berlusconi. Allora sicuramente, oggi molto di più".

Bella scoperta. Intanto lei ci ha convissuto per 14 anni e si è perfino speso per introdurlo nel Partito popolare europeo. Pentito?
"Quando mi mossi per far entrare Berlusconi nel Ppe ci fu una riunione in cui Forza Italia si impegnò a svolgere congressi democratici. Da allora, c'è mai stato un congresso nazionale di Forza Italia? In 14 anni non ne ho visto uno! In questi anni i suoi difetti si sono ingigantiti invece di diminuire".

Frase da coniuge deluso. Berlusconi le ha mai fatto capire che lei poteva diventare il suo erede, il delfino, come fa con Fini?
"Non ho mai creduto né ai delfini né all'eredità. Sono cose che per Berlusconi non esistono".

Le mancano le cene di palazzo Grazioli, i gelati del cuoco Michele?
"La frequentazione con Berlusconi si è interrotta quando sono diventato presidente della Camera. Mi invitò ad andare da lui e gli risposi che, da quel momento in poi, sarebbe stato lui a venire da me, per galateo istituzionale. Prima ci vedevamo ogni settimana: erano momenti gradevoli, la persona è simpatica. A volte, pensi, riuscivamo a parlare perfino di politica".

E il primo scontro?
"Subito, nel 1994. Lui, Giuliano Ferrara e Cesare Previti spingevano per portare Carlo Scognamiglio alla presidenza del Senato. Io e Gianni Letta volevamo confermare Giovanni Spadolini, dicevamo che era uno sbaglio enorme".

Vinse Berlusconi. Quando si è rotto il rapporto di fiducia tra voi?
"Con la presidenza della Camera. Cercavo di essere il garante di tutti e non il braccio armato della maggioranza. Forse era un'interpretazione delle istituzioni che non gli piaceva. Se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Ho collaborato con un galantuomo come Carlo Azeglio Ciampi, ho servito il Paese con totale rigore".

Il Cavaliere le ha mai fatto proposte irricevibili?
"Se ti fanno proposte scorrette vuol dire che sei il tipo che se le fa fare. A me non le ha mai avanzate".

Oggi Berlusconi dice di lei tutto il male possibile: con lui non parlo, mi basta il suocero, lo schiaccio, lo distruggo...
"Sono le cose che ha detto in tutti questi anni e poi ha regolarmente smentito. Poiché l'ho conosciuto bene, non ho mai creduto alle smentite, ma sempre alle indiscrezioni. Berlusconi è come me: non è un uomo che coltiva il malanimo. Ma una grandissima insofferenza, questo sì. A un certo punto non mi sopportava più".

Per quale motivo?
"L'unica cosa che non accetta nella vita è uno che lo contraddica: io lo contraddicevo sempre, non mi poteva amare".

E Fini? Non lo contraddice mai?
"Fini lo contraddice nelle riunioni, poi uscito da palazzo Grazioli, negli atti politici, finisce sempre per dargli ragione".

Allora il vero figliol prodigo è lui.
"Se parliamo di sentimenti, quello che pensa Fini di Berlusconi è quello che penso io, quello che pensa Berlusconi di Fini è quello che pensa di me. Ma, arrivati al dunque, Fini si è sempre piegato, io no. Il caso Ciarrapico è emblematico".

Davvero non si è mai piegato?
"Poche volte. Ai giovani che incontro dico: ragazzi, in politica i compromessi esistono. Ne avrei fatto uno anch'io anche in queste elezioni, per non dividere i moderati italiani. Se Berlusconi non avesse fatto questo atto di prepotenza nei nostri confronti, probabilmente avrei fatto la campagna elettorale con lui. Ma sono contento che le cose siano andate così. Sarebbe stata una campagna fatta più per convenienza che per convinzione".

Lei ha detto che il centrodestra senza l'Udc è come una scampagnata sulla Luna. Ma forse in orbita ci finirà lei...
"È un rischio che mi lascia indifferente. Alla Camera il Pdl può vincere, al Senato è più difficile. Ma anche se dovesse vincere, non riuscirà a governare. Vivacchierà e dopo qualche mese le aspettative si trasformeranno in delusioni. Sono attrezzato a fare l'opposizione a Berlusconi, seria, serena, se farà provvedimenti giusti li voteremo. Ma certo non potremo votare la fiducia al suo governo".

Lei tuona contro il voto utile: ma la Dc lo ha chiesto in funzione anti-comunista per 50 anni...
"La Dc era una cosa molto diversa. E non credo che il partito repubblicano di Ugo La Malfa fosse un partito inutile. Se fosse stato più ascoltato si sarebbe evitata la degenerazione della prima Repubblica".

A proposito: Veltroni schiera sindacalisti e imprenditori, come si faceva ai tempi di piazza del Gesù. Il Pd è la nuova Dc?
"Il Pd è una gran confusione. Un tentativo di superare la legislatura di Prodi avviando una grande cosmesi della sinistra. Se dovesse governare le contraddizioni esploderebbero subito".

Ma come? Lei e Veltroni vi scambiavate biglietti in cui sognavate schieramenti senza Borghezio e Caruso, senza muro contro muro. E ora è tutta una cosmesi?
"È positivo che Veltroni abbia liberato la sinistra dall'ossessione anti-berlusconiana. Ma vedo una politica che affastella, senza disegno. In questo c'è un parallelismo totale tra Berlusconi e Veltroni: Veltroni candida radicali e cattolici, Berlusconi mette insieme Fini e Ciarrapico, Mussolini e Giovanardi. Guardi la Spagna: i grandi partiti aumentano i voti, ma sono figli di tradizioni radicate, si innovano, ma restano nelle loro radici. Qui da noi, invece, si vuole costruire un bipolarismo fondato sulla politica senza radici, quella costruita sul predellino dell'auto".

Qual è la soglia del successo dell'Udc?
"Il mio grado di successo è proporzionale al consenso che maturerà per i partiti maggiori. C'è uno schiacciamento senza precedenti dei media su Berlusconi e Veltroni. Sembra che ci sia un solo candidato in campo. È un gioco delle matrioske: Veltroni e Berlusconi sono uno dentro l'altro. Questo rende ancora più difficile la campagna del voto utile. Dopo che Berlusconi ha accreditato l'idea di poter fare il governo con Veltroni, come fa a proporsi come diga contro qualcosa?".

Lei crede alla grande coalizione?
"Credo che Berlusconi lavorerà per questo obiettivo. Se fosse una soluzione per i problemi degli italiani e non per i problemi loro, sarebbe positivo. Ma Berlusconi sa che il Pdl è troppo poco credibile e troppo spostato a destra per governare l'Italia. Dopo qualche mese avrebbe milioni di persone in piazza. Per questo vorrebbe fare il governo con Veltroni".

Chi potrebbe guidare il governo delle grandi intese? Il leader che arriva primo alle elezioni, come nel caso di Angela Merkel in Germania?
"Un'ipotesi che non esiste. In Italia la grande coalizione, per essere credibile, non può essere guidata da uno dei contendenti: né Berlusconi né Veltroni".

E allora chi? Il governatore Mario Draghi? Luca Cordero di Montezemolo?
"Non mi piace il gossip sui nomi, ma sono due persone che stimo molto".

Il 'Financial Times' ricorda che Casini è centrale in ogni trattativa. In caso di grande coalizione lei che farà?
"Non mi spaventa l'idea di fare l'opposizione. Sarebbe un'ipotesi suggestiva: una grande coalizione con un'opposizione di centro, moderata, seria".

Gli ex dc fuori dal governo. Una cosa mai vista.
"Sarebbe una cosa buona. E una scelta molto importante per il futuro del centro italiano. Vedere Fini e Veltroni insieme al governo ci darebbe enormi prospettive. Avremmo spazi larghi come praterie e il tempo per far maturare una prospettiva di governo alta e seria".

(13 marzo 2008)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #11 inserito:: Maggio 17, 2008, 11:28:53 am »

Sette giorni Il leader dell’Udc stretto nella morsa tra premier e Pd. Il nervosismo dei suoi e lo spettro delle Europee

Casini in trincea per non sparire nell’«Italiaset» di Silvio

L’ex presidente della Camera ai fedelissimi: mi ha liquidato, come Formigoni, Pisanu e Pera Vuol stare solo al comando


L’abbraccio di ieri tra Berlusconi e Pier Ferdinando Casini non inganni, il leader dei centristi sa e dice che «Silvio vuole cancellarmi.
Ci ha già provato alle elezioni e ora vuole riprovarci politicamente». D’altronde è evidente quale differenza passi tra l’incontro casuale dei due ex alleati alla festa della Polizia, e il colloquio ufficiale del premier con Veltroni a palazzo Chigi, tra i sorrisi frettolosi scambiati da Casini e Berlusconi a piazza del Popolo, e il faccia a faccia di mezz’ora tra il capo del governo e il segretario del Pd. Quella stretta di mano è una morsa che soffoca il leader dei centristi e lo imbriglia, perché il Cavaliere sta usando l’arma del dialogo che l’Udc pensava di avere in dotazione.

Al momento non c’è spazio per Casini nel nuovo gioco, nella nuova «Italiaset », come l’ha ribattezzata: una Mediaset a grandezza Paese che Berlusconi è riuscito a costruirsi con il voto. «Ha più potere di De Gasperi, e fa bene ad aprire a Veltroni, a cercare di tenere il Pd ipnotizzato. Perché dovrebbe rinunciare a fare strike?». L’aveva avvertito Arnaldo Forlani, suo vecchio mentore, che si sarebbe «cacciato nei guai». «Entra nel Pdl», gli disse l’ex segretario della Dc prima delle elezioni: «Entraci e poi ti giocherai la tua partita». «Non è come ai tempi della Dc, la politica è cambiata. Silvio ci vuole inghiottire », rispose Casini. «Tu cerca comunque un accordo». «È lui che non lo vuole». Ora Forlani osserva i pezzi disposti sulla scacchiera, la testa fra le mani: «È una posizione difficile», ha sospirato mentre pensava a come uscire dallo scacco. E il figlio Alessandro, candidato senza fortuna al Senato, sostiene che «ci vorrà un po’ di tempo, ma con un pizzico di umiltà andranno cercate le condizioni per tornare a dialogare con il Pdl».

Proprio quel che pensa Buttiglione. In realtà Casini è deciso a tener fermi i pezzi che gli sono rimasti, e a fronte dei timori altrui non esterna le ansie che lo attraversano, e di cui c’è traccia nei ritrovati colloqui con Follini. Anzi, per dar prova della sua calma, racconta sempre la storia di una «famosa riunione dei dorotei a piazza Cardelli. Allora, a Flaminio Piccoli che s’era agitato contro di lui, Emilio Colombo, che era a capo del governo, rispose così: "Quanto a te Flaminio, se posso darti un consiglio, calma, calma, calma". Poi prese le sue carte e se ne andò». Il fatto è che quella era la Dc, e il potere non passava mai di mano. L’Udc invece deve far i conti con il potere berlusconiano, deve oggi sperare nella benevolenza del Pd—per esempio—per conquistarsi un posto nel prossimo cda della Rai, dove era stata finora determinante negli equilibri tra maggioranza e opposizione. Sono finiti i tempi in cui il Cavaliere rincorreva il centrista Staderini per non aver problemi a viale Mazzini.

Intanto sullo sfondo appaiono minacciose le elezioni europee, l’ostacolo — forse decisivo — da superare con uno sbarramento. Perciò il sorriso del premier ieri non ha tratto in inganno Casini, nemmeno quando si è sentito dire: «Auguri per la nascita di tuo figlio, Pier. Scusami, non te li avevo ancora fatti». «Meno male. Tra un po’ Francesco sarà quasi maggiorenne». Il dialogo misura una distanza che sembra incolmabile. «In fondo—ha spiegato il capo dei centristi in una riunione— Silvio è stato coerente. Voleva liquidare me, ma lo ha fatto anche con i Formigoni, con i Pisanu, con lo stesso Pera. Si è scelto la Lega come alleato preferenziale e gli altri li ha confinati a far tappezzeria. Paradossalmente però, il successo lo mette a nudo davanti agli italiani. Vedremo se riuscirà a risolvere i problemi del Paese».

Ecco la scommessa di Casini, perciò ritiene ancora valido il motto che confidò a un esponente della Margherita alla vigilia delle urne: «Primum vivere». Il resto si vedrà, «perché è vero che il momento è difficile e complicato — ammette Cuffaro— ma bisogna resistere. Di qui a un anno può succedere qualcosa. Il mondo cattolico che sta nel Pdl vive malissimo l’emarginazione, e pezzi della Margherita delusi dal Pd stanno venendo con noi. Certo, lo so, per me è più facile, visto che in Sicilia sto al governo». Appunto. Cuffaro è l’immagine emblematica della condizione in cui versa l’Udc, partito di centro che vive e regna sul territorio insieme al Pdl. Non a caso i veneti hanno stretto una nuova intesa con Galan. Casini si rincuora sostenendo che «in molte Regioni noi siamo determinanti», e che in Veneto l’accordo è funzionale al Governatore per porre «un argine alla Lega». Epperò quell’argine a sua volta ne alza un altro: per i centristi è impossibile aprire varchi per un’alleanza con il Pd. Un punto su cui Casini è stato chiaro con D’Alema. «Noi —assicura—non cederemo al loro corteggiamento e staremo fuori dalle loro beghe interne». Ma allora quale sentiero imboccherà colui il quale tentò di detronizzare il Cavaliere? In «Italiaset» non c’è posto per lui. Berlusconi lo anticipò a un ex dirigente centrista, subito dopo la storica rottura. «Porta questo biglietto a Pier». Sul foglio c’era scritto: «Io non mollerò MAI».

Francesco Verderami
17 maggio 2008

da corriere.it
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« Risposta #12 inserito:: Giugno 30, 2008, 02:38:07 pm »

Intervista al leader Udc

Casini: Di Pietro polizza sulla vita del premier, il Pd lo scarichi

E sulle intercettazioni Berlusconi-Rai: «Lo squallore è sotto gli occhi di tutti, ma le considero barbare»

 
 
ROMA - Si sente «sconfortato», Pier Ferdinando Casini. Perché dopo mesi in cui ci si era illusi che la legislatura si sarebbe caratterizzata per un «confronto sulle cose vere», dal costo della vita alla perdita del valore d'acquisto al quoziente familiare, ci si ritrova «precipitati nel buio di quindici anni fa, nel perenne scontro tra magistratura e politica» che un sistema «falsamente bipartitico» non può risolvere. Per questo, più che per «ragioni di bon ton, che mi interessano poco», il leader dell'Udc, in questo clima incandescente per i tanti nodi giustizia che vanno a intrecciarsi sempre più caoticamente, accusa Antonio Di Pietro della colpa opposta per cui lo attaccano dal centrodestra: «Comportandosi come fa, conquisterà pure qualche punticino in più per il suo partito, ma finirà per aiutare Berlusconi. Per regalargli una sostanziosa assicurazione per la vita».

Di Pietro contesta al premier l'uso della giustizia per interesse personale, lo attacca per i comportamenti «disinvolti » emersi dalle intercettazioni: in che modo dunque gli dà una mano?
«Vede, non è che io non abbia le mie critiche da fare a Berlusconi, che nella sua azione di governo non riesce proprio a partire dai problemi degli altri: anche animato dalle migliori intenzioni, il lupo perde il pelo ma non il vizio...».

Si riferisce al lodo Schifani-Alfano o alla norma blocca processi?
«Sul lodo Schifani, pur discutibile, siamo disponibili ad approfondire nel merito, ci sembra doveroso, naturalmente tenendo conto dei rilievi di costituzionalità che da più parti vengono mossi. Ma che bisogno c'era di azzerare o bloccare 100 mila processi, di inserire una norma incongrua nel decreto sicurezza con l'intento di aggirare la firma del capo dello Stato? Questo proprio non ci piace».

Quello che viene fuori dalle intercettazioni le piace?
«Su questo punto, ho una sola parola: le ho definite barbare quando riguardavano Fazio e D'Alema, le considero tali anche quando l'intercettato è Berlusconi. E, sempre, bisogna tenere conto del fatto che si tratta di frasi estrapolate dal contesto. Comunque, preferisco non fare commenti sui contenuti, lo squallore è sotto gli occhi di tutti».

Lo pensa anche Di Pietro.
«Sì, ma il punto è un altro. Io credo che l'accanimento giudiziario contro Berlusconi negli anni ci sia stato davvero, e come me la pensano in tanti, così come in tanti vedono il conflitto di interessi di Berlusconi. Ma una opposizione a Berlusconi connotata dal dipietrismo, da quei toni, da quel martellamento, non trascina il Paese. Peggio: dimostra che, se l'opposizione è questa, l'alternativa a Berlusconi non c'è. E poi, siamo seri: il potere giudiziario deve tornare a essere neutro e a recuperare una terzietà perduta da tempo».

Quale sarebbe allora la giusta opposizione a Berlusconi?
«Quella che lo incalza sui fatti, che gli chiede conto della cordata Alitalia che non esiste, dell'emergenza rifiuti a Napoli non risolta, di un'economia che non si rivitalizza con gli spot pubblicitari. Attaccare Berlusconi solo sulla giustizia gli fornisce il migliore alibi per andare avanti senza dover mostrare uno per uno i risultati ottenuti».

Con Veltroni è possibile fare un percorso comune su questo?
«L'ho detto anche sabato al convegno di Enrico Letta: Veltroni ha il merito incancellabile di aver seppellito l'idea che una coalizione possa reggersi solo sull'antiberlusconismo, perché è un collante che può farti vincere, ma non ti fa governare. Ma nemmeno questo bipartitismo coatto, questa finzione di governo ombra può funzionare: diciamoci la verità, così come siamo, noi opposizioni non siamo una alternativa credibile a Berlusconi ».

E quale è la ricetta per diventarlo?
«Per prima cosa, per portare avanti un dialogo bisogna dissociare profondamente il proprio cammino da quello di Di Pietro. E riflettere su un bipolarismo diverso, perché io potrei certamente militare in una formazione politica con Enrico Letta come con altri esponenti che oggi sono nel Pdl. Bisogna insomma rivedere criticamente l'idea che questo Pd possa essere un partito a vocazione maggioritaria, e ammettere l'errore di aver puntato sul Vassallum e di aver creduto all'utilità del governo ombra».

Se questo ripensamento non ci sarà?
«Se non si metteranno in discussione questi pilastri, nessuna alleanza strategica sarà possibile con noi».

Paola Di Caro
30 giugno 2008

da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Agosto 18, 2008, 04:32:32 pm »

17/8/2008 (7:52) - L'INTERVISTA

Casini: "Le trame anti-Silvio? Ho pensato agli elettori"
 
«Che ci fosse la Cdl o il Pdl, avrei fatto comunque la mia lista»

ANTONELLA RAMPINO
ROMA


L’Europa, e la politica italiana, «russo-dipendenti» lo scandalizzano molto più dell’indiscrezione, pubblicata venerdì dalla «Stampa», di aver tramato con l’ex e futuro sodale Clemente Mastella ai danni, contemporaneamente, di Berlusconi e di Prodi. Pier Ferdinando Casini sembra più preoccupato dall’incombente, e cupo, autunno dei conti economici delle famiglie italiane che dal «gossip estivo».

Così l’esponente dell’«altra opposizione» al governo Berlusconi, quella dei centristi dell’Udc, derubrica l’idea di aver chiesto a Mastella di trattare per proprio conto con Berlusconi, per poi unire le forze al momento delle liste per le scorse politiche. «E che si tratti di gossip estivo lo prova il fatto che di quella finta notizia mancano proprio i presupposti: all’epoca, l’analisi politica che mi ha condotto a presentarmi alle elezioni da solo, e non con Berlusconi, l’avevo già fatta. Avrei fatto comunque la mia lista, come in passato, sia che Berlusconi tenesse la Cdl o facesse il Pdl. Io, se ho tramato, ho tramato con gli elettori, e con i loro due milioni e mezzo dei voti».

Gossip estivo, lei dice. Però quando le chiedono, come nei giorni scorsi, se potrebbe tornare a far politica con Berlusconi lei risponde con un «mai dire mai»?
«Io non parlo mica come James Bond! La frase compiuta era: in politica, mai dire mai. Significa che le ragioni del dissenso c’erano, e rimangano inalterate. Mi fa piacere, però, che dagli insulti siamo passati al dialogo. Ma i termini politici sono quelli: con Berlusconi non c’è mai stato né un litigio, né una trama. C’è stata una diversa valutazione politica, con le sue conseguenze. E la legittima decisione berlusconiana di scegliersi nella Lega un alleato privilegiato. Sbagliando».

E ogni tanto la Lega tira la corda. Bossi decreta inutile il taglio dell’Ici, l’unica decurtazione di tasse fino al 2013.
«Non voglio mettere il dito tra Bossi e Berlusconi, sarebbe fin troppo facile. Ma in una condizione così drammatica per le famiglie italiane, con i salari bassi, e col ministro dell’Economia che si pone il giusto problema di limitare le spese, forse quei 2 miliardi di euro potevano essere impiegati meglio. Non era la priorità: meglio sarebbe stato varare il quoziente familiare. Spero diventi realtà la proposta Sacconi di ancorare le pensioni minime a un paniere più ampio. Perché ci aspetta un autunno difficilissimo: dai prezzi delle materie prime agli alimentari, ai salari, la vera emergenza del Paese è quella economica».

E la politica del governo le pare adeguata?
«Il governo ha delle priorità che mi pare aiutino i ceti medio-alti. Dovrebbe guardare al ceto medio che sta precipitando nella povertà».

E invece alla ripresa d’autunno tra i primi punti c’è il federalismo fiscale.
«Creda a me, e soprattutto a quel che Calderoli ha detto ai gruppi parlamentari dell’Udc: l’approccio sarà molto soft, minimale. Il modello lombardo è stato archiviato. Si avvia solo un processo con una legge-quadro. Finché non vengono tirati fuori i numeri veri, le quote di trasferimento impositivo dallo Stato alle regioni, e viceversa, siamo ai principi generali. La giustizia, piuttosto, sarà all’ordine del giorno. Il lodo Alfano è discutibile, ma permette di far ripartire la discussione dalle esigenze dei cittadini e non da quelle di Berlusconi. Noi dell’Udc ci stiamo preparando con un convegno, che sarà aperto da Giuliano Vassalli».

Bossi dice che a settembre si farà la legge elettorale per le europee, con sbarramento alto.
«Lo sbarramento al 4-5 per cento conviene più all’Udc che ai grandi partiti, sono ben lieto se lo stabiliscono per legge. E’ altro, quello che mi preoccupa: vedo il disegno di abolire le preferenze, il finto bipartitismo tenta ancora di rilanciarsi sulla costrizione, e non sulla convinzione, dei cittadini-elettori. Quando si fece la legge per le politiche italiane, fummo noi dell’Udc a presentare un emendamento, che non passò, per reintrodurre la scelta dei parlamentari. Ci mancherebbe solo che adesso gli oligarchi la togliessero per le europee. Farlo per via parlamentare, lascerà comunque le impronte digitali di chi se ne rende responsabile».

La convince almeno la politica estera di Berlusconi?
«Il problema non è né la politica estera del Pdl né quella del Pd. Entrambe sono continuiste rispetto a un europeismo vuoto di contenuti. Nella crisi caucasica, Sarkozy ha fatto il notaio dei desiderata russi, mentre i carri armati di Mosca continuano a controllare gran parte del territorio georgiano, e si oppongono solo pochi, piccoli stati baltici. Oltre agli Stati Uniti, che nella vicenda hanno fatto non pochi errori. La politica di subalternità alla Russia di questi giorni è un precedente pericoloso. Ormai, l’Europa è in piena dittatura energetica russa».

da lastampa.it
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« Risposta #14 inserito:: Novembre 24, 2008, 04:29:20 pm »

Casini: crisi grave, serve un disarmo, ma il premier continua a dividere


ROMA (23 novembre) - «Di fronte a una crisi di queste dimensioni, le forze politiche serie dovrebbero sotterrare l’ascia di guerra. Noi siamo pronti a dare una mano, senza confondere i ruoli di maggioranza e opposizione. Berlusconi invece oscilla, è indeciso. Non sa se seguire la linea responsabile di Gianni Letta o l’avventurismo di certi suoi colonnelli».

Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, chiede al premier di cambiare atteggiamenti («Stavolta non basta un’aspirina, il Paese ha bisogno di una cura seria. E se il governo continua a provocare divisioni non si va da nessuna parte»). È disposto ad offrire collaborazione. Ma il «disarmo» deve valere ovunque. A cominciare dalla Vigilanza Rai: «Berlusconi è capo del governo e proprietario di Mediaset. Se non c’è disarmo sulle vicende Rai, non può esserci disarmo nella politica».

Il premier ha fin qui rifiutato di consultare i leader dell’opposizione sulle misure anti-crisi. Però ha varato i decreti per il salvataggio delle banche e ha annunciato investimenti per 80 miliardi.
«Finora il governo ha fatto molte chiacchere, molti spot e pochissimi fatti. Gli 80 miliardi sono inesistenti, al più si tratta di fondi già stanziati. Le misure anti-crisi ancora non si vedono. Noi proponiamo di partire dalla famiglie: 100 euro al mese per il primo figlio, 50 per i successivi. Il costo dell’operazione è 7 miliardi. Ma verrebbero subito spesi dalle famiglie e diventerebbero linfa per la ripresa dei consumi».
Vista la portata della crisi finanziaria, non è necessario mettere prima in sicurezza le banche e dunque i risparmi delle famiglie?
«Non basta aiutare le banche per riattivare un processo virtuoso. E poi quanto è volubile questo governo! Qualche mese fa Tremonti ci spiegava il grande valore della Robin Hood tax applicata anche alle banche. Ora pochi mesi dopo e senza autocritica siamo all’esatto contrario, cioè al sostegno pubblico degli istituti di credito... Mi accontenterei che a fronte degli impegni dello Stato le banche garantissero, sulla base di parametri verificabili, un costante flusso di crediti alle piccole e medie imprese».
Perché Berlusconi dovrebbe condividere con voi queste scelte? Ieri nel suo comizio in Abruzzo ha detto che l’Udc è la ”politica politicante”.
«Anziché polemizzare con noi farebbe bene a spiegare agli abruzzesi perché ha tolto le risorse all’Abruzzo e al Sud per destinarle ad altre aree del Paese».
Forse più che al dialogo parlamentare il premier tiene alla sua immagine decisionista: sette minuti per varare una Finanziaria, dieci minuti per far nascere un nuovo partito.
«Era meglio se a luglio impiegava qualche minuto di più per la manovra finanziaria, visto che è stato poi costretto a cambiare tutte le previsioni economiche. Quanto al Pdl dieci minuti sono stati persino troppi: è rimasto fermo a 14 anni fa, a Forza Italia. Un partito personale dove Berlusconi è l’inizio e la fine».
Di quel partito però allora voi eravate alleati.
«Era una fase di emergenza. Abbiamo puntato sull’evoluzione di Forza Italia. Ma non c’è stata. Le caratteristiche partecipative e democratiche del partito di Berlusconi restano molto distanti dal modello dei partiti popolari europei».
Si risolverà il caso Villari? Cosa succederà nella commissione di Vigilanza Rai?
«Non sono un mago. Ma la vicenda è penosa. Capisco che alla gente interessi poco, alle istituzioni però fa molto male. Villari è stato eletto da Berlusconi e ora tocca a lui fare la prima mossa per superare questo blocco assurdo».
Il Pd vi ha proposto di disertare i lavori di commissione.
«L’Udc risponderà alla prossima convocazione per chiedere ancora le dimissioni di Villari. Poi penso che quella strada verrà seguita non solo dall’Udc ma anche dalla maggioranza. Il paradosso di Villari è che può riuscirgli ciò che finora non è riuscito a nessuno: determinare nei fatti l’abolizione della commissione di Vigilanza».
Alle regionali in Abruzzo correte da soli. Berlusconi ha negato di aver posto un veto all’alleanza Pdl-Udc.
«A volte mi viene il dubbio che Berlusconi si convinca della sue stesse bugie. La verità è che per lui l’alleanza è la confluenza, la scomparsa dell’Udc. Non è abituato a fare i conti con qualcuno che gli dice no».
Vuol dire che l’alleanza di centrodestra sarà preclusa anche in futuro per voi?
«Siamo una forza di centro, che vuole rappresentare i moderati. Resteremo autonomi in questa legislatura e al termine verificheremo le maggiori convergenze. Certo, un’alleanza con il centrodestra sarà possibile solo in un contesto di pari dignità».
Non è più facile allearsi tra forze di opposizione?
«Con il Pd ci parliamo più spesso ora che stiamo insieme all’opposizione. Ma noi non siamo la Margherita. Non faremo mai a Berlusconi il favore di spostarci a sinistra, perché siamo radicati nel Ppe da prima di lui. Ripeto: le convergenze si verificheranno a fine legislatura. In ogni caso per noi resta improponibile un rapporto con Rifondazione. E la nostra distanza politica e culturale da Di Pietro mi pare incolmabile».
Onorevole Casini, lei intanto ha chiesto di fermare il federalismo fiscale. Nella critica stavolta è andato anche oltre il Pd.
«Stiamo procedendo con leggerezza in direzione pericolosa. Rischiamo di fare un disastro se il federalismo non sarà abbinato a provvedimenti drastici. Dov’è finita la promessa di Berlusconi abolire le Province?»
La Lega è la vostra bestia nera. Vi attacca anche in Veneto, dove siete ancora alleati.
«In Veneto la Lega attacca noi ma il suo vero obiettivo è Galan. Vogliono che il prossimo candidato-governatore sia leghista, come è avvenuto in Trentino. Berlusconi ci pensi bene: se affida alla Lega la leadership del Nord, il centrodestra perderà e il Pdl sarà superato dal Carroccio».
 
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